Scelti per Voi
Lombardia
Lo spiedo
di Rosy
e Lorena
Il ristorante Castello di Serle (BS) è famoso
per la zuppa di funghi, il salame, la grande
conoscenza dei vini del patron Emilio
Zanola, la cucina “di casa” di sua moglie
e sua mamma, ma soprattutto è il numero
uno del più rituale piatto bresciano.
L
di Maria Cristina Beretta
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o spiedo, si sa, è una forma molto antica di cottura. Basta
infilzare qualcosa di commestibile su un’asticella appuntita e avvicinarla al fuoco. Sembrerebbe semplice ma non
lo è affatto, il rischio di bruciare l’alimento o di cuocerlo
male è palese. Come per tutto ciò che concerne la cucina, anche
lo spiedo è un’arte. Lo sanno bene i nostri antenati che per secoli
hanno usato questo sistema per cuocere le carni e hanno capito
che richiedeva regole ferree: spennellare la carne con grasso, per
evitare che bruciasse e si seccasse, e girare di continuo l’asta sul
fuoco per avere una cottura uniforme, il che significava starsene lì,
vicino al focolare, per lungo tempo.
L’idea di meccanizzare il processo fu affrontata persino da
Leonardo da Vinci, il quale, con un sistema di contrappesi e carrucole, riuscì nell’intento. Oggigiorno l’energia meccanica utilizzata
da Leonardo è stata sostituita dall’ energia elettrica, la quale fa
muovere gli spiedi posizionati attorno a un tamburo ruotante racchiuso in una specie di scatola gigante di acciaio, appoggiata su
4 piedi e dotata di uno sportello da un lato e di una griglia in alto
(leccarda). Gli spiedi ruotano in senso circolare e contemporaneamente su se stessi, un po’ come il movimento dei pianeti nell’universo. Lungo un bordo del contenitore c’è una canalina dove
mettere la brace. A Serle e dintorni, in Val Sabbia, a una quindicina
di chilometri da Brescia, l’arte dello spiedo è talmente radicata da
potersi considerare nel Dna dei suoi abitanti. Emilio Zanola, la moglie Lorena e la mamma di lui, Rosy, nel loro ristorante Castello, in
località Castello a circa 650 metri di altitudine, ne hanno fatto un
punto d’orgoglio del locale e lo propongono secondo la tradizione,
tradotta in linee guida nel disciplinare di Denominazione comunale
(De.co), approvato nel 2010.
La trattoria è nata a fine 1800 da Angelo Zanola, bisnonno di
Emilio. La struttura attuale è composta da una parte più antica
con pareti di pietra e che ospita anche la cantina e da una parte
più moderna, dalle linee essenziali. Emilio è, tra l’altro, sommelier
di lunga data. Ha una vera passione per i vini che l’ha portato alla
presidenza Ais (Associazione italiana sommeliers) della provincia
di Brescia per 15 anni. La sua “carta” elenca circa 500 etichette
di cui un centinaio sono della provincia, comprese le nuove realtà
che meritano di essere valorizzate.
La cucina si snoda su tre postazioni, una delle quali è fornita di
un bel camino in cui scoppietta per quasi tutto l’anno un focherello da cui si ricavano le braci per lo spiedo. Già, perché Emilio
e Lorena si sono inventati anche lo spiedo estivo, con altri tipi di
carni, rispetto al classico invernale, e con la polenta di mais bianco, al posto del giallo e l’olio al posto del burro, prendendosi una
lavata di capo da mamma Rosy, la quale li ha apostrofati quali eretici. Eppure la clientela è soddisfattissima di questa versione che
ha allungato la stagione della ricetta della tradizione, quella che
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Lorena ha imparato da Rosy la quale, a sua volta, l’aveva imparata dalla suocera. Per farla breve, la cucina è sempre stata regno
delle donne. Lorena ha una mano delicata nel proporre ricette comunque saporite nello stile della montagna. I funghi sono un appuntamento fisso, merito di una attività in passato che ha portato i
Zanola a scambiare i prodotti locali con quelli di alcuni Paesi della
ex Jugoslavia, da cui arrivano anche lumache vive, cucinate poi al
Castello con erbe profumate. Nelle varie interpretazioni dei funghi,
i finferli saltati con uova e tartufo, che riprendono un’antica ricetta
di Serle, meritano il viaggio. I salumi sono di produzione propria.
L’impostazione del menu è soprattutto su prodotti di stagione e su
carni e le ricette sono comunque legate al territorio e alla tradizione. Il successo del locale è ampiamente giustificato da una grande
materia prima curata da una grande cuoca.
A Lorena va il plauso di un’attenzione ammirabile ai particolari per
l’ottima riuscita delle ricette, lo sanno bene le sue collaboratrici
ultra settentenni Maria e Umberta, già collaboratrici di Rosy, che
le danno una mano ma che preferiscono evitare di prendersi la
responsabilità delle preparazioni. L’altro valido aiutante è Saverio,
anche lui con i capelli bianchi e che si fa vedere solo al tempo dello
spiedo, quella sì che è roba da uomini.
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Lo spiedo: mai da solo
In tavola con amici e in cucina, con un amabile guardiano, lo spiedo vuole compagnia. Va programmato per tempo: per questo viene fatto solo su prenotazione. La sua preparazione è lunga, dura circa sei ore. Si inizia con il taglio delle carni: coniglio, pollo e
maiale (lombo e costine) che devono essere in pezzi delle stesse
dimensioni. Lorena al posto del lombo sceglie la coppa di maiale,
la taglia a fette, al centro di ciascuna di esse mette i ritagli della
stessa coppa, che rendono il tutto più morbido, e poi l’arrotola.
E gli uccellini? In origine lo spiedo era fatto solo di uccellini cacciati. Gli uccellini dovevano essere “a becco fino”, ossia appartenere a quel gruppo che si alimenta di insetti. Oggi sono protetti e la
legge dà la possibilità di cucinare solo uccelli cacciati al di fuori del
territorio nazionale, spesso si tratta di passeri, che sono granivori, e quindi con gusto diverso. Gli uccellini, essendo molto piccoli,
non sopporterebbero il calore e i lunghi tempi dello spiedo, devono essere cucinati in una padella con burro ed erbe aromatiche.
La polenta accompagna d’obbligo il piatto, dovrebbe essere preparata da tre macinature diverse di farina di mais. Il sugo è sostanzialmente burro fuso dello spiedo e della cottura degli uccellini.
Nel menu riservato allo spiedo, per conciliare lo stomaco, è prevista la “minestra sporca”: si parte da un soffritto di verdure, fegatini
e stomaci di pollo e si continua la cottura nel brodo. Al Castello
viene servita anche una deliziosa zuppa di funghi.
Il vino ideale per accompagnare il piatto sarebbe il Botticino, vino
del territorio che nasce dall’unione dei vitigni Barbera, Sangiovese,
Marzemino e Schiava gentile: proprio per la presenza della
Barbera, nota per una certa acidità, pulisce bene la bocca.
Lo spiedo andrebbe preparato per almeno dieci persone. Chi si
può permettere una casa in campagna con camino e spiedo, rischia, per una decina di persone, di spendere finanche 200 euro,
tra carne e carbone, senza contare la mano d’opera e i vini. Forse
è il caso di mettere le gambe sotto il tavolo di un ristorante che lo
sappia fare. La ricetta del Castello è per 20 persone.
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Le varianti dello spiedo:
vicino al lago c’è l’anguilla
Sapori d’Italia 32/33
P
artendo dal più tipico spiedo di uccelletti e maiale, ricetta che rimane stabile a Brescia e in
Val Trompia, le altre preparazioni del Bresciano
risentono della materia prima localmente disponibile. Come già accennato, in Val Sabbia, ma anche
nell’Alto Garda, sono stati inseriti coniglio e pollo,
scendendo in pianura ci sono più animali da cortile
e quindi si infilza anche la carne di faraona; spostandosi verso il Lago di Garda c’è l’anguilla, un pesce
dalle carni grasse e che la cottura allo spiedo rende regale.
Indipendentemente dalla zona, per alcuni è di regola
mettere la patata sullo spiedo, fa la crosticina dorata e rimane morbida e saporita all’interno.
Più comunemente viene servita a parte, cotta in forno. Altro optional è il fegato di maiale che, prima
di essere infilzato, viene arrotolato e avvolto nella
sua rete.
TRATTORIA CASTELLO - Via Castello 38,
25080 Serle (BS) - Tel.030.69.10.001
www.trattoriacastello.eu - Chiuso il martedì.
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