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LA STORIA DEL MENU
R. Abbondio – M. Felline – I. Pollini - CUCINABILE
Nelle civiltà classiche, soprattutto in quella romana, il pasto offerto
agli ospiti rivestiva un’importanza cruciale nella vita sociale, poiché
serviva a dimostrare la ricchezza e l’opulenza del padrone di casa. Le
classi più agiate, infatti, intrattenevano e stupivano i propri convitati
con banchetti sontuosi, preparati con materie prime provenienti da
tutti i territori dell’Impero. Addirittura, per ridurre la ricchezza eccessiva e il lusso smodato dei menu proposti in tali occasioni, Rutilio
Rufo (legislatore di Roma antica) formulò una legge, contro la quale
non tardò a scagliarsi Apicio, abile cuoco dell’epoca precristiana e, sicuramente, anche grande appassionato di cibo. Si ritiene che sia proprio Apicio (forse Marco Gavio Apicio, vissuto nel I secolo a.C.)
l’autore del De re coquinaria, un vero e proprio ricettario tramandato
fino ai giorni nostri.
Secondo le fonti, i banchetti dell’epoca erano composti da una vasta
serie di piatti, semplici ma anche elaborati, a base di carne, pesce e
verdure, ampiamente condite con salse dolci e salate. Tuttavia, non abbiamo informazioni precise sulla struttura dei menu di quel tempo e
nemmeno sull’esistenza dei supporti scritti da presentare agli ospiti
prima del pasto. Possiamo quindi presumere che, mentre il menu inteso come promemoria per eseguire gli ordini della cucina sia sempre
esistito, l’elenco consegnato al commensale sia un’invenzione piuttosto recente, dovuta al cambiamento delle abitudini alimentari.
L’EVOLUZIONE STORICA DEL MENU
I più antichi e vaghi modelli di menu risalgono agli inizi del Medioevo, al V secolo per la precisione. Il primo riferimento alla successione delle portate si trova nel poema in versi intitolato Saporetto, di
Simone Prodenzani, poeta orvietano vissuto nella prima metà del Quattrocento, che descrive le scene di festa, dei banchetti e delle vivande
proposte all’epoca. Un’altra opera dello stesso periodo, intitolata De
honesta voluptate et valetudine, di Bartolomeo Sacchi, detto il Platina (14211481), riferisce invece alcuni primordiali consigli sull’ordine da seguire nel servire le portate.
Un banchetto
nell7antica Roma.
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Il banchetto preparato per le nozze tra Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Maria Sforza, celebrate a Tortona nel 1489, passò alla storia per
la sua fastosità e spettacolarità; non a caso, in quell’occasione, il “regista” fu Leonardo da Vinci, il quale, oltre che inventore, scienziato e artista, fu anche spesso autore di grandiosi spettacoli organizzati presso
le Corti che frequentava. Per questo banchetto, egli utilizzò attori e
ballerini, che entravano in sala impersonando gli dei dell’Olimpo e
dando vita a un vero “menu animato”: Mercurio, il messaggero degli
dei, serviva uccelli ricoperti da una lamina d’argento, mentre Diana,
dea della caccia, portava in tavola un cervo e così via. Queste informazioni, insieme alla sequenza delle portate, ci sono pervenute grazie a un testo di un autore anonimo, dal titolo L’ordine de le imbandisone
se hanno da dare a cena.
Presso l’Archivio di Stato di Milano è conservato un documento che
riporta le vivande servite durante un banchetto tenutosi a Pavia di
nuovo per conto della famiglia Sforza; in esso, per la prima volta nella
storia, sono indicati i vini di accompagnamento delle varie portate.
FRA SCALCHI E CUOCHI SEGRETI
La nostra breve storia del menu prosegue con un altro personaggio,
Cristoforo da Messisbugo, che prestò servizio a Ferrara, presso la corte
del Cardinale Ippolito d’Este, non come cuoco bensì come scalco.
Questa figura può essere considerata l’equivalente dell’odierno direttore generale dei banchetti, che ha la funzione di organizzare feste,
cene e ricevimenti. I menu degli eventi da lui creati furono raccolti nel
libro Banchetti, composizione di vivande e apparecchio generale, dato alle
stampe nel 1549. Le sue cene erano caratterizzate da un’alternanza di
servizi di credenza, composti da piatti freddi, e servizi di cucina, costituiti
da piatti caldi, il tutto accompagnato da recite e musica.
Nel 1570 fu pubblicato un altro testo, Opera dell’arte di cucinare, scritto
da Bartolomeo Scappi, cuoco segreto, cioè privato, di Papa Pio V.
Un banchetto
medievale.
A destra:
Un celebre
autoritratto
di Leonardo da Vinci.
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Il Quarto Libro dell’opera è molto interessante perché dedicato per
intero alle liste, cioè ai menu, con preziosi suggerimenti su come organizzare pranzi e cene sontuose nei vari periodi dell’anno, con particolare attenzione alla stagionalità delle materie prime. Da quel
momento in poi, in quasi tutti i trattati di cucina erano presenti le
“liste”, a carattere didattico. Inoltre, curiosamente, i nomi delle ricette
includono gli ingredienti impiegati (ad esempio Anatre stufate con ventresca di porco, nello Scappi) oppure, anche se di rado, un riferimento
geografico (Trutte alla tedesca). Quando, nel XVIII secolo, per volere
di Luigi XIV nacque la sontuosa corte di Versailles, cominciò a diffondersi l’abitudine di dedicare piatti ai nobili o a personaggi di
spicco, in modo tale da ingraziarseli e ottenere ricompense in denaro.
È il caso della salsa béchamel, dedicata al duca di Béchameil, o delle pesche Melba, intitolate all’omonima cantante. Questa moda proseguì
fino ai tempi di Escoffier, cioè a metà tra il XIX e il XX secolo.
L’OTTOCENTO
Durante i secoli successivi, le nuove abitudini alimentari modificarono
anche il modo di comunicare al convitato le portate che sarebbero
state offerte, consentendogli anche di fare le proprie scelte. Grazie al
principe russo Alexander Borisovich Kurakin, ambasciatore dello zar in
Francia, si diffuse il servizio alla russa, che sostituì quello alla francese
usato fino agli inizi dell’Ottocento. Il servizio alla francese prevedeva
una tavola decorata con i famosi “trionfi”, cioè sculture di zucchero,
grassi e altri ingredienti, imbandita da subito con decine di vassoi, dai
quali i convitati prelevavano, autonomamente o aiutati da un domestico, i cibi desiderati, proprio come accade oggi con i buffet. In questi casi, quindi, non era necessario preparare un menu scritto, poiché
le proposte gastronomiche erano immediatamente visibili ai commensali. Secondo quanto scrive Escoffier, i dubbi degli ospiti riguardo
alle preparazioni erano risolti da cartellini collocati accanto ai piatti
che riportavano i nomi delle pietanze.
I banchetti
rinascimentali
prevedevano lo
svolgimento di tre
momenti diversi:
i cosiddetti servizi
di credenza erano
collocati all7inizio
e alla fine, mentre
tra essi era previsto
almeno un servizio
di cucina.
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Con il servizio alla russa, invece, si cominciarono a servire le vivande
in sequenza, porzionandole in cucina e poi ricomponendole sul
piatto di portata. I convitati apprezzavano questa modalità, poiché il
cibo arrivava in tavola ancora caldo, ma per lungo tempo ci fu incertezza su quale tra le due tipologie di servizio preferire, tanto che in
certi trattati di cucina vengono citate entrambe.
Nel XIX secolo esistevano anche altre forme di servizio, tra cui:
il servizio all’inglese, basato su una mise en place ricca, alla francese, ma
composta solo da antipasti e stuzzichini, mentre i piatti caldi e le
zuppe venivano portati in tavola uno per volta, poi appoggiati su un
tavolo di servizio e porzionati al cospetto dei commensali;
il servizio a portate, simile a quello “alla russa”, nel quale però si servivano quattro piatti per volta;
il servizio all’ambigù (cioè “ambiguo”), nel quale i piatti venivano collocati tutti insieme sul tavolo dei convitati, per poi essere prelevati e
serviti dai camerieri. A parlare di questa modalità fu Giovanni Vialardi,
cuoco e pasticcere di casa Savoia.
In generale, la seconda metà dell’Ottocento è stata caratterizzata da
una diffusione universale del menu scritto, favorita anche dalla nascita dei nuovi metodi di stampa litografica, che permettevano di
creare un cartoncino composto da testo, disegni e figure che diventava un gradito souvenir dell’evento a cui si partecipava. Spesso, tale
cartoncino decorato era acquistato dalla padrona di casa che lo compilava in bella grafia per poi consegnarlo ai propri invitati.
Il primo esempio di menu moderno, stampato e curato da un punto
di vista grafico, fu realizzato nel 1855 in onore dell’Imperatrice Eugenia, figlia del Conte di Montijo, Grande di Spagna, alla corte di Napoleone III. In seguito, diedero il proprio contributo alla creazione di
menu anche alcuni artisti, come Gaugin, nel 1899, o vari pittori per
l’oste Deana della trattoria “La Colomba” di Venezia, negli anni Cinquanta del secolo scorso.
Con la nascita della
corte di Versailles nel
XVIII secolo, ha inizio
la consuetudine di
dedicare piatti a
nobili o altre
personalita` di rilievo.
Nel Settecento,
inoltre, e` in auge
il cosiddetto servizio
alla francese,
nel quale tutte le
portate sono poste
insieme sul tavolo.
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LA STORIA DEL MENU - Editrice San Marco