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Scuola di politica
Quaderno di formazione in materia di narcotraffico
Introduzione
Il fenomeno del narcotraffico rappresenta uno degli ambiti economicamente più proficui per
la criminalità organizzata. Da qualunque punto di vista la questione venga affrontata, è di tutta evidenza che la lotta al narcotraffico coincida con quella alla criminalità organizzata internazionale,
che opera con indici di elevata capacità, mobilità ed adattabilità.
Trattandosi di un fenomeno estremamente complesso, interconnesso con innumerevoli fattori (non tutti riconducibili alle regole della domanda e dell’offerta), comprensivo di diverse fasi (dalla coltivazione alla produzione, raffinazione, acquisizione dei mezzi di trasporto, distribuzione, consumo e riciclaggio dei relativi proventi), che coinvolgono attori diversi, il presente studio propone
un’analisi del fenomeno limitandosi agli aspetti di criminalità ed economia criminale.
L’analisi prende avvio da uno sguardo d’insieme relativo al traffico internazionale sulla base
dei dati riportati nel rapporto annuale stilato dall’ufficio delle Nazioni Unite sulle Droghe e il Crimine (UNODC). Nonostante i dati proposti non possano essere letti con assoluta certezza, in particolare relativamente al traffico di cocaina (sul punto è intervenuto il centro di documentazione di
Libera che ha posto alcune interessanti critiche sull’analisi proposta dall’ONU), il documento dimostra grande utilità nell’offrire un’idea generale sui traffici e i rapporti tra i paesi coinvolti.
Dal contesto internazionale si passa poi all’ambito nazionale e locale, con un particolare interesse per Liguria e Toscana e la provincia della Spezia.
In questa fase il nostro studio ha attinto principalmente ai fatti di cronaca e alle operazioni
condotte dalle forze dell’ordine, le informazioni ricavate rivelano dati allarmanti sul coinvolgimento
del nostro territorio: la Liguria in quanto zona strategica, dotata di un significativo apparato portuale, svolge un ruolo essenziale all'interno dei traffici, come ci dimostrano i sequestri di ingenti quantitativi di stupefacenti, soprattutto cocaina, avvenuti negli ultimi anni.
Per concludere, l’attenzione va agli strumenti di contrasto: la ricerca e l’adozione di efficaci
strumenti di lotta contro il traffico degli stupefacenti costituiscono i primari impegni assunti
dall’Italia a livello di Unione Europea, Schengen, ONU e di altri fori internazionali.
Le aree di produzione
Secondo il Rapporto Narcotraffico 2012, pubblicato dall’UNODC (United Nation Office on
Drugs and Crime) nel 2010 l’area totale di coltivazione della pianta di coca è stata di quasi 150.000
ettari, il 30% in meno rispetto al 2001.
Poiché invece il consumo è rimasto stabile, questa forte flessione si spiega prevalentemente
con il crollo delle coltivazioni in Colombia, accompagnato da un incremento dei livelli di efficienza
nella produzione.
La coltivazione della pianta di coca interessa quasi tutto il Sudamerica. Le regioni settentrionali e quelle dell’area andina sono le maggiori produttrici mondiali: la grande maggioranza della
cocaina proviene dalle coltivazioni
200.000
di Colombia, Bolivia e Perù.
BOLIVIA
Nella tabella accanto è possibile os150.000
servare l’estensione (in ettari)
COLOMBI
100.000
A
dell’area coltivata a pianta di coca
di questi paesi, e la sua variazione
50.000
nel corso degli ultimi anni.
-
Colombia. È storicamente il
maggiore produttore mondiale di
cocaina: nel 2001 la Colombia produceva più del doppio di tutti gli altri paesi uniti insieme. Tuttavia, oggi la sua produzione è inferiore a quella peruviana e sembra destinata a calare ancora nei prossimi anni. Questa importante flessione si spiega con il forte programma di sradicamento della pianta di coca messo in atto dallo stato
colombiano dai primi anni 2000, principalmente su pressione degli Stati Uniti.
Bolivia e Perù. Le aree coltivate di questi paesi si concentrano prevalentemente nella regione andina, climaticamente più adatta alla pianta di coca. Entrambi stanno conoscendo un significativo aumento delle aree coltivate, grazie anche al forte calo colombiano. Il Perù, in particolare, oggi
è probabilmente tornato ad essere il primo coltivatore mondiale come negli anni ’90.
Mentre la produzione vera e propria di cocaina avviene generalmente in laboratori situati
negli stessi stati produttori, nella fase dello stoccaggio sono coinvolti anche gli altri paesi del Sudamerica, come Argentina, Brasile, Venezuela e l’area caraibica, in funzione delle zone di transito dei
traffici.
Traffici
Le modalità del traffico di cocaina si adattano alle caratteristiche di flessibilità e di globalità
delle rotte commerciali. A livello mondiale, la cocaina è principalmente trasportata seguendo la via
marittima (80%) e solo in parte quella aerea (20%).
Le principali linee di transito mondiali si possono dividere in cinque rotte:
Rotta latinoamericana. Dai paesi produttori la cocaina viene trasportata attraverso
l’Argentina e il Paraguay per giungere infine in Nord America (Canada e Stati Uniti).
Rotta del Nord Pacifico. Le
coste occidentali americane sono
raggiunte seguendo la via marittima
che parte dal Messico.
Rotta del Sud Pacifico.
Questa rotta è percorsa principalmente dalle partite di cocaina prodotte in Perù e rivolte ai consumatori australiani e asiatici, dopo lo stoccaggio in Argentina.
Rotta atlantica. Rappresenta il principale canale con l’Europa:
dai paesi produttori, la cocaina passa per il Venezuela, la Colombia, il Brasile o l’Argentina per giungere principalmente ai porti baltici o iberici. Secondo il Rapporto di pubblica sicurezza del Reparto antidroga del Ministero
dell’Interno, esiste una variante strategica a questa rotta: ingenti partite di cocaina dal Sudamerica
sostano lungo le coste africane (Ghana, Guinea e Nigeria) per proseguire o verso l’Europa tramite
vie terrestri, o verso gli Stati Uniti e il Canada, aggirando così i crescenti controlli alle frontiere meridionali delle autorità americane. Un importante fattore critico di successo di questa rotta africana
consiste nella debolezza dei controlli e l’alto tasso di corruzione delle autorità di polizia di questi
paesi.
Rotta dell’Istmo. La cocaina prodotta in Colombia viene indirizzata attraverso i paesi
dell’Istmo e il Messico per giungere in Nord America.
Il Messico, per la sua posizione geografica, è sempre stato un territorio centrale nel panorama delle rotte illegali del traffico di droga dirette da Sud verso il Nord America. In origine i narcos
messicani curavano esclusivamente il trasporto della polvere bianca dall’America Latina verso il
continente nordamericano, apparendo quindi subalterni al cartello colombiano; in un secondo tempo, però, si è passati dallo smercio all’autoproduzione, cui è seguito l’affrancamento dai narcos di
Bogotà. Negli anni, l’invadenza dei messicani cresce: conquistano quote sempre più ampie di mercato, costruiscono basi logistiche sul continente americano e gestiscono il passaggio di confine.
Con riguardo alla struttura dei narcos messicani, molti sono i tratti comuni con la ‘ndrangheta – un’organizzazione orizzontale, imperniata su cellule autonome (chiara è la somiglianza con
le ‘ndrine), con notevole flessibilità organizzativa – identiche le dinamiche con il mondo economico
e politico. A tali caratteristiche si aggiunge un aspetto, quale l’assetto paramilitare, mutuato invece
dal modello colombiano. Forte di questa organizzazione, il Messico è riuscito a divenire il principale attore della rotta al confine messicano e statunitense, ritagliandosi così un ruolo privilegiato nello
scacchiere mondiale del narcotraffico.
Per quanto riguarda in particolare l’Europa, i punti di approdo della cocaina sudamericana
più utilizzati sono certamente quelli iberici. Da lì, la droga raggiunge Madrid e Barcellona, per proseguire poi verso l’interno per via terrestre (Parigi, Amsterdam e Francoforte), oppure verso l’area
mediterranea per via marittima (prevalentemente i porti dell’Italia meridionale, tra cui spicca quello
di Gioia Tauro). Tuttavia viene anche utilizzata la direttrice costiera franco-italiana per
l’introduzione e diffusione di stupefacenti, lungo la tratta Marsiglia – Nizza – Genova.
Altri punti di approdo importanti sono quelli inglesi e baltici, da cui la cocaina o viene smistata nei paesi europei, oppure riparte verso il Canada e negli Stati Uniti utilizzando corrieri di nazionalità europea.
Il quadro, tuttavia, si fa ancora più complesso se si considera che anche il territorio albanese
sta divenendo una testa di ponte per la preparazione, lo stoccaggio e la diffusione della cocaina in
Europa, e specialmente in Italia (attraverso gli scali marittimi di Pescara, Bari e Brindisi). Inoltre, vi
sono nuove linee di penetrazione seguite da bande di paesi nordafricani che sfruttano la via marittima mediterranea.
Consumo
I principali mercati della cocaina sono l’Europa e tutto il continente americano.
Tuttavia, secondo il già citato rapporto dell’UNODC, vi sono degli importanti cambiamenti
in atto nella parte “a valle” della filiera della cocaina; mentre in Europa il consumo si è mantenuto
stabile negli ultimi anni, negli Stati Uniti si riscontra un sensibile calo della domanda. Ciò è dovuto
principalmente a due fattori: la drastica riduzione della produzione colombiana, principale fonte
della cocaina smistata in America, che non è stata compensata da quella degli altri paesi coltivatori
(come invece è successo in Europa) e l’aumento delle misure di controllo alle frontiere da parte delle autorità statunitensi.
Inoltre, stanno emergendo nuovi mercati in passato estranei a questo genere di droga: Cina,
India, Sud-Est asiatico e Oceania iniziano a svolgere un ruolo sempre più critico nello sviluppo del
narcotraffico.
Il monopolio della ‘ndrangheta: l’unica direzione nel narcotraffico
Secondo i dati dall’Eurispes, nel 2010, il giro d’affari della ‘ndrangheta risulta di 42 miliardi di euro l’anno, che equivale a circa il 3,6% del prodotto interno lordo nazionale italiano. Da solo,
il traffico di droga vale ben 22,4 miliardi.
Il traffico di cocaina rappresenta, nell’universo mafioso, l’introito più remunerativo,
un’attività che consente di moltiplicare rapidamente gli utili, l’unica in cui non sia necessaria una
manodopera stabile né grandi strutture, ma è anche il solo settore che richieda una specializzazione
criminale: stabili e affidabili contatti con l’estero, cartelli sudamericani, organizzazioni criminali
dell’Est Europa e asiatiche, etc.
La ‘ndrangheta presenta, complessivamente, tutte queste caratteristiche e si pone come soggetto cardine nel narcotraffico internazionale.
L’abilità dell’organizzazione criminale nel narcotraffico si costruisce con il commercio
dell’eroina, ma si affina notevolmente con la cocaina: se già la ‘ndrangheta s’era acquisita un ruolo
di primo piano, con il traffico di cocaina riesce ad assicurarsi un avamposto decisivo nello scacchiere mondiale e ad aprirsi nuovi spazi di comunicazione e fiducia con i cartelli latinoamericani, accreditandosi come principale interlocutore europeo.
Fin dagli anni Ottanta, la ‘ndrangheta vanta ottimi contatti con i trafficanti di eroina turchi,
bulgari, e slavi. Con lo smantellamento del sistema sovietico, la forte instabilità nella penisola balcanica si traduce in un susseguirsi di guerre civili, penalizzando le attività legali tanto quanto quelle
illegali. È in tale situazione che s’inserisce l’intermediazione ‘ndranghetista, convincendo i trafficanti slavi ad abbandonare la rotta turca, deviandola oltre l’Adriatico, in Calabria, e da lì raggiungere l’Europa.
Stabilizzata la penisola balcanica, le rotte calabresi sono tanto più sicure e comode che le
precedenti non vengono più riaperte.
Ben presto si comprende che l’eroina costituisce una discreta fonte di guadagno – dopo pochi anni di sperimentazione del narcotraffico, la ‘ndrangheta prende ben presto a investirvi tutte le
risorse accumulate con i sequestri di persona degli anni ’70 – ma altrettanto in fretta risulta chiaro
che è la cocaina il business del futuro.
In questa evoluzione strategica e nel suo consolidamento, riveste un ruolo cruciale Roberto
Pannuzzi, calabrese, uomo affidabile, dotato di notevoli risorse economiche e capace di gestire i
primi passi di un traffico transcontinentale, forte di sicuri contatti disseminati tra Canada, Spagna,
Francia e Sudamerica.
Ricorda Francesco Forgione: «Pannuzzi è tra i primi ad intuire, già sul finire degli anni ’80,
che nel mercato della droga l’eroina rappresenta il passato; il futuro è la cocaina».
È Pannuzzi a sviluppare il primo tentativo della ‘ndrangheta nel traffico della cocaina, collaborando in una joint-venture siculo – calabrese: questa curiosa sinergia trova la propria ragione
nella necessità di associare in nome di maggiori profitti l’enorme liquidità calabrese ai numerosi
contatti e avamposti operativi extracontinentali della mafia siciliana.
Il sodalizio è però destinato a degenerare rapidamente: i primi carichi che seguono le vecchie rotte sicule dell’eroina vengono puntualmente sequestrati, il che innervosisce i narcos colombiani, screditando i siciliani e incrinando la collaborazione siculo – calabrese.
Abbandonati i partner siciliani, ritenuti inaffidabili, Pannuzzi prende in mano la gestione del
traffico, deviando i carichi successivi, originariamente diretti in Sicilia, verso i porti iberici, dove
dispone di una macchina organizzativa efficiente e già collaudata.
Tale autonomia e affidabilità del Pannuzzi accreditano la ‘ndrangheta agli occhi del cartello
colombiano: l’organizzazione criminale calabrese, oltre ad avere un solida rete di contatti, è estremamente flessibile, capace di adattarsi, di fornire le basi d’appoggio, gli uomini necessari ed è dotata di grande liquidità. Inoltre, altra caratteristica apprezzata è la struttura familistica che la rende invulnerabile, preservandola dal pentitismo.
Oramai il rapporto privilegiato tra cartelli colombiani e ‘ndrangheta appare ben consolidato
e mutualmente conveniente: le capacità produttive dei primi giovano alla seconda, le cui capacità
operative avvantaggiano i primi.
Il continente europeo, prima sede dell’espansione ‘ndranghetista, si conferma la principale
piazza dello smercio di stupefacenti per l’organizzazione. Già sul finire degli anni Ottanta il BENELUX era crocevia di tutti i traffici che dall’America Latina raggiungevano l’Europa passando
per il Nord Africa. Oggi i porti di ingresso variano in accordo con le famiglie, anche se tendenzialmente i principali snodi di transito sono in Olanda, Spagna e Italia (in prima fila Gioia Tauro).
Uno sguardo sulla Liguria
La relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia del dicembre 2012 definisce la
Liguria «snodo del traffico internazionale» di sostanze stupefacenti. Più precisamente, agli occhi del
consigliere Anna Canepa, la Liguria «per la sua posizione geografica e per i suoi porti, si rivela
punto di collegamento tra il Nord e il Sud dell’Italia e si conferma quale snodo centrale nel sistema
di importazione in Italia degli stupefacenti (soprattutto da Paesi dell’America meridionale e dalla
Spagna). Tale circostanza evidente nel passato risulta confermata dai sequestri di rilevanti quantitativi di stupefacenti effettuati nel corso del periodo preso in considerazione».
Conclusioni simili sono già state tratte in passato. Nella relazione del 2008, secondo il magistrato Carmelo Petralia «il significativo rilievo degli scali portuali e delle (ex) frontiere terrestri del-
la regione ligure nel sistema di importazione in Italia degli stupefacenti (soprattutto da Paesi
dell’America meridionale e dalla Spagna) risulta confermato, da un lato, dal numero e dal rilievo
quantitativo dei sequestri di droga operati, e, dall’altro lato, dal moltiplicarsi dei profili di collegamento investigativo che si sono presentati in relazione agli specifici contesti investigativi di volta in
volta ricostruiti, in sé rivelatori dell’operare di circuiti delinquenziali stabilmente organizzati e funzionalmente serventi le reti di commercio illegale». Non solo: menziona «il peculiare ruolo svolto,
per così dire “per vocazione”, dal territorio ligure, quale luogo di ingresso, transito e diramazione
verso altre regioni dell’Italia del nord di consistenti quantitativi di hashish e cocaina, destinati ad essere immessi in molteplici e spesso differenziate reti di spaccio».
La stessa dott.ssa Canepa, nella relazione per l’anno 2010, afferma che «il porto genovese è
ormai da tempo crocevia di traffici illeciti di sostanze stupefacenti ed è verosimile che le organizzazioni criminali sfruttino le opportunità offerte anche dal porto cittadino per introdurre nel territorio
nazionale ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti. In tale contesto, preme evidenziare gli enormi progressi compiuti dalla ‘ndrangheta che, soprattutto nell’ultimo decennio, grazie a canali di approvvigionamento diretto con i produttori sudamericani, ha acquisito una sorta di posizione monopolistica per quanto concerne l’importazione di cocaina».
Il rapporto Gli investimenti delle mafie – curato dal centro di ricerca Transcrime e
dall’Università Cattolica del Sacro Cuore per conto del Ministero dell’Interno – ha provato a fare i
conti in tasca al giro di affari criminali nel settore del traffico di stupefacenti: i risultati sono impressionanti. Solo per la Liguria, gli analisti hanno stimato margini di profitto variabili tra i 45 e i
66 milioni di euro – con riferimento all’anno 2009, e soltanto limitandosi a considerare il traffico di
cocaina. Un dato tutt’altro che trascurabile, che se considerate le debite proporzioni con le risorse
demografiche liguri, pone la regione ai primi posti della classifica.
Ancora nella relazione annuale della DNA per il 2012, il consigliere Caponcello fornisce un
interessante ragguaglio circa le dimensioni delle attività di indagine giudiziaria relative al traffico di
stupefacenti nell’ambito di competenza della Direzione Distrettuale Antimafia genovese: i procedimenti iscritti per il reato di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90 (associazione per delinquere finalizzata al
traffico di stupefacenti) dal luglio 2011 alla fine di giugno 2012 risultano tredici, per un totale di
settantasette indagati; i procedimenti iscritti per il reato di cui all’art. 73 del medesimo decreto (produzione, traffico e detenzione di stupefacenti) risultano invece diciotto, per un totale di cento e otto
indagati.
Il ruolo centrale della Liguria nelle dinamiche dei traffici internazionali è ribadita dai numerosi e ingenti sequestri di droga effettuati dalle forze dell’ordine in tutta la regione. Già nel febbraio
del lontano 1992, un’operazione guidata dal ROS di Genova e Milano aveva portato al più consistente sequestro di cocaina mai effettuato fino ad allora in Italia: trecento chili di droga sottratti alle
mani di un’organizzazione attiva sulla rotta colombiana, i cui esponenti di spicco – tredici personaggi legati al narcotraffico internazionale, ma anche alcuni italiani – finiscono dietro le sbarre con
accuse pesantissime. Il carico di cocaina era sbarcato a Genova direttamente dalla Colombia, su di
una motonave battente bandiera jugoslava, che avrebbe invece dovuto trasportare del semplice pesce congelato.
Molto genovese appare anche la storia dell’operazione CARTAGINE, che tra nel marzo del
1994 ha portato al più grande sequestro di droga fino ad allora operato in Europa: cinque tonnellate
e mezzo di droga, recuperate su di un container sbarcato nel porto di Genova e bloccato dagli investigatori nei pressi di Borgaro Torinese – coinvolti nell’indagine oltre novantacinque persone, in
gran parte legate alle più importanti famiglia di ‘ndrangheta. Saltano fuori i nomi pesanti dei Mazzaferro, dei Cataldo, dei Pesce, dei Morabito, degli Ierinò. Stando alle ricostruzioni degli inquirenti,
sulle tratte che portano dalla Colombia, dal Brasile e da Panama alla Liguria, alla Lombardia e al
Piemonte sono scivolate nel corso degli anni, dal 1991 al 1994, più di undici tonnellate di cocaina. I
proventi del traffico sono stati reimpiegati attraverso operazioni di riciclaggio: i carabinieri hanno
rintracciato trentadue miliardi, solo una parte – forse infinitesimale – degli utili che si nascondono
dentro il fiume di cocaina sudamericana.
Nel novembre del 1995 finiscono agli arresti anche tre carabinieri, di cui due funzionari della direzione investigativa antimafia, precedentemente coinvolti in importanti operazioni contro le
organizzazioni del narcotraffico internazionale. A tirare le fila dell’accusa è il pentito Giovanni Gullà, già implicato in un’indagine per l’importazione di cinquantadue chili di cocaina dal Brasile. Pesantemente coinvolto risulta anche il colonnello Michele Riccio, già esponente di primo piano del
ROS.
Anche la provincia della Spezia si rivela tutt’altro che secondaria nel grande scacchiere dei
traffici internazionali, complice una singolare triangolazione con i porti di Genova e di Gioia Tauro
in Calabria – porti che La Spezia segue a ruota nella classifica dei principali terminali container del
Mediterraneo italiano. Le maggiori testimonianze affiorano nella cronaca.
Nel giugno del 2006 un’operazione diretta dai carabinieri della Spezia e coordinata dalle
procure di Milano e Firenze (operazione CAR WASH) porta al sequestro di trenta chilogrammi di
cocaina e all’arresto di oltre cinquanta persone: viene colpito un sodalizio dedito al traffico internazionale, e i suoi consolidati bacini di affari in Lombardia, Toscana, Liguria, Emilia Romagna.
Nell’aprile del 2008, l’operazione MANITOBA, condotta dalla Squadra Mobile della Spezia, scuote un’organizzazione criminale dedita al traffico e allo spaccio di stupefacenti in città: risultano gravemente implicati, in qualità di responsabili del sodalizio, i due boss Maurizio Platania e
Sebastiano Romano, nonché lo spezzino Stefano Alberghi; Platania e Alberghi erano già stati precedentemente coinvolti nell’importante indagine sull’autoparco milanese di via Salomone, che negli
anni Novanta aveva smascherato gli interessi dei clan Santapaola e Cursoti nel narcotraffico del capoluogo lombardo. Nell’aprile del 2009, il giudice Paolo Scippa emana condanne nei confronti dei
maggiori imputati per un totale di circa ventiquattro anni di reclusione: i fascicoli messi assieme
dalla Squadra Mobile mettono in luce i contatti tra la banda di malavitosi e fette della comunità cittadina: le intercettazioni telefoniche e ambientali rivelano che i trafficanti intrattengono legami con
professionisti e imprenditori locali, personaggi insospettabili con il vizio della cocaina.
Si segnala, nel gennaio del 2010, anche il sequestro di un chilo di cocaina nel corso di
un’operazione condotta dai carabinieri ai danni di una banda composta da sei cittadini spezzini e da
due albanesi. Nel novembre dello stesso anno, la Guardia di Finanza della Spezia, con l’operazione
ORANGE, smantella un’organizzazione dedita al traffico internazionale di stupefacenti, composta
per lo più da cittadini maghrebini, e provvista di basi operativi tra Modena, La Spezia, Nizza e
l’Olanda. Nel corso dell’inchiesta vengono sequestrati tre chili e mezzo di droga, tra cocaina ed eroina. Il giro di affari stimato supera i tre milioni di euro.
Nell’aprile del 2011, l’operazione MILLE E UNA NOTTE fa scattare quarantasette ordinanze di custodia cautelare, per un totale di cinquantasei indagati: nel mirino un’organizzazione di
trafficanti facente capo alle “piazze” di Sarzana e La Spezia e ramificata tra Liguria, Lombardia e
Toscana. Vengono sequestrati quindici chili di droga.
Nell’estate del 2011, un’inchiesta partita dall’agenzia delle dogane del porto della Spezia
conduce all’arresto di Giordano Cargiolli e Alfredo Gradisca, nonché di un cittadino spagnolo e di
un cittadino colombiano. Nei pressi di Pallerone, ad Aulla, scatta il sequestro di settecentocinquanta
chilogrammi di cocaina, insieme a una minore quantità di hashish: la droga era nascosta nel doppio
fondo di un container che, prima di sbarcare definitivamente alla Spezia, aveva fatto la spola tra
Genova e Gioia Tauro, dopo essere salpata da Santo Domingo. Si tratta dell’operazione CAUCEDO. Ecco come ne parla la relazione annuale della DNA per il 2012: «Procedimento penale a carico
di otto persone tra i quali CARGIOLLI Giordano per il delitto di cui all'art. 74 D.P.R. 309/1990. In
particolare in data 21 luglio 2011 è stato sequestrato nel porto della Spezia il quantitativo di circa
kg. 760 di cocaina, occultata in un doppiofondo di un container e successivamente è stato sequestrato anche il quantitativo di kg 10 di hashish, occultato all’interno di un doppiofondo esistente
nell’autovettura di uno degli indagati. Nella disponibilità degli associati venivano rinvenute e sequestrate otto autovetture munite di doppifondi, un furgone, pure munito di doppiofondo una Porsche PANAMERA (del valore di più di 150.000 euro); nel doppiofondo di un’auto venivano rinvenuti euro 112.700 euro e l’ulteriore somma di euro 170.000, mentre euro 500.000, in contanti, venivano sequestrati alla madre del Cargiolli che ne aveva la disponibilità». Nel gennaio del 2013,
Giordano Cargiolli viene condannato in primo grado a diciotto anni di reclusione e a una multa di
duecentomila euro; pene altrettanto gravi sono comminate anche ad altri coimputati. Il sequestro effettuato in occasione dell’operazione CAUCEDO è ritenuto uno dei più importanti mai effettuati in
Europa.
Nel novembre del 2011 è il turno dell’imprenditore carrarese Enrico Gazzo, che viene arrestato con l’accusa di aver cercato di importare in Italia, attraverso il porto di Livorno, una tonnellata
e mezzo di cocaina. Il prezioso carico – valutato oltre i trecentocinquanta milioni di euro – era stato
intercettato dalle autorità peruviane a Lima, in procinto di avviarsi su di una nave mercantile diretta
a Livorno. Il destinatario del carico – ufficialmente si trattava di bentonite sodica – era proprio Enrico Gazzo. Coinvolti nella vicenda anche alcuni cittadini spezzini e sarzanesi.
Nel febbraio del 2012 l’operazione BLACK HURRICANE, ancora una volta condotta dalle
fiamme gialle della Spezia, smantella un sodalizio criminale, formato da cittadini nordafricani e italiani, dedito al traffico e allo smercio di stupefacenti tra La Spezia, Milano e Torino. Nel contesto
dell’operazione vengono sequestrati quasi dieci chili di stupefacenti. Fa seguito, nel marzo,
l’operazione MILLE E UNA NOTTE 2, coordinata dai carabinieri, che colpisce un’organizzazione
radicata alla Spezia, Trapani, Matera, Genova, Massa e Carrara.
Il sistema di contrasto
Nel tempo sono state elaborate, nelle competenti sedi internazionali e nazionali, specifiche
normative volte a stabilire criteri di controllo sempre più incisivi e fondati, essenzialmente, su un
sistema di autorizzazioni connesse all’esercizio di attività inerenti alla produzione e al commercio
delle sostanze stupefacenti, nonché su obblighi di comunicazione delle transazioni e su forme di
controllo a destino delle sostanze medesime.
La Convenzione di Vienna (Convenzione delle Nazioni Unite) del 20 dicembre 1988 contro
il traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope, ratificata in Italia con la L. 328/1990, rappresenta la principale legislazione applicabile a livello internazionale. In sintesi, per le sostanze suscettibili d’impiego nella produzione di droghe, la Convenzione disciplina:
un sistema di sorveglianza del commercio internazionale;
il sequestro delle sostanze destinate alla fabbricazione illecita di droga;
lo scambio di informazioni sulle operazioni sospette;
l’osservazione e la documentazione delle transazioni commerciali relative a tali sostanze;
le prescrizioni da adottare sui documenti doganali di trasporto e sugli altri documenti di spedizione;
la tenuta dei documenti suddetti;
una serie di informazioni preventive sulle movimentazioni, quando siano richieste in via generale dal paese- di destinazione.
La normativa dell'Unione Europea
La nuova disciplina comunitaria recante misure intese a scoraggiare la diversione di talune
sostanze verso la fabbricazione illecita di stupefacenti o di sostanze psicotrope, nonché gli obblighi
cui sono sottoposti gli operatori, è attualmente contenuta in due distinti regolamenti del Consiglio
dell’Unione Europea (relativi al commercio esterno e intracomunitario), nonché in un regolamento
attuativo di entrambi. Tali strumenti sono volti a combattere la diversione delle sostanze fissando
una serie di misure di controllo.
Regolamento CE n°111/2005 del Consiglio dell’Unione Europea del 22 dicembre 2004 recante norme per il controllo del commercio dei precursori di droghe tra la Comunità e i paesi terzi,
con il quale vengono consolidati in un unico regolamento alcuni atti derivanti dal Regolamento
CEE n°3677/90. Ciò allo scopo di migliorare la legislazione relativa agli aspetti esterni (regole da
rispettare in occasione di scambi commerciali tra gli Stati membri e i paesi terzi) e per rafforzare i
meccanismi di controllo intesi a prevenire la diversione di talune sostanze verso l’illecita fabbricazione di stupefacenti o di sostanze psicotrope.
Regolamento CE n°273/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea
dell’11 febbraio 2004 relativo ai precursori di droghe, con il quale vengono consolidati in un unico
regolamento alcuni atti derivanti dalla Direttiva CE 92/109. Ciò allo scopo di semplificare la legislazione relativa agli aspetti interni (regole da rispettare all’interno della Comunità) e renderla di più
facile applicazione, sia per gli operatori economici sia per le competenti autorità.
Normativa nazionale
La normativa nazionale è contenuta nel Testo Unico delle leggi in materia di sostanze stupefacenti approvato con DPR 9 ottobre 1990 n. 309.
Nel Testo Unico del 1990, che ha subito un’ultima modifica nel 2006, a seguito delle direttive europee, il legislatore ha definito gli obblighi ai quali sono tenute le persone fisiche e giuridiche
che operano a livello di fabbricazione, trasformazione, importazione, esportazione, commercio e distribuzione delle sostanze chimiche classificate, prevedendo una serie di autorizzazioni, permessi e
comunicazioni necessari per l’espletamento di ognuna delle suddette attività.
In particolare, la normativa vigente affida al Ministero della Salute e del Lavoro il rilascio
delle autorizzazioni e dei permessi per l’esercizio delle attività di produzione, detenzione, commercializzazione, importazione ed esportazione. Tali autorizzazioni hanno durata limitata nel tempo
(solitamente due anni) e sono sottoposte a costante monitoraggio da parte della Direzione Centrale
Servizi Antidroga, un organismo interforze, sottoposto al Dipartimento di pubblica sicurezza (Ministero dell’interno), composto dalle tre forze di Polizia nazionali (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza) attraverso il quale il Capo della Polizia (Direttore Generale della Pubblica Sicurezza) attua le direttive emanate dal Ministro dell’Interno in materia di coordinamento e di
pianificazione delle forze di polizia per la prevenzione e repressione del traffico illecito di sostanze
stupefacenti o psicotrope.
A una prima parte dedicata alle competenze attribuite ai vari organi nella concessione delle
autorizzazioni di cui sopra, segue il titolo VIII, sulla repressione delle attività illecite. Gli articoli ivi
compresi elencano una serie di reati penali: produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze
stupefacenti o psicotrope; associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti; agevolazione
dell’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope; istigazione, proselitismo e induzione al reato di per-
sona minore; pubblicizzazione illecita di sostanze stupefacenti. Tali reati, spesso integrati con altre
condotte illecite, sono puniti attraverso sanzioni pecuniarie e detentive a seconda della gravità del
reato e dal tipo di sostanza coinvolta; le pene naturalmente si aggravano (vd. art. 80 del T.U.) nel
caso di associazione finalizzata al traffico illecito, coinvolgimento di minore, traffico di quantità ingenti, uso di armi. Inoltre, lo straniero coinvolto in tali reati, una volta espiata la pena è sottoposto a
espulsione.
Particolare attenzione merita la norma introdotta con la L. 49/2006: questa, nel modificare il
contenuto dell’art. 73 del T.U. 309/90, ha previsto che le pene previste per la produzione ed il traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope (reclusione e sanzione pecuniaria) si applichino
anche in caso di illecita produzione o commercializzazione di tutte le sostanze utilizzabili nella produzione clandestina di droghe, nonché la possibilità di eseguire consegne controllate delle sostanze
chimiche sospettate di essere destinate a tale attività
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Quaderno di formazione_Narcotraffico