LE FLUTTUAZIONI CICLICHE & LA POLITICA ECONOMICA Cavalieri, Cap. 10 Cap. 13, §§1-2 (fino a p.382), 4-6, 8 (fino a p.405) Cap. 14, §§1-2, §§6-8 Cap. 15, §§1-3; 8 Le fluttuazioni di breve periodo • Il livello di attività economica fluttua nel corso del tempo. Nella maggior parte degli anni la produzione di beni e servizi aumenta, ma in alcuni anni diminuisce. • Una recessione è un periodo (di almeno due trimestri successivi) in cui il PIL reale diminuisce e la DIS (ciclica) cresce. Una depressione è una recessione severa e prolungata. • Capire per quale motivo avvengono le fluttuazioni è uno dei temi fondamentali della macro del breve periodo. E’ il c.d. problema del ciclo economico. • Il ciclo economico ha tre caratteristiche fondamentali: 1) Il ciclo economico non ha andamento regolare: le fluttuazioni sono irregolari ed imprevedibili. 2) La grandezza che oscilla di più sono gli investimenti (molto meno, p.e. i consumi), ma in genere si guarda soprattutto al PIL reale. 3) Molte variabili macro fluttuano assieme (c.d. co-movimenti). - P.e. il PIL reale e la DIS si muovono assieme, in direzione inversa. N.b.: Le colonne viola indicano i periodi di recessione (a) PIL reale USA Miliardi di dollari (del1992) $7,000 6,500 6,000 5,500 5,000 4,500 4,000 3,500 3,000 2,500 PIL reale 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 (b) Spesa per investimenti USA Miliardi di dollari (del 1992) $1,100 1,000 900 800 700 600 500 400 300 1965 Spesa per investimenti 1970 1975 1980 1985 1990 1995 (c) Tasso di disoccupazione USA Pct. della forza lavoro 12 10 Tasso di DIS 8 6 4 2 0 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 Come spiegare il ciclo economico? • Il ciclo è un problema di breve periodo, quindi occorre cambiare l’orizzonte temporale in cui abbiamo sin qui studiato la macro, cioè passare dal lungo al breve periodo • La c.d. teoria macro “classica” descrive il funzionamento delle economie nel LP, ma non nel BP. • Tre ipotesi/concetti “classici” non adatti allo studio del BP: - La dicotomia classica - Il tasso naturale di disoccupazione - Il principio di neutralità della moneta • Per spiegare le fluttuazioni di BP usiamo il modello keynesiano c.d. della domanda aggregata Keynes 1936. • Tale modello è utile anche per mostrare l’effetto sul ciclo delle misure di politica economica. Domanda aggregata e legge di Say • La curva di domanda aggregata (curva AD) mostra la quantità di beni e servizi che gli agenti economici (famiglie, imprese e policy-maker) vogliono acquistare per ogni dato livello generale dei prezzi. • Le quattro componenti della AD sono: AD = C + I + G + NX • La AD non va confusa con la domanda effettiva, ovvero la domanda che viene “soddisfatta” dall’offerta aggregata. – Offerta aggregata: la quantità di beni e servizi che le imprese decidono di produrre e vendere per ogni dato livello dei prezzi. – In altre parole, AD è una curva mentre la domanda effettiva è un punto sulla AD, ovvero l’intersezione tra curva AD e curva di offerta aggregata. Essa indica la spesa totale degli agenti. • Gli imprenditori, per Keynes, decidono quanto offrire proprio sulla base del livello atteso della domanda effettiva. La legge di Say • Il fulcro dell’analisi keynesiana è proprio negare che l’intersezione tra domanda ed offerta aggregata si realizzi sempre e comunque al livello di piena occupazione delle risorse, cioè al livello del reddito che corrisponde al completo utilizzo della capacità produttiva del sistema (c.d. produzione potenziale o di pieno impiego YFE). • Questo era invece sempre vero per gli economisti della macro “classica”, perché essi credevano alla c.d. legge di Say. • Legge di Say: il principio secondo cui “l’offerta crea sempre la propria domanda”, ovvero che, dato che la fonte della domanda aggregata è il reddito generato dall’attività produttiva (vedi p.e. il diagramma del flusso circolare), ogni livello di produzione dà luogo ad un reddito di pari importo che viene necessariamente speso in consumi oppure, per la parte risparmiata, in investimenti. • Chi crede alla legge di Say non ammette quindi che sia possibile uno squilibrio permanente a livello macro tra produzione potenziale YFE e domanda aggregata, cioè una situazione persistente di disoccupazione delle risorse produttive. • Dato che per Keynes, invece, l’offerta aggregata dipende dal livello atteso della domanda effettiva, è perfettamente possibile che l’equilibrio tra domanda ed offerta si realizzi ad un livello che non corrisponde al pieno impiego delle risorse. Le componenti autonome della AD • Tre delle quattro determinanti della AD, cioè C, I e NX, sono composte da una parte dipendente (direttamente od indirettamente) dalle variabili macro, quali P, r ed Y, e da una parte c.d. autonoma, cioè indipendente dalle altre grandezze macro. – La spesa pubblica G è invece considerata interamente autonoma perché decisa “liberamente” dal policy-maker. • Una variazione in una delle determinanti della AD dovuta ad una variazione della componente autonoma comporta quindi uno spostamento della curva, mentre nel caso vari p.e. il reddito Y si avrà uno spostamento lungo la curva. • L’andamento delle componenti autonome dipende spesso da fattori extraeconomici (aspettative, tradizioni, mode, ecc.) e comunque mai nel pieno controllo del policy-maker. La funzione macro del consumo • Nel modello keynesiano il consumo a livello aggregato è funzione del reddito disponibile Y – T: C = C0 + b (Y – T) dove C0 è il c.d. consumo necessario, b è la propensione marginale al consumo PMC (= incremento del consumo per ogni euro addizionale di reddito disponibile Y – T) • Se ipotizziamo T = t Y, dove t è l’aliquota media di imposte sul reddito, PMC diventa b(1 – t) • A partire da tale funzione possiamo calcolare anche la funzione del risparmio: S = (Y – T) – C = – C0 + (1 – b)(Y – T) dove (1 – b) è la propensione marginale al risparmio (= incremento del risparmio per ogni € di Y – T) La funzione macro degli investimenti • Nel modello keynesiano l’investimento I non dipende dal reddito Y ma solo dal tasso di interesse r: I = I0 + f (r) , I0 comp. autonoma. • Gli imprenditori decidono se e quanto investire confrontando il tasso interno di rendimento (TIR) dell’investimento progettato con il tasso di interesse di mercato. • Un progetto di investimento si realizza solo se TIR > r, cioè solo se il rendimento dell’investimento supera il costo del finanziamento (= il tasso d’interesse sui prestiti). Se un progetto di investimento è tale invece che TIR < r, l’investimento non si realizza. • Esiste quindi una relazione inversa tra r ed I: dato il TIR dei diversi progetti di investimento, al crescere di r si riduce il livello aggregato degli investimenti proprio perché sempre meno progetti soddisfano la condizione TIR > r. • Segue che qualsiasi misura di politica economica che faccia diminuire il tasso di interesse di mercato favorisce l’attività di investimento. La “croce” keynesiana C,S, I, AD Retta a 45° C = C0 + bY A I non dipende da Y 45° Y’ Y C,S, I, AD Retta a 45° AD = C + I E C = C0 + bY A I I non dipende da Y 45° Y’ Y” Y In A: Y’ = C S = 0 In E: Y” = C + I Y” – C = I S = I (= punto B) C,S, I, AD Retta a 45° AD = C + I E C = C0 + bY A I S B I non dipende da Y 45° Y’ Y” Y La determinazione del reddito di equilibrio • Ipotizziamo un’economia chiusa (NX = 0) e senza lo Stato (G = 0, T = 0). La domanda aggregata è dunque AD = C + I • L’equilibrio macro si ha quando la produzione aggregata Y uguaglia la AD, ovvero quando il reddito prodotto uguaglia il reddito speso. Ciò determina univocamente il livello di equilibrio del reddito Y”. – N.b. ora si parla di equilibrio, non più di identità, perché sia le componenti della AD che la produzione sono frutto delle scelte degli agenti economici. – La domanda effettiva è individuata dal livello della AD in corrispondenza del reddito di equilibrio. • L’equilibrio macro può essere indicato sia come: Y=C+I che, considerando che S = Y – C, come: S=I • Graficamente il livello di equilibrio del reddito si determina utilizzando l’espediente della retta a 45° (c.d. croce keynesiana). Tutti i punti lungo tale retta hanno infatti la caratteristica di avere l’ascissa uguale all’ordinata e quindi di rappresentare possibili livelli di equilibrio del reddito. Quale equilibrio per Y? • L’equilibrio macro può aversi per un qualsiasi livello di Y. Non è affatto detto, quindi, che il sistema trovi l’equilibrio al livello YFE. – La posizione del punto E dipende infatti dal livello della AD, ovvero da C e I – Più precisamente, gli imprenditori producono in funzione del livello atteso della domanda effettiva. Ma allora l’equilibrio dipende da ciò che gli imprenditori si aspettano e quindi non necessariamente esso si verificherà in corrispondenza di YFE. • Siamo al cuore della c.d. “rivoluzione keynesiana”: secondo Keynes, nulla garantisce che all’equilibrio macro il sistema economico realizzi il pieno impiego delle risorse. • Questo significa che può aversi un equilibrio (cioè uno stato indefinitamente persistente) con disoccupazione delle risorse. Parleremo in questo caso di equilibrio di sotto-occupazione. • Questa possibilità è invece esclusa dalla macro “classica”, secondo cui la presenza di disoccupazione è possibile solo in situazione di disequilibrio. C,S, I, AD Retta a 45° AD = C + I E Y” è > oppure < di YFE? 45° Y” PIL, Y Recessione ed equilibrio di sottoccupazione • Una recessione è una situazione in cui Y è minore di YFE, ma solo temporaneamente. • Un equilibrio di sottoccupazione è una situazione in cui il PIL di equilibrio Y è minore di YFE. • Secondo Keynes, la causa fondamentale della recessione è una riduzione della AD (shock negativo sulla domanda). • La distinzione tra macro “classica” e keynesiana verte in sostanza sulla risposta a questa domanda: una recessione indotta dalla AD può essere un equilibrio (ovviamente di sottoccupazione), cioè una situazione da cui il sistema non ha tendenza endogena a muoversi? Uno shock negativo sulla AD • Supponiamo di partire da una situazione di pieno impiego: Y = YFE. • Qualsiasi fattore che riduce una o più delle componenti autonome della domanda aggregata sposta la curva AD a in basso. – P.e. un’ondata di pessimismo sul futuro dell’economia riduce le componenti autonome di C ed I. • Si ottiene un equilibrio recessivo di BP nell’intersezione tra la nuova AD con la retta a 45°: avremo infatti un nuovo equilibrio con Y1 < YFE e quindi maggiore DIS. • Self-confirming expectations: il pessimismo iniziale si auto-conferma perché il PIL di equilibrio si riduce. – “The varying expectations of business men... and nothing else, constitute the immediate cause and direct causes or antecedents of industrial fluctuations” (Pigou, 1927). AD1 equilibrio in E con Y = YFE AD2 equilibrio in A con Y = Y1 < YFE C,S, I, AD AD1 E AD2 A 45° Y1 YFE Y La recessione è un equilibrio? • Per la macro classica il meccanismo di mercato induce una reazione automatica (aggiustamento dei prezzi) che riporta nel LP il sistema all’equilibrio di pieno impiego YFE • In situazione di recessione il livello generale dei prezzi P si riduce perché si verifica un eccesso di produzione. Infatti le imprese hanno prodotto beni e servizi sulla base di una domanda effettiva attesa pari ad AD(YFE) ed invece si ritrovano una AD inferiore, pari a AD(Y1). • Ma la riduzione del livello generale dei prezzi fa nuovamente crescere la AD agendo da stimolo sia su C che su I. – La riduzione del livello generale dei prezzi P induce un aumento dei consumi attraverso il c.d. effetto ricchezza di Pigou. – La riduzione del livello generale dei prezzi P induce un aumento degli investimenti attraverso il c.d. effetto tasso di interesse di Keynes. • Un punto come A non è quindi un vero equilibrio. Solo E lo è. Quindi il fatto che sia Y = Y1 è solo un temporaneo disequilibrio. • Per Keynes, invece, in assenza di un intervento pubblico espansivo il sistema permane in A, cioè in un equilibrio di sottoccupazione. Il sistema lasciato a sé non riesce ad uscire dalla recessione perché mancano forze endogene capaci di riportare il PIL al livello YFE. Effetto Pigou ed effetto Keynes • Effetto ricchezza di Pigou: se, per effetto della riduzione di P, i consumatori si sentono più ricchi, la domanda di beni di consumo sale • Questo perché una riduzione di P induce un aumento del valore della moneta detenuta (se P , si ha 1/P ). • Tale aumento del potere di acquisto della moneta fa sì che con la stessa quantità di moneta ogni consumatore possa comprare più beni e servizi. Questo fa sentire il consumatore più ricco, e quindi lo induce ad accrescere i consumi (1/P C) ovvero una delle (anzi, la principale!) componenti della AD. • Effetto tasso di interesse di Keynes: se P diminuisce, la domanda di moneta Md si riduce perché per ogni dato livello di r (cioè a parità di costo opportunità) gli agenti hanno bisogno di meno moneta per realizzare gli scambi desiderati. • Data l’offerta di moneta Ms, l’effetto della riduzione di Md è di far diminuire il tasso r di equilibrio. Questo induce un aumento degli investimenti e quindi della AD. • La catena logica è: P Md r I Aggiustamento classico La riduzione di P fa crescere sia C che I e quindi riporta la AD al livello iniziale. Y1 non è un equilibrio, solo YFE lo è! C,S, I, AD AD1 E AD2 A 45° Y1 YFE Y L’intervento del policy-maker • L’aggiustamento classico richiede che i prezzi siano flessibili. Ma cosa succede se i prezzi sono, per vari motivi, “vischiosi”, cioè “lenti” ad aggiustarsi? • Succede che il sistema permane in A e quindi, secondo Keynes, è necessario un intervento “esogeno” per modificare l’equilibrio, ovvero l’azione del policy-maker. • Il policy-maker può reagire ad una recessione in due modi: – Può astenersi dall’intervenire, attendendo che il meccanismo di mercato (= l’aggiustamento automatico di prezzi e salari previsto dalla macro “classica”) riporti il sistema in equilibrio di LP. – Può intervenire per espandere la AD usando la politica monetaria e/o fiscale (politica economica c.d. “interventista” o keynesiana). • La differenza tra l’approccio classico e keynesiano riflette quindi una diversa fiducia nel buon funzionamento del sistema dei prezzi Keynes è allievo di Marshall! Stabilizzare la AD • Le variazioni della spesa per consumi ed investimenti spostano la curva AD, inducendo fluttuazioni del reddito e dell’occupazione. • Il ciclo economico ha dunque una spiegazione: sono le oscillazioni del PIL indotte dagli spostamenti della AD. • Come detto, nella visione classica le fluttuazioni cicliche sono solo di BP. Esse però sono comunque indesiderabili perché causano una temporanea situazione di sottoccupazione delle risorse. – Ecco quindi che anche nella visione classica si apre uno spazio per l’intervento del policy-maker. • Nella visione keynesiana i costi di tali fluttuazioni sono ancora più evidenti, dato che il sistema può permanere a lungo (al limite, per sempre!) in condizioni di sottoccupazione. • Obiettivo delle c.d. politiche di stabilizzazione è di tenere sotto controllo la AD, e quindi annullare, o comunque ridurre, le fluttuazioni dell’economia. • Due tipi di politiche: politica monetaria e politica fiscale. Politica monetaria espansiva • Il policy-maker (in questo caso, la Banca Centrale) può utilizzare la politica monetaria per tenere sotto controllo la domanda aggregata. • Politica monetaria espansiva: Un aumento di Ms induce, a parità di Md, una riduzione di r*. La riduzione di r* aumenta, per ogni dato livello di P, la domanda di investimenti. La AD si sposta verso l’alto, contrastando un’eventuale recessione. • Viceversa una politica monetaria restrittiva comporta una riduzione di Ms che induce, a parità di Md, un aumento di r* che a sua volta fa diminuire la domanda di investimenti a parità di P, e quindi sposta la AD verso il basso. Effetto di una politica monetaria espansiva (b) “Croce” keynesiana (a) Mercato della moneta r Ms1 AD Ms2 AD2 E r* r** I AD1 B I A C Md(P ) M Y1 YFE Y I limiti della politica monetaria • Stabilizzare la domanda aggregata utilizzando la politica monetaria solleva due problemi. • Primo, la BC non ha il completo controllo dell’offerta di moneta. Un aumento della base monetaria potrebbe quindi spostare troppo, o troppo poco, la AD. – Questo è il motivo per cui Keynes, che nasce come economista monetario, negli anni Trenta “abbandona” la politica monetaria e si concentra su quella fiscale. • Secondo, aumentare l’offerta di moneta ha un effetto diretto sul tasso di inflazione (vedi TQM). • In presenza di una recessione generata da una riduzione della AD ciò non crea eccessivi problemi. Ma cosa accade se la recessione è dovuta ad una riduzione dell’offerta aggregata (p.e. uno shock petrolifero che fa salire i costi di produzione e quindi riduce l’output delle imprese)? – Accade che stimolare la AD in una situazione che già in partenza è di eccesso di domanda fa “esplodere” l’inflazione senza che il reddito di equilibrio possa ulteriormente aumentare. Si hanno così contemporaneamente più inflazione e più disoccupazione, ovvero una c.d. stagflazione. – Questo è quanto accaduto negli anni Settanta (p.e. in Italia l’inflazione superò il 25%) ed è ciò che ha portato ad abbandonare politiche monetarie di tipo keynesiano la “croce” keynesiana non è adatta per studiare tali situazioni. La politica fiscale • Il termine politica fiscale si riferisce alle azioni del policymaker relative sia alla spesa pubblica G che alle tasse T. – Dato che G e T sono le due componenti del bilancio pubblico, si parla anche di politica di bilancio. • Nel LP sappiamo che la politica fiscale influenza i risparmi, gli investimenti e la crescita. • Nel BP la politica fiscale influenza direttamente la domanda aggregata spostando la AD. – Infatti, in presenza dello Stato, sappiamo che sia G che T sono tra le determinanti della AD. • Mentre nel LP è importante come lo Stato spende le risorse e dove e come le preleva, nel BP conta solo l’entità, non la “composizione” di G e T. Gli effetti della politica fiscale sulla AD • La politica fiscale ha un effetto sia diretto che indiretto sulla AD: – Effetto diretto: G AD – L’effetto indiretto si ha attraverso l’influenza della spesa pubblica sulle scelte di consumo e investimento degli agenti privati. • Due effetti indiretti di G: Effetto moltiplicatore (moltiplicatore keynesiano) Effetto spiazzamento (c.d. Treasury view) • Inoltre, anche la politica fiscale, come quella monetaria, può avere un effetto inflazionistico (c.d. inflazione da domanda). Questo nei casi in cui la recessione è causata da una riduzione dell’offerta aggregata oppure quando la spesa pubblica cresce troppo e “spinge” il sistema oltre YFE ( eccesso di domanda senza che esistano nel sistema risorse “libere” per soddisfarla). L’effetto moltiplicatore • Il moltiplicatore keynesiano funziona come quello monetario: ogni euro in più speso dallo Stato aumenta la AD di molto più che un euro (effetto moltiplicativo). • Esempio: lo Stato paga con G dei lavoratori assunti per scavare buche e riempirle (!). I lavoratori spendono (parte di) tale nuovo reddito per acquistare beni e servizi. I venditori di beni e servizi usano (in parte) il ricavato per acquistare a loro volta altri beni e servizi, e così via. L’effetto totale di incremento della domanda aggregata è maggiore del G iniziale. • Il concetto chiave del moltiplicatore è la propensione marginale al consumo PMC, ovvero la pct. di ogni euro di reddito extra che ogni agente decide di spendere invece che trattenere come risparmio. – La PMC gioca un ruolo analogo al coefficiente re nel moltiplicatore monetario • Formula del moltiplicatore: m = 1/(1-PMC) AD = m G, cioè un aumento G della spesa pubblica causa un incremento AD della domanda aggregata pari a m volte il G iniziale. – Esempio: se PMC = 80% (cioè per ogni € aggiuntivo di reddito ne viene speso 0.8), sarà m = 5. Per cui G = 100€ genera un aumento della AD pari a 500€. AD 2. Effetto totale: AD >> G = 100€ AD3 AD2 AD1 1. Effetto diretto G = 100€ AD =100€ 0 Y L’effetto spiazzamento • La politica fiscale può avere un effetto sulla AD molto minore di quanto previsto dal moltiplicatore keynesiano. • Secondo la c.d. Treasury view (o punto di vista del Ministero del Tesoro), l’aumento della spesa pubblica farà crescere il tasso di interesse (perché l’aumento del reddito aumenta la domanda di moneta Md a parità di offerta Ms) e quindi ridurrà la domanda di investimenti. • Si dice che la spesa pubblica spiazza gli investimenti privati: secondo il Tesoro, quindi, G non produce effetti espansivi rilevanti (ma genera un deficit di bilancio pubblico!). • L’effetto spiazzamento da un lato riduce l’effetto espansivo della spesa pubblica e, dall’altro, cambia la composizione della AD: alla fine, infatti, vi sarà una maggiore componente di spesa pubblica ed una minore componente di I. • Esiste tuttavia anche un terzo effetto, detto effetto acceleratore degli investimenti (vedi Cavalieri, Cap. 13, §8): le imprese aumentano la domanda di beni di investimento per incrementare la produzione al fine di far fronte alla maggiore AD indotta dall’effetto moltiplicatore. (b) “Croce” keynesiana (a) Mercato della moneta AD r Ms Effetto spiazzamento AD3 AD4 AD1 r2 r1 MD2 MD1 M Y La variazione delle imposte • Una riduzione delle imposte aumenta il reddito disponibile delle famiglie. Parte di questo reddito extra viene consumato e parte viene risparmiato secondo la proporzione data dalla PMC. • L’effetto sulla AD è identico a quello del moltiplicatore della spesa pubblica: AD = mT – In altre parole, una riduzione del gettito fiscale pari a T genera un incremento di domanda aggregata pari a m volte T. – In realtà il moltiplicatore funziona allo stesso modo per qualsiasi variazione delle componenti esogene della AD (cioè delle componenti che non dipendono da Y, r o P) • Anche in questo caso vi può essere un effetto spiazzamento su I, ma stavolta la composizione della AD varia a favore del settore privato. • E’ importante anche la percezione che le famiglie hanno della permanenza o meno della riduzione delle imposte. – Secondo la c.d. ipotesi del reddito permanente, solo se l’aumento del reddito disponibile (qualunque ne sia la causa) è percepita come permanente l’effetto è quello massimo possibile (vedi Cavalieri, Cap.2, §§8-9). Pro e contro la stabilizzazione (1) • Il policy-maker deve cercare di stabilizzare l’economia attraverso il controllo della AD? Su questo punto gli economisti non concordano. • L’argomento a favore (sostenuto in particolare dagli economisti di approccio keynesiano) è basato sull’idea che combinando politica monetaria e fiscale il governo possa eliminare le fluttuazioni economiche, e quindi garantire che Y sia sempre pari a YFE: è il c.d. fine tuning dell’economia (alla base anche dell’analogo uso discrezionale del trade-off della curva di Phillips vedi). • In particolare, si ritiene che il settore privato dell’economia sia intrinsecamente instabile e troppo condizionato nei suoi consumi ed investimenti da variabili psicologiche (gli animal spirits di Keynes). • Dato che tale instabilità si rifletterebbe in notevoli fluttuazioni del PIL, l’intervento pubblico è necessario per contrastare le ondate di pessimismo o di euforia, come pure per assorbire eventuali shocks esogeni sulla AD. • Se si lasciasse fare al mercato, il ritorno a YFE richiederebbe troppo tempo, con costi eccessivi in termini economici e sociali. Pro e contro la stabilizzazione (2) • L’argomento contro (sostenuto in particolare dalla c.d. nuova macroeconomia classica) è basato sull’idea che tentare di stabilizzare l’economia con politiche discrezionali è impossibile. • Questo per due motivi in particolare: i) i ritardi con cui la politica economica (specie fiscale) ha effetto; ii) le difficoltà di previsione e/o di raccolta di dati statistici affidabili. – Spesso il ritardo è tale che l’intervento pubblico giunge quando il sistema è già tornato da sé vicino ad YFE. In questi casi l’intervento di politica economica finisce per destabilizzare ulteriormente l’economia. • Inoltre le politiche di tipo keynesiano, troppo concentrate sul lato della AD, sono controproducenti quando l’instabilità è dovuta a shocks sull’offerta aggregata. In tali casi l’effetto che si ottiene è di far aumentare l’inflazione senza benefici rispetto al reddito di equilibrio. • Infine, le politiche fiscali generano un deficit di bilancio. Questo nel LP mina le possibilità di crescita del sistema economico. • L’alternativa è abbandonare le politiche discrezionali e seguire regole fisse che siano un punto di riferimento credibile e affidabile per gli agenti (idea di M. Friedman). Questo agevola la stabilità del sistema. Da cosa dipende NX • La bilancia commerciale dipende da vari fattori: – Le preferenze dei consumatori per i beni nazionali ed esteri. – Le politiche dei governi nei confronti del commercio con l’estero (tariffe, quote, ecc.). – I costi di trasporto dei beni. – Il prezzo dei beni e servizi all’interno (P) ed all’estero (P*). – Il tasso di cambio e a cui si può acquistare valuta estera usando valuta locale. • Ciascuno di questi fattori può incrementare o ridurre sia la quantità che il valore delle importazioni e delle esportazioni. • Dato che NX è una componente della AD, al mutare di una delle determinanti si genere una variazione di NX e quindi anche uno spostamento della AD. • In particolare, ci soffermiamo sul ruolo del tasso di cambio e dei prezzi nazionali ed esteri. Possiamo quindi scrivere: NX = NX0 + f(P, P*, e) dove NX0 indica la componente autonoma di NX. Tassi di cambio nominali e reali • Le transazioni internazionali dipendono dai prezzi internazionali. I due principali prezzi internazionali sono il tasso di cambio nominale e quello reale. • Il tasso di cambio nominale è il prezzo di una valuta in termini di un’altra valuta, ovvero il rapporto con cui si può trasformare una valuta in un’altra. • Il tasso di cambio reale è il rapporto con cui è possibile scambiare i beni e servizi di un paese con gli stessi beni e servizi di un altro paese. E’ un indice della competitività di un sistema economico. Il tasso di cambio nominale • Il cambio nominale e si può esprimere in due modi: – In unità di valuta estera per una unità di valuta locale (p.e. quanti dollari ci vogliono per comprare una lira?). – In unità di valuta locale per una unità di valuta estera (p.e. quante lire ci vogliono per comprare un dollaro?). – N.b.: in Italia eravamo abituati ad usare il secondo metodo, ma con l’avvento dell’euro si usa il primo metodo: p.e. quanti yen o dollari ci vogliono per comprare un euro? • Se oggi con un euro posso comprare più unità di valuta estera di ieri si dice che l’euro si è apprezzato. Viceversa si dice che l’euro si è deprezzato. • In un sistema di cambi flessibili, il tasso di cambio nominale oscilla liberamente sul mercato in base a domanda e offerta delle varie valute. Invece in un sistema di cambi fissi, o semi-fissi, il cambio è mantenuto ad un valore predefinito dalla Banca Centrale Il tasso di cambio reale • Il cambio reale s mette a confronto i prezzi dei medesimi beni e servizi nazionali ed esteri. • P.e. se un hamburger di McDonald costa la metà in Italia che non in USA, il cambio reale è 1/2 (cioè con un hamburger USA “compro” 2 hamburger in Italia). • Il cambio reale s dipende dal cambio nominale e e dai prezzi dei beni nazionali ed esteri misurati in valuta nazionale. La formula è: s = e (P/P*) • Considerando un paniere tipo di beni e servizi, possiamo usare come P e P* i relativi CPI: il cambio reale indicherà in quale dei due paesi il paniere tipo costa meno. A cosa serve il cambio reale • Il cambio reale è uno dei fattori cruciali per spiegare la bilancia commerciale NX di un paese. • Se un paese ha un basso cambio reale, allora i suoi beni sono relativamente meno costosi rispetto a quelli esteri. N.b.: una riduzione del cambio reale (s) si ha se e e/o P e/o P* • In breve, il cambio reale è un indice della competitività di un paese in termini di un dato paniere di beni e servizi. • I consumatori, sia nazionali che esteri, tenderanno a comprare i beni del paese con un basso cambio reale. La bilancia commerciale NX di quel paese pertanto migliorerà, inducendo uno spostamento verso l’alto della curva AD. Legge del prezzo unico e teoria PPP • La legge del prezzo unico è il principio che afferma che uno stesso bene deve avere lo stesso prezzo ovunque sia venduto. – Tale legge vale, in generale, anche per gli scambi internazionali. • La legge del prezzo unico si regge sul c.d. principio di non arbitraggio: se la legge non valesse, e quindi un medesimo bene fosse venduto a prezzo diverso in due diversi paesi, esisterebbero opportunità di arbitraggio profittevole non sfruttate, ma questo è impossibile in un mondo di agenti economici razionali. – Ovviamente, la legge esprime solo una tendenza di lungo periodo e non vale per ampie categorie di beni e servizi (c.d. beni e servizi non commerciabili, cioè che non possono essere esportati) • La teoria della parità del potere di acquisto (purchasing power parity, PPP) è la più vecchia, semplice e diffusa spiegazione del tasso di cambio nominale in equilibrio di lungo periodo. • Il principio base della PPP è che una data somma di certa valuta deve poter comprare la stessa quantità di beni in tutti i paesi, ovvero deve avere ovunque lo stesso potere di acquisto. • La PPP si può esprimere dicendo che s = 1 deve valere come condizione di equilibrio di lungo periodo. • Affinché il potere di acquisto di una somma di denaro possa essere lo stesso in tutti i paesi, il tasso di cambio nominale e deve aggiustarsi: 1 = e (P / P*) da cui: e = P*/P. • In pratica, la PPP richiede che il cambio nominale rifletta le differenze nei livelli di prezzo dei diversi paesi. • Segue che, in base alla teoria PPP, i paesi con un’inflazione relativamente più elevata avranno una valuta che si deprezza nel tempo (infatti: e se P per mantenere s = 1), mentre la valuta dei paesi con minore inflazione si apprezza. • La PPP spiega dunque i movimenti di lungo periodo del cambio nominale: il cambio e varia finché non raggiunge il livello di equilibrio previsto dalla PPP. I limiti della teoria PPP • Insieme alla TQM, la PPP è l’altro caposaldo della c.d. teoria monetaria “classica”. Entrambe le teorie valgono però solo come condizioni di equilibrio di lungo periodo. • In particolare, la PPP è violata in presenza dei beni e servizi c.d. non commerciabili, dato che per essi la non vale legge del prezzo unico. – Questo significa che i settori che producono beni e servizi non commerciabili sono “protetti” dalla concorrenza internazionale, mentre tutti gli altri settori sono “esposti” a tale concorrenza. – In un paese può aversi inflazione elevata a causa degli aumenti di prezzi e salari nei settori “protetti” o di un eccessivo livello di spesa pubblica; tale inflazione si ripercuote sulla competitività dei settori “esposti”. Se il cambio nominale del paese non può aggiustarsi (p.e. perché il paese aderisce ad un accordo di cambio rigido oppure perché non ha più una propria valuta), i settori “esposti” perdono quote di mercato di fronte alla concorrenza internazionale. Qualche idea su quale possa essere tale paese? Qual è l’effetto se i settori “esposti” sono anche i più innovativi?