Introduzione
Oggi è possibile preservare la fertilità delle donne, grazie ai progressi della criobiologia.
Si effettua mediante la crioconservazione ovocitaria. Questa possibilità, è ancora poco
conosciuta sia dagli specialisti che dalle pazienti, eppure è validata dalle più importanti
società scientifiche internazionali. L’Italia, inoltre, è leader in questo settore.
La preservazione della fertilità per le donne a rischio di perdere la loro capacità riproduttiva,
è, secondo noi, una prerogativa indispensabile di un sistema sanitario polifunzionale che si
faccia carico della qualità della vita futura delle pazienti.
Con questo opuscolo, vogliamo quindi provare a colmare questo grave deficit informativo.
Uno strumento di facile consultazione, per le donne che ogni anno vogliono capire come
proteggere la propria fertilità in vista di una gravidanza futura.
Inoltre, il nostro scopo è anche di informare i diversi specialisti, per facilitare l’accesso delle
pazienti alla crioconservazione ovocitaria prima della perdita della funzionalità ovarica.
20 domande/risposte per dare a tante donne la possibilità
di “conoscere per scegliere” e preservare il loro sogno di maternità.
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Quali sono le principali indicazioni alla
crioconservazione ovocitaria?
Tante possono essere le indicazioni alla crioconservazione ovocitaria (o congelamento delle cellule
uovo, ovociti) per la preservazione della fertilità femminile, da quelle mediche (malattie oncologiche,
malattie ginecologiche benigne es. endometriosi severa, malattie sistemiche che possono
compromettere la riserva ovarica, rischio genetico di menopausa precoce) a quelle più prettamente
personali (“social freezing”) che interessano donne che decidono per vari motivi di posticipare la
ricerca di una gravidanza.
PATOLOGIE NEOPLASTICHE
In Italia, si ammalano di cancro ogni anno 15.907 persone, tra donne e uomini, in età potenzialmente
fertile (15-39 anni) (dati ISTAT). Di queste, 9.410 sono donne e rischiano la sterilità a causa delle
terapie antitumorali. Tali trattamenti hanno portato negli ultimi anni, ad un progressivo aumento dei
tassi di sopravvivenza delle bambine e delle giovani donne affette da neoplasie quali linfomi, leucemie,
tumori della mammella e tumori ovarici. Tuttavia a fronte di un significativo miglioramento dei tassi di
sopravvivenza, si riscontra molto spesso un danno al potenziale riproduttivo variabile e dipendente
dall’età della donna, dal tipo di trattamento oncologico e dalla dimensione iniziale della riserva ovarica
della singola paziente. Sul piano psicologico, è chiaro però che la prospettiva della perdita del
potenziale riproduttivo, aumenta lo stress cui sono già sottoposte le pazienti, preoccupate dal rischio
di un peggioramento della qualità di vita anche a lungo termine.
PATOLOGIE GINECOLOGICHE
La preservazione della fertilità, è sicuramente indicata in quelle donne che devono sottoporsi a terapie
chirurgiche per trattare l’endometriosi severa, per rimuovere formazioni cistiche o solide alle ovaie, o in
quelle donne a rischio di fallimento ovarico prematuro (POF) che hanno in famiglia casi di menopausa
molto precoce. Tutte queste pazienti, corrono un rischio aumentato di forte riduzione o esaurimento
della funzione ovarica anche in giovanissima età.
Endometriosi severa
E’ una patologia benigna che porta ad un forte aumento del rischio di sterilità. Si stima che circa il 10%
della popolazione femminile in Europa, soffra di una qualche forma di endometriosi.
Dato il carattere progressivo della malattia, nelle sue localizzazioni ovariche si viene a determinare una
graduale distruzione del tessuto ovarico sano, con conseguente riduzione della riserva di ovociti.
Inoltre, gli interventi chirurgici di asportazione di focolai endometriosici ovarici o di cisti
endometriosiche, portano a un danneggiamento più o meno esteso del tessuto ovarico sano con
ulteriore riduzione della riserva ovarica. Pertanto, in giovani donne con forme particolarmente
aggressive o con formazioni cistiche voluminose, soprattutto se bilaterali, è suggeribile, prima di
sottoporsi ad intervento chirurgico, recuperare ovociti e crioconservarli poiché è ormai ben chiaro in
letteratura, che la riduzione della riserva ovarica dopo trattamento chirurgico va dal 40% alla completa
sterilità, descritta nel 2-3% dei casi qualora le cisti siano bilaterali.
Una rilevazione del Censis Bureau effettuata nel 2004, ha evidenziato che in Italia la malattia
potrebbe interessare oltre 2 milioni 900 mila donne su una popolazione di 58 milioni di persone, anche
se l’esatta ‘prevalenza’ (ossia la stima della popolazione di donne sottoposte a cura in un dato periodo
di tempo) e la precisa ‘incidenza’ (ossia il numero di nuovi casi diagnosticati ogni anno), non sono
perfettamente noti.
Menopausa precoce
Le donne potenzialmente a rischio di andare in menopausa precoce prima dei 40 anni e quindi a
rischio di sterilità in giovane età (la difficoltà a rimanere in gravidanza inizia 10-12 anni prima della
insorgenza della menopausa), sono l’1% della popolazione femminile, mentre sono circa il 10% quelle
donne che entreranno in menopausa tra 40 e 45 anni e che quindi inizieranno ad avere problemi a
concepire tra i 30 e i 35 anni.
INDICAZIONI PERSONALI “SOCIAL FREEZING”
I ritmi della società moderna, la ricerca di affermazione professionale e l’attesa per un raggiungimento
di stabilità economica, portano la donna a posticipare il progetto di maternità. Con il 34,7% l’Italia ha
conquistato il podio per la percentuale più alta di donne che hanno avuto il primo figlio dopo i 35 anni.
Seguono le donne spagnole (29,5%) e irlandesi (27,9%). La crioconservazione degli ovociti, offre alle
donne uno strumento efficacie per la preservazione della loro fertilità, consentendo una pianificazione
della gravidanza nei diversi scenari e contesti sociali e in relazione alle scelte e al vissuto della singola
donna.
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Quali sono i tumori più comuni nella popolazione
femminile in età fertile?
In Italia tra le patologie neoplastiche che colpiscono ogni anno più di 9000 donne in età
potenzialmente fertile, il cancro al seno rappresenta quella che interessa il maggior numero di donne
(2.420 donne in Italia, fonte ISTAT).
Altre patologie neoplastiche (nuovi casi ogni anno in Italia):
• melanoma (787 donne)
• linfoma di Hodgkin (488 donne)
• cancro alla cervice uterina (468 donne)
• cancro ovarico (319 donne)
• cancro colon-rettale (299 donne)
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Tutte le terapie oncologiche mettono a rischio la fertilità?
Gli agenti chemioterapici e i trattamenti radioterapici, non agiscono tutti con la stessa aggressività e il
rischio di perdere la fertilità dipende da questi fattori:
• età al momento dell’inizio della terapia
• tipo e dosaggio della chemioterapia
• esposizione e dose della radioterapia
Il rischio di scomparsa del ciclo mestruale (menopausa), viene stimato essere 40% a 35 anni e 80% a
40 anni. Il potenziale riproduttivo è invece fortemente compromesso nella quasi totalità delle pazienti.
Normalmente, dopo chemio/radioterapia si può verificare o una menopausa precoce o si può avere la
ripresa della regolarità mestruale la quale, però, non vuol dire necessariamente fertilità.
Di solito, la ripresa del ciclo mestruale, ha una durata di qualche anno prima di cessare con l’ingresso
in menopausa e in questo periodo la fertilità della donna è in ogni caso fortemente ridotta.
La crioconservazione degli ovociti è consigliata sempre prima di una chemio/radioterapia.
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Esiste un limite di età alla conservazione degli ovociti?
Crioconservare ovociti dopo i 38 anni, offre possibilità di gravidanza significativamente più basse
rispetto a quando si congelano prima di questa età. A 40 anni, ci sono bassissime possibilità di
successo ed è assolutamente sconsigliabile la criopreservazione ovocitaria dopo i 42/43 anni.
All’aumentare dell’età della donna, infatti, diminuisce il numero di ovociti a disposizione e
soprattutto i pochi rimasti hanno un’elevata probabilità di non essere cromosomicamente competenti.
Questi ovociti se fecondati, danno luogo a embrioni con alterazioni cromosomiche che portano alla
mancata gravidanza o all’aborto.
Questo è il motivo per cui la preservazione della fertilità offre reali, concrete possibilità di ottenere una
gravidanza a termine solo nelle donne più giovani da un punto di vista riproduttivo, come del resto
avviene in ogni tentativo di concepimento spontaneo o in-vitro.
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E’ possibile predire quale sarà il danno di una determinata
terapia chirurgica o farmacologica sulla capacità riproduttiva?
Per prima cosa è consigliabile valutare la riserva ovarica della donna. Sebbene essa sia legata all’età,
può variare anche notevolmente da donna a donna nella medesima fascia di età.
La valutazione della riserva ovarica prima di iniziare la terapia antitumorale e il tipo di trattamento
farmacologico e/o radiologico da somministrare, può solo minimamente predire la possibilità di una
eventuale menopausa. In ogni caso il danno ovocitario sarà grande, potendo andare da una riduzione
importante della riserva ovarica alla completa distruzione del patrimonio ovocitario con conseguente
menopausa.
Pertanto programmare la crioconservazione degli ovociti, è sempre raccomandabile soprattutto nelle
donne giovani o con una buona riserva ovarica, in quanto sarà maggiore la probabilità di ottenere un
buon numero di ovociti. Più ovociti si ottengono, infatti, maggiore sarà poi la probabilità di una
gravidanza.
COORTE DI OVOCITI
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Quali sono le indagini necessarie per la valutazione
della riserva ovarica?
Le indagini necessarie per la valutazione della riserva ovarica sono:
• la determinazione sierica dell’ormone antimulleriano (AMH) che si può determinare in
qualunque momento del ciclo;
• la determinazione degli ormoni FSH e Estradiolo il 2° o il 3° giorno del ciclo (solo se c’è il tempo
di effettuare l’esame prima di interventi chirurgici o terapie oncologiche)
• un’ecografia pelvica transvaginale da cui è possibile contare i follicoli antrali.
Le indagini sulla riserva ovarica, devono (dovrebbero) essere eseguite prima di iniziare le terapie
oncologiche. Un completo counseling con la paziente sulla reale efficacia della preservazione della
fertilità, può essere effettuato solo dopo la valutazione della riserva ovarica e in relazione all’età.
E’ necessaria, quindi, una stretta collaborazione tra il ginecologo esperto in Medicina della
Riproduzione e l’oncologo.
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Il prelievo degli ovociti prevede una terapia
di stimolazione ormonale ovarica?
Il prelievo ovocitario, prevede una terapia di stimolazione ormonale ovarica che è normalmente
eseguita con la somministrazione dello stesso ormone che viene prodotto naturalmente dall’ipofisi,
l’ormone follicolo stimolante (FSH), lo stesso che, fisiologicamente, permette lo sviluppo di un follicolo.
Nella stimolazione, l’FSH viene somministrato per via sottocutanea per una decina di giorni per portare
a maturazione più follicoli, il cui numero dipende sempre dalla riserva ovarica della donna.
OVOCITA AL MOMENTO DEL PRELIEVO
Infatti, se la donna ha una scarsa riserva ovarica, anche con la stimolazione ormonale si riusciranno a
portare a maturazione pochi o pochissimi follicoli e di conseguenza a recuperare pochi ovociti.
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La stimolazione ormonale ovarica può avere effetti negativi,
peggioramenti o ricadute della malattia?
La stimolazione ormonale ovarica, non sembra avere effetti negativi né sul decorso della malattia
tumorale né su eventuali recidive.
Negli ultimi anni, diversi studi hanno dimostrato che la stimolazione ormonale ovarica, anche ripetuta
più di quattro volte, non aumenta il rischio per la paziente di sviluppare il cancro della mammella o di
recidive della malattia.
Questa stimolazione deve essere effettuata dopo il trattamento chirurgico e prima della terapia anti
tumorale.
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E’ possibile effettuare la stimolazione ormonale ovarica anche
per le pazienti con tumori ormono-dipendenti?
La stimolazione ovarica porta ad un aumento del numero di follicoli. Ogni follicolo preovulatorio,
produce una certa quantità di estrogeni. In una induzione della crrescita follicolare multipla, si possono
ottenere livelli sierici di estrogeni anche 10 volte superiori a quelli di un ciclo fisiologico, per un periodo
di tempo di circa 1 settimana – 10 giorni.
Uno studio recentissimo (2013), ha riportato che non vi è alcun aumento di recidive dopo la gravidanza
(che vede livelli altissimi di estrogeni per nove mesi) in pazienti trattate dopo cancro della mammella
con recettori estrogeno-positivi.
Tuttavia, per massima precauzione, allo scopo di ridurre i livelli di estrogeni durante la stimolazione
ormonale l’ASCO (American Society of Clinical Oncology) ha suggerito di associare all’ormone
follicolo-stimolante, anche un farmaco inibitore dell’aromatasi che permette di tenere più bassi i livelli di
estrogeni in pazienti con tumori ormono-dipendenti. In letteratura, però, nonostante la
raccomandazione dell’ASCO, al momento non è assolutamente dimostrata la necessità di associare
tale farmaco alla stimolazione ormonale.
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Quanti ovociti si possono ottenere in media da ogni
ciclo di stimolazione?
OVOCITA VISTO CON
LUCE POLARIZZATA
Il numero degli ovociti che si possono ottenere dopo stimolazione ormonale, dipende dalla
riserva ovarica della paziente e non dalla stimolazione stessa.
Ogni mese, infatti, le donne mettono a disposizione un limitato numero di follicoli e solo su questi
la stimolazione può agire. Possiamo stimare che in media le donne in età riproduttiva, mettono a
disposizione 7-10 follicoli (e quindi ovociti) al mese.
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Quanti ovociti devono essere conservati per avere le maggiori
possibilità di ottenere una gravidanza?
Devono essere crioconservati dagli 8 ovociti in su, per ottenere un tasso di gravidanza intorno al
40% una volta scongelati in donne fino a 38 anni.
Ma, più sono gli ovociti e ovviamente meglio è. A tale scopo si può programmare anche una
seconda stimolazione ovarica se si ha tempo a disposizione.
OVOCITA MATURO
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Quali sono le principali tecniche di crioconservazione?
Esistono due modalità di crioconservazione ovocitaria:
• Il congelamento lento
• Il congelamento ultrarapido o “vitrificazione”
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Con la crioconservazione degli ovociti quante possibilità si
hanno di avere una gravidanza a termine dopo la guarigione?
Dipende da tantissimi fattori. I più importanti sono l’età della donna al momento della crioconservazione
e quanti ovociti sono conservati.
Le differenze riguardano la concentrazione di sostanze chiamate ‘crioprotettori’ utilizzate, la
durata del tempo di congelamento e la velocità di raffreddamento delle cellule uovo.
Possiamo stimare che le probabilità di ottenere un bambino allo scongelamento, sia molto alta (circa
40%) in donne giovani (fino a 38 anni) con una buona riserva ovarica e purtroppo molto più bassa
(circa 10%) in donne dopo i 38 anni specialmente se la riserva ovarica è compromessa.
Nel congelamento lento l’ovocita e l’ambiente circostante sono tenuti in “equilibrio” fino ad
ottenere la solidificazione della soluzione crioprotettrice e la disidratazione cellulare con il
progressivo e programmato raffreddamento del sistema (-0.3°C/min).
E’ comunque normalmente consigliato, cercare una gravidanza dopo 2 anni dalla fine della terapia
oncologica anche se dati recenti dimostrano la non pericolosità di una gravidanza anche dopo soli 6
mesi dalla fine della terapia.
Nella vitrificazione il raffreddamento avviene in modo estremamente rapido (-30.000 °C/min)
sfruttando due aspetti chiave: l’immersione diretta degli ovociti in azoto liquido e l’utilizzo di
elevate concentrazioni di sostanze crioprotettrici in minimi volumi. In questo modo si evita la
formazione di cristalli di ghiaccio intracellulare, estremamente dannosi per la cellula.
Per la fecondazione al momento dello scongelamento, può essere utilizzata solo la tecnica ICSI
(microiniezione intracitoplasmatica dello spermatozo).
Le due più importanti società scientifiche americane di oncologia (ASCO) e di medicina
riproduttiva (ASRM), non considerano più il congelamento ovocitario con il metodo della
vitrificazione una “tecnica sperimentale” ma “standard”. I risultati ottenuti con tale tecnica, sono
stati infatti ritenuti sufficientemente buoni e riproducibili sia in termini di sopravvivenza (>90%)
che di sviluppo embrionale, addirittura simili a quelli che si ottengono con ovociti freschi.
Queste evidenze rendono la tecnica di vitrificazione l’approccio elettivo per la crioconservazione
ovocitaria.
ICSI
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Maturazione in-vitro di ovociti immaturi senza stimolazione
ormonale: che cos’è? come funziona?
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Esiste un’adeguata informazione sulle tecniche di
preservazione della fertilità femminile?
La maturazione in-vitro di ovociti immaturi (IVM), è una tecnica che si deve considerare ancora
sperimentale. Consiste nel prelevare ovociti immaturi da follicoli di 10-12 mm senza o quasi senza
stimolazione ovarica ormonale per poi maturarli in-vitro e quindi congelarli. I risultati clinici riportati nel
mondo con questa tecnica, sono molto limitati e non eccellenti.
Migliaia di donne ogni anno, potrebbero proteggere la propria fertilità per diverse indicazioni in vista di
una gravidanza futura ma manca l’informazione.
Per questo motivo, nonostante la IVM sia stata descritta e proposta già da tanti anni, viene utilizzata
solo in pochissimi centri in Italia e nel mondo. Può trovare indicazione solo in pazienti che hanno
tantissimi follicoli (come nell’ovaio micropolicistico), mentre ha scarsissimo senso utilizzarla in tutte le
altre circostanze.
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Esiste anche la possibilità di prelevare il tessuto ovarico
(invece che ovociti) e reimpiantarlo successivamente?
La prima gravidanza pubblicata dopo reimpianto ortotopico (nella stessa zona anatomica dell’ovaio)
di tessuto ovarico criocoservato, è avvenuta circa 15 anni fa e da allora sono riportate nel mondo una
ventina di gravidanze ottenute in questo modo.
Quindi, si potrebbe dire, che il primo limite sia proprio l’efficacia della metodica in termini di probabilità
di concepimento, soprattutto quando a fronte di questa ventina di gravidanze ottenute, non sappiamo
quante donne nel mondo in questi anni sono state sottoposte a questo trattamento. Altri limiti, possono
essere rappresentati dal rischio di re-impianto di cellule neoplastiche quando il tessuto viene
trapiantato, soprattutto in caso di neoplasie ematologiche.
I vantaggi sono dati dal fatto che è l’unico modo di preservazione della fertilità nelle bambine prepubere
e soprattutto nelle donne giovani permette il ripristino della funzione endocrina ovarica (anche se
limitato nel tempo). E’ una tecnica sperimentale, che però merita continua ricerca scientifica per
migliorarne i risultati e per validarne l’applicazione clinica.
Esiste, infatti, un grave deficit di informazione alle pazienti oncologiche in età riproduttiva ma anche ai
molti operatori del settore: è normale che di fronte ad una diagnosi di tumore, la priorità sia quella di
combattere la malattia con tutte le risorse possibili per salvare la vita delle pazienti.
Purtroppo, però, della possibilità di preservare la fertilità futura di queste donne non si parla ancora
abbastanza. Nonostante ci siano opzioni molto valide a disposizione, la mancanza di informazione
porta le donne a trovarsi di fronte a scelte più limitate dopo la malattia, come la donazione di ovociti o
l’adozione.
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E’ consigliabile un counseling psicologico quando si affronta
un percorso complesso di questo tipo?
Fondamentale è discutere la preservazione della fertilità con tutti i pazienti in età riproduttiva
(maschi e femmine), se esiste il rischio che la terapia porti a sterilità.
E’ auspicabile un counseling approfondito sia con l’oncologo, sia con il ginecologo esperto in
medicina della riproduzione, che con lo psicologo.
Quest’ultimo, inoltre, risulta essere determinante nell’accompagnare e sostenere la paziente in
questo percorso.
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La crioconservazione degli ovociti come strategia di
conservazione della fertilità è normata in Italia?
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La conservazione di embrioni come forma di preservazione
della fertilità in pazienti ammalate di tumore è consentita
in Italia?
La conservazione degli embrioni per preservare la fertilità di una donna non è possibile in Italia per
diversi motivi:
• Nelle donne che ancora non hanno un compagno stabile, per ottenere embrioni si dovrebbe
far ricorso a seme di donatore. Questa procedura di fecondazione eterologa in Italia è vietata
dalla Legge 40/2004;
• Motivi etici, se la donna non sopravvive alla malattia rimarrebbero embrioni crioconservati in
stato di abbandono;
• Motivi legali, in Italia il congelamento embrionario è consentito, in deroga al divieto presente
nella legge 40/2004, solo nei casi in cui si dovessero produrre più embrioni di quelli
strettamente necessari a massimizzare i risultati senza compromettere la salute della donna
durante un singolo trasferimento in utero.
Quindi non è possibile programmare una fecondazione in vitro allo scopo di formare embrioni da
crioconservare per essere potenzialmente utilizzati in futuro.
La crioconservazione degli ovociti non rientra tra le procedure previste dalla legge 40/2004 sulla
Procreazione Medicalmente Assistita e quindi non è normata.
Si tratta di una autoconservazione e non di una procreazione medicalmente assistita che
consiste invece nella creazione di embrioni e che quindi prevede la partecipazione anche
del partner maschile.
EMBRIONE
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Si possono conservare gli ovociti anche se non si ha
un partner stabile?
Assolutamente si, anzi uno dei vantaggi del congelamento ovocitario (a differenza di quello
embrionario) sta proprio nella possibilità per le donne single di preservare la propria fertilità
senza dover ricorrere al seme di un donatore o dover chiedere al partner del momento di aiutarle
in questo percorso.
Non solo perché vi è il divieto imposto dalla Legge 40/2004, ma soprattutto perché la scelta del
partner maschile (futuro papà del tanto desiderato figlio) potrà essere effettuata dalla donna al
momento del concepimento, dopo la guarigione dalla malattia, in piena libertà.
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libricino "Conoscere per scegliere"