Corso di Topografia
Istituto Agrario S. Michele
Elementi di topografia parte II prof. Maines Fernando
Giugno 2010
Elementi di meccanica agraria
pag. 164
Maines Fernando
Sommario 1 Gli errori e il loro trattamento ..........................................................................................165 1.1 Esercizi proposti..........................................................................................................174 2 Elementi di trigonometria.................................................................................................176 2.1 Risoluzione di un triangolo .......................................................................................182 2.2 Risoluzione di un triangolo rettangolo....................................................................187 2.3 Risoluzione quadrilateri ............................................................................................188 3 Coordinate cartesiane e coordinate polari......................................................................191 3.1 Coordinate cartesiane.................................................................................................195 3.2 Coordinate polari........................................................................................................196 3.3 Formule di conversione .............................................................................................197 3.4 Coordinate relative .....................................................................................................198 3.5 Esempio applicativo: perimetro e angoli interni di un poligono.........................199 4 Risoluzione poligonali aperte...........................................................................................203 4.1 Metodo risolutivo .......................................................................................................206 4.2 Risoluzione con foglio elettronico ............................................................................208 4.3 Esercizi..........................................................................................................................208 5 Risoluzione poligonali chiuse ..........................................................................................209 5.2 Esercizi..........................................................................................................................216 6 Calcolo delle aree ...............................................................................................................217 6.1 Poligoni di cui si è in possesso solo di rappresentazione cartografica ...............220 6.2 Poligoni dei quali sono noti tutti gli elementi ad esclusione di un lato e dei due
angoli adiacenti .........................................................................................................................221 6.3 Poligoni dei quali sono note le coordinate di tutti i vertici ..................................222 6.4 Esercizi..........................................................................................................................223 7 Restituzione grafica ...........................................................................................................224 7.1 Restituzione planimetrica..........................................................................................228 7.2 Restituzione altimetrica .............................................................................................230 7.3 Esercizio .......................................................................................................................234 8 Suddivisione dei terreni, rettifica e spostamento dei confini ......................................236 8.1 Suddivisione dei terreni.............................................................................................239 8.2 Rettifica e spostamento confini .................................................................................242 8.3 Metodologia operativa...............................................................................................243 8.4 Esercizi..........................................................................................................................244 9 Tipo di frazionamento .......................................................................................................246 10 Spianamenti.....................................................................................................................254 10.1 Progetto per uno spianamento..............................................................................261 10.2 Spianamenti a compenso .......................................................................................267 10.3 Esercizi......................................................................................................................268 ……………………………………………………………………………………………………..................
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1 Gli errori e il loro trattamento
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In topografia si parla di errori prima di tutto in riferimento alle misure che si eseguono
nel corso dei rilievi.
Le misure operate in campo topografico si possono classificare in:
¾ misure dirette: ottenute per confronto diretto con l’unità campione.
¾ misure indirette: ottenute attraverso relazioni analitiche (formule) applicate ad
altre grandezze di cui si conosce la misura;
¾ misure condizionate: per grandezze che devono soddisfare determinate
condizioni come ad esempio la somma degli angoli di un triangolo deve essere
pari a π.
Inoltre si definisce peso di una misura il livello di precisione di una misura; pertanto le
misure della stessa grandezza possono essere dello stesso peso se eseguite dallo stesso
operatore, con lo stesso strumento, nelle medesime condizioni operative, … . In caso
contrario si dicono misure di peso diverso.
Per quanto riguarda gli errori due sono le definizioni fondamentali:
¾ errore assoluto: differenza fra la misura ed il valore reale (Ea=x-X);
¾ errore relativo: entità dell’errore in rapporto al valore vero (Er=Ea/X).
Da un punto di vista operativo esistono tre tipi di errori:
¾ errori materiali (o grossolani);
¾ errori strumentali (o sistematici);
¾ errori accidentali (o casuali).
Gli errori grossolani sono legati a disattenzione di chi compie la misura; possono essere
sia positivi e che negativi e sono facilmente individuabili (ed eliminabili) ripetendo la
misura. Se, ad esempio, si effettuano due misure che risultano molto diverse significa che
c’è un errore grossolano e quindi si effettuerà una terza misura.
Gli errori sistematici sono invece legati all’imperfezione dello strumento. Sono costanti
(proporzionalmente alla misura), sempre in eccesso o in difetto. Si possono ridurre (ma
non eliminare) utilizzando strumenti più precisi o rettificando lo strumento.
Gli errori accidentali sono dovuti a vari fattori
come temperatura, fattori climatici, stanchezza,
…, e pertanto difficilmente standardizzabili. Si
possono
ridurre
applicando
metodologie
matematiche di tipo statistico che costituiscono la
teoria degli errori.
Si tratta di una branca della matematica che
può essere utilizzata per gestire e analizzare gli
errori casuali e per ridurne l’effetto. In particolare
ci limiteremo, in questa sede al trattamento
statistico delle misure dirette.
Descriveremo una metodica da applicare a una
popolazione di misure dirette (campione),
ottenuto nel corso di un rilievo e rappresentabili efficacemente mediante apposito grafico
delle misure. Lo scopo è quello di aumentare la precisione in quanto all’aumentare del
numero di misure (indicato con n) trattate aumenta l’attendibilità del risultato. La
metodologia risulta invece inefficace per campioni di numerosità inferiore a 12.
Dato che ogni misura umana è affetta da errore e che non è possibile determinare il
valore vero di una grandezza, ne consegue che non è possibile determinare l’errore.
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La statistica ci viene in soccorso poiché consente di definire il valore più probabile
(stima del valore vero) e di calcolare con quale probabilità il valore vero è compreso in una
determinato intervallo costruito attorno al valore più probabile.
Si può dimostrare che il valore più probabile è il valore medio, derivante dalla media
aritmetica nel caso di misure dello stesso peso o dalla media pesata nel caso di misure di
diverso peso. Queste le formule:
n
xm =
∑ xi
i =1
n
n
xm =
∑(x ⋅ p )
i
i =1
n
∑p
i =1
dove:
•
•
•
•
i
i
xm = valore medio;
xi = misura;
n = numero ripetizioni misura;
pi = peso della misura.
Il valor medio è un ottimo parametro per rappresentare una popolazione di dati relativi
alle misure di una grandezza, ma non è sufficiente in quanto, ad esempio, non fornisce
informazioni su l’entità di errori che ho commesso.
Una prima stima dell’errore assoluto Ea = x- X commesso sulla singola misura può
essere fatta mediante il calcolo dello scarto si dato dall’espressione:
¾ si = xi - xm dove:
• xi è il valore misurato;
• xm è il valore medio.
La stima dell’errore medio commesso, invece, non può essere fatta attraverso la media
(aritmetica o pesata degli scarti dato che, come è facilmente intuibile, la sommatoria degli
scarti dà come valore 0.
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Per superare questo limite si possono prendere in considerazione gli scarti al quadrato
al fine di ottenere valori tutti positivi la cui somma pertanto non si annulla. Si giunge così
alla definisce di due grandezze statistiche particolarmente important1:
¾ la varianza ν definita come la media1 degli scarti al quadrato:
n
ν=
∑s
i =1
2
i
;
n −1
¾ lo scarto quadratico medio σ dato dalla radice quadrata2 della varianza:
n
σ= ν =
∑s
i =1
2
i
n −1
Quest’ultimo parametro consente di valutare la dispersione della popolazione attorno al
valor medio: minore è il valore dello scarto quadratico medio, minore sarà la dispersione
(campione più rappresentativo).
Si divide per n-1 invece che per n, in quanto lo scarto s non rappresenta l’errore ma una sua stima.
Questo passaggio è motivato dalla convenienza di avere un parametro esprimibile con la stessa unità di
misura della grandezza misurata.
1
2
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Le sperimentazioni relative agli eventi casuali evidenziano che la frequenza (e quindi la
probabilità) con la quale di si manifesta un determinato errore casuale ha le seguenti
proprietà:
¾ gli errori minori hanno più probabilità di verificarsi degli errori maggiori;
¾ gli errori positivi si verificano con la stessa probabilità degli errori negativi;
¾ anche gli errori molto grandi possono presentarsi, ma con una probabilità molto
piccola, tendenze a zero (andamento asintotico).
Partendo da queste osservazioni il grande matematico tedesco Gauss ha determinato la
funzione di distribuzione della probabilità (campana di Gauss) con la quale si
presentano gli errori casuali:
y=
1
2π ⋅ σ
⋅ e −0,5 x
2
¾ dove:
• y = probabilità;
• x= errore;
• σ = scarto quadratico medio (vedi diapositiva specifica).
Gauss calcolò inoltre la probabilità di commettere un errore compreso nei seguenti
intervalli:
¾ 68,26% per l’intervallo -1σ e +1σ;
¾ 95,45% per l’intervallo -2σ e +2σ;
¾ 99,73% per l’intervallo -3σ e +3σ;
E’ evidente che un errore con valore assoluto maggiore di 3σ è assai poco probabile;
pertanto tale valore (3σ) viene assunto come come massimo errore ammissibile detto
tolleranza (o errore temibile).
Si può dimostrare che, se le misure sono meno di 11, lo scarto è comunque sempre
inferiore alla tolleranza. Per questo motivo, per campioni di numerosità inferiore a 11 si
deve utilizzare come tolleranza la semidispersione:
x − xmin
d = max
2
In entrambi i casi se uno o più valori degli scarti sono superiori alla tolleranza, devo
eliminarlo in quanto, probabilmente, sono affetti da errori grossolani. E’ necessario,
pertanto rieseguire tutti i calcoli (anche della tolleranza).
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Si tratta, perciò, di un metodo che deve essere reiterato fino a quando tutti i valori degli
scarti sono inferiori alla tolleranza.
Per completare il processo si calcola un ultimo parametro chiamato valor medio della
media, allo scopo di definire la precisione della media:
σn =
σ
n
Siamo giunti alla conclusione in quanto possiamo ora definire il grado di incertezza del
valor medio cioè l’intervallo nel quale è molto probabile (attenzione non stiamo parlando
di certezza) trovare il valore vero (x*) della grandezza:
xm − σ n < x * < xm + σ n nel caso di n ≥ 11
xm − d < x * < xm + d nel caso di n < 11.
L’esecuzione dei calcoli può essere facilmente automatizzata mediante foglio
elettronico. La seguente figura ne mostra un esempio:
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Nelle prima colonna della tabella 1 sono riportati i valori delle misure effettuate. Nella
cella in alto viene calcolato il valor medio. Nelle successive due colonne vengono calcolati
gli scarti e il quadrato degli scarti. Nelle celle di testa vengono inserite le formule per il
calcolo delle rispettive sommatorie: la prima deve risultare (approssimativamente) zero,
mentre la seconda serve per il calcolo della varianza, dello scarto quadratico e della
tolleranza.
Quest’ultimo valore sarà utilizzato per la verifica degli scarti. Il calcolo viene ripetuto
nelle colonne della tabella 2 dove sono stati tolti le eventuali misure affette da scarti
superiori alla tolleranza.
Di seguito viene riportato un esempio di foglio di calcolo più evoluto nel quale è
possibile anche impostare il numero di misure trattate e il numero di cifre decimali
richieste.
Numero valori (almeno 12, max. 25):
Numero di cifre decimali:
15
3
12,561
scarti S
valori X
accettato
accettato
accettato
accettato
accettato
accettato
accettato
accettato
accettato
accettato
accettato
non accettato
accettato
accettato
accettato
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
Valori
12,4500
12,3300
12,6500
12,0000
12,7600
12,4400
12,8800
12,3700
12,5600
12,3400
13,6700
18,5600
12,4400
12,5100
12,4500
15
12,9607
194,4100
12,4500
12,3300
12,6500
12,0000
12,7600
12,4400
12,8800
12,3700
12,5600
12,3400
13,6700
18,5600
12,4400
12,5100
12,4500
valore più probabile
0,1019
±
14
12,5607
175,8500
12,4500
12,3300
12,6500
12,0000
12,7600
12,4400
12,8800
12,3700
12,5600
12,3400
13,6700
14
12,5607
175,8500
12,4500
12,3300
12,6500
12,0000
12,7600
12,4400
12,8800
12,3700
12,5600
12,3400
13,6700
12,4400
12,5100
12,4500
12,4400
12,5100
12,4500
2
scarti al quadrato S
14
4,7759056 1,1436055 1,1436055 1,1436055 1,5919685 0,3812018 0,3812018 0,3812018
12,5607
0,0000
0,0000
0,0000
0,0000
175,8500
0,0000
0,0000
0,0000
0,0000
35,4811
1,8891
1,8891
1,8891
12,4500
0,51067
0,11071
0,11071
0,11071 0,260780 0,012258 0,012258 0,012258
12,3300
0,63067
0,23071
0,23071
0,23071 0,397740 0,053229 0,053229 0,053229
12,6500
0,31067 -0,08929 -0,08929 -0,08929 0,096514 0,007972 0,007972 0,007972
12,0000
0,96067
0,56071
0,56071
0,56071 0,922880 0,314401 0,314401 0,314401
12,7600
0,20067 -0,19929 -0,19929 -0,19929 0,040267 0,039715 0,039715 0,039715
12,4400
0,52067
0,12071
0,12071
0,12071 0,271094 0,014572 0,014572 0,014572
12,8800
0,08067 -0,31929 -0,31929 -0,31929 0,006507 0,101943 0,101943 0,101943
12,3700
0,59067
0,19071
0,19071
0,19071 0,348887 0,036372 0,036372 0,036372
12,5600
0,40067
0,00071
0,00071
0,00071 0,160534 0,000001 0,000001 0,000001
12,3400
0,62067
0,22071
0,22071
0,22071 0,385227 0,048715 0,048715 0,048715
13,6700 -0,70933 -1,10929 -1,10929 -1,10929 0,503154 1,230515 1,230515 1,230515
-5,59933
31,352534
12,4400
0,52067
0,12071
0,12071
0,12071 0,271094 0,014572 0,014572 0,014572
12,5100
0,45067
0,05071
0,05071
0,05071 0,203100 0,002572 0,002572 0,002572
12,4500
0,51067
0,11071
0,11071
0,11071 0,260780 0,012258 0,012258 0,012258
1.1 Esercizi proposti
vertici
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
esercizio 1
5,3765
5,3755
5,3724
5,3768
5,3773
5,3768
5,3762
5,3758
5,3771
5,3765
5,3758
esercizio 2
12,45
12,33
12,65
12,00
12,76
12,44
12,88
12,37
12,56
12,34
13,67
esercizio 3
38,5251
38,5223
38,5248
38,5216
38,5257
38,5264
38,5181
38,5223
38,5248
38,5256
38,5223
esercizio 4
123,454
123,482
123,471
123,475
123,496
123,403
123,477
123,476
123,493
123,460
123,491
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Elementi di meccanica agraria
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
valor
medio
σm
pag. 175
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5,3764
5,3768
5,3765
5,3768
5,3763
5,3770
5,3772
5,3765
5,3759
5,3763
5,3774
5,3756
5,3778
5,3771
5,37658
12,54
12,44
12,51
12,45
12,38
12,44
12,87
12,54
12,69
12,22
12,39
12,99
12,44
12,61
12,512
38,5261
38,5242
38,5225
38,5250
38,5241
38,5237
38,5244
38,5268
38,5256
38,5225
38,5250
38,5254
38,5261
38,5243
38,52444
123,488
123,472
123,467
123,459
123,479
123,461
123,498
123,480
123,465
123,479
123,470
123,499
123,493
123,454
123,4766
0,00121
0,0448
0,000306
0,00284
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2 Elementi di trigonometria
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Nella maggior parte delle applicazioni topografiche le linee curve vengono
approssimate con delle spezzate in modo da ottenere elementi rappresentati mediante
figure poligonali.
Dato che qualsiasi poligono può essere suddiviso comunque in triangoli, è essenziale
saper risolvere3 tale figura per poter eseguire la maggior parte delle procedure utilizzate in
topografia.
In particolare utilizzeremo gli strumenti analitici forniti dalla trigonometria che
consente di definire ogni elemento di un triangolo (perimetro, area, coordinate dei vertici,
…) a partire dalla misurazioni di distanze, angoli e dislivelli eseguite nel corso del rilievo
topografico.
3 Ricordiamo che per poter risolvere un triangolo è necessario conoscere le dimensioni di almeno tre
elementi di cui almeno un lato. Questa regola può essere generalizzata: un poligono di n vertici (n lati e n
angoli) può essere risolto trigonometricamente sono se sono noti almeno (2n-3) elementi (lati o angoli).
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In questa sede ci limiteremo all’utilizzo delle tre funzioni goniometriche principali
(seno, coseno, tangente) e della cotangente, il cui significato geometrico e riasuunto nella
figura seguente.
Si ricorda che quelle goniometriche sono funzione che ricevono un valore angolare e
restituiscono un valore numerico.
Inoltre valgono le seguenti relazioni fondamentali:
¾ tan α = sin α / cos α;
¾ cotan α = 1 / tan α.4
Molto utilizzate nei calcolo trigonometrici sono anche le funzioni goniometriche
inverse, e in particolare l’arcoseno (arcsen x o sen-1x), l’arcocoseno (arccos x o cos-1x),
l’arcotangente (arctan x o tan-1x) e l’arcocotangente (arccotan x o cotan-1x).
Queste funzioni, essendo le inverse delle precedenti, elaborano un valore numerico e
restituiscono un valore angolare.
E’ fondamentale ricordare l’importanza di non confondere la funzione inversa (arcsen
x) dall’inverso (1/sen x o sen-1x o cosec x), errore dovuto anche dal fatto che molte
calcolatrici, per motivi di spazio, usano la scritta sen-1x per indicare arcsen x.
A tal proposito ricordiamo anche che per poter utilizzare correttamente le calcolatrici si
devono rispettare alcune regole di base:
¾ verificare il metodo di immissione dei dati. Le calcolatrici, infatti, possono
adottare due protocolli diversi:
4
Questa relazione viene espressa dicendo che la cotangente è l’inverso della tangente.
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•
pag. 182
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metodo tradizionale o inverso (sempre meno adottato): per inserire
l’espressione
( )
arcsen a 2
•
si digita la seguente successione di tasti a, x2, arcsen x, radice.
metodo “progressivo” (ora il più adottato): per inserire l’espressione
( )
arcsen a 2
si digita la seguente successione di tasti radice, arcsen x,
a x2.
¾ se si utilizzano le funzioni goniometriche e le relative funzioni inverse ricordarsi
di impostare la calcolatrice sul sistema angolare corretto:
• DEG per gli angoli sessadecimali;
• GRAD per gli angoli centesimali;
• RAD per gli angoli radianti.
¾ il risultato fornito dalla calcolatrice
talvolta non tiene conto del quadrante in
cui si opera. E’ il caso del teorema dei seni
qualora si utilizza la funzione arcoseno:
• dato un valore del seno compreso fra
0 e 1 esistono due angoli che
assumono lo stesso valore di sen x:
ƒ angolo α1 compreso fra 0 e π/2
(1° quadrante);
ƒ angolo α2 compreso fra π/2 e π
(2° quadrante).
• notare che α2= π- α1.
»
2.1 Risoluzione di un triangolo
Per risolvere un triangolo qualsiasi (avendo almeno tre elementi di cui un lato), è
sufficiente utilizzare i seguenti teoremi o formule:
¾ teorema dei seni;
¾ teorema del coseno (o di Carnot);
¾ formule per il calcolo dell’area.
Nella figura seguente è riportata la convenzione più diffusa per le lettere utilizzate per
indicare vertici (A, B, C), lati (a, b, c) e angoli (α, β, γ).
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2.1.1
pag. 183
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Teorema dei seni
Questo primo teorema afferma: “in un triangolo qualsiasi il rapporto tra un lato e il seno
dell’angolo opposto è costante, ed è uguale al diametro della circonferenza circoscritta al triangolo”.
L’enunciato può essere espresso con le seguenti formule:
Osservando le espressioni si comprende che il teorema dei seni è applicabile qualora
fossero noti gli elementi di una coppia lato e angolo opposto (a, α; b, β; c, γ).
In tal caso, conoscendo un elemento di un’altra coppia è possibile calcolarne
“l’omologo”. Due sono i possibili casi di cui proponiamo un esempio ciascuno:
1. noti a, b, β posso trovare α:
2. noti α, b, β posso trovare a:
2.1.2
Teorema del coseno o di Carnot
L’enunciato del teorema è il seguente: “In un
triangolo qualsiasi il quadrato di un lato è uguale alla
somma dei quadrati degli altri due lati, diminuito del
doppio prodotto di questi per il coseno dell’angolo
compreso”. In forma analitica si esprime con le
formule seguenti:
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pag. 184
Maines Fernando
Due sono pertanto i casi nei quali è applicabile il teorema del coseno:
¾ noti due lati e l’angolo compreso (b, c, α; a,c, β; a,b, γ) è possibile calcolare il terzo
lato attraverso le espressioni:
¾ noti tutti e tre il lati, è possibile ricavare i tre angoli mediante:
2.1.3
Formule per il calcolo delle aree
Le principali formule per il calcolo dell’area di un triangolo qualsiasi sono:
¾ formule base da usarsi quando sono noti due lati e l’angolo compreso:
¾ formula di Erone qualora siano noti tutti i lati:
dove p=(a+b+c)/2.
*****
A completamento riportiamo le metodiche risolutive dei possibili casi che si possono
incontrare
1. tre lati (N.B.: nelle figure successive gli elementi noti sono riportati in rosso):
• angolo 1 (teorema del coseno inverso);
• angolo 2 (teorema del coseno inverso);
• angolo 3 (teorema del coseno inverso);
• verifico la somma degli angoli;
• area con formula di Erone.
2.
due lati e l’angolo compreso:
• lato 3 (teorema del coseno);
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•
•
•
•
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angolo 2 (teorema del coseno inverso);
angolo 3 (teorema del coseno inverso);
verifico la somma degli angoli;
area con formula standard.
3.
Due lati e un angolo adiacente:
• angolo 2 (teorema dei seni): due possibili soluzioni.
• angolo 3 (differenza a π);
• lato 3 (teorema del coseno);
• area con formula standard o con Erone.
4.
Un lato e due angoli adiacenti:
• angolo 3 (differenza a π);
• lato 2 (teorema dei seni);
• lato 3 (teorema del coseno);
• area con formula standard.
5.
un lato, l’angolo opposto ed un angolo adiacente:
• lato 2 (teorema dei seni);
• angolo 3 (differenza a π);
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•
•
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lato 3 (teorema del coseno);
area con formula standard.
Nel corso della risoluzione di un triangolo si deve prestare particolare attenzione in due
particolari situazioni:
¾ quando sono noti due angoli è possibile determinare il terzo sottraendo la loro
somma a π. E’ bene, però, utilizzare questa possibilità solo qualora non fosse
possibile applicare nessuna altra formula. In tal modo, infatti, sarà possibile la
verifica, al termine dei calcoli, dei valori angolari ottenuti (la somma deve essere,
con buona approssimazione, pari a π).
¾ quando si utilizza il teorema dei seni per calcolare un angolo bisogna ricordarsi
che la calcolatrice opera sempre nel primo quadrante (angolo compreso fra 0 e
π/2). Non sempre il valore ottenuto è quello giusto in quanto, nel caso di un
triangolo ottusangolo, uno degli angoli è maggiore di π/2. Tale situazione può
essere riconosciuta in quanto un lato (quello opposto all’angolo ottuso) ha una
lunghezza decisamente maggiore degli altri due lati. Pertanto se la somma degli
angoli interni del triangolo non risultasse pari a π, al posto del valore dato dalla
calcolatrice (ottenuto con la funzione arcsen) va sostituito con il suo
supplementare (ottenuto sottraendo l’angolo della calcolatrice a π). A questo
punto è necessario effettuare nuovamente la verifica; un esito positivo è la prova
che si tratta proprio di un triangolo ottusangolo.
Come sempre accade in ambito matematico è fondamentale esercitarsi; per questo
vengono proposti 30 esercizi relativi a triangoli di cui sono dati tre elementi (valori in
rosso). Calcolare gli elementi mancanti (valori in nero) e l’area. Nell’ultima colonna è
riportato il sistema angolare in cui è necessario operare. Buon divertimento.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
a (BC)
103,753
25,343
103,33
2,438
12,6
17,20
24,43
65,29
impos.
63,34
172,209
b (CA)
55,898
26,854
213,48
1,324
15,4
15,80
35,63
88,46
188,24
41,21
355,800
c (AB)
62,355
44,115
146,34
1,938
19,9
34,55
47,45
76,27
impos.
88,46
397,456
243,895
α
122° 22,5’
31° 16,6’
25° 40’ 32’’
1,6557
43,65
impos.
33,48
45° 58’
145° 58’
45,432
28,5256
β
27° 0,3’
33° 22,5’
116° 28’ 21’’
0,5718
56,34
impos.
52,30
76° 55’
36° 51’
28,010
70,5798
129,4202
γ
30° 25,9’
115° 20,9’
37° 51’ 07’’
0,9142
100,01
impos.
114,22
57° 07’
impos.
126,558
100,8946
42,0542
angoli
DEG
DEG
DEG
RAD
GRAD
GRAD
GRAD
DEG
DEG
GRAD
GRAD
GRAD
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14
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16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
215,34
285,21
2,364
22,345
81,303
3032
80,00
181,30
37,2039
15,757
4,752
542,33
612,3
24,38
23,64
pag. 187
244,11
239,44
2,115
26,158
81,303
2364
407,75
impos.
3,087
23,489
65,042
2415
29,195
55,8300
22,345
5,453
194,23
236,4
195,34
63,8087
15,534
6,094
455,68
341,5
355,8
18,38
13,24
15,80
21,15
88,46
25° 38’
impos.
49,876
53,1668
73,8022
78,758°
1,490°
63,810
35,4455°
44,832
53,232
105,987°
Maines Fernando
29° 22’
95° 36’ 44’’
43,166
69,5477
73,8022
49,876°
8,666
60,4899°
91,137°
65,475
20,138°
49,876
125° 00’
impos.
86,958
57,2855
52,3956
51,366
128,634°
127,524
84,0646°
44,031°
81,293
53,875°
33,55
33,48
49.876
45,58
114,22
76,55
DEG
DEG
DEG
DEG
GRAD
RAD
DEG
GRAD
DEG
DEG
GRAD
DEG
GRAD
GRAD
GRAD
GRAD
GRAD
GRAD
2.2 Risoluzione di un triangolo rettangolo.
Per completezza riportiamo anche le formule
specifiche per i triangoli rettangoli sebbene si possano
facilmente ricavare dalle formule viste per i triangoli
qualsiasi, ponendo semplicemente l’angolo γ pari a
π/2.
Per i triangoli rettangoli valgono le seguenti
formule, utilizzabili qualora sono noti, oltre all’angolo
retto, due elementi di cui almeno uno deve essere un
lato:
¾ un cateto è uguale all’ipotenusa per il seno dell’angolo opposto (al cateto) o per il
coseno dell’angolo adiacente:
a = ip·senα; a = ip·cosβ; b = ip·senβ; b = ip·cosα.
Dalle precedenti formule si possono ricavare le relazioni per il calcolo degli
angoli quando sono noti un cateto e l’ipotenusa.
¾ un cateto è uguale all’altro cateto per la tangente dell’angolo opposto (al primo
cateto) o per la cotangente dell’angolo adiacente:
a = b·tanα; a = b·cotanβ; b = a·tanβ; b = a·cotanα.
Dalle precedenti formule si possono ricavare le relazioni per il calcolo degli
angoli quando sono noti i due cateti.
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2.3 Risoluzione quadrilateri
Per risolvere un quadrilatero qualsiasi devono essere noti almeno 5 degli 8 elementi, di
cui almeno due lati.
La risoluzione prevede i seguenti passaggi:
¾ la divisione del quadrilatero in due triangoli mediante una diagonale;
¾ la risoluzione del triangolo con più elementi noti (almeno tre);
¾ la risoluzione del secondo triangolo.
Per il calcolo dell’area si possono sommare le aree dei due triangoli ottenute con le
formule viste nel paragrafo precedente, cercando di utilizzare quella che richiede il minor
numero possibile di elementi calcolati al fine di ridurre il più possibile la propagazione
degli errori (di approssimazione, …).
In alternativa è possibile utilizzare la formula del camminamento qualora siano noti tre
lati successivi e i due angoli compresi (ad esempio a, b, c, β, γ):
Questa metodologia può essere applicato nei seguenti casi:
¾ noti quattro lati ed un angolo (nelle figure gli elementi noti sono in rosso);
¾ noti tre lati e i due angoli compresi;
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¾ noti tre lati e due angoli, di cui uno compreso;
¾ noti due lati adiacenti e tre angoli.
Vi sono due casi che richiedono una metodica risolutiva diversa:
¾ noti tre lati e i due angli non compresi;
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¾ noti due lati con contigui e tre angoli:
In questi casi la metodica risolutiva prevede i seguenti passaggi:
risolvo i triangoli rettangoli 1 e 2;
risolvo il triangolo rettangolo 3;
ricavo gli elementi mancanti;
per la determinazione dell’area posso calcolare le quattro aree (3 triangoli
rettangoli ed 1 rettangolo) oppure, dopo aver divido il quadrilatero con una
diagonale, sommo le aree dei due triangoli ottenuti.
Anche per i quadrilateri proponiamo alcuni esercizi. Ancora buon divertimento.
¾
¾
¾
¾
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3 Coordinate cartesiane e coordinate polari
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3.1 Coordinate cartesiane
Dobbiamo a René Descartes (Cartesio), filosofo e matematico francese (1596, 1650), la
definizione di un sistema di coordinate per descrivere in modo rigoroso la posizione di un
punto nel piano (e nello spazio), passaggio essenziale per la costruzione della geometria
analitica, branca della matematica che ha rappresentato la sintesi fra la geometria
(sviluppata dai Greci) e l’algebra (sviluppata dagli Arabi).
Le figure geometriche diventano “luoghi dei punti” ognuno individuato in modo
univoco attraverso le coordinate cartesiane, la cui definizione si basa su alcune
convenzioni:
¾ adozione di due assi perpendicolari tra di loro, di cui uno orizzontale (asse x o
asse delle ascisse) e uno verticale (asse y o delle ordinate);
¾ il punto di intersezione viene detto origine;
¾ l’asse delle x è fissato con il verso positivo verso destra mentre l’asse y ha verso
positivo verso l’alto;
¾ un punto del piano viene individuato da una coppi di numeri:
• coordinata x data dalla distanza dall’origine della proiezione del punto
sull’asse x;
• coordinata y data dalla distanza dall’origine della proiezione del punto
sull’asse y.
I due assi cartesiani suddividono il piano in 4
quadranti:
¾ 1° quadrante: x > 0; y > 0;
¾ 2° quadrante: x > 0; y < 0;
¾ 3° quadrante: x < 0; y < 0;
¾ 4° quadrante: x < 0; y > 0.
Quanto è stato visto per il piano può essere esteso
allo spazio. Ai due assi x e y si associa un terzo
azze (asse z) anch’esso passante per l’origine e
perpendicolare ad entrambi. Il verso positivo è
diretto verso l’alto. Pertanto la posizione di un punto nello spazio viene identificata da tre
coordinate: nell’ordine x, y, z.
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3.2 Coordinate polari
Vengono definite utilizzando un solo asse (detto asse polare o asse azimutale), indicato
con y o N. Ha direzione e verso predefiniti che, molto frequentemente, coincidono con il
Nord. Su tale asse, inoltre, viene fissato un punto (detto polo O), che assume il ruolo di
origine.
Anche nel caso delle coordinate polari la posizione di un punto P è definita da due
coordinate:
¾ dP: è un numero che rappresenta la distanza del punto P dall’origine O; pertanto
varia da 0 a +∞;
¾ θP: è un angolo (detta anomalia o angolo di direzione), misurato a partire
dall’asse Y, ruotando in senso orario. Qualora l’asse polare corrispondesse con il
Nord, l’anomalia coincide con l’azimut. In ogni caso θP varia da 0 a 2π.
Y≡N
P(d , θ )
P
θ
P
d
P
P
0
Per definire la posizione di un punto nello spazio, di deve aggiungere una terza
coordinata alle due coordinate per il piano. Per la sua determinazione è necessario
introdurre un ulteriore asse (asse Z) disposto verticalmente e diretto verso l’alto. Si tratta,
infatti, dell’angolo φP (angolo verticale o zenitale) misurato a partire dall’asse verticale
fino alla congiungente P con origine.
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3.3 Formule di conversione
Incominciamo con le formule per passare da coordinate polari a cartesiane.
Si tratta di formule molto semplici: date le coordinate polari dz e θP si ottengono xp e yp
con le seguenti espressioni:
xz = dz · senθP;
yz = dz · cosθP.
Per quanto riguarda il passaggio da coordinate cartesiane a polari, le espressioni per
ottenere dP e θP dati xP e yP sono:
dP2 = xP2 + yP2 (teorema di Pitagora);
θP = arctan(xP/yP).
Anche in questo caso si tratta di formule molto semplici, ma una precisazione deve
essere fatta per l’espressione relativa a θP: la calcolatrice, quando utilizza la funzione
arcotangente, esegue i calcoli riferendosi sempre al primo quadrante e pertanto il risultato
deve essere interpretato a seconda del quadrante nel quale stiamo operando (riconoscibile
dal segno delle due coordinate cartesiane).
Nella seguente tabella sono riassunte le correzioni da apportare nei 4 diversi casi.
quadrante
xP
yP
θPcal
θPcal
1°
>0
>0
+
θPcal
2°
>0
<0
-
θPcal + π
3°
<0
<0
+
θPcal + π
4°
<0
>0
-
θPcal + 2π
quadrante
xP
yP
θPcal
θPcal
1°
4
3
59,0334 gon
59,0334 gon
2°
4
-3
-59,0334 gon
140,9666 gon
3°
-4
-3
59,0334 gon
359,0334 gon
Vediamone un esempio:
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4°
-4
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3
-59,0334 gon
340,9666 gon
3.4 Coordinate relative
Y
y’
XA
·
A(XA,YA)
YA
(xB)A
0
·
x’
(yB)A
B(XB, YB) ((xB)A, (yB)A)
YB
XB
X
Iniziamo analizzando il caso delle coordinate cartesiane.
Fissato un sistema di riferimento assoluto XY con origine in O, è possibile definire la
posizione di qualsiasi punto del piano. In figura sono indicati il punto A e il punto B dei
quali sono visualizzate le coordinate cartesiane assolute XA, YA, XB, YB.
Se ora si considera un ulteriore sistema di riferimento con origine in un punto di
coordinate assolute note (ad esempio A), è possibile definire la posizione di una altro
punto (ad esempio B) rispetto a tale riferimento. Si parla in tal caso di coordinate
cartesiane parziali (rispetto ad A) e si indicano con (xB)A, (yB)A.
Nel caso, come riportato in figura, che il sistema di riferimento assoluto e quello relativo
siano disposti in modo che gli assi corrispondenti sono paralleli, le formule per il
passaggio5 da coordinate assolute a coordinate relative sono le seguenti:
XB = XA + (xB)A;
YB = YA + (yB)A.
Nel caso, invece, delle coordinate polari, riportiamo le formule per ottenere le
coordinate relative (fare riferimento alla figura successiva):
¾ coordinate polari assolute:
• dA2 = XA2 + YA2;
• θA = arctan(xA/yA);
A tale trasformazione corrisponde un movimento di semplice traslazione. In caso di assi corrispondenti
non paralleli, è necessario “sommare” alla traslazione anche una rotazione. In tale caso le formule di
passaggio diventano:
XB = XA + (xB)A · cosα + (yB)A · senα;
YB = YA - (xB)A · senα + (yB)A · cosα.
dove α è l’angolo formato fra le direzioni di due assi corrispondenti misurato a partire dall’asse del
sistema assoluto e ruotando in senso orario fino a sovrapporsi all’asse del sistema relativo.
5
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pag. 199
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• dB2= XB2 + YB2;
• θB = arctan(xB/yB).
¾ coordinate polari relative:
2
2
2
d AB = (x B ) A + (y B ) A
2
d AB = (X B - X A ) 2 + (YB - YA ) 2
⎛ XB - XA ⎞
⎟⎟
Y
Y
⎝ B A ⎠
dove con θAB e dAB si intendono l’angolo orizzontale riferito all’asse y e la
distanza qualora stando in A collimo a B 6.
ϑAB = arctan⎜⎜
Y
y’
θAB
XA
θA
θB
0
dA
dB
·
YA
A(XA,YA)
x’
dAB (y )
B A
B(XB, YB) ((xB)A, (yB)A)
(xB)A YB
·
XB
X
Per eliminare possibili elementi di confusione riportiamo alcune note:
¾ con θBA si intende l’angolo, sempre riferito alla parallela all’asse y, qualora
stando in B collimo ad A; dBA, invece, rappresenta la medesima distanze di dAB
eseguita in direzione opposta.
¾ secondo la convenzione presentata precedentemente si dovrebbero indicare le
coordinate assolute di B con θOB e con dOB. La prassi di non riportare il centro O
aiuta proprio a ricordare che si tratta di coordinate assolute.
3.5 Esempio applicativo: perimetro e angoli interni di un poligono
Prendiamo in considerazione un poligono con vertici ordinati in senso antiorario e di
cui sono note le coordinate cartesiane.
Ciascun lato può essere facilmente calcolato con la formula (derivante dal teorema di
Pitagora)
2
2
2
2
d ij = (x j )i + (y j )i
oppure
d ij = (X j - X i ) 2 + (Yj - Yi ) 2
Pertanto con θBA si intende l’angolo, sempre riferito alla parallela all’asse y, qualora stando in B collimo
ad A, così come dBA rappresenta la medesima distanze di dAB eseguita in direzione opposta. Osserviamo che,
seguendo tale convenzione, si dovrebbe indicare le coordinate assolute di B con θOB e con dOB. La prassi di
non segnare il centro O aiuta proprio a ricordare che si tratta di coordinate riferite al sistema di riferimento
assoluto.
6
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pag. 200
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Gli angoli di direzione rispetto al riferimento prefissato (…, θDE, θEF, θFG , …, θDC, θED,
θFE, …), invece, si possono calcolare con la formula :
⎛X -X ⎞
ϑij = arctan⎜⎜ j i ⎟⎟
⎝ Yj - Yi ⎠
N
θDC
Dθ
N
DE
C
θEF
E
θED
N
θFE
F
θFG
Si fa notare che si possono ridurre i
calcoli per la determinazione degli angoli di
direzione in quanto esiste una relazione che
lega gli angoli di direzione due a due.
Infatti, facendo riferimento all’esempio in
figura si può osservare che
θDE = θED + π;
θED = θDE – π.
queste
espressioni
si
possono
generalizzare con le seguenti formule:
θij = θji– π se θij > π;
θij = θji+ π se θij < π.
Come ultimo passaggio è ora possibile determinare gli angoli interni (αi). Si devono
considerare due diversi casi (vedere figure successiva):
¾ direzione di riferimento esterno all’angolo interno:
αi = θi,i-1 – θi,i+1;
¾ direzione di riferimento interno all’angolo interno:
αi = 2π + θi,i-1 – θi,i+1.
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pag. 201
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N
θDC
Dθ
N
DE
C
θEF
E
αD
θED
N
αF
θFE
F
θFG
Calcolati tutti gli angoli interni non rimane che verificarne la correttezza confrontando
la somma con il valore teorico dato dalla seguente formula:
n
∑α
i =1
i
= π (n − 2)
dove n rappresenta il numero di vertici.
*****
Proponiamo ora una serie di esercizi di riepilogo.
Nella tabella sono riportate le coordinate cartesiane di 5 poligoni di 11 vertici. Per
ciascun poligono si devono calcolare i seguenti elementi:
¾ coordinate polari dei vertici (ricalcolare le coordinate cartesiane per verifica);
¾ il perimetro e gli angoli interni.
Per concludere riportiamo un esempio di foglio elettronico per la risoluzione degli
esercizi proposti.
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Numero vertici (max. 25):
6
Numero di cifre decimali per distanze:
3
Numero di cifre decimali per angoli:
2
Sist. angolare (inserire deg o grad o rad): grad
NB: i vertici devono essere numerati in verso antiorario!
n°
1
2
3
4
5
6
12 0
10 0
80
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xi
yi
82,28
39,66
55,01
-60,6
-49,79
56,32
41,25
46,84
110,51
41,75
-19,9
-55,77
di
92,041
61,375
123,445
73,59
53,62
79,261
(θi)M
70,42
44,73
29,4
-61,59
75,79
-50,31
θi
70,42
44,73
29,4
338,41
275,79
149,69
perimetro
area
518,024
13556,628
di,i+1
42,985
65,494
134,512
62,591
112,009
100,433
(θi ,i+1)M
-91,7
15,06
65,84
-11,05
-79,25
16,64
θi, i+1
308,3
15,06
265,84
188,95
120,75
16,64
tot. αi
θ i+1,i
108,3
215,06
65,84
388,95
320,75
216,64
800
αi
Area
91,66
306,76
50,78
123,11
131,8
95,89
2218,223
1806,848
8993,488
3285,019
3897,778
6911,9
60
40
20
0
-100
-50
-2 0
0
50
100
-4 0
-6 0
-8 0
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4 Risoluzione poligonali aperte
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pag. 204
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pag. 206
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Prima di descrivere il metodo di risoluzione ricordiamo che la poligonazione è una
metodologia di rilievo utilizzata in particolare per i rilievi d’appoggio, con l’obiettivo di
determinare le coordinate cartesiane (o polari) di tutte le stazioni. Queste devono essere
scelte in modo che da ciascuna siano visibili la stazione precedente e quella successiva;
inoltre la distanza fra due stazioni adiacenti deve essere compatibile con la gittata dello
strumento. Infine il numero dei punti di appoggio e la loro distribuzione devono
assicurare una completa “copertura” dell’intera area di rilievo.
4.1 Metodo risolutivo
Nel corso del rilievo vengono misurati gli n-1 lati e gli n-2 angoli compresi fra questi; si
ottengono in modo (2n-3) elementi, ossia il numero minimo che bisogna conoscere per
poter risolvere trigonometricamente un poligono. A questi dati si devono aggiungere i
alcuni elementi necessari per inquadrare il rilievo:
¾ l’angolo θ12 di direzione rispetto all’asse y del sistema di riferimento (la cui
origine viene generalmente fatta coincidere con la prima stazione);
¾ le coordinate assolute della prima stazione.
Il metodo risolutivo si compone di tre passaggi:
1. determinazione degli angoli di direzione (θi,i+1): si calcolano a cascata partendo
dal valore dati di θ12, utilizzando le seguenti formule:
θi,i+1 = θi-1,i + αi + π
se θi-1,i + αi < π;
θi,i+1 = θi-1,i + αi - π
se θi-1,i + αi > π;
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pag. 207
θi,i+1 = θi-1,i + αi + 3π
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se θi-1,i + αi > 3π.
2. calcolo delle coordinate relative (xi+1)i e (yi+1)i utilizzando le seguenti formule:
(xi+1)i = di,i+1· sen θi,i+1
(yi+1)i = di,i+1· cos θi,i+1
3. determinazione delle coordinate assolute Xi e Yi: si calcolano a cascata partendo
dalle coordinate note X1 e Y1, utilizzando le formule:
X i=Xi-1+ (xi)i-1
Yi=Yi-1+ (yi)i-1
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pag. 208
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4.2 Risoluzione con foglio elettronico
Anche il metodo risolutivo ora descritto si presta molto bene per essere applicato
mediante il foglio elettronico. Per rendere il risultato facilmente riutilizzabile e flessibile, è
necessario predisporre una serie di celle in modo da poter inserire, variando caso per caso,
il numero di vertici che compongono la poligonale aperta da risolvere, il sistema angolare
da adottare (DEG, GRAD, RAD), il numero di cifre decimali per le distanze e quello per gli
angoli.
Per ottenere questi risultati si devono utilizzare le funzioni messe a disposizione dal
foglio elettronico. In particolare si devono conoscere:
¾ =SE(condizione;allora;altrimenti);
¾ =SE(E(condizione1;condizione 2; …);allora;altrimenti);
¾ =SE(O(condizione1;condizione 2; …);allora;altrimenti);
¾ =CERCA.VERT(valore;matrice;numero colonna);
¾ =ARROTONDA(numero;numero cifre decimali);
¾ =PI.GRECO();
¾ ….
Ricordiamo che il foglio elettronico tratta le funzioni goniometriche (dirette e inverse) in
RAD e che, pertanto, risulta spesso necessario (nelle applicazioni topografiche) inserire
nelle formule le trasformazioni (basate su semplici proporzioni).
4.3 Esercizi
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5 Risoluzione poligonali chiuse
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pag. 212
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Nel corso del rilievo di una poligonale chiusa (il primo e l’ultimo punto coincidono)
vengono misurati n lati ed n angoli (se la numerazione dei vertici viene eseguita in senso
antiorario si tratta degli angoli interni).
7
y
8
α8
α7
6
α6
9
α9
α5
10
α 10
α4
4
α 11
11
α2
α1
1
5
α3
2
θ12
3
x
O
Pertanto sono noti 2n elementi; i tre elementi noti in più rispetto ad una poligonale
aperta consentono di effettuare compensazioni7 degli errori. Sono inoltre noti l’angolo θ12
di direzione rispetto all’asse y del sistema di riferimento e le coordinate della prima
stazione (generalmente corrispondente con l’origine).
La procedura risolutiva ricalca quella già vista per le poligonali aperte, a cui si devono
aggiungere alcuni passaggi relativi alle compensazioni.
7
Si ricorda che compensare non significa annullare.
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5.1.1
pag. 213
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Compensazione degli errori angolari
L’errore angolare eα viene determinato dalla differenza fra la sommatoria degli angoli
misurati (Σαi*) e il valore teorico della somma degli angoli interni di un poligono ((n-2)·π),
come espresso nella seguente espressione:
eα = Σαi* – [(n-2)·π]
(con l’asterisco vengono indicate le grandezza affette da errore).
La compensazione può essere effettuata solo se eα risulta minore di un valore (detto
tolleranza o massimo errore ammissibile) dato dalla seguente espressione:
Γα =e n
dove:
¾ n è il numero di vertici;
¾ e è un valore angolare variabile in base al campo di applicazione (generalmente
ammonta a 2’,5).
All’errore angolare complessivo corrisponde un errore angolare unitario eu espresso
dall’espressione eu = eα/n. Poiché l’errore commesso nella misura di un angolo è
indipendente dalla dimensione dalla sua ampiezza, è possibile apportare la correzione agli
angoli misurati sottraendo a ciascuno l’errore unitario.
αi = αi* – eu
Una volta apportata la correzione è consigliabile ripetere la somma degli angoli per
verificare la corrispondenza (a meno dell’approssimazione dovuto alla calcolatrice) con la
somma teorica (n-2)·π.
5.1.2
Calcolo degli angoli di direzione
Viene eseguito a cascata partendo dal valore di θ12, utilizzando le formule già viste per
le poligonali aperte:
θi,i+1 = θi-1,i + αi + π
se θi-1,i + αi < π;
se θi-1,i + αi > π;
θi,i+1 = θi-1,i + αi - π
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pag. 214
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θi,i+1 = θi-1,i + αi + 3π
se θi-1,i + αi > 3π.
Al termine, se si applica ancora una volta la formula all’ultimo angolo ottenuto (θn-1,n)
usando α1 si deve ottenere θ12; si verifica, in tal modo, la correttezza dei calcoli fin a
questo punto effettuati.
5.1.3
Calcolo coordinate relative (xi+1)i* e (yi+1)i*
Per il calcolo delle coordinate relative (da compensare) si utilizzando le seguenti
formule:
(xi+1)i* = di,i+1· sen θi,i+1
(yi+1)i* = di,i+1 · cos θi,i+1
5.1.4
Compensazione delle coordinate relative
Per definizione la somma delle coordinate relative (xi+1)i e (yi+1)i deve essere nulla;
diversamente le somme delle coordinate relative non compensate (xi+1)i* e (yi+1)i*
restituiscono due valore diversi da 0, valori che definiscono gli errori lineari espressi,
pertanto, dalle seguenti espressioni:
ex=Σ(xi+1)i* ≠ 0;
ey=Σ(yi+1)i* ≠ 0.
Il passaggio successivo prevede il calcolo degli errori lineari unitari ux e uy ottenuti
dividendo ciascun errore lineare per la sommatoria delle coordinate relative in valore
assoluto. Infatti l’errore commesso nella misura di una distanza (e pertanto l’errore
contenuto nelle corrispondenti componenti lungo l’asse x e l’asse y) sono proporzionali,
diversamente da quanto visto per gli angoli, alla lunghezza della distanza.
Queste le relazioni che definisco gli errori lineari unitari:
ux= ex /Σ│(xi+1)i*│;
uy= ey /Σ│(yi+1)i*│.
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La compensazione degli errori lineari è applicabile solo se l’errore lineare totale
(termine a sinistra dell’uguale nella seguente espressione) risulta inferiore alla tolleranza Γl
(termine di destra).
ex2 + e y2 < e
n
∑d
i =1
i
dove: e è un parametro che dipende dal campo di applicazione della poligonazione
(generalmente si assume e=0,025).
Diversamente, se invece l’errore lineare totale risulta superiore alla tolleranza gli errori
commessi sono eccessivi (non tollerabili) e pertanto sarà necessario ripetere (totalmente o
in parte) le operazioni di rilievo.
E’ possibile ora ottenere le coordinare relative compensate mediante due passaggi:
¾ calcolo del fattore di correzione: essendo proporzionale alla lunghezza di
ciascuna coordinata relativa si ottiene nel seguente modo:
εx= ux ·│(xi+1)i*│
εy= uy ·│(yi+1)i*│
¾ compensazione delle coordinate relative:
(xi+1)i = (xi+1)i* - εx
(yi+1)i = (yi+1)i* - εy
Verificare che le somme delle coordinate relative compensate restituiscano 0, a meno di
piccoli scostamenti dovuti alle approssimazioni di calcolo, consente di accertare la
correttezza dei calcoli fin qui eseguiti.
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5.1.5
pag. 216
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Calcolo delle coordinate assolute Xi e Yi
Viene eseguito a cascata partendo dalle coordinate note X1 e Y1, utilizzando le seguenti
formule:
X i=Xi-1+ (xi)i-1
Yi=Yi-1+ (yi)i-1
5.2 Esercizi
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6 Calcolo delle aree
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pag. 219
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Una branca della topografia, detta agrimensura, si occupa di sviluppare metodiche da
applicare alla suddivisione delle superfici, alla rettifica e allo spostamento dei confini,
operazioni che trovano la loro principale applicazione nella procedura catastale del tipo di
frazionamento (argomenti che verranno sviluppati nei prossimi capitoli).
Premessa essenziale per poter sviluppare tali metodiche è la conoscenza dell’area
dell’appezzamento in esame. Per questo l’agrimensura si apre con la definizione dei
metodi per la determinazione delle superfici.
Alcune premesse:
¾ l’unità di misura utilizzata è il metro quadro (m2); nel caso di superfici agricole è
ancora utilizzato l’ettaro (indicato con ed equivalente a 10000 m2) e i suoi
sottomultipli (l’ara corrispondente a 10 m2 e la centiara corrispondente a 1 m2);
¾ l’area presa in considerazione dall’agrimensura non è quella reale ma quella
“topografica” ottenuta proiettando l’area reale sulla superficie di riferimento;
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pertanto nel caso di terreni in pendenza il valore ottenuto nelle applicazioni
topografiche risultano sempre minori di quelle reali e la differenza sarà maggiore
al crescere della pendenza. Ciò è giustificato dal fatto che l’effettivo valore e la
utilizzabilità di un appezzamento risulta proporzionale non all’estensione reale
ma alla sua proiezione orizzontale.
Molte sono le metodologie che si possono adottare per il calcolo delle aree, che si
differenziano per le condizioni operative e per i livelli di precisione richiesta. Sono, inoltre,
classificabili nel seguente modo:
¾ metodi analitici: si basano su formule matematiche che utilizzano direttamente i
dati del rilievo; pertanto si caratterizzano per la elevata precisione (che dipende
solo dalla approssimazione delle misure e da quella indotta dai calcoli) e per
tempi esecutivi significativi, soprattutto qualora i calcoli venissero eseguiti senza
il supporto di calcolatrice o computer;
¾ metodi grafici: utilizzano metodiche grafiche in grado di trasformare la forma
poligonale di un appezzamento in figure più semplici, per le quali il calcolo
dell’area si riduce alla misura di pochi elementi e alla risoluzioni di formule
molto semplici. Sono metodi che si possono applicare direttamente a
rappresentazioni cartografiche degli appezzamenti e che non richiedono tempi di
esecuzione lunghi ma che non garantiscono la precisione dei metodi analitici. Le
principali metodiche sono:
• il metodo del triangolo;
• il metodo del rettangolo;
• il metodo dell’integrazione.
¾ metodi grafo-numerici: si applicano qualora si debba determinare l’area di
figure che presentano il contorno (o parte di esso) curvilineo. Uniscono una parte
a sviluppo grafico all’applicazione di formule analitiche tratte dalle metodiche
dell’integrazione numerica. Sono metodi piuttosto veloci ma anche affetti da una
significativa approssimazione;
¾ metodi meccanici: comprendono sistemi basati sull’uso di strumenti (il reticolo
di Bamberg, il planimetro meccanico o, più recentemente, il planimetro
elettronico) che assicurano una elevata velocità esecutiva (si opera su
rappresentazioni cartografiche), controbilanciata da una elevata approssimazione
(intrinseca al metodo ma che aumenta esponenzialmente in caso di esecuzione
poco accurata).
Le cose si sono molto evolute con l’arrivo delle tecnologie informatiche che hanno
messo a disposizione sia strumenti hardware (tavolette digitizer, …) che software (CAD,
applicativi specifici per la topografia, …) in grado di assicurare grandi precisioni
(utilizzano metodi di tipo analitico) associate a elevate velocità esecutive.
In questa sede ci limiteremo alla descrizione solamente dei principali metodi analitici.
6.1 Poligoni di cui si è in possesso solo di rappresentazione cartografica
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Questo metodo si basa sul fatto che qualsiasi poligono (di n lati) è divisibile in almeno
n-2 triangoli; pertanto l’area del poligono è dato dalla sommatoria delle aree dei singoli
triangoli ottenuti.
n−2
S = ∑ Sitr
i =1
Le singole aree si possono ottenere con le seguenti formule:
¾ formula fondamentale della geometria;
S=
b⋅ h
2
¾ formula fondamentale della trigonometria:
¾ formula di Erone:
dove p = (a+b+c)/2.
Il metodo richiede la misura di lati e angoli (mediante righello e/o goniometro) e la
conversione mediante il fattore di scala con il quale l’appezzamento è stato rappresentato.
Ne risulta una metodologia veloce e un risultato piuttosto approssimato.
6.2 Poligoni dei quali sono noti tutti gli elementi ad esclusione di un lato e
dei due angoli adiacenti
Si utilizza una particolare formula (detta del camminamento) che consente di calcolare
l’area di una qualsiasi poligono di n vertici, di cui siano noti tutti i lati meno uno e tutti gli
angoli a parte quelli adiacenti al lato incognito.
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E’ una formula piuttosto complessa è laboriosa; nel caso, però, di una figura avente un
numero elevato di lati, si riducono i tempi di calcolo rispetto a quelli richiesti della
metodica della triangolazione.
Nel caso del poligono in figura la formula ha la seguente forma:
nel caso più generale di un poligono di n lati, la formula diventa:
per un totale di n-2 “righe”.
6.3 Poligoni dei quali sono note le coordinate di tutti i vertici
Nel caso di coordinate cartesiane vale la formula di Gauss:
Gli indici di sommatoria delle due precedenti formule dipendono dal senso con il quale
è stata assegnata la numerazione dei vertici. Non si tratta di un grosso inconveniente in
quanto, in caso di formula non corretta, il risultato presenterà semplicemente il segno
negativo, ma valore assoluto corretto.
Per semplificare il lavoro conviene inserire i dati delle coordinate nella formula, nel
seguente modo:
Se invece sono disponibili le coordinate cartesiane (di e θi), la formula diventa:
più facilmente applicabile con lo schema:
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pag. 223
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*****
In conclusione presentiamo un esempio di calcolo di area mediante foglio elettronico.
6.4 Esercizi
Nella seguente tabella sono elencate le coordinate cartesiane dei vertici di 5 poligoni.
Per ciascuno di essi:
¾ calcolare l’area mediante la formula di Gauss;
¾ trasformare le coordinate cartesiane in coordinate polari;
¾ calcolare l’area con la formula delle coordinate polari.
¾
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7 Restituzione grafica
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pag. 228
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La restituzione grafica è, generalmente, uno degli obiettivi finali dell’intero processo
topografico: i dati di rilievo, elaborati opportunamente (a partire da distanze, dislivelli e
angoli) si ottengono coordinate cartesiane o polari), che vengono riportati graficamente su
un supporto cartaceo o su monitor. In questo secondo caso si parla di interazione fra data
base che raccoglie i dati elaborati e specifici programmi CAD.
La precisione del risultato finale dipende soprattutto dalla metodologia di rilievo e
dagli strumenti utilizzati (per il rilievo, per l’elaborazione, per la restituzione).
Si distinguono due tipologie di restituzione:
o restituzione planimetrica;
o restituzione altimetrica.
7.1 Restituzione planimetrica
La prima operazione da eseguire è la scelta della scala di rappresentazione. Per fare
questo si fissano in primo luogo le dimensioni del foglio (21x29,7 cm per un foglio A4,
29,7x42 cm per l’A3, 42x59,4 cm per l’A2, …) e il relativo orientamento. Ciò consente di
fissare le dimensioni utili (che indicheremo con Δx e Δy) per la presenza di un margine
lungo il bordo del foglio (di almeno 1- 2 cm) nel quale si evita di disegnare (nel caso di un
A3 le dimensioni utili sono di circa 40x27 cm).
Si possono ora calcolare i fattori di scala minimi (fsx e fsy) lungo i due assi cartesiani:
¾ fsx = Δx /(xmax+|xmin|) dove:
• xmax è la coordinata x positiva massima;
• xmin è la coordinata x negativa minima.
¾ fsy = Δy /(ymax+|ymin|) dove:
• ymax è la coordinata y positiva massima;
• ymin è la coordinata y negativa minima.
Come è facile immaginare, si tratta di due fattori di scala diversi, a valore decimale, che,
se utilizzati, darebbero origine ad una restituzione deformata. Pertanto fra fsx e fsy si
sceglie il minore e lo si arrotonda ad un valore intero (100, 200, 300, 500, 1000, 1500, 2000,
2500, 3000, 4000, 5000, …).
Generalmente la restituzione grafica
richiede la presenza di un sistema di assi
cartesiani che deve essere posizionato in
modo tale da utilizzare al meglio lo spazio
Δy
grafico utile.
Δy*
Considerato l’orientamento del foglio e
le conseguenti dimensioni utili per il
Δx
disegno, l’asse y, rispetto al bordo
verticale di sinistra, viene posto a circa
Δx*
Δx*·(|xmin|/(xmax+|xmin|)) cm; allo stesso
modo l’asse x, rispetto al bordo orizzontale
in basso, viene posto a circa Δy*·(|ymin|/(ymax+|ymin|)) cm.
Il foglio deve presentare una specifica tabella contenente una serie di informazioni
particolarmente importanti: titolo del disegno, logo studio, numero della tavola, scala e
data, spazio per timbro del professionista, … . La tabella, la cui posizione non deve
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disturbare il disegno, viene possibilmente posta in basso a destra, in modo da risultare
centrata in un formato A4.
Le scritte devono rispettare una notevole serie di regole tecniche. In particolare devono:
¾ essere di diversa dimensione in base all’importanza;
¾ risultare centrate (orizzontalmente e verticalmente) nello spazio a loro destinato;
¾ risultare regolari, precise ed eleganti;
¾ non essere racchiuse fra due linee.
Studio di progettazione Altering
RILIEVO DEL GIARDINO
DI VILLA S. MARCO
Tav. 1
Si può ora riportare (dopo aver curato particolarmente la pulizia del tavolo, degli
strumenti grafici e delle mani), gli elementi del disegno seguendo, possibilmente,
questo ordine:
¾ struttura di base (ossatura del disegno alla quale agganciare tutti gli altri
elementi) costituita da:
• punti di cui si conoscono le coordinate cartesiane o polari;
• triangoli ottenuti per triangolazione o trilaterazione:
ƒ i triangoli vengono riportati a cascata, “appoggiando” un nuovo
triangolo all’ultimo riportato, mediante l’uso di compasso e/o
goniometro.
• punti individuabili mediante intersezione in avanti:
ƒ mediante almeno due distanze note da punti già rappresentati.
¾ procedendo dal generale al particolare si riportano:
• tutti gli elementi grafici ottenibili per condizioni di parallelismo o
perpendicolarità;
• tutti gli elementi grafici oggetto di rappresentazione o che comunque
consentono una maggiore comprensione dell’area rappresentata;
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•
tutti gli elementi che aumentano la “leggibilità” della rappresentazione
(didascalie, simboli, tratteggi, legenda, …):
ƒ con caratteri e simboli precisi, proporzionati al disegno e alla loro
importanza, eleganti.
• tratteggi, retini e colori.
Inizialmente gli elementi del disegno devono essere riportati con tratto leggero
utilizzando, con attenzione, una matita H2 o H1.
In particolare le linee di costruzione devono essere leggere (si devono intravedere) e si
devono incontrare con incroci di alcuni millimetri (“baffi”).
Inoltre come già indicato, non si devono fare squadrature al foglio, stando però attenti a
lasciare sempre un bordo di circa 1 cm libero dal disegno. Ricordiamo infine che si deve
dare rappresentazione della “fisicità” degli elementi: ad esempio il cordolo di una aiuola
ha uno spessore che deve essere indicato pertanto con una doppia linea.
Completata la rappresentazione di tutti gli elementi grafici, si ripassano quelli più
significativi (non le linee di costruzione) con una matita più tenera (HB, B1), ponendo
particolare cura nei punti di incrocio.
Per sporcare il disegno il meno possibile si ripassano prima le linee in una direzione
dall’alto al basso e successivamente le linee nella direzione perpendicolare alla precedente
sempre dall’alto verso il basso. Inoltre ricordarsi di rifare frequentemente la punta alla
matita o alla mina, di pulire frequentemente le mani, la riga e gli squadretti, di eliminare
gli accumuli di polvere di mina e dei residui di cancellazione e di usare gomme pulite e
con uno spigolo riservato per le sole cancellazioni di precisione.
Una volta terminato completamente il disegno, il foglio viene piegato tenendo il
disegno rivolto verso l’esterno, in modo da ottenere un formato A4, contenente la tabella.
7.2 Restituzione altimetrica
Con questa metodologia grafica si intende rappresentare la terza dimensione della zona
di rilievo; si tratta però di una rappresentazione “fittizia” in quanto la profondità lungo
l’asse z non può essere riportata realmente su un foglio o su un monitor in quanto entità a
sole due dimensioni. Per superare tale limite vengono utilizzate due diverse metodologie:
¾ piano quotato;
¾ curve di livello.
La tecnica del piano quotato prevede semplicemente l’inserimento in planimetria una
serie di punti significativi dal punto di vista altimetrico (con una densità proporzionale
alla scala e alla complessità dell’andamento plano-altimentrico), affiancati da un valore
numerico rappresentante la quota (generalmente quella assoluta).
Pertanto nel piano quotato, l’identificazione di un punto è data dalla sua posizione
planimetrica (coordinate x e y rispetto all’origine della rappresentazione, nella scala
prefissata) e dalla quota z indicata numericamente, generalmente tra parentesi, accanto al
punto. Si tratta di un metodo semplice ma di non immediata interpretazione. Infatti
richiede un lettura d’insieme di una serie di punti adiacenti interpretando la posizione
reciproca e i relativi dislivelli (differenze fra le quote).
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La retta è rappresentata attraverso la sua proiezione graduata. La graduazione consiste
nella rappresentazione, sulla proiezione della retta, di una serie di punti equidistanti
accanto ai quali viene segnato il valore di equidistanza:
Più complessa risulta la rappresentazione tridimensionale di una retta o di un
segmento. Infatti se per l’andamento planimetrico è sufficiente la sua proiezione
ortogonale sulla superficie di riferimento, l’andamento altimetrico richiede il tracciamento
di una graduazione mediante una serie di punti equidistanti sulla proiezione della retta a
quota intera (segnata accanto al punto in direzione ortogonale alla retta.
Il dislivello fra un punto ed il successivo, detto equidistanza, viene generalmente fissato
pari ad 1/1000 del fattore di scala.
E’ evidente che per eseguire la graduazione è necessaria conoscere posizione e quota di
almeno due punti appartenenti alla retta stessa. Infine si fa notare che la densità di
graduazione è proporzionale alla pendenza della retta.
Per rappresentare altimetricamente un piano è necessario limitarsi a visualizzare una
delle sue infinite rette di massima pendenza. Per fare ciò è necessario conoscere la
posizione e la quota di almeno tre suoi punti A, B e C. Grazie ad essi è possibile definire la
rappresentazione (con relativa graduazione) di tre rette, passanti per le tre diverse coppie
di punti noti (A e B, B e C, C e A). Unendo i punti a uguale quota si determinano le tracce
di un fascio di rette appartenenti al piano caratterizzate da avere quota costante. Tali rette
orizzontali vengono dette isoipse.
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A questo punto è sufficiente tracciare e graduare una delle infinite rette perpendicolari
al fascio delle isoipse, corrispondente ad una retta di massima pendenza appartenete al
piano.
Per indicare che tale retta è la rappresentazione di un piano, si utilizza una doppia riga.
Un ulteriore esempio viene mostrato nella figura successiva nel quale è rappresentato il
procedimento per la determinazione della rappresentazione del piano passante per il
punto A e per il segmento CB (retta s):
¾ si gradua la retta s;
¾ si traccia la isoipsa passante per A e per il punto della retta s posto alla stessa
quota (15,4);
¾ si traccia e si gradua una qualsiasi perpendicolare alla isoipsa.
*****
Il metodo delle curve di livello risulta molto più efficace ma richiede un processo di
elaborazione piuttosto complesso (in realtà ora viene eseguito in automatico da specifici
software) a partire dalla rappresentazione mediante piano quotato. Tale processo consente
di tracciate delle curve, dette anche isoipse, che indicano le linea lungo le quali la
pendenza è nulla (la quota assoluta si mantiene costante).
Dopo aver individuato tutti i punti significativi dal punto di vista altimetrico di cui
siano note le coordinate cartesiane (x;y;z), si collegano mediante segmenti in modo da
formare una serie di falde triangolari. Queste devono essere scelte in modo da
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approssimare nel miglior modo l’andamento reale del terreno. Per questo si fissano
preventivamente eventuali vincoli (bordi di strada, muretti, scarpate, …) che non possono
essere tagliati dalla congiungente due punti. in tal modo tali vincoli non possono trovarsi
all’interno di una falda ma solo sul confine.
Si esegue ora la graduazione su ognuno dei lati dei triangoli costituenti le falde,
adottando una equidistanza pari ad un millesimo del fattore di scala. A questo punto si
possono unire, con una spezzata, i punti della graduazione con la stessa quota.
L’ultimo passaggio prevede il tracciamento delle curve di livello (isoipse)
approssimando le spezzate con delle curve. Per fare ciò si possono adottare due tecniche:
¾ si rettificano gli spigoli con tratti curvi uscenti in modo tangente ai due segmenti;
¾ si rettificano i due segmenti imponendo comunque il passaggio della isoipsa per
il vertice.
E’ evidente che in entrambi i casi si opera una approssimazione.
Per facilitare la lettura della carta a intervalli regolari (di solito ogni 5 linee), una curva
di livello è tracciata con tratto più marcato. Inoltre si riportano i valori delle quote di
ciascuna curva lungo il bordo dell’area o all’interno.
Se le linee risultano particolarmente fitte, possono essere indicate solo relative a quote a
intervalli multipli dell’equidistanza.
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Per concludere riportiamo il procedimento per
determinare la quota di un punto P non appartenete
ad una curva di livello in una rappresentazione con
equidistanza e.
In primo luogo si traccia la linea passante per P
perpendicolare alla curva di livello adiacente alla
quota inferiore (zo). Per aumentare la precisione nel
tracciare la perpendicolare si utilizza il compasso
operando per tentativi fino a tracciare una
circonferenza tangente alla curva di livello.
Misurati i due segmenti parziali d e D (vedi figura)
si può determinare la quota di P mediante la seguente
formula:
zP= zo+e · d/D
7.3 Esercizio
Vengono fornite le coordinate cartesiane di 15 punti; dopo aver riportato su un foglio
nella scala opportuna si determini:
¾ le curve di livello posta la presenza di un vincolo lungo la spezzata MNODF;
¾ la quota dei punti R e S di coordinate:
• R(111,62;93,41);
• S(100,4;120,37).
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8 Suddivisione dei terreni, rettifica e spostamento dei confini
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8.1 Suddivisione dei terreni
In diversi casi di pratica professionale (disposizioni in caso di eredità, compravendita o
esproprio parziale, frazionamento di una particella per lottizzazione, ….) occorre
effettuare la divisione di appezzamenti di terreno in aree più piccole. Si vengono a
costituire, in tal modo, una o più particelle in base a dei criteri stabiliti precedentemente: il
numero di parti, la superficie destinata a ciascuna porzione (in termini assoluti o in
termini di percentuale) ed eventuali altre particolari condizioni (direzione confini,
passaggio dei confini per specifici punti, …).
La specifica procedura catastale (tipo di frazionamento) darà origine a nuove particelle
contraddistinte da una nuova numerazione:
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¾ nel Catasto italiano una particella mantiene il numero di quella iniziale, mente le
altre verranno numerate a partire dal numero successivo a quello più alto
attualmente in uso nello specifico Comune Catastale;
¾ nel Catasto ex austroungarico invece le particelle assumono un numero
frazionario progressivo (n/1, n/2, n/3, …).
Da un punto di vista estimativo possiamo avere due casi fondamentali:
¾ l’appezzamento si caratterizza per la presenza di aree con diverso valore e
pertanto la suddivisione non può essere effettuata solo in funzione di criteri
geometrici;
¾ si caratterizza per un valore costante (situazione che prenderemo in
considerazione in questa sede): la suddivisione può essere eseguita solo in base
ai valori di superficie (m2):
Molti sono i criteri di suddivisione che si possono adottare per un appezzamento
poligonale (del quale devono essere tutti gli angoli e tutti i lati):
¾ con dividenti tutte parallele ad una data direzione (un lato, quella dei filari, …).
Nella pratica professionale è questa la situazione più frequente.
¾ con dividenti tutte perpendicolari ad una data direzione;
¾ con dividenti uscenti da un determinato punto (un pozzo, un traliccio, …) posto
sul
confine
o
all’interno
dell’appezzamento.
¾ una
delle
innumerevoli
combinazioni dei precedenti casi.
In tutti i casi, comunque, l’obiettivo
fondamentale è quello di individuare la
posizione dei nuovi confini (cippi) rispetto
ai punti di confini esistenti.
La procedura risolutiva prevede come
primo passaggio il calcolo delle aree
parziali la cui entità, generalmente viene
definita mediante specifici coefficienti di
suddivisione (uno per ciascuna parte).
Questi vengono indicati con le lettere p, q, r,
s, …, mentre con n si indicala loro somma.
Pertanto i valori delle aree parziali diventano (in riferimento alle precedente figura:
I manuali riportano estese casistiche di suddivisione con le relative formule. In realtà
tutti i casi possono essere risolti applicando in modo ragionato le formule viste per i
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triangoli e due metodiche relative al distacco da un poligono di un triangolo e di un
trapezio.
Si opera il distacco di un’area triangolare qualora l’area da distaccare (S3) risulta
inferiore all’area del triangolo CDH (vedi figura). Poiché nei triangoli simili esiste una
proporzionalità al quadrato fra lati corrispondenti e aree, il nuovo confine si trova
mediante le seguenti formule:
CP =
S3
CD
SCDH
CQ=
S3
CH
SCDH
Consideriamo ora il caso del distacco di una superficie trapezia di area S1, a partire da
un lato (base) dell’appezzamento di cui sono note la lunghezza (AB nel disegno) e i due
angoli adiacenti (α e β).
La risoluzione richiede tre passaggi:
1. è possibile dimostrare che il valore dell’altezza h del trapezio è data da una
delle due soluzioni della seguente
⎛ 1
1 ⎞
equazione di 2° grado:
AB ± AB 2 − 2 S ⎜
+
⎟
⎛ 1
1 ⎞ 2
⎜⎜
⎟⎟ x − (2 AB)x + 2S1 = 0
+
tan
tan
α
β
⎝
⎠
x1/ 2 =
dove:
1⎜
⎟
⎝ tan α tan β ⎠
1 ⎞
⎛ 1
⎜⎜
⎟⎟
+
⎝ tan α tan β ⎠
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2. fra le due soluzioni si prende quella (x*) che, in valore assoluto, più si
avvicina al rapporto S1/h;
3. è possibile ora calcolare la posizione del nuovo confine con le seguenti
formule:
x*
x*
AM =
BN =
sen α
sen β
Per meglio comprendere questo argomento proponiamo alcuni esercizi.
1. si divida il quadrilatero ABCD in tre parti (proporzionali ai coefficienti 3,5; 4,5; 3,2),
con dividenti parallele al lato CD (l’area S1 a partire da CD). Del quadrilatero sono
noti i seguenti elementi:
o AB = 98,388; CD = 65,323; AD = 66,153; BC = 115,444
o α = 135,456 gon; β = 54,393 gon; δ = 95,923 gon; γ = 114,228 gon.
2. si divida il quadrilatero ABCD in tre parti (proporzionali ai coefficienti 4, 5, 3), con
dividenti parallele al lato AB (l’area S1 a partire da AB). Del quadrilatero sono noti i
seguenti elementi:
o BC = 34,61; CD = 42,45; AD = 52,63;
o γ = 100,6847 gon; δ = 75,9147 gon.
8.2 Rettifica e spostamento confini
L’operazione di rettifica di un confine consiste nella semplificazione della relativa
geometria quando si dimostra non più funzionale ad un razionale uso dei due
appezzamenti confinanti. In tal caso la spezzata viene sostituita da una semplice retta
(linea rossa in figura).
Proprietario I
Proprietario I
C
A
A
B
D
B
Proprietario II
Proprietario II
L’operazione di spostamento di un confine, invece, si limita alla modificazione della
geometria del confine.
In entrambi i casi la nuova configurazione del confine dipende dagli accordi fra i
proprietari, che fissano particolari condizioni da rispettare: perpendicolarità ad un confine,
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parallelismo ad una determinata direzione (capezzagna, andamento filari, …), passaggio
per un determinato punto (pozzo, traliccio, …).
Proprietario I
C
A
D
B
Proprietario II
Se l’accordo non prevede una condizione diversa, il nuovo confine deve mantenere
inalterata la superficie dei due appezzamenti confinanti (compenso).
8.3 Metodologia operativa
Le operazioni di spostamento o di rettifica di un
confine richiede lo svolgimento di alcuni passaggi
operativi. In primo luogo si deve definire un
confine provvisorio (confine di prova), scelto in
modo da soddisfare le condizioni prefissate (in
figura la perpendicolarità al confine r) e per
consentire una semplice determinazione delle aree
che si formano fra il vecchio confine e quello
nuovo.
Generalmente si opera su aree triangolari, come
nell’esempio in figura dove si deve operare il
calcolo relativo ad ABE, CEF, DFP. Tale calcolo è
consentito dalla conoscenza di tutti gli elementi
(lati e angoli) relativi al vecchio confine (in figura
AB, BC, CD, α, β, γ, δ).
Calcolate le aree individuate (in figura S1, S2,
S3), si determina il torto prodotto dalla scelta del confine di prova. Nell’esempio il
proprietario I subisce una perdita pari a S1+ S3- S2.
E’ possibile ora compensare tale torto restituendo un area, pari al torto, di forma
triangolare o trapezia in funzione delle caratteristiche che deve avere il confine. In
particolare sarà un’area triangolare nel caso di confine uscente da un punto fisso, mentre si
dovrà adottare un’ara trapezia in caso di confine parallelo ad una data direzione (come nel
caso in figura).
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L’ultimo passaggio prevede la determinazione della distanza dei termini del nuovo (P
in figura) confine rispetto ai termini del vecchio confine (D).
Consideriamo il caso di una rettifica di un confine
trilaterale con un nuovo confine uscente da un
determinato punto (A). Calcolato il torto T = S1 + S2
determinato dalla scelta del confine di prova AP, è
possibile operare il compenso restituendo al
proprietario I un’area triangolare pari a T dove:
PQ =
2T
APsenε
E’ ora possibile calcolare DQ = PQ – DP, cioè la
distanza del termine del nuovo confine rispetto al
termine di quello vecchio, elemento che rappresenta
l’obiettivo finale dell’intero processo.
Nel caso, invece, il confine debba essere parallelo
ad una data direzione (predefinita e pertanto nota) si
deve operare una compensazione con un’area trapezia.
Anche in questo caso, per calcolare il torto T = S1 + S3
- S2 è stato necessario risolvere tutti i triangoli in gioco e
pertanto ora sono noti tutti i loro elementi fra i quali AP
(confine di prova) e l’angolo ε. Si può pertanto applicare
la regola del trapezio (vista per la suddivisione delle
aree), ottenendo AQ e PR.
Si termina con il calcolo di DR = DP - PR che, assieme
ad AQ rappresentano le distanze dei termini del nuovo
confine rispetto ai termini di quello vecchio.
8.4 Esercizi
1. Due proprietà confinanti (I e II) sono separati da un confine rettilineo AB. Le stesse
proprietà sono separate da altre proprietà contigue dagli allineamenti AA’ e BB’, con
A’ e B’ situati sul confine laterale della proprietà I. Sono state effettuate le seguenti
misure:
AB = 109,14
A’AB = 123,1731 gon
ABB’ = 97,8536
• si determini la posizione di un nuovo confine rettilineo di compenso, uscente dal
punto P del confine laterale posto a 55,24 m da A;
• si determini la posizione di un nuovo confine rettilineo di compenso, che forma
con l’allineamento AA’ un angolo ω pari a 84,3412 gon.
2. Due appezzamenti di terreno contigui, appartenenti a due distinti proprietari, hanno
la parte di confine in comune rappresentata dal segmento AB. L’appezzamento
superiore ha forma triangolare ABC. In fase di rilievo sono state rilevate le seguenti
misure:
AB = 255,48
CAB = 94.315 gon CAB = 68,844 gon
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•
•
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si determini la posizione di un nuovo confine rettilineo di compenso, uscente dal
punto S situato a 64,35 m da A verso C;
si determini la posizione di un nuovo confine rettilineo di compenso,
perpendicolare all’allineamento CB.
*****
3. Un appezzamento pentalatero ABCDE, i cui vertici si susseguono in senso
antiorario, ha in comune con una proprietà contigua il confine bilatero ABC. I
confini laterale delle suddette proprietà sono costituiti dai prolungamenti dei lati AE
e CD. Sono state effettuate le seguenti misure:
AB = 103,46 m; BC = 81,24 m;
EAB = 131,4521 gon;
ABC =166,1293;
BCD = 95,2722.
• si sostituisca al confine ABC un nuovo confine rettilineo di compenso, uscente
dal punto P distante 21,29 m dal vertice A, sul lato AE;
• si sostituisca al confine ABC un nuovo confine rettilineo di compenso, che formi
con il confine laterale AE un angolo ω pari a 86,2932 gon.
4. Due proprietà confinanti I e II sono separate da un confine poligonale ABCDE e,
attraverso gli allineamenti AA’ e EE’, da altre proprietà contigue. Sono stati misurati
i seguenti elementi del confine comune:
AB = 81,12m; BC = 75,73m; CD = 100,69m; DE = 51,33m;
A = 129,8862 gon; B = 101,4407; C = 255,1430; D = 167,1916; E = 114,1209;
• si sostituisca al confine attuale un nuovo confine rettilineo di compenso, uscente
dal punto P del confine AA’ ad una distanza di 44,25 m;
• si sostituisca al confine attuale un nuovo confine rettilineo di compenso, che
formi con il confine laterale AA’ un angolo ω pari a 80,2325 gon.
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9 Tipo di frazionamento
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La fase di aggiornamento del catasto prevede la possibilità di effettuare specifici
interventi (atti geometrici di aggiornamento) che comportano modifiche nella mappa
particellare. Tali interventi, in funzione dell’ambito di applicazione si classificano in:
¾ tipo di frazionamento se riguarda la divisione di una particella in due o più
parti; si rende necessario quando si ha il trasferimento di proprietà o di altro
diritto reale che riguarda una porzione di particella;
¾ tipo mappale qualora si interviene su nuovi fabbricati o nel caso di modifica di
fabbricati esistenti;
¾ tipo particellare, in caso di accorpamenti e verifiche.
Nel catasto ex-austroungarico tale distinzione non esiste e si parla solo di tipo di
frazionamento.
La richiesta di effettuare tali modifiche deve essere presentato all’ufficio competente per
territorio e possono essere redatte da 6 categorie di tecnici liberi professionisti: architetti,
ingegneri, dottori agronomi, geometri, periti agrari e periti edili.
L’iter prevede diverse fasi:
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Elementi di topografia parte II