gli altri casi nazionali
LA GERMANIA
slides della lezione quindicesima a.a. 2008-09
Un caso
di veloce modernizzazione
 INDUSTRIALIZZAZIONE RITARDATA
...e tuttavia rapida (1830-1870)
Essa si innestò su un antico (e ricco)
retroterra mercantile e manifatturiero.
I grandi mercanti, intermediatori naturali dei
manufatti, già all’inizio del ‘700 operavano
su vasta scala e su lunghe distanze,
superando i confini di una Natio Germanica
divisa in decine e decine di stati, principati,
città-stato.
Già alla fine del Settecento le attività
commerciali e manifatturiere avevano
compiuto tali progressi, particolarmente nelle
produzioni tessili, nella lavorazione dei metalli
e nelle varie estrazioni minerarie, che anche in
Germania cominciò l’impiego del vapore e dei
primi macchinari mossi da energia artificiale
(idraulica, innanzitutto), anche se per qualche
tempo esso costituì una eccezione rispetto alla
norma, e quindi non sufficientemente diffuso
da consentire di parlare di un vero decollo
industriale.
Tali sviluppi, comunque, incoraggiarono il
progresso tecnico, l’accumulazione di capitali
per gli investimenti, e la creazione di una
moderna forza-lavoro separata dalla
manodopera agricola, rendendo anche
possibile la formazione di un attivo ceto di
imprenditori (o potenziali tali) destinato a
ricoprire un ruolo fondamentale nella
rivoluzione industriale.
IL RETROTERRA
PROTOINDUSTRIALE
 Hanwerk
 Verlag
 Manufaktur
 Verlag
Il Verlag, (o sistema dell’“appalto”) è il
sistema altrove conosciuto come quello
del mercante-imprenditore.
Questo implicava - accanto alla
centralizzazione dell’acquisto delle materie
prime, della distribuzione delle merci finite, e
presto della stessa proprietà dei mezzi di
produzione (attrezzi tradizionali, ma anche le
prime macchine) - il decentramento delle
lavorazioni presso lavoratori casalinghi
prevalentemente rurali, ma talvolta anche
urbani (ad esempio, artigiani incapaci di
ricavarsi - o conservarsi - una propria
clientela).
Non furono pochi i “Verlager”, vale a dire i
mercanti-imprenditori, che introdussero le
prime forme di “divisione del lavoro”. Per cui i
semilavorati passavano da un luogo di
produzione all’altro (e, quindi, da un
lavoratore specializzato all’altro) per
trasformarsi in prodotto finito.
I lavoranti casalinghi producevano per un
unico operatore economico agente su vasta
scala, il Verlager appunto, che collocava il
prodotto su mercati ben più ampi di quello
locale, sia dello stato di appartenenza che di
quelli limitrofi od anche più lontani.
Col tempo, grossomodo prima della metà del
Settecento, molti di questi Verlager giunsero
a prestabilire non solo la qualità e le modalità
di lavorazione, ma anche il prezzo del bene
loro fornito, di fatto rendendo i lavoranti
casalinghi, in teoria indipendenti, sempre
meno autonomi, ma sotto-posti all’autorità del
Verlager; come giunsero ad accentrare nei
propri magazzini la fase di finitura del
prodotto, per controllarne la qualità di
esecuzione, e in definitiva per renderlo
omogeneo ai fini dell’avvio al mercato.
Nessuno dei tre sistemi produttivi preindustriali (Handwerk, Verlag, Manufaktur)
esistette tuttavia in forma pura.
Si susseguirono infatti diverse fasi di
transizione tra il sistema artigianale e il
sistema dell’appalto. La manifattura e lo
stesso “sistema d’appalto” sovente
interagivano tra loro, soprattutto quando - ad
esempio nel tessile - una parte della
produzione (tintura, follatura e lavorazione
finale dei materiali) era centralizzata nella
manifattura, mentre un’altra parte del ciclo
produttivo (filatura, tessitura) veniva svolta da
artigiani o da lavoranti a domicilio al servizio
del Verlager.
Il passaggio al “sistema di fabbrica” fu dovuto
essenzialmente all’intraprendenza dei
Verlager. Si trattò in particolare di quelli che
avevano sede nei grandi centri commerciali e
produttivi della Sassonia, della Renania e
della regione di Augusta, che provenivano da
famiglie con antica tradizione mercantile a
grande dimensione e già usi ad operare su
lunghe distanze. Questi disponevano nelle
loro ditte sia di artigiani alle loro dirette
dipendenze che di piccoli ma efficienti nuclei
impiegatizi.
La maggioranza dei Verlager, grazie alle
precedenti (o compresenti) attività mercantili
familiari, conoscevano e praticavano
direttamente il mercato dei beni. In settori
coinvolti con la vendita su larga scala di
articoli relativamente omogenei (tessuti,
bottoni, orologi, aghi, coltelleria ecc.)
potevano seguire con tempestività,
adeguandovi il livello di produzione, i
mutamenti della domanda, riuscendo anche
a spostarsi tempestivamente da mercati in
flessione ad altri in espansione.
Il Verlager assolse, nella sua crescita, ad alcune
delle più importanti funzioni dell’imprenditore
industriale, favorendo progressivi mutamenti sia
nella funzione produttiva che in quella della
commercializzazione.
Anche prima che la meccanizzazione della produzione imponesse l’accentramento dei lavoratori in
uno stesso luogo, alcuni “appaltatori” avevano
cominciato a integrare geograficamente i processi
di lavorazione (compiendo perciò un ulteriore
gradino verso l’impresa industriale), spinti
dall’esigenza di controllare in modo più continuo e
regolare l’andamento della produzione, di
migliorarne la qualità, di fronteggiare i crescenti
costi delle materie prime e delle lavorazioni
accessorie.
Essi cercarono infatti di rendersi indipendenti
sia dai fornitori, che da coloro che
eseguivano la finitura del prodotto (ad
esempio le corporazioni, o le cooperative dei
follatori e dei tintori).
Talché l’inizio della centralizzazione
produttiva riguardò le prime e le ultime fasi
delle lavorazioni, per le quali cominciarono
ad essere riuniti in grossi edifici a più piani
centinaia di lavoratori addetti a questi compiti.
Man mano che l’uso di macchinari
complessi implicanti l’impiego dell’energia
idraulica prima, e del vapore poi, lo rese
necessario, la centralizzazione si estese ad
altre fasi di lavorazione, anche se spesso
alcune continuarono a restare decentrate
nel territorio. Come dire che il sistema di
fabbrica nacque gradualmente, per
integrazione successiva delle varie fasi del
ciclo precedentemente separate.
Le motivazioni
al rischio d’impresa
Anche gli studiosi tedeschi si sono posti il
problema di indagare le motivazioni che nel
loro paese spingevano un individuo al rischio
d’impresa.
Ritrovandole in aspettative non molto diverse
da quelle presenti nella prima imprenditoria
inglese: innanzitutto, nello status e nel prestigio sociale che una solida attività
economica determinava naturalmente nel
contesto dei paesi tedeschi.
Il desiderio di indipendenza personale, di
benessere, di ascesa sociale, veniva del
resto generalmente considerato come un
atteggiamento razionale nella società
tedesca dei primi decenni dell’Ottocento.
Gli stessi stati locali, ed i sovrani in primo
luogo, cercavano di stimolare
l’intraprendenza individuale attraverso premi
e scuole, concessioni e sussidi.
Il successo individuale veniva inteso come un
contributo al bene generale. Certamente
grazie al diffondersi delle idee liberali (prima
ancora che liberistiche) che influenzavano
gran parte delle classi colte: ma vi contribuiva
anche una specifica cultura tedesca
(“romantica”, nazionalista: poco importa) che
cominciò sempre più a concepire il progresso
tecnico ed economico come entità al servizio
della grande “nazione” tedesca.
Questo retroterra culturale (ma anche politico)
ebbe un effetto tangibile, soprattutto nel caso
degli imprenditori le cui attività non soddisfacevano a necessità di immediato ordine materiale.
Fu il caso delle ferrovie, per alcuni studiosi il
settore-guida della rivoluzione industriale
tedesca, che vennero introdotte e si
propagarono come strumento di una politica di
sviluppo a lungo termine: a vantaggio
dell’impresa che avviava la costruzione di una
determinata linea, della città (quella
dell’imprenditore) principalmente servita, e più
complessivamente del paese intero.
IL VALORE “SOCIALE”
DELL’IMPRENDITORE…
- attore e collante della società
L’istruzione tecnica
Nei paesi tedeschi, ed a maggior ragione
nella Germania unita, l’Istruzione tecnica e
l’Istruzione tecnico-scientifica hanno
assolto - contrariamente a quanto avvenne
in Gran Bretagna, ma anche nel nostro
paese - ad un ruolo strategico nella
formazione imprenditoriale.
Tra i protagonisti dell’industrializzazione
tedesca, l’educazione empirica fu la norma;
in taluni casi era presente una limitata
istruzione che oggi chiameremmo “primaria”,
unita a un periodo di apprendistato artigiano
e a qualche soggiorno di lavoro all’estero alle
dipendenze di qualche imprenditore amico di
famiglia; in altri casi un’istruzione di grado
medio-alto fu accompagnata da qualche
forma di addestramento commerciale.
Un crescente - ancorché minoritario - gruppo
di industriali, poteva vantare qualche
esperienza pratica essendosi “fatte le ossa”
in qualche fabbrica o, nel caso di industriali di
seconda generazione, avendo “fatto la
gavetta” nelle imprese paterne.
L’istruzione commerciale, nonostante
l’esistenza di alcune vecchie e nuove scuole
commerciali, talvolta serali, rimase per
decenni essenzialmente empirica, ed
ancorata ai vecchi schemi mercantili;
successivamente - soprattutto dopo il terzo
decennio dell’Ottocento, e di concerto con
l’iniziativa degli stati - si svilupparono alcune
grandi scuole commerciali e tecniche, e gli
istituti di istruzione superiore, che integrarono
l’addestramento pratico con un’istruzione a
carattere più scientifico.
Tali scuole prepararono un numero molto
maggiore di tecnici qualificati che di
imprenditori indipendenti, ed ebbero
indubbiamente maggiore influenza verso la
fine del secolo, che non nei primi decenni
dell’industrializzazione. Ma anche in quel
periodo, lasciarono comunque un’impronta
significativa nella formazione del ceto
imprenditoriale, soprattutto di seconda
generazione.
Furono tuttavia non pochi gli studenti in
queste scuole diplomati che alla fine, pur non
figli di imprenditori, scelsero poi la strada
dell’impresa…
IL NODO
DEL FINANZIAMENTO
- risorse personali e/o familiari ed amicali
- autofinanziamento
- il credito bancario
- le prime società azionarie
- i crack borsistici e la riforma delle società
azionarie degli anni ’70 dell’800
- il c.d. Consiglio di Sorveglianza
I problemi di gestione
- La contabilità
- La gestione del personale
LA BANCA “MISTA”
 Società azionaria di diritto privato
 Rete estesa di sportelli nelle varie parti
del paese, allo scopo di intercettare il
risparmio privato da utilizzare per le
operazioni di prestito alle imprese
 Pluralità di operazioni effettuate: credito
a vista (credito commerciale), credito a
medio-lungo termine (credito per gli
investimenti), servizi aggiuntivi alle
imprese
 IL VELOCE PROCESSO DI
CONCENTRAZIONE PRODUTTIVA
 BANCHE MISTE E “CONSIGLIO DI
SORVEGLIANZA”
 LA SPINTA ALLA TRASFORMAZIONE IN
SOCIETA’ AZIONARIE DELLE IMPRESE
CLIENTI
 I DIPARTIMENTI DI RICERCA & SVILUPPO
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