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Sommario
28 settembre 2015
36
IRAP
La regolamentazione dell’autonoma organizzazione ai fini IRAP: il nodo dei beni
strumentali
La regolamentazione normativa del requisito dell’autonoma organizzazione ai fini dell’assoggettamento all’IRAP
appare ormai imminente. È importante che in tale sede si tenga conto, nel definire la rilevanza dell’impiego dei
beni strumentali, dell’orientamento prevalente della Corte di cassazione, che non ha fatto riferimento al valore
economico ma alla natura e alla funzione dei beni, che devono eccedere il minimo indispensabile per l’esercizio
dell’attività. Potrebbe essere data, semmai, rilevanza al numero dei beni impiegati, come proposto dal
CNDCEC.
3711
di Gianfranco Ferranti
Le novità IRAP per il 2015 alla luce degli ultimi chiarimenti delle Entrate
Le modifiche alla disciplina dell’IRAP introdotte dalla Legge di stabilità per il 2015 hanno interessato il ‘‘panorama’’ delle deduzioni di lavoro dipendente e alcuni altri aspetti riguardanti il tributo regionale. In particolare, la norma prevede la deduzione integrale dei costi dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e l’introduzione di
un credito d’imposta pari al 10% per i contribuenti che non impiegano lavoratori dipendenti. Le disposizioni sono state oggetto di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle entrate, che, con la circolare n. 22/E del 2015, ha risolto alcuni dubbi sollevati dalle associazioni di categoria. Restano, tuttavia, aspetti non chiari con riferimento alla somministrazione e al distacco dei lavoratori e alla gestione degli accantonamenti per il TFR o per altri oneri
relativi al personale.
3716
di Pietro Petrangeli
Tributi locali
ICI sulle scuole paritarie: la Cassazione tra (pseudo?) norme interpretative e vincoli
comunitari
La Suprema Corte, con sentenze nn. 14225 e 14226 del 2015, ribadisce il proprio consolidato orientamento interpretativo dell’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504/1992, circa l’esenzione dal pagamento dell’ICI, come
l’unico in grado di coerenziare la disposizione interna con i vincoli apposti dalla normativa europea in materia di
concorrenza, mandandola indenne da possibili censure per contrasto con la disciplina sugli aiuti di Stato, e, nel
porre a carico del contribuente l’onere di provare la modalità non commerciale di svolgimento dell’attività, individua parametri di riferimento che peraltro si rivelano solo in parte in linea rispetto a quanto al riguardo disposto
dal D.M. n. 200/2012.
3726
di Laura Castaldi
IVA
I contribuenti minimi localizzano le prestazioni secondo le regole comuni e possono
avvalersi del ‘‘MOSS’’
Anche i contribuenti in regime di vantaggio per l’imprenditoria giovanile ed i lavoratori in mobilità (già regime
per i contribuenti minimi) applicano, per la localizzazione delle prestazioni di servizi ai fini dell’IVA, le regole comuni stabilite per la generalità dei soggetti passivi. Essi possono pertanto avvalersi, per le prestazioni di ‘‘ecommerce’’, rese nei confronti di privati consumatori di altri Paesi UE, del regime semplificato ‘‘MOSS’’. Lo ha
chiarito l’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 75/E del 2015, rettificando parzialmente le indicazioni fornite
con la circolare n. 36/E del 2010.
di Franco Ricca
Corriere Tributario 36/2015
3735
3707
Sommario
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28 settembre 2015
Non autonomamente soggetti ad IVA i ‘‘bonus qualitativi’’ erogati ai concessionari
di autoveicoli
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 11398 del 2015, ha qualificato come ‘‘misto’’ il ‘‘bonus’’, erogato dai
produttori e distributori ai concessionari di autoveicoli, collegato inscindibilmente a due obbligazioni che, se fossero autonome, darebbero luogo sia ad una variazione in diminuzione dell’acquisto, con diritto di recupero dell’imposta, sia ad una prestazione di servizi soggetta a IVA. La doppia natura, ‘‘quantitativa’’ e ‘‘qualitativa’’, dell’incentivo implica che gli obiettivi di qualità, normalmente diretti allo sviluppo dell’attività commerciale, non possano avere una valenza autonoma e, quindi, costituire il corrispettivo, imponibile ai fini IVA, di una specifica obbligazione di fare. Tale conclusione, che presuppone una valutazione in fatto relativa all’interpretazione degli accordi contrattuali, si applica quando le clausole riguardanti i ‘‘bonus’’ da erogare ai concessionari risultano caratterizzate da una comune base di calcolo, corrispondente al totale degli importi relativi alle vendite di autoveicoli
effettuate dai produttori o distributori nei confronti dei rivenditori.
3741
di Marco Peirolo
Reati tributari
Apprezzabile evoluzione garantista della Cassazione sulla prova della ‘‘sproporzione’’
e dell’‘‘evasione’’
Correttamente la Suprema Corte, con sentenza n. 29553 del 2015 della Sezione II penale, fissa il principio per
cui l’interessato può dimostrare la legittima provenienza del bene sequestrato in quanto acquistato con proventi
proporzionati alla propria ‘‘capacità reddituale lecita’’, tenendosi conto del ‘‘patrimonio legittimamente accumulato’’. L’analisi del patrimonio del soggetto - che non possa ‘‘giustificare la provenienza’’ delle disponibilità economiche non confacenti alla sua condizione - deve in sostanza prescindere da una sua valutazione in termini strettamente tributari, come potrebbe essere necessario se si ragionasse in chiave esclusivamente fiscale della problematica in termini.
3750
di Ivo Caraccioli
Accertamento
Si fa presto a dire ‘‘diritto al contraddittorio’’
Il contraddittorio preventivo all’emissione dell’atto suscettivo di produrre conseguenze pregiudizievoli per il contribuente gioca un ruolo cruciale nell’equilibrio tra esigenze dell’accertamento tributario e tutela del diritto di difesa del soggetto destinatario, sul quale sono ormai da tempo impegnate sia la Corte di Giustizia che la nostra
Corte di cassazione. Il dibattito sembra essersi fin qui concentrato prevalentemente sul profilo delle conseguenze della mancata attivazione del contraddittorio (nullità dell’atto impositivo) e meno sulla sua reale funzione. Se,
però, si vuole evitare di confinare il respiro del ragionamento alla ricerca dell’ennesimo congegno di tattica contenziosa per far invalidare gli atti, magari per altro verso fondatissimi, dell’Amministrazione finanziaria, occorre
interrogarsi sulla effettiva utilità del contraddittorio o, meglio, delle conseguenze della sua effettiva attivazione.
3760
di Philip Laroma Jezzi
Sanzioni
Il ravvedimento riformato compromette la deterrenza del sistema sanzionatorio
tributario
L’estensione dall’ambito di applicabilità del ravvedimento operoso attuata dalla Legge di stabilità 2015 è volta
ad incentivare la ‘‘tax compliance’’, ovvero l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari da parte dei contribuenti, liberando risorse umane da destinare agli accertamenti dei contribuenti che si avvalgono di modelli sistematici di evasione. Tuttavia, a tale estensione fa da contraltare un sistema sanzionatorio tributario ancora caratterizzato da fattispecie di difficile intelligibilità anche per i tecnici del diritto, che sanzionano più volte compor-
3708
Corriere Tributario 36/2015
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Sommario
28 settembre 2015
tamenti sostanzialmente omogenei, conducendo all’applicazione di sanzioni sproporzionate all’effettivo disvalore
della violazione realizzata, in contrasto con il principio di proporzionalità ribadito da ultimo dalla Corte di Giustizia
nella sentenza Equoland.
3767
di Fabrizio Cerioni
Lavoro dipendente
Cautele per i riflessi fiscali del trasferimento d’azienda dei dipendenti
Le vicende che nel tempo possono interessare un rapporto di lavoro sono, per comune esperienza, le più varie
e sovente suscettibili di implicazioni fiscali, specie sotto il profilo della sostituzione d’imposta, di rilievo anche
sanzionatorio. Alcune problematiche possono nascere, ad esempio, nel caso di trasferimenti d’azienda, ma è
certo che agli stessi possono essere date corrette soluzioni qualora tra i diversi sostituti d’imposta siano stati attivati corretti canali informativi concernenti la posizione dei singoli lavoratori interessati, specie per quanto concerne il TFR trasferito.
di Franco Petrucci
3776
Per la consultazione della normativa, della prassi e della giurisprudenza tributaria citate nel presente fascicolo si
rinvia alla Banca Dati BIG Suite, IPSOA.
Corriere Tributario 36/2015
3709
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Settimanale di attualità, critica e opinione
Direzione scientifica
Cesare Glendi - Professore Emerito di diritto processuale civile presso l’Università di Parma e Avvocato in Genova
Coordinamento scientifico
Gianfranco Ferranti - Professore ordinario della Scuola nazionale dell’amministrazione
Comitato scientifico
Massimo Basilavecchia - Professore ordinario di diritto tributario presso l’Università di Teramo e Avvocato in Pescara
Mauro Beghin - Professore ordinario di diritto tributario presso l’Università di Padova, Avvocato e Dottore commercialista
in Padova
Mariagrazia Bruzzone - Avvocato in Genova
Angelo Busani - Notaio in Milano
Paolo Centore - Avvocato in Genova e Milano
Primo Ceppellini - Dottore commercialista in Milano
Piermaria Corso - Professore ordinario di diritto processuale penale presso l’Università di Milano e Avvocato in Milano
Mario Damiani - Professore straordinario di diritto tributario presso l’Università LUM J. Monnet - Bari e Titolare modulo J.
Monnet della Commissione europea
Annibale Dodero - Agenzia delle entrate - Direttore Centrale Normativa
Alberto Marcheselli - Professore di diritto finanziario presso l’Università di Genova, Avvocato in Genova
Luca Miele - Dottore commercialista in Roma
Paolo Moretti - Presidente Istituto per il Governo Societario e della Fondazione Accademia romana di ragioneria
Carlo Pino - Dottore commercialista in Savona
Raffaele Rizzardi - Dottore commercialista - Componente del Comitato Fiscale della Confédération Fiscale Européenne
Luca Rossi - Dottore commercialista in Milano e Roma
Gianfilippo Scifoni - Responsabile Servizio Fiscale Ania
Dario Stevanato - Professore ordinario di diritto tributario presso l’Università di Trieste, Avvocato e Dottore commercialista
in Venezia
Ivan Vacca - Condirettore generale Responsabile imposizione diretta, Responsabile coordinamento imposizione indiretta ASSONIME
Giuseppe Zizzo - Professore ordinario di diritto tributario presso l’Università C. Cattaneo - Liuc Castellanza e Avvocato in
Milano
Editrice Wolters Kluwer Italia S.r.l. - Strada 1, Palazzo F6 - 20090 Assago (Mi) - http://www.ipsoa.it
Direttore responsabile Giulietta Lemmi
Redazione Paola Boniardi, Valentina Cazzaniga, Marcello Gervasio
Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 361 del 2 novembre 1977. Tariffa R.O.C.: Poste
Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004
n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano.
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31 luglio 1991. Iscrizione al R.O.C. n. 1702
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Ipsoa Redazione Corriere Tributario
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IRAP
La regolamentazione dell’autonoma
organizzazione ai fini IRAP:
il nodo dei beni strumentali
di Gianfranco Ferranti (*)
La regolamentazione normativa del requisito dell’autonoma organizzazione ai fini dell’assoggettamento all’IRAP appare ormai imminente. È importante che in tale sede si tenga conto, nel
definire la rilevanza dell’impiego dei beni strumentali, dell’orientamento prevalente della Corte
di cassazione, che non ha fatto riferimento al valore economico ma alla natura e alla funzione
dei beni, che devono eccedere il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività. Potrebbe essere data, semmai, rilevanza al numero dei beni impiegati, come proposto dal CNDCEC.
La definizione dell’autonoma organizzazione rilevante ai fini dell’assoggettamento all’imposta
regionale degli esercenti arti e professioni e degli imprenditori individuali, che non è stata
introdotta in sede di attuazione della Legge delega fiscale (1) (ormai “scaduta”) sarà probabilmente tradotta in norma in occasione della
prossima Legge di stabilità. Uno degli aspetti
più importanti e delicati che dovrà essere, al
riguardo, affrontato è quello della definizione
del requisito dell’impiego di beni strumentali
eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit,
il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione.
Si ricorda che la Cassazione ha costantemente
affermato che l’autonoma organizzazione, il cui
accertamento spetta al giudice di merito ed è
insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, sussiste tutte le volte in cui il
contribuente:
a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in
strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
b) impieghi i detti beni strumentali che eccedono il minimo indispensabile oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.
A parere dell’Agenzia (2) i requisiti di cui all’ultimo punto devono considerarsi alternativi.
Risulta, pertanto, sufficiente il ricorrere di uno
soltanto di essi (ad esempio, l’impiego di beni
“eccedenti”) per configurare la sussistenza di
un’autonoma organizzazione.
La regolamentazione normativa di tali requisiti
è ormai indifferibile perché i numerosi contribuenti interessati (e soprattutto coloro che prestano loro l’assistenza fiscale) se vogliono comprendere se è o meno dovuto il tributo regionale si trovano a dover fare i conti con un numero ormai divenuto incalcolabile di sentenze della giurisprudenza di legittimità, frequentemente
in contrasto tra di loro. La difficoltà della situazione è ben presente sia alla stessa Corte di cassazione - che ha di recente sottoposto alle Sezioni Unite alcune questioni problematiche (3)
- sia all’Amministrazione finanziaria, la quale
ha più volte manifestato l’impegno a provvedere alla revisione normativa (4).
L’occasione per dare soluzione a questa problematica era stata fornita dalla delega fiscale ma
(*) Professore ordinario della Scuola nazionale dell’amministrazione
(1) Art. 11, comma 2, della Legge 11 marzo 2014, n. 23,
nel quale era stabilito che avrebbe dovuto essere fatta chiarezza sulla definizione dell’autonoma organizzazione sia “mediante la definizione di criteri oggettivi” che adeguando tale definizione “ai più consolidati principi desumibili dalla fonte giurisprudenziale”.
(2) Cfr. la circolare n. 45/E del 13 giugno 2008, paragrafo 5.4.
(3) Si veda, al riguardo, G. Ferranti, “Dichiarazione IRAP
2015: aumentano le incertezze sull’autonoma organizzazione”,
in Corr. Trib. n. 23/2015, pag. 1751.
(4) Si veda M. Bellinazzo, “IRAP e medici, parola al Governo”, in Il Sole - 24 Ore del 13 marzo 2015, pag. 42, e M. Mobili
e G. Parente, “Per i piccoli soluzione IRAP in attesa”, ivi del 17
aprile 2015, pag. 43.
Corriere Tributario 36/2015
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IRAP
anche se “la norma per richiarezza sulla definizione
LA GIURISPRUDENZA
scrivere la disciplina IRAP
dell’autonoma organizzaValore
dei
beni
strumentali
per i ‘piccoli contribuenti’
zione rilevante ai fini delera stata già messa a punto La Corte di cassazione si è espressa negli
l’assoggettamento all’imultimi
anni
a
favore
della
irrilevanza
del
per uno dei decreti attuati
posta regionale degli eserdella delega fiscale”, poi valore dei beni strumentali impiegati ai fini
centi arti e professioni e
della verifica della sussistenza o meno del
“per uniformità di tratta- requisito dell’autonoma organizzazione. Tale degli imprenditori indivizione dei vari capitoli di orientamento appare condivisibile perché se duali, sia “mediante la derevisione dell’ordinamento il bene risulta indispensabile per l’esercizio
finizione di criteri oggettitributario il Governo ha dell’attività non assume alcuna rilevanza
vi” che adeguando tale
deciso di rinviare la partita l’importo dell’investimento effettuato per la
definizione “ai più consoal più ampio intervento sua acquisizione.
lidati principi desumibili
sulle partite IVA” (5).
dalla fonte giurisprudenSi ritiene opportuno che la individuazione del ziale”.
requisito relativo all’impiego di beni strumen- Con quest’ultima precisazione, che fa riferimentali avvenga tenendo conto della giurispruden- to alle innumerevoli pronunce della Corte di
za della Suprema Corte che - come si vedrà cassazione al riguardo, si è inteso superare le
meglio in seguito - si è costantemente espressa problematiche insorte in seguito alla regolamennel senso della irrilevanza del valore dei detti tazione normativa introdotta dalla Legge n. 228
beni ed ha chiarito che la presenza di un im- del 2012, che risultava, invece, in contrasto con
mobile strumentale non comporta automatica- i principi sanciti dalla Suprema Corte (7).
mente l’assoggettamento all’IRAP.
L’orientamento prevalente della Cassazione
Gli interventi normativi rimasti inattuati
La Cassazione si è espressa in passato nel senso
L’art. 1, comma 515, della Legge n. 228 del
2012 (6) aveva previsto l’istituzione di un fondo
finalizzato ad escludere dall’ambito di applicazione dell’imposta regionale le persone fisiche esercenti le attività commerciali ed arti e professioni
che si avvalevano di lavoratori dipendenti ed
assimilati e impiegavano, anche in locazione,
beni strumentali che non eccedevano il valore
massimo che si sarebbe dovuto determinare con
Decreto ministeriale, previo parere conforme
delle commissioni parlamentari competenti. La
norma era scritta in modo “atecnico” e non
sembrava tenere conto della copiosa giurisprudenza di legittimità intervenuta al riguardo.
La previsione normativa relativa al detto valore massimo dei beni strumentali impiegabili risultava in contrasto con l’indirizzo prevalente
della Corte di cassazione, che ha correttamente sostenuto l’irrilevanza del detto valore.
Nell’art. 11, comma 2, della Legge delega fiscale era stabilito che avrebbe dovuto essere fatta
dell’irrilevanza del valore dei beni strumentali
impiegati, tra le altre, nelle ordinanze n. 2712
del 5 febbraio 2008, n. 19124 del 6 settembre
2010, n. 23446 del 19 novembre 2010 e n.
13048 del 24 luglio 2012. Si era, invece, pronunciata in senso contrario, tra le altre, nella
sentenza n. 17533 del 28 luglio 2009 e nelle
ordinanze n. 18704 del 13 agosto 2010 e n.
5320 del 3 aprile 2012.
A partire dal 2013 l’orientamento favorevole
alla irrilevanza del riferimento al valore dei beni strumentali appare, però, prevalente, come
risulta dalle seguenti pronunce:
- sentenza del 21 giugno 2013, n. 15641, in base alla quale la documentazione del valore dei
beni strumentali e delle quote di ammortamento non costituisce un elemento idoneo a dimostrare la sussistenza del presupposto impositivo
dell’IRAP;
- ordinanza del 25 luglio 2013, n. 18108, che
ha stabilito che il giudice di merito non può
(5) Così M. Mobili e G. Parente, “IRAP, parametri certi per
l’esclusione”, in Il Sole - 24 Ore del 14 agosto 2015, pag. 3.
(6) Legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge di stabilità
2013).
(7) Si veda, al riguardo, G. Ferranti, “Esclusione dall’IRAP di
professionisti e imprese: una disciplina da rivedere”, in Corr.
Trib. n. 2/2013, pag. 117.
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Corriere Tributario 36/2015
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IRAP
fare acritici riferimenti al valore dei beni strumentali ma deve valutare con accuratezza la
qualità dei beni “intrinsecamente necessari” all’esercizio della professione. Nel caso di un medico è presumibile che siano necessari, per lo
svolgimento dell’attività, “indispensabili strumenti di una certa consistenza e caratteristiche”;
- del 9 maggio 2014, n. 10173, che ha cassato
la sentenza di merito nella cui motivazione era
stata ritenuta sussistere il requisito dell’autonoma organizzazione in relazione alle spese per
un immobile di 20 mq, senza illustrare “le concrete ragioni che consentirebbero di ritenere
che i mezzi impiegati dal contribuente eccedano il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività”;
- del 10 settembre 2014, n. 19073, con la quale
è stato respinto il ricorso dell’Agenzia delle entrate perché la Commissione di merito aveva
negato la sussistenza del presupposto impositivo a carico di un commercialista con un “giudizio di fatto, pur sintetico, di non apprezzabile
significatività” dell’utilizzo dei beni strumentali
strettamente indispensabili all’esercizio della
professione;
- del 17 ottobre 2014, n. 21989, che ha cassato
la decisione di merito che si era limitata a rilevare l’utilizzo da parte del contribuente di “attrezzature minimali ed essenziali” senza precisare “quali erano le attrezzature prese in considerazione e perché le stesse potevano ritenersi essenziali alla detta attività”. La Suprema Corte
ha, però, fatto riferimento, nella propria motivazione, all’impiego di beni strumentali eccedenti “per quantità o valore” il minimo generalmente ritenuto indispensabile;
- del 2 febbraio 2015, n. 1889, nella quale è
stato sancito che l’affermazione della sentenza
di merito “secondo cui … la sussistenza del requisito impositivo dell’autonoma organizzazione emergerebbe dal rilevante valore pecuniario
dei beni strumentali utilizzati dal contribuente
è …, per un verso, errata in diritto e, per altro
verso, non adeguatamente motivata in fatto.
L’apprezzamento che il giudice di merito deve
svolgere con riguardo all’impiego di beni strumentali da parte del professionista deve infatti
tendere a verificare se tali beni, per numero ed
Corriere Tributario 36/2015
importanza, integrino, nel loro complesso ed
in eventuale coordinamento con l’utilizzo di risorse umane, una struttura organizzativa ‘esterna’ del lavoro autonomo, suscettibile di creare
valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how. Tale verifica postula una penetrante indagine sulla natura dei beni in uso al contribuente e sulla funzione dagli stessi svolti nella sua organizzazione
del lavoro e non può limitarsi alla considerazione del mero valore economico dei beni medesimi, ben potendo accadere che determinati
beni, ancorché di grande valore economico,
rientrino nel minimo indispensabile all’esercizio dell’attività professionale (si pensi alle apparecchiature necessarie all’esercizio di talune
specialità mediche)”;
- del 27 marzo 2015, n. 6215, che ha ritenuto
sufficientemente motivata la sentenza di merito che aveva rilevato la presenza di “beni strumentali decisamente esigui … strettamente indispensabili all’esercizio della professione intellettuale”;
- del 29 aprile 2015, n. 8638, nella quale è stato rilevato che la Commissione di merito aveva omesso di valutare se le spese per lavori di
ristrutturazione e arredo dello studio “possano
ritenersi indice univoco di autonoma organizzazione” in relazione all’attività di revisore
contabile esercitata dal professionista;
- del 1° luglio 2015, n. 13488, nella quale è
stato affermato che “la presenza di beni strumentali di valore superiore ad euro 10.000 e di
uno studio professionale di 50 mq., non possono ritenersi di per sé indicativi … della sussistenza dell’autonoma organizzazione”.
Gli immobili strumentali
La stessa giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, chiarito che la presenza di un immobile
strumentale non comporta automaticamente
l’assoggettamento all’IRAP.
La questione ha formato per la prima volta oggetto di specifico e diretto esame da parte della
Corte di cassazione nella ordinanza del 16 novembre 2010, n. 23155, nella quale è stata ritenuta “giuridicamente erronea” l’affermazione
della Commissione di merito secondo la quale
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IRAP
Nella ordinanza del 30
“una pur minima struttura
PROSPETTIVE FUTURE
maggio 2011, n. 11935, la
organizzativa, costituita da
Costo
complessivo
dei
beni
strumentali
stessa Corte ha, inoltre,
uno studio di circa 100
Appare
auspicabile
che,
in
occasione
del
sancito l’esclusione dall’Imq., accresce la capacità
preannunciato intervento normativo
RAP di un professionista
di guadagno di un lavorafinalizzato alla definizione del requisito
tore autonomo e costitui- dell’autonoma organizzazione, venga tenuto che aveva svolto l’attività
“utilizzando locali della
sce pertanto presupposto conto dell’orientamento prevalente della
residenza anagrafica”, in
per l’applicazione dell’I- giurisprudenza di legittimità ed affermata
assenza di dipendenti e di
RAP”. È stato, quindi, ri- l’irrilevanza del costo sostenuto per
beni strumentali diversi
tenuto che “il possesso di acquisire la disponibilità dei beni
un modesto studio” signi- strumentali. Esistono, infatti, attività che per dall’autovettura.
Tale orientamento è stato
fichi avvalersi di un “bene essere svolte richiedono l’acquisizione di
sostanzialmente ribadito
strumentale non ecceden- beni tecnologicamente avanzati di ingente
valore e che risultano assolutamente
nelle pronunce:
te il minimo” e che la
indispensabili.
- del 6 agosto 2012, n.
Commissione di merito
14158, con la quale è staavrebbe dovuto accertare
se lo studio “per la sua ubicazione e dimensioni ta confermata la sentenza di merito che aveva
potesse essere considerato valore di bene stru- ritenuto non sussistere un’autonoma organizzazione in caso di utilizzo di uno studio di 35 mq
mentale minimale”.
Nella ordinanza del 10 maggio 2011, n. 10271, e di computer e altri beni strumentali;
- del 28 dicembre 2012, n. 24117, nella quale
la Suprema Corte ha ulteriormente precisato
è stato rilevato che non è possibile “immaginache la disponibilità di uno studio professionale
re un avvocato, che eserciti la professione sedetenuto in locazione da un medico convencondo i canoni della correttezza e della effizionato con il SSN non è, di per sé, sufficiente
cienza, che non disponga di quattro mura per
a considerare sussistente un’autonoma organizricevere i clienti o non sia collegato ad una
zazione, trattandosi di un “elemento indispenqualche banca dati, per tenersi informato della
sabile ai fini dell’instaurazione e del manteni- - invero piuttosto rapida - evoluzione della giumento del rapporto convenzionale di assistenza risprudenza”;
primaria”. In tal caso non è stato, quindi, fatto - del 23 luglio 2013, n. 17920, in cui la Cassariferimento all’ubicazione e alle dimensioni zione ha ritenuto che non risulta rilevante, ai
dello studio. A tale orientamento ha, peraltro, fini dell’assoggettamento al tributo, “la dispoaderito l’Agenzia delle entrate, che ha afferma- nibilità di locali adeguati per l’esercizio della
to, nella circolare n. 28/E del 2010 (8), che “si professione”;
deve ritenere che la stretta disponibilità dello - n. 10173 del 2014, che ha cassato la sentenza
studio attrezzato così come previsto dalla con- di merito nella cui motivazione era stata ritevenzione non possa essere considerata di per sé nuta sussistere il requisito dell’autonoma orgaindice di esistenza dell’autonoma organizzazio- nizzazione in relazione all’utilizzo di un immone per i medici di medicina generale. In altri bile di 20 mq;
termini, lo studio e le attrezzature previste in - del 1° luglio 2015, n. 13488, nella quale è
convenzione possono essere considerate il mi- stato affermato che “la presenza di beni strunimo indispensabile per l’esercizio dell’attività mentali di valore superiore ad euro 10.000 e di
da parte del medico, mentre l’esistenza dell’au- uno studio professionale di 50 mq., non possotonoma organizzazione è configurabile, ex ad- no ritenersi di per sé indicativi … della sussiverso, in presenza di elementi che superano lo stenza dell’autonoma organizzazione”.
standard previsto dalla convenzione e che de- Nella ordinanza del 10 febbraio 2014, n. 2967,
vono essere pertanto valutati volta per volta”.
è stato, altresì, precisato che la utilizzazione, da
(8) Paragrafo 4.
3714
Corriere Tributario 36/2015
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IRAP
parte di un medico di base del SSN, “di due
studi costituisce soltanto uno strumento per il
migliore (e più comodo per il pubblico) esercizio dell’attività professionale autonoma” e non
può, pertanto, costituire il presupposto per l’assoggettamento all’IRAP.
Considerazioni conclusive
Si ritiene senz’altro condivisibile il principio
secondo il quale “la rilevanza dei beni strumentali impiegati dal contribuente non può essere valutata soltanto in base al relativo valore
economico, ma postula la specifica considerazione della natura dei beni in uso al contribuente e della funzione dagli stessi svolti nella
sua organizzazione del lavoro” (9).Ciò in quanto ai fini dell’assoggettamento all’imposta regionale assume rilevanza l’esistenza di un’organizzazione in grado di porre il professionista in
una condizione più favorevole di quella che si
sarebbe verificata senza di essa ed occorre, pertanto, verificare se i beni strumentali impiegati
eccedano il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività. Di conseguenza, se il bene risulta a tal fine indispensabile non assume alcuna rilevanza l’importo dell’investimento effettuato per la sua acquisizione.
È stato, però, rilevato che in sede di stesura
della prossima Legge di stabilità “si starebbe lavorando … all’esclusione dall’imposta regionale per le persone fisiche che svolgono un’attività d’impresa o professionale sempre che siano
in possesso di una serie di parametri relativi essenzialmente alle spese sostenute per un solo
addetto e per i beni strumentali utilizzati nell’attività svolta” (10), il cui costo complessivo
non dovrebbe superare un determinato importo.
Appare, al riguardo, auspicabile che, in occasione del tanto atteso intervento normativo,
venga tenuto conto dell’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità precedentemente illustrato. Attesa la molteplicità e
la varietà delle attività esercitate non appare
idoneo il riferimento ad un ammontare massimo degli investimenti in beni strumentali, che
(9) Così la menzionata sentenza n. 1889 del 2015.
(10) Così M. Mobili e G. Parente, op. cit.
Corriere Tributario 36/2015
è stato, invece, normativamente operato per
l’individuazione delle attività “residuali” per le
quali è possibile avvalersi del regime dei minimi o di quello forfetario. Si ritiene che la decisione in merito alla rilevanza dei singoli beni
strumentali non possa che restare oggetto di
valutazioni da operare caso per caso.
Al fine di ridurre le incertezze al riguardo si
potrebbe, semmai, accogliere il suggerimento
formulato dal Consiglio Nazionale dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili nel documento del 1° settembre 2015, recante le
“prime proposte per la Legge di stabilità
2016” (11). In tale documento è stato osservato, in merito alle “anticipazioni apparse sulla
stampa specializzata in una ipotesi allo studio
circolata prima della recente pausa estiva”, che
“suscita perplessità il riferimento al valore dei
beni strumentali, avendo la Cassazione correttamente affermato, in numerose sentenze, l’irrilevanza di detto valore. Esistono infatti attività che per essere svolte richiedono l’acquisizione di beni tecnologicamente avanzati di ingente valore (si pensi ai medici specialisti), assolutamente indispensabili. Volendo individuare un criterio oggettivo legato ai beni strumentali, sembra più appropriato far riferimento
al loro numero, piuttosto che al loro valore,
prevedendo un numero massimo di beni dello
stesso tipo che ciascun addetto all’attività può
utilizzare”.
Appare, altresì, condivisibile la proposta avanzata dallo stesso Consiglio Nazionale di prevedere espressamente che “la detenzione o il possesso di un immobile strumentale non determina autonoma organizzazione, a prescindere dal
valore, dalla dimensione e dalla ubicazione
dell’immobile stesso. In caso di utilizzo di più
di uno studio o di una sede dell’impresa dovrebbe essere prevista comunque la possibilità
di dimostrare che tale circostanza non configura un’autonoma organizzazione (come recentemente riconosciuto in alcune sentenze della
detta Corte)”. Si potrebbe, altresì, prevedere
l’irrilevanza dell’utilizzo di un’autovettura.
(11) Consultabile sul sito del CNDCEC, informativa n. 68 del
4 settembre 2015.
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IRAP
Circ. 9 giugno 2015, n. 22/E
➡
F. Gavioli, “IRAP: deduzioni integrali per il lavoro dipendente a tempo indeterminato”, in Pratica Fiscale n. 28/2015, pag. 45
Le novità IRAP per il 2015 alla luce
degli ultimi chiarimenti delle Entrate
di Pietro Petrangeli (*)
Le modifiche alla disciplina dell’IRAP introdotte dalla Legge di stabilità per il 2015 hanno interessato il “panorama” delle deduzioni di lavoro dipendente e alcuni altri aspetti riguardanti il tributo regionale. In particolare, la norma prevede la deduzione integrale dei costi dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e l’introduzione di un credito d’imposta pari al 10% per i contribuenti che non impiegano lavoratori dipendenti. Le disposizioni sono state oggetto di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle entrate, che, con la circolare n. 22/E del 2015, ha risolto alcuni dubbi sollevati dalle associazioni di categoria. Restano, tuttavia, aspetti non chiari con riferimento alla somministrazione e al distacco dei lavoratori e alla gestione degli accantonamenti per il TFR o per altri oneri relativi al personale.
Con la circolare 9 giugno 2015, n. 22/E, l’Agenzia delle entrate ha fornito alcune risposte
ai quesiti formulati dalle associazioni di categoria in merito alle disposizioni introdotte dalla
Legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Legge di stabilità 2015) sulla disciplina IRAP. Tali disposizioni hanno riguardato, tra l’altro, i seguenti
aspetti del tributo regionale:
- l’introduzione della deduzione integrale delle
spese per il personale dipendente impiegato
con contratto di lavoro a tempo indeterminato
per i soggetti che determinano il valore della
produzione netta ai sensi degli artt. da 5 a 9
del D.Lgs. n. 446/1997;
- la previsione di un credito d’imposta pari al
10% dell’IRAP lorda per i medesimi soggetti
che, però, non impiegano lavoratori dipendenti;
- la modifica per esigenze di coordinamento
normativo dell’art. 2, comma 1, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, che disciplina il calcolo
della quota IRAP ammessa in deduzione dalle
imposte sui redditi.
L’intervento dell’Amministrazione finanziaria
con la citata circolare n. 22/E ha “spaziato” dagli aspetti soggettivi e oggettivi della suddetta
nuova deduzione IRAP per lavoro dipendente,
alle implicazioni sulle imposte sui redditi derivanti dall’utilizzo del credito d’imposta del
10%, fino ad arrivare al regime di deducibilità
ai fini IRES/IRPEF della quota IRAP relativa
al costo del lavoro. Vediamo nel dettaglio i
chiarimenti dell’Agenzia delle entrate.
Deduzione integrale delle spese
per i lavoratori dipendenti
a tempo indeterminato
A decorrere dal periodo d’imposta successivo a
quello in corso al 31 dicembre 2014 trova applicazione la nuova deduzione IRAP inserita
nell’art. 11, comma 4-octies, del D.Lgs. n.
446/1997. La norma prevede che “Fermo restando quanto stabilito dal presente articolo e
in deroga a quanto stabilito negli articoli precedenti, per i soggetti che determinano il valore della produzione netta ai sensi degli articoli
da 5 a 9, è ammessa in deduzione la differenza
tra il costo complessivo per il personale dipendente con contratto a tempo indeterminato e
le deduzioni spettanti ai sensi dei commi 1, lettera a), 1-bis), 4-bis.1) e 4-quater del presente
articolo”. Dunque, la nuova deduzione sembra
che vada quantificata come differenza tra il costo complessivo dei dipendenti “stabilizzati” e
le deduzioni già spettanti per gli stessi dipendenti (e, cioè, i contributi per le assicurazioni
obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro, il
c.d. cuneo fiscale, le deduzioni per i disabili e
(*) Dottore commercialista in Roma
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IRAP
ad assorbire quelle già
per il personale addetto
LA PRASSI AMMINISTRATIVA
alla ricerca e sviluppo, le
operanti rendendo superCriterio
di
deducibilità
indennità di trasferta per
fluo il riscontro dei relatile imprese di autotraspor- L’Agenzia delle entrate, nella circolare n.
vi requisiti”.
to, la deduzione per le im- 22/E del 2015, afferma che, in merito al
Tuttavia,
nella circolare
criterio di deducibilità, per differenza tra il
prese con componenti po- costo del lavoro complessivo sostenuto in
n. 22/E l’Agenzia delle
sitivi non superiori a 400 relazione ai rapporti di impiego a tempo
entrate, in aderenza al
mila euro e quella per l’in- indeterminato e le deduzioni IRAP, se la
dettato normativo, ha afcremento della base occu- sommatoria delle deduzioni vigenti è
fermato che “La norma
pazionale (1)). Tale impo- inferiore al costo del lavoro, spetta
introduce, dunque, un cristazione normativa com- un’ulteriore deduzione fino a concorrenza
terio di deducibilità per
porterebbe che i contri- dell’intero importo dell’onere sostenuto.
differenza tra il costo del
buenti debbano continualavoro complessivo sostere a determinare analiticamente ogni singola nuto in relazione ai rapporti di impiego a temdeduzione spettante, anziché sommare sempli- po indeterminato e le deduzioni spettanti ai
cemente tutte le spese di lavoro dipendente a sensi del richiamato articolo 11. Sul punto, la
tempo indeterminato che, di fatto, sono dal relazione tecnica ha precisato che, se la som2015 integralmente deducibili. Su tale aspetto matoria delle deduzioni vigenti è inferiore al
l’Assonime, nella circolare n. 7 del 2 aprile costo del lavoro, spetta un’ulteriore deduzione
2015, ha osservato che “Rimane, comunque,
fino a concorrenza dell’intero importo dell’oindubbio che la volontà legislativa era quella
nere sostenuto. Ne deriva che quanto minori
di introdurre una deduzione analitica dell’intesono le deduzioni fruibili in applicazione delro ammontare dei costi per il personale dipenl’articolo 11 tanto maggiore è il differenziale
dente a tempo indeterminato - come emerge
deducibile”.
chiaramente dagli atti parlamentari - e in queQuindi,
nonostante l’effetto finale sia il medesta logica sarebbe stato più opportuno procedere alla formulazione della norma in modo più simo e, cioè, la deduzione integrale dei costi
lineare e diretto nell’individuazione dei costi dei lavoratori “stabili”, sembrerebbe che, per
ammessi in deduzione”. Nella stessa circolare, l’applicazione pratica, l’Amministrazione fil’Assonime ha aggiunto che “Riesce, quindi, nanziaria non si voglia discostare dal tenore
difficile immaginare, da un punto di vista logi- letterale della norma e, dunque, c’è da attenco, che la nuova deduzione si aggiunga a quelle dersi che il prospetto del quadro IS della dipreesistenti - la cui spettanza deve essere verifi- chiarazione IRAP relativa al 2015 continuerà
cata in base ai suddetti requisiti - e che, per- a richiedere la compilazione analitica dei valotanto, i contribuenti siano ancora tenuti ad ef- ri delle singole deduzioni preesistenti (contrifettuare queste verifiche per stabilire, da un buti INAIL, cuneo fiscale, ecc.) e, per differencanto, la fruibilità di tali deduzioni, e dall’altro za, il valore “residuo” deducibile in applicaziola misura, per differenza, della nuova deduzio- ne del citato comma 4-octies dell’art. 11 del
ne. Si tratta di una normativa che - se inter- Decreto n. 446/1997. Ciò, come detto da Aspretata in modo formalistico - potrebbe deter- sonime, comporterebbe delle inutili complicaminare incertezze e complicazioni, anche in se- zioni nel calcolo delle deduzioni per il tributo
de di compilazione della dichiarazione, sulle regionale e, pertanto, ci si augura che, in sede
quali auspichiamo che l’Agenzia delle entrate di predisposizione dei modelli di dichiarazione,
fornisca le opportune precisazioni, in particola- i tecnici delle Entrate adottino una soluzione
re riconoscendo che la nuova deduzione viene operativa più semplice.
(1) Si ricorda che nel comma 4-septies dell’art. 11 del Decreto IRAP è precisato che per ciascun dipendente l’importo
delle deduzioni non può comunque eccedere il limite massimo
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rappresentato dalla retribuzione e dagli altri oneri e spese a carico del datore di lavoro.
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IRAP
Imprese operanti
in concessione e a tariffa
Circ. 9 giugno 2015, n. 22/E
LA PRASSI AMMINISTRATIVA
ma non li esclude dall’applicazione del beneficio.
Le public utilities, escluse
ex lege dalle misure sul cuneo fiscale possono, pertanto, beneficiare della
deducibilità integrale del
costo sostenuto per i lavoratori impiegati a tempo
sensi del comma 4-octies in
Entrando nel merito degli “Public utilities”
aspetti soggettivi della de- L’Agenzia delle entrate ha affermato che le
“public utilities”, escluse “ex lege” dalle
duzione, un importante misure sul cuneo fiscale, possono
chiarimento riguarda la beneficiare della deducibilità integrale del
possibilità di fruire del be- costo sostenuto per i lavoratori impiegati a
neficio da parte delle pu- tempo indeterminato.
blic utilities (2). Come detto la norma richiama i soggetti che determina- indeterminato ai
no il valore della produzione ai sensi degli artt. esame”.
da 5 a 9 del Decreto IRAP e, cioè, le società
di capitali e gli enti commerciali, le imprese Contratti di somministrazione e distacco
individuali e le società di persone, le banche e del personale
gli altri enti e società finanziarie, le imprese di Altri chiarimenti contenuti nella circolare in
assicurazione, gli esercenti arti e professioni e i commento, attengono al trattamento dei conproduttori agricoli titolari di reddito agrario e tratti di somministrazione e all’ipotesi di diassimilati. Dunque, non vi sono motivi eviden- stacco di personale. In particolare, viene afferti che osterebbero all’applicazione della dedu- mato che:
zione alle imprese c.d. di utilities. Tuttavia al- 1) nel contratto di somministrazione - che sia
cuni autori (3) hanno osservato che la locuzio- a tempo determinato o indeterminato - l’imne “fermo restando quanto stabilito nei commi presa che utilizza il lavoratore può godere della
precedenti” contenuta nel comma 4-octies in deduzione integrale dei costi nel caso in cui il
esame, fa sorgere il dubbio che il legislatore ab- rapporto di lavoro sottostante - tra datore di
bia voluto “impedire alle public utilities di fruire
lavoro (agenzia di somministrazione) e dipendell’integrale deduzione del costo del lavoro
dente - sia a tempo indeterminato;
per i dipendenti interessati, dovendo restare
2) nell’ipotesi di distacco di personale, l’impreindeducibile la parte dello stesso corrispondensa distaccante può dedurre i costi in relazione
te alle deduzioni non spettanti a tali soggetti” (4). Gli stessi autori hanno, però, affermato al personale dipendente distaccato impiegato
che “Tale conclusione non appare convincente con contratto di lavoro a tempo indeterminaperché l’importo della nuova deduzione è va- to, con conseguente rilevanza degli importi
riabile e coincide con il costo che non risulta spettanti, a titolo di rimborso, delle spese affeancora dedotto in seguito all’applicazione delle renti al medesimo personale.
deduzioni sopra ricordate. Inoltre nel detto La prima delle suddette affermazioni conferma
comma non è contenuta una esplicita preclu- un principio - secondo cui le deduzioni IRAP
sione di tenore analogo a quelle previste nel possono essere fruite dalle imprese che utilizzano i lavoratori, avendo riguardo alla tipologia
precedente comma 1, lett. a), nn. 2, 3 e 4”.
La questione è stata risolta positivamente. In di rapporto di lavoro sottostante - che era già
particolare, le Entrate hanno affermato che stato affermato nella risoluzione n. 235/E del
“La circostanza che alcuni soggetti non benefi- 10 giugno 2008 dalla stessa Agenzia delle encino di tutte le deduzioni richiamate dalla nor- trate con riferimento all’ipotesi del distacco.
(2) Trattasi delle imprese operanti in concessione e a tariffa
nei settori dell’energia, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e
depurazione delle acque di scarico e della raccolta e dello
smaltimento dei rifiuti.
(3) G. Ferranti, “Il nuovo credito d’imposta per le imprese e
i professionisti senza lavoratori dipendenti”, in Corr. Trib., n.
3718
5/2015, pag. 319.
(4) Le imprese in concessione e a tariffa non possono fruire, infatti, per espressa previsione normativa, delle deduzioni
forfetarie e di quella dei contributi previdenziali e assistenziali
per l’impiego di dipendenti assunti a tempo indeterminato di
cui all’art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2, 3 e 4.
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Circ. 9 giugno 2015, n. 22/E
IRAP
na corrispondenza nella
In particolare, nella citata
LA PRASSI AMMINISTRATIVA
natura giuridica del dirisoluzione, veniva chiariContratto
di
somministrazione
di
lavoro
stacco ovvero del contratto che “… ai fini dell’apNel
contratto
di
somministrazione
di
forza
to di lavoro interinale, nei
plicazione delle disposiziolavoro, sia a tempo determinato sia
quali il soggetto titolare
ni sul cuneo fiscale, è alindeterminato, l’impresa che utilizza il
del rapporto di lavoro si
l’impresa distaccante che lavoratore può godere della deduzione
occorre fare riferimento al integrale dei costi nel caso in cui il rapporto limita a mettere a disposizione del soggetto distacfine di stabilire se sussista- di lavoro sottostante, tra datore di lavoro
catario o utilizzatore il fatno i presupposti legali ri- (agenzia di somministrazione) e dipendente,
tore lavoro addossando a
chiesti dalla legge. È, tut- sia a tempo indeterminato.
quest’ultimo il costo della
tavia, corretto ritenere
che, nella misura in cui il personale sia, di fat- remunerazione”. Ora, è cosa nota che il legislato, dislocato presso il distaccatario e quest’ulti- tore ha introdotto nel corso degli anni le dedumo sia tenuto a rimborsare il costo relativo al zioni di lavoro dipendente per circoscrivere
personale utilizzato, competono al distaccatario l’ammontare delle spese per il personale che
anche le deduzioni relative al cuneo fiscale, se- non può essere portato in abbattimento della
condo il principio per cui le deduzioni seguono base imponibile IRAP. Dunque, le deduzioni
IRAP per lavoro dipendente limitano e atteil lavoratore …”.
Dunque, si ritiene che, oltre all’impresa “som- nuano il principio di indeducibilità del costo
ministrata”, anche all’impresa distaccataria del lavoro e risultano, di conseguenza, a quespetti la nuova deduzione integrale del costo st’ultimo strettamente connesse, nel senso che
dei lavoratori a tempo indeterminato in vigore le stesse possono - evidentemente - essere ricodal 2015 (previa verifica della “stabilità” del nosciute solo al soggetto che è gravato effettirapporto di lavoro in capo alla distaccante), vi- vamente dal costo per i dipendenti e che non
sto che non sarebbe giustificata una differen- potrebbe dedurre tale costo se non tramite l’uziazione rispetto a quanto affermato, con riferi- tilizzo delle deduzioni stesse. Il fatto che, allo
mento al cuneo fiscale, nella citata risoluzione stato attuale, le deduzioni IRAP per il lavoro
n. 235/E.
dipendente siano tali da rendere deducibile la
Peraltro, il principio secondo cui le deduzioni parte prevalente del costo del lavoro, non semspettano al soggetto che utilizza il personale, bra che possa indurre a diverse conclusioni.
era stato già affermato nelle istruzioni al qua- Pertanto, si ritiene che il chiarimento dell’Adro IQ del Mod. UNICO 99 sia con riferimen- genzia delle entrate, secondo cui il beneficio
to al distacco sia nell’ipotesi del lavoro interi- della deduzione integrale del costo del lavoro è
nale (5).
riconosciuto a chi utilizza il lavoratore - fermo
Inoltre, a supporto di tale conclusione, depon- restando che il rapporto contrattuale sottostangono anche altre considerazioni. L’Ammini- te tra datore di lavoro e dipendente sia a temstrazione finanziaria nella risoluzione n. po indeterminato - non riguardi solo l’ipotesi
2/DPF/2008 ha affermato che “Costituisce … della somministrazione, ma sia estendibile anprincipio immanente nel sistema IRAP, che il che a quella del distacco.
costo del lavoro deve incidere, in termini di Qualche dubbio pone, invece, il chiarimento
indeducibilità … sul soggetto passivo presso il sul trattamento dei costi sostenuti e dei rimquale viene effettivamente svolta la prestazio- borsi ricevuti dall’impresa distaccante. In partine lavorativa che concorre alla realizzazione colare, secondo l’Agenzia delle entrate, l’introdel valore della produzione. Tale principio duzione della nuova disciplina comporterebbe
economico, del resto, trova in questo caso pie- che “… siano deducibili dalla base imponibile
(5) Si trattava, in quel caso, della deduzione per i contributi
per assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro.
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zare che l’Agenzia delle
IRAP dell’impresa distacLA PRASSI AMMINISTRATIVA
cante i costi sostenuti in
entrate, accogliendo l’“iDistacco
di
personale
relazione al personale distanza” dell’Assonime, abNell’ipotesi
di
distacco
di
personale,
pendente distaccato imbia inteso modificare il
l’impresa distaccante può dedurre i costi
piegato con contratto di
trattamento IRAP della
sostenuti in relazione al personale
lavoro a tempo indetermi- dipendente distaccato impiegato con
distaccante considerando
nato, con conseguente ri- contratto di lavoro a tempo indeterminato,
che, i lavoratori distaccati
levanza degli importi spet- con conseguente rilevanza degli importi
sono assunti, il più delle
tanti, a titolo di rimborso, spettanti, a titolo di rimborso, delle spese
volte, con contratti a temdelle spese afferenti al me- afferenti al medesimo personale.
po indeterminato e, quindesimo personale”.
di, i relativi costi vengono
Come osservato da alcuni autori (6) “La rispo- abbattuti integralmente dalla nuova deduzione.
sta sorprende, in quanto fino ad oggi, l’ammi- In altri termini, far venir meno la completa irnistrazione (risoluzione 2/DPF/2008 e circolare rilevanza dei costi e dei ricavi dell’impresa di263/1998) aveva sempre sostenuto una sostan- staccante (che, secondo la precedente interziale neutralità della posizione dell’impresa di- pretazione, non deduceva i costi e non rendeva
staccante (che non deduceva i costi, ma non imponibili i rimborsi), non produce effetti sorendeva imponibile i rimborsi) affinché il peso stanziali negativi, visto che la “novità” della
dell’imposta ed eventuali benefici (come il cutassazione dei rimborsi viene compensata inteneo fiscale) si concentrassero sulla distaccatagralmente, per i lavoratori “stabili”, dalla deduria (risoluzioni 35/E/2009 e 235/E/2008)”.
cibilità dei costi (fermo restando l’“emersione”
In effetti questo “cambio di rotta” potrebbe esdelle differenze nel caso le due grandezze - cosere stato sollecitato da alcune considerazioni
sti e rimborsi - non siano identiche).
dell’Assonime, contenute nella circolare n. 7
Tale novità interpretativa, tuttavia, fa nascere
del 2015, dove viene affermato che “… spesso,
per motivi di semplificazione, le imprese - di- alcuni dubbi.
staccanti e distaccatarie - preferiscono regolare In primis, viene da chiedersi se la rilevanza
i loro rapporti sulla base di costi standard piut- IRAP in capo alla distaccante dei suddetti rimtosto che in ragione di un’analisi puntuale dei borsi relativi al costo del lavoro, sia da estencosti del rapporto di lavoro afferente il periodo dere anche alle agenzie di somministrazione. Si
di distacco”. In tali casi l’ammontare dei costi ricorda, infatti, che la precedente interpretasostenuti dal distaccante e quello delle somme zione dell’Amministrazione finanziaria che
addebitate al distaccatario non sarebbero coin- considerava “neutrali” i rimborsi ricevuti dalla
cidenti e, pertanto, l’Assonime ha concluso so- distaccante, riguardava anche le somme ricestenendo che “… una volta introdotto il prin- vute dalle società di lavoro interinale (ora
cipio dell’integrale deducibilità dei costi per la- agenzie di somministrazione). In particolare,
voro dipendente a tempo indeterminato, si po- con la già citata risoluzione n. 2/DPF, il Minitrebbe far operare questo principio anche per stero dell’Economia e delle Finanze, “… in orl’impresa distaccante, attraendo a tassazione i dine al trattamento IRAP del distacco di perconseguenti rimborsi e dando in questo modo sonale e della fattispecie assimilata del lavoro
corretta rilevanza, ai fini dell’IRAP, anche alle interinale …”, ha precisato che “… resta ferma, per il soggetto distaccante o per l’impresa
differenze fra queste due grandezze”.
Dunque, fermo restando quanto detto in prece- di lavoro interinale, la neutralizzazione delle
denza in merito alla fruizione delle deduzioni somme ricevute a titolo di rimborso dei costi
da parte della distaccataria, si potrebbe ipotiz- retributivi e, per il soggetto distaccatario o che
(6) G. Gavelli, “Con il distacco del personale il rimborso diventa rilevante”, in Il Sole - 24 Ore del 27 luglio 2015.
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Circ. 9 giugno 2015, n. 22/E
IRAP
impiega il lavoratore, la
Tuttavia, va osservato
LA PRASSI AMMINISTRATIVA
tassazione delle somme
che, se nel caso della diTFR
e
accantonamenti
stesse”.
staccante aver cambiato
Dunque, si potrebbe con- L’Agenzia delle entrate ha operato la
l’impostazione del trattacludere che quanto affer- distinzione tra gli accantonamenti per il TFR mento dei componenti
e gli accantonamenti per oneri futuri. Nel
mato per l’impresa distac- primo caso le quote di TFR, maturate a
positivi derivanti dai rimcante valga anche per la partire dall’esercizio 2015, rientrano a pieno
borsi ricevuti dalla distacsocietà di somministrazio- titolo nella determinazione delle spese per il cataria non comporta parne.
personale dipendente e sono deducibili.
ticolari problemi e ha la
Secondo Assonime questa Invece per gli accantonamenti operati a
motivazione descritta dalsarebbe la tesi da preferire. partire dal 2015 per eventuali oneri futuri
l’Assonime nella circolare
Infatti, commentando il connessi al rapporto di lavoro, l’Agenzia ha
n. 7/2015, nel caso delle
chiarimento delle Entrate, confermato la tesi secondo la quale le poste
agenzie di somministrazionella più recente circolare di natura estimativa non possono essere
dedotte ai fini IRAP. Pertanto, tali oneri
ne non è chiaro quali posn. 21 del 2015, ha affer- assumeranno rilevanza al verificarsi
sano essere i benefici della
mato che “Riguardo alla dell’evento.
ipotizzata modifica intersituazione del datore di lapretativa. Infatti, va osservoro (somministrante), l’Agenzia accoglie la
vato
che
poiché
molti
dei contratti di lavoro
tesi, da parte nostra prospettata, consistente
nel consentire la deduzione dei costi a monte stipulati dalle agenzie di somministrazione so(i costi cioè del personale a tempo indetermi- no a tempo determinato - fattispecie per la
nato somministrato) a fronte dei componenti quale dovrebbe rimanere la neutralizzazione
positivi per i ricavi ottenuti. L’impresa utilizza- IRAP delle somme ricevute per il rimborso dei
trice, d’altro canto, potrà dedurre i costi in ba- costi - si andrebbe ad introdurre una complicase alla nuova normativa se, ripetiamo, il rap- zione obbligando ad una nuova “gestione” conporto fra il datore di lavoro e il lavoratore è a tabile-fiscale dedicata solo ai contratti di lavotempo indeterminato. Lo stesso criterio si ap- ro a tempo indeterminato (staff leasing). Perplica nelle fattispecie analoghe a quella appena tanto, si ritiene che tale aspetto necessiterebbe
descritta, nelle quali si realizza un distacco di di una esplicita conferma da parte dell’Agenzia
personale”. Quindi, secondo Assonime, il chia- delle entrate.
rimento dell’Agenzia riferito espressamente al Tornando al distacco, si segnala, poi, una condistacco dovrebbe essere valido anche per la seguenza pratica che scaturisce dal “cambio di
somministrazione. Tale conclusione potrebbe, rotta” dell’Agenzia e, cioè, che dal 2015, anin effetti, “poggiare” su alcune affermazioni che le imprese distaccanti (oltre che le distaccontenute in precedenti interventi dell’Ammicatarie) dovranno “attivare” le deduzioni di lanistrazione finanziaria.
voro dipendente. Infatti, vi è la necessità di
In particolare, con la circolare n. 141 del 4
neutralizzare l’indeducibilità del costo del lavogiugno 1998, l’allora Ministero delle Finanze
aveva declinato il principio di assimilazione ro che, altrimenti, si sommerebbe alla rilevanza
tra il distacco e il lavoro interinale “… stante dei ricavi per i rimborsi ricevuti dalla distaccal’analogia sostanziale della fattispecie contrat- taria. In altri termini, poiché la società distactuale”. Principio che è stato anche ribadito cante si troverà ad avere nel conto economico
nella C.M. n. 263 del 12 novembre 1998 e due componenti da tassare ai fini IRAP (le renella risoluzione n. 2/DPF/2008 del Ministero tribuzioni, i contributi, il TFR, ecc. tra i costi
dell’Economia e delle Finanze dove si argo- e i rimborsi degli stessi tra i ricavi) appare nementa “… in ordine al trattamento IRAP del cessaria la compilazione del quadro IS della didistacco di personale e della fattispecie assimi- chiarazione IRAP per evidenziare le relative
deduzioni spettanti per il personale distaccato.
lata del lavoro interinale …”.
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IRAP
TFR e accantonamenti
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Pertanto, dal punto di vista della compilazione della dichiarazione IRAP, il
quadro IS, per la parte relativa agli accantonamenti in argomento, verrà
compilato solo al momento dell’utilizzo del fondo.
Sul punto va anche osservato che le Entrate menzionano gli accantonamenti “per oneri futuri”,
ma non quelli “per rischi”.
Si ritiene che il chiarimento valga anche per
quest’ultima ipotesi, fermo
restando che gli stanziaspese di lavoro dipendente
Passando agli aspetti oggettivi della nuova dedu- Fondi costituiti durante i periodi d’imposta
anteriori al 2015
zione, era dubbio se vi L’Agenzia delle entrate riconosce la
rientrassero anche gli ac- deducibilità dei fondi costituiti durante i
cantonamenti relativi alle periodi d’imposta precedenti al 2015, per
spese di lavoro dipenden- accantonamenti tassati ai fini IRAP e relativi
te. A tal proposito l’Agen- al costo dei lavoratori a tempo
zia delle entrate ha opera- indeterminato, se l’evento che attribuisce la
to alcune distinzioni tra certezza del costo si verifica dal 2015 in
avanti. Quindi, nel momento in cui viene
gli accantonamenti per il
utilizzato il fondo, i relativi importi rientrano
TFR e gli accantonamenti nel calcolo del costo del personale
per oneri futuri. Nel pri- deducibile, ancorché l’imputazione a conto
mo caso è stato chiarito economico sia avvenuta, a titolo di
che “Le quote di TFR ma- accantonamento, negli anni precedenti
turate a partire dall’eserci- all’entrata in vigore della nuova deduzione.
zio 2015 - compresa la rimenti riguardino
valutazione di quelle accantonate fino a tutto
deducibili.
il 2014 - rientrano a pieno titolo nella deterSempre con riferimento agli accantonamenti
minazione delle spese per il personale dipenoperati a partire dal 2015, l’Agenzia delle endente deducibili ai sensi della norma in esame,
trate ha affermato che “… stante il nuovo quatrattandosi di costi sostenuti a fronte di debiti
dro normativo di riferimento, i suddetti accancerti a carico del datore di lavoro”.
tonamenti non concorrono alla determinazioPer quanto attiene, invece, agli accantona- ne dell’IRAP deducibile dalle imposte sui redmenti operati a partire dal 2015 per “… even- diti”.
tuali oneri futuri connessi al rapporto di lavoro La motivazione è chiara, visto che tali accan…”, le Entrate hanno “sposato” la tesi, già tonamenti vengono dedotti - nello stesso eserespressa in passato (7) secondo la quale le po- cizio o in successivi - ai fini dell’IRAP, non
ste di natura estimativa non possono essere de- possono essere considerati per la determinaziodotte ai fini IRAP (nonostante la riforma del ne della quota del tributo regionale deducibile
2007 del tributo regionale abbia introdotto la dall’IRES/IRPEF. Dal tenore dell’affermazione
rilevanza “piena” dei valori del conto economi- delle Entrate sembra, peraltro, che ciò valga
co e lo “sganciamento” dall’IRES). Pertanto, sia per gli accantonamenti immediatamente
secondo le Entrate, “… tali oneri assumeranno deducibili (quale il TFR), sia per quelli la cui
rilevanza al verificarsi dell’evento che ha costi- deducibilità IRAP slitta ad esercizi futuri
tuito il presupposto del relativo stanziamento (quelli di natura estimativa). L’intento dovrebin bilancio in quanto afferenti a costi del lavo- be essere quello di evitare di dover rettificare ro deducibili dalla base imponibile IRAP a ex post - la deduzione IRES/IRPEF della quota
partire dal periodo d’imposta successivo a quel- IRAP relativa agli stanziamenti per spese di lalo in corso al 31 dicembre 2014”. Dunque, così voro che vengono inizialmente tassati per poi
come avviene per altre tipologie di accantona- essere dedotti dal tributo regionale in esercizi
menti, sarà necessario “sospendere” la deduci- successivi.
bilità dei citati accantonamenti in attesa che Con riferimento poi ai fondi costituiti durante
si verifichi l’evento che attribuisca il carattere i periodi d’imposta precedenti all’entrata in vigore della norma in esame, per accantonamendi “certezza” al relativo costo.
(7) Circolare n. 12/E del 19 febbraio 2008.
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ti tassati ai fini IRAP e relativi al costo dei lavoratori a tempo indeterminato, l’Agenzia riconosce la deducibilità degli stessi se l’evento
che attribuisce la certezza del costo si verifica
dal 2015 in avanti. Quindi, nel momento in
cui viene utilizzato il fondo, i relativi importi
rientrano nel calcolo del costo del personale
deducibile ai sensi del nuovo comma 4-octies
del Decreto IRAP, ancorché l’imputazione a
conto economico sia avvenuta, a titolo di accantonamento, negli anni precedenti all’entrata in vigore della nuova deduzione.
Tale favorevole interpretazione comporta, però, la necessità di rettificare la quota dell’IRAP
dedotta a suo tempo dalle imposte sui redditi,
in quanto calcolata anche su tali accantonamenti indeducibili. A tal fine, nella circolare
viene precisato che “… l’imposta dedotta dovrà essere recuperata mediante la rilevazione di
un componente positivo di reddito ai sensi dell’articolo 88 del T.U.I.R. nell’esercizio di sostenimento della spesa afferente all’accantonamento a suo tempo operato. A tal fine, gli utilizzi andranno prioritariamente attribuiti ai
fondi accantonati prima dell’entrata in vigore
della nuova disciplina, che hanno generato
IRAP deducibile, partendo da quelli di data
più remota. Restano ferme le deduzioni già
operate e le istanze di rimborso già presentate”.
Dunque, ciò che risulta chiaro è che l’IRAP
dedotta dalle imposte sui redditi negli anni in
cui erano stati effettuati gli accantonamenti,
deve essere tassata tramite la rilevazione di
una sopravvenienza attiva negli esercizi in cui
le relative spese vengono sostenute (e dedotte
ai fini del tributo regionale). Quello che, invece, è meno chiaro, è come calcolare tale sopravvenienza.
Alcuni autori (8) hanno sostenuto che “Non
dovrà essere fatta una sorta di rideterminazione
della deduzione già utilizzata o richiesta a rimborso … ne consegue che occorrerà semplicemente operare una variazione in aumento ai fini delle imposte sui redditi per un ammontare
pari all’IRAP ammessa in deduzione sull’utiliz-
IRAP
zo di fondi oneri futuri del personale utilizzati
dal 2015 in avanti”.
Tale conclusione non appare, però, del tutto
convincente per le seguenti motivazioni.
L’Agenzia delle entrate ha espressamente indicato un criterio di utilizzo dei fondi, che hanno
generato IRAP deducibile, partendo da quelli
di data più remota. In altri termini, sembrerebbe che in presenza di accantonamenti operati
in più esercizi, i relativi utilizzi vadano attribuiti secondo un criterio “FIFO”.
Per esemplificare, in presenza di accantonamenti per spese attinenti a lavoratori a tempo
indeterminato eseguiti per 100 per ciascun anno dal 2012 al 2014 (per un totale, quindi, di
300) e utilizzi dei relativi fondi per 250 nel
2015, bisognerà considerare utilizzate completamente le quote del 2012 e del 2013 e parzialmente, per 50, quella del 2014.
Tale operazione, indicata dalle Entrate, appare
necessaria per calcolare in modo puntuale la
sopravvenienza attiva considerando che la determinazione della quota IRAP deducibile dall’IRES/IRPEF è variabile anno per anno e deriva non solo dall’entità del costo del lavoro
non dedotto, ma anche dall’esistenza o meno
di una base imponibile IRAP positiva, nonché
dalle aliquote applicate (riprendendo l’esempio, ipotizzando che nell’anno 2013 la base imponibile sia stata negativa, in relazione a quella annualità non andrebbe recuperata a tassazione alcuna imposta dedotta).
Peraltro, se fosse corretta la tesi secondo cui la
sopravvenienza attiva è pari all’IRAP ammessa
in deduzione per l’utilizzo dei fondi, sarebbe
stato sufficiente tracciare una linea di demarcazione per distinguere i fondi stanziati ante
2015 (da tassare) e quelli post 2015 e non vi
sarebbe stata alcuna necessità di indicare il citato criterio “FIFO”.
Invece, si ritiene che, a fronte dell’utilizzo, a
partire dal 2015, di un fondo per costi del lavoro a tempo indeterminato non dedotto ai fini IRAP, si dovrebbe calcolare il relativo componente positivo tenendo conto dell’anno al
(8) G. Manguso ed E. Pugliese, “Il riconoscimento ai fini
IRAP di alcuni oneri del personale con contratto a tempo indeterminato”, in il fisco, n. 32-33/2015, pag. 3155.
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quale viene “assegnato”
Assonime ipotizzava di riLA PRASSI AMMINISTRATIVA
conoscere comunque il ditale utilizzo - seguendo il
Credito
d’imposta
in
assenza
di
personale
ritto ad usufruire della demetodo “FIFO” indicato
L’Agenzia delle entrate ha affermato che il
duzione.
dall’Amministrazione ficredito d’imposta per i contribuenti che non
Di diverso avviso è, invenanziaria - e, di conse- si avvalgono di lavoratori dipendenti possa
ce, l’Agenzia che ritiene
guenza, verificando se e in essere riconosciuto solo in favore dei
“di dover escludere che
che misura abbiano inciso soggetti che non si avvalgano, in alcun
rapporti di lavoro regolati
nella determinazione della modo, di personale dipendente, a
a tempo determinato in
quota IRAP deducibile ai prescindere dalla tipologia contrattuale
fini dell’IRES/IRPEF gli adottata (tempo determinato/indeterminato). funzione del tipo di attività svolta ovvero della noraccant oname n ti a su o L’Agenzia ritiene, inoltre, che non debba
essere operato alcun ragguaglio nel caso in
mativa di settore diano ditempo operati.
cui il contribuente abbia avuto nel corso
ritto all’applicazione della
Sul punto va anche osser- dell’anno, anche per un periodo di tempo
nuova misura concernente
vato che, vista l’emersione limitato, lavoratori alle proprie dipendenze.
la deducibilità integrale
della suddetta sopravvedelle spese per il personale
nienza attiva, per la deterimpiegato a tempo indeterminato”.
minazione dell’IRAP deducibile dalle imposte
sui redditi dell’esercizio, è necessario sterilizza- Credito d’imposta in assenza di personale
re la parte della deduzione IRAP di cui al comLa Legge di stabilità 2015 ha, come è noto,
ma 4-octies dell’art. 11 relativa ai fondi utilizzasancito anche l’abrogazione delle norme che
ti. In altri termini, poiché la tassazione della
avevano previsto, a decorrere dal 2014, la ridusopravvenienza nell’esercizio di utilizzo dei fonzione delle aliquote IRAP. In conseguenza deldi in argomento determina il recupero dell’Ila mancata diminuzione è stata introdotta la
RAP dedotta in passato, il calcolo della quota deduzione integrale del lavoro “stabile” e un
del tributo regionale deducibile dalle imposte credito d’imposta, da utilizzare esclusivamente
sui redditi nel medesimo esercizio non deve es- in compensazione, pari al 10% dell’IRAP lorsere influenzato dalla deduzione IRAP relativa da, per i contribuenti che non si avvalgono di
all’utilizzo dei medesimi fondi, altrimenti si ve- lavoratori dipendenti.
rificherebbe una doppia tassazione (rectius un Tale credito d’imposta può essere utilizzato a
doppio recupero).
decorrere dall’anno di presentazione della dichiarazione
corrispondente al periodo d’impoContratti a termine
sta successivo a quello in corso al 31 dicembre
È stato osservato (9) che l’attribuzione della 2014. In sostanza, il primo utilizzo, in caso di
deduzione in argomento ai soli contratti di la- coincidenza del periodo d’imposta con l’anno
voro a tempo indeterminato comporta una di- solare, potrà avvenire dal 1° gennaio 2016.
scriminazione che “non sembra giustificabile in L’argomento è già stato oggetto di un precequelle situazioni nelle quali il ricorso a perso- dente intervento dell’Agenzia, contenuto nella
nale a tempo indeterminato non è possibile, circolare n. 6/E del 2015, con il quale è stata
per ragioni inerenti al tipo di attività svolta o affermata la rilevanza del credito nell’ambito
a preclusioni di tipo legale o regolamentare”. del reddito d’impresa e non del reddito di lavoVi sono, ad esempio, delle attività che preve- ro autonomo. Tale posizione ha sollevato nudono un periodo di tempo massimo di durata merose eccezioni in dottrina e, in particolare,
del rapporto di lavoro e altre la cui stagionalità quella secondo cui, dato che il principio OIC
delle lavorazioni obbliga ad assunzioni solo per 12 stabilisce che nella voce 22 va indicato
un periodo dell’anno. Per queste fattispecie “l’intero ammontare dei tributi di competenza
(9) Assonime, circolare n. 7/2015.
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dell’esercizio al quale si riferisce il bilancio”,
l’IRAP dell’esercizio potrebbe essere determinata al netto del credito d’imposta, con conseguente irrilevanza reddituale. Ciò eviterebbe
disparità di trattamento tra le imprese e gli
esercenti arti e professioni. Per tale aspetto, comunque, si rimanda ad uno specifico approfondimento (10).
Il quesito al quale, invece, ha dato risposta
l’Agenzia delle entrate nella circolare in commento, riguarda la possibilità di usufruire del
credito - eventualmente ridotto - in caso di
presenza di lavoratori subordinati solo per una
parte dell’anno. Il chiarimento non è stato favorevole, infatti l’Agenzia ha affermato che
“Stante il tenore letterale della norma, si è del
parere che il beneficio in esame possa essere riconosciuto solo in favore dei soggetti che non
si avvalgano - in alcun modo - di personale dipendente, a prescindere dalla tipologia contrattuale adottata (tempo determinato/indeterminato). Si ritiene inoltre che, per effetto della condizione posta dalla norma, non debba essere operato alcun ragguaglio nel caso in cui il
contribuente abbia avuto nel corso dell’anno anche per un periodo di tempo limitato - lavoratori alle proprie dipendenze”. Dunque, secondo l’Agenzia la presenza di un lavoratore anche
per un solo giorno dell’anno, nega la possibilità
di fruire del credito d’imposta anche solo parzialmente. Inoltre, l’inciso “… in alcun modo
…” dovrebbe significare che anche la presenza
di lavoratori somministrati o distaccati negherebbe il beneficio. Non pare, invece, che vi
siano dubbi sul fatto che, in base al tenore letterale della norma, il credito spetti a coloro
che impiegano soltanto collaboratori coordina-
IRAP
ti e continuativi o a progetto o esternalizzano i
servizi. Risultano, quindi, particolarmente penalizzati i contribuenti che hanno alle loro dipendenze lavoratori a tempo determinato che
non possono fruire né della deduzione di lavoro dipendente né del credito d’imposta in parola.
Deduzione forfetaria imposte sui redditi
L’ultimo chiarimento della circolare n. 22/E
delle Entrate attiene alla “convivenza” tra il
credito d’imposta in commento e la deduzione
dalle imposte sui redditi del 10% dell’IRAP
forfetariamente riferita agli interessi passivi e
agli oneri assimilati indeducibili. In particolare
si poneva il dubbio se tale deduzione forfetaria
andasse calcolata sull’IRAP al lordo o al netto
del credito d’imposta. A tal proposito l’Agenzia chiarisce che “La compensazione orizzontale prevista dalla norma … fa sì che non vi sia
una diretta correlazione tra il credito maturato
e l’IRAP dovuta in relazione a ciascun periodo
d’imposta. Pertanto, la deduzione forfetaria del
10% prevista ai fini IRES/IRPEF va calcolata
sull’IRAP al lordo del credito. Ciò anche nel
caso in cui il contribuente decidesse di utilizzare il credito maturato per compensare l’IRAP
di periodo, trattandosi comunque di imposta
dovuta e versata previa compensazione con il
credito spettante”. Il chiarimento appare condivisibile soprattutto dal punto di vista della
semplificazione. In sostanza, i due importi relativi alla deduzione forfetaria e al credito d’imposta non hanno alcuna influenza tra loro, anche qualora il credito venisse utilizzato per
compensare, nel Mod. F24, la stessa IRAP.
(10) G. Ferranti, “Ancora problematica la disciplina del credito d’imposta del 10% ai fini IRAP”, in Corr. Trib., n. 14/2015,
pag. 1035.
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Tributi locali
Cass., 8 luglio 2015, n. 14225
ICI sulle scuole paritarie:
la Cassazione tra (pseudo?) norme
interpretative e vincoli comunitari
di Laura Castaldi (*)
La Suprema Corte, con sentenze nn. 14225 e 14226 del 2015, ribadisce il proprio consolidato
orientamento interpretativo dell’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504/1992, circa l’esenzione dal pagamento dell’ICI, come l’unico in grado di coerenziare la disposizione interna con i
vincoli apposti dalla normativa europea in materia di concorrenza, mandandola indenne da
possibili censure per contrasto con la disciplina sugli aiuti di Stato, e, nel porre a carico del contribuente l’onere di provare la modalità non commerciale di svolgimento dell’attività, individua parametri di riferimento che peraltro si rivelano solo in parte in linea rispetto a quanto al riguardo disposto dal D.M. n. 200/2012.
La decisione della Suprema Corte n. 14225 del
2015 (1) si presterebbe quale occasione per formulare qualche interessante considerazione
sulle negative ricadute di sistema che siamo
periodicamente costretti a registrare a motivo
dell’azione di un legislatore che sembra non
ancora pienamente consapevole dei molteplici
(e ormai ineludibili) vincoli frappostigli a livello europeo nel perseguimento dei suoi
obiettivi di politica legislativa (a maggior ragione e soprattutto, quando a tal fine intenda
servirsi della leva tributaria).
Simili considerazioni e valutazioni peraltro ci
porterebbero molto lontano e finirebbero per
esulare dall’economia di una nota a sentenza,
qual è quella che siamo chiamati a redigere in
questa sede. E dunque le rinviamo, se del caso,
ad altri, più consoni, contesti: senza con ciò
mancare di evidenziarne i profili di emersione
(che pur ci sono) nella filigrana del ragionamento della Suprema Corte.
Per quanto qui ci riguarda, ci limiteremo dunque e piuttosto ad esaminare il pronunciamento in esame (2) dallo stretto angolo di visuale
dell’iter argomentativo che ne costituisce l’ossatura; con ciò ritenendo, peraltro, di fare cosa
utile: considerato che molti commenti a caldo
apparsi sui quotidiani, più o meno specializzati,
all’indomani della pubblicazione della decisione in esame (3), invece di soffermarsi a verifi-
(*) Professore associato di Diritto tributario presso l’Università
di Siena e Avvocato in Firenze
(1) Il testo della sentenza è riportato a seguire.
(2) La Corte di cassazione in realtà si è pronunciata sulla
medesima questione con due coeve sentenze - la sentenza n.
14225 del 2015 e la sentenza n. 14226 del 2015 - di identico
contenuto. L’oggetto del contendere infatti muoveva in entrambi i casi dall’iniziativa del Comune di Livorno il quale aveva emesso distinti avvisi di accertamento ICI (relativamente ai
periodi d’imposta dal 2004 al 2009) nei confronti di due diversi
istituti religiosi negando loro la (per contro invocata) spettanza
dell’esenzione ICI di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs.
n. 504/1992 con riferimento a talune unità immobiliari di loro
proprietà destinate all’esercizio di attività didattica: trattavasi
in entrambi i casi, da quanto è dato arguire dai commenti giornalistici, di due scuole private paritarie. Ambedue gli enti religiosi, soccombenti in primo grado, erano pervenuti al giudizio
di cassazione vittoriosi in grado d’appello e dunque in veste di
controricorrenti.
L’iter argomentativo delle due sentenze sopra richiamate ri-
sulta così del tutto omologo: probabilmente per ragioni che si
riconnettono all’ampiezza delle questioni rispettivamente sollevate dalle difese delle due parti contribuenti nei precedenti
gradi di merito, solo la sentenza n. 14225 del 2015 si sofferma
- pronunciandosi peraltro negativamente al riguardo - sulla richiesta, forse formulata in denegata ipotesi dalla parte contribuente nel corpo del proprio controricorso (per l’ipotesi in cui
cioè si fosse ritenuta legittima la pretesa impositiva del Comune e dunque non spettante l’esenzione invocata), di disapplicazione delle sanzioni per incertezza normativa. Per la maggiore
ampiezza delle questioni affrontate, è dunque a quest’ultimo
pronunciamento che faremo riferimento nel corpo del presente
contributo.
(3) Si fa riferimento in particolare ad una serie di articoli
comparsi sui maggiori quotidiani italiani nei giorni del 25-28 luglio 2015. Per una ben più pertinente, oltreché pacata, valutazione dell’operato della Suprema Corte, cfr. Trovati, “La Cassazione precisa: ‘Per l’esenzione ICI la scuola deve provare il no
profit’”, in Il Sole - 24 Ore del 27 luglio 2015.
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Cass., 8 luglio 2015, n. 14225
Tributi locali
carne il grado, se non di condivisibilità, quantomeno di prevedibilità alla luce del contesto
normativo e giurisprudenziale nazionale e comunitario dato, si sono precipitati (forse un
po’ troppo vivacemente e scompostamente) ad
etichettarla come ideologizzata, politicamente
orientata, foriera di pericolose diseguaglianze
quando non addirittura discriminatoria (4).
Tant’è che la risonanza mediatica cui la sentenza è stata fatta oggetto è stata tanta e la
vis polemica tale che hanno finito per cogliere
di sorpresa la stessa Suprema Corte la quale,
per bocca del suo primo Presidente, si è sentita
in diritto (e fors’anche in dovere) di diffondere
una severa nota in cui - tacciate le polemiche
come “in larga parte fuor d’opera”- “al fine di
evitare qualsiasi strumentalizzazione” ha ritenuto opportuno ricondurre la vicenda nei giusti binari e, dopo aver ricordato a tutti che la
disposizione normativa con cui si aveva a che
fare (5) era stato oggetto di una (in verità abbastanza sofferta) indagine comunitaria (6) per
“sospetti aiuti di Stato che sarebbero potuti derivare da una sua interpretazione non rigorosa
e in possibile contraddizione con i principi della concorrenza”, ha sottolineato come la soluzione interpretativa adottata dal Collegio giudicante fosse in linea con i precedenti della
Corte in materia (7) secondo cui “l’esenzione
spett[a] laddove l’attività cui l’immobile è de-
stinato, pur rientrando tra quelle astrattamente
previste dalla norma come suscettibili di andare esenti, non sia svolta in concreto con le modalità di un’attività commerciale” e che proprio sulla ricorrenza di tale circostanza - il cui
relativo onere probatorio grava sulla parte contribuente - la Corte aveva ritenuto censurabile
la sentenza d’appello, colpevole di non aver
congruamente motivato in ordine al conseguimento in giudizio di siffatta prova “tenuto conto di quanto la giurisprudenza della Corte ha
affermato circa gli elementi che contraddistinguono l’attività d’impresa” (8). Da cui la conseguente cassazione della sentenza impugnata
con rinvio.
Insomma, detto in breve, secondo la nota
emessa dalla stessa Suprema Corte:
a) l’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n.
504/1992, per diritto vivente, riserva l’esenzione da imposizione ICI agli immobili posseduti
e direttamente utilizzati da enti non commerciali (9) per lo svolgimento delle attività indicate nella norma, a condizione che tali attività
siano svolte secondo modalità non commerciali: circostanza la cui sussistenza è onere della
parte contribuente che invoca l’esenzione provare nella sua ricorrenza in concreto alla stregua delle indicazioni ritraibili dalla giurisprudenza di legittimità in ordine agli elementi che
caratterizzano l’attività d’impresa;
(4) A conferma del fatto che la problematica sottesa al pronunciamento in esame è ben più vasta e complessa: essa travalicando la stretta questione di diritto tributario sulla quale è
stata chiamata a pronunciarsi la Corte (oltre che estranea alla
logica e allo strumentario strettamente giuridico che, correttamente, il giudice di legittimità ha utilizzato per affrontarla, la
sua risoluzione). La vicenda, invero, evoca e involge le note e
delicate questioni in ordine all’assetto che si intende dare al
c.d. sistema di istruzione pubblica integrato e alle modalità di
suo finanziamento nel rispetto, sì, di quanto disposto dall’art.
33 Cost. ma altresì nel quadro del principio costituzionale di
sussidiarietà e del diritto (più volte ribadito a livello europeo)
alla libertà di scelta educativa (su cui da ultimo v. risoluzione
dell’Assemblea parlamentare del Parlamento europeo n. 1904,
F-67075 del 4 ottobre 2012).
(5) Appunto, l’art. 7 lett. i), del D.Lgs. n. 504/1992: sia nella
sua originaria formulazione che nelle declinazioni successivamente assunte per effetto degli (col senno dipoi, assai infelici)
interventi normativi di cui all’art. 7, comma 2-bis, D.L. n.
203/2005 e dipoi dell’art. 39, del D.L. n. 223/2006. Per una
puntuale ricostruzione dell’evolversi del dato normativo per effetto degli interventi legislativi su di esso succedutisi nel tempo, cfr. Selicato, “L’imposta municipale unificata (IMU) e gli
enti ecclesiastici: nuove norme per vecchi problemi”,
in www.federalismi.it, n. 22/2012.
(6) Come è facile intuire dall’esposizione dei molteplici passaggi che hanno contrassegnato il serrato confronto tra Stato
italiano e Commissione Europea dipoi sfociato nel procedimento di indagine formale ex art. 108 § 2 del Trattato, rinvenibili, puntualmente descritti, ai §§ 1-21 della decisione 19 dicembre 2012, n. 2013/284/UE.
(7) La nota fa riferimento ad una “linea di continuità con il
consolidato orientamento della Corte stessa circa l’interpretazione dell’esenzione prevista dall’art. 7 comma 1 lett. i) del decreto legislativo n. 504 del 1992 e dei relativi limiti”.
(8) Non essendo stato possibile reperire il testo ufficiale della nota, i passaggi virgolettati di cui al testo sono stati ripresi
così come testualmente riportati in Trovati, cit., nonché in nota
redazionale “Santacroce: nessun obbligo per le scuole paritarie di pagare l’ICI. Decidono i giudici”, in www.lapress.it, 27 luglio 2015.
(9) Sulla questione della (giudizialmente asserita) necessaria coincidenza soggettiva tra ente titolare dell’immobile ed ente utilizzatore dello stesso per le attività elencate dalla norma,
rinvio a Castaldi, “Riflessioni sparse sull’esenzione ICI di cui all’art. 7, comma 1, lettera i) del D.Lgs. n. 504/1992 e la Corte di
Cassazione”, in Rass. trib., 2009, pag. 794 ss. nonché Tarigo, “L’esenzione IMU - TASI degli enti non commerciali”, in
Riv. dir. trib., 2014, I, pag. 1097 ss.
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Cass., 8 luglio 2015, n. 14225
Ambito di applicabilità
b) in questo consolidato e
LA GIURISPRUDENZA
dell’esenzione ICI
rassicurante canale interEsenzione
ICI
per
immobili
pretativo - l’unico che
In primo luogo, non va
di enti non commerciali
coerenzia la disposizione Secondo la Suprema Corte, l’art. 7, comma
sottaciuta una circostanza
interna con i vincoli ap- 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504/1992, per diritto
di non poco conto: e cioè
posti dalla normativa eu- vivente, riserva l’esenzione da ICI agli
che, nel pronunciarsi sulla
immobili
posseduti
e
direttamente
utilizzati
ropea in materia di convicenda in esame, la Corte di cassazione - forse per
correnza mandandola in- da enti non commerciali per lo svolgimento
delle
attività
indicate
nella
norma,
a
la prima volta - ha dovudenne da possibili censure
condizione che tali attività siano svolte
to, almeno in via di prinper contrasto con la disci- secondo modalità non commerciali:
plina sugli aiuti di Stato - circostanza la cui sussistenza è onere della cipio, fare i conti con il
dettato dell’art. 7, comma
si colloca e ha da essere parte contribuente che invoca l’esenzione
1, lett. i), nella versione
collocata anche la senten- provare nella sua ricorrenza in concreto,
alla
stregua
delle
indicazioni
ritraibili
dalla
risultante a seguito dei
za n. 14225 del 2015 la
giurisprudenza di legittimità in ordine agli
due interventi normativi
quale, dunque, in niente
elementi che caratterizzano l’attività
del 2005 e del 2006 (11):
innova rispetto al quadro d’impresa.
entrambi, seppur con sfugiurisprudenziale precemature diverse, chiaradente: ogni scalpore, rimente volti - peraltro attraverso il ricorso alla
guardo al suo contenuto, è dunque del tutto
leva dell’interpretazione autentica (12) - a congratuito e ingiustificato.
trastare e superare proprio quell’orientamento
La sintesi di pensiero è efficace e lodevole l’ininterpretativo rigoristico della norma di esentento della Suprema Corte di smorzare il clazione qui ribadito e nel frattempo, già all’epomore venutosi a creare intorno alla sentenza e ca, invalso nella giurisprudenza di legittimicosì ricondurre la discussione sulle problemati- tà (13).
che di più ampio respiro ad essa indirettamente E le scansioni argomentative della (e dunque
sottese nei giusti ambiti di competenza: che so- la posizione assunta dalla) Corte in merito alla
no quelli politici e non giudiziari (10).
valenza loro attribuibile nell’economia del giuA nostro parere, però, seguendo questo registro dizio non mancano di evidenziare profili di indi lettura si rischia di perdere di vista alcuni teresse.
profili e passaggi argomentativi della pronuncia In ambedue i casi, a prescindere dalla loro fatin commento che, per contro, riteniamo meri- tura, si avrebbe a che fare con norme dalla
tino qualche supplemento di riflessione. Alme- portata innovativa (14) e non già interpretatino sotto due distinti profili.
va (15). Ragion per cui, a tutto concedere, esse
(10) Tant’è che, secondo quanto riportato da fonti giornalistiche, il Governo si è mostrato sin da subito intenzionato ad
avviare un tavolo di confronto con le parti interessate per affrontare le questioni sollevate all’indomani della sentenza in
commento nell’orizzonte di più ampio respiro cui si è fatto
cenno supra alla nt. 3.
(11) Si tratta, come già detto, dell’art. 7, comma 2-bis, del
D.L. n. 203/2005 - secondo il quale l’esenzione in discussione
“si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale
delle stesse” - e del successivo art. 39 D.L. n. 223/2006 alla
cui stregua la suddetta esenzione “si intende applicabile alle
attività indicate nella medesima lettera che non abbiano esclusivamente natura commerciale”.
(12) Sul frequente ricorso alle norme di interpretazione autentica da parte del legislatore tributario come strumento di
controllo dei risultati ermeneutici (e di loro sottrazione al potere giudiziario) così da vincere eventuali interpretazioni sgradite
3728
che si siano affermate in ambito giurisprudenziale vd. Perrone,
“Certezza del diritto e leggi di interpretazione autentica in materia tributaria”, in Rass. trib., 2001, pag. 1050 ss. (“di fatto le
suddette norme finiscono esse stesse con l’ingenerare incertezza nella misura in cui vi si fa sempre più spesso ricorso al fine di ribaltare un orientamento giurisprudenziale ritenuto politicamente scomodo”).
(13) Rinviamo a Castaldi, “Riflessioni sparse sull’esenzione
ICI”, cit., pag. 798, nt. 11, ove il richiamo ai precedenti giurisprudenziali.
(14) Esse infatti - a detta della Corte - avrebbero esteso l’originario ambito di applicabilità dell’esenzione rendendo irrilevante, ai fini della sua fruibilità, la natura commerciale/non
commerciale dell’attività (tipologicamente rientrante tra quelle
indicate dalla norma) svolta nell’immobile dall’ente non commerciale.
(15) È del tutto evidente invece, in entrambi i casi, l’intento
legislativo di contrastare l’orientamento interpretativo giuri-
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Cass., 8 luglio 2015, n. 14225
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spiegherebbero effetto solo per l’avvenire, dovendosi escludere qualunque loro efficacia retroattiva con riferimento alle annualità 2004 e
2005 oggetto di accertamento.
In ogni caso - anche con riferimento ai successivi periodi d’imposta oggetto di causa, rispetto
ai quali siffatte norme sarebbero risultate vigenti a tutti gli effetti (16) - ambedue le suddette disposizioni di intervento sul dettato dell’art. 7, comma 1, lett. i), cit., si rivelerebbero
di dubbia compatibilità con l’ordinamento comunitario (17), come tali passibili di disapplicazione per contrasto con la normativa europea in materia di aiuti di Stato, se non fosse
per la repentina intervenuta sostituzione della
prima con la seconda e il definitivo superamento delle problematiche comunitarie di quest’ultima a motivo dell’approvazione dell’art.
91-bis del D.L. n. 1/2012.
Onde, in conclusione con riferimento a tutte
le annualità oggetto di accertamento (20042009), troverebbe conferma l’applicazione del
disposto di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), cit.,
nella portata e alle condizioni che la giurisprudenza di legittimità ha inteso attribuirgli da
tempo con orientamento consolidato, tale da
assurgere a vero e proprio diritto vivente.
Orbene, se la parte conclusiva dell’iter argomentativo può destare qualche perplessità (18),
ciò che più interessa dei passaggi motivazionali
della sentenza appena riportati sono due messaggi impliciti che possono ravvisarsi esservi
contenuti: entrambi aventi come referente diretto il legislatore.
Il primo: che, nel sempre più frequente confronto/scontro tra legislativo e giudiziario per il
controllo dei risultati ermeneutici dei dati normativi, chi è destinato ad avere l’ultima parola
è il secondo nella misura in cui costui è (o comunque ritiene di essere) nella condizione di
arrogarsi la prerogativa di stabilire ciò che ontologicamente può (o non può) qualificarsi come norma di interpretazione autentica.
Il secondo: che a dare compiuta attuazione alla
convergenza e conformazione dell’ordinamento
(anche fiscale) domestico ai principi e ai vincoli posti dalla normativa europea, si rivela decisiva e lungimirante l’attività ermeneutica e il
capillare controllo decisorio del giudice (19):
peraltro in uno scomodo ruolo suppletivo cui
lo costringe un latitante (ovvero, come nel caso di specie, recalcitrante) legislatore, cui velatamente la Corte rimprovera la tendenza a sottrarsi al peso e alla responsabilità dell’assumersi
sprudenziale non gradito attraverso il ricorso allo strumento
dell’interpretazione autentica: lo dimostra il tenore delle disposizioni di cui si discorre nelle quali compare la locuzione “si intende” secondo lo schema lessicale classico proprio delle norme interpretative “X si interpreta/si intende/ha il significato di
Y”.
(16) Si tratta delle annualità 2006-2009.
(17) Con riguardo alla prima la Corte parla di norma “sospettata non senza fondamento, di essere in conflitto con la
normativa comunitaria sugli aiuti di Stato”, quanto alla seconda che “non può essa stessa essere giudicata in linea con la
disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato” come testimonierebbe il fatto che “la Commissione Europea sulla concorrenza abbia aperto un’indagine per ovviare alla quale è stato poi approvato l’art. 91-bis del D.L. n. 1 del 2012”.
(18) La Corte infatti sembra non volere dar conto del fatto
che la Commissione Europea non ha solo avviato ma ha anche
concluso il procedimento di indagine formale ex art. 108 §2
del Trattato, adottando la decisione 19 dicembre 2012, n.
2013/284/UE con la quale ha affermato a chiare lettere che
“l’esenzione dall’ICI di cui all’articolo 7 primo comma lettera i)
nella versione in vigore prima delle modifiche apportate dal decreto legge n. 1/2012 derogava al sistema di riferimento e si
configurava come una misura selettiva” (§ 121) così concludendo che “la misura in esame soddisfa tutte le condizioni di
cui all’articolo 107, paragrafo 1, del Trattato e che deve essere
considerata un aiuto di Stato” (§ 136), “incompatibile con il
mercato interno” (§ 150). D’altro canto nel presentare il detta-
to dell’art. 91-bis del D.L. n. 1/2012 come intervento cui è ricorso il legislatore tributario per ovviare alle possibili disavventure comunitarie paventabili con riguardo al precedente tenore
normativo, la Corte sembra quasi voler alludere ad una sorta
di valenza sanante ex tunc di tale potenziale conflittualità attribuibile a siffatta disposizione che per contro non pare si possa
riconoscerle: posto che l’art. 91-bis non è né norma espressamente retroattiva né, proprio laddove si intendano assumere
per buoni i criteri identificativi all’uopo seguiti dalla Corte nella
sentenza in commento, classificabile come norma interpretativa dell’art. 7, lett. i), del D.Lgs. n. 504/1992 nel testo vigente
dopo le modifiche apportate dall’art. 39 D.L. n. 223/2006: è
evidente infatti che c’è una incompatibilità logico-semantica e
dunque una irriducibilità dell’espressione “attività (…) che non
abbiano esclusivamente natura commerciale” a quella di attività esercitate “secondo modalità non commerciali”.
(19) Cfr. Romboli, “Il ruolo del giudice in rapporto all’evoluzione del sistema delle fonti e alla disciplina dell’ordinamento
giudiziario”, in Quaderni dell’Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, Seminario 2005, Torino, 2006, pag. 64 ss.:
“l’importanza e il ruolo centrale che viene ad assumere il giudice nazionale deriva dal fatto che la Corte di Giustizia, al fine di
rendere efficaci i vincoli derivanti per gli Stati membri dal diritto comunitario, ha pensato di appoggiare il compito di controllare e in parte di sanzionare gli Stati ai loro giudici nazionali attraverso appunto gli strumenti della pregiudiziale comunitaria
e del potere-dovere di disapplicazione”.
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Cass., 8 luglio 2015, n. 14225
nosceva l’esenzione ICI di
la paternità di interventi
LA GIURISPRUDENZA
cui si discorre per gli imcorrettivi del sistema neRapporti
tra
legislativo
e
giudiziario
mobili nei quali si svolgecessari ma politicamente
Dalla
motivazione
della
sentenza
n.
14225
vano attività ivi indicate
scomodi.
“che non [avessero] natura
Detto ciò, e per conclude- del 2015 si ravvisano due importanti
messaggi impliciti:
re sul punto, ci sarebbe - nel confronto/scontro tra legislativo e
esclusivamente commersemmai da chiedersi se, in giudiziario per il controllo dei risultati
ciale”: espressione, queun contesto così descritto ermeneutici dei dati normativi, chi è
st’ultima, sulla cui intrin- a maggior ragione tenuto destinato ad avere l’ultima parola è il
seca oscurità (se non amconto della piena consa- secondo, nella misura in cui costui è nella
biguità) di significato ci
condizione
di
arrogarsi
la
prerogativa
di
pevolezza che della sua risembra sinceramente difficorrenza mostra di avere stabilire ciò che ontologicamente può (o
cile non concordare.
non
può)
qualificarsi
come
norma
di
la Suprema Corte - ci si
Requisito oggettivo
potesse aspettare da parte interpretazione autentica;
- l’attività ermeneutica e il capillare
di quest’ultima una diver- controllo decisorio del giudice sono decisivi della norma
di esenzione
sa e meno sbrigativa valu- per dare attuazione alla convergenza e
Ma è anche e soprattutto
tazione in merito alla sus- conformazione dell’ordinamento (anche
sotto altro e distinto profisistenza degli estremi per fiscale) domestico ai principi e vincoli posti
lo che la sentenza merita
la (di contro invocata dal dalla normativa europea.
attenzione.
contribuente) disapplicaEd
è
laddove
la
Corte
si sofferma a disquisire in
zione delle sanzioni per obiettiva condizione di
ordine ai profili che - a suo dire - hanno (e non
incertezza normativa.
Invero, pur apparentemente trincerandosi dietro hanno) da essere considerati per verificare la riun preteso mancato rispetto del principio di correnza del requisito oggettivo di applicabilità
autosufficienza, la Corte in realtà giustifica del della norma di esenzione (secondo il diritto viproprio diniego di accoglimento della richiesta vente, prima, e, ora, per espressa disposizione di
formulata dall’ente contribuente adducendo una legge stanti le modifiche apportate alla suddetta
asserita non equivocità di contenuto della (e disposizione, da ultimo, con l’art. 91-bis del D.L.
inesistenza di pluralità di prescrizioni di difficile n. 1/2012): ovverosia l’essere, l’attività cui l’imcoordinamento nella) norma che non convince. mobile è destinato, non solo rientrante tipologiNon v’è dubbio infatti che la norma sia stata camente tra quelle previste nella norma, ma aloggetto, nell’arco di pochi anni, di ben tre di- tresì svolta “secondo modalità non commerciaversi interventi modificativi (due dei quali for- li”.
malmente costruiti e presentati dal legislatore E al riguardo ci sembra che la posizione della
come di carattere interpretativo): sostenere - Suprema Corte possa essere così sintetizzata:
come sostiene la Corte - la loro valenza in per la verifica di sussistenza del requisito in
realtà innovativa e non già interpretativa non questione non rileva né il fine (oggettivamente
ci sembra sposti il problema, posto che la pro- e/o soggettivamente non lucrativo) perseguito
spettiva da cui ha da riguardarsi la questione si dall’ente, né l’eventuale risultato (in perdita)
appunta sulla verifica di ricorrenza dell’ele- di gestione dell’attività, quanto piuttosto il suo
mento soggettivo della colpevolezza ai fini del- atteggiarsi o meno quale “attività economica
la imputabilità della violazione e dunque di organizzata”: per tale dovendosi intendere
punibilità del contribuente. E fermo restando quella gestita in termini tali da garantire quanche, comunque sia, almeno con riguardo alle to meno la remunerazione dei fattori produttivi
annualità dal 2006 al 2009, il contribuente si è impiegati con i ricavi conseguiti dai beni e sertrovato a fare i conti con una norma che rico- vizi prodotti (20). Onde, per un verso, la sicura
(20) La Corte parla di “idoneità, almeno tendenziale dei ri-
3730
cavi a perseguire il pareggio di bilancio” e dunque di “attitudi-
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Cass., 8 luglio 2015, n. 14225
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prio e per l’appunto, nelesclusione da siffatto noLA GIURISPRUDENZA
l’essere, l’ente non comvero di attività di quelle
Corrispettivo
di
gestione
merciale cui l’attività è risvolte “in modo del tutto
feribile, caratterizzato dal
gratuito” e, per l’altro, la Si concorda sulla rilevanza che la Suprema
Corte attribuisce all’assetto corrispettivo di
perseguimento di un fine
decisiva rilevanza che viegestione ai fini della qualificazione
non lucrativo (né mutuane ad assumere quale fatto dell’attività come commerciale, ma è
rivelatore della modalità discutibile un simile assunto di principio, se listico) bensì altruisticosolidaristico (22).
commerciale di svolgi- questo si traduce nell’escludere dall’area
Quanto poi alla decisiva
mento dell’attività l’even- della commercialità le sole attività svolte in
rilevanza che la Corte attuale assetto oneroso-cor- modo del tutto gratuito. E’ utile il confronto
tribuisce all’assetto corririspettivo di sua erogazio- con il D.M. n. 200/2012, il quale, nel
descrivere
i
requisiti
per
potersi
dire
svolte
spettivo di gestione ai fini
ne all’utenza (21).
secondo
modalità
non
commerciali,
prevede
della qualificazione delLa questione è complessa
l’attività come (svolta see l’enunciazione di princi- che le attività didattiche debbano essere
svolte a titolo gratuito, ovvero dietro
condo modalità) commerpio della Corte rischia di
versamento di corrispettivi di importo
ciale, non possiamo che
non rendere sufficiente- simbolico e tali da ricoprire solamente una
essere d’accordo. A patto
mente giustizia di siffatta frazione del costo effettivo del servizio,
però
che ci si intenda sulcomplessità.
tenuto anche conto dell’assenza di relazione
la portata e il senso dell’ePossiamo limitarci in que- con lo stesso.
spressione usata.
sta sede ad alcune brevi
In particolare è quanto meno discutibile, un sinotazioni.
In linea di principio si potrebbe anche conve- mile assunto di principio, se questo si traduce
nire con la Corte che, ai fini della verifica del- sic et simpliciter nell’escludere dall’area della
la modalità non commerciale di svolgimento commercialità le sole attività svolte in modo
di un’attività, non rilevi il fine di lucro sogget- del tutto gratuito: come invece, forse non del
tivo e/o oggettivo perseguito dall’ente. Anche tutto volutamente, sembra far intendere la sense - a nostro parere - un conto è stabilire la tenza in commento.
commercialità/non commercialità dell’attività, Anche in questo caso è utile il confronto con
un altro la modalità commerciale/non com- il D.M. n. 200/2012 il quale, proprio con riferimerciale di suo svolgimento: in quest’ultimo mento alle attività didattiche, nel descrivere i
caso, soprattutto nella prospettiva comunitaria requisiti di settore che le stesse devono manifea tutela della quale il requisito è stato introdot- stare per potersi dire svolte secondo modalità
to, potendo rivelarsi tutt’altro che peregrino non commerciali, prevede che le stesse debbaipotizzare la rilevanza del fine perseguito dal- no essere svolte “a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo siml’ente cui l’attività è riferibile.
Tant’è vero che di diverso avviso rispetto agli bolico e tali da ricoprire solamente una frazioenunciati della Suprema Corte si è mostrato a ne del costo effettivo del servizio, tenuto anquesto riguardo il D.M. n. 200/2012 il quale - che conto dell’assenza di relazione con lo steschiamato dal legislatore a descrivere i requisiti, so”.
rispettivamente generali e di settore, per quali- Il Decreto del resto riecheggia sul punto le inficare le attività di cui all’art. 7, lett. i), come dicazioni ritraibili, in materia, dalla giurisprusvolte con modalità non commerciali - ha denza della Corte di Giustizia UE la quale ha
identificato i primi (i requisiti generali) pro- escluso che l’attività di insegnamento, impartine [dell’attività] a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi”.
(21) Di qui il rilievo che la Corte muove al giudice d’appello
per aver erroneamente ritenuto irrilevante il fatto che nel caso
di specie si trattava della “gestione di una scuola paritaria i cui
utenti (per quanto risulta dalla stessa sentenza impugnata) pa-
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gano un corrispettivo”.
(22) E dunque riconducibile al novero dei c.d. enti non profit (o del terzo settore) secondo l’accezione che a siffatta terminologia solitamente si attribuisce. Vd. in merito AA.VV., La fiscalità del terzo settore, a cura di G. Zizzo, Milano, 2011, passim.
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Cass., 8 luglio 2015, n. 14225
ta da un ente facente parte del sistema di istruzione pubblica, possa dirsi gestita secondo assetti retributivo-corrispettivi laddove la sua
autosufficienza finanziaria e dunque la sua durevolezza nel tempo siano fondamentalmente
garantite da fondi pubblici erogati dallo Stato
nell’assolvimento dei propri compiti istituzionali in campo sociale, culturale ed educativo
nei confronti dei propri cittadini: senza che a
ciò osti il fatto che gli alunni o i loro genitori
possano essere tenuti a pagare canoni o tasse
scolastiche, al fine di contribuire in una certa
misura ai costi di gestione del sistema (23). E
ciò perché, aggiungiamo noi, siffatti canoni e
tasse non partecipano dei connotati propri del
corrispettivo: giacché, nell’an e nel quantum di
loro fissazione, risultano svincolati dal valore
economico della prestazione resa, pur a fronte
della quale sono richiesti e versati.
Insomma, al fine di verificare l’eventuale modalità commerciale di svolgimento dell’attività,
il punto non sta semplicemente nello stabilire
se gli utenti della scuola pagano o meno una
retta ma occorre indagare cosa quella retta rappresenta: in particolare se essa possa dirsi propriamente un corrispettivo e dunque sia prevista nell’an di sua debenza e nel quantum di sua
commisurazione in termini tali da atteggiarsi
in chiave retributiva rispetto al servizio prestato e dunque al costo dell’insegnamento impartito, talché la sostenibilità finanziaria dell’attività e l’equilibrio di bilancio possano dirsi realmente perseguiti in chiave programmatica secondo moduli gestionali remunerativi dei fattori produttivi impiegati.
Se così è, e considerato che per quanto è dato
evincere dalla pronuncia in esame nel caso di
specie l’istituto di istruzione parte in causa era
una scuola paritaria e dunque a tutti gli effetti
facente parte del sistema integrato di istruzione
pubblica di cui alla Legge 10 marzo 2000, n.
62, le questioni in fatto da indagare e risolvere
ad opera del giudice di rinvio sulla scorta dei
principi di diritto fissati dalla Corte potrebbero
risultare ben più complesse di quanto saremmo
portati in prima battuta a pensare: ovviamente
a meno che le preclusioni probatorie che connotano il giudizio di riassunzione, non finiscano per rivelarsi decisive (in senso penalizzante)
per l’ente contribuente: gravato dall’onere di
provare la ricorrenza nel caso di specie della
modalità non commerciale di svolgimento dell’attività didattica nei termini qui appena precisati.
LA SENTENZA
Cassazione, Sez. trib., Sent. 8 luglio 2015 (20 maggio 2015), n. 14225 - Pres. Merone - Rel.
Botta
L’esenzione dal pagamento dell’ICI, prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504/1992, è
subordinata alla presenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile, di attività di assistenza o altre attività equiparate, e di un requisito di tipo soggettivo,
costituito dal diretto svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali. La sussistenza del requisito oggettivo deve accertarsi in concreto, verificando che l’attività cui l’immobile è destinato, pur
rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con modalità commerciali o imprenditoriali. L’onere della prova circa la sussistenza del requisito oggettivo incombe sul soggetto che pretende l’applicazione dell’esenzione e non può desumersi esclusivamente in base ai documenti attestanti “a priori” il tipo di attività cui l’immobile è destinato.
Svolgimento del processo
mente ad unità immobiliari per i quali l’ente religio-
La controversia concerne l’impugnazione di un avviso ai fini ICI per gli anni dal 2004 al 2009 relativa-
so, reclamava l’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504
(23) Vd., in questi termini, CGE, 27 settembre 1988, causa
C-263/86, Humbel and Endel; Id., 7 dicembre 1993, causa C109/92, Wirth; Id., 11 settembre 2007, causa C-76/05,
3732
del 1992, art. 7, comma 1, lett. i) (oltre a sostenere,
Schwarz, richiamate dalla Commissione Europea nella decisione 19 dicembre 2012, n. 2013/284/UE, § 172, nt. 70.
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in particolare, la prescrizione del potere d’accertamento per l’anno 2004).
La Commissione adita rigettava il ricorso. La decisione era riformata in appello, con la sentenza in epigrafe, avverso la quale il Comune di Livorno propone ricorso per cassazione con unico motivo. Resiste l’ente
religioso con controricorso.
Motivazione
Con l’unico motivo, l’ente locale denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992,
art. 7, comma 1, lett. i), per aver ritenuto il giudice
di merito applicabile l’esenzione per l’anno 2004, in
base all’originaria formulazione della norma, per gli
anni 2005 e 2006, in base alla nuova formulazione
della stessa norma introdotta con il D.L. n. 203 del
2005, e per gli anni dal 2007 al 2009, in base alla ulteriore modificazione del norma disposta con il D.L.
n. 223 del 2006.
Il motivo è fondato. Intanto, la formulazione originaria della norma si applica sicuramente per gli anni
2004 e 2005, essendo la riforma disposta con il D.L.
n. 203 del 2005 entrata in vigore il 3 dicembre 2005,
per essere poi abrogata il 4 luglio 2006: questa Corte
ha stabilito che “il D.L. 30 settembre 2005, n. 203,
art. 7, comma 2-bis, (introdotto dalla legge di conversione 2 dicembre 2005, n. 248), che ha esteso l’esenzione disposta dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), alle attività indicate nella medesima
lettera a prescindere dalla natura eventualmente
commerciale delle stesse, e il D.L. 4 luglio 2006, n.
223, art. 39, convertito nella L. 4 agosto 2006, n.
248, che ha sostituito l’art. 7 cit., comma 2-bis estendendo l’esenzione alle attività che non abbiano esclusivamente natura commerciale, non si applicano retroattivamente, trattandosi di disposizioni che hanno
carattere innovativo e non interpretativo” (Cass. n.
14530 del 2010). Inoltre, sulla base della formulazione originaria della norma, l’esenzione “è limitata all’ipotesi in cui gli immobili siano destinati in via
esclusiva allo svolgimento di una delle attività di religione o di culto indicate nella L. 20 maggio 1985, n.
222, art. 16, lett. a)” (Cass. n. 24500 del 2009; v. anche Cass. n. 14530 del 2010), nelle quali non rientra
l’esercizio di attività sanitarie (Cass. n. 14530 del
2010), didattiche (Cass. n. 20776 del 2005) o ricettive (Cass. n. 4645 del 2004) salvo che non sia dimostrato specificamente che le stesse siano svolte con
modalità non commerciali.
Tale prospettiva è punto di riferimento per la soluzione delle identiche questioni anche per gli anni suc-
Corriere Tributario 36/2015
Tributi locali
cessivi, in quanto la norma di cui al D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 7, comma 2-bis, (introdotto dalla legge di conversione 2 dicembre 2005, n. 248),
che ha avuto vita breve (dal 3 dicembre 2005 al 4 luglio 2006 come si è detto), era sospettata, non senza
fondamento, di essere in conflitto con la normativa
comunitaria sugli aiuti di Stato e con le regole sulla
concorrenza: ragione per la quale essa avrebbe dovuto
esser disapplicata qualora non fosse stata prontamente sostituita dal D.L. n. 223 del 2006, art. 39, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248 del 2006, con
il quale è stato stabilito che: “l’esenzione disposta dal
D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1,
lett. i), si intende applicabile alle attività indicate
nella medesima lettera che non abbiano esclusivamente natura commerciale”. Una modifica, quest’ultima, che non può essa stessa essere giudicata in linea
con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di
stato, come testimonia il fatto che la Commissione
Europea sulla concorrenza abbia in proposito aperto
un’indagine, per ovviare alla quale è stato poi approvato il D.L. n. 1 del 2012, art. 91-bis, (convertito con
modificazioni dalla L. n. 62 del 2012). In base al
comma 1, di tale norma, il D.Lgs. n. 504 del 1992,
art. 7, lett. i), ha il seguente testo: “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 73, comma 1, lett. c),
del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al
D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, fatta eccezione per gli immobili posseduti
da partiti politici, che restano comunque assoggettati
all’imposta indipendentemente dalla destinazione
d’uso dell’immobile, destinati esclusivamente allo
svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca
scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e
sportive, nonché delle attività di cui alla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, lett. a)”. Gli altri due corami della novella del 2012, si preoccupano di regolare
le ipotesi di utilizzazione “mista” degli immobili in
questione, introducendo il difficile concetto dell’attribuzione “proporzionale” del beneficio fiscale.
Nel quadro generale non può non restar confermato
il principio già affermato da questa Corte, secondo
cui: “l’esenzione prevista dal D.Lgs. 30 dicembre
1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i), è subordinata
alla compresenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, e di
un requisito soggettivo, costituito dal diretto svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o
privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (D.P.R. 22
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Tributi locali
dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), cui
il citato art. 7 rinvia). La sussistenza del requisito oggettivo deve essere accertata in concreto, verificando
che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di
un’attività commerciale” (Cass. n. 4502 del 2012).
La prova della sussistenza del requisito oggettivo spetta al soggetto che pretende l’applicazione dell’esenzione: “La sussistenza del requisito oggettivo - che in
base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare - non può essere desunta esclusivamente
sulla base di documenti che attestino a priori il tipo
di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra
quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale” (Cass. n. 5485 del
2008; sull’onere della prova gravante sul contribuente v. anche Cass. n. 27165 del 2011). Nel caso di
specie si tratta della gestione di una scuola paritaria i
cui utenti (per quanto risulta dalla stessa sentenza
impugnata) pagano un corrispettivo, che erroneamente il giudice di merito ritiene irrilevante ai fini
ICI, in quanto è un fatto rivelatore dell’esercizio dell’attività con modalità commerciali. Altrettanto erroneamente il giudicante attribuisce rilievo al fatto che
la gestione operi in perdita (questione assolutamente
priva di rilievo, in quanto anche un imprenditore
può operare in perdita) e ritiene che l’esenzione spetti sempre laddove l’ente si proponga finalità diverse
dalla produzione di reddito. In verità secondo l’orientamento di questa Corte, “la nozione di imprenditore,
ai sensi dell’art. 2082 c.c., va intesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale
all’attività economica organizzata che sia ricollegabile
ad un dato obiettivo inerente all’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro,
che riguarda il movente soggettivo che induce l’imprenditore ad esercitare la sua attività e dovendo essere, invece, escluso il suddetto carattere imprenditoriale dell’attività nel caso in cui essa sia svolta in modo del tutto gratuito, dato che non può essere considerata imprenditoriale l’erogazione gratuita dei beni
3734
Cass., 8 luglio 2015, n. 14225
o servizi prodotti. Peraltro, ai fini dell’industrialità
dell’attività svolta (art. 2195, primo comma, cod.
civ.), per integrare il fine di lucro è sufficiente l’idoneità, almeno tendenziale, dei ricavi a perseguire il
pareggio di bilancio; né ad escludere tale finalità è
sufficiente la qualità di congregazione religiosa dell’ente” (Cass. n. 16612 del 2008). Il riferimento nell’esposizione del ricorso all’Istituto S. Spirito delle
Salesiane di Don Bosco è un irrilevante errore materiale derivante dalla possibile sovrapposizione di due
controversie, avendo tuttavia l’ente locale ben identificato quale fosse la sentenza impugnata e quale fosse la collocazione topografica in Livorno degli immobili oggetto dell’accertamento. Quanto alla richiesta
di disapplicazione delle sanzioni per incertezza normativa formulata nel controricorso, osservato che
non appare rispettato in proposito il principio di
autosufficienza, occorre richiamare quanto affermato
da questa Corte: per il giudice tributario il potere di
disapplicazione delle sanzioni “sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, con un coordinamento concettualmente difficoltoso per equivocità di contenuto,
derivante da elementi positivi di confusione, il cui
onere di allegazione grava sul contribuente” (Cass. n.
18031 del 2013). Situazione che non ricorre nel caso
di specie, stante la chiara inesistenza nella norma in
questione di una pluralità di prescrizioni di difficile
coordinamento e restando irrilevanti le successive
modifiche, tutte di carattere innovativo e non interpretativo.
Il ricorso deve essere, pertanto, accolto e la sentenza
impugnata deve essere cassata con rinvio della causa
ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana, che provvederà anche in ordine
alle spese della presente fase del giudizio.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso,
cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le
spese, ad altra Sezione della Commissione tributaria
regionale della Toscana.
Corriere Tributario 36/2015
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Ris. 28 agosto 2015, n. 75/E
IVA
I contribuenti minimi localizzano
le prestazioni secondo le regole comuni
e possono avvalersi del “MOSS”
di Franco Ricca
Anche i contribuenti in regime di vantaggio per l’imprenditoria giovanile ed i lavoratori in mobilità (già regime per i contribuenti minimi) applicano, per la localizzazione delle prestazioni di
servizi ai fini dell’IVA, le regole comuni stabilite per la generalità dei soggetti passivi. Essi possono pertanto avvalersi, per le prestazioni di “e-commerce”, rese nei confronti di privati consumatori di altri Paesi UE, del regime semplificato “MOSS”. Lo ha chiarito l’Agenzia delle entrate
con la risoluzione n. 75/E del 2015, rettificando parzialmente le indicazioni fornite con la circolare n. 36/E del 2010.
Un’istanza di interpello sul trattamento applicabile, ai fini dell’IVA, alle prestazioni di servizi
di telecomunicazione, di teleradiodiffusione e di
commercio elettronico rese a committenti esteri
dai contribuenti che si avvalgono del regime di
vantaggio per l’imprenditoria giovanile e per i
lavoratori in mobilità di cui all’art. 27, commi
1 e 2, del D.L. n. 98/2011 (già regime per i contribuenti minimi), ha offerto all’Agenzia delle
entrate l’occasione per riconsiderare la propria
posizione in merito alla questione della localizzazione delle prestazioni di servizi rese da soggetti che si avvalgono di un regime speciale comunque denominato - riconducibile al regime di franchigia per le piccole imprese previsto
dalla normativa unionale (1).
Sulla questione, nella circolare n. 36/E del 21
giugno 2010, contenente i primi chiarimenti
sulla nuova disciplina della localizzazione delle
prestazioni di servizi introdotta, con effetto dal
1° gennaio 2010, dalla Direttiva 2008/8/CE,
l’Amministrazione sostenne, in buona sostanza,
che alle prestazioni di servizi rese da soggetti in
regime di franchigia, in mancanza di specifiche
disposizioni, dovesse applicarsi la medesima disciplina speciale prevista per le cessioni intracomunitarie di beni, secondo cui le cessioni verso
altri Paesi membri poste in essere dai predetti
soggetti, in deroga ai principi generali, non si
considerano cessioni intracomunitarie esenti
nel Paese di origine ed acquisti intracomunitari
imponibili in quello di destinazione (2), bensì
cessioni interne del Paese di origine, ove sono
comunque esentate dal versamento dell’IVA in
virtù del regime di franchigia. Analogamente,
quindi, l’Amministrazione ritenne che alle prestazioni di servizi rese da contribuenti in regime
di franchigia nei confronti di soggetti passivi
non fosse applicabile la nuova regola generale
introdotta dalla predetta Direttiva, che localizza
le prestazioni generiche “B2B” nel Paese del
committente, considerando tali prestazioni come operazioni interne del Paese del prestatore,
ancorché esonerate dal versamento dell’IVA.
Tanto si desumeva dalle seguenti risposte che
la circolare aveva fornito ai quesiti sull’argomento:
- l’operatore “minimo” IT che effettua prestazioni di servizi nei confronti di un soggetto
passivo di imposta di altro Stato membro non
effettua una operazione intracomunitaria, ma
un’operazione interna senza diritto di rivalsa,
per la quale l’IVA non viene evidenziata in
fattura; l’operatore pertanto non deve compilare l’elenco riepilogativo delle prestazioni di servizi rese;
(1) Art. 282 ss. della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006.
(2) Art. 139 della Direttiva 2006/112/CE e art. 41, comma 2bis, del D.L. n. 331/1993.
Corriere Tributario 36/2015
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IVA
Ris. 28 agosto 2015, n. 75/E
- l’operatore italiano IT che riceve prestazioni
di servizi da un operatore di altro Stato membro che si avvale del regime di franchigia non
effettua un acquisto intracomunitario di servizi, in quanto si deve supporre che trattasi di
operazione rilevante ai fini IVA nello Stato
membro di origine, per cui non deve né applicare l’imposta né presentare l’elenco riepilogativo dei servizi ricevuti.
È il caso di precisare che, per quanto riguarda invece le prestazioni di servizi ricevute dai soggetti
in regime di franchigia, la circolare riteneva applicabile il principio generale di localizzazione
nel Paese del committente, precisando che il
contribuente “minimo” era tenuto ad osservare
gli stessi adempimenti previsti dal comma 100
dell’art. 1 della Legge n. 244/2007, secondo cui
detti contribuenti “per gli acquisti intracomunitari e per le altre operazioni per le quali risultano
debitori dell’imposta, integrano la fattura con
l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta, che versano entro il giorno 16 del mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni”.
In merito alla fondatezza dell’interpretazione
adottata dalla circolare, era stata manifestata
qualche perplessità su questa Rivista (3).
In primo luogo, il fatto che nella nuova disciplina comunitaria sulla localizzazione delle prestazioni di servizi - diversamente che nell’ambito della disciplina delle cessioni intracomunitarie - non fosse previsto nulla riguardo a
quelle rese dai contribuenti in regime di franchigia, ben poteva portare a concludere per
l’applicabilità delle regole dettate per la generalità dei soggetti passivi, piuttosto che all’estensione analogica della speciale regola prevista per le cessioni intracomunitarie.
Una simile conclusione sembrava trovare riscontro anche nell’art. 283, par. 1, lett. c), della
Direttiva 2006/112/CE, che esclude dal regime
speciale per le piccole imprese “le cessioni di
beni e le prestazioni di servizi effettuate da un
soggetto passivo che non è stabilito nello Stato
membro in cui è dovuta l’IVA”: questa disposizione, infatti, non parrebbe avere solo il signifi-
cato di riservare l’accesso al regime speciale ai
soggetti passivi stabiliti, bensì anche quello di
escludere dal regime stesso le operazioni localizzate in un Paese diverso da quello di stabilimento, quali appunto le prestazioni di servizi rese a
committenti soggetti passivi esteri.
Si osservava, inoltre, che la Commissione Europea, nella relazione di accompagnamento di
quello che sarebbe poi diventato il Regolamento
UE n. 282/2011 del 15 marzo 2011, chiariva
che “ove lo status del destinatario sia fondamentale per stabilire il luogo della prestazione di un
servizio, tale status è determinato unicamente in
conformità alle condizioni di cui al titolo III
della Direttiva IVA. Pertanto non si può tenere
conto a tale riguardo di eventuali regimi speciali
a cui il destinatario sia soggetto, come ad esempio quello per le piccole imprese”. È vero che
questa precisazione si riferisce direttamente alle
prestazioni di servizi rese ai soggetti in regime
speciale; tuttavia, non vi era motivo di ritenere
che, stante l’assenza di disposizioni speciali, il
medesimo principio non dovesse valere con riguardo alle prestazioni di servizi da essi rese.
(3) F. Ricca, “La localizzazione delle prestazioni ‘generiche’
e la correlata nozione speciale di soggetto passivo”, in Corr.
Trib., n. 17/2011, pag. 1377.
(4) Art. 1, comma 58, della Legge 23 dicembre 2014, n.
190.
3736
Il “revirement” dell’Agenzia
Dopo la Legge di stabilità 2015, che nell’ambito
del nuovo regime forfetario per i soggetti di minori dimensioni - sostitutivo di quello di vantaggio di cui all’art. 27 del D.L. n. 98/2011, a
sua volta derivato da quello per i contribuenti
minimi di cui alla Legge n. 244/2007 - ha previsto che, ai fini dell’IVA, i contribuenti forfetari
“… d) applicano alle prestazioni di servizi ricevute da soggetti non residenti o rese ai medesimi gli articoli 7-ter e seguenti” (4) del D.P.R. n.
633/1972, ossia la disciplina comune, il ripensamento dell’Agenzia era solo questione di tempo.
L’occasione si è presentata con l’istanza di interpello di un contribuente che si avvale del
suddetto regime di vantaggio, che ha chiesto all’Agenzia se alle prestazioni di servizi di commercio elettronico “diretto”, rese nei confronti
dei propri clienti “prevalentemente residenti in
Inghilterra e molti senza partita IVA poiché
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Ris. 28 agosto 2015, n. 75/E
IVA
Pertanto, “applicando i ricon volume d’affari infeLA PRASSI AMMINISTRATIVA
chiamati principi al regiriore al limite entro il quaRegime
di
vantaggio
me fiscale di vantaggio, rile la normativa interna risulta che nell’ipotesi di
chiede detto adempimen- Con riferimento agli obblighi IVA nell’ambito
delle operazioni di commercio elettronico
servizi elettronici resi nei
to”, debba applicare l’IVA
diretto, l’Agenzia delle entrate, con la
confronti sia di soggetti
con l’aliquota vigente in risoluzione n. 75/E del 2015, osserva che, in
Inghilterra oppure se sono assenza di un’espressa disciplina nel regime passivi d’imposta (B2B)
sia di privati consumatori
operazioni non soggette ad di vantaggio di cui all’art. 27 del D.L. n.
comunitari (B2C), tali
IVA.
98/2011, può trovare applicazione la disciplina
operazioni devono essere
Al riguardo, nella risoluzio- prevista per il regime c.d. forfetario.
assoggettate ad IVA nel
ne n. 75/E del 28 agosto Analogamente al regime di vantaggio, infatti,
anche
nel
regime
forfetario,
ai
fini
IVA,
i
luogo ove il committente
2015, dopo avere illustrato
soggetti
sono
esonerati
dall’obbligo
di
rivalsa
è stabilito ovvero ha il doi nuovi criteri di localizzamicilio o la residenza …”.
zione delle suddette presta- e dagli altri adempimenti previsti dalle
disposizioni IVA. Le prestazioni di servizi,
In tale senso, conclude la
zioni (e di quelle di telecoscambiate da contribuenti aderenti al regime
risoluzione, “anche alla lumunicazione e di teleradio- forfetario con soggetti non residenti, sono
ce della novella disciplina
diffusione) rese a privati soggette alle ordinarie regole di territorialità,
del regime forfetario, deconsumatori UE, entrati in fermo restando che, per gli stessi, è escluso
vono in parte ritenersi suvigore il 1° gennaio 2015, il diritto alla detrazione. Pertanto, nell’ipotesi
perati i chiarimenti resi in
nonché le modalità sempli- di servizi elettronici resi nei confronti sia di
via interpretativa con la
ficate di assolvimento degli soggetti passivi d’imposta (B2B) sia di privati
consumatori
comunitari
(B2C),
tali
operazioni
circolare n. 36/E del 21
obblighi IVA previste, in
tale ambito, dalle disposi- devono essere assoggettate ad IVA nel luogo giugno 2010”.
Sembra fuori dubbio che
zioni sul regime c.d. MOSS ove il committente è stabilito ovvero ha il
la pronuncia dell’Ammi(Mini One Stop Shop, ovve- domicilio o la residenza.
nistrazione vada oltre la
ro mini sportello unico),
specificità
della
fattispecie
oggetto dell’intersulle quali si tornerà brevemente in seguito, l’Agenzia, osserva che, “in assenza di un’espressa di- pello - ossia la fornitura di servizi elettronici,
sciplina nel regime di vantaggio, può trovare ap- di telecomunicazione e di teleradiodiffusione
plicazione la disciplina prevista per il regime c.d. “B2C” - ed assuma carattere generale, postuforfetario, di cui all’articolo 1, commi 56 e ss., lando essa il riconoscimento del principio per
della Legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Stabilità cui il regime di franchigia è irrilevante ai fini
2015). Analogamente al regime di vantaggio, dell’applicazione dei criteri di localizzazione
infatti, anche nel regime forfetario …, ai fini delle prestazioni di servizi. Ciò anche se la vaIVA, i soggetti sono esonerati dall’obbligo di ri- lenza concreta di questo riconoscimento, stanvalsa e dagli altri adempimenti previsti dalle di- te la sopravvenuta affermazione del principio
sposizioni IVA”. Ai sensi del comma 58, lett. in via normativa, è oramai circoscritta al regid), del citato art. 1, prosegue la risoluzione, le me di vantaggio di cui all’art. 27 della Legge n.
prestazioni di servizi scambiate da contribuenti 98/2011, che, com’è noto, è un regime “ad
aderenti al regime forfetario con soggetti non re- esaurimento” (5).
sidenti, “rimangono soggette alle ordinarie regole di territorialità di cui alle disposizioni recate Committenti soggetti passivi
dagli articoli 7-ter e seguenti … fermo restando “non identificati”
che, per gli stessi, è escluso il diritto alla detra- Sul piano generale, peraltro, l’applicazione delzione …”.
la regola-base sul luogo delle prestazioni di ser(5) Cfr. l’art. 1, commi 85 e 88, della Legge n. 190/2014 e
l’art. 10, comma 12-undecies, del D.L. n. 192/2014, convertito
dalla Legge n. 11/2015.
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IVA
Ris. 28 agosto 2015, n. 75/E
serva che l’art. 18, par. 1,
vizi c.d. generiche - che,
IL PROBLEMA APERTO
del Regolamento, nel dicom’è noto, prevede la loLuogo
delle
prestazioni
di
servizi
generiche
sporre che, ai fini dell’accalizzazione nel Paese del
La
regola-base
sul
luogo
delle
prestazioni
di
certamento
dello status
committente in ambito
servizi c.d. generiche prevede la
del destinatario delle preB2B e in quello del prelocalizzazione nel Paese del committente in
stazioni di servizi, il prestatore in ambito B2C - ambito B2B e in quello del prestatore in
statore “può considerare
pone il problema dell’in- ambito B2C. Si pone, pertanto, il problema
che il destinatario stabilidividuazione dello status dell’individuazione dello “status” del
del committente, nonché, committente, nonché, a seguire, quello della to nella Comunità ha lo
status di soggetto passivo”
a seguire, quello della qua- qualificazione del committente che, pur
essendo
un
soggetto
passivo,
non
sia
se questi gli abbia comulificazione del committente che, pur essendo un identificato come tale nello Stato membro in nicato il proprio numero
identificativo (lett. a), opsoggetto passivo, non sia cui è stabilito.
pure se gli abbia comuniidentificato come tale nello Stato membro in cui è stabilito. Quest’ulti- cato di averlo richiesto ma non ancora ottenumo problema è evocato anche nella risoluzione to (lett. b), sembrava attribuire al numero
in esame, laddove l’interpellante fa presente identificativo una funzione essenziale ai fini
che molti dei propri committenti sono imprese della localizzazione delle prestazioni di servizi
senza partita IVA perché la normativa dello nel Paese membro di destinazione.
Stato membro di stabilimento non prevede l’i- Questa chiave di lettura, tuttavia, appare supedentificazione dei soggetti passivi che si avval- rata dalle sentenze 6 settembre 2012, C-273/11
e 27 settembre 2012, C-587/10, ove la Corte
gono del regime di franchigia.
Al riguardo, va ricordato anzitutto che secon- di Giustizia UE ha, in buona sostanza, chiarito
do l’art. 17 del Regolamento UE n. 282/2011, che il numero identificativo è un elemento atai fini della localizzazione delle prestazioni di to a comprovare lo status di soggetto passivo,
servizi, lo status di soggetto passivo del destina- nell’ottica di facilitare i controlli, fermo retario è determinato sulla base degli artt. da 9 a stando che tale status è collegato allo svolgi13 e dell’art. 43 della Direttiva 2006/112/CE. mento di un’attività economica. Pertanto, quaSi considerano soggetti passivi, pertanto, colo- lora tale requisito sostanziale sussista, non viero che svolgono un’attività economica rilevan- ne meno per il fatto che il soggetto non risulta
te agli effetti dell’IVA, indipendentemente dal in possesso del numero identificativo e potrà,
regime fiscale adottato (come ricordato dalla in tal caso, essere comprovato con altri mezzi.
Commissione Europea nella relazione sopra ri- Alla luce di queste sentenze, le disposizioni
chiamata), nonché gli enti comunque identifi- dell’art. 18 del Regolamento devono necessacati (o tenuti ad esserlo) ai fini IVA in quanto riamente intendersi in funzione probatoria e
effettuano acquisti intracomunitari tassabi- non sostanziale, nel senso che il prestatore può
li (6). Occorre rammentare, inoltre, che l’art. considerare assolto l’onere di accertare lo status
19 del citato Regolamento puntualizza che di soggetto passivo del destinatario qualora
non si considera però soggetto passivo il sog- questi gli abbia comunicato il proprio numero
getto “che riceve servizi destinati esclusiva- identificativo IVA (del quale il prestatore abmente ad un uso privato, ivi compreso l’uso da bia però ottenuto, mediante interrogazione
parte dei suoi dipendenti” (7).
della banca dati VIES, conferma della validità,
Detto questo, venendo alla questione del pos- nonché della corrispondenza del nome e delsesso o meno del numero identificativo, si os- l’indirizzo), fermo restando, in difetto del nu(6) Cfr. il par. 2 dello stesso art. 17 del Reg. 282/2011, che
riprende l’art. 43, n. 2), della Direttiva 2006/112/CE, e, nell’ordinamento nazionale, l’art. 7-ter, comma 2, lett. c), del D.P.R.
n. 633/1972.
3738
(7) Questa importante previsione non è compiutamente recepita nell’ambito dell’art. 7-ter, comma 2, che riprende la
puntualizzazione solo con riferimento alle persone fisiche.
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IVA
l’imposta è dovuta dal
mero identificativo, la
SOLUZIONI OPERATIVE
possibilità di ricorrere ad
committente nel Paese di
Soggetti
in
regime
di
franchigia
altri mezzi di prova di tale
destinazione. Sembra perGli Stati membri devono identificare, tra gli
status.
tanto di poter dire che anQuanto alla circostanza altri, i soggetti passivi che effettuano o
che i soggetti in regime di
ricevono le prestazioni di servizi c.d.
che, come rappresentato generiche per le quali l’imposta è dovuta dal
franchigia, allorquando efanche nella risoluzione, committente nel Paese di destinazione.
fettuano o ricevono le
alcuni Paesi membri non Sembra, pertanto, di poter dire che anche i
predette prestazioni, doattribuiscono il numero soggetti in regime di franchigia per le piccole vrebbero essere identificaidentificativo ai soggetti imprese, allorquando effettuano o ricevono le ti ai fini dell’IVA e che,
che si avvalgono del regi- predette prestazioni, dovrebbero essere
conseguentemente, lo Stame di franchigia per le identificati ai fini IVA e che,
to membro che non provpiccole imprese (8), pre- conseguentemente, lo Stato membro che non veda in tal senso si pone
messo che tale circostanza provveda in tal senso si pone in contrasto
in contrasto con l’art. 214
non è rilevante ai fini del- con l’art. 214 della Direttiva 2008/8/CE.
della Direttiva.
la qualificazione del soggetto, che rimane un soggetto passivo dell’IVA Prestazioni di “e-commerce”
in quanto esercita un’attività economica, sia
Stabilito che anche i contribuenti in regime di
pure avvalendosi del regime speciale, siffatto
vantaggio ex art. 27 del D.L. n. 27/2011, per
operato non sembrerebbe conforme alle dispoquanto riguarda la localizzazione delle prestasizioni dell’art. 214 della Direttiva
zioni di servizi rese o ricevute, osservano le di2006/112/CE.
sposizioni comuni previste per la generalità dei
Detto articolo, nel testo modificato dalla Disoggetti passivi, è agevole individuare il trattarettiva 2008/8/CE in occasione (e in funzione
della semplice applicazione) della nuova disci- mento delle prestazioni di servizi rese con mezplina di localizzazione delle prestazioni di servi- zi elettronici, oggetto dell’interpello.
zi, dispone infatti che gli Stati membri prendo- La disciplina di tali prestazioni (come pure di
no i provvedimenti necessari per identificare quelle di telecomunicazione e di teleradiodiffutramite un numero individuale, oltre ai sogget- sione), a seguito delle modifiche apportate dal
ti passivi che effettuano, nel loro territorio, 1° gennaio 2015, risulta unificata nel senso
operazioni con diritto alla detrazione, oppure della localizzazione della prestazione, in ogni
acquisti intracomunitari, come già previsto caso, nel Paese del committente; ciò per effetto
precedentemente, anche “… d) ogni soggetto della regola generale dell’art. 7-ter, lett. a),
passivo che riceve, nel loro rispettivo territo- quando il committente è un soggetto passivo
rio, prestazioni per le quali è debitore dell’IVA (rapporti B2B), ovvero per effetto dei criteri
a norma dell’art. 196”, nonché “… e) ogni sog- speciali dell’art. 7-sexies, lett. f) e g), quando il
getto passivo, stabilito nel loro rispettivo terri- committente è, invece, un privato (rapporti
torio, che effettua nel territorio di un altro B2C).
Stato membro prestazioni di servizi per i quali Di conseguenza, le prestazioni rese, anche dai
l’IVA è dovuta unicamente dal destinatario a contribuenti in regime di vantaggio, nei confronti di destinatari stabiliti al di fuori del ternorma dell’articolo 196”.
In base a queste disposizioni, quindi, gli Stati ritorio dello Stato, non si considerano effettuamembri devono identificare, tra gli altri, i sog- te in Italia, ma nel Paese di stabilimento del
getti passivi che effettuano o ricevono le pre- destinatario, per cui in nessun caso dovrà essestazioni di servizi c.d. generiche per le quali re addebitata l’IVA italiana.
(8) Fra questi anche la Romania, come si evince dalla recente sentenza 9 luglio 2015, C-144/14, della Corte di Giustizia
UE.
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3739
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IVA
Ris. 28 agosto 2015, n. 75/E
quindi addebitare l’IVA
del Paese di destinazione.
Destinatari delle prestazioni di “e-commerce”
A tal fine, il prestatore
Se il committente della prestazione di “edovrà identificarsi in detcommerce” (soggetto passivo o privato) è
to Paese ed assolvere gli
stabilito fuori UE, il prestatore dovrà limitarsi
obblighi secondo le dispoad emettere la fattura con indicazione
sizioni ivi previste; in al“operazione non soggetta”. Se, invece, il
committente della prestazione è un soggetto ternativa, potrà avvalersi
del regime semplificato
passivo stabilito in altro Paese UE, il
prestatore, oltre ad emettere la fattura con
“MOSS”, ai sensi delle diDestinatari extra-UE
l’indicazione “inversione contabile”, dovrà
sposizioni dell’art. 74-seSe il committente della presentare il Mod. INTRASTAT servizi resi.
xies del D.P.R. n.
prestazione (soggetto pas633/1972, aggiunto dal
sivo o privato) è stabilito fuori dell’UE, il pre- D.Lgs. n. 42/2015 con effetto dal 1° gennaio
statore dovrà limitarsi ad emettere la fattura 2015.
con indicazione “operazione non soggetta”, ai L’esplicito riconoscimento, nella risoluzione in
sensi dell’art. 21, comma 6-bis, lett. b), del esame, di questa possibilità, in sintonia con
quanto osservato su questa Rivista (9), fuga i
D.P.R. n. 633/1972.
dubbi sulla compatibilità del regime di franchiDestinatari UE
gia (nelle sue diverse declinazioni) con il regiSe il committente della prestazione è un sog- me semplificato “MOSS”, dubbi che discendogetto passivo stabilito in altro Paese UE, il pre- no dalla previsione secondo cui non possono
statore, oltre ad emettere la fattura con l’indi- avvalersi del regime di franchigia i contribuencazione “inversione contabile”, ai sensi dell’art. ti che applicano regimi speciali ai fini dell’I21, comma 6-bis, lett. a), dovrà presentare il VA (10): la netta separazione delle aree terriMod. INTRASTAT servizi resi.
toriali (e degli adempimenti) del regime di
Se è invece un privato consumatore stabilito franchigia, applicabile soltanto alle operazioni
in altro Paese UE, il prestatore non ha obbli- localizzate in Italia, e del regime “MOSS”, apghi d’imposta in Italia, neppure formali, in plicabile soltanto alle operazioni localizzate in
quanto pone in essere un’operazione che si altri Paesi UE, rende infatti possibile una paciconsidera effettuata, e per la quale egli è debi- fica convivenza dei due regimi speciali in capo
tore dell’imposta, in un altro Paese UE; dovrà allo stesso contribuente.
Gli adempimenti che il
prestatore italiano dovrà
porre in essere sono poi
differenziati a seconda del
luogo di stabilimento (UE
o extra-UE) e dello status
del destinatario, come sinteticamente rappresentato
appresso.
SOLUZIONI OPERATIVE
(9) Cfr. F. Ricca, “Il regime semplificato del mini sportello
unico per i servizi di commercio elettronico”, in Corr. Trib., n.
20/2015, pag. 1526, nota 9.
3740
(10) In tal senso, con riguardo al regime forfetario di cui alla
Legge n. 190/2014, l’art. 1, comma 57, lett. a), di tale Legge.
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Cass., 3 giugno 2015, n. 11398
IVA
Non autonomamente soggetti ad IVA
i “bonus qualitativi” erogati
ai concessionari di autoveicoli
di Marco Peirolo (*)
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 11398 del 2015, ha qualificato come “misto” il “bonus”, erogato dai produttori e distributori ai concessionari di autoveicoli, collegato inscindibilmente a due obbligazioni che, se fossero autonome, darebbero luogo sia ad una variazione in
diminuzione dell’acquisto, con diritto di recupero dell’imposta, sia ad una prestazione di servizi
soggetta a IVA. La doppia natura, “quantitativa” e “qualitativa”, dell’incentivo implica che gli
obiettivi di qualità, normalmente diretti allo sviluppo dell’attività commerciale, non possano avere una valenza autonoma e, quindi, costituire il corrispettivo, imponibile ai fini IVA, di una specifica obbligazione di fare. Tale conclusione, che presuppone una valutazione in fatto relativa all’interpretazione degli accordi contrattuali, si applica quando le clausole riguardanti i “bonus”
da erogare ai concessionari risultano caratterizzate da una comune base di calcolo, corrispondente al totale degli importi relativi alle vendite di autoveicoli effettuate dai produttori o distributori nei confronti dei rivenditori.
La questione risolta dalla Suprema Corte con
la sentenza n. 11398 del 2015 (1) riguarda la
corretta qualificazione dei bonus, vale a dire
dei maggiori sconti che produttori e distributori di autoveicoli riconoscono ai propri concessionari.
L’Ufficio ha ripreso a tassazione gli sconti di
natura “qualitativa” nel presupposto che gli
stessi, rappresentando una remunerazione distinta rispetto a quella, di natura “quantitativa”, riconosciuta dalle case produttrici di automobili per il raggiungimento degli obiettivi di
vendita, dovevano essere assoggettati ad IVA
da parte del concessionario.
Al fine di inquadrare correttamente il tema è
opportuno osservare che, “storicamente”, il regime impositivo degli sconti concessi ai riven-
ditori di automobili ha formato oggetto di un
vasto contenzioso, siccome i premi erogati dalle case automobilistiche - trattati come “cessioni di denaro”, irrilevanti ai fini IVA ai sensi
dell’art. 2, comma 3, lett. a), del D.P.R. n.
633/1972, o come “abbuoni o sconti previsti
contrattualmente”, in riduzione dei prezzi originariamente praticati ai sensi dell’art. 26,
commi 2 e 3, del D.P.R. n. 633/1972 - sono
stati costantemente riqualificati dai verificatori
come prestazioni autonome, rese dal concessionario al produttore o distributore, da intendersi
soggette a IVA.
Allo scopo di chiarire la materia è intervenuta
l’Agenzia delle entrate con la risoluzione 17
settembre 2004, n. 120/E, escludendo la possibilità di considerare i bonus in esame come
“cessioni di denaro” in presenza di un nesso di
reciprocità fra le prestazioni dedotte nel contratto di concessione (2).
(*) Dottore commercialista in Torino, Advisor scientifico di
Adacta Studio Associato e Componente del Fiscal Committee
della Confédération Fiscale Européenne
(1) Il testo della sentenza è riportato a seguire.
(2) Del resto, la normativa comunitaria (artt. 2 e 73 della Direttiva 2006/112/CE), alla luce dell’interpretazione della Corte
di Giustizia, definisce in modo molto ampio il presupposto oggettivo dell’IVA, stabilendo che un’operazione - per essere rile-
vante ai fini impositivi - deve essere compiuta in presenza di
un rapporto giuridico nell’ambito del quale il compenso ricevuto dal prestatore costituisce il controvalore effettivo del servizio prestato dal committente (CGE, 23 marzo 2006, causa C210/04, FCE Bank). A livello amministrativo, si rinvia alle indicazioni fornite dalle circolari dell’Agenzia delle entrate 11 maggio 2015, n. 20 e 21 novembre 2013, n. 34, in merito al rapporto tra le elargizioni di denaro e l’attività finanziata dalle Ammi-
La suddivisione degli sconti
in “bonus quantitativi” e “qualitativi”
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IVA
Cass., 3 giugno 2015, n. 11398
In relazione all’emissione
Per il resto, la risoluzione
LA PRASSI AMMINISTRATIVA
del documento con recuha teorizzato la suddivisio“Bonus”
quantitativi
e
qualitativi
pero dell’imposta, il comne degli sconti in due caSecondo
quanto
statuito
dall’Agenzia
delle
ma 3 dell’art. 26 del
tegorie, distinguendo i boentrate, i “bonus quantitativi” vanno
D.P.R. n. 633/1972 distinnus “quantitativi” da quelqualificati come “abbuoni o sconti previsti
gue le ipotesi in cui: (i) lo
li “qualitativi”. I primi so- contrattualmente”, sicché il produttore o
sconto accordato sia stato
no previsti nell’ambito distributore può attivare la procedura di
pattuito al momento della
dell’attività normalmente variazione in diminuzione attraverso
stipula del contratto origisvolta dal concessionario, l’emissione di una nota di credito al fine di
nario, anche se la condial fine di stimolare la rea- recuperare in misura proporzionale l’IVA a
suo
tempo
addebitata
al
concessionario.
zione che ne determina la
lizzazione di un maggiore
Invece,
i
“bonus
qualitativi”,
corresponsione si manifevolume d’affari, mentre i
sta successivamente e grasecondi sono riconosciuti rappresentando la remunerazione di
specifiche prestazioni svolte in aggiunta
datamente in relazione
a fronte dello svolgimento all’attività principale, sono soggetti a IVA
agli acquisti eseguiti; (ii)
di attività diverse da quel- con emissione di fattura da parte del
lo sconto venga concordale tipicamente svolte dal concessionario.
to successivamente alla
concessionario, ma comunque indirizzate allo sviluppo delle vendite, stipulazione del contratto originario.
quali attività promozionali, di marketing e di Nella prima ipotesi, la nota di variazione può
essere emessa con IVA senza osservare alcun
customer care.
Rispetto alla prima tipologia, i bonus non co- limite di tempo, mentre nella seconda la nota
stituiscono la remunerazione specifica di un’at- di variazione può essere emessa con IVA non
tività diversa e ulteriore rispetto a quella ordi- oltre un anno dall’effettuazione dell’operazionaria, rappresentata dall’impegno di acquisto ne (3).
in determinate quantità o condizioni. Dette Differente è, invece, il trattamento impositivo
somme, più precisamente, configurando incen- dei bonus “qualitativi”, ove si evidenzia una
tivi corrisposti in vista dell’incremento del vo- posizione di corrispettività tra la somma corrilume degli acquisti, costituiscono una corri- sposta dal produttore o distributore e lo svolgispondente riduzione dei prezzi originariamente mento, da parte del concessionario, di specifipraticati dal produttore o distributore all’atto che obbligazioni di fare, riconducibili alla catedella cessione degli autoveicoli al concessiona- goria dei servizi, secondo la definizione di cui
all’art. 3, comma 1, del D.P.R. n.
rio.
Di conseguenza, tali bonus vanno qualificati 633/1972 (4). Infatti, parallelamente allo svolcome “abbuoni o sconti previsti contrattual- gimento di un’attività di tipo “ordinario”, qual
mente”, ex art. 26, comma 2, del D.P.R. n. è la vendita di autoveicoli, il concessionario ri633/1972, sicché il produttore o distributore sulta vincolato ad una serie di ulteriori attività
può attivare la procedura di variazione in dimi- a beneficio del produttore o distributore, che
nuzione attraverso l’emissione di una nota di utilizza questo strumento di incentivazione per
credito al fine di recuperare in misura propor- attuare le proprie strategie di marketing e di
zionale l’IVA a suo tempo addebitata al con- promozione dei marchi. In particolare, tali atticessionario.
vità, aventi normalmente carattere gestionale
nistrazioni pubbliche.
(3) La Corte di cassazione ha adottato un diverso orientamento in merito al regime impositivo dei “bonus quantitativi”,
ritenendo - discutibilmente, ad avviso di chi scrive - che i premi riconosciuti periodicamente o a fine rapporto in funzione
del raggiungimento di specifici obiettivi di fatturato non costituiscono “abbuoni o sconti previsti contrattualmente”, soggetti alla citata procedura di variazione, ma contributi autonomi
3742
non soggetti a IVA, ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. a), del
D.P.R. n. 633/1972, in quanto privi di collegamento causale
con determinate cessioni (Cass., 8 ottobre 2014, n. 21182; Id.,
29 maggio 2013, n. 13312; Id., 5 marzo 2007, n. 5006).
(4) Secondo cui “(c)ostituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti (…) in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”.
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Cass., 3 giugno 2015, n. 11398
od organizzativo (es. realizzazione e mantenimento di standard che attengono alle strutture
di vendita, all’organizzazione del personale, all’esecuzione di attività promozionali o anche al
grado di soddisfazione dei clienti), sono svolte
in dipendenza di obbligazioni che trovano origine nel medesimo accordo contrattuale con il
quale è prevista la concessione di vendita delle
automobili.
Ne consegue che i bonus “qualitativi”, rappresentando la remunerazione di specifiche prestazioni svolte in aggiunta all’attività principale,
sono soggetti a IVA con emissione di fattura
da parte del concessionario. L’esclusione da
imposta di tali operazioni, ai sensi dell’art. 2,
comma 3, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, può
essere riconosciuta nella sola ipotesi, del tutto
straordinaria e inusuale, in cui le somme siano
erogate a titolo gratuito, cioè senza alcuna
controprestazione, sia positiva che negativa, a
carico del concessionario (5).
Per completezza, occorre rammentare che,
sempre a livello amministrativo, la risoluzione
7 febbraio 2008, n. 36, ha successivamente fornito chiarimenti in merito alla qualificazione in termini di sconto o di prestazioni di servizi delle attività promozionali e dei servizi espositivi posti in essere dalle imprese della grande
distribuzione nei confronti delle imprese produttrici di beni di largo consumo.
L’Agenzia delle entrate, nel ribadire la distinzione tra bonus “quantitativi” e bonus “qualitativi” operata con la precedente risoluzione n.
120/E del 2004, evidenzia come la natura dei
bonus vada desunta dai contratti stipulati tra le
parti. Al riguardo, viene rilevato come, in presenza di accordi non chiari ed univoci, risulti
difficile stabilire se una determinata somma sia
erogata con una finalità o un’altra, con conseguenti incertezze sul corretto inquadramento
delle predette operazioni. In tale ottica, nel
nuovo documento di prassi vengono formulate
alcune considerazioni con riferimento alle operazioni relative alle attività promozionali da
svolgere, riportate negli accordi, al fine di indi-
IVA
viduarne il corretto trattamento impositivo, tenuto conto che ogni singolo accordo può differire in base alle intese che si instaurano tra
l’impresa produttrice e quella distributrice.
I “bonus misti” quale ulteriore sconto
collegato inscindibilmente
a due distinte obbligazioni
Sta di fatto che la realtà operativa ha dimostrato che gli sconti riconosciuti ai concessionari non possono essere ricondotti esclusivamente alle categorie dei bonus “quantitativi” e
di quelli “qualitativi”.
Nella prassi commerciale risulta, infatti, diffuso
il caso dei bonus “quantitativi” subordinati, oltre che al raggiungimento di una prestabilita
quantità di acquisti, anche al soddisfacimento
di obiettivi “qualitativi”, normalmente diretti
allo sviluppo dell’attività commerciale, come il
mantenimento dei livelli contrattuali di qualità e di soddisfazione della clientela.
Questa ulteriore tipologia di incentivo, identificata dall’Associazione italiana Dottori commercialisti nella norma di comportamento n.
163 del 2006, si configura come un’ipotesi “mista” siccome il riconoscimento del bonus è collegato inscindibilmente a due obbligazioni che,
se fossero autonome, darebbero luogo sia ad
una variazione in diminuzione dell’acquisto,
con diritto di recupero dell’imposta, sia ad una
prestazione di servizi soggetta a IVA.
La distinzione delle due obbligazioni, necessaria per determinare il relativo regime, non è
agevole. Può, tuttavia, ritenersi che una delle
due obbligazioni sia assunta dal cliente in via
principale e l’altra sia meramente strumentale
e incidentale rispetto alla prima, come semplice condizione di perfezionamento del diritto
altrimenti acquisito dal cliente.
Nella normalità dei casi, l’obbligazione principale è costituita dal raggiungimento dei livelli
quantitativi di acquisto, mentre l’altra obbligazione - riferita al soddisfacimento del risultato
qualitativo - rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente affinché sia ricono-
(5) Cfr. nota Ministero delle Finanze 24 ottobre 1994, n. III7-747 e R.M. 4 dicembre 1986, n. 416531.
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IVA
Cass., 3 giugno 2015, n. 11398
sottratta al sindacato di
sciuto il bonus connesso al
SOLUZIONI OPERATIVE
legittimità in assenza di
raggiungimento dei voluCalcolo
del
“bonus”
per
i
concessionari
vizi logici.
mi prestabiliti di acquisti,
Nella valutazione in fatto
la cui esigibilità risulta so- A prescindere dalla modalità in concreto
adottata dal produttore o distributore di
inerente l’interpretazione
spensivamente condizioautoveicoli per riconoscere lo sconto ai
degli accordi, il bonus “minata al verificarsi del ri- concessionari, quando il contratto di
sto”
ricorre quando il consultato qualitativo.
concessione di vendita si estrinseca in una
In questa ipotesi, all’inte- complessa e unitaria operazione economica tratto di concessione di
vendita stipulato tra casa
ro bonus “misto” deve ap- dove scambio (fornitura dei prodotti
madre automobilistica e
plicarsi la disciplina delle automobilistici) e collaborazione
(promozione delle vendite e controllo e
concessionari si estrinseca
note di variazione.
indirizzo
gestionale
a
favore
del
in una complessa e unitaLaddove, invece, non sia
concedente)
sono
connessi
l’uno
con
l’altro,
ria operazione economica
possibile stabilire che la
dove scambio (fornitura
volontà contrattuale delle i “bonus” erogati ai concessionari sono
caratterizzati da una comune base di
dei prodotti automobilistiparti sia di stipulare un
calcolo, corrispondente al totale degli
ci) e collaborazione (in
accordo principalmente fi- importi relativi alle cessioni di beni
nalizzato all’incentivazio- effettuate dalla casa madre nei confronti dei particolare, promozione
delle vendite e poteri di
ne delle vendite (e, solo concessionari.
controllo e di indirizzo gein via strumentale e incidentale, condizionato anche al raggiungimento stionale a favore del concedente) sono connesdi determinati standard qualitativi), il premio si l’uno con l’altro.
ricevuto va prudentemente ricondotto ai bonus In tale contesto, le clausole contrattuali preve“qualitativi” e, di conseguenza, considerato in- dono che i premi da erogare ai concessionari
sono caratterizzati da una comune base di calteramente soggetto a IVA (6).
L’ipotesi dei bonus “misti” è stata ufficialmente colo, corrispondente al totale degli importi rericonosciuta dall’Agenzia delle entrate che, lativi alle cessioni effettuate dal produttore o
con la nota del 14 luglio 2009 (Prot. n. distributore nei confronti dei concessionari.
2009/74786), ha chiesto alle strutture territo- Ciò comporta, di fatto, la riduzione dei prezzi
riali di non proseguire le attività di controllo e praticati dal fornitore e l’assoggettamento dei
di riesaminare le controversie pendenti abban- bonus al regime impositivo riservato agli “abbuoni o sconti” mediante emissione della nota
donando il contenzioso.
L’intervento prende spunto dall’orientamento di credito ex art. 26, comma 2, del D.P.R. n.
giurisprudenziale in materia, in netta prevalen- 633/1972.
za sfavorevole all’Amministrazione finanziaria, In sostanza, la soluzione al problema trae giue dal parere dell’Avvocatura generale dello stificazione, secondo l’Agenzia delle entrate,
Stato in ordine all’inopportunità di investire la dall’esame delle finalità del bonus “misto”, che
Corte di cassazione di una questione di fatto, deve essere inteso unitariamente nella sua
riguardante i rapporti economici tra i produtto- componente quantitativa, maggiorata della
ri/distributori di automobili e i concessionari, componente qualitativa. Difatti, in base alla
(6) Lo stesso principio è stato applicato dall’Amministrazione finanziaria in diversi contesti. Nel caso, per esempio, in cui
al concessionario del servizio di riscossione dei tributi sia corrisposto un aggio unico per un servizio pattuito unitariamente
che comprenda anche l’accertamento e la liquidazione dei tributi, “si ritiene che l’intero aggio debba essere assoggettato
ad IVA nella misura ordinaria, atteso che la norma di esenzione [art. 10, comma 1, n. 5), del D.P.R. n. 633/1972, nel testo
vigente prima della modifica introdotta dall’art. 38, comma 2,
lett. b), del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla Legge
17 dicembre 2012, n. 221] è espressamente riferita alle sole
‘operazioni relative alla riscossione dei tributi’“ (risoluzione del-
3744
l’Agenzia delle entrate 5 febbraio 2003, n. 25). Allo stesso modo, in merito alla territorialità delle prestazioni pubblicitarie rese a soggetti passivi extracomunitari nella disciplina di cui al
previgente art. 7, comma 4, lett. f), del D.P.R. n. 633/1972, è
stato precisato che, “poiché nel caso prospettato l’ambito di
diffusione della pubblicità, da cui dipende l’utilizzazione del
servizio pubblicitario, riguarda sia il territorio nazionale sia
quello estero, si ritiene che l’intero corrispettivo debba essere
assoggettato al tributo, non essendo possibile estrinsecare
dalla complessa prestazione la quota parte utilizzata in Italia”
(R.M. 15 dicembre 1990, n. 470170).
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Cass., 3 giugno 2015, n. 11398
comune volontà delle parti, desumibile dai
contratti a causa mista che caratterizzano i rapporti tra il produttore/distributore e la propria
rete commerciale, l’operazione contrattualmente principale è quella legata al raggiungimento degli obiettivi di vendita, alla quale viene attratta l’operazione connessa rappresentata
dall’adempimento degli obblighi di qualità da
parte dei concessionari.
IVA
Ritornando alla sentenza in commento, i giudici di legittimità, confermando la decisione
d’appello, hanno escluso che l’obbligazione
qualitativa a carico del concessionario costituisca una remunerazione differenziata e autonoma, da qualificare come prestazione di servizi,
ex art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972.
In base agli accordi intercorsi con le case produttrici di autoveicoli è emerso che i bonus
“qualitativi” non costituiscono il corrispettivo
di specifiche prestazioni a carico del concessionario, in quanto non sono riconosciuti - sic et
simpliciter - al raggiungimento degli standard di
qualità previsti nel contratto, ma subordinatamente al soddisfacimento degli obiettivi di
vendita concordati. Per questa ragione, devono
ritenersi sussistenti i presupposti dettati dall’art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, per
considerare i bonus - intesi unitariamente nella
componente quantitativa maggiorata della
componente qualitativa - come “abbuoni e
sconti previsti contrattualmente”.
Sennonché, il produttore non ha emesso una
nota di variazione al fine di recuperare in misura proporzionale l’IVA a suo tempo addebitata al concessionario, ma ha applicato l’art. 13
del D.P.R. n. 633/1972, di talché lo sconto si è
concretizzato con la riduzione della base imponibile e, quindi, dell’imposta relativa alle nuove vendite.
Secondo i giudici d’appello, la diversa procedura applicata, che implica il riconoscimento del-
l’incentivo direttamente in fattura, anziché
con emissione della nota di credito, rappresenta un’anomalia soltanto formale. In assenza, infatti, di un danno erariale, il differente trattamento impositivo dello sconto non giustifica
la pretesa erariale dal momento che la comune
intenzione delle parti era quella di subordinare
l’erogazione del bonus all’esecuzione di una duplice obbligazione da parte del concessionario,
di cui una “quantitativa” e l’altra “qualitativa”,
senza potersi pertanto attribuire autonoma rilevanza agli obiettivi di qualità (7).
Questo specifico aspetto non è stato affrontato
dai giudici di legittimità, con ciò dimostrando
che - a prescindere dalla modalità in concreto
adottata dal produttore o distributore di autoveicoli per riconoscere lo sconto ai concessionari - quando il contratto di concessione di
vendita si estrinseca in una complessa e unitaria operazione economica dove scambio (fornitura dei prodotti automobilistici) e collaborazione (promozione delle vendite e controllo e
indirizzo gestionale a favore del concedente)
sono connessi l’uno con l’altro, i bonus erogati
ai concessionari sono normalmente caratterizzati da una comune base di calcolo, corrispondente al totale degli importi relativi alle cessioni di beni effettuate dalla casa madre nei confronti dei concessionari.
A conferma di questa conclusione, può osservarsi che l’art. 13, comma 1, del D.P.R. n.
633/1972, dispone che “(l)a base imponibile
delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo
dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore
secondo le condizioni contrattuali”, quindi al
netto di eventuali sconti. Come precisato dalla
risoluzione dell’Agenzia delle entrate 8 agosto
2000, n. 130, “lo sconto praticato agli acquirenti di beni e servizi dall’operatore commerciale non costituisce base imponibile ai fini
IVA, non potendo esso considerarsi corrispettivo” (si vedano anche le RR.MM. 3 maggio
(7) Diversamente, in presenza di bonus “qualitativi”, anziché “misti”, non può ritenersi corretta la compensazione, da
parte del produttore o distributore, delle vendite di autoveicoli
nei confronti del concessionario con le prestazioni di servizi rese da quest’ultimo al produttore o distributore. In proposito,
dalla R.M. 27 novembre 1978, n. 362964 si desume che forni-
tore e cliente possono compensare le rispettive posizioni di
credito e di debito soltanto in ipotesi specifiche, come quella
prevista dall’art. 11, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, in cui il
valore dei residuati o sottoprodotti ceduti, determinato a norma del successivo art. 14, non superi il 5% del corrispettivo in
denaro.
La posizione della Corte di cassazione
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Cass., 3 giugno 2015, n. 11398
1995, n. 110/E e 22 luglio
di cui all’art. 3, comma 1,
LA GIURISPRUDENZA
1998, n. 82/E). Non avendel D.P.R. n. 633/1972,
do natura di corrispettivo, Disapplicazione delle sanzioni
come invece erroneamenlo sconto non può essere, La Corte di cassazione ha stabilito che, vista te ritenuto dall’Amminipertanto, assoggettato ad l’incertezza in ordine al regime impositivo
strazione finanziaria nella
dei “bonus” erogati ai concessionari, si
imposta solo perché
controversia risolta dalla
giustifica la disapplicazione delle sanzioni
avrebbe dovuto essere ri- previste per l’omesso versamento dell’IVA,
sentenza in commento.
conosciuto in riduzione nell’ipotesi in cui si ritenesse che i premi
La Corte di cassazione,
dei prezzi originariamente abbiano natura “qualitativa” anziché
con l’ordinanza n. 17250
praticati ai sensi dell’art. “mista”.
del 29 luglio 2014, ha tut26, commi 2 e 3, del
tavia stabilito che, vista
D.P.R. n. 633/1972, cioè applicando una pro- l’incertezza in ordine al regime impositivo dei
cedura diversa da quella adottata.
bonus erogati ai concessionari, si giustifica la
In definitiva, i bonus di tipo “misto” non rap- disapplicazione delle sanzioni previste per l’opresentano il corrispettivo dello svolgimento messo versamento dell’IVA, ovviamente nell’idi specifiche obbligazioni di fare, riconducibili potesi in cui si ritenesse che i premi abbiano
alla categoria dei servizi, secondo la definizione natura “qualitativa” anziché “mista”.
LA SENTENZA
Cassazione, Sez. trib., Sent. 3 giugno 2015 (27 gennaio 2015), n. 11398 - Pres. Piccininni - Rel.
Tricomi
I “bonus” che le case automobilistiche riconoscono ai concessionari per il raggiungimento di prestabiliti obiettivi commerciali e “standard” qualitativi, non rappresentando il corrispettivo di specifiche obbligazioni “di fare”, non sono autonomamente soggetti a IVA. In luogo della procedura di
variazione, di regola applicabile ai suddetti “bonus misti”, è possibile ridurre in misura corrispondente la base imponibile relativa alle vendite operate dalle case automobilistiche.
Ritenuto in fatto
1. A seguito del processo verbale di constatazione
della Guardia di Finanza del 16.04.08, l’Agenzia delle
entrate di Avellino contestava alla società Partenauto FM SPA - concessionaria per la vendita di auto di
diverse case automobilistiche - la omessa fatturazione
per l’anno 2004 di operazioni imponibili ai fini IVA
per complessivi euro 122.872,35 ed il conseguente
mancato pagamento della relativa imposta per euro
24.574,47, oltre sanzioni.
L’avviso di accertamento evidenziava i seguenti punti:
- la Renault Italia SPA aveva praticato nei confronti
della Partenauto sconti di natura qualitativa denominati “margine variabile”, che rappresenta una remunerazione differenziata in ragione di obblighi ed
adempimenti previsti nel contratto di concessione;
l’Agenzia lamentava che detto margine “non era stato assoggettato ad IVA, in sede di emissione delle
fatture da parte della Renault SPA, e rilevava che il
margine variabile era stato defalcato dalla base impo-
3746
nibile degli acquisti di autovetture e ricambi effettuati dalla concessionaria; gli importi riferiti a tali prestazioni erano stati riportati in contabilità esponendoli in conti reddituali;
- la General Motors Italia SRL aveva praticato nei
confronti della Partenauto sconti di natura “qualitativa” denominati “margini” che non erano stati fatturati e contabilizzati.
La contestazione scaturiva dal mancato assoggettamento al regime IVA degli sconti - bonus, c.d. margini variabili, che le case produttrici di autoveicoli avevano corrisposto secondo contratto, bonus che secondo la Amministrazione finanziaria, come da risoluzione n. 120 del 17.09.04, si configuravano come corrispettivi per la prestazione di servizi autonomamente
fatturabili ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3.
Tale assunto non era condiviso dalla società contribuente che, con ricorso proposto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Avellino, impugnava l’avviso di accertamento n. (omissis) per l’anno di
imposta 2004, con il quale era stata rideterminata l’IVA dovuta, oltre accessori.
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Cass., 3 giugno 2015, n. 11398
Sosteneva la contribuente che:
- il contratto intercorrente con le case produttrici
prevedeva da parte del concessionario il raggiungimento di una serie di standard quantitativi e qualitativi, atti a garantire la potenzialità commerciale, tecnica ed organizzativa del concessionario, ma finalizzati esclusivamente ad incrementare le vendite e fidelizzare la clientela;
- i c.d. “margini variabili”, riconosciuti per gli standard qualitativi previsti, non costituivano un compenso separato e il raggiungimento degli standard in
questione non rappresenta una prestazione di servizio
autonoma, che avrebbe - al contrario - richiesto appunto uno specifico compenso: pertanto, non essendovi un rapporto di sinallagmaticità tra l’adeguamento ed i bonus ottenuti, questi ultimi non potevano essere equiparati a prestazioni di servizio soggette a fatturazione;
- gli incentivi ricevuti erano stati tutti considerati
negli imponibili ai fini IVA, attraverso la riduzione
del credito sulle operazioni d’acquisto.
La società concludeva in via subordinata chiedendo
l’annullamento delle sanzioni in ragione della incertezza normativa.
2. Il primo giudice, conformemente all’Amministrazione finanziaria, con la sentenza n. 140/01/09 qualificava i c.d. “margini” come corrispettivo di specifiche attività e respingeva il ricorso, dichiarando non
dovute le sanzioni.
La società proponeva ricorso avverso tale sentenza,
che veniva accolto dalla Commissione tributaria regionale della Campania, Sezione distaccata di Salerno, con la sentenza n. 16/05/10, depositata il
26.01.10 e notificata il 23.02.2010.
3. Con tale decisione il giudice di secondo grado, dopo aver affermato che il regime IVA applicabile ai
c.d. bonus che i produttori o i grossisti riconoscono ai
distributori/dettaglianti dipende dalla natura dell’incentivo riconosciuto, ha individuato una serie di fattispecie astratte e la rispettiva disciplina fiscale: 1) gli
incentivi erogati a fronte di obiettivi di carattere
quantitativo, parametrati al volume delle vendite
realizzate, configurabili come abbuoni o sconti, che
rientrano nell’applicazione del D.P.R. n. 633 del
1972, art. 26, comma 2, (emissione da parte del cedente di note di variazione in diminuzione - c.d. note
di accredito -, con recupero proporzionale dell’IVA a
suo tempo addebitata alla controparte, ovvero senza
applicazione di IVA, laddove il cedente non intenda
recuperare l’imposta rinunciando a tale facoltà); 2) i
bonus corrisposti a raggiungimento di obiettivi qualitativi (remuneranti specifiche attività di fare “auto-
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IVA
nome ed ulteriori” rispetto alla compravendita di
autoveicoli), i quali vanno assoggettati ad IVA con
emissione di fattura da parte del percettore ai sensi
del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 1; 3) i bonus c.d. “misti” corrisposti al raggiungimento di
obiettivi sia qualitativi che quantitativi fra loro connessi, che sono soggetti interamente al regime IVA
applicabile all’operazione che risulta contrattualmente principale.
Passando quindi all’esame degli accordi commerciali
intercorsi tra la Partenauto e le case produttrici, ha
affermato che si era in presenza del terzo caso, cioè di
una ipotesi c.d. “mista”, in cui l’oggetto dell’operazione (cioè il riconoscimento del bonus) è collegato inscindibilmente a due obbligazioni della concessionaria, una assunta in via principale e costituita dal “raggiungimento dei livelli quantitativi di acquisto” e
l’altra, riferita a standard qualitativi, meramente strumentale rispetto all’incremento delle vendite, come
ulteriore condizione del diritto altrimenti acquisito.
Secondo il giudice di appello, così testualmente, “In
tale contesto sembra logico ritenere che la volontà
contrattuale delle parti, - richiamata dall’A.F. con la
recente direttiva n. 74786/2009 - sia quella di stipulare un accordo ‘principalmente’ finalizzato alla incentivazione delle vendite, essendo prevista la realizzazione di determinati standard qualitativi, - in via
strumentale - in funzione proprio dell’aumento delle
vendite e non per un motivo a sé stante”;
ha quindi escluso la natura qualitativa dei “margini
variabili”, poiché questi non rappresentavano una remunerazione differenziata in ragione di obblighi di fare riconducibili alla categoria dei servizi, fatturabile
autonomamente ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972,
art. 3.
Passando quindi all’esame del conseguente, concreto,
comportamento fiscale della parte privata, che aveva
applicato il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, detraendo i c.d. “margini/sconto” dal prezzo di listino, di talché la base imponibile ai fini IVA risultava costituita
dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti
al cedente al netto dello sconto concesso in fattura, e
non invece il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma
2, con emissione di nota di variazione in diminuzione
da parte del cedente, il secondo giudice ha sostenuto
che l’anomalia è solo formale, in quanto il risultato
sarebbe stato identico - senza danno per l’Erario perché il debito IVA sugli incentivi sarebbe stato
compensato dal corrispondente maggior credito IVA
maturato sul prezzo intero di listino al lordo degli incentivi.
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IVA
Cass., 3 giugno 2015, n. 11398
4. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo. Resiste con controricorso la società contribuente.
Considerato in diritto
1.1. Preliminarmente va esaminata e disattesa la eccezione, sollevata dalla controricorrente, di inammissibilità del ricorso per formazione di un giudicato interno.
1.2. La società, dopo avere premesso che il giudice di
appello aveva risolto la controversa questione adottando una doppia motivazione, ciascuna delle quali
idonea a sorreggere la decisione, sostiene che solo
una di tali rationes è stata censurata, di talché il ricorso in cassazione risulta inammissibile perché la decisione resta sorretta dall’altra ratio, non censurata.
Ciò in quanto il secondo giudice, dopo avere ritenuto
applicabile ai bonus c.d. misti il regime IVA D.P.R.
n. 633 del 1972, ex art. 26, comma 2, ha ritenuto solo formalmente anomalo il comportamento fiscale
della contribuente che aveva invece applicato la disciplina di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, in
quanto “il risultato sarebbe stato identico, senza alcun danno per l’Erario”.
1.3. L’eccezione è infondata e va respinta. Le rationes
decidendi indicate dalla controricorrente, contrariamente a quanto a questa assume, non sono pari ordinate ed autonome. La prima infatti, attiene alla preliminare qualificazione dei bonus oggetto della controversia ed alla individuazione del regime IVA applicabile; la seconda, sulla scorta della qualificazione già
compiuta ed in via successiva, esamina la rilevanza fiscale del comportamento del contribuente e, in linea
astratta, sarebbe caducata automaticamente in caso
di accoglimento del ricorso proposto sulla prima ratio.
2.1. Si deve esaminare il ricorso, nel quale, con un
unico motivo, l’Agenzia lamenta la insufficienza della
motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1,
n. 5, sintetizzato nel seguente momento “In lite sulla
imponibilità IVA di sconti concessi dal produttore di
enti al concessionario, va esaminato se essi corrispondono a un’attività eccedente la mera vendita di una
certa quantità di veicoli e sia rivolta ad azioni di marketing, onde configurare la sinallagmaticità di tale
sconto, quindi corrispettivo. Sul punto insufficientemente motiva la sentenza impugnata che, enunciato
il corretto principio di diritto, qualifichi l’attività
pattuita come meramente qualitativa (rectius, quantitativa), laddove invece gli sconti siano collegati, come da contratti prodotti come allegati al pcv, alla ef-
3748
fettuazione di test ai dipendenti alla effettuazione di
piani di marketing?”.
Secondo la ricorrente il giudice di appello ha errato
nella qualificazione degli sconti concessi dai produttori alla società verificata, laddove, senza esaminare i
contratti ha asserito superficialmente trattarsi di
obiettivi prevalentemente quantitativi, mentre per
l’Agenzia gli sconti “qualitativi” costituiscono una remunerazione differenziata riferita a vere e proprie
prestazioni di servizio, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art.
3, comma 1, effettuate a seguito di obbligazioni di fare, non fare o di permettere dalla società verificata a
favore della Concessionaria.
2.2. Il motivo è inammissibile perché non coglie la
ratio decidendi e pecca sotto il profilo dell’autosufficienza.
2.3. La questione centrale, come risulta evidente, sia
dalla lettura del motivo che della sentenza impugnata, è data dalla corretta qualificazione dei bonus in
esame, cui consegue la diversa e specifica applicazione di un certo regime IVA.
2.4. In proposito, giova rimarcare che il giudice di
appello, in premessa, ha operato una sorta di classificazione dei c.d. bonus, individuandone le caratteristiche contrattuali e indicando il corrispondente regime
impositivo: su tale classificazione l’Agenzia non ha
sollevato censure, ed anzi ha affermato che il principio di diritto enunciato era corretto.
2.5. La censura, invero, colpisce la qualificazione in
concreto compiuta dalla CTR, a dire dell’Agenzia insufficientemente motivata in merito all’“attività pattuita come meramente qualitativa (rectius, quantitativa), laddove invece gli sconti siano collegati, come
da contratti prodotti come allegati al pcv, alla effettuazione di test ai dipendenti, alla effettuazione di
piani di marketing”.
2.7. Orbene tale censura, presuppone un decisum - la
qualificazione dei bonus in esame come meramente
quantitativi - che non trova corrispondenza nella decisione in esame. La Commissione regionale infatti,
sia pure in modo prudente, come si desume dalla frase “Nel caso in esame dagli allegati relativi agli accordi commerciali intercorsi tra la società Partenauto
e le case produttrici esibiti, sembra di capire che si
sia in presenza del terzo caso e cioè di ipotesi c.d. mista” (fol. 3 della sentenza), ha qualificato i bonus come “misti”, riconoscendo l’esistenza di obbligazioni
qualitative, ma prive di autonomia, in quanto funzionali alla realizzazione dell’obiettivo quantitativo, al
cui realizzarsi era sospensivamente condizionata l’esigibilità del bonus stesso; quindi, in ragione della strumentalità dell’obiettivo qualitativo rispetto a quello
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Cass., 3 giugno 2015, n. 11398
quantitativo, ha ritenuto applicabile il regime IVA
previsto per il bonus quantitativo.
2.8. Tali passaggi motivazionali, del tutto trascurati
nella censura, sono frutto - come emerge dalla sentenza - della disamina degli accordi commerciali intercorsi tra le parti e pongono al centro della decisione la stretta interconnessione tra gli obiettivi quantitativi, giudicati funzionalmente prevalenti, e gli
obiettivi qualitativi, e non già il mero contenuto delle obbligazioni qualitative, sul quale si è focalizzata in
modo esclusivo l’attenzione dell’Agenzia.
2.9. D’altro canto la stessa Agenzia delle entrate nella comunicazione con Prot. n. 2009/74786, con un
revirement rispetto alle precedenti risoluzioni 120/E
del 2004 e n. 36/E del 2008, ha posto in luce questa
complessità di rapporti affermando “Nella valutazione
in fatto inerente l’interpretazione degli accordi non
va trascurata la circostanza - ove sussistente - che generalmente il contratto di concessione di vendita stipulato tra casa madre automobilistica e concessionari
si estrinseca in una complessa e unitaria operazione
economica dove scambio (fornitura delle merci) e
collaborazione (in particolare, promozione delle vendite e poteri di controllo e di indirizzo gestionale a favore del concedente) sono connessi l’uno con l’altro.
È in tale contesto che si inseriscono le clausole concernenti i bonus da erogare ai concessionari che abitualmente risultano caratterizzati da una comune base
di calcolo, corrispondente al totale degli importi relativi alle cessioni di beni effettuate dalla casa madre
nei confronti dei concessionari. Ciò comporta di fatto la riduzione dei prezzi praticati dalla casa madre e
l’assoggettabilità dei bonus al trattamento fiscale riservato agli ‘abbuoni o sconti’ mediante emissione
della nota di credito D.P.R. n. 633 del 1972, ex art.
26, comma 2, da parte della casa madre.” ed ha concluso con l’invito alle strutture territoriali a non proseguire nelle attività di controllo, in tutti i casi in cui
ricorrono le circostanze fattuali sopra ricordate.
2.10. La doglianza sollevata non risulta, quindi, pertinente con la ratio decidendi sviluppata dal giudice di
appello.
2.11. Anche sotto il profilo dell’autosufficienza il
motivo presta il fianco a critiche. Nonostante la stessa Agenzia più volte sottolinei come risulti centrale
la disamina delle pattuizioni contrattuali, per valuta-
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re in concreto la eventuale autonomia degli obiettivi
qualitativi rispettò all’attività di vendita, e nonostante il giudice di appello abbia fondato la sua decisione
in fatto proprio sulla disamina degli accordi contrattuali, la Agenzia, pur trascrivendone nel motivo di ricorso il contenuto, per estratto desunto dal pvc, non
illustra su quali specifici elementi e contenuti contrattuali si palesi, da un lato, la insufficienza motivazionale lamentata e, dall’altro, si fondi la ricostruzione fattuale propugnata circa l’autonomia delle prestazioni connesse agli obiettivi qualitativi. Tale carenza
è ancor più evidente, se si tiene conto del tenore della comunicazione dell’Agenzia delle entrate prima ricordata e di una evidente e conclamata situazione
d’incertezza rispetto alla questione dei bonus qualitativi erogati ai concessionari di autovetture dalle case
automobilistiche, già riconosciuta da questa Corte
(Cass. n. 17250/2014; cfr. nn. 12751/2011 e
6398/2013).
2.12. Si deve osservare inoltre che la decisione impugnata, laddove afferma la strumentalità degli obiettivi qualitativi a quelli quantitativi, sembra trovare
conferma nelle estrapolazioni contrattuali trascritte
dalla ricorrente, ove si legge che il c.d. margine variabile, la cui quantificazione è connessa al concreto
raggiungimento degli obiettivi qualitativi, è erogato
solo al momento della vendita degli autoveicoli, sotto forma di sconto sulla fattura così come avviene
per il margine base, e non già in via autonoma al raggiungimento degli obiettivi.
3.1. Conclusivamente il ricorso va rigettato per
inammissibilità del motivo.
3.2. Le spese del giudizio di legittimità seguono la
soccombenza e si liquidano nella misura stabilita in
dispositivo a favore della società contribuente; le spese di giudizio per le fasi di merito si compensano.
P.Q.M.
La Corte di cassazione - rigetta il ricorso;
- condanna la ricorrente Agenzia delle entrate alla
refusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida a favore della società Partenauto FM SPA in
euro 6.000,00, oltre spese borsuali per euro 150,00,
IVA e CASSA, e compensa le spese di giudizio per
le fasi di merito.
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Reati tributari
Cass., Sez. II pen., 10 luglio 2015, n. 29553
Apprezzabile evoluzione garantista
della Cassazione sulla prova
della “sproporzione” e dell’“evasione”
di Ivo Caraccioli (*)
Correttamente la Suprema Corte, con sentenza n. 29553 del 2015 della Sezione II penale, fissa
il principio per cui l’interessato può dimostrare la legittima provenienza del bene sequestrato
in quanto acquistato con proventi proporzionati alla propria “capacità reddituale lecita”, tenendosi conto del “patrimonio legittimamente accumulato”. L’analisi del patrimonio del soggetto - che non possa “giustificare la provenienza” delle disponibilità economiche non confacenti alla sua condizione - deve in sostanza prescindere da una sua valutazione in termini strettamente tributari, come potrebbe essere necessario se si ragionasse in chiave esclusivamente fiscale della problematica in termini.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 29553
del 2015 (1), della II Sezione penale, appare
particolarmente perspicua, in quanto approfondisce da un angolo visuale corretto la tematica
della confisca, di cui all’art. 12-sexies del D.L.
n. 306/1992 (2), con riferimento al concetto per la verità piuttosto generico ed ambiguo - di
“sproporzione rispetto al reddito dichiarato”,
applicato ad un caso concreto nel quale era
stato impossibile stabilire che dati beni fossero
effettivamente sproporzionati rispetto al patrimonio. Il principio di diritto affermato è nel
senso che l’interessato può dimostrare la legittima provenienza del bene sequestrato in quanto acquistato con proventi proporzionati alla
propria “capacità reddituale lecita”, tenendosi
conto del “patrimonio legittimamente accumulato”.
In altre parole, quindi, il “reddito dichiarato”
non può, ai fini che interessano l’istituto in
esame, essere valutato con riferimento ad una
data annualità, dovendosi tener conto anche
dei redditi precedenti che hanno inciso sul patrimonio.
(*) Già Professore ordinario di Diritto penale presso l’Università di Torino - Presidente del “Centro di diritto penale tributario”
(1) Il testo della sentenza è riportato a seguire.
(2) Convertito, con modificazioni, dalla legge n. 356/1992.
(3) Secondo Cass. n. 27189 del 2013 la misura di sicurezza
patrimoniale, di cui all’art. 12-sexies del D.L. n. 306/1992, si
fonda sulla presunzione della illegittima provenienza delle risorse patrimoniali accumulate da un soggetto come responsabile di determinati reati.
In commento M. Meoli, “L’evasione non motiva la confisca
dei beni sproporzionati al reddito”, in Eutekneinfo, 25 giugno
2013, pag. 2: “deve quindi escludersi che, in presenza di fonti
lecite e proporzionate di produzione, quali che esse siano, di
dette risorse, possa farsi ricorso alla misura in questione. Tali
fonti possono essere costituite dal reddito dichiarato ai fini fiscali ovvero dal giro d’affari comunque connesso all’attività
economica svolta, anche se non evidenziato, integralmente o
in parte, nella dichiarazione dei redditi; ciò in quanto la non
proporzionalità del primo (reddito dichiarato) finisce con l’essere superata dalla proporzionalità del secondo (giro d’affari). Di-
3750
Sproporzione del reddito prodotto
in una data annualità
rispetto al reddito dichiarato
Se un’osservazione si può rivolgere al legislatore è, infatti, quella che l’applicazione del rapporto tra reddito prodotto in una data annualità e sua sproporzione rispetto al reddito dichiarato si presenta non perfettamente in linea
con il concetto e la funzione di reddito tassabile: quest’ultimo, invero, deve essere considerato con riferimento esclusivo all’anno di produzione; mentre la traslazione di un concetto (generico ed impreciso) di “reddito” nel campo di
altre risultanze storiche (come appunto il possesso o l’accumulo precedenti di dati beni, il
tenore di vita e simili, che sono fenomeni che
prescindono dal perimetro dell’annualità) si
può prestare a conseguenze distorte (3).
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Cass., Sez. II pen., 10 luglio 2015, n. 29553
Reati tributari
Proventi dell’“evasione
Correttamente quindi la
LA GIURISPRUDENZA
fiscale”
Suprema Corte fissa il
Evasione
fiscale
principio per cui l’analisi
La sentenza in commento,
La Corte di cassazione, a Sezioni Unite, ha
del patrimonio del sogget- affermato che, per individuare il
e che appunto va valutata
to - che non possa “giusti- presupposto della sproporzione tra i beni
positivamente, appare, invece, in contrasto con i
ficare la provenienza” del- posseduti e le attività economiche del
soggetto,
deve
tenersi
conto
anche
dei
principi affermati da
le disponibilità economiCass., SS.UU., n. 33451
che non confacenti alla proventi dell’evasione fiscale. Con tale
impostazione il concetto generico di
del 2014, la quale, con risua condizione - deve in
“evasione fiscale” viene direttamente
ferimento all’istituto della
sostanza prescindere da utilizzato per dar luogo ad un’applicazione
confisca, di cui all’art. 24
una sua valutazione in ter- indiscriminata di una misura di prevenzione
del
D.Lgs. n. 159/2011, ha
mini strettamente tributa- personale senza entrare nell’analisi della
affermato che, “per indiviri, come potrebbe essere formazione del patrimonio nelle varie
duare il presupposto della
necessario se si ragionasse annualità susseguitesi nel tempo e
sproporzione tra i beni
dell’incidenza di eventuali istituti giuridici in
in chiave esclusivamente qualsiasi modo rilevanti ai fini della
posseduti e le attività ecofiscale della problematica. ricostruzione di tale evasione.
nomiche del soggetto, deL’interprete - prescindenve tenersi conto anche
do dall’esame del caso
dei proventi dell’evasione fiscale”.
concreto giudicato in sentenza e da ogni riferi- Con tale impostazione, infatti, il concetto genemento moralistico alla negatività sociale del rico di “evasione fiscale” viene direttamente
reato nella specie contestato (usura) - non può utilizzato dalle SS.UU. per dar luogo ad un’apquindi non prendere atto con soddisfazione plicazione indiscriminata di una misura di predella correttezza del ragionamento della Supre- venzione personale senza entrare nell’analisi ma Corte nell’interpretazione di una norma come fatto dalla sentenza in commento - della
che, pur sull’onda dell’emotività suscitata da formazione del patrimonio nelle varie annualità
disposizioni emergenziali venutesi ad accumu- susseguitesi nel tempo e dell’incidenza di evenlare nel coacervo di provvedimenti di impor- tuali istituti giuridici in qualsiasi modo rilevanti
tante rilevanza socio-politica come quelli della ai fini della ricostruzione di tale evasione.
c.d. lotta alla mafia e/o alla criminalità orga- Può accadere, infatti, che nel corso degli anni
il contribuente abbia fatto ricorso ad istituti
nizzata, tesi ad incidere in maniera anche apnormativi escludenti la rilevanza giuridica delprossimativa sui c.d. patrimoni illeciti, ha sal’evasione stessa (come i vari “condoni tributaputo scindere l’analisi testuale dei termini usati ri”, gli “scudi fiscali” e simili), onde appare in
dal legislatore (un legislatore sovente superfi- ogni modo giuridicamente inaccettabile che
ciale dal punto di vista tecnico) da siffatte an- comunque tutto il coacervo dell’evasione debsie di severa repressione a tutti i costi, tenuto ba influire sull’esistenza dei presupposti per
conto che ogni caso concreto si distingue dagli l’applicazione della misura coercitiva.
altri per la sua specificità e va comunque giudi- Ed invero, nel caso concreto che ha dato origicato in termini di corretta tecnica interpretati- ne alla sentenza delle SS.UU. in esame, al contribuente (ora novantenne), pur avendo il meva.
versamente ragionando, infatti, si finirebbe per penalizzare il
soggetto sul piano patrimoniale non per la provenienza illecita
delle risorse accumulate rispetto ai reati ivi contemplati, ma
per l’evasione fiscale posta in essere. Condotta antigiuridica
che, seppure sanzionabile, all’occorrenza anche in via penale,
esula dalla ratio e dal campo operativo dell’istituto di cui all’art.
12-sexies cit.”; in tale ragionevole linea interpretativa v. anche
Cass., 26 luglio 2011, n. 29926; invece, secondo Cass., 26 ot-
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tobre 1996, n. 5202, il presupposto relativo alla sproporzione
del valore dei beni rispetto ai redditi dichiarati o all’attività economica esercitata deve essere inteso nel senso della sufficienza di un solo parametro, rendendo sequestrabili (e confiscabili)
beni di valore sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati seppure proporzionati rispetto all’attività economica svolta (v. anche Cass., 27 aprile 2012, n. 16031).
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Reati tributari
Cass., Sez. II pen., 10 luglio 2015, n. 29553
desimo usufruito degli
Sezioni semplici in comPROSPETTIVE FUTURE
“scudi” del 2003 e 2009, è
mento - tra comportamenstato egualmente contesta- Sanzioni patrimoniali
ti effettivamente illeciti
to, ai fini dell’applicazione Si auspica che il legislatore intervenga per
dal punto di vista tributadel provvedimento in di- circoscrivere e comunque meglio definire i
rio e comportamenti non
presupposti giuridici di natura tributaria ai
scorso, che il medesimo,
illeciti già nel loro nascere
fini dell’applicazione di pesanti sanzioni di
nella sua qualità di im- carattere patrimoniale. Il tutto nel quadro di
ovvero successivamente
prenditore, “ha posto in es- una migliore precisazione dei concetti di
esclusi da sanzione (4).
sere, nel tempo, sia diretta- “evasione fiscale” e di “reddito”
mente sia per interposta disinvoltamente usati da un legislatore
Considerazioni
persona, condotte tendenti desideroso di conseguire determinati
conclusive
ad eludere o evadere il Fi- risultati preventivo-repressivi a tutti i costi.
A conclusione di tale esasco”, giungendo alla conclusione che la disponibilità finanziaria del sogme comparativo di provgetto “risulta sproporzionata rispetto ai redditi vedimenti giudiziari di importante rilievo si dedichiarati”. Il sequestro, pertanto, di ben cento- ve, dunque, auspicare che il legislatore interdieci milioni di euro, è stato disposto “ai fini di venga per circoscrivere e comunque meglio deconfisca”. In sostanza, un provvedimento ablato- finire i presupposti giuridici di natura tributaria
rio su frutti di attività economiche risalenti nel
ai fini dell’applicazione di pesanti sanzioni di
tempo (nella specie: dal primo dopoguerra in
carattere patrimoniale. Il tutto nel quadro di
avanti) senza che alcuna specifica analisi di vera
e propria esistenza di “evasione fiscale” (e finan- una migliore precisazione dei concetti di “evaco di “elusione fiscale”, dopo le recenti riforme sione fiscale” e di “reddito” disinvoltamente
non sempre punibile o sanzionabile) sia stata usati da un legislatore desideroso di conseguire
compiuta sulle attività stesse al fine di poter di- determinati risultati preventivo-repressivi a
stinguere - come invece afferma la sentenza a tutti i costi.
LA SENTENZA
Cassazione, Sez. II pen., Sent. 10 luglio 2015 (17 giugno 2015), n. 29553 - Pres. Esposito - Rel.
Rago
Il concetto di “sproporzione”, ai fini della confisca, in quanto implica un incongruo squilibrio tra
guadagni (desumibili dal reddito dichiarato ai fini delle imposte) e patrimonio, consente all’interessato di addurre e/o provare, sulla base di specifiche e verificate allegazioni, la legittima provenienza del bene sequestrato in quanto acquistato con proventi sproporzionati alla propria capacità reddituale lecita e, quindi, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato.
Fatto
1. Con ordinanza del 15/01/2015, il Tribunale del
Riesame di Livorno, in accoglimento delle impugnazioni proposte da F.M. (indagato per il reato di usura)
e da Z.G. (terza non indagata), disponeva il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto delle somme
giacenti sui conti correnti bancari e postali, dei titoli
tutti e del buono postale fruttifero dei quali il giudice
per le indagini preliminari del medesimo Tribunale
aveva, con decreto del 09/12/2014, ordinato il sequestro preventivo L. n. 356 del 1992, ex art. 12-sexies.
Il Tribunale, innanzitutto, dopo avere illustrato il
metodo seguito dalla pubblica accusa per stabilire che
la disponibilità finanziaria (denaro su conti correnti e
dossier titoli) era sproporzionata rispetto ai redditi dichiarati, ha criticato il suddetto metodo.
(4) Sulla vicenda v. Peggio, “‘Evasore da mezzo secolo’. Gli
sequestrano 110 milioni”, in La Stampa del 23 luglio 2014,
pag. 43.
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Cass., Sez. II pen., 10 luglio 2015, n. 29553
Questa la motivazione nei suoi testuali termini: “Nel
calcolo proposto dagli inquirenti, i disavanzi di gestione di ogni anno sono riportati a debito dell’anno
successivo, contribuendo così alla determinazione del
suo risultato finanziario e, per ulteriore ricaduta, di
quelli seguenti, in una sorta di bilancio pluriennale.
Il che, in concreto, avviene nel passaggio dall’anno
2005 (in cui si rilevano investimenti che eccedono
di 139.259,15 euro le risorse disponibili) all’anno
2006, dall’anno 2009 al 2010 e poi a tutti gli anni
successivi, sino al 2012, nei quali, nonostante il rilievo di avanzi annuali di gestione anche consistenti,
l’incongruità su base progressiva è fatta discendere
dai più corposi disavanzi registrati negli anni precedenti (soprattutto nel 2008 e nel 2009, nei quali si
contano, rispetto agli investimenti effettuati, deficit
di risorse pari, rispettivamente, a 146.299,58 ed a
329.069,92 euro). Questa impostazione, censurata
dalla difesa, è fuorviante e non in linea con i principi
di diritto sedimentati dalla giurisprudenza di legittimità, chiara nel pretendere che la verifica del requisito della sproporzione non sia condotta con riferimento a periodi complessivi bensì ai momenti specifici in
cui avvengono le acquisizioni patrimoniali sospette.
L’accorgimento contabile dell’addebito del disavanzo
di ciascun anno all’anno successivo sconta, sul piano
della ricostruzione obiettiva delle vicende patrimoniali, un errore di prospettiva: quello di considerare
lo scarto tra risorse ed investimenti come misura di
un debito contratto dall’indagato, da ammortizzare
nel tempo; ed evidentemente così non è, sol che si
pensi che il sequestro dei beni di valore eccedente la
dimostrata capacità reddituale è adottato sul presupposto che essi siano stati acquistati con finanze addizionali ed occulte, e non attraverso qualsivoglia forma di indebitamento (che, anzi, rappresenterebbe
una giustificazione oggettiva della provenienza delle
risorse). Si tratta, insomma, di spese sostenute con
mezzi di cui l’indagato disponeva, e che non possono
avere alcuna incidenza nella partita doppia relativa
all’anno a venire.
In una prospettiva più ampia, poi, è intuitivo che la
tecnica del riporto tralatizio delle minusvalenze annuali finisca con il dilatare le coordinate cronologiche dell’accertamento, sino ad illustrare, a valle, valutazioni di sintesi riferibili a troni temporali pluriennali, che poco o nulla dicono in ordine alla capacità
di spesa al momento dei singoli investimenti, in aperto contrasto con i criteri parametrali tracciati dalle
SS.UU. della Cassazione nella sentenza 17 dicembre
2004, n. 990. Ma non meno artificioso è l’accredito
delle plusvalenze degli anni 2006, 2010 e 2011 alle
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Reati tributari
fonti disponibili per gli anni rispettivamente seguenti, che la stessa pubblica accusa non manca di riconoscere, in chiave compensativa, a favore del F. L’operazione è fallace tanto quanto lo è considerare risparmiate nella loro interezza, e quindi disponibili per
l’anno a venire, le risorse non impiegate nelle forme
tipiche di investimento considerate ai fini dell’accertamento patrimoniale (immobili e titoli), ma che, in
concreto, ben potrebbero essere state utilizzate per
spese di carattere corrente o straordinario, queste ultime niente affatto implausibili per chi, come F., disponga di un vastissimo patrimonio immobiliare.
D’altra parte, la documentazione disponibile, ivi inclusa quella prodotta dai ricorrenti, non consente di
ricostruire la sorte delle eccedenze di gestione e tantomeno di constatarne il risparmio attraverso depositi
in conto corrente o altre modalità tracciabili di accumulo, e ciò nel contesto di un’amministrazione familiare dichiaratamente incline all’uso massivo del contante. Con i correttivi di cui si è detto, gli elementi
raccolti nel corso dell’indagine ed illustrati nell’impugnato decreto di sequestro preventivo possono ritenersi dimostrativi di una significativa sperequazione
tra redditi ed investimenti negli anni 2005, 2007,
2008 e 2009, mentre non evidenziano situazioni sintomatiche di illecite aggregazioni patrimoniali in relazione agli acquisti effettuati dal nucleo familiare
dell’indagato negli anni 2006, 2010, 2011 e 2012. La
conclusione non muta alla luce delle ulteriori voci
accertate di spesa che il Pubblico ministero, a seguito
di successive indagini, ha dedotto nella propria memoria del 14.1.2015; si tratta di esborsi per manutenzione del patrimonio edilizio (totali euro 62.260,00
negli otto anni considerati, di cui 41.520 solo nel
2009) e per onorari notarili (totali euro 79.605 tra il
2005 ed il 2013, di cui 35.000 nel 2009) che certo
aggravano in modo non trascurabile lo scompenso registrato nell’anno 2009 ma non spostano, negli altri
anni, il senso del bilancio”.
2. Avverso la suddetta ordinanza, ha proposto ricorso
per cassazione il Pubblico ministero deducendo i seguenti motivi:
2.1. violazione del concetto di sproporzione: il ricorrente sostiene che il Tribunale ha errato nel non tenere conto nella sproporzione accertata (intesa come
differenza fra fonti ed impieghi) anche dell’indebitamento complessivo rilevato negli anni precedenti. Il
ricorrente, dopo avere illustrato il metodo seguito, e,
dopo avere dato atto che per le annualità 2006,
2010, 2011 e 2012, era stato rilevato un saldo positivo, censura l’ordinanza nei seguenti testuali termini:
“appare imprescindibile tenere conto anche delle pas-
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Reati tributari
sività conseguita nell’anno precedente. Infatti, pur in
presenza di una disponibilità di redditi ottenuta in
quell’anno, tale da giustificare in termini numerici gli
impieghi effettuati per quella stessa annualità, occorre considerare che tale disponibilità non può essere
ritenuta sufficiente, in quanto tale somma non è in
grado di coprire nemmeno il forte indebitamento
creatosi nell’esercizio precedente. In sostanza il ragionamento è questo come faccio ad investire in immobili quando ancora non riesco a coprire una passività
che si è venuta a determinare in passato?. Ad esempio, la disponibilità accumulata nel 2006 per 84 mila
euro circa va a coprire una parte dell’indebitamento
accumulato nel 2005, quando è stata riscontrata
un’incongruità precisa su base annua di F. M. di quasi
140.000 euro. Ciò significa che, per il 2006, pur in
presenza di un saldo positivo, e quindi di una congruità su base annua, risulto incongruo su base progressiva per oltre 54 mila euro (risultato scaturito dalla differenza, tra l’incongruità accertata nel 2005 e il
saldo positivo del 2006) ... La sproporzione, quindi, si
configura come fattispecie semplice e limitata sul piano temporale, come sancito dalla nota sentenza
Montella della Corte di cassazione a Sezioni Unite
(n. 920/2004), nel senso che si concretizza in un raffronto tra due soli elementi (il valore del bene, da un
lato, il reddito o l’attività economica, dall’altro) riferibile a un certo periodo (l’epoca della acquisizione
del bene) e circoscritta a verificare la legittimità degli
investimenti. Ne consegue che una corretta procedura di calcolo della sproporzione non può estrinsecarsi
attraverso un mero confronto aritmetico fra patrimonio complessivo accumulato e reddito complessivo
prodotto, bensì rilevando, con riferimento ad un determinato periodo temporale, lo scompenso esistente
tra incrementi patrimoniali più reddito consumato,
da una parte, e reddito legittimamente prodotto, dall’altra parte. Tuttavia, la contestualizzazione della
prova della sproporzione, oltre a tenere conto delle
circostanze esistenti al momento dell’acquisto, non
può non tenere conto (per quel periodo temporale)
di una situazione di indebitamento che l’indagato si
porta dietro dal passato (...) La sproporzione va rilevata con riferimento ai diversi periodi temporali annuali tenendo conto degli acquisti effettuati in quel
periodo. Tuttavia, per ogni periodo temporale, occorre avere riguardo anche ai debiti accumulati dall’indagato, soprattutto se essi sono riferiti ad annualità
immediatamente precedenti che possono avere un
impatto immediato sugli esercizi successivi. Ciò significa che, in presenza in un anno di un saldo positivo
derivante dal raffronto tra fonti e impieghi, questo
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Cass., Sez. II pen., 10 luglio 2015, n. 29553
saldo va considerato come somma utilizzata innanzitutto per coprire l’indebitamento creatosi. Operando
in tal modo è evidente che, qualora il saldo positivo
ottenuto non sia in grado di coprire l’intero indebitamento passato, si viene a creare un’incongruità su base progressiva, come nel caso accertato dalla Guardia
di Finanza e fatto proprio dal GIP nei suoi provvedimenti cautelari (...)”.
2.2. Violazione del concetto di disponibilità e di denaro: il ricorrente, dopo avere premesso, in punto di
fatto, che il F., negli anni, aveva effettuato operazioni
finanziarie anomale e sovradimensionate rispetto alla
sua capacità reddituale, osserva che “In altri termini,
l’indagato ha, ancora oggi, la presenza sui conti correnti di provviste che derivano da versamenti eseguiti
in quegli anni in cui la incongruità è stata rilevata
dallo stesso Tribunale del Riesame con la precedente
ordinanza, e la cui giustificazione non è stata data
dalla difesa sulla quale gravava l’inversione dell’onera
della prova. La norma L. n. 356 del 1992, ex art. 12sexies, fa riferimento ai concetti di disponibilità e di
denaro: si tratta di concetti molto estesi, che devono
essere interpretati alla luce della fungibilità del denaro stesso (...) La norma di legge richiede che debba
sussistere innanzitutto il requisito della disponibilità
e, su questo punto, il Tribunale del Riesame lo ha riconosciuto; tuttavia, con riferimento al denaro contante il Tribunale erroneamente non ha effettuato
una valutazione della disposizione normativa che ne
valuti anche la sua fungibilità. Così operando e, soprattutto così interpretando la disposizione di legge,
non verrebbe effettuata, come afferma il Tribunale
del Riesame una valutazione sintetica e sommaria,
ma piuttosto verrebbe data applicazione pratica ai
concetti di disponibilità e di denaro, richiamati dalla
norma citata, con possibilità quindi di mantenere il
sequestro preventivo del denaro giacente sui conti”.
Diritto
1. In via preliminare, va chiarito, in punto di diritto,
il concetto di “sproporzione” (e le modalità di calcolo) atteso che il ricorrente su di esso ha, in pratica,
incentrato, tutto il ricorso.
La L. n. 356 del 1991, art. 12-sexies, dispone che, in
caso di condanna per alcuni determinati reati (fra cui
quelli di usura per il quale risulta indagato il F.): “è
sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o
delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta
persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore spropor-
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Cass., Sez. II pen., 10 luglio 2015, n. 29553
zionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica”.
La norma, quindi, ruota sui seguenti concetti:
a) l’oggetto della confisca: sono confiscabili denaro,
beni o altre utilità di cui il condannato risulti essere
titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo;
b) presupposti della confisca sono: 1) la mancata giustificazione della lecita provenienza dei suddetti beni;
2) i beni devono essere di valore sproporzionato rispetto al reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul
reddito, o all’attività economica.
La complessa problematica derivante dalla confisca
in questione (c.d. allargata), ha trovato un suo punto
di approdo nella sentenza delle SSUU n. 920/2004
Rv. 226490, Montella, che ha fissato i seguenti principi ai quali la successiva giurisprudenza di questa
Corte si è sempre adeguata:
1. l’accusa deve provare (alternativamente: Cass.
29926/2011), la sproporzione o tra il valore dei beni
ed i redditi dichiarati o tra il valore dei beni e l’attività economica svolta dall’indagato - imputato - condannato - salva, ovviamente, la possibilità per costui,
di allegare e/o provare fatti in contrario sulla lecita
provenienza dei redditi;
2. la sproporzione dev’essere provata, dalla pubblica
accusa, non in relazione all’intero patrimonio ma al
momento dell’acquisto di ciascun bene di cui è disposta la confisca;
3. non occorre la prova della pertinenzialità fra i beni
confiscati ed i reati addebitati all’indagato-imputatocondannato (Cass. 5452/2010): di conseguenza, essendo la condanna e la presenza della somma dei beni di valore sproporzionato realtà attuali, la confiscabilità dei singoli beni, derivante da una situazione di
pericolosità presente, non è certo esclusa per il fatto
che i beni siano stati acquisiti in data anteriore o successiva al reato per cui si è proceduto o che il loro
valore superi il provento del delitto per cui è intervenuta condanna. Peraltro questo principio è stato temperato dalla successiva giurisprudenza che ha ritenuto
che “In tema di sequestro preventivo ai sensi del
D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies convertito in L.
n. 356 del 1992, la presunzione di illegittima acquisizione da parte dell’imputato deve essere circoscritta
in un ambito di ragionevolezza temporale, dovendosi
dar conto che i beni non siano ictu oculi estranei al
reato perché acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione”: Cass.
35707/2013 Rv. 256882; Cass. 41100/2014 Rv.
260529;
4. si tratta di una misura di sicurezza atipica con funzione anche dissuasiva, parallela all’affine misura di
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Reati tributari
prevenzione antimafia introdotta dalla L. 32 maggio
1965, n. 575.
In ordine al concetto di sproporzione, le SSUU, hanno testualmente scritto: “Il legislatore impiega il termine sproporzione e ciò rimanda non a qualsiasi difformità tra guadagni e capitalizzazione, ma ad un incongruo squilibrio tra questi, da valutarsi secondo le
comuni regole di esperienza. La sproporzione così intesa viene testualmente riferita, non al patrimonio
come complesso unitario, ma alla somma dei singoli
beni, con la conseguenza che i termini di raffronto
dello squilibrio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori economici in gioco, non vanno fissati nel reddito dichiarato o nelle attività al momento della misura rispetto a tutti i beni presenti, ma nel
reddito e nelle attività nei momenti dei singoli acquisti, rispetto al valore dei beni volta a volta acquisiti.
La giustificazione credibile attiene alla positiva liceità
della provenienza e non si risolve nella prova negativa della non provenienza dal reato per cui si è stati
condannati. E così, per esempio, per gli acquisti che
hanno un titolo negoziale occorre un’esauriente spiegazione in termini economici (e non semplicemente
giuridico-formali) di una derivazione del bene da attività consentite dall’ordinamento, che sarà valutata
secondo il principio del libero convincimento. 8. La
conclusione raggiunta è conforme ad una fondamentale scelta di politica criminale del legislatore, operata con l’individuare delitti particolarmente allarmanti, idonei a creare una accumulazione economica, a
sua volta possibile strumento di ulteriori delitti, e
quindi col trame una presunzione, iuris tantum, di origine illecita del patrimonio ‘sproporzionato’ a disposizione del condannato per tali delitti (...) il giudice
non è autorizzato ad espropriare un patrimonio quando comunque sia di ingente valore, ma deve invece
accertarne la sproporzione rispetto ai redditi ed alle
attività economiche del condannato e ciò, come s’è
visto, attraverso una ricostruzione storica della situazione esistente al momento dei singoli acquisti”.
Come si è detto questa interpretazione, in specie per
quanto riguarda il concetto di sproporzione fra reddito e valore dei beni acquistati, non è stata mai messa
in discussione: ex plurimis: Cass. 721/2006 Rv.
235607; Cass. 10756/2009 Rv. 242896; Cass.
5452/2010 Rv. 246083; Cass. 47567/2013 Rv.
258030.
Si è, infatti, ritenuto che il raffronto tra il valore dei
beni e i redditi dichiarati o derivanti da attività economica, dev’essere operato al netto dell’imposta (e
delle eventuali spese per le esigenze di vita: Cass.
3851/1998 Rv. 212908; Cass. 5452/2010 cit., in mo-
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Reati tributari
tivazione) costituendo la differenza, le somme nella
disponibilità dell’indagato/imputato.
Sempre con riguardo alla composizione del reddito di
cui si deve tener conto, da ultimo la giurisprudenza si
è attestata nel ritenere che “In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, la presunzione di illegittima provenienza di risorse patrimoniali accumulate da un soggetto condannato per il reato di cui alla
L. n. 356 del 1992, art. 12-sexies, deve escludersi in
presenza di fonti lecite e proporzionate di produzione,
sia che esse siano costituite dal reddito dichiarato ai
fini fiscali sia che provengano dall’attività economica
svolta, benché non evidenziate, in tutto o in parte,
nella dichiarazione dei redditi, con la conseguenza
che è onere dell’interessato dimostrare che i beni sequestrati sono stati acquistati con il provento di attività economiche non denunciate al Fisco”: Cass.
49498/2014 Rv. 261046; SSUU 33451/2014 Rv.
260247 secondo la quale “nell’art. 12-sexies, infatti, a
differenza di quanto è previsto nella L. n. 505 del
1965, citato art. 2-ter, la presunzione di illecita provenienza dei beni del condannato viene ancorata letteralmente ed esplicitamente al combinato disposto
della sproporzione rispetto all’attività economica
svolta e dell’assenza di giustificazione, ma non anche,
in alternativa, alla esistenza di sufficienti indizi della
loro provenienza da qualsiasi attività illecita. In altri
termini, se è vero che per entrambe le misure ablatorie è previsto che i beni da confiscare si trovino nella
disponibilità diretta o indiretta del soggetto e che siano di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata, è altresì vero
che il requisito alternativo della provenienza illecita
del bene (qualificabile come frutto o reimpiego di
proventi illeciti) è specificamente previsto solo per la
confisca di prevenzione”.
La sproporzione, quindi, come emerge dal dato testuale normativo e dalla stessa univoca giurisprudenza
di legittimità, va calcolata avendo come punto di riferimento per il primo parametro, “il reddito” netto
(o l’attività economica) ossia la sua capacità reddituale.
1.1. A questo punto, è opportuno una breve digressione in ordine ai concetti di “reddito” e “patrimonio”.
Il reddito può essere definito come la ricchezza netta
(derivante da lavoro e/o da capitale), creata da un
determinato soggetto in un determinato periodo di
tempo che, nell’art. 12-sexies cit., coincide con il periodo di imposta annuale: la legge, quindi, ha accolto
una nozione dinamica del reddito perché legata al
concetto di “flusso” ossia ad una grandezza variabile
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Cass., Sez. II pen., 10 luglio 2015, n. 29553
in un determinato periodo di tempo dipendente da
diversi fattori economici.
Del tutto diverso, è, invece, il concetto di “patrimonio” netto: con tale lemma, in ambito economico,
s’intende la ricchezza costituita dal valore complessivo dei beni, mobili o immobili, che un soggetto possiede in un determinato momento, al netto, appunto,
delle passività che su di esso gravano: il suddetto
concetto, in quanto è legato ad un preciso istante
temporale, implica, quindi, una nozione statica (non
a caso il patrimonio è denominato anche come uno
stock di beni) che si contrappone a quella dinamica
del reddito che presuppone, invece, la creazione di
ricchezza (c.d. “flusso”) nell’arco di un determinato
periodo di tempo.
Quindi, il patrimonio, può essere formato oltre che
da beni non strettamente derivanti dall’attività del
soggetto (ad es. beni provenienti da un’eredità; da
una vincita) anche e soprattutto dalle plusvalenze derivanti dal reddito e che risultano a fine del periodo
considerato e che, ove non consumate, si capitalizzano entrando a far parte del patrimonio.
È ovvio, quindi, che qualsiasi soggetto, acquista beni
o con le plusvalenze del reddito annuale (consumandolo, quindi, in tutto o in parte), o con quelle degli
anni precedenti che, in quanto capitalizzate, sono entrate a far parte del proprio patrimonio.
Ora, quando l’art. 12-sexies cit., indica il “reddito dichiarato ai fini delle imposte” come il parametro al
quale occorre fare riferimento per accertare se il bene
acquistato dall’indagato/imputato/condannato, sia
congruo, non intende riferirsi al reddito percepito
nell’anno in cui quel singolo bene è stato acquistato,
ma intende riferirsi, alla capacità reddituale, ossia alla
capacità di quel soggetto di percepire un reddito tale
che gli consenta di acquistare quel determinato bene.
Se così non fosse, dovrebbe giungersi alla paradossale
ed illegittima conclusione secondo la quale ogni
qualvolta un soggetto acquista un bene il cui valore
eccede la capacità reddituale dell’anno in corso (ad
es. un immobile), l’acquisto dovrebbe essere automaticamente ritenuto incongruo senza possibilità di prova contraria. Invece, non si dubita che l’indagato
possa allegare e dimostrare di avere acquistato quel
bene non solo con il reddito dell’anno di acquisto ma
anche con le plusvalenze derivate dai redditi degli
anni precedenti o, comunque, con proventi legittimamente posseduti (ad es. una vincita di gioco; un’eredità ricevuta).
In altri termini, l’indagato può allegare o dimostrare
la legittimità dell’acquisto facendo leva sulla sua capacità di effettuare acquisti attingendo al patrimonio
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legittimamente accumulato: fra la capacità reddituale
(ossia la capacità di produrre, mediamente, una determinata ricchezza per ogni anno d’imposta) ed il
patrimonio vi è, infatti, una relazione biunivoca in
quanto il patrimonio (salvo beni acquisiti legittimamente con risorse non provenienti dal reddito: ad es.
eredità; vincite) costituisce, normalmente, la fotografia statica della ricchezza che un soggetto è riuscito
ad accumulare, legittimamente, nel corso degli anni
grazie alla sua attività e, quindi, grazie alla sua capacità di produrre reddito.
1.2. Questa precisazione, consente di introdurre un
argomento fondamentale ai fini della corretta comprensione della problematica in esame: la distribuzione dell’onere probatorio.
Come si è già detto, le SSUU Montella, proprio nell’ottica di una interpretazione costituzionalmente
orientata, hanno scritto, a chiare lettere, che “il giudice non è autorizzato ad espropriare un patrimonio
quando comunque sia di ingente valore, ma deve invece accertarne la sproporzione rispetto ai redditi ed
alle attività economiche del condannato e ciò, come
s’è visto, attraverso una ricostruzione storica della situazione esistente al momento dei singoli acquisti”:
dunque, la circostanza che l’indagine patrimoniale
debba essere effettuata per singolo bene, costituisce
un’agevolazione per la difesa che, in tal modo, può
allegare e documentare la legittima provenienza del
denaro servito per acquistare quel determinato bene,
cosa che sarebbe impossibile ove si pretendesse dall’indagato di dimostrare la legittima acquisizione dell’intero suo patrimonio.
Quando pertanto le SSUU, sostengono che “... il termine sproporzione rimanda non a qualsiasi difformità
tra guadagni e capitalizzazione, ma ad un incongruo
squilibrio tra questi, da valutarsi secondo le comuni
regole di esperienza” afferma, in sostanza, che la sproporzione è un concetto che implica un incongruo
squilibrio tra guadagni (desumibili dal reddito dichiarato ai fini delle imposte) e patrimonio (ossia la “capitalizzazione”), proprio perché il capitale (rectius: il
patrimonio) dev’essere congruo rispetto all’attività lecitamente esercitata dal soggetto e cioè alla sua capacità reddituale: solo quando il patrimonio è gravemente squilibrato (“sproporzionato”) rispetto alla capacità reddituale, e, quindi, l’acquisto del bene sottoposto a sequestro non trova giustificazione, il bene
può essere sequestrato.
Non è, pertanto, corretto, al fine di stabilire il criterio
della sproporzione, porre a raffronto il valore del bene
acquistato in un determinato periodo con il solo reddito prodotto dall’indagato in quello stesso anno di im-
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Reati tributari
posta, impedendogli quindi, di dimostrare di avere attinto il denaro dal proprio patrimonio legittimamente
accumulato: l’art. 12-sexies cit., non richiede affatto
che l’acquisto sia proporzionato al reddito percepito
nell’anno di acquisto: molto più semplicemente e più
in generale, parla di “reddito dichiarato ai fini delle
imposte sul reddito” e, quindi, anche i redditi degli anni precedenti che, ove non consumati, si sono capitalizzati contribuendo a formare il patrimonio.
In altri termini, ciò che la legge intende colpire è l’illecita accumulazione patrimoniale (in terminis Cass.
11049/2001 Rv. 226052) ossia l’acquisto di beni al di
fuori della propria lecita capacità reddituale nel momento dell’acquisto, capacità che va commisurata alla legittima capacità di spesa (risparmi; disinvestimenti; debiti legittimamente contratti) che il soggetto ha in quel determinato momento.
Ciò è quanto si desume, peraltro, dalla stessa sentenza delle SSUU Montella: nella fattispecie, si trattava
di un’evidente sproporzione del complesso dei beni di
cui l’indagato disponeva e del loro valore (L.
3.946.403.915 per gli anni 1995-2000) con i redditi
dichiarati e le attività economiche svolte (attività di
manovale e, in modo non continuativo, di procacciatore di affari per le quali risulta un guadagno di L.
176.833.000 negli anni 1995-2000) nei momenti degli acquisti. A fronte di tale dato, l’indagato aveva
sostenuto che, nel dicembre 1994 (quindi, ben prima
dell’acquisto dei beni sequestrati), disponeva di un
monte di titoli per circa 5 miliardi di lire. Al che le
SSUU replicarono che l’indagato “non solo non ha
dato indicazione, secondo quanto si è finora osservato, di circostanze idonee a fornire una giustificazione
credibile della sproporzione tra i suoi beni e i suoi
guadagni leciti, ma anzi, attraverso l’ammissione e la
mancata giustificazione di disponibilità per 5 miliardi
di lire, ha aggravato lo squilibrio rilevato all’atto del
sequestro”: il che è come dire che l’indagato ben
avrebbe potuto dimostrare la legittima provenienza
del denaro anche al di fuori dello stretto ambito temporale del reddito dichiarato nell’anno di acquisto
degli immobili, allegazione e prova, però, fallita, proprio perché anche quella cospicua somma (facente
parte del suo patrimonio da tempo antecedente all’acquisto dei beni sequestrati) non trovava alcuna
giustificazione nella sua capacità reddituale.
Ed ancora, il suddetto principio trova un puntuale riscontro nelle singole fattispecie che si leggono nelle
varie sentenze che si sono occupate della problematica
del concetto di “sproporzione”; e così, ma solo a titolo
esemplificativo e non certo esau stivo : Cass.
47567/2013 Rv. 258030; Cass. 5452/2010 la quale an-
3757
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Reati tributari
nullò l’ordinanza impugnata perché il Tribunale del
Riesame “non aveva neppure preso in considerazione,
anche solo per confutarle, le allegazioni prodotte dalla
difesa tendenti a dimostrare la provenienza lecita di
alcuni beni e l’epoca degli acquisti”, ossia allegazioni
che non avevano nulla a che vedere con la prova derivante dal reddito prodotto nell’anno di acquisto dei
singoli beni; Cass. 11049/2001 cit. che, espressamente,
scrive che, al fine di provare la legittima provenienza
dei beni confiscati occorre dar conto della “provenienza dei mezzi impiegati per l’acquisizione dei beni medesimi sproporzionati rispetto alle proprie possibilità
economiche, occorrendo fornire un’esauriente spiegazione che dimostri la loro derivazione da legittime disponibilità finanziarie”: quindi, possibilità economica e
disponibilità finanziaria che sono concetti non legati
al singolo reddito percepito nell’anno d’acquisto del
bene confiscato; Cass. 25728/2008 riv. 240471 che,
nel precisare che, ‘per testuale previsione del D.L. n.
306 del 1992, art. 12-sexies, è soggetto a confisca o sequestro quando non può giustificare la provenienza
delle disponibilità economiche non confacenti alle sue
condizioni’ respinse il ricorso perché non era stato assolto “l’onere di produrre la documentazione bancaria
(nella sua piena disponibilità) a sostegno della tesi difensiva dell’autofinanziamento mediante pagamenti
differiti ai fornitori”:
quindi, un fatto che nulla ha a che vedere con il reddito percepito nell’anno di acquisto del bene confiscato.
In conclusione, e riassumendo sulla distribuzione dell’onere probatorio:
a) incombe all’accusa la prova della sproporzione del
bene rispetto alla capacità reddituale (lecita) del soggetto nel momento in cui quel determinato bene entrò nel patrimonio dell’indagato;
b) una volta provata la mancanza di proporzione, in
ragione del titolo del reato, scatta una presunzione
(iuris tantum) di illecita accumulazione patrimoniale,
che può essere superata, dall’interessato sulla base di
specifiche e verificate allegazioni dalle quali si possa
desumere la legittima provenienza del bene sequestrato in quanto acquistato con proventi proporzionati
alla capacità reddituale lecita e, quindi, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato.
Alla stregua di quanto si è illustrato, si può pertanto,
enunciare il seguente principio di diritto: “il concetto
di sproporzione di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12sexies, in quanto implica un incongruo squilibrio tra
guadagni (desumibili dal reddito dichiarato ai fini delle imposte) e patrimonio, consente all’interessato di
allegare e/o provare, sulla base di specifiche e verifica-
3758
Cass., Sez. II pen., 10 luglio 2015, n. 29553
te allegazioni, la legittima provenienza del bene sequestrato in quanto acquistato con proventi proporzionati
alla propria capacità reddituale lecita e, quindi, anche
attingendo al patrimonio legittimamente accumulato”.
2. Chiarito, in punto di diritto, il concetto di “sproporzione” e la modalità di distribuzione dell’onere
probatorio, non resta che verificare se il Tribunale si
sia attenuto ai suddetti principi.
In proposito, va osservato che il Tribunale ha preso
in considerazione le argomentazioni del ricorrente,
ma le ha disattese, in punto di fatto, adducendo la seguente testuale motivazione.
Quanto ai saldi attivi, il Tribunale così conclude:
“manca agli atti un prospetto che quantomeno dica,
anno per anno, se vi sia ed a quanto ammonti una
differenza positiva tra saldo iniziale e saldo finale del
conto corrente, sì da potersi affermare che, quell’anno, vi sia stato un determinato accumulo di liquidità.
Se si chiede di valutare il carattere incongruo o sproporzionato dell’accumulo del denaro sui conti bancari
rispetto alla coeva capacità di reddito, è chiaro che
manchino gli elementi necessari a definire il primo
dei due termini del paragone, in quanto non è dato
sapere se le somme oggi presenti sui conti già lo fossero in tutto o in parte prima del 2005 o se, in ipotesi, siano state depositate in uno degli anni in cui non
vi è stata incongruità o, ancora, se ad impinguare le
giacenze attuali abbiano contribuito versamenti effettuati dopo il 2012. Né la lacuna è colmata dai dati e
dagli argomenti che il Pubblico ministero raccoglie
nella memoria depositata il 14.1.2015, laddove, nel
controdedurre alle osservazioni del F. circa la provenienza della provvista dei propri conti correnti, pone
in risalto i cospicui e pressoché continui apporti di
denaro contante, non tracciabile; si tratta di una precisazione parziale che non risolve il problema, posto
che i conferimenti in denaro possono aver trovato
compensazione nei prelievi e comunque nelle disposizioni in uscita oppure in precedenti passività, ed in
tal senso proprio le vicende del conto corrente presso
la CR di Volterra, richiamate nella memoria del
p.m., paiono esemplificative, dal momento che a
fronte di versamenti per complessivi 357.565,00 euro
tra il 2005 ed il 2012 risulta, al momento del sequestro, un saldo attivo di soli 22.913,55 euro. Del resto
- e non a caso - nel computare le entrate e le uscite
del nucleo familiare, la G.d.F. ha del tutto pretermesso la considerazione delle giacenze su conto corrente,
che i prospetti sintetici non aggregano né alle fonti
né agli impieghi, di fatto estromettendo quel dato dal
calcolo della incongruità. È dunque evidente che, in
assenza della necessaria verifica in ordine ai tempi ed
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Reati tributari
Cass., Sez. II pen., 10 luglio 2015, n. 29553
alle modalità con cui sono stati alimentati i conti
correnti intestati all’indagato ed alla coniuge, affermare oggi la sproporzione dei relativi saldi rispetto ai
redditi prodotti tra il 2005 ed il 2012 (i soli di cui si
abbia riscontro) significherebbe compiere una valutazione sintetica e sommaria, disancorata dalle reali dinamiche patrimoniali e, in definitiva, distante dai
criteri dettati dalla giurisprudenza di legittimità per
l’applicazione dell’art. 12-sexies”.
Quanto, infine, ai dossier titoli, il Tribunale conclude
affermando “nel dar sintesi degli accertamenti compiuti, l’informativa in atti non identifica quali siano i
titoli acquistati nel periodo suddetto, esponendo soltanto il loro valore complessivo e la banca presso la
quale sono stati negoziati: sappiamo, dunque, che nel
2007 F. ha comprato titoli per 68.313,00 presso la
CR di Volterra e nel 2008 ne ha acquisiti per
408.706,81, di cui 276.417,77 presso la CR di Volterra e 132.289,04 presso il Monte Paschi di Siena.
Questi ultimi, ossia i titoli acquistati presso Monte
Paschi, non sono oggetto di sequestro e, per quanto
consta, non fanno più parte del patrimonio mobiliare
dell’indagato. Quanto ai titoli in deposito presso la
CR di Volterra, filiale di (omissis), l’indicazione del
valore nominale degli investimenti effettuati tra il
2007 ed il 2008 non basta a restituire la certezza che
proprio allora siano stati acquistati i titoli oggi presenti nel dossier, il cui valore (207 mila euro circa) è
divenuto sensibilmente inferiore. La documentazione
prodotta dalla difesa ricorrente (v. allegati raccolti
sub n. 2 alla memoria depositata il 13.1.2015) colloca
nell’anno 2011 la gran parte degli acquisti dei titoli
attualmente giacenti nel diversificato paniere dell’indagato, rafforzando l’ipotesi che lo stesso sia stato oggetto di varie vicende negoziali. Poiché il sequestro
ex art. 12-sexies nel caso dei titoli, non può riguardare il tantundem ma deve colpire con esattezza i valori
mobiliari (facilmente identificabili) acquisiti al patrimonio dell’indagato negli anni in cui i suoi redditi
non erano capienti, pare evidente che gli elementi
allegati dall’accusa non siano sufficienti a giustificare
la misura e che, sul punto, occorrano ulteriori sforzi
investigativi. Vanno parimenti dissequestrati i titoli
conservati presso la Banca Popolare di Lajatico, che
non figurano tra gli investimenti effettuati nel 2007
e nel 2008 e nemmeno negli altri anni oggetto di indagine patrimoniale, il che, peraltro, avvalora le deduzioni del F. circa il loro acquisto risalente addirittura all’anno 1996 (v. memoria a firma F.M., sub 5, e
documentazione allegata). Infine, la ricorrente Z. ha
offerto dimostrazione allo stato convincente circa l’origine della provvista impiegata per l’acquisto del
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buono postale fruttifero da 5.000,00 euro, cointestato
alla madre S.A. ed emesso nell’anno 2008, producendo documentazione dalla quale risulta che altrettanti
buoni di eguale importo sono stati acquistati dalla S.
in uno con gli altri suoi figli: è, dunque, verosimile
che, come sostenuto dalla Z., si tratti di titolo acquistato con denari della madre e cointestato alla figlia
a titolo di liberalità”.
Quindi, il Tribunale, alla fin fine, è giunto alla conclusione che il Pubblico ministero non era riuscito a
ricostruire, esattamente, relativamente al denaro ed
ai dossier titoli, quale fosse la situazione patrimoniale
del F. nel momento in cui il denaro era stato accreditato sui c/c o i titoli erano stati acquistati: dal che
conseguiva, ovviamente, l’impossibilità di stabilire
che quei beni sequestrati fossero “sproporzionati” rispetto al patrimonio.
Il Pubblico ministero, ha tentato di rimediare, ricorrendo al metodo di cui si è detto (c.d. della “congruità progressiva”) che, però, è stato correttamente stigmatizzato dal Tribunale (supra in parte narrativa, 1),
essendo basato su una sorta di bilancio pluriennale
nonché su astratte presunzioni prive di alcun riscontro: il che, di fatto, si pone agli antitesi del principio
di diritto delle SSUU. La motivazione addotta dal
Tribunale, pertanto, non si presta ad alcuna censura,
tanto più ove si consideri che la motivazione, con il
ricorso per cassazione, può essere censurata solo sotto
il profilo della motivazione omessa o apparente.
Sul punto, infine, va anche osservato che il ricorrente, al di là di insistere sulla correttezza del metodo da
lui proposto, nulla ha obiettato avverso la motivazione con la quale il Tribunale, in punto di fatto, come
si è detto, ha rilevato che era impossibile stabilire sia
se gli accrediti fossero o meno sproporzionati sia quali
titoli fossero stati acquistati nel periodo considerato.
È questo, al di là di ogni considerazione sul metodo
seguito, il punto centrale della motivazione dal quale
non si può decampare in quanto da esso si desume
che, alla fin fine, il Tribunale ha accolto il ricorso
del F., perché la pubblica accusa non era riuscita ad
assolvere l’onere probatorio su di essa gravante e cioè
dare la prova della sproporzione fra capacità reddituale del F. e la disponibilità, in capo all’indagato, delle
somme di denaro e dei titoli, in un determinato periodo di tempo: tanto basta per ritenere, allo stato degli atti, infondato il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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Accertamento
Si fa presto a dire
“diritto al contraddittorio”
di Philip Laroma Jezzi (*)
Il contraddittorio preventivo all’emissione dell’atto suscettivo di produrre conseguenze pregiudizievoli per il contribuente gioca un ruolo cruciale nell’equilibrio tra esigenze dell’accertamento
tributario e tutela del diritto di difesa del soggetto destinatario, sul quale sono ormai da tempo
impegnate sia la Corte di Giustizia che la nostra Corte di cassazione. Il dibattito sembra essersi
fin qui concentrato prevalentemente sul profilo delle conseguenze della mancata attivazione
del contraddittorio (nullità dell’atto impositivo) e meno sulla sua reale funzione. Se, però, si
vuole evitare di confinare il respiro del ragionamento alla ricerca dell’ennesimo congegno di tattica contenziosa per far invalidare gli atti, magari per altro verso fondatissimi, dell’Amministrazione finanziaria, occorre interrogarsi sulla effettiva utilità del contraddittorio o, meglio, delle
conseguenze della sua effettiva attivazione.
Si sa che la ricerca del punto di equilibrio tra
(esigenze dell’)accertamento tributario e (tutela del) diritto di difesa del suo destinatario è
assai difficile; ed è indubbio che il contraddittorio preventivo all’emissione dell’atto suscettivo di produrre conseguenze pregiudizievoli
per il contribuente giochi un ruolo cruciale in
questo esercizio, sul quale d’altra parte sono ormai da tempo impegnate sia la Corte di Giustizia che la nostra Corte di cassazione (per non
parlare della migliore dottrina) (1).
Diritto al contraddittorio: sì ma quando?
Cominciamo con il dire che la Corte di Giustizia - con una sentenza di portata storica - ha
sì dato atto che quello ad “essere sentito” precedentemente all’adozione di provvedimenti
idonei a incidere sulla sua sfera patrimoniale
e/o personale è da annoverarsi fra i diritti fondamentale UE (2); ma essa ha anche già avuto
modo di operare degli importanti distinguo in
relazione alle situazioni nelle quali tale diritto,
invece, non opera. Mi riferisco, ad esempio, al
tema dello scambio d’informazioni, rispetto al
(*) Professore aggregato di diritto tributario presso l’Università
degli studi di Firenze e Avvocato in Firenze, MA tax - Institute of
Advanced Legal Studies
(1) Una lettura che mi sento davvero di raccomandare, anche per i rimandi ivi contenuti, è C. Scalinci, “Lo Statuto e
l’‘auretta’ dei princìpi che … incomincia a sussurrar: il contraddittorio preventivo per una tutela effettiva e un giusto procedi-
3760
quale la Corte di Giustizia (3) ha recentemente
affrontato il problema se, in base al diritto dell’Unione, “la decisione di un’autorità competente di uno Stato membro di chiedere l’assistenza di un’autorità competente di un altro
Stato membro [ai sensi della Direttiva
77/799/CEE relativa alla reciproca assistenza
fra le autorità competenti degli Stati Membri
nel settore delle imposte dirette, N.d.R.] e la
decisione di quest’ultima di procedere a un’audizione di testimoni al fine di rispondere a tale
richiesta costituiscano atti che, a causa delle
loro conseguenze per il contribuente, esigono
che quest’ultimo sia sentito” (4).
La Corte, preso atto che la Direttiva non contempla un diritto d’informativa, si è quindi domandata se esso non possa desumersi dall’art.
41 della Carta dei diritti UE e, al riguardo, ha
puntualizzato che, nell’ambito dei procedimenti di controllo fiscale, occorre tenere distinta
(a) la fase d’indagine, nel corso della quale
vengono raccolte le informazioni e che comprende la richiesta d’informazioni da parte di
un’Amministrazione fiscale ad un’altra - in semento partecipato”, in Riv. dir. trib., n. 7-8, I, 2014, pag. 883.
(2) Sopropé - Organizações de Calçado Lda contro Fazenda
Pública, causa C-349/07.
(3) Jiří Sabou contro Finanční ředitelství pro hlavní město
Prahu, causa C-276/12.
(4) Id., par. 39.
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Accertamento
dozione della decisione alno alla quale non opera il
LA GIURISPRUDENZA
la fine del procedimento
diritto al contraddittorio
Contraddittorio
e
accertamenti
“a
tavolino”
amministrativo” (9).
-, dalla (b) fase “contradIn sostanza, garantire il didittoria” (5) tra l’Ammini- La Corte di cassazione, in una recente
ordinanza di rimessione alle SS.UU dedicata
ritto di difesa del contristrazione fiscale e il conall’intreccio tra contraddittorio e
tribuente cui essa si rivol- accertamenti “a tavolino”, ha affermato che: buente all’interno della
procedura di scambio di
ge, la quale inizia con l’in- - il processo tributario si caratterizza per
informazioni non giustifivio alla parte privata di l’assenza di una fase istruttoria o di
ca il rischio di comprouna proposta di rettifica - raccolta delle prove da parte di un giudice
missione dell’efficiente
ove, invece, tale diritto terzo;
- l’istruttoria fiscale è opera
svolgimento della stessa,
opera appieno (6).
atteso che detto diritto
L’appartenenza della ri- dell’Amministrazione finanziaria che, ad
esempio,
raccoglie
da
persone
informate
dei
può essere sfogato succeschiesta (e della acquisiziosivamente.
ne) di informazioni - così fatti dichiarazioni dotate di valore
meramente indiziario che, tuttavia,
Tutto vero, ma c’è un pecome della risposta delspessissimo determinano l’esito del giudizio;
rò.
l’Amministrazione desti- - la distinzione fra indizio e prova tende,
Intanto, è lo stesso Avvonataria della richiesta dunque, a sfumare, divenendo quasi
stessa e dell’eventuale au- impercettibile in un processo il cui esito può cato Generale ad ammettere che “le indagini effetdizione di testimoni (7) - essere determinato da canoni di giudizio di
tuate dallo Stato membro
a l l a f a s e p r e c e d e n t e a carattere probabilistico e non occorre il
richiesto, tuttavia, possoquella dell’emissione di superamento di “ogni ragionevole dubbio”.
no fornire prove che inun avviso di accertamento
esclude, pertanto, che tali attività debbano es- fluenzano de facto la determinazione dell’imposere, secondo la Corte di Giustizia, rese note al sta nazionale sul reddito, confermando o concontribuente e/o che questi abbia diritto di futando i dati forniti dal soggetto passivo. Sotto questo profilo, la decisione circa una richiepartecipare alla loro esecuzione.
Ho recentemente avuto l’opportunità di parla- sta informazioni ai sensi dell’articolo 2 della
re di questo argomento (8) ad un auditorio di Direttiva 77/799 può produrre indirettamente
colleghi non-italiani e mi è parso che tutti an- effetti giuridici per il soggetto passivo e, a quenuissero in segno di approvazione alla soluzio- sto riguardo, rivelarsi lesiva. Inoltre essa può
ne individuata dalla Corte; ed anche a me, in essere lesiva anche di fatto per il soggetto paseffetti, sembrava - all’atto di esporla - che la sivo, ad esempio quando in base alle indagini
la sua reputazione viene macchiata presso le
soluzione in questione fosse ragionevole.
Come osservato dall’Avvocato Generale Ko- persone cui è rivolta la richiesta” (10); ma non
kott,“qualora un interessato avesse il diritto di è tanto - o non solo - questo a preoccupare,
essere ascoltato prima di ogni singolo atto quanto la circostanza, evidenziata con impaistruttorio di un’autorità amministrativa, l’one- reggiabile lucidità dalla Corte di cassaziore collegato a questo atto costituirebbe piutto- ne (11) in una recente ordinanza di rimessione
sto un ostacolo alla preparazione di una deci- alle SS.UU. dedicata all’intreccio tra contradsione fondata senza alcun significativo incre- dittorio e accertamenti “a tavolino”, che:
mento della tutela dell’interessato. Questa tu- i) il processo tributario si caratterizza per “l’astela di regola è sufficientemente garantita dal senza di una fase istruttoria o di raccolta delle
fatto che l’interessato è ascoltato prima dell’a- prove da parte di un giudice terzo”;
(5) Il testo in inglese indica questa fase come contentious
stage: ci si vuole dunque riferire alla fase che inizia a partire
dal momento in cui l’Amministrazione decide di muovere una
contestazione al contribuente.
(6) Sabou, par. 40.
(7) Id., par. 43.
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(8) http://www.law.qmul.ac.uk/events/items/123251.html.
(9) Conclusioni dell’Avvocato generale Julianne Kokott nel
caso Sabou, par. 57.
(10) Conclusioni dell’Avvocato generale Julianne Kokott nel
caso Sabou, par. 53.
(11) Ordinanza n. 527 del 14 gennaio 2015.
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Accertamento
ii) l’istruttoria fiscale “è opera della Amministrazione che, ad esempio, raccoglie da persone
informate dei fatti dichiarazioni dotate di valore meramente indiziario (12) che, tuttavia,
spessissimo determinano l’esito del giudizio”;
iii) la distinzione “fra indizio e prova tende,
dunque, a sfumare, divenendo quasi impercettibile in un processo il cui esito può essere determinato da canoni di giudizio di carattere
probabilistico (si pensi al largo ricorso al criterio dell’id quod plerumque accidit) e non occorre
il superamento di ‘ogni ragionevole dubbio’”.
D’onde la considerazione di fondo che il contraddittorio procedimentale, “in quanto teso a
consentire al contribuente di far sentire la propria voce in quella fase amministrativa nella
quale si forma una parte importante del materiale probatorio sul quale, nel caso di impugnazione dell’atto, si baserà il convincimento del
giudice, può ritenersi funzionale anche alla tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantito”.
Ecco che in questa luce - indubbiamente distorta dalle carenze del processo tributario italiano - mi viene da dubitare della (a tacer d’altro) opportunità di tagliare completamente
fuori la parte privata dal processo di acquisizione delle informazioni riguardanti il rapporto
d’imposta (sia esso domestico o transnazionale
delle informazioni) (13).
In sostanza, è ben vero che “occorre distinguere, nell’ambito dei procedimenti di controllo
fiscale, la fase d’indagine nel corso della quale
vengono raccolte le informazioni e che comprende la richiesta d’informazioni da parte di
un’amministrazione fiscale ad un’altra, dalla fase contraddittoria, tra l’amministrazione fiscale
e il contribuente cui essa si rivolge, la quale
inizia con l’invio a quest’ultimo di una proposta di rettifica” (14), ma chiunque abbia un po’
di esperienza di accertamenti tributari sa benissimo che l’intercapedine tra fase propriamente
istruttoria e quella della “proposta di rettifica”
è sottilissimo, se non addirittura inesistente.
Basti pensare che il processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza o dell’Agenzia
delle entrate, pur appartenendo alla fase istruttoria del procedimento, non solo è suscettivo
di per sé di produrre conseguenze assai gravi
(in termini, ad esempio, di misure cautelari e/o
avvio di procedimenti penali), ma normalmente espone già quello che sarà il successivo accertamento ed ha la indiscutibile capacità di
pregiudicarne (nel senso di prae-iudicare) in
maniera notevole l’esito.
Pensiamo proprio al caso Sabou, riguardante la
utilizzabilità delle informazioni (richieste dalle
e) trasmesse alle autorità fiscali richiedenti ceche e aventi a oggetto dichiarazioni di terzi rese alle rispettive autorità fiscali degli Stati richiesti. Certo, qualcuno osserverà che le “dichiarazioni di terzi” recepite in un processo
verbale di constatazione hanno mera valenza
indiziaria in sede contenziosa; ma si può seriamente affermare che sia davvero questa la realtà applicativa delle aule di giustizia tributaria
delle Province e Regioni italiane? Come potrebbe il contribuente difendersi quando le dichiarazioni di terzi (peraltro rese in un altro
Stato) sono state raccolte a fronte di domande
formulate da una sola delle parti in causa?
Come dice la Corte di cassazione nell’ordinanza n. 527 del 14 gennaio 2015 sopra citata, la
distinzione “fra indizio e prova tende, dunque,
a sfumare, divenendo quasi impercettibile in
un processo il cui esito può essere determinato
da canoni di giudizio di carattere probabilistico”.
Se questo è vero, non vedo - avuto riguardo alla generalità dei casi - motivi validi per non ritenere parte integrante del diritto di difesa del
contribuente - nella sua accezione “sopropéniana” - la facoltà di questi di partecipare alla fase
di raccolta delle informazioni, consentendogli,
specie quando si tratta di elementi di prova sostanzialmente non ripetibili come le dichiarazioni di terzi, di essere sentito in contraddittorio con gli organi verificatori.
(12) Tra le tante, Cass. n. 8369 del 2013.
(13) Si noti che la dicotomia istruttoria/accertamento indicata dalla Corte di Giustizia in Sabou - per distinguere le situazioni nelle quali vi è diritto ad essere sentiti da quelle nelle qua-
li esso non vi è - è stata recepita dalla giurisprudenza di legittimità, come si può vedere dal contenuto della stessa, più volte
citata, ordinanza n. 527 del 2015.
(14) Sabou, par. 40.
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della dottrina, della giuriParliamoci chiaro: proLA GIURISPRUDENZA
sprudenza di merito e, da
muovere il contraddittorio
Distinzione
tra
indizio
e
prova
ultimo, anche di legittimiquando la prova - o qualSe
è
vero,
come
dice
la
Corte
di
cassazione,
tà sulla scorta delle indiche suo surrogato - si è già
formata equivale a co- che la distinzione fra indizio e prova tende a cazioni impartite dalla
sfumare, non si vedono, avuto riguardo alla
Corte di Giustizia) invalistringere il contribuente a generalità dei casi, motivi validi per non
trovare “altre” prove a suo ritenere parte integrante del diritto di difesa dità dell’atto emesso in
violazione del diritto (di
discarico; il che, non solo del contribuente la facoltà di questi di
difesa) in questione sia il
non è spesso proprio pos- partecipare alla fase di raccolta delle
miglior viatico per assicusibile, ma priva il contrad- informazioni, consentendogli, specie
quando
si
tratta
di
elementi
di
prova
rare che quest’ultimo, vidittorio stesso della sua
ceversa, sia scrupolosaastratta attitudine a con- sostanzialmente non ripetibili come le
dichiarazioni
di
terzi,
di
essere
sentito
in
mente rispettato dagli orsentire la verifica di “quelcontraddittorio con gli organi verificatori.
gani accertatori. Anche se
la” specifica prova utilizza- va pure detto -, sembra
ta dall’autorità procedente. Mi auguro, pertanto, che il punto di equili- che il recepimento della giurisprudenza di fonbrio individuato dalla Corte di Giustizia possa te europea sia stato un po’ troppo entusiastico
essere ulteriormente aggiustato, così come d’al- visto che si è obliterata la distinzione, che la
tra parte auspicato dall’Avvocato Generale Corte di Giustizia invece traccia (17), tra quelKokott (15), distinguendo caso per caso tra atti le situazioni nelle quali il contraddittorio non
istruttori che richiedono l’attivazione del con- attivato avrebbe potuto in astratto, ove debitatraddittorio endoprocedimentale e quelli che, mente attivato, condurre a una decisione diinvece, possono essere compiuti senza la parte- versa - le quali dunque sono meritevoli di annullamento -, da quelle nelle quali esso sarebbe
cipazione della parte privata.
stato comunque ininfluente - e che, pertanto,
Il contraddittorio da solo non basta:
non sono inficiate dal vizio in esame.
l’importanza di motivare le ragioni
Se, però, si vuole evitare di confinare il respiro
del suo esito (negativo)
del ragionamento alla ricerca dell’ennesimo
Il dibattito sembra essersi fin qui concentrato congegno di tattica contenziosa (quando non
prevalentemente sul profilo delle conseguenze meramente dilatoria e/o strumentale) per far
della mancata attivazione del contraddittorio invalidare gli atti - magari per altro verso fon(nullità dell’atto impositivo), e meno sulla sua datissimi - dell’Amministrazione finanziaria,
reale funzione.
dobbiamo interrogarci sulla effettiva utilità del
Certo, sarebbe ozioso affermare che è contrario contraddittorio in questione o, meglio, delle
al diritto di difesa formulare pretese impositive conseguenze della sua effettiva attivazione.
e sanzionatorie prima di aver ascoltato la ver- È lecito, infatti, nutrire un dubbio: che l’Amsione del loro destinatario, se poi non si indivi- ministrazione finanziaria - accortasi finalmente
duano le conseguenze pregiudizievoli alle quali che, se non vuole lavorare a vuoto, deve nedeve andare incontro l’Amministrazione finan- cessariamente sentire il contribuente prima di
ziaria quando essa “si dimentichi” di assolvere emettere un atto idoneo a incidere sulla sfera
a siffatto onere (16); ed è da questo punto di sua giuridico-patrimoniale - assolva sì a tale
vista indubbio che la predicata (da larga parte onere in via generalizzata, ma con modalità ta(15) Conclusioni nel caso Sabou, par. 58.
(16) Mi ricordo che il prof. Pasquale Russo - a proposito
della tesi allora imperante secondo la quale il mancato rispetto
dei 60 gg. indicati all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente fosse privo di conseguenze dal punto di vista della legittimità dell’avviso di accertamento così emesso - sosteneva
colloquialmente (ma non meno esattamente) che, così facen-
Corriere Tributario 36/2015
do, al termine in questione si finiva per riconoscere una mera
valenza “canzonatoria”.
(17) Come peraltro rileva la stessa Corte di cassazione nella
citata ordinanza n. 527 del 2015, richiamando la sentenza il
par. 78 della sentenza Kamino International Logistics BV, causa
C-129/13.
3763
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Accertamento
L’importanza di questo
li da privare il meccaniIL PROBLEMA E LA SOLUZIONE
smo del suo significato
profilo si comprende ageRischio
che
il
contraddittorio
profondo. Il reale rischio,
volmente non appena si
si
traduca
in
adempimento
burocratico
in altre parole, è che il
abbandoni l’idea che vede
tanto decantato contrad- - Il contraddittorio rischia di esaurirsi in un
nel contraddittorio endoinutile profluvio di formule di stile e in una
dittorio si esaurisca in un crescita della mole spropositata di
procedimentale solo l’oginutile profluvio di formu- contenzioso gravante sui giudici tributari. Ci getto di un “diritto del
le di stile sotto le quali si si chiede come evitare che esso si traduca
contribuente” o di un “obcela il consueto dialogo in un ennesimo adempimento burocratico
bligo dell’Amministraziotra sordi - tipicamente co- privo di reale utilità.
ne finanziaria”; quando,
ronato dalla frase: “Caro - La risposta sta, non tanto nella nullità
in verità, sarebbe più apcontribuente, faccia pure dell’atto impositivo emesso in spregio al
propriato intenderlo come
ricorso in Commissione!” “diritto di essere sentiti”, quanto nel
un momento o luogo giurafforzamento motivazionale che dovrebbe
- con annessa, inevitabile,
ridico di “responsabilità”
necessariamente/obbligatoriamente
crescita della mole spro- accompagnarsi alla celebrazione del
di entrambe le parti, nel
positata di contenzioso contraddittorio. L’importanza di questo
quale è ancora possibile
gravante sui giudici tribu- profilo si comprende non appena si
evitare di assumere attegtari.
abbandoni l’idea che vede nel
giamenti di difesa a olLa mia domanda, in so- contraddittorio endoprocedimentale solo
tranza delle posizioni di
stanza, è la seguente: nel l’oggetto di un “diritto del contribuente” o di
partenza.
formalistico gioco delle un “obbligo dell’Amministrazione
Non è un mistero c he
parti nel quale troppo finanziaria”; quando, in verità, sarebbe più
tanto più l’Amministraappropriato intenderlo come un momento o
spesso si esaurisce il rapluogo giuridico di “responsabilità” di
zione finanziaria vada
porto Fisco-contribuente entrambe le parti, nel quale è ancora
avanti nell’emissione di
in Italia, che cosa può possibile evitare di assumere atteggiamenti
atti preparatori e quindi
realisticamente aggiungere di difesa a oltranza delle posizioni di
impositivi e/o di contestaun incontro forzoso tra i partenza.
zione, tanto maggiore è
due laddove non vi sia un
poi la sua difficoltà a fare
concreto/sostanziale interesse a evitare la deriva processuale? Ovvero, come possiamo fare “marcia indietro” nel momento nel quale deve
tesoro di questa importante acquisizione ed eventualmente “ripensare” il proprio operato
evitare che essa si traduca in un ennesimo alla luce delle deduzioni difensive del contriadempimento burocratico privo di reale utilità? buente. Che sia la paura di dover rendere conLa risposta, credo, stia - non tanto, o non solo, to del proprio operato a posteriori all’audit innell’affermata nullità dell’atto impositivo terno oppure l’imbarazzo e/o la pigrizia di toremesso in spregio al “diritto di essere senti- nare sul lavoro già fatto magari da altri colleti” (18), quanto - nel rafforzamento motivazio- ghi, non c’è dubbio che la facilità di mettere
nale che dovrebbe necessariamente/obbligato- criticamente - e proficuamente - in discussione
riamente accompagnarsi alla celebrazione del le conclusioni raggiunte inaudita altera parte è
inversamente proporzionale alla quantità di
contraddittorio (19).
(18) Come si è appena detto nel testo, arriveremo a un momento nel quale le Direzioni provinciali instaureranno automaticamente il contraddittorio e il problema dell’invalidità degli
atti emessi prescindendo dalla sua attivazione diverrà del tutto
secondario.
(19) In effetti, la Corte di cassazione ha preso proprio questa posizione: “la motivazione dell’atto di accertamento non
può esaurirsi nel mero rilievo del predetto scostamento dai parametri ma deve essere integrata con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in
3764
sede di contraddittorio” (Cass., SS.UU., n. 26635 del 2009).
Inoltre, nella recente sentenza n. 406 del 2015, la Corte di cassazione ha precisato che “l’Ufficio (…) è tenuto a richiedere
preventivamente chiarimenti al contribuente e ad osservare il
termine dilatorio di gg. 60, prima di emettere l’atto accertativo
che dovrà essere specificamente motivato anche in ordine alle
osservazioni, chiarimenti, giustificazioni, eventualmente fornite
dal contribuente: risultando inficiato dal vizio di nullità l’atto
impositivo emesso in difformità da detto modello procedimentale”.
Corriere Tributario 36/2015
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Accertamento
ragioni prima di trovarsi
“carta” prodotta dall’AOSSERVAZIONI CRITICHE
nella asimmetrica posiziogenzia delle entrate rispetContraddittorio
come
diritto-dovere
ne prodotta dalla circoto alla specifica vicenda
Più
che
di
un
“diritto”
del
contribuente
al
stanza che il suo (possibiaccertativa.
contraddittorio, sarebbe corretto parlare di
le) creditore erariale gli
Ecco che, in questa luce,
un suo “diritto-dovere” al riguardo. In
ha già notificato un titolo
il primo che dovrebbe es- particolare, si dovrebbe parlare di:
esecutivo confezionato in
sere in effetti interessato a - “diritto”, in quanto costui deve poter
via unilaterale (id est: seninstaurare un contraddit- essere messo nella condizione di spiegare
za l’intervento di un giutorio preventivo con il le proprie ragioni prima di trovarsi nella
dice terzo);
contribuente è proprio il asimmetrica posizione prodotta dalla
circostanza
che
il
suo
creditore
erariale
gli
ii) “dovere”, in quanto coFisco (20). Complice, forstui - essendo tenuto a inse, l’articolazione interna ha già notificato un titolo esecutivo
confezionato
in
via
unilaterale
(senza
formare la propria condotdelle Direzioni provinciali
l’intervento di un giudice terzo);
ta a criteri di lealtà, cor- che vedono la gestione
- “dovere”, in quanto costui - essendo
rettezza e trasparenza degli accertamenti e del tenuto a informare la propria condotta a
non dovrebbe essere mescontezioso affidate a Uffi- criteri di lealtà, correttezza e trasparenza so nella condizione di “rici diversi (rispettivamente non dovrebbe essere messo nella
servarsi” di esporre le prol’Ufficio controlli e l’Uffi- condizione di “riservarsi” di esporre le
proprie
ragioni
quando
ormai
la
macchina
prie ragioni quando ormai
cio legale) -, non si comla macchina amministratiprende che “forzare” il amministrativa è partita ed è più difficile
arrestarla
onde
modificarne
la
direzione,
va è partita ed è più difficontribuente a esporre le
cile arrestarla onde modiproprie tesi difensive già sfruttando maliziosamente le inerzie
operative interne agli Uffici e/o la
ficarne la direzione, sfrutnella fase pre-contenziosa,
maturazione dei termini per l’accertamento.
tando maliziosamente le
non solo consente (ove
inerzie operative interne
tali tesi siano fondate) di
evitare l’emissione di atti impositivi infondati agli Uffici e/o la maturazione dei termini per
con risparmio di energie e fondi (21), ma an- l’accertamento.
che (ove invece tali tesi siano infondate) di Ora, ammesso vi sia consenso sull’utilità di
“blindare” maggiormente l’accertamento pren- una simile ricostruzione del problema, mi pare
dendo da subito posizione e contestando già in che l’unico strumento per realmente “indurre”
sede di motivazione l’eventuale strumentalità i due principali attori della vicenda impositiva
delle argomentazioni difensive.
a intendere il contraddittorio negli indicati
Non parliamo, allora, di un “diritto” del con- termini di un “banco di prova” delle rispettive
tribuente al contraddittorio, quanto di un suo posizioni sia quello, come già anticipato, di fa“diritto-dovere” al riguardo. In particolare, par- vorire/obbligare il travaso dei suoi esiti nella
liamo di:
motivazione dell’atto che ne decreti (in tutto
i) “diritto”, in quanto costui deve poter essere o in parte) il fallimento, ed ossia il relativo
messo nella condizione di spiegare le proprie verbale negativo e, soprattutto, dell’atto di ac(20) Dimostra questa consapevolezza la Nota del 14 ottobre
2009, prot. n. 142734 dell’Agenzia delle entrate, Direzione
Centrale Accertamento diffusa in relazione all’applicazione dell’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente: “Al diritto del
contribuente corrisponde l’obbligo per gli Uffici di valutare con
oculatezza gli elementi da questi offerti, procedendo, sulla base degli stessi, all’esame del processo verbale” e, continua:
“La norma in commento è finalizzata a garantire una serena e
costruttiva dialettica tra le parti nel rispetto dei principi di trasparenza, legittimità, equità e, conseguentemente, a perseguire anche l’ulteriore obiettivo di riduzione del possibile contenzioso, in quanto consente all’ufficio di attingere dalle argomentazioni ed eccezioni fornite dal contribuente eventuali ulteriori
Corriere Tributario 36/2015
elementi utili a rappresentare con il maggior grado di persuasione possibile la legittimità della pretesa impositiva”.
(21) È questa la principale esigenza che si ritiene venga
soddisfatta dal contraddittorio preventivo. Si può vedere, recentemente, Cass. n. 406 del 2015: “funzione (della norma)
che deve essere individuata nella duplice esigenza di garanzia
del contribuente (il quale deve essere posto in grado di partecipare al procedimento, formulando le proprie osservazioni e gli
opportuni chiarimenti) e di efficienza dell’azione amministrativa (evitando alla PA di formulare, inutilmente, rilievi e pretese
che attraverso la mera collaborazione del contribuente potrebbero risultare del tutto infondati)”.
3765
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Accertamento
certamento che ad esso faccia poi seguito: così
facendo, dovrebbe potersi ottenere una maggiore responsabilizzazione delle parti e più agevolmente evitarsi un’applicazione formalistica
e/o impropria (tipo “mercato delle vacche”)
dello strumento in questione.
Il diritto positivo offre significative indicazioni
sul punto, dimostrando che il legislatore è perfettamente consapevole del rapporto di complementarietà funzionale che lega il contraddittorio preventivo alla motivazione dell’atto
afflittivo successivo: innanzitutto va ricordato
il comma 2 dell’art. 3 della Legge n. 241/1990
laddove, affermando che “la motivazione deve
indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze
dell’istruttoria”, chiaramente si impone all’Amministrazione di dare conto - in quanto a
pieno titolo costituente una “risultanza dell’istruttoria” - anche degli esiti del contraddittorio che l’abbia caratterizzata; un altro esempio
si trovava nell’oggi abrogato art. 37-bis del
D.P.R. n. 600/1973 il quale, accanto all’obbligo di inviare una richiesta di chiarimenti preventiva (comma 4), stabiliva espressamente (al
comma 5) che “l’avviso di accertamento deve
essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal
contribuente”, obbligo che è stato adesso riproposto nella norma contenuta nell’art. 10-bis
dello Statuto dei diritti del contribuente in tema di “abuso del diritto o elusione fiscale”
(comma 8); similmente, l’art. 16 del D.Lgs. n.
472/1997, in tema di procedimento di irrogazione delle sanzioni, impone (al comma 7), anche qui a pena di nullità, che l’atto di irroga-
zione di sanzioni debba essere motivato anche
in relazione alle deduzioni presentate dal contribuente (in base al comma 3); a proposito
delle rettifiche operate ex art. 39, comma 1,
lett. d), del D.P.R. n. 600/1973 in base agli
studi di settore sono state, invece, le Sezioni
Unite (sentenza n. 26635/2009) a dare atto
che “la motivazione dell’atto di accertamento
non può esaurirsi nel mero rilievo del predetto
scostamento dai parametri ma deve essere integrata con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio” (22); da ultimo, ma non per ultimo, la Legge 11 marzo
2014, n. 23, di delega al Governo per la riforma fiscale, inserisce tra i princìpi e criteri direttivi della delega la “previsione di forme di
contraddittorio propedeutiche alla adozione
degli atti di accertamento dei tributi” [art. 1,
comma 1, lett. b)], nonché il rafforzamento del
“contraddittorio nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale” [art. 9, comma 1,
lett. b)].
È (troppo) utopistico sperare che la prospettiva
di una severa verifica in sede contenziosa del
comportamento tenuto dalle parti in sede procedimentale - verifica da operarsi attraverso la
lente della motivazione delle ragioni per le
quali il contribuente non è riuscito a persuadere i verificatori - possa agire come argine - per
entrambe le parti - al ricorso alla lite tributaria
da considerarsi finalmente, in linea con quanto
avviene in altri sistemi, come l’extrema ratio
nella composizione degli accertamenti tributari?
(22) Da questo punto di vista, non si possono non condividere le critiche mosse da C. Nocera, “Circolare n. 19/E del 14
aprile 2010 - Studi di settore. La ‘rilettura’ dell’Agenzia delle
entrate delle sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione”, in
il fisco, n. 17/2010, alla posizione adottata sull’argomento dall’Agenzia delle entrate, dove si afferma che la mancata indicazione delle ragioni per le quali sono stati disattesi i rilievi del
contribuente promossi in contraddittorio non configura una
carenza di motivazione dell’atto, a condizione che “tali ragioni
siano state comunque esplicitate in sede di contraddittorio e
riportate nel relativo verbale ovvero siano comunque desumibili dal medesimo verbale, consegnato al contribuente e quindi
da questo conosciuto”.
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Sanzioni
Il ravvedimento riformato
compromette la deterrenza
del sistema sanzionatorio tributario
di Fabrizio Cerioni (*)
L’estensione dall’ambito di applicabilità del ravvedimento operoso attuata dalla Legge di stabilità 2015 è volta ad incentivare la “tax compliance”, ovvero l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari da parte dei contribuenti, liberando risorse umane da destinare agli accertamenti
dei contribuenti che si avvalgono di modelli sistematici di evasione. Tuttavia, a tale estensione
fa da contraltare un sistema sanzionatorio tributario ancora caratterizzato da fattispecie di difficile intelligibilità anche per i tecnici del diritto, che sanzionano più volte comportamenti sostanzialmente omogenei, conducendo all’applicazione di sanzioni sproporzionate all’effettivo
disvalore della violazione realizzata, in contrasto con il principio di proporzionalità ribadito da ultimo dalla Corte di Giustizia nella sentenza Equoland.
L’ultima revisione dell’istituto del ravvedimento fiscale disciplinato dall’art. 13 del D.Lgs. 18
dicembre 1997, n. 472, attuato dalla Legge di
stabilità per il 2015 (1) ne ha ampliato l’ambito di applicabilità consentendo al contribuente
che non abbia adempiuto agli obblighi sostanziali e formali previsti dalle leggi d’imposta in
mancanza di atti di accertamento o di liquidazione notificati dall’Ufficio, di ravvedersi fino
al momento della constatazione delle violazioni da parte dell’Ufficio, con il pagamento delle
imposte o delle ritenute dovute con gli interessi, fruendo comunque di una rilevante riduzione della sanzioni tributarie anche dopo la constatazione degli illeciti da parte dagli organi accertatori.
I primi commentatori della novella hanno
quasi unanimemente sottolineato l’utilità
dell’istituto vòlto ad incentivare, secondo il
legislatore (2), l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari da parte dei contribuenti, ovvero, la tax compliance, secondo quella
moda per neologismi anglofoni tanto cari, oggi, a certi “twittanti” Ministri (che si illudono in tal modo di riformare in modo essenziale i procedimenti amministrativi), liberando
risorse umane da destinare ad altri compiti (3).
All’attento esegeta non potrà tuttavia sfuggire
come all’estensione dell’ambito di applicabilità
dell’istituto in discorso faccia da contraltare un
sistema sanzionatorio tributario ancora caratterizzato da fattispecie di difficile intelligibilità
anche per i tecnici del diritto (4), che sanzionano più volte comportamenti sostanzialmente
omogenei (5) e financo non riconducibili al
(*) Magistrato della Corte dei Conti, Dottore di ricerca in Diritto processuale tributario
(1) Art. 1, comma 637, lett. b), n. 2, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190.
(2) Art. 1, comma 634, della Legge n. 190/2014.
(3) In argomento F. Ricca, “Riforma del ravvedimento operoso per rafforzare la ‘compliance’“, in Corr. Trib., n. 43/2014,
pag. 3320 ss.; R. Cordeiro Guerra, “La riforma del ravvedimento operoso: dal controllo repressivo alla promozione della
‘compliance’“, in Corr. Trib., n. 5/2015, pag. 325; R. Fanelli, “Il
ravvedimento cambia pelle”, in Corr. Trib., n. 6/2015, pag. 424;
G. Sepio, E. Tito, “Il nuovo ravvedimento operoso tra opportunità di adempimento tardivo e deflazione del contenzioso”, in
Corr. Trib., n. 30/2015, pag. 2299.
(4) Si veda ad esempio l’art. 6 del D.Lgs. 18 dicembre
1997, n. 471, la cui applicabilità è aggravata dalle incertezze
generate dall’applicazione del sistema dello split payment. In
argomento cfr. P. Centore, “‘Split payment’ ed estensione del
‘reverse charge’: un attacco concreto al ‘VAT gap’“, in Corr.
Trib., n. 43/2014, pag. 3316 e R. Rizzardi, “‘Split payment’ ed
estensione del ‘reverse charge’: già operativi ma in cerca di
autorizzazione UE”, in Corr. Trib., n. 4/2015, pag. 275.
(5) Si pensi al concorso tra le violazioni previste dall’art. 7
comma 3, del D.Lgs. n. 471/1997, che punisce il cedente o il
prestatore che effettua cessioni di beni e prestazioni di servizi
in regime di non imponibilità (in sospensione d’IVA) senza aver
ricevuto la dichiarazione d’intento di cui all’art. 1, lett. c), del
D.L. n. 746/1983 e quella, ora prevista dall’art. 7, comma 4-
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Sanzioni
contribuente (6), conducendo all’applicazione
di sanzioni sproporzionate all’effettivo disvalore della violazione realizzata, in contrasto con
il principio di proporzionalità ribadito da ultimo dalla Corte di Giustizia nella sentenza
Equoland (7). Ed invero il novellato ravvedimento tributario si va ad innestare su un sistema sanzionatorio già affetto da patologica incertezza applicativa (non risultando sempre
chiaro quale sia il comportamento corretto cui
il contribuente deve uniformarsi per non incorrere in violazioni) consentendo al contribuente di avvalersi della resipiscenza volontaria, sine die, e comunque anche dopo la constatazione della violazione da parte degli organi
accertatori, ma con un ulteriore allungamento
dei termini di decadenza per procedere agli accertamenti. È pertanto evidente che la “ristrutturazione” del ravvedimento finirà per ridurre
ancora l’efficacia deterrente dell’apparato sanzionatorio tributario, consentendo in molti casi
al contribuente di auto-determinare la sanzione dovuta, in nome dell’eccessiva fiducia del
Governo nella c.d. tax compliance, che, tra l’altro, non tiene conto della presenza di istituti,
come quello del concorso di violazioni e della
continuazione, che consentono “sconti” sulle
sanzioni ancora più vantaggiosi ovvero la rateizzazione delle somme dovute, come nel caso
di adesioni agli inviti al contraddittorio o ai
P.V. di constatazione o dell’acquiescenza all’accertamento cui si applica altresì il regime
del cumulo giuridico delle sanzioni essendo le
stesse determinate dall’Ufficio o quantificate
nel processo verbale dagli organi accertatori.
Neppure la tanto pubblicizzata riforma del sistema sanzionatorio tributario (8) sembra per ora
foriera di entusiasmanti novità riguardo alla necessaria revisione (sistematica) delle fattispecie
sanzionatorie e degli istituti premiali in nome
della certezza del diritto e della dissuasività delle
sanzioni, essendo vòlto a realizzare una maggiore
“proporzionalità” delle sanzioni applicabili (9).
bis, come modificato dal D.Lgs. n. 175/2014, che punisce lo
stesso soggetto di cui sopra che effettua cessioni di beni e
prestazioni di servizi in regime di non imponibilità prima di aver
ricevuto la dichiarazione d’intento di cui all’art. 1, lett. c.), del
D.L. n. 746/1983 e riscontrato telematicamente l’avvenuta trasmissione all’Agenzia delle entrate.
(6) Si fa riferimento alla fattispecie prevista dall’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997 che punisce il cedente per la
mancata regolarizzazione della fattura emessa in regime di
non imponibilità qualora l’operazione non si sia conclusa con
l’esportazione della merce affidata al cessionario nel termine
di 90 giorni.
(7) Sentenza 17 luglio 2014, relativa alla causa C-272/14.
(8) Atto del Governo n. 183, trasmesso alle commissioni
Parlamentari Giustizia, Finanze e Bilancio il 27 giugno 2015,
c.d. Decreto sanzioni.
(9) Sul punto si rinvia alle riflessioni di M. Basilavecchia,
“Sanzioni amministrative: proporzionalità temporanea”, in
Corr. Trib., n. 31/2015, pag. 2383. L’Autore evidenzia come
l’ottica del Decreto sanzioni sia più che altro quella del restyling delle fattispecie sanzionatorie, pur contenendo previsioni,
come quella contenuta nell’art. 31 relativa all’applicabilità della
novella che, risultando disancorate al momento della commissione dell’illecito, rischiano di generare ulteriori incertezze applicative.
(10) Attuato dall’art. 1, comma 637, lett. b), n. 2, della Legge di stabilità per il 2015 (applicabile dal 1° gennaio 2015 a tutte le violazioni non già constatate o regolarizzate). Cfr. Agenzia
delle entrate, circolare 19 febbraio 2015, n. 6/E, par. 10.2.
3768
La riforma del ravvedimento
La riforma del ravvedimento in materia tributaria disciplinato dall’art. 13 del D.Lgs. n.
472/1997 (10) si sostanzia nell’introduzione di
una serie di fattispecie premiali che prevedono
una riduzione sempre minore della sanzione da un decimo ad un quinto - man mano che
cresce il divario temporale tra l’omesso o infedele adempimento e la regolarizzazione del
contribuente.
Pertanto in caso di ravvedimento il contribuente, a seconda del momento in cui decide
di adempiere, potrà fruire delle seguenti riduzioni delle sanzioni pecuniarie:
1) 1/10 del minimo edittale, nel caso di mancato pagamento di un tributo o di un acconto
se esso viene eseguito nel termine di trenta
giorni dalla data della sua commissione, nonché nel caso di omissione nella presentazione
della dichiarazione, se questa viene presentata
con un ritardo non superiore a 90 gg. (art. 13,
comma 1, lett. a e c, uguali alle precedenti);
2) 1/9 del minimo edittale, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del
tributo, avviene entro il novantesimo giorno
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Sanzioni
violazioni relative all’esuccessivo al termine per
SOLUZIONI OPERATIVE
missione di ricevute e
la presentazione della diRiforma
del
ravvedimento
scontrini fiscali o di inchiarazione, ovvero, quanCon le modifiche apportate dalla Legge di
stallazione).
do non è prevista dichia- stabilità 2015, i contribuenti cui non siano
Il ravvedimento deve
razione periodica, entro già stati notificati atti di accertamento o di
dunque aver luogo prima
novanta giorni;
liquidazione o (secondo l’Agenzia delle
della ricezione degli atti
3) 1/8 del minimo edittale, Entrate) avvisi di recupero crediti ed atti di
con cui l’Ufficio notifica
se la regolarizzazione degli irrogazione di sanzioni tributarie, potranno
avvalersi del ravvedimento per tutti i tributi
al contribuente l’ammonerrori od omissioni, anche
amministrati dall’Agenzia delle entrate,
tare dell’imposta dovuta
se incidenti sulla determi- anche in caso di violazioni anteriori al 2015,
(atti di accertamento o di
nazione o sul pagamento fino alla scadenza dei termini di
liquidazione, compresi gli
del tributo, avviene entro accertamento. Tuttavia, nei casi di
avvisi bonari ex artt. 36il termine per la presenta- ravvedimento post-constatazione della
violazione
da
parte
dell’Ufficio
la
novella
fa
bis e 36-ter del D.P.R. n.
zione della dichiarazione
salvo il potere degli organi accertatori di
600/1973 o 54-bis del
relativa all’anno nel corso proseguire le attività di verifica anche
del quale è stata commessa mediante accessi, ispezioni, verifiche o altre D.P.R. n. 633/1972) o, secondo l’Agenzia delle Enl a v i o l a z i o n e , o v v e r o , attività amministrative di controllo e
trate
(11), il credito da requando non è prevista di- accertamento.
cuperare (avvisi di recupechiarazione periodica, enro crediti) o la sanzione irrogata (atti di irrogatro un anno dall’omissione o dall’errore;
zione delle sanzioni tributarie).
4) 1/7 del minimo edittale, se la regolarizzazioIl ravvedimento si perfeziona con la contestuane degli errori od omissioni, anche se incidenti
le (o, se non proprio contestualmente, comunsulla determinazione o sul pagamento de tribuque nel termine previsto) regolarizzazione del
to, avviene entro il termine per la presentaziopagamento del tributo o della differenza, quanne della dichiarazione relativa all’anno succesdo dovuti, del pagamento degli interessi morasivo, ovvero, quando non è prevista la dichia- tori calcolati al tasso legale con maturazione
razione periodica, entro due anni dall’omissio- della sanzione ridotta (12).
ne o dall’errore (art. 13, comma 1, lett. b-bis);
In caso di contestazione di più violazioni, il
5) 1/6 del minimo, se la regolarizzazione degli contribuente può ravvedersi solo per determierrori o delle omissioni, anche se incidenti sul- nate violazioni (ad esempio per l’infedele dila determinazione o sul pagamento del tributo, chiarazione relativa ad un certo periodo d’imavviene oltre il termine per la presentazione posta). In caso di ravvedimento per determinadella dichiarazione relativa all’anno successivo, te violazioni (ad esempio per l’infedele dichiaovvero, quando non è prevista la dichiarazione razione) il contribuente è comunque onerato a
periodica, dopo due anni dall’omissione o dal- regolarizzare distintamente (con specifico ravl’errore (art. 13, comma 1, lett. b-ter);
vedimento) le violazioni prodromiche (ad es.
6) 1/5 del minimo, se la regolarizzazione degli l’omessa fatturazione) e quelle consequenziali
errori o delle omissioni, anche se incidenti sul- (ad es. gli omessi versamenti d’imposta) (13).
la determinazione o sul pagamento del tributo, In conclusione, con le modifiche apportate dalla
avviene dopo la constatazione della violazione Legge di stabilità 2015, i contribuenti potranno
da parte dell’Ufficio ai sensi dell’art. 24 della avvalersi del ravvedimento per tutti i tributi
Legge 7 gennaio 1929, n. 4 (salvo in caso di amministrati dall’Agenzia delle entrate, fino alla
(11) Cfr. ancora Agenzia delle Entrate, circolare 19 febbraio
2015, n. 6/E.
(12) Art. 13, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997.
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(13) Cfr. le circolari del Ministero delle Finanze 10 luglio
1998, n. 180/E e 23 luglio 1998, n. 192/E.
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Sanzioni
scadenza dei termini di accertamento, salva la
notifica di atti di accertamento o di liquidazione
dei tributi o di recupero dei crediti o di irrogazione delle sanzioni. Tuttavia, anche nel caso di
ravvedimento post-constatazione della violazione da parte dell’Ufficio, la novella fa salvo il potere degli organi accertatori di proseguire le attività di verifica anche mediante accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di
controllo e accertamento (14).
Inoltre nei casi di presentazione di una dichiarazione integrativa, o, se non è prevista la dichiarazione periodica, nel caso di regolarizzazione dell’omissione o dell’errore, i termini per
l’accertamento di cui agli artt. 43 del D.P.R.
29 settembre 1973, n. 600, e 57 del D.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633, decorrono dalla presentazione della dichiarazione integrativa, “limitatamente agli elementi oggetto dell’integrazione”;
anche i termini per la notifica delle cartelle di
pagamento di cui all’art. 25, comma 1, lett. a)
e b), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, relativi, rispettivamente, all’attività di liquidazione delle imposte, dei contributi, dei premi e
dei rimborsi dovuti in base alle dichiarazioni e
di controllo formale delle dichiarazioni, concernenti le dichiarazioni integrative presentate
per la correzione degli errori e delle omissioni
incidenti sulla determinazione e sul pagamento
del tributo, decorrono dalla presentazione di
tali dichiarazioni, “limitatamente agli elementi
oggetto dell’integrazione” (15).
Abolizione degli istituti dell’adesione
agli inviti a comparire ai fini del concordato
e dell’adesione ai pvc
Il nuovo ravvedimento è applicabile dal 1° gennaio 2015 (16) e si deve ritenere che la nuova
disciplina si estenda a tutte le violazioni non
ancora regolarizzate al 1° gennaio 2015 (anche
(14) Art. 1, comma 638, punto 1.2., della Legge n.
190/2014 che ha inserito nel testo dell’art. 13 del D.Lgs. n.
472/1997 il nuovo comma 1-quater.
(15) Art. 1, comma 640, della Legge n. 190/2014.
(16) Art. 1, comma 638, punto 1.2., Legge n. 190/2014.
(17) In questi termini Agenzia delle Entrate, circolare 19
febbraio 2015, n. 6/E, par. 10.2.
(18) Così la Relazione illustrativa al disegno di legge n.
3770
se commesse precedentemente) (17). Per agevolare l’utilizzo del ravvedimento da parte dei contribuenti, la Legge di stabilità del 2015 ha disposto l’abolizione degli istituti affini disciplinati
dal D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 (18): l’adesione agli inviti a comparire di cui agli artt. 5,
comma 1-bis e 11, comma 1-bis, ai P.V. di constatazione di cui all’art. 5-bis nonché l’adesione
agli accertamenti non preceduti dall’invito a
comparire di cui all’art. 15, comma 2-bis (19).
Tuttavia dal combinato disposto dei commi
637 e 638 dell’art. 1 della Legge n. 190/2014,
si desume che l’abrogazione delle disposizioni
che disciplinano i suddetti istituti è stata posticipata - con una pessima tecnica legislativa al 31 dicembre 2015. Ed invero, a norma dell’art. 1, comma 638, della Legge citata, le disposizioni abrogate continueranno ad applicarsi
agli inviti al contraddittorio in materia di imposte sui redditi, di IVA e di altre imposte indirette, notificati entro il 31 dicembre 2015
mentre quelle di cui all’art. 5-bis del D.Lgs. n.
218/1997 si applicheranno ai processi verbali
di constatazione in materia di imposte sui redditi e di IVA che saranno consegnati ai contribuenti entro la stessa data.
Convenienza del ravvedimento
La convenienza a ravvedersi prima della constatazione della violazione sembra minima perché
il contribuente può tranquillamente attendere,
come in una partita a scacchi, le mosse dell’Agenzia fiscale competente fino all’esaurimento
dei termini per la notifica degli atti impositivi,
prima di decidere come orientarsi: ravvedersi o
aspettare la decorrenza dei suddetti termini e in
caso di tempestiva notifica dell’avviso di accertamento e/o dell’atto di irrogazione delle sanzioni valutarne la fondatezza nonché, ove abbia
commesso più violazioni della normativa tribu2679 presentato alla Camera dal Ministro dell’Economia e delle Finanze il 23 ottobre 2014 e F. Ricca, “Riforma del ravvedimento operoso per rafforzare la ‘compliance’“, op. cit., pag.
3325.
(19) In argomento, volendo, cfr. F. Cerioni, “Definizione dei
processi verbali e tutela giurisdizionale del contribuente”, in
Boll. trib., 2009, pag. 98.
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taria, la riduzione del tratl’ambito delle nuove proIL PROBLEMA APERTO
tamento sanzionatorio ricedure di ravvedimento
sultante dall’applicazione Pluralità di violazioni
per sopperire alla mancata
Una volta constatata la violazione, per il
dell’istituto del concorso
previsione della rateizzacontribuente potrebbe essere più
formale e della continua- conveniente attendere l’irrogazione della
zione. In tal caso la somzione ed eventualmente sanzione da parte dell’Ufficio (o aderire ai
ma versata verrà imputata
impugnare gli atti impositi- processi verbali di constatazione e ad
dall’Ufficio in parte alvi o sanzionatori notificati. eventuali inviti al contraddittorio) che
l’imposta dovuta, in parte
In effetti, se il contribuen- utilizzare lo strumento del ravvedimento,
agli interessi ed in parte
perché,
nel
caso
di
più
violazioni
delle
te si ravvede prima della
alle sanzioni ridotte sedisposizioni tributarie, omogenee o
costatazione della violacondo la percentuale preeterogenee, ancorché riferite a tributi diversi,
zione, legittima l’Ufficio potrà avvalersi degli istituti premiali del
vista in base al momento
ad espletare ulteriori ac- concorso formale delle violazioni e della
della regolarizzazione. Le
certamenti “limitatamente continuazione, sicché, nel caso di omessa
somme residue, invece,
fatturazione,
registrazione
e
dichiarazione
di
agli elementi oggetto delnon saranno considerate
l’integrazione” ma che operazioni imponibili IVA, che rilevano anche
regolarizzate e, in caso di
ai
fini
della
determinazione
del
reddito
possono pur sempre deterconstatazione della violad’impresa, l’Ufficio è comunque tenuto ad
minare la scoperta di elezione da parte dell’Ufficio,
applicare la sanzione che dovrebbe infliggersi
menti utili per la consta- per la violazione più grave, aumentata, a
mediante la notifica di attazione di ulteriori viola- seconda dei casi concreti, da un quarto al
ti di accertamento o liquizioni, riferite ad altri pe- doppio, ovvero, fino ad un quinto. Il
dazione o avvisi bonari, il
ravvedimento
importa
invece
l’obbligo
di
riodi d’imposta o ad altre
contribuente non potrà
imposte (come nel caso di pagare una sanzione ridotta per ciascuna
avvalersi del ravvedimendelle
violazioni
commesse.
occultamento di determito (21).
nate operazioni imponibili
IVA non considerate nella dichiarazione inte- Pluralità di violazioni
grativa). I termini per la notifica di eventuali ed effetti ridotti sul piano penale
atti impositivi iniziano a decorrere ex no- Tra gli ulteriori “disincentivi” all’utilizzazione
del novellato ravvedimento va rilevata la magvo (20).
Inoltre, a differenza degli istituti deflativi del giore convenienza per il contribuente, una volta
contenzioso previsti dal D.Lgs. n. 218/1997 (ad constatata la violazione, ad attendere l’irrogazioesempio l’adesione agli inviti a comparire di ne della sanzione da parte dell’Agenzia delle encui agli artt. 5, comma 1-bis e 11, comma 1-bis, trate (l’applicabilità del ravvedimento post-conai P.V. di constatazione di cui all’art. 5-bis statazione alle imposte doganali, all’IVA all’imnonché l’adesione agli accertamenti non pre- portazione, alle accise e ai tributi locali sembra
ceduti dall’invito a comparire di cui all’art. 15, da escludere) e ad aderire ai processi verbali di
comma 2-bis), per il novellato ravvedimento il constatazione e ad eventuali inviti al contradlegislatore non ha previsto la rateizzazione del- dittorio, perché nel caso di più violazioni delle
disposizioni tributarie, omogenee o eterogenee,
le somme dovute dal contribuente.
Tuttavia, in tempi di scarsa liquidità, l’Agenzia ancorché riferite a tributi diversi, l’Ufficio dovrà
delle entrate già in passato ha finito per accon- quantificare la sanzione applicando gli istituti
sentire di fatto al ravvedimento parziale rispet- del concorso formale delle violazioni e della
to a quanto complessivamente dovuto dal sog- continuazione, sicché, nel caso di omessa fattugetto passivo che appare oggi applicabile nel- razione, registrazione e dichiarazione di opera(20) Art. 1, comma 640, Legge n. 190/2014.
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(21) Cfr. Agenzia delle entrate, circolare 2 agosto 2013, n.
27/E e risoluzione 23 giugno 2011, n. 67/E.
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Sanzioni
zioni imponibili IVA, che rilevano anche ai fini
della determinazione del reddito d’impresa, l’Ufficio è comunque tenuto ad applicare la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più
grave, aumentata, a seconda dei casi concreti,
da un quarto al doppio, ovvero, fino ad un quinto, con un trattamento sanzionatorio di certo
più convenienti del ravvedimento che importa
l’obbligo di pagare una sanzione ridotta per ciascuna delle violazioni commesse.
Ed invero, a norma dell’art. 12 del D.Lgs. n.
472/1997, che non è stato in alcun modo novellato dalla Legge n. 190/2014 per coordinarne l’applicazione con il novellato art. 13 del
Decreto relativo alle sanzioni tributarie, alla
disciplina del cumulo giuridico delle sanzioni
soggiace, sia chi, con una sola azione od omissione, violi diverse disposizioni anche relative
a tributi diversi, ovvero con più azioni od
omissioni, commetta diverse violazioni formali
della medesima disposizione, sia chi, anche in
tempi diversi, realizzi più violazioni che, nella
loro progressione, pregiudicano o tendono a
pregiudicare la determinazione dell’imponibile
ovvero la liquidazione anche periodica del tributo (22).
Anche riguardo agli effetti della compliance del
contribuente sulle sanzioni penali tributarie si
registra il difetto di coordinamento del nuovo
ravvedimento con il sistema sanzionatorio tributario. Ed invero il contribuente che decida
di ravvedersi estinguendo il debito che ritiene
di avere verso l’Erario, con tanto di interessi e
sanzioni, potrà beneficiare al massimo della ri-
duzione della pena fino ad un terzo (con l’inapplicabilità, non indifferente delle pene accessorie) (23)ex art. 13 del D.Lgs. 10 marzo
2000, n. 74 (24), ma il ravvedimento non integra una “causa di non punibilità”, come previsto dalla coeva disciplina della voluntary disclosure di cui alla Legge n. 186/2014 (25) e dal
Progetto di Decreto legislativo sulla certezza
del diritto presentato dal Consiglio dei Ministri il 24 dicembre 2014 e poi ritirato.
Non si vuole certo affermare che la previsione
indiscriminata di clausole di non punibilità per
chi si ravvede puramente e semplicemente versando sanzioni pecuniarie ridotte serva davvero
ad incrementare l’osservanza spontanea delle
disposizioni tributarie (cioè la tax compliance),
ma solo evidenziare la disparità di trattamento
rispetto a chi non abbia omesso di dichiarare,
anche da parecchi anni, le attività detenute all’estero. Con la Legge n. 186/2014, che regola
gli effetti della mancata indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi degli investimenti all’estero ovvero delle attività estere di
natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia (26), infatti, è stato
previsto che, qualora il contribuente regolarizzi
l’omissione attraverso la voluntary disclosure,
viene esclusa, limitatamente alle condotte relative agli imponibili, alle imposte ed alle ritenute oggetto della collaborazione volontaria, la
punibilità per i delitti di dichiarazione fraudolenta, infedele e di omessa dichiarazione previsti dagli artt. 2, 3, 4, 5, nonché per quelli di
omesso versamento di cui agli artt. 10-bis e 10-
(22) In argomento L. Del Federico, voce Violazioni e sanzioni in materia tributaria, in Enc. giur. Treccani, Vol. XXXII, Roma,
Agg. 2000, specie pag. 17 ss.; E.M. Ambrosetti, “Concorso di
violazioni e continuazione”, in AA.VV., Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni tributarie, a cura di F. Moschetti e
L. Tosi, Padova, 2000, pag. 378 ss.
(23) A norma dell’art. 12 del D.Lgs. n. 74/2000, costituiscono pene accessorie alle sanzioni penali:
a) l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche
e delle imprese per un periodo non inferiore a sei mesi e non
superiore a tre anni;
b) l’incapacità di contrattare con la Pubblica amministrazione per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a
tre anni;
c) l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza
in materia tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e
non superiore a cinque anni;
d) l’interdizione perpetua dall’ufficio di componente di com-
missione tributaria;
e) la pubblicazione della sentenza a norma dell’art. 36 c.p.
(24) L’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000 dispone che “Le pene
previste per i delitti di cui al presente Decreto sono diminuite
fino ad un terzo e non si applicano le pene accessorie indicate
nell’articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di
adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”.
(25) In argomento A. Tomassini, “‘Voluntary disclosure’ finalmente al via”, in Corr. Trib., n. 1/2015, pag. 9; G. Molinaro,
“I risvolti sanzionatori tributari della collaborazione tributaria”,
in Corr. Trib., n. 4/2015, pag. 251 e D. Piva, “Effetti penali della
‘voluntary disclosure’“, in Corr. Trib., n. 4/2015, pag. 259.
(26) La dichiarazione dei redditi e delle attività detenute all’estero è stata imposta dall’art. 4 del D.L. 28 giugno 1990, n.
167.
3772
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ter del D.Lgs. n. 74/2000, residuando la punibilità per le più gravi condotte di emissione di
fatture false (art. 8 del D.Lgs. n. 74/2000), occultamento e distruzione di scritture contabili
(art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000), sottrazione
fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11
del D.Lgs. n. 74/2000).
Riforma del ravvedimento
e tributi doganali e locali
I contribuenti possono avvalersi di tutte le tipologie di ravvedimento sopra illustrate solo
per i tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate. Le nuove fattispecie infatti si applicano
solo in parte ai tributi doganali di competenza
dell’Agenzia delle dogane e ai tributi locali.
Atteso quanto disposto dall’art. 13, comma 1bis, le fattispecie di ravvedimento previste dal
comma 1, lett. b-bis (ravvedimento tardivo entro due anni dall’omissione o dall’errore) e bter (ravvedimento ultratardivo dopo due anni
dall’omissione o dall’errore) non sono applicabili ai tributi amministrati dall’Agenzia delle
dogane e ai tributi locali.
Anche l’applicabilità ai tributi doganali della
fattispecie introdotta dal comma 1, lett. b-quater appare dubbia. Ed invero il nuovo comma
1-ter dell’art. 13 stabilendo che, “ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo, per i tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate non opera la preclusione di cui al comma 1, primo periodo, salva la
notifica degli atti di liquidazione e di accertamento”, sembrerebbe precludere l’applicabilità
della fattispecie a dazi doganali, all’IVA all’importazione ed alle accise, tributi accertati dall’Agenzia delle dogane.
Tuttavia, se si considera che il legislatore, con
il nuovo comma 1-bis dell’art. 13, ha espressamente limitato l’applicabilità di talune disposizioni relative al ravvedimento ai tributi ammi(27) Art. 11, comma 5, del D.Lgs. 8 novembre 1990, n.
374. Sugli atti di accertamento impiegati dall’Agenzia delle dogane per l’accertamento delle imposte doganali e le accise cfr.
F. Cerioni, “Gli atti dell’Agenzia delle dogane e la giurisdizione
tributaria”, in Rass. trib., 2004, pag. 383.
(28) Art. 14 del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504.
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nistrati dall’Agenzia delle entrate, la disposizione recata dall’art. 13, comma 1-ter, può essere interpretata nel senso di consentire il ravvedimento post-constatazione a prescindere
dalla notifica di un avviso di rettifica (ora esecutivo), con il quale gli Uffici delle dogane accertano le maggiori imposte doganali dovute
(dazi e IVA) (27), ovvero, nonostante al contribuente sia stato notificato un avviso di accertamento (o di pagamento) delle accise (28)
e cioè fino alla decorrenza del termine per
l’impugnazione dell’atto di accertamento dell’imposta, dopo di che la pretesa tributaria accertata diviene inoppugnabile. Tuttavia, a modesto parere di chi scrive, quest’ultima appare
un’opzione ermeneutica contraria all’intenzione del legislatore di incentivare l’adempimento
spontaneo del contribuente che finirebbe per
adempiere solo se messo “in scacco matto” dall’Ufficio accertatore.
Il ravvedimento post-constatazione risulta poi
inapplicabile anche ai tributi locali, poiché gli
Enti impositori sono soliti provvedere alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli
e ad accertare d’ufficio i presupposti delle imposte non dichiarate, emettendo direttamente
“avvisi di accertamento”, salvo i casi residuali
in cui la constatazione della violazione venga
attribuita ai dipendenti comunali (agenti della
polizia locale e funzionari accertatori ex art. 1,
comma 179, della Legge 27 dicembre 2006, n.
296) ed il ravvedimento in discorso venga
consentito con apposita deliberazione dell’ente
impositore (29).
Certezza del diritto e deterrenza
Quello che lascia maggiormente perplessi del
complessivo impianto normativo che ha novellato il ravvedimento operoso al fine di farne il
cardine della tax compliance, non è solo la sua
scarsa efficacia ad incentivare l’adempimento
(29) Per approfondimenti sul punto si vedano la nota 19
gennaio 2015 emanata dall’Istituto per la Finanza e l’Economia
Locale (IFEL, Fondazione istituita dall’Associazione dei Comuni
Italiani, in attuazione del D.M. 22 novembre 2005) e la circolare della Fondazione Nazionale dei dottori commercialisti del 15
aprile 2015.
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estere di natura finanziaspontaneo dei contribuenIL PROBLEMA APERTO
ria, suscettibili di produrre
ti, atteso che, come già riRiduzione
della
deterrenza
redditi imponibili in Italevato, con la previsione
I vantaggiosi sconti di pena previsti anche
lia, detenute all’estero,
della possibilità di ravveper il ravvedimento tardivo ed ultratardivo,
dersi dopo la constatazio- unitamente all’eliminazione della condizione mediante la voluntary disclosure di cui alla Legge
ne della violazione da par- ostativa alla “resipiscenza volontaria”
te dell’Ufficio (30), questi costituita dalla constatazione delle violazioni n. 186/2014.
Ma il dato più preoccuultimi possono tranquilla- da parte dell’Ufficio, ovvero, dall’inizio di
accessi,
ispezioni
o
verifiche,
prodromiche
pante della complessiva
mente valutare le mosse
“ristrutturazione” del ravdell’Agenzia fiscale com- all’eventuale constatazione delle infrazioni
tributarie, finiranno per ridurre ancora di più
vedimento in materia tripetente per decidere come l’efficacia deterrente dell’apparato
butaria è che i vantaggiosi
orientarsi: ravvedersi o sanzionatorio amministrativo tributario, già
sconti di pena previsti anaspettare la decorrenza dei di per sé discutibile attesa la scarsa natura
che per il ravvedimento
suddetti termini e in caso afflittiva delle sanzioni ridotte previste dal
legislatore
e
la
stessa
puntuale
osservanza
tardivo ed ultratardivo,
di tempestiva notifica deldegli
obblighi
tributari
da
parte
dei
unitamente all’eliminaziol’avviso di accertamento
contribuenti.
ne della condizione ostatie/o dell’atto di irrogazione
va alla “resipiscenza vodelle sanzioni valutarne la
fondatezza nonché, ove abbia commesso più lontaria” costituita dall’avvenuta constatazione
violazioni della normativa tributaria, la ridu- delle violazioni da parte dell’Ufficio, ovvero,
zione del trattamento sanzionatorio risultante dall’inizio di accessi, ispezioni o verifiche, prodall’applicazione dell’istituto del concorso for- dromiche all’eventuale constatazione delle premale e della continuazione ed eventualmente dette violazioni, finiranno per ridurre ancora
impugnare gli atti impositivi o sanzionatori no- di più l’efficacia deterrente dell’apparato sanzionatorio amministrativo tributario, già di per
tificati.
È stato opportunamente osservato, inoltre, che sé discutibile attesa la scarsa natura afflittiva
l’istituto sarà foriero di trattamenti sanzionato- delle sanzioni ridotte previste dal legislatori ingiustificatamente differenziati. Invero, l’or- re (32), nonché la stessa puntuale osservanza
dinamento consente di ravvedersi al soggetto degli obblighi formali e sostanziali imposti ai
che abbia occultato ricavi o compensi dopo la contribuenti, con una prevedile riduzione delle
constatazione della violazione, pagando un entrate tributarie.
quinto della sanzione dovuta, ma non consente Ed invero la dottrina penalistica ritiene in modi beneficiare di alcuno sconto a chi decida di do pressoché unanime che il ravvedimento si
non pagare nulla per intraprendere un conten- fonda sulla volontarietà del comportamento
zioso di natura interpretativa con il Fisco (31). del trasgressore, se il recesso viene indotto da
Inoltre, vi è di certo una disparità di tratta- una coazione esterna (la percezione delle siremento tra i contribuenti che si ravvedono per ne della polizia) non si ha ravvedimento (33).
la quasi totalità delle violazioni tributarie e Anche riguardo al ravvedimento tributario era
quelli che si ravvedono per la mancata indica- stato evidenziato come l’impossibilità di ravvezione nelle dichiarazioni annuali dei redditi de- dersi dopo la constatazione della violazione
gli investimenti esteri ovvero delle attività servisse a garantire la “coerenza dell’istituto ri(30) Secondo quanto disposto dal nuovo comma 1, lett. bquater), dell’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997.
(31) In questi termini R. Cordeiro Guerra, “La riforma del
ravvedimento operoso: dal controllo repressivo alla promozione della ‘compliance’“, in Corr. Trib., n. 5/2015, pagg. 331-332.
(32) Cfr. quanto rilevato da Cass., Sez. III pen., 5 luglio
3774
2012, n. 176.
(33) F. Antolisei, Manuale di diritto penale, Milano, 1997,
pag. 500 ss.; G. Marinucci - E Dolcini, Manuale di diritto penale, Milano, 2006, pag. 347 ss.; G. Fiandaca - E. Musco, Diritto
penale, Parte generale, Bologna, 2009, pag. 480 ss.
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spetto al sistema sanzionatorio nel quale esso è
collocato e rispetto al sistema tributario nel
suo complesso”. Se infatti fosse consentito al
contribuente di ravvedersi una volta che il
comportamento antigiuridico è stato “individuato” dal Fisco, “egli avrebbe tutto il vantaggio a non ravvedersi preventivamente” (34).
Sembra proprio che il legislatore, come contropartita della mancata riforma di un sistema
sanzionatorio che contiene disposizioni di pessima fattura, talora ridondanti e con sanzioni
non sempre proporzionate al disvalore della
violazione, come di recente evidenziato anche
dalla Corte di Giustizia nella sentenza Equoland del 17 luglio 2014, abbia voluto ridurre
indirettamente la cogenza delle obbligazioni
tributarie, assicurando ai contribuenti maggiori
chance di impunità per le condotte evasive
realizzate, potendo preventivamente valutare
le informazioni in possesso dell’Ufficio (che
dovrà mettere a disposizione dei soggetti passivi gli elementi e le informazioni in suo possesso, acquisiti direttamente o pervenuti da terzi,
relativi anche ai ricavi o compensi, ai redditi,
al volume d’affari e al valore della produzione,
a lui imputabili, alle agevolazioni, deduzioni o
detrazioni, nonché ai crediti d’imposta) (35) e
confidare sulla possibilità di non essere scoperti
prima della decadenza dell’Ufficio dall’azione
accertatrice, ovvero, in caso contrario, di poter
comunque fruire di un consistente sconto delle
sanzioni.
(34) In questi termini A. Viotto, “Sub art. 13 del D.Lgs. n.
472/1997”, in AA.VV., Commentario alle disposizioni generali
sulle sanzioni tributarie, a cura di F. Moschetti e L. Tosi, Padova, 2000, pag. 414 ss. Sul punto anche L. Del Federico, voce
Violazioni e sanzioni in materia tributaria, op. cit., pag. 19 ss., il
quale, già all’indomani dell’entrata in vigore dell’istituto aveva
evidenziato come le condizioni ostative siano connaturate alla
logica premiale del ravvedimento e a preservare l’efficacia dissuasiva dei controlli, evitando, secondo quanto evidenziato
dalla C.M. n. 180/E del 1998, che “il trasgressore persista nella
sua posizione di illegalità, con la riserva mentale di rimuovere
gli effetti di tale comportamento una volta scoperto”.
(35) Art. 1, comma 634, della Legge n. 190/2014.
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Lavoro dipendente
Cautele per i riflessi fiscali
del trasferimento d’azienda
dei dipendenti
di Franco Petrucci
Le vicende che nel tempo possono interessare un rapporto di lavoro sono, per comune esperienza, le più varie e sovente suscettibili di implicazioni fiscali, specie sotto il profilo della sostituzione d’imposta, di rilievo anche sanzionatorio. Alcune problematiche possono nascere, ad
esempio, nel caso di trasferimenti d’azienda, ma è certo che agli stessi possono essere date
corrette soluzioni qualora tra i diversi sostituti d’imposta siano stati attivati corretti canali informativi concernenti la posizione dei singoli lavoratori interessati, specie per quanto concerne
il TFR trasferito.
L’“esperienza” insegna che le concrete vicende
di un rapporto di lavoro, oltre che ad “angustiare” (sovente) le controparti dello stesso,
possono riverberarsi, anche pesantemente, sul
datore di lavoro o sui datori di lavoro coinvolti
anche sotto il profilo della loro qualità di sostituti d’imposta e ciò in dipendenza del letterale
disposto del comma 1 dell’art. 23 del D.P.R. n.
600/1973 (1).
Va di per sé che spesso anche una certa evoluzione giurisprudenziale può influire sui comportamenti di prassi fino ad allora adottati.
Evidentemente non è il caso di “gonfiare” la
questione, ma è altresì indubbio che talvolta
possono nascere in quanti sono coinvolti nelle
vicende aziendali dubbi e perplessità quanto al
comportamento da seguire almeno sul piano
operativo (2).
A dire il vero, anche l’Amministrazione finanziaria ha avvertito nel tempo l’opportunità di
intervenire con precisazioni e chiarimenti basandosi, sia sul disposto di disposizioni regolanti sul piano civilistico il rapporto di lavoro, sia
su specifici interventi della giurisprudenza (3).
Conseguenze sulle erogazioni del TFR
del mutamento del datore di lavoro
(1) Vedasi quanto precisato nella C.M. n. 326/E del 1987,
par. 3.2; F. Randazzo, Le rivalse tributarie, Milano, 2012, e anche A. Dodero, G. Ferranti, L. Zaccaria, I redditi di lavoro dipendente ed assimilati, Milano, 1999, Parte Terza, pag. 307 ss.
(2) Cfr., ad esempio, E. Frigerio, “Irrilevanza della prognosi
di continuazione dell’attività nei trasferimenti di ramo d’azien-
da”, in Il giurista del lavoro, n. 7/2014, pag. 4.
(3) Vedasi per tutte: A. Antonelli, P. Lami, M. Magnani, L.
Poggi, Il reddito da lavoro dipendente, Milano, 1991, cap. XIII,
pag. 179 ss.
(4) Vedi anche sentenza n. 19291 del 2011. Cfr. anche P.
Dell’Atti, in Mass. giur. lav., 2014, pag. 28.
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È quasi inevitabile che il mutamento del datore di lavoro, in presenza di un rapporto di lavoro che mantiene la sua valenza, a fini anche di
tutelare la figura del prestatore di lavoro, comporti che, in dati momenti, siano almeno due i
datori di lavoro chiamati a rispettare le previsioni della disciplina della sostituzione, il che
comporta (e sovente l’Amministrazione finanziaria ha quasi “imposto” la procedura) la necessità di colloquiare tra di loro anche per sollevare il lavoratore dall’obbligo della presentazione delle dichiarazioni dei redditi.
Ma, a nostro avviso, sono specialmente le conseguenze che potrebbero nascere in caso di trasferimento d’azienda sulle successive, definitive
erogazioni del TFR ad un dipendente coinvolto nel passaggio che possono costituire occasione di un protrarsi dei contatti tra diversi sostituti.
Al riguardo, con sentenza n. 20837 del
2013 (4), la Suprema Corte afferma che il diritto al TFR matura, non già alla cessazione
del rapporto, ma “progressivamente in ragione
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Lavoro dipendente
vigente, e non già quello
dell’accantonamento anLA GIURISPRUDENZA
del momento della cessanuale, mentre soltanto l’eDiritto
al
TFR
zione del rapporto, come
sigibilità del credito è rinin
caso
di
trasferimento
d’azienda
dovrebbe essere invece se
viata alla cessazione del
La Suprema Corte afferma che il diritto al
il diritto al TFR maturasse
rapporto. Sicché, in caso
TFR matura, non già alla cessazione del
tutto (e non già fosse solo
di trasferimento d’azienda, rapporto, ma progressivamente in ragione
esigibile) in tale momenil cedente è responsabile dell’accantonamento annuale, mentre
to. Il problema si è posto,
per le quote di trattamen- soltanto l’esigibilità del credito è rinviata
come ricordato, per il tratto di fine rapporto matu- alla cessazione del rapporto. Sicché, in
rate nel periodo di sua caso di trasferimento d’azienda, il cedente è tamento della quota di
responsabile per le quote di trattamento di
TFR relativa al lavoro
competenza”.
fine
rapporto
maturate
nel
periodo
di
sua
prestato all’estero da parte
Tra le diverse argomentadel lavoratore che poi abzioni addotte a sostegno competenza.
bia proseguito il rapporto
dell’orientamento, per taluni versi innovativo, surrichiamato, va ram- in Italia fino alla sua risoluzione. In proposito
mentato anche quella che richiama il meccani- la Corte (Sez. trib., 14 agosto 2002, n. 12201),
smo dell’accantonamento previsto dall’art. ha affermato che il trattamento di fine rappor2120 c.c. che permetterebbe di ravvisare dirit- to costituisce un diritto di credito, a pagamenti, anche nel corso del rapporto di lavoro, tute- to differito, di natura sostanzialmente retributilati, sia dall’azione di accertamento, sia da va, il quale matura anno per anno in relazione
quella di condanna al pagamento delle antici- al lavoro prestato ed all’ammontare della retribuzione dovuta (e degli accessori aventi natura
pazioni di cui all’art. 2120 c.c.
Ne consegue il superamento del precedente retributiva); sicché, quanto all’imposta sul redorientamento per cui “ogni” diritto del lavora- dito, il TFR relativo ad annualità di retribuzione corrisposte per lavoro prestato all’estero detore matura alla fine del rapporto.
A dire il vero le argomentazioni addotte posso- ve beneficiare, ai sensi degli artt. 2 e 3 del
no non risultare in toto soddisfacenti e forse ap- D.P.R. n. 597/1973, applicabili ratione temporis,
punto per questo la Corte richiama anche la del regime fiscale di non assoggettamento a IRgiurisprudenza tributaria in tema di TFR matu- PEF (5).
rato nel corso del periodo di lavoro svolto al- Ecco perché nella motivazione si legge: “in
l’estero da un dipendente e che “giustifica” conclusione l’orientamento espresso dalla senuna volta di più la stretta interdipendenza che, tenza n. 24635 del 2009 di questa Corte può
con riferimento al trattamento IRPEF del lavo- essere ora portato ad ulteriore sviluppo e genero dipendente, sussiste tra la disciplina (e la ralizzazione con l’affermazione che il diritto al
giurisprudenza) fiscale e quella civilistica che trattamento di fine rapporto ex art. 2020 c.c.
lo interessa.
matura progressivamente in ragione dell’accanForse, il richiamo pecca forse, a nostro avviso, tonamento annuale, mentre soltanto l’esigibilidi un certo grado di approssimazione, il che tà del credito è rinviata al momento della cespotrebbe spiegarsi con il fatto che si è di fronte sazione del rapporto (ed anche la prescrizione
solo ad un generico richiamo a ulteriore sup- decorre da tale data: Cass., Sez. lav., 18 febporto di una tesi quale quella surrichiamata. braio 2010, n. 3894)”.
Viene, infatti, ricordato come la giurisprudenza La conclusione che è stata tratta è che in caso
della Corte considera maturato progressiva- di trasferimento d’azienda e di prosecuzione
mente, di anno in anno, il diritto al TFR, dato del rapporto di lavoro alle dipendenze del cesche ritiene applicabile il regime fiscale via via sionario il datore di lavoro cedente è obbliga(5) Cass., 4 novembre 2008, n. 26438; Id., 26 maggio 2005,
n. 11175.
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to, al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, successivo al trasferimento stesso, al pagamento delle quote di TFR
maturate fino alla data del
trasferimento d’azienda e
per tale credito del lavoratore sussiste il vincolo di
solidarietà tra cedente e
cessionario previsto dall’art. 2112 c.c., comma 2;
invece unico obbligato al
trattamento di fine rapporto, quanto alla quota
di TFR maturata nel periodo del rapporto successivo al trasferimento d’azienda, è il datore di lavoro cessionario.
Se però il dipendente venisse a conseguire in via
Ricadute ai fini della sostituzione d’imposta giudiziale una integrazione
In caso di trasferimento d’azienda del
del TFR spettante a carico
dipendente, ove il TFR riferibile al datore di
del cedente (con eventualavoro cedente sia stato correttamente
li risarcimenti per un ritrasferito al cessionario, su quest’ultimo
tardato pagamento), sarà
graveranno gli obblighi fiscali di sostituto.
quest’ultimo a dover assolSe però il dipendente venisse a conseguire
vere
i relativi obblighi anin via giudiziale una integrazione del TFR
che per quanto concerne
spettante a carico del cedente, sarà
quest’ultimo a dover assolvere i relativi
l’imposta sostitutiva. Nel
obblighi anche per quanto concerne
caso poi in cui si vertesse
l’imposta sostitutiva. Nel caso poi in cui si
su ordinarie competenze
vertesse su ordinarie competenze retributive retributive o indennità a
o indennità a suo tempo non correttamente
suo tempo non correttaerogate, gli obblighi di sostituzione
mente erogate, gli obbligraveranno sul sostituto inadempiente e
ghi di sostituzione gravenormalmente si avranno emolumenti
ranno sul sostituto inaarretrati.
dempiente e normalmente
si avranno emolumenti arretrati.
Ecco perché sembra rafforzata la precisazione
Ricadute ai fini della sostituzione d’imposta
già fatta per la quale è assolutamente necessaCi scusiamo per l’esserci dilungati sul tema, ma rio che al momento del trasferimento siano atci è sembrato che fosse opportuno per rispon- tivati corretti canali informativi per evitare,
dere all’interrogativo; la giurisprudenza richia- oltre che incresciose discussioni con lavoratori
mata ha ricadute ai fini della sostituzione d’im- interessati, anche possibili non corretti comportamenti sul piano fiscale, anche se va ricoposta?
A nostro avviso, in questo specifico caso, solo nosciuto che, in qualunque caso, la strutturamarginali, nel senso che, ove il TFR riferibile zione della disciplina della sostituzione si preal cedente sia stato correttamente trasferito al senta ormai così assestata, di modo che è norcessionario, su quest’ultimo graveranno gli ob- malmente agevole la scelta del comportamento
blighi fiscali di sostituto.
da seguire.
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