Etica & Politica / Ethics & Politics, XIII, 2011, 2, pp. 139-155
Naturalità e corporeità nella filosofia di Hegel
Maria Cristina Benedetti
Università LUMSA
[email protected]
ABSTRACT
In this article I will try to show the relevance of the body issue in Hegel‟s Philosophy, in
particular by highlighting two points of view: on one hand, the body is regarded as a
“junction” between the world of Nature and that of the Spirit; on the other, the body is
seen as “language”, as the expression of the Spirit. Moreover, what takes on special
significance is the connection between self-consciousness and life, which makes Hegel‟s
concept of subjectivity still topical in today‟s anthropological and ethical reflection. The
problem of corporeality is closely interlaced with Man‟s experience in a process where the
results of life empirical sciences add to the representation of what is human, and where
neurobiology and the key notions of Moral Philosophy are matched in order to better
explain the dialectical nature of Man torn between the body, the mind, the soul and the
spirit.
KEYWORDS
Hegel, nature, spirit, self-consciousness, corporeality
1. Premessa
La natura – scrive Hegel - “è data all‟uomo come un problema, alla cui
soluzione egli si sente altrettanto attratto, quanto ne viene respinto”1: il suo
animo e il suo spirito stanno, infatti, fuori dalla natura, e di contro ad essa. In
principio è, quindi, la separazione: “la natura, secondo il concetto, passa in
qualcosa di superiore, l‟anima e il corpo, si dice, si separano; ma ciò che si
separa è, secondo il concetto, un identico nella differenza”2. Segnata dalla
fisicità, l‟anima compare ai suoi inizi come uno spirito naturale, ma il
HEGEL, G.W.F., Filosofia della Natura. La lezione del 1819-20, Franco Angeli, Milano
2007, p. 23.
2 Ibidem, p.143.
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compiersi della sua ragione si dischiude nella fatica di abbassare il corpo a sua
rappresentazione e suo segno.
Intercorre una corrispondenza tra la dottrina hegeliana dello spirito e il
darsi del reale, in un movimento di compenetrazione, e non di scissione. Di
contro a una visione che enfatizza l‟aspetto ideale e astratto del pensiero
hegeliano, desidero porne in evidenza il lato inerente la concretezza della vita:
l‟essere un corpo dotato di spirito che si muove nel mondo. Intendo mostrare
come l‟Idea sia funzionale alla vita, non solo al suo concetto, ma alla
formazione del suo tessuto antropologico e naturale, per cui la
contrapposizione che si incontra ai vari livelli del sistema – tra
oggetto/soggetto, natura/spirito, corpo/anima – è inserita nel processo del
divenire come mero momento transeunte.
Partendo dal parallelismo tra processo speculativo e processo spirituale
cercherò di mostrare come già il pensiero è uno stare dentro la vita, un unirsi
al suo anelito a sentire e desiderare, e come a partire dalla Logica si tende
all‟Antropologia, per arrivare al corpo, quale manifestazione oggettiva dello
spirito, “cerniera” tra due mondi, linea di confine e di incontro di una dualità,
dove il biologico e lo spirituale rimandano l‟uno all‟altro, e procedono alla
costituzione del soggetto quale binomio dell‟elemento teoretico e pratico,
agente in quanto pensante e pensante in quanto spirituale; alla sua uscita dal
mondo della natura, permanendo tuttavia in essa; alla relazione dell‟anima
con il corpo, ma anche al corpo e il mondo, presenza che abita lo spazio, lo
lavora e lo riconosce come sua opera, fino all‟edificazione di una natura che è
seconda, strettamente spirituale perché propriamente umana. Dalla natura
biologica fino alla natura seconda, in un percorso non lineare e ordinato, ma
fatto di curvature e rimandi, poiché non esiste entro la struttura hegeliana
un‟unica zona dedicata al corpo, ma esso si genera e si muove insieme allo
sviluppo del concetto: “si trova al limite senza occupare una regione specifica
tra l‟elemento naturale, da cui pure lo spirito sorge, ma in maniera già nonpiù-naturale, e lo spirito stesso, logicamente primo, all‟interno di una
connessione che prepara il necessario oltrepassamento di quanto è
semplicemente naturale”3. È proprio a partire dal corpo e nel corpo che si
ritrova l‟univocità di quel movimento ideale capace di mantenere al suo
interno la stretta di un unanime darsi biologico e spirituale, senza dimenticare
BONITO OLIVA, R., L’individuo moderno e la nuova comunità. Ricerche sul significato della libertà
soggettiva in Hegel, Guida editori, Napoli 1999, p. 68.
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che ciò che qui è in gioco è ovviamente anche altro: è la prospettiva di un
sinolo, la speranza tutta hegeliana di un equilibrio tra la vita e la sua forma,
tra l‟armonia di una realtà che deve richiamarsi alla ragione per poter godere
del reale.
Il discorso sulla natura si rimodula quindi a contatto con l‟esperienza che
l‟uomo – in quanto essere corporeo - fa di essa, in termini non solo di
coscienza, libertà e intersoggettività, ma anche di percezioni, memoria e
mente. Si tratta, in questo senso, di promuovere un percorso dove le scienze
empiriche della vita integrano, senza sminuirne la portata, la conoscenza di
alcuni aspetti dell‟umano annessi in particolare alla sua “fisicità psichica –
direbbe Hegel”4, e altresì di difendere quella connessione tra autocoscienza e
vita che rende “la concezione della soggettività di Hegel ancor oggi
rilevantissima nell‟ambito della riflessione antropologica ed etica”,
soprattutto alla luce delle attuali ricerche condotte in ambito neuroscientifico,
per cui l‟aspetto conoscitivo e pratico delle attività umane risulterebbe
influenzato dal correlato neuronale della mente, ponendo così in essere la
questione dell‟autonomia del volere. Non è infatti possibile, né consigliabile –
come sottolinea Gessa-Kurotscka - “definire agli albori del terzo millennio la
libertà umana senza tenere conto delle conoscenze che le scienze empiriche
della vita ci mettono a disposizione”, poiché le implicazioni che ne conseguono
sono essenziali per una possibile riconfigurazione dell‟uomo, per un suo
potenziamento o compimento. Il tutto mantenendo, tuttavia, saldo sia il
principio che umano è quell‟essere le cui intenzioni non sono prevedibili, sia la
tensione di guardare “in maniera non antiquaria” a un concetto “eticamente
qualificato di essere umano e della sua fioritura”5.
Caratteristica rilevante dell‟attuale riflessione intellettuale e morale è
quindi l‟interazione tra le neuroscienze e la filosofia, tra il linguaggio delle
scienze empiriche della vita e i concetti chiave della filosofia morale. Un
gruppo di studiosi italiani si è occupato di queste tematiche: autori come
Laura Boella, Vanna Gessa-Kurotschka, ma anche Claudia Mancina
enfatizzano l‟aspetto di integrazione e relazione virtuosa tra gli esiti della
neurobiologia e il profilo della soggettività umana quale emerge in particolare
dalla filosofia hegeliana. Altre analisi – da Pietro Kobau, a Francesca
Menengoni a Valerio Giacchè – intendono, invece, approfondire il lato
dell‟agire umano, nella sua struttura volontaristica e nel suo fondamentale
GESSA-KUROTSCHKA, V., Fondabilità dell’etica, in AA.VV., Etica normativa. Principi dell’agire
morale, a cura di C. Lumer, Carocci, Roma 2008, p. 23.
5 Ibidem, pp. 18-20.
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sostrato di libertà, sempre tuttavia al fine di aderire a una specifica immagine
dell‟umano, dove i lati del biologico e dello spirituale non si compromettono
l‟un l‟altro, ma si completano.
2. Vita della mente e vita dello Spirito
L‟analisi del sostrato volontaristico-intelligenziale da cui l‟azione umana
prende origine è essenziale per indagarne il tessuto naturalistico-antropologico
e il suo rimando alla concezione della libertà dell‟uomo, quale questione di
complesse interconnessioni6.
Mettendo in risalto proprio questo aspetto, Kobau ha interpretato la
filosofia hegeliana dello spirito soggettivo “come la teoria di una vita della
mente che non solo discende da un‟equazione logica fra essere e sapere”7, ma è
altresì teoria di un momento reale dello spirito8, dove il soggetto “non scinde il
pensare dal conoscere, non deve scindere il significato e il senso delle proprie
operazioni mentali – cognitive e valutative – dalla loro verità misurata sui
criteri della scienza”9, ed è iniziato al sapere proprio nel suo ritrarsi dal mondo
dell‟apparenza sensibile e nella rinuncia a un sentire immediato che si fa
prodotto della memoria, in un movimento che si svolge per intero sotto il
segno del disciplinamento dell’estetico10, rendendo così effettive le condizioni di
possibilità per un volere e un agire soggettivamente intesi: la Erinnerung è
appunto questa attività di interiorizzazione che consente il passaggio alla
rappresentazione di cui la memoria come interiorizzazione costituisce il primo
momento11.
Nell‟autocomprensione della ragione Hegel vede realizzata la scienza,
nella quale ogni presupposto e apparenza del sapere sono tolti. In questo
senso sono da tenere in considerazione i paragrafi conclusivi dell‟Enciclopedia,
Hegel – come ricorda GIACCHÈ, V., in Finalità e soggettività. Forme di Finalismo nella Scienza della
Logica di Hegel, Pantograf, Genova 1990, p. 190 - offre tre significati fondamentali di libertà
attinenti allo spirito: la libertà come azione finalistica, come azione etica, come riflessione filosofica
sulla realtà.
7 KOBAU, P., La disciplina dell’anima. Genesi e funzione della dottrina hegeliana dello Spirito
soggettivo, Guerini e Associati, Milano 1993, p. 24.
8 Ibidem, p. 257.
9 Ibidem, p. 25.
10 Ibidem, p. 258.
11 VERRA, V., Introduzione a Hegel, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 128.
6
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Naturalità e corporeità nella filosofia di Hegel
esposti nella forma di due sillogismi12, un primo “che ha come base la logicità,
come termine medio la natura e come conclusione lo spirito”, e che riassume
“la lunga via che il pensiero deve percorrere muovendo dalle sue
manifestazioni più astratte o esteriori per passare a quelle più concrete e reali
fino a pervenire alla sua assolutezza”13, al suo scioglimento da ogni
condizionatezza; e un secondo sillogismo, che invece “ha come termine medio
lo spirito, come premessa la natura e come conclusione la logica”, che “espone
l‟itinerario del conoscere soggettivo verso la scienza, un conoscere che si propone
come fine la libertà, ed è esso stesso, in quanto espressione di libertà, la via per
produrla, congiungendo la natura con l‟elemento logico”14, seguendo il
manifestarsi dell‟attività soggettiva nelle determinazioni di anima, coscienza,
spirito, intelligenza e volontà.
La vita della mente inizia con l‟idea quale oggetto primo della filosofia
dello spirito, speculare nel suo porsi alla realtà, in cui il sapere già esiste in
quanto efficacemente trasposto in un mezzo finito, tramite una serie di atti
spirituali che procedono fin da ora verso la costituzione dell‟io proprio
dell‟Antropologia: lo spirito che ha superato l‟apparenza di alterità propria
della coscienza si articola in teoretico, in quanto ha liberato il sapere dai
presupposti, ed è quindi libera intelligenza; pratico, in quanto la libera
intelligenza è volere; spirito libero come unità di teoretico e pratico e il
superamento della loro unilateralità, poiché autentica intelligenza è solo
quella che vuole, così come vera volontà libera è solo quella che pensa15.
La vita della mente non è, in questo senso, altro dalla vita dello spirito, per
cui il sapere e il pensiero si danno rispettivamente come processo speculativo
assoluto e processo spirituale concreto, e la dottrina della soggettività logica si
riprende nella dottrina dello spirito finito: l‟umano si fa spirito nel suo
graduale apprendere di essere spirito, in una dimensione che Sibilio definisce
trasformazionale dell’apprendimento, poiché inserita in una corporeità che è da
In riferimento a questa parte, citiamo anche il lavoro di GIACCHÈ, V., Finalità e soggettività, cit.,
pp. 92-97.
13 Riportiamo un passo del testo di MENEGONI, F., Soggetto e struttura dell’agire in Hegel, Verifiche,
Trento 1993, p. 183, rilevante al fine di comprendere la complessità e ambivalenza del carattere
absolutus del pensiero: “Attività assoluta è quella di un pensiero che non solo attua e produce se
stesso e in questa autoproduzione attinge la beatitudine, ma è anche quella di un pensiero che è
eternamente in rapporto al suo altro, che nell‟identità con sé esperisce la differenza e nella sua
assolutezza deve far posto a tutto ciò che è accidentale, finito, limitato, condizionato, necessitato.
In termini hegeliani: deve fare posto alla natura”.
14 Ibidem, p.170.
15 Ibidem, p. 69.
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disciplinare, “che agisce nella conquista della padronanza di sé e del mondo”,
spinta a “una conciliazione tra soggetto e oggetto attraverso una fase per così
dire pedagogica, dell‟alienazione dell‟individuo a se stesso”16, allo scopo di
sottomettersi alle cose in modo da poterle assimilare e comprendere.
Nella Logica l‟idea del conoscere ha come principio la vita in quanto
concetto, ovvero l‟idea nel suo concetto oggettivo è come vita17, per cui l‟idea
della vita porta nel cuore della logica la vita organica18, ma al di fuori della
Logica l‟idea ha altra figure - anima, coscienza e spirito in quanto tale -, alle
quali bisognerà necessariamente pervenire poiché “non è in una sfera
puramente logica che l‟esigenza del logico, lo squilibrio tra la sua definizione e
la sua destinazione, il suo limite assoluto avrà complessivamente fine, bensì
solo nella dottrina enciclopedica dello spirito, in quanto ripetizione reale delle
sue configurazioni ideali”19: la Filosofia della natura e la Filosofia dello spirito
appaiono una logica applicata, e il loro passaggio consente “di osservare il
cammino del pensiero che rintraccia progressivamente nella realtà la validità
e la cogenza delle leggi precedentemente esposte nella Logica”20.
Il pensiero è fin dal principio un addentrarsi nella vita, uno stare in essa,
unirsi al suo anelito “a percepire, provare emozioni e sentimenti, desiderare”,
funzioni umane cognitivamente strutturate e intenzionali, che possono
assumere “forme molto differenti e si costituiscono anche fisicamente in
relazione all‟esperienza, per così dire storicamente condizionata, della vita di
ciascun individuo”. Il rapporto con la natura – in primis con il proprio corpo con gli altri esseri umani e con la cultura, è nel processo di tale formazione
rilevantissimo. È questo lato della nostra umanità che la neurobiologia ci ha
fatto meglio conoscere, per cui i suoi esiti non solo non costituiscono “una
nuova immagine dell‟umano e della sua modalità di muoversi nel mondo” ma
16 SIBILIO, M.,
Il corpo intelligente, Esselibri, Napoli 2002, p. 26-27.
Ci richiamiamo per un‟ulteriore precisazione a un confronto con quanto afferma a questo
proposito GIACCHÈ, V., in Finalità e soggettività, cit., p. 119: “nonostante tutto i distinguo e gli
sforzi di Hegel, tendenti a negare che la vita di cui tratta la Scienza della Logica abbia a che fare con
forme della vita che compaiono nella natura e nello spirito […] è fin troppo chiara la
corrispondenza tra l‟oggetto trattato nel primo capitolo de “l‟idea” e “l‟organismo animale”, di cui
Hegel discute nei §§ 350-376 dell‟Enciclopedia, a conclusione della Filosofia della natura; tra l‟altro,
come è stato opportunamente osservato, Hegel non riesce neppure a dare “alcuna definizione
esplicita <della> „vita logica‟”.
18 MANCINA, C., Differenze nell’eticità, Guida, Napoli 1991, p. 22.
19 KOBAU, P., La disciplina dell’anima, cit., 252.
20 GIACCHÈ, V., Finalità e soggettività, cit., pp. 215-216.
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Naturalità e corporeità nella filosofia di Hegel
“rafforzano, piuttosto, quella che ci ha tramandato una tradizione filosofica
diversa dal mentalismo”21, per cui gli umani non agiscono come autocoscienze
pure, fuori dalla natura e dai rapporti interumani, in maniera meccanica, in
un non-tempo e non-spazio, ma al contrario si muovono in una fisicità che
risente della propria psiche e di una coscienza che non determina a priori la
volontà del soggetto, ma crea al contrario le potenzialità reali per il suo
realizzarsi umano. Il rilievo che il fenomenologico e l‟empirico rivestono entro
il pensiero hegeliano emerge come la più importante critica della filosofia
kantiana fatta da Hegel: che “il mondo metafisico di Kant sia puramente
oggettivo”. Per Hegel, la conoscenza “non è infatti solo un‟attività, ma è
anche un risultato. Pensieri e cose non sono kantianamente indipendenti gli
uni dalle altre e il pensiero di Hegel è rivolto ad un‟ontologia, cioè a una
scienza dell‟esistenza dell‟uomo: più che all‟epistemologia, o studio della
conoscenza, o alla metafisica, o studio della realtà, la filosofia hegeliana punta
ad una fenomenologia, cioè allo studio dell‟esperienza vivente e del divenire
della conoscenza. Le nostre esperienze non sono condizionate da un rigido
apparato categoriale e la ragione non è pura, poiché deve esprimersi come
conoscenza del mondo in cui siamo”22. Proprio in virtù di questa immersione
nel reale il programma hegeliano risulta ancor oggi particolarmente attuale,
anche per chi considera le basi filosofiche delle stesse neuroscienze.
La neuroetica implica chiaramente degli spostamenti dal tradizionale
modo di intendere la riflessione morale, ma dapprima è da chiedersi in che
senso parliamo di morale quando parliamo di neuroetica, e se il senso etico di
ognuno - formatosi attraverso l‟educazione, l‟ambiente sociale, le pratiche
religiose, la formazione spirituale - riesca a fare buon uso delle nuove
conoscenze scientifiche. Il riconoscimento del lato spirituale non può non
essere integrato alla base biologica del profilo umano, per cui il pensiero si
ridefinisce anche in riferimento alle neuroscienze, interpellando certamente la
vita morale concreta degli individui, dotati di un corpo, di appartenenze
linguistiche e culturali, ma sapendo che tuttavia prima di tutto questo c‟è
dell‟altro: c‟è una vita della morale che Boella definisce appunto prima della
morale, prima che si siano sviluppate le capacità di volere e di obbedire, ad
indicare proprio quella sensibilità che inizia a manifestarsi nella vita organica
e che risponde a esigenze specifiche dell‟organismo nel rapporto con
l‟ambiente, “ma che non assumerebbe il suo significato propriamente umano
21 GESSA-KUROTSCHKA, V.,
Fondabilità dell’etica, cit., p. 23.
GALZIGNA, L., La mente. Complessità e irriducibilità dell’attività normale e patologica, Piccin,
Padova 2001, p. 25.
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se non la guardassimo alla luce della ricchezza complessiva della ricchezza
morale quale la sperimentiamo o vanamente la inseguiamo giorno per
giorno”23. Premesso, quindi, che lo spazio etico-spirituale dell‟uomo possa
corrispondere anche a una serie di processi automatici e spontanei, esso resta
tuttavia altamente complesso nel suo intreccio, tanto che delinearne in toto il
profilo potrebbe contribuire solo a ridurne la pienezza. Esiste, insomma, uno
spazio di ragioni che sono specificatamente ed esclusivamente umane.
3. Autocoscienza, vita e libertà
L‟autocoscienza che cade nel mondo non è più quella che la Logica conservava
nella sua purezza, ma è vivente in quanto posta in relazione, capace di sentire
e di desiderare, effettivamente inserita entro la possibilità di pensare la vita e
di configurarla secondo libertà. Questo il punto di volta, il compiersi di un
itinerario concettuale ascrivibile ad Aristotele, e al quale “Hegel nella
modernità si è positivamente ricollegato” - teso all‟immanenza del soggetto, di
contro a un pensiero che enfatizza il ruolo di un io cosciente e autonomo ma
totalmente immateriale, astratto nella sua esistenza e quindi non reale nella
sua “libertà trascendentale”.
La vita che detiene a sé l‟autocoscienza, e che per Hegel deve giocare un
ruolo in positivo nella costituzione dell‟identità umana, è “la vita che non può
essere marginalizzata, non è la nuda vita, la semplice sopravvivenza fisica, ma
una modalità di essere della vita”24. Molteplici le implicazioni etiche in cui il
pensiero incorre a questo livello: è propriamente la stessa cosa essere vivi e
avere la vita? E la sacralità della vita è un principio difendibile in ogni
circostanza, anche se la vita di cui si parla è la vita biologica?25. Oppure c‟è un
a priori oggettivistico che inerisce a ogni essere umano in quanto tale? Lo
scarto tra l‟una posizione e l‟altra è nella scelta di quale aspetto si decide di
accentuare, il naturale o l‟umano, il biologico o lo spirituale26, il corpo o
l‟anima.
BOELLA, L., Neuroetica. La morale prima della morale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2008, p.
42.
24 GESSA-KUROTSCHKA, V., Fondabilità dell’etica, cit., p. 21
25 Cfr. MANCINA, C., La laicità al tempo della bioetica, Il Mulino, Bologna 2009, p. 81.
26 Cfr. ibidem
23
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Naturalità e corporeità nella filosofia di Hegel
Il filo rosso del discorso è sempre il riferimento a quell‟identico nella
differenza da ricondurre a conciliazione, per cui ciò che hegelianamente è da
evitare è la dissolutezza concettuale, il dilatare ed enfatizzare la parte rispetto
al tutto o il tutto rispetto alla parte, nella unilateralità di uno sguardo che
contrappone e separa, per cui lo iato che si apre è pura astrazione, poiché il
destino dell‟uno non può effettivamente essere disgiunto dall‟altro: “la vita
non è diversa dalla vita”27, e il particolare partecipa dell‟universale nella
stessa misura in cui il corpo e lo spirito si fondono in un sistema di dipendenza
onnilaterale, per cui è la tribolazione dello spirito a forgiare il corpo e
viceversa. Altrimenti è il contrasto del tragico, e la separazione dalla vita. Il
contrasto del tragico è la tragedia dell‟etico28, il gioco dell‟eticità con la
propria natura inorganica, un gioco tra spirito e materia, tra libertà e
necessità, tra vita e morte29. A tal proposito, Gessa-Kurotschka individua
proprio come in Hegel siano presenti gli elementi teorici per una comprensione
della moderna tragedia dell‟etico in quanto inconciliabile scontro del Sé,
aventi normativamente la stessa giustificazione, polemizzando d‟altronde con
il fatto che lo stesso Hegel non è poi riuscito ad articolare adeguatamente il
concetto di tragico per la comprensione della modernità in quanto luogo
dell‟accadere della tragedia della libertà soggettiva30.
Ciò che la Fenomenologia dello spirito tematizza non è altresì la
disponibilità della vita, ma “la paura della morte”31, e ancora l‟alienazione del
proprio corpo e del corpo d‟altri non è diritto dell‟individuo perché lede
l‟inviolabilità fisica e dell‟anima32, e di conseguenza scaccia dal circuito etico
senza possibilità – in particolare per l‟alienazione contro il proprio corpo,
poiché non passibile della pena che reintegra – di rientrarvi. Per cui il tragico
27 HEGEL, G.W.F., Scritti
teologici giovanili, trad. it. N. Vaccaro e E. Mirri, Napoli 1972, p. 393.
Per un ulteriore approfondimento circa la concezione della tragedia nell‟etico riportiamo anche
quanto scrive MENEGONI, F., in Soggetto e struttura dell’agire in Hegel, cit., p. 142: “Fuori di
metafora la tragedia nell’etico definisce una struttura caratterizzata da un‟opposizione radicale,
perché i lati che entrano in collisione, presi ciascuno per sé, hanno pari legittimità e tuttavia in
tanto sussistono in quanto ciascuno è negazione e violazione dell‟altra potenza ugualmente
legittima. Delle due parti dell‟eticità – l‟organica e l‟inorganica, come si esprime Hegel – ciascuna è
una vivente relazione con l’altra e l’una costituisce per l’altra il più serio destino”. Inoltre, cfr.
KUROTSCHKA, V. G., Etica, Guida, Napoli 2006, p. 127.
29 Cfr. MANCINA, C., Differenze nell’eticità, cit., p. 141.
30 Cfr. GESSA- KUROTSCHKA, V., Dimensioni della moralità. Etica e politica nella filosofia tedesca
contemporanea, Liguori, Napoli 1999, p. 131.
31 GESSA-KUROTSCHKA, V., Fondabilità dell’etica, cit., p. 20.
32 In riferimento all‟inviolabilità e indisponibilità della vita cfr. CODIGNOLA MONETI, M., L’enigma
della maternità. Etica e ontologia della riproduzione, Carocci, Roma 2008, pp. 17-18.
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è essenzialmente un eccesso di particolarità, una violenza del particolare al
funzionamento dell‟intero: “chi ha creduto di sopprimere una vita estranea ha
in realtà portato offesa alla vita che è in tutti e anche in lui; e poiché la vita è
immortale e non può essere soppressa in una individualità, il suo atto si rivela
essere in realtà una separazione dalla vita”33. La vita violata avanza in veste
ostile e maltratta nella misura in cui è stata maltrattata34, lì dove il destino si
presenta parimenti come reazione della vita stessa, di una forza che la
medesima azione individuale ha armato: è la colpa dell‟Antigone sofoclea, ma
anche di Creonte, di aver separato e contrapposto le due leggi. Ma separazione
dalla vita è anche la tragedia di Empedocle e il destino di Gesù: in un
parallelismo tra Hölderlin e Hegel, Mancina nota appunto l‟ambivalenza di
questo movimento di scollamento dall‟universale, che si capovolge non in
un‟estraneità, ma inversamente in un‟estrema interiorizzazione dello spirito
del proprio tempo, dove la morte – più che la vita – concilia e riunisce gli
estremi in lotta, toglie il limite della singolarità e produce maturazione
storica. Più complessa la sua figura e più difficile il suo destino rispetto a
quello di Empedocle, Gesù sacrifica la propria bellezza come unico modo di
riparare ad una colpa che è definita un‟impossibilità di fondersi con la vita, di
uscire dalla propria singolarità: agli occhi dei suoi discepoli egli si presentò
infatti solo come un individuo35.
L‟autocoscienza vivente è libera nella misura in cui è connessa in maniera
oggettiva a un tessuto etico che ne vincola l‟individualità, perché la libertà
che si dà sul terreno dell‟eticità non è più solo la libertà individuale, ma è
altresì libertà che si dà sul piano dell‟agire intersoggettivo e dei rapporti tra
individui. Il farsi natura della libertà ha il significato del suo realizzarsi in
modo da dar vita ad un sistema organizzato che “a differenza della natura, in
quanto espressione dello spirito, è in grado di riflettere sulla propria
organizzazione e divenire consapevole di sé”36. Ma la frattura posta tra la
natura e l‟eticità è essenziale per il cominciamento del negativo, del non
sapere sé nell‟altro, e quindi per il trasfigurare il momento naturale nello
spirituale. La soggettività libera hegeliana fallisce nel suo tentativo di
giustificare il proprio diritto e la propria pretesa di essere sola all‟origine di ciò
che essa riconosce come valido: “l‟esito del cammino che Hegel ci fa compiere
MANCINA, C., Differenze nell’eticità, cit., p. 36.
Cfr. HEGEL, G.W.F., Scritti teologici giovanili, cit., p. 393.
35 Ibidem, p. 309.
36 MENEGONI, F., Soggetto e struttura dell’agire in Hegel, cit., p. 105.
33
34
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Naturalità e corporeità nella filosofia di Hegel
per seguire il tentativo del soggetto libero di giustificare ciò che pretende di
affermare come vero è, dunque, negativo”37.
4. Il corpo: segno e linguaggio dello Spirito
Nell‟aprire la sezione dell‟Enciclopedia dedicata all‟Antropologia, l‟anima –
datasi ancora solo come principio formale del corpo - indica il cominciamento
dell‟umano a partire dalla sua strutturale naturalità. E ritornano i già citati
movimenti di interiorizzazione e desensibilizzazione che intervengono a
costituire l‟io nel configurarsi del rapporto corpo-anima: l‟anima nella filosofia
dello spirito compare infatti come uno spirito naturale, segnato dalla fisicità, e
conosce uno sviluppo graduale fino alla vittoria sulla sua corporeità, “quando
cioè il corpo vivente è abbassato a segno, a rappresentazione [Darstellung]
dell’anima”. Ha inizio così l‟avventura di un “mistero inconcepibile”38, quello
della “comunione dell’anima e del corpo”39 nello spirito finito. La filosofia della
natura concilia i suoi lati e si compie nella figura dell‟umano, in questo
medium che si agita tra la “tristezza della naturalità e la vita dello spirito”40,
nell‟esperienza originaria di un “dolore infinito”41: la fatica del concetto è
fatica dell‟uomo e della sua situazione reale, esperienza vissuta di una natura
che in seno al suo movimento contrae gli opposti nella morte, procedendo alla
vanificazione del nulla.
Il concetto di corporeità si inserisce entro l‟orizzonte hegeliano nel
momento in cui la consistenza materiale e la realtà spirituale si dispiegano
nella loro unione. Nel medesimo istante si è dentro la natura e già oltre: il corpo
svela la dualità di questa dialettica, per cui esso nasce in seno alla naturalità,
ma richiamato da un destino che lo emancipi dall‟astrattezza dell‟esteriorità
in forza della mediazione spirituale. L‟elemento corporeo entra nella
circolarità del movimento dello spirito per inverarsi – tramite questa
compenetrazione – tanto nell‟uomo, quanto nella persona come figura di cui il
diritto tutela l‟intangibilità del corpo. E siamo già all‟oggettivarsi dello
spirito.
37 GESSA-KUROTSCHKA, V.,
Etica, cit., p. 127.
HEGEL, G.W.F., Enciclopedia scienze filosofiche (1830), trad. it. V. Cicero, Rusconi, Milano 1996,
p. 651, nota § 389.
39 Ibidem
40 SEMPLICI, S., La Gott-werdung fra tristezza della naturalità e il lavoro dello spirito, in AA.VV.,
Incarnation, a cura di M.M. Olivetti, CEDAM, Padova 1999, pp. 591-603.
41 HEGEL, G.W.F., Enciclopedia, trad. it. V. Cicero, cit., p. 639, § 382.
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Ma c‟è dell‟altro. A un livello che potremmo definire etico e metafisico
insieme, Hegel introduce il corpo nel circuito dell‟amore. Nel trattare questa
parte dell‟antropologia hegeliana, Mancina colloca l‟amore in analogia alla
ragione, in quanto principio gnoseologico dal carattere empirico
fondamentale, tessuto di un rapporto etico tra gli uomini, precedente alla
legge morale, ma ad essa positivamente prossimo. La separabilità degli
amanti è, infatti, “portato irriducibile della corporeità”42, e il pudore lo
sdegno che l‟amore prova di fronte alla resistenza opposta all‟unificazione
dalla corporeità. È qui che possiamo osservare il triste epilogo di una natura
che si dà, tuttavia, come irriducibile: il corpo è di ostacolo alla unificazione, in
quanto è segnato dalla mortalità, in quanto soffre e patisce, poiché incarna, il
principio di individuazione. Superamento della separabilità del corpo è la
procreazione: nel figlio l‟unificazione stessa degli amanti è divenuta
inseparata43.
La generazione del figlio apre il pensiero a nuovi confronti: l‟esperienza
dell‟amore conduce all‟esperienza della maternità, a quell‟incontro esclusivo
con il corpo della donna che si fa madre: “la donna cambia nel volto” – si
legge in Pasternak –, e il “sottrarsi dell‟aspetto esteriore al controllo della
donna prende la forma di uno smarrimento fisico: il volto sbiadisce, la pelle
perde la finezza della sua grana e gli occhi acquistano una lucentezza diversa
da quella che lei vorrebbe”44. Entrare nella dimensione della maternità è,
infatti, “accettare che si compia, nel proprio corpo, qualcosa su cui non si ha
nessun controllo; qualcosa che il nostro corpo compie a nostra insaputa e, in
un certo senso, in forma di “tradimento” nei nostri confronti”45.
Tra la donna e il corpo che in lei si sviluppa c‟è, tuttavia, una dialettica
profonda – una compresenza di unità e dualità -, ma anche un‟ambivalenza,
la stessa rintracciabile nella natura quale madre di tutte le cose, che genera,
nutre e fa crescere, governa e accudisce, ma anche respinge, distrugge e
uccide. Ambivalenza della natura che diventa archetipo dell‟ambivalenza
della madre: “significati e coppie opposizionali attribuiti all‟agire della Madre
Natura transitano da questo quadro semantico a quello della raffigurazione
materna”46 umana. E il destino dell‟umanità trapassa dalle braccia di Maria a
Cfr. MANCINA, C., Differenze nell’eticità, cit., pp. 81-83.
Ibidem, p. 87.
44 PASTERNAK, B., Il dottor Zivago, trad. it. Zveteremich, P., Feltrinelli, Milano 2005, p. 305.
45 CODIGNOLA MONETI, M., L’enigma della maternità, cit., p. 85.
46 Ibidem, p.70.
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Naturalità e corporeità nella filosofia di Hegel
quelle di Medea, e viceversa, dalla dolcezza spirituale dell‟accogliere al
dominio del biologico, del nudo potere di dare o negare la vita, in una
dimensione in cui il corpo della donna-madre è anzitutto strumento e
contenuto primario dell‟alfabetizzazione affettiva47e cognitiva di ogni
individuo; è il sorgere della prima relazione, della relazione primaria, fondante
tutte le altre, diretta ad influenzare l‟intera vita psichica della futura persona.
Dall‟amore degli amanti, alla procreazione del figlio come superamento
dell‟individualità che la fisicità porta con sé, alla visione del corpo di madre
che si fa linguaggio affettivo, il ritorno è all‟esperienza dell‟amore primario,
che suscita la capacità di amare in generale, e che rende capaci di istituire
anche con gli altri individui rapporti affettivi di varia natura. Senza questo
apprendimento preverbale la mente umana rimarrebbe in un caos di spinte
ingovernabili, per cui nella figura del corpo della madre è il sorgere della vita
nel suo doppio binario: biologico e biografico insieme.
5. Fisicità psichica e natura seconda
Nel processo di individuazione antropologica del corporeo, particolarmente
rilevante risulta essere la sfera della scienza psichica, ovvero di ciò che tende
ad interpretare il duplice movimento dello spirito, tra il sistema dei sensi in
relazione con il mondo e il loro ricadere spirituale come manifestazione in cui
il corpo – inteso come Leib – si dona la vita, umanizzandosi: è Hegel stesso a
notare come l‟aspetto più interessante di una fisiologia psichica dovrebbe
essere la considerazione della somatizzazione48 che le determinazioni spirituali
conferiscono a se stesse specialmente nella qualità di affetti, e che
bisognerebbe comprendere “i nessi più noti mediante cui, a partire dall‟anima,
si formano il pianto, la voce in generale, e, in particolare, il linguaggio, il riso,
il sospiro”49.
In questo passaggio dell‟Antropologia, dedicato all‟anima ancora naturale,
Hegel individua i tratti della scienza moderna, tesa a scomporre e ridurre, ma
non a riprendere per unire in sintesi la fluidità di quel movimento che primo
tra tutti caratterizza l‟umana capacità di esprimersi e comunicarsi. Se da un
lato, infatti, il corpo dell‟uomo rimane subordinato alla necessità naturale e
imbrigliato alla tirannia di stimoli esterni, quali i condizionamenti geografici,
Ibidem, p. 75.
Cfr. HEGEL, G.W.F., Enciclopedia, trad. it. V. Cicero, cit., p. 667, nota § 401.
49 Ibidem, p. 667, nota § 401.
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climatici, e non da ultimi quelli del tempo - dal susseguirsi delle età della vita
all‟alternarsi della veglia con il sonno -, dall‟altro il tessuto corporeo non è una
barriera, ma è la possibilità esterna di una rivelazione interiore. In questo
senso è da intendersi come limite – Grenze -, ad indicare proprio la linea
d‟orizzonte che esso costituisce, dove “si riverbera la profondità di un interno
sulla superficie dell‟esterno”. In particolare, ci sono “parti del corpo come la
testa, il volto, gli occhi che più di ogni altra lasciano trasparire questa
profondità dello spirito”, a testimonianza non solo del “pulsare dello psichico
nel fisico”, ma soprattutto della “relazione magica” – che intercorre - “tra
anima e corpo”50. La magia di questa relazione per permanere ha però anche
bisogno che l‟uomo sia educato a un esercizio di autogoverno, di affinamento
tecnico ed elasticità del proprio corpo ad adattarsi alle cangianti forme del
Geist: questa capacità dello spirito di assumere su di sé il movimento della vita
si concretizza attraverso la forza di fissazione, di stabilizzazione, producendo
una seconda natura nell‟abitudine51. In questo passaggio si paventa parimenti
il rischio della follia e quindi la necessità del progresso dialettico che da
quest‟ultima conduca all‟abitudine: se la follia è infatti la fissazione
dell‟anima a dei modi ancora primitivi dell‟instaurare rapporti con il proprio
altro, si dà pure il costituirsi “di una sorta di alienazione buona, che tramite
l‟abitudine porta al costituirsi della seconda natura dell‟anima reale”52.
Nell‟Enciclopedia Hegel definisce “l‟abitudine, come pure la memoria, un
punto difficile nell‟organizzazione dello spirito: l‟abitudine è il meccanismo di
autosentimento, così come la memoria è il meccanismo dell‟intelligenza”, e
sottolinea come giustamente l‟abitudine sia una seconda natura, in quanto
esprime la determinatezza del sentimento divenuta un qualcosa di
meccanico53: l‟abitudine è la prima forma di un escamotage che l‟uomo attiva
per sottrarsi all‟altrimenti estenuante coinvolgimento nella gestione della sua
corporeità, “il primo meccanismo autenticamente spirituale in quanto
determinarsi di un comportamento la cui ragione è nella ricchezza della realtà
spirituale, che si consolida nell‟attitudine dell‟anima”54.
A questo proposito è importante sottolineare – proprio a marcare la
centralità di questo processo psichico – la ripresa dell‟espressione di seconda
BONITO OLIVA, R., L’individuo moderno e la nuova comunità, cit., p. 82.
Ibidem, p. 80.
52 KOBAU, P., La disciplina dell’anima, cit., p. 277.
53 HEGEL, G.W.F., Enciclopedia, trad. it. V. Cicero, cit., p. 691, nota § 410.
54 BONITO OLIVA, R., L’individuo moderno e la nuova comunità, cit., p. 132.
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Naturalità e corporeità nella filosofia di Hegel
natura da parte di Gerald M. Edelman, in relazione alla scienza del cervello e
alla conoscenza umana, in un orizzonte in cui viene ad indicare proprio “un
atto compiuto spontaneamente, con facilità e senza che sia necessario uno
sforzo né una fase di apprendimento”55. Il processo dell‟abitudine combina
l‟adattamento e l‟interazione del corpo al contesto ambientale, aggiungendo
alla natura prima i prodotti della nostra seconda natura, ovvero “l‟insieme
delle percezioni, dei ricordi e degli atteggiamenti individuali e collettivi”56,
quella conoscenza quindi del senso comune ereditata dall‟esperienza
quotidiana. La questione che ne nasce è se questa seconda natura possa essere
spiegata scientificamente: onde evitare meri riduzionismi etici, l‟esito non solo
è improbabile, ma non è nemmeno desiderabile.
Diversa ma pur sempre collegata al tema dell‟abitudine, è in Hegel la natura seconda dello spirito ormai fattosi oggettivo: l‟eticità è, infatti, il compimento dello spirito oggettivo, dove la libertà consapevole di sé è divenuta natura. Siamo nel processo di liberazione dello spirito, che è sempre processo storico: la meccanicità di un movimento che nella sezione antropologica poteva
finire per irretire la soggettività dell‟anima, cresce nella sua eticità quando diviene sostanza condivisa e partecipata da tutti gli uomini.
Il fine della ragione consiste nel rimuovere la semplicità della natura, data
dalla passività propria dell‟assenza del per sé, e la rozzezza iniziale del volere,
quell‟immediatezza, cioè, in cui lo spirito è immerso prima di formarsi: la civiltà in quanto educa i propri soggetti, “è la liberazione e il lavoro della liberazione superiore: essa è l‟assoluto punto di passaggio verso la sostanzialità etica
spirituale, infinitamente soggettiva, che è al tempo stesso elevata alla figura
dell‟universalità”57. Il lavoro è contrapposto “alla mera soggettività del comportamento, all‟immediatezza del desiderio, come pure alla vanità soggettiva
del sentimento e all‟arbitrio del capriccio”58: è con il duro lavoro che l‟uomo si
restituisce come tale, negando la naturalità della natura e la propria passività
di fronte ad essa e sostituendola, infine, con la sua di natura, natura seconda,
mondo dello spirito prodotto dallo spirito stesso59. E da questo lato il discorso
sembra restituirsi nella sua interezza: la libertà che si andava ricercando coincide con la riflessione dello spirituale in se stesso, nella sua distinzione dalla
EDELMAN, G.M., Seconda natura. Scienza del cervello e conoscenza umana, Raffaello Cortina
Editore, Milano 2007, p., XVII.
56 Ibidem, p. 62.
57 HEGEL, G.W.F., Lineamenti di filosofia del diritto, trad. it. V. Cicero, Rusconi, Milano 1998, nota
§ 187.
58 Ibidem.
59 Ibidem, § 4.
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natura e nella sua azione riflessa sulla natura stessa. E, tuttavia, la seconda
natura quale momento necessario, non è però conclusivo del nuovo mondo
dello spirito. L‟insistenza con cui Hegel sottolinea il principio moderno della
soggettività comporta che l‟individuo abbia diritto e rivendichi il diritto ad
una libertà partecipata da tutti: “l‟oggettività, il terreno della spiritualità,
non può esaurire la riserva soggettiva dello spirito come sostanza che si fa
soggetto, ma permane come fondo del farsi oggettivo, istanza là dove ogni determinazione della volontà non esaurisce la spinta negativa del volere, ma richiama ancora ad un dover essere”60. In altri termini, bisogna chiedersi fino a
che punto la natura seconda “mantenga la sua specificità come struttura
dell‟organizzazione della vita umana comunitaria, destinata a rifrangersi in
una molteplicità di prospettive nella concreta storia della civiltà moderna,
fondata sul principio della libertà”61. È con il mondo dello spirito che si completa la destinazione dell‟uomo. Lo strappo dalla natura ha portato, in forza
del bisogno e del tormento della scissione, a giungere al regno dell‟oggettivo,
di ciò che viene opposto e messo di contro all‟immediatezza: il bisogno è originario, appartenente all‟essere della vita, dato dalla dualità che si trova nella
unità della vita; cosicché la vita ha l‟oggettività come suo mondo, e tuttavia,
come il suo opposto, il suo altro62.
Con il corpo l‟uomo si “procura”63 il mondo, lo penetra con le sue mani e
se ne appropria, togliendo all‟oggetto la sua natura specifica e facendone un
suo mezzo. Il dolore infinito da cui la seconda natura è emersa si riconverte infine senza residui nello strutturarsi della volontà singola come libertà.
La traiettoria seguita conduce a una prospettiva in cui gli esseri umani
sperimentano il passaggio continuo dalla passività biologica all‟attività eticomorale, per cui da un lato il corpo rimane impigliato nella necessità, ma
dall‟altro si emancipa attraverso le scelte e le valutazioni propriamente umane, che attengono tanto all‟autocoscienza come prodotto dello spirito, quanto
alla mente come insieme di processi complessi, perlopiù illuminati dalla libertà
del volere e non guidati solamente da automatismi meccanici. L‟aggancio alle
scienze empiriche della vita lascia emergere non solo il movimento di umanizzazione del naturale, ma anche il naturalizzare ciò che umano, in uno spazio
BONITO OLIVA, R., L’individuo moderno e la nuova comunità, cit., p. 142.
Ibidem, p. 140.
62 MARCUSE, H., L’ontologia di Hegel e la fondazione di una teoria della storicità, trad. it. Arnauld, E.,
La Nuova Italia, Firenze, p. 193.
63 Ibidem, p. 192.
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Naturalità e corporeità nella filosofia di Hegel
concettuale capace di considerare la fisicità nella sua immanenza, promuovendo la figura del corpo come un medium, che riprende e concilia i suoi estremi, in una catarsi che restituisce la natura nello spirito, donandole un linguaggio.
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