Ancora sul linguaggio politico
Grillo

Cornice: guerra alla politica


Nomignoli per gli avversari






Siamo in guerra, Arrendetevi, siete circondati
Psiconano (Berlusconi), Topo Gigio (Veltroni), Alzheimer (Prodi), Salma
(Fassino e poi Napolitano),Azzurro Calatgirone (Casini), “il nano
Bagonghi con gli occhialini rossi” (Maroni)i media sono barracuda, Monti
è Rigor Montis, Bersani: Bersanator (zombi), un morto che parla
Critica del linguaggio della politica, definito oscuro, contorto e fuori
della realtà, semplificazione
Teatralizzazione, messa in scena degli eccessi
Metaforica morte/vita (tipica del vitalismo e del totalitarismo), bellica:
traditori, cadere in trappola, ecc.
Fallacie dell’argomentazione: ad hominem, inversione dell’onere
della prova
Nascondimento e silenzio (Oracolo: “non dice né nasconde ma
manda segni”), R. Simone, «Repubblica», 14.3.2013
Fedel, Il concetto di demagogia, in Id. Saggi sul
linguaggio e l’oratoria politica, Giuffrè, 1999:
161-180



Struttura uno/molti: la demagogia ha una struttura oratoria obbligata
a due poli: l’oratore e l’uditorio: uno che parla e molti che ascoltano.
funzione motivante del linguaggio. Nella situazione demagogica
l’efficacia del discorso non dipenderà dai contenuti di verità, dalla
razionalità o dalla validità logica delle parole, ma dal fatto che esse
sappiano stimolare in modo adeguato il complesso motivazionale
degli individui (valori, sentimenti, interessi, credenze) per
controllarne l’agire. Ne deriva: semplificazione, illogicità, indifferenza
alla verità, drammatizzazione.
L’emotività come requisito della ricezione del linguaggio. I
sentimenti fanno parte delle componenti motivazionali dell’agire, di
conseguenza il discorso del demagogo farà presa anche (e
soprattutto) sui sentimenti per produrre gli effetti voluti.
Ritorno al quadro formale
dell’enunciazione
2. Indici di ostensione
Aggettivi dimostrativi e avverbi di spazio e di tempo (deittici < deiknymi)
Equivalgono a un gesto che designa l’oggetto nel momento in cui
viene prodotta l’enunciazione;
I dimostrativi hanno la funzione di ordinare lo spazio a partire da un
punto centrale che è ego
Sono organizzati in modo da riprodurre la correlazione di soggettività
(questo/codesto: io/tu) e di personalità (questo/quello: tu,io/egli);
Il loro significato è recuperabile solo a partire dalla situazione di
enunciazione.
Lo stesso vale per gli avverbi di spazio (qui/là: io/egli), e di tempo
(ora/allora)
3. Tempo
Il linguaggio e l’esperienza umana (1965)
“ Tra le forme linguistiche rivelatrici dell ’ esperienza
soggettiva le più ricche sono quelle che formano il
tempo, difficili da esplorare per le trappole dello
psicologismo”.
Tre accezione del tempo
1. Tempo fisico: continuo uniforme e infinito, caratterizzato
da linearità e irreversibilità, che può essere segmentato
a piacere; durata infinitamente variabile e relativa al
sentire di ciascun individuo
2. Tempo cronico: tempo degli avvenimenti e degli orologi;
tempo oggettivato e socializzato; irrigidito nella storia,
può essere percorso in avanti e indietro.
Tratti ordinatori del tempo cronico:
1.
2.
3.
Condizione stativa (fissazione di un punto zero, momento assiale)
Condizione direttiva: opposizione prima/dopo
Condizione misurativa: repertorio di unità (giorni, mesi, anni) per misurare
l’intervallo tra gli eventi
3.
Tempo linguistico: “ forma di organizzazione
dell’esperienza, punto di vista proiettato sul tempo non
linguistico ” (Manetti, 2008:36), legato all ’ uso della
parola. Si definisce in funzione del discorso: il presente è
il tempo in cui si parla (cfr. La soggettività nel linguaggio,
1958).
È attraverso la lingua che si manifesta l’esperienza umana
del tempo. La temporalità non è dunque una condizione
innata del pensiero (vs Kant), ma è “prodotta all’interno
e per mezzo della enunciazione”.
Tempo linguistico
Presente: asse della istanza del discorso
Non più presente
Non ancora presente
Il presente è per sua natura implicito
I tempi non-presenti (passato e futuro) sono sempre esplicitati
Caratteri del presente linguistico

Il presente è il tempo assiale

Il suo ancoramento è il linguaggio: espressione del
tempo coestensivo alla situazione di enunciazione

Il presente linguistico non ha alcuna realtà oggettiva
esterna, ma è sui-referenziale
Le relazioni di tempo nel verbo francese (1959), in
Problemi di linguistica generale, Milano, 1990, pp. 269282
Storia e discorso sono due distinti sistemi temporali
linguistici:
L’enunciazione discorsiva è quella in cui i fatti sono temporalmente
individuati in riferimento al presente dell’atto di enunciazione
L ’ enunciazione storica è quella in cui i fatti sono individuati
temporalmente senza riferimento al presente dell’atto enunciativo.
I due tipi di enunciazione costituiscono due modalità attraverso le quali
la lingua dà forma all’esperienza; la lingua non è un calco della
realtà, ma una forma di organizzazione della realtà.
Due forme di enunciazione
(Benveniste)
Io-Tu
Discorso
deittici
Tempo
Presente
Egli
(non-persona)
Storia
Forme anaforiche
Aoristo
(tempo indefinito)
Futuro
semplice
Passato
prossimo
Prospettivo
trapassato
Enunciazione discorsiva
“ Ogni volta che un parlante impiega la forma grammaticale del
“ presente ” (o un suo equivalente) situa l ’ avvenimento come
contemporaneo all ’ istanza del discorso che lo menziona. È
evidente che questo presente, in quanto funzione del discorso, non
può essere collocato in una particolare divisione del tempo cronico,
perché le ammette tutte e non ne richiede nessuna. Il parlante situa
come “presente” tutto ciò che considera tale in virtù della forma
linguistica impiegata” (Il linguaggio e l’esperienza umana, p. 41)
Enunciazione storica
“Perché i fatti sopravvenuti in un certo tempo possano essere registrati
come fatti avvenuti, devono appartenere al passato. Senza dubbio
sarebbe meglio dire: dal momento che sono registrati ed enunciati in
un ’ espressione temporale storica, essi si trovano caratterizzati
come passati. L’intenzione storica costituisce certo una delle grandi
funzioni della lingua: vi imprime la sua temporalità specifica” (PLG:
285).
Il tempo della storia è il tempo dell’avvenimento al di fuori della
persona di un narratore (p. 287), fatto che dà l’impressione che non
vi sia neanche un narratore. “ Nessuno parla, gli avvenimenti
sembrano raccontarsi da soli”.
Il tempo della storia





aoristo (passato remoto)
imperfetto (compresa la forma condizionale)
piuccheperfetto (trapassato prossimo).
Il presente è escluso, ammesso solo nella forma del presente atemporale, il
“presente di definizione”.
Futuro prospettico: “I Romani conquistarono militarmente la Grecia, ma
questa avrebbe in seguito conquistato culturalmente Roma”; “Colombo
scoprì l’America nel 1492; di lì a poco doveva esplodere l’era delle grandi
scoperte geografiche”.
Effetti di senso:
Nella storia gli avvenimenti sembrano raccontarsi da sé:
strategia della distanza
Il tempo del discorso

Presente
Futuro
Perfetto (legame tra l ’ evento passato e il presente; il
riferimento temporale è il momento presente)
Imperfetto

Escluso l’aoristo



Effetti di senso
Il discorso coincide con l’atto di enunciazione:
strategia della complicità
Weinrich, Tempus, 1964

Le forme temporali sono segni linguistici a disposizione del
parlante perché questi possa manovrare in una molteplicità di
sfumature l’atteggiamento ricettivo dell’ascoltatore

la funzione dei tempi non è soltanto quella di fornire
informazioni cronologiche, ma di indicare l ’ atteggiamento
comunicativo che si intende adottare in una particolare
situazione

Due diverse modalità di enunciazione di un fatto: narrazione e
commento; chi racconta istituisce per ciò stesso un proprio
tempo, il tempo narrato, qualitativamente distinto dal tempo
commentato.
Due macro-strategie
enunciative
soggettiva
oggettiva
Stile soggettivante: l’enunciatore si manifesta in modo più marcato ed
esplicito, orientando l’informazione da uno specifico punto di vista.
Stile oggettivante: tende a presentare l ’ informazione senza, almeno
apparentemente, intermediazioni soggettive
Strategie di cancellazione
dell’origine deittica


Eliminazione della prima persona: distinzione tra
enunciatore e locutore (Goffman, 1979: footing)
Narrativizzazione
Effetti:


oggettivizzazione del discorso (rafforzamento)
Indebolimento del soggetto narrante
Embraiato
soggettivo/oggettivo
Embraiato soggettivante:
Detesto la pratica pubblicistica di anticipare giudizi che competono ad
altri, nel diritto come nella morale religiosa. Ma mi sembra corretto
ricordare ora come in Italia, negli ultimi anni…. (Editoriale)
Embraiato oggettivante:
Sono uscito di casa alle 8.15 e mi sono diretto verso il parcheggio. Ho
preso la macchina e sono andato in ufficio. La porta della stanza era
aperta, e il pavimento ingombro di fascicoli aperti… (Verbale di
denuncia)
Debraiato
soggettivo/oggettivo
Debraiato soggettivante
Uno dei due grandi eserciti romani era già sbarcato nella Spagna e si
era incontrato col nemico […] l’esitazione romana in questa circostanza
fu vantaggiosa, e quando giunse l’ordine del senato di
accorrere…(Mommsen, Storia di Roma antica)
Debraiato oggettivante
La relazione di congruenza tra due segmenti permette di ripartire
l’insieme di tutti i segmenti congruenti tra loro (Manuale scolastico)
Cfr. D. Antelmi, Comunicazione e analisi del discorso, Utet, 2012.
Possibili applicazioni
L’enunciazione nel giornale

Ogni giornale, in quanto discorso, istituisce dei soggetti della
comunicazione: enunciatore ed enunciatario

Distinzione tra i soggetti empirici (giornalisti e lettori) e i loro simulacri
nel testo

Patto di fiducia tra il giornale e i suoi lettori:



strategia di autorappresentazione della propria immagine e come voce che
indica al lettore come interpretare la pluralità delle notizie
Costruzione di una immagine complementare dei lettori
Le tracce della enunciazione sono sempre rinvenibili, in modo più o
meno esplicito, all’interno del testo
Istituzione dei soggetti della
comunicazione giornalistica
Ducrot, Les mots du discours, Minuit, Paris, 1980:56:
“Si tratta della costruzione, nel discorso, del locutore e dell’allocutario.
Gli psicolinguisti e i sociolinguisti hanno talvolta notato che si può,
parlando, costruire un’immagine di sé e della persona a cui si parla,
immagine che l ’ interlocutore sia accetta, sia rigetta: uno dei
principali mezzi di questa costruzione è proprio la possibilità, iscritta
secondo noi nella lingua, cioè nella significazione di parole e frasi, di
far sì che voci diverse si esprimano, dando l ’ istruzione di
identificarle con degli esseri della realtà – e specificandone persino
certe istruzioni da osservare in questa identificazione”.
Cfr. nozione di Debrayage in Greimas
Soggetti empirici e soggetti
simulacrali
E. tore
Emittente
empirico
E.tario
Testo
E.tore
E.tario
Ricevente
empirico
Contratto di lettura
Progetto redazionale
=
Mondo costruito
Dispositivo d’enunciazione
=
Relazione E.tore/E.tario
Livello di manifestazione
Temi
=
Contenuto
Simulacri
=
Le marche formali
Cfr. Manetti, L’enunciazione, Mondadori, 2008: 163-5
Racconto e discorso

Il giornale deve rispondere a una doppia
aspettativa dei suoi lettori:

Una di tipo sintagmatico, che tende a instaurare legami logiconarrativi tra il fatto del giorno e quelli dei giorni precedenti (per
ricucirli in una narrazione unica);

Una di tipo paradigmatico, legata al fatto che il giornale si
presenta come un soggetto riconoscibile nello spazio
dell’informazione.

A tal fine il giornale deve compiere due operazioni concomitanti:



Offrire un racconto sul mondo esterno, facendosi narratore degli eventi
che accadono (piano oggettivo)
Tenere un discorso al suo destinatario, ripresentarsi ad esso in modo
costante e riconoscibile, ponendo l’accento sulla propria esistenza
(piano soggettivo)
Ogni testata costruisce la propria immagine e il proprio “contratto di
lettura” con i suoi lettori trovando una propria personale misura nella
tensione necessaria tra racconto e discorso, tra oggettività e
soggettività, tra sintagma e paradigma (Marrone, 2001: 79-80)
Scrittura soggettiva e oggettiva

Un inviato può scrivere il proprio rapporto in prima persona, mettendo in
evidenza le proprie reazioni emotive e le difficoltà incontrate: narrazione
soggettiva (forma discorso, per Benveniste)

Oppure presentare i fatti in modo più neutrale e in terza persona, come se il
racconto degli avvenimenti si facesse da sé, orientandolo in una prospettiva
più oggettiva (forma storia, per Benveniste). Effetto di discorso realistico dato
dall’assenza delle marche di prima persona.
 Incroci: scrittura soggettiva in una testata caratterizzata da stile
oggettivante; scrittura oggettiva (assenza di firma in un editoriale)
in una testata caratterizzata da stile soggettivante.
Semiotica del quotidiano
Landowski 1989
Tempo sociale oggettivato (funzione informativa, narrazione episodicità del racconto)
Tempo vissuto del discorso (costruzione di identità sociali - periodicità
del discorso)
Stile Le Monde
Giornali più oggettivi, costruiti in modo da espandere il racconto e
contrarre il discorso (Le Monde e CdS: modello giornalistico
tradizionale); costruzione di un lettore distaccato dalla propria
soggettività: oggettivazione del mondo colto come oggetto di
conoscenza e campo d’azione
Funzione referenziale e informativa
Lettore Modello: dirigente, alto funzionario, ecc.: uomo d’azione e
cittadino del mondo
Stile Libération
Giornali più soggettivi, in cui l’informazione è sempre esplicitamente
filtrata attraverso il punto di vista del giornale, in modo che il discorso
tende a prevalere sul racconto: strategia della complicità, legami
intersoggettivi che legano i protagonisti della comunicazione:
giornalisti e lettori. Dal punto di vista dell’impaginazione e delle
sezioni, sembra che Libération riscriva Le Monde rovesciando
l’ordine: sostituzione del locale al mondiale .
Funzione fatica
Tono derisorio nella descrizione dei fatti ritenuti importanti (politica
nazionale e internazionale);
Assunzione seria delle vicende dei cittadini comuni: inchieste,
testimonianze dirette e interviste
Lettore Modello: giovane cittadino
Strategie enunciative
a) Strategia della complicità: costruzione del destinatario
come co-enunciatore (Stile Liberation)



Costruzione di un soggetto che prende la parola in prima persona,
l’enunciatario stesso viene fatto parlare e rappresentato come
enunciatore
dialogo tra enunciatore e enunciatario, attraverso il quale si istituisce
una comunità di valori condivisa
noi inclusivo (io+tu)
Riduzione della distanza sociale
Sul
piano della testualità: preferenza per la funzione ludica e fatica
(brillantezza)
Sul
Sul
piano comunicativo: scelta di forme dialogiche e informali
piano linguistico: ricorso all’italiano medio, con elementi marcati
verso il basso e verso l’alto, e alle sue varietà giovanili (vivacizzazione)
b) Strategia della distanza (stile Le Monde)
1. Distanza pedagogica


differenza tra enunciatore ed enunciatario: il primo tiene a distanza il secondo:
guida, mostra, spiega, consiglia; l ’ enunciatario è rappresentato come un
soggetto che ascolta, capisce, trae profitto dai consigli;
Universo del discorso fortemente gerarchizzato
2. Distanza non pedagogica


l’enunciatore si limita a produrre delle affermazioni sul registro impersonale:
non ci sono marche di interpellazione, ma discorsi costruiti alla terza persona
come avviene nel genere del reportage oggettivizzato;
non sono presenti nemmeno gerarchizzazioni dell’universo del sapere, ma si fa
piuttosto ricorso a una giustapposizione non classificatoria dei temi
Vedi anche analisi di Veron dei periodici francesi femminili: Cosmopolitan,
Biba, Marie-France (S. Fischer e E. Veron, Teoria della enunciazione e
discorsi sociali, in Semprini, Lo sguardo semiotico, Angeli, 1992: 143-167):
Marie-France:
a) «Preparate con calma la loro ripresa scolastica»
giudizio di apprezzamento condiviso: «è bene preparare con calma la
ripresa scolastica»
Modalità: interpellazione esplicita (II pers.plur.; modo imperativo)
è possibile prepararla con calma, la rivista si impegna a fornire
indicazioni su come farlo
-> strategia della distanza pedagogica
b) «Ragazzi: quelle che preparano la ripresa scolastica con calma»
tematizzazione: Ragazzi (come una rubrica)
assenza di marche di interpellazione: III pers.
modalità descrittiva, non ingiuntiva
-> strategia della distanza non-pedagogica
c) «Ripresa scolastica: lei è calma, io per niente»
Ancora stile rubrica: Ripresa scolastica
il pronome lei, a cosa fa riferimento? È una ripresa anaforica della
prima parte oppure è un secondo co-enunciatore?
opposizione tra lei e io nella seconda parte
-> strategia della complicità
Veron, p. 166: «una lettura che mette in rilievo le relazioni che il discorso
costruisce tra enunciatore e co-enunciatore è una via per superare la staticità
propria delle analisi del contenuto tradizionali».
In pubblicità
Strategia oggettivante, distanza indefinita (non pedagogica)
«Il
caffè è un piacere. Se non è buono, che piacere è?»
«Dove c’è Barilla c’è casa»
«Dash. Più bianco non si può»
«C’è la birra e c’è la Grölsch»
«Grana Padano. Formaggio d’autore»
Strategia della distanza istituzionale (embrayage)
«Crediamo
nell’Italia e nel futuro delle famiglie e delle imprese» (Banca
Popolare di Bari)
Strategia di ammiccamento
«Come
te. La prima assicurazione che non ti vede così» (Genertel)
«Quanti soldi butti via con il tuo conto?» (Conto arancio)
«Chiamami Peroni, sarò la tua birra»
«E tu di che Lumberjack sei?»
«Fai vedere chi sei» (Ministero della Istruzione)
Strategia di prossimità
«Con
il nostro Mobile Banking hai più tempo anche per fare jogging»
(Unicredit)
Strategia di complicità
«Il
nome. L’unica cosa che so di lei. Ma sento che tra poco la sento»
(Cercafacile Omnitel)
«Affidiamoci ai nostri valori» (Banca del Sud)
Cfr. Marmo, L’instabile costruzione della identità aziendale in rete, in
«Versus», Quaderni di studi semiotici 94-96, 2003, pp. 135-147
4.Forme della illocutività
Forme di tipo verbale che realizzano un atto attraverso l’uso del linguaggio.
Dal momento che si serve della lingua per influenzare il comportamento
dell ’ enunciatario (pragmaticità generale: capacità del linguaggio di agire
sull’interlocutore), l’enunciatore dispone, a tal fine, di un apparato di funzioni:



Interrogazione: enunciazione costruita per suscitare una “risposta”
Intimazione: ordini, richieste, realizzati da categorie come l’imperativo e il vocativo
Asserzione: comunicazione di certezza
Testi di riferimento:
Della soggettività nel linguaggio, 1958
L’apparato formale della enunciazione, 1970
La filosofia analitica del linguaggio, 1963

Interrogazione: enunciazione costruita per suscitare una “risposta”,
tramite un processo linguistico che
anche un processo di
comportamento a doppia entrata

Le forme della intimazione (ordini, richieste, realizzati da imperativo,
vocativo) implicano un rapporto vivo e immediato dell’enunciatore
con il partner, in un riferimento necessario al momento della
enunciazione.

Meno evidente, forse, ma sicura, è l’appartenenza dell’asserzione a
questo repertorio. Nel suo andamento sintattico, come nella sua
intonazione, l’asserzione tende a comunicare certezza; è la
manifestazione più comune della presenza del locutore nella
enunciazione (p. 123-124).
5. Modalità epistemica
Indica l’atteggiamento assunto dal parlante nei confronti dell’enunciato;
L’impegno (hedging) sul contenuto dell’enunciato può essere espresso con
diversi gradi di forza e certezza, che vanno dalla 1) fattualità
(l’affermazione è data come reale), alla 2) non fattualità (il parlante
sospende il giudizio) alla 3) controfattualità:
1)
Mario è laureato
2)
Mario probabilmente (forse) è laureato
3)
Mario sarebbe laureato (se avesse fatto l’università, sarebbe laureato)
Verbi modali
Della soggettività del linguaggio, p. 116:
“In generale, quando uso il presente di un verbo nelle tre persone […], la
differenza di persona non sembra comportare alcun mutamento di
significato nella forma verbale coniugata. “Io mangio, tu mangi, egli mangia
hanno in comune il fatto che la forma verbale presenta la descrizione di
un’azione, attribuita rispettivamente, e nello stesso identico modo, a io, tu,
egli.[…]. Quando dico “io soffro” descrivo il mio stato presente. Quando
dico “sento (che il tempo sta per cambiare)”, descrivo una sensazione che
mi coglie.
Ma un gran numero di verbi sfugge a questo permanere del significato nel
mutare delle persone. Ma cosa succederebbe se al posto di “sento” dicessi
“credo che il tempo sta per cambiare”?…Posso considerare “credo” come
una descrizione di me stesso allo stesso titolo di sento?
(Sequenza parzialmente modificata)
Credo: verbo modale o epistemico o di atteggiamento proposizionale
Consideriamo ancora i seguenti enunciati:



“Siete, suppongo, il signor X”;
“presumo che Giovanni abbia ricevuto la mia lettera”;
“ha lasciato l’ospedale, ne deduco che è guarito”.
Queste frasi contengono verbi operazionali: “supporre, presumere, dedurre” sono
altrettante operazioni logiche. Ma “ suppongo, presumo, deduco ” , alla prima
persona, non si comportano allo stesso modo di “ragionare, riflettere”, che però
sembrano molto simili. Le forme “io ragiono, io rifletto” mi descrivono nell’atto di
ragionare, di riflettere. “suppongo,presumo, deduco” sono tutt’altra cosa” sono
indicazioni di un atteggiamento non la descrizione di una operazione, implicano
che assumo un certo atteggiamento nei confronti dell’enunciato che segue.
Questi verbi sono infatti tutti seguiti da che e da una proposizione: è quest’ultima il
vero enunciato, non la forma verbale che la regge. Questa forma verbale è un
indicatore di soggettività. Dà alla asserzione che segue il contesto soggettivo –
dubbio, supposizione, inferenza – che caratterizza l’atteggiamento del parlante
rispetto all’enunciato che proferisce (ibid.)
Supporre, presumere, dedurre sono verbi modali o epistemici (come credere), detti
anche predicati di atteggiamento proposizionale (come essere orgoglioso di, cfr.
Caffi, pp. 16-17): espressione dell ’ atteggiamento del parlante rispetto alla
proposizione retta da che o da di (anche: essere contento, deluso, ecc.).
Convertono l’asserzione in una enunciazione soggettiva.
Altre forme della modalità o
modulazione

Modi verbali: condizionale, congiuntivo, esprimono l’atteggiamento
dell’enunciatore rispetto a ciò che enuncia (ad esempio augurio,
desiderio)

Forme fraseologiche: forse, senza dubbio, probabilmente, che
indicano incertezza, possibilità, indecisione ecc. (L ’ apparato
formale dell’enunciazione, p. 123)
Altri indicatori di mitigazione
Risorse linguistiche che attenuano la certezza o la perentorietà di determinati
concetti o asserzioni e collocano il parlante in una posizione di apertura
rispetto all’interlocutore o al contesto, segnalano cioè la disponibilità a
negoziare le proprie affermazioni con l’uditorio:

Orientate al parlante (oltre ai Verbi di atteggiamento: penso,
suppongo, deduco..)




Orientate all’interlocutore




Non sono un esperto, ma..
vorrei dire una cosa
Forme sintattiche interrogative (e uso del no? nella chiusura di una frase o di un
discorso).
Se non ho capito male
Se non le dispiace
Ho ancora soltanto alcune osservazioni
Legate alla rilevanza di certe parti del testo


Elementi frasali (una sorta di, in un certo senso, una specie, per modo di dire,
per così dire)
Elementi verbali (sembra che, si dice che)
Indicatori di assertività



Forme avverbiali: certamente, assolutamente
Elementi verbali: è facile constatare che, è evidente che, tutti
sanno che, Appare piuttosto chiaro che…
Forme sintattiche dichiarative
Effetto di senso: perentorietà e chiusura
Esempi: credere e pensare
(modalità epistemica)
Berlusconi a Gallipoli (2001)
Rutelli a Cernobbio (2001)
Credevamo che bastasse
Contesto narrativo; implicazione:
ci siamo sbagliati

Credo che possiamo trovare
una sintesi

Credo che qui noi dobbiamo
ammettere

Credo che questo non fosse
mai accaduto

Credo che sia logico attribuire
la responsabilità
Contesto apparentemente
negoziabile che di fatto
presenta un’asserzione
caratterizzata da certezza
(rinvio alla logica, dunque alla
necessità)

Credo che dovrete
Il futuro orienta in senso didattico
e imperativo

Effetto di incertezza e di
autovalutazione critica
Le affermazioni introdotte da credere
sono attenuate dalla presenza di
modali o congiuntivi nella
dipendente
Pensare (Berlusconi)



Passato remoto:
pensai/pensammo
Imperativo: pensate
Con riferimento semantico al
futuro: penso che sia giunto il
momento/ penso che questa
volta ci siamo
Risultato: formulazione di
certezze
Pensare: Rutelli se ne serve per
esprimere opinioni soggettive
sull’operato del suo partito
6. Verbi dichiarativi (performativi)






Verbi il cui significato denota un atto individuale di portata sociale: giurare,
promettere, garantire, certificare, dichiarare.
Gli atti denotati da questi verbi sono considerati costrittivi
La forma “io giuro” è la realizzazione dell’atto di giurare, è l’atto stesso che
mi impegna, non la descrizione di quest’atto
Così nel dire prometto e garantisco, prometto e garantisco davvero. Le
conseguenze sociali e giuridiche del mio giuramento, della mia promessa, si
sviluppano a partire dall’istanza del discorso che contiene “io giuro”, “io
prometto ” . L ’ enunciazione si identifica con l ’ atto stesso, ma questa
condizione non sta nel senso del verbo, è la soggettività del discorso a
renderla possibile.
Che le due cose siano diverse lo si capisce sostituendo “io giuro” con “egli
giura”. Mentre “io giuro” è un impegno, “egli giura” è solo una descrizione,
sullo stesso piano di “egli corre”, egli fuma”.
Ne risulta che il medesimo verbo acquisisce un valore diverso a seconda
che sia assunto da un soggetto o sia esterno alla persona
(Della soggettività nel linguaggio, pp. 117-8)
Performativo / constatativo
La filosofia analitica e il linguaggio, 1963
“Nel descrivere qualche anno fa le forme soggettive della
enunciazione linguistica indicavamo sommariamente la
differenza tra io giuro, che è un atto, ed egli giura, che è
solo una informazione. Non venivano ancora usati i
termini “performativo” “constatativo”, la sostanza della
definizione era tuttavia la stessa. Si presenta ora
l’occasione di ampliare e confrontare il nostro punto di
vista, confrontandolo con quello di Austin”.
Cosa sono gli enunciati
performativi?
Sono enunciati in cui un verbo dichiarativo-ingiuntivo alla prima
persona del presente è costruito come un dictum. Così: ordino
(o comando, decreto, ecc.) che la popolazione sia mobilitata.
È effettivamente un dictum, poiché ne è indispensabile
l’enunciazione espressa perché il testo abbia valore esecutivo
(PLG:325).
Un’altra varietà di questi enunciati è data dalla costruzione del
verbo con un complemento diretto e un termine predicativo:
Lo proclamo eletto; Vi dichiariamo colpevole; Nomino X
direttore; Vi designo mio successore; Vi incarico di questa
missione; Vi delego come mio rappresentante; ecc. Ciò
esclude enunciati nella forma della prima persona, indicativo
presente, ma di verbi non performativi, come vedo, sento ecc.
Sono performativi
a) gli atti di autorità, anche se formulati in forma implicita, come quelli in uso
nelle formule ufficiali: Il signor X è stato nominato ministro; la cattedra di
Botanica è stata dichiarata vacante; che non contengono un verbo
dichiarativo e si riducono al dictum, spesso accompagnato dalla formula
Con la presente..
Oppure la decisione è riferita impersonalmente alla terza persona: Il Presidente
della Repubblica decreta che; è stato deciso che; dove l’enunciato alla
terza persona può essere sempre convertito alla prima persona e riprendere
la sua forma caratteristica.
Condizioni di validità degli atti di autorità sono il fatto di essere proferiti da
chi ha il diritto di enunciarli e nelle specifiche condizioni di enunciazione
b) Enunciati che pongono un impegno personale per colui che li enuncia:
giuro, prometto, faccio voto di, mi impegno a, rinuncio ecc. (PLG:326).
Caratteristiche distintive degli enunciati performativi (PLG:327):
a) Unicità:
“dato che un enunciato performativo è un atto, ha la proprietà di essere
unico. Non può essere effettuato che in circostanze particolari, una
volta e una sola, in un tempo e in luogo definiti. […]. È questo il
motivo per cui è spesso accompagnato da indicazioni di tempo, di
luogo, di nomi di persone, testimoni ecc., in breve è un evento perché
crea l ’ evento. In quanto atto individuale e storico un enunciato
performativo non può essere ripetuto. La ripetizione infatti trasforma
l’atto performativo in atto constativo”.
b) Sui-referenzialità:
È la capacità di riferirsi a una realtà costituita dall’atto stesso, per il fatto di
essere effettivamente enunciato in condizioni che lo fanno atto. Ne deriva che
tale atto è al tempo stesso manifestazione linguistica, in quanto deve essere
pronunciato, e fatto di realtà, in quanto compimento di un atto. “L’atto si
identifica dunque con l’enunciato dell’atto. E ne fa fede la clausola: “Con la
presente”.
L’enunciato
che prende se stesso come referenza è appunto sui referenziale.
Le due caratteristiche della unicità e della sui-referenzialità fanno degli
enunciati performativi un caso esemplare della problematica della
enunciazione:
Cfr. Della soggettività, p. 114: “quello che altrove abbiamo chiamato
istanza del discorso e che ha una referenza unicamente attuale”



Dalla seconda caratteristica (la sui-referenzialità) deriva per B. un
restringimento del performativo, che porta ad escludere da questa
classe di espressioni gli imperativi, che per Austin sono la forma
per eccellenza dell’ordine, dunque enunciati performativi. Per
Benveniste, non bisogna farsi ingannare dal fatto che
l’imperativo produce un risultato; non è questo risultato empirico
che conta.
Venez! È sì un ordine, ma linguisticamente è una cosa
completamente diversa dal dire: Vi ordino di venire. Non vi è
enunciato performativo se non contiene la menzione dell’atto,
vale a dire “ordino”, mentre l’imperativo potrebbe essere
sostituito da qualsiasi procedimento che produca il medesimo
risultato, un gesto, per esempio, e non avere più alcuna realtà
linguistica. Il criterio non è quindi il comportamento che ci si
aspetta dall’interlocutore, ma la forma dei rispettivi enunciati.
Un enunciato performativo non è tale in quanto può modificare la
situazione di un individuo, ma in quanto è di per sé un atto. Ed è
di per sé un atto in quanto è riferito a sé stesso.

“ Un enunciato è performativo in quanto denomina l ’ atto
eseguito per il fatto che l ’ Ego pronuncia una formula
contenente il verbo alla prima persona del presente: Dichiaro
chiusa la sessione; Giuro di dire la verità. Così un enunciato
performativo deve nominare la dichiarazione performativa e il
suo esecutore”. In questo enunciato la forma linguistica è
soggetta a un modello preciso, quello del verbo al presente e
alla prima persona.
Il performativo è inseparabile dalle istituzioni della società, moderna quanto
antica.




B. respinge le conclusioni cui arrivava Austin a proposito della
necessità di superare la distinzione tra Performativo ed
Constativo, distinzione che egli invece ritiene giustificata e
necessaria, a patto di mantenere le precise condizioni d’uso,
“ senza far intervenire la considerazione del “ risultato
ottenuto”, che è fonte di confusione.” (PLG:330).
Il criterio del performativo non è il fare e l’equivalenza tra
dire e fare (come per Austin), ma quello di essere in sé un atto;
e un enunciato è un atto in quanto è riferito a sé stesso (suireferenzialità).
È necessario dunque mantenere la distinzione tra constatativo
e performativo perché si tratta della distinzione tra eteroreferenzialità e sui-referenzialità che sono due modi della
significazione. Questa doppia possibilità di significazione
costituisce lo specifico del linguaggio umano.
Riepilogo sulla
sui-referenzialità
La presenza del locutore nella propria enunciazione fa sì che ogni
istanza di discorso costituisca un nucleo di riferimento interno. Forme
specifiche hanno la funzione di mettere il locutore in rapporto costante
e necessario con la propria enunciazione (p. 122).
Il monologo discende dalla enunciazione, è un derivato del dialogo,
struttura fondamentale. È un dialogo interiorizzato, formulato come
linguaggio interiore, fra un io locutore e un io ascoltatore.
Questa trasposizione del dialogo in monologo, dove ego si scinde in
due o assume due ruoli, si presta a figurazioni e a trasposizioni
psicodrammatiche: conflitti dell’”io” profondo e della “coscienza” […].
Tutto ciò è reso possibile dall’apparato linguistico della enunciazione
sui riflessiva che contiene un gioco di opposizioni fra il pronome e
l’antonimo (io, me, mi). (p. 124-125)
Sui-referenzialità nei pronomi
Nelle
prime due persone sono implicati sia una persona sia un
discorso su questa persona. “Io” designa chi parla e implica al tempo
stesso un enunciato sul conto di “io” (p. 130)
A cosa si riferisce “io”? All’atto di discorso individuale nel quale è
pronunciato e di cui designa il parlante. La realtà alla quale rinvia è
unicamente la realtà del discorso (p. 114)
La non-persona (III pers.) è l’unico genere di enunciazione possibile
per le istanze di discorso che non rinviano a se stesse, ma predicano il
processo di persone e cose fuori dalla istanza stessa, eventualmente
dotate di una referenza oggettiva.
Sui-referenzialità nel tempo



Così anche il punto di riferimento temporale del presente può essere
solo interno al discorso.
il presente ha come referenza temporale un dato linguistico: la
coincidenza dell’evento descritto con l’istanza di discorso che lo
descrive
Il tempo linguistico è sui referenziale. Il Dictionnaire général
definisce il “presente” come «il tempo del verbo che esprime il
tempo in cui si è». Ma, attenzione, non abbiamo altro criterio o altra
espressione per indicare “il tempo in cui si è” se non prenderlo come
“il tempo in cui si parla”. È questo il momento eternamente “presente
che però non si rapporta mai con gli eventi di una cronologia
“oggettiva”, perché è invece determinato, per ogni parlante, dal
rapporto con l’istanza del discorso (p. 115).
Sui-referenzialità nelle
funzioni sintattiche

Interrogazione: enunciazione costruita per suscitare una “risposta”,
tramite un processo linguistico che è anche un processo di
comportamento a doppia entrata

Le forme della intimazione (ordini, richieste, realizzati da imperativo,
vocativo) implicano un rapporto vivo e immediato dell’enunciatore
con il partner, in un riferimento necessario al momento della
enunciazione.

Meno evidente, forse, ma sicura, è l’appartenenza dell’asserzione a
questo repertorio. Nel suo andamento sintattico, come nella sua
intonazione, l’asserzione tende a comunicare certezza; è la
manifestazione più comune della presenza del locutore nella
enunciazione (p. 123-124).
Sui-referenzialità nei verbi

Verbi di atteggiamento proposizionale (“credo che..”): convertono in
una enunciazione soggettiva il fatto asserito impersonalmente (“il
tempo sta per cambiare”)

Verbi dichiarativi: atti individuali di portata sociale: dicono quello che
fanno e fanno quello che dicono, ma questa è una conseguenza del
fatto che l’istanza del discorso contenente il verbo pone l’atto mentre
fonda il soggetto. Così l’atto è compiuto dalla istanza di
enunciazione del suo “nome” (“giurare”) nel momento stesso in cui il
soggetto è posto dalla istanza di enunciazione del suo indicatore
(“io”) (p. 117-118).
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Tani-lezioni del 20-21 marzo 2013 - Dipartimento di Comunicazione