Gli attori antichi: maschere e costumi
Calice-cratere lucano, ca.
400 a. C.
Cleveland Museum of Art
91.1
Medea si allontana sul
carro volante dopo aver
ucciso i figli. Nei vasi
dell’Italia meridionale
intorno al 400 a. C. le
rappresentazioni di
Medea si fanno frequenti
e di chiara ispirazione
teatrale, rivelata in
questo caso dal motivo
del carro, di probabile
invenzione euripidea, e
dalle vesti dei
personaggi, che sono
costumi di scena. Si
osservi rispetto al finale
della Medea l’importante
differenza consistente
nel fatto che i corpi dei
figli sono lasciati a terra,
e pianti dalla Nutrice,
mentre in Euripide essi
sono trasportati via dalla
madre che li seppellirà
nel santuario di Hera.
Le origini
Dioniso è un dio che ha
forti connessioni con la
vegetazione con i suoi
ritmi, e ci sono
testimonianze che ci
parlano di una sua
connessione specifica
con la vendemmia e il
vino. In tali contesti si
venerava in Atene
Dioniso Morychos, cioè
“imbrattato”, nel senso
che il viso del dio
veniva imbrattato della
feccia di vino. La cosa è
rilevante se si tiene
presente che alcune
testimonianze relative a
Tespi ci dicono che gli
attori usavano lo stesso
materiale per
mascherarsi. Esistono
inoltre numerose pitture
vascolari dalle quali
risulta che nel culto il
dio era rappresentato
da un albero cui veniva
appesa una maschera.
Coppa a figure rosse da Vulci, attribuita al pittore Makron,
Berlin F 2290, 490-480a.C. circa
Scena di rito dionisiaco. Le Menadi, munite di tirso e accompagnate da una
flautista, danzano davanti a una statua di Dioniso posta al centro del lato B. La
statua è semplicemente una maschera posta su un palo e vestita con chitone e
mantello. In basso c’è un piccolo altare decorato con una figura maschile
seduta, forse Dioniso stesso .
Chous da Anavyssos, 450-400 a. C. circa
Attribuito al Pittore di Eretria
Atene, Museo Nazionale, VS318
Il vaso raffigura i preparativi per una cerimonia
in onore di Dioniso. Su un tavolo sta appoggiata
una maschera del dio, che appare incoronato e
avvolto d’edera, con folta capigliatura e barba,
tratti del viso naturali.
Cratere Apulo a figure rosse, autore
anonimo, ca. 410-390 a.C.
New York. Metropolitan Museum
Dioniso è rappresentato con una maschera
in mano, mentre il dio Pan attinge con una
oinochoe da un cratere posto tra i due.
Chous a figure rosse da Eleusi,
420 a. C. circa
Museo di Eleusi.
Un bambino spaventa un altro
bimbo mostrandogli una
maschera. La raffigurazione
ricorda ciò che Aristofane dice
a proposito delle maschere
paurose dette mormolykeia,
che raffiguravano Mormo, una
specie di orco o “babau “che si
evocava per spaventare i
bambini.
La maschera tragica
Mosaico da Pompei
Napoli, Museo Nazionale
Maschera tragica. La maschera mostra tratti
del viso esasperati, con occhi sbarrati, orbite
scavate, bocca molto grande e spalancata, e
una grande massa di capelli accumulati sulla
fronte (il cosiddetto onkos).
Questa tipologia di maschera, a noi resa
familiare dall’iconografia ellenistica e romana,
non corrisponde all’aspetto della maschera
tragica del V secolo a. C.
Frammento di oinochoe a figure rosse da Atene, 470-460 a. C
Atene, Agorà P 11810.
Le maschere tragiche del tempo di Eschilo dovevano apparire
simili a quella raffigurata in questo frammento di vaso,
risalente al 470-460 a. C. La maschera rappresenta un
personaggio femminile, la cui pelle come di consueto è
bianca, ad indicare la non esposizione al sole di chi vive
nell’ambito della casa. Si noti la semplicità dell’acconciatura,
trattenuta da una fascia. Il materiale delle costruzioni era in
origine biacca, poi lino, cartapesta e cuoio. Non risulta che le
maschere fossero standardizzate in tipi, e abbiamo molti
indizi nei testi che rivelano l’esistenza di maschere realizzate
ad hoc per personaggi particolari.
Pelike da Cerveteri, attribuita al pittore della Phiale
475-425 a. C. circa
Boston (MA), Museum of Fine Arts, 98.883
Due giovani, probabilmente coreuti, indossano costumi da teatro, evidentemente femminili. Il
personaggio di sinistra ha già indossato la maschera e i calzari, quello di desta sta calzando gli stivali e
ha la maschera appoggiata a terra. Le maschere hanno tratti abbastanza naturali, bocca piccola, naso
regolare e capigliatura acconciata semplicemente con una fascia. Si noti come il giovane a destra abbia
fermato i propri capelli con una fascia per poter indossare più comodamente la maschera.
Frammento di cratere attico da Taranto,
400 a.C. circa
Martin von Wagner Museum der
Universität Würzburg, H 4781
Il vaso raffigura un gruppo di donne
abbigliate come coreute, alcune delle
quali hanno tra le mani le maschere, una
delle quali è ben visibile, ed è quella
raffigurata nel particolare. La maschera
ha tratti abbastanza naturali, bocca
aperta
non
molto
grande,
folta
capigliatura ricciola.
L’ “Attore di Taranto”
Frammento di cratere da Gnathia,
Taranto, prima metà del IV secolo
a.C.
Questa bella immagine, sulla quale
ritorneremo
a
proposito
del
costume, raffigura un attore del IV
secolo a.C., che sta per completare
il suo abbigliamento di scena
indossando la maschera di un
vecchio, e sembra contemplarla
per
ispirarsi
nella
resa
del
personaggio
(secondo
altri
interpreti invece l’attore ha finito
di recitare e si è appena tolto la
maschera).
La maschera ha tratti naturalistici,
e come spesso accade nei dipinti
vascolari, ha qualche somiglianza
con il viso dell’attore. Si noti la
capigliatura corta dell’attore, che
facilitava l’atto di indossare la
maschera.
A
quest’epoca
le
maschere
tragiche vanno standardizzandosi
in tipi, dei quali ci restano esempi
nelle
terrecotte
liparesi,
che
riproducono la tipologia delle
maschere tragiche del IV secolo.
Un gruppo di attori si reca a portare un’offerta al dio del teatro
Rilievo dal Pireo, 400 a. C. circa - Atene, Museo Archeologico
Anfora attica a figure nere,
probabilmente da Cere,
550 circa a. C.
Berlin, Antikensammlung 1697
Gruppo di tre uomini in costume
da cavalieri che cavalcano altri
uomini barbati travestiti da
cavalli, con l’accompagnamento
di un flautista. Questa immagine
precede di almeno cento anni i
Cavalieri di Aristofane, nei quali
si può immaginare che il Coro
avesse un aspetto simile. Gli
Ateniesi dovevano avere
familiarità con questo tipo di
mascherate animalesche.
Il vaso di Pronomos: una compagnia di attori pronta per mettere in scena un
dramma satiresco (fine V - inizio IV secolo a. C.)
(Cratere a volute, Napoli 3240 - immagine sviluppata in piano)
Questo celebre vaso raffigura un folto gruppo di personaggi in ambiente teatrale, disposti attorno alle figure divine di Dioniso e Arianna, sdraiati su un
divano. La figura centrale in basso è il flautista Pronomos, che certamente il pittore vuol porre in evidenza. Si distinguono poi due figure, una seduta (il
poeta Demetrio) e una in piedi con la cetra in mano (il citarista Carino). Dieci personaggi maschili sono vestiti da Satiri, con mutande ricoperte di pelo,
coda e fallo. Essi portano in mano ciascuno la propria maschera, che solo uno ha già indossato (quello che accenna un passo di danza). In basso a destra
si distingue un personaggio vestito, anch’esso con maschera in mano: si ritiene sia il Corifeo. Nella fila superiore un attore dal viso barbuto, vestito con
un costume irto di ciuffi di pelo bianco, con pelle di leopardo, tiene in mano una maschera di Satiro vecchio: è il Papposileno, capo dei satiri. Alla sua
sinistra si distingue Eracle, con pelle di leone e clava, e alla sinistra di Eracle un attore che ha in mano una maschera femminile. A sinistra di Dioniso,
un altro attore con elaborato costume tiene in mano una maschera dai capelli ricciolie ispidi. Il contesto è quello di un dramma satiresco.
Coppa attica a figure rosse con
immagine
di
un
Satiro
appartenente a un coro
di
dramma satirsco. Si ditinguono
bene la maschera barbuta
indossata
dal
coreuta,
il
gonnellino maculato che rende
l’idea del pelo animale, il fallo e
la coda equina
A partire dalla tarda età ellenistica, troviamo attestazioni iconografiche di maschere come quelle delle
figure sottostanti. I tratti del viso si fanno assai più forzati, con occhi sbarrati, orbite scavate,
sopracciglia inarcate, bocca molto grande e spalancata, e soprattutto una grande massa di capelli che si
eleva considerevolmente sulla fronte (detta in greco onkos). È probabile che la maschera si evolva in
questa direzione anche per rispondere alle modificazioni che si andavano realizzando negli edifici
teatrali, all’interno dei quali la skene era cresciuta in altezza, fino ad assumere, nei teatri romani
proporzioni monumentali. L’onkos, unito a calzari dalla suola molto alta, consentiva di dare all’attore
una dimensione maggiore evitando che venisse schiacciato dalle proporzioni della scena.
Mosaico da Pompei - Napoli, Museo Nazionale
Maschera maschile, forse di
tunisino
di
età
romana
Kunsthistorisches Museum
re.
-
Mosaico
Vienna,
Una compagnia di attori si prepara alla rappresentazione
Mosaico da Pompei, ca. 100-79 a. C. - Napoli, Museo Archeologico
Atene, Museo Nazionale 382. Rilievo con sei maschere tragiche dal teatro di Dioniso, I-II secolo d. C.
Si osservi in particolare la grandezza della bocca, la forzatura dell’espressione, e la capigliatura, che
anche se parzialmente danneggiata, doveva essere in tutte le maschere piuttosto imponente sulla
fronte.
A sinistra, maschere monumentali di epoca romana rinvenute nel teatro di Atene (Atene, Museo
Nazionale). A destra, disegni di maschere conservate al British Museum di Londra, quella di destra è una
maschera tragica.
Maschere tragiche dal teatro di Ostia
La maschera comica: 1. La Commedia Antica
Attori della commedia antica
Figurine di terracotta da Atene, fine del V
secolo a. C.
New York, Metropolitan Museum of Art, 13.
225. 13, 18, 20
Queste statuette che rappresentano attori
comici sono una preziosa testimonianza,
poiché provengono da Atene e sono di epoca
contemporanea alla maturità di Aristofane.
Le
maschere
evidenziano
caratteri
grotteschi: accenno di calvizie, fronte
schiacciata, naso camuso e larga bocca
deformata. La maschera sembra voler
rendere l’idea di una bruttezza ridicola,
quella che trova corrispondenza anche in
altri tratti fisici, come le imbottiture della
pancia e del deretano.
L’aspetto dell’attore comico corrisponde bene
a quanto ci dice Aristotele nella Poetica 1449
a35:”Il ridicolo è un errore e una bruttezza
ridicola che non causa danno, proprio come
la maschera comica è qualcosa di brutto e
stravolto senza sofferenza”.
Attore comico che recita la parte di una
vecchia.
Statuetta di Terracotta, ca. 375-350 a. C.
Provenienza: Grecia
New York, Metropolitan Museum of Arts
Questa maschera, corrispondente all’epoca
della commedia di mezzo, pochi anni dopo
la morte di Aristofane, mantiene ancora
abbastanza i tratti di deformazione del viso
che abbiamo osservato nelle statuette di
Atene. La figurina è ancora caratterizzata
anche dalla prominenza del ventre che
sporge sotto la veste.
Cratere a campana apulo, trovato a Ruvo nel 1880, 400-380 a. C.
Milano, Museo Civico Archeologico, AO. 9. 284
Scena di commedia antica, detta dei “Mangiatori di Dolci”. Si notino i tratti delle due maschere
maschili del vecchio e del servo, che coincidono bene con quelle delle statuette dell’immagine
precedente. Anche la maschera femminile ha deglie videnti tratti di imbruttimento grottesco, e trova
buona corrispondenza nella figura di vecchia dell’immagine precedente.
Cratere a campana
campano, 350-325 a. C.
Melbourne, national gallery
of Victoria, D14/1973
Scena di commedia antica,
detta della “Flautista di
Melbourne”.
Anche
in
questo
caso
le
due
maschere del vecchio e
dello
schiavo
mostrano
tratti accentuati: naso e
mascelle sporgentim fronte
bassa, accdenno di calvizie.
Würzburg, Martin von Wagner Museum der Universität Würzburg, H 5697
Cratere a campana apulo, 370 a. C. circa
In questo vaso è
notevole il fatto che la
naschera del
personaggio di destra,
che è il parente di
Euripide travestito da
donna e rifugiato presso
l’altare in parodia del
Telefo di Euripide, ha
dei segni sulla guancia
che devono rendere
l’idea della rasatura
approssimativa che il
Parente ha subito da
parte di Euripide in una
scena precedente della
commedia, quando si
travestiva da donna
Il cratere di Malibu. Aristofane Uccelli o Nuvole?
Cratere a campana apulo, 420-410 a. C. ca. Malibu, Paul Getty Museum, 82.AE.83
La maschera comica: 2. La commedia nuova
In corrispondenza del processo di tipizzazione che sostituisce i personaggi comici individualizzati di
Aristofane con rappresentanti di “tipi” umani (vecchio, giovane, cortigiana, ecc.) dalle precise caratteristiche
psicologiche, anche le maschere della commedia nuova vanno incontro a un processo di standardizzazione
che definisce una serie di tipi, dei quali Polluce ci ha conservato una dettagliata classificazione. Il catalogo di
Polluce corrisponde piuttosto bene ai tipi che ci sono testimoniati da una ricca produzione iconografica che
copre tutta l’età ellenistica
Rilievo in marmo che mostra Menandro mentre tiene in mano la maschera di un giovane, con accanto un
tavolo su cui si vedono la maschera di uno dei tipi di ragazza giovane e quella di un vecchio
Princeton, Art Museum 51-1 (ex coll. Stroganoff)
Mosaici dalla Casa delle Maschere a Delo,
120-80 a. C.
A sinistra la maschera di uno dei tipi di vecchio, forse il cosiddetto Lykomedeios, a destra maschera di
giovane, forse il cosidetto Primo episesistos (“con la chioma mossa”).
I tratti grotteschi che caratterizzavano le maschere della commedia antica si attenuano molto, lasciando il
posto a tratti più specifici, come la foggia della pettinatura, l’inarcamento o distensione delle sopracciglia, la
presenza o meno di rughe sulla fronte, ecc. Particolarmente preziose per la conoscenza delle maschere della
commedia nuova si rivelano le piccole maschere di terracotta ritrovate in gran quantità in tombe dell’isola di
Lipari, studiate da L. Bernabò Brea. Circa 500 di esse, risalenti alla prima metà del III secolo a. C.
riproducono maschere del teatro di Menandro, sostanzialmente corrispondenti ai tipi elencati da Polluce.
Maschera di giovane n. 190
Lipari, Museo Archeologico
Questa maschera trova buona
corrispondenza con il tipo del cosiddetto
“giovane scuro” di Polluce, descritto
nell’immagine seguente.
Alcuni esempi dei tipi di maschera della commedia nuova: i giovani
Polluce:“Il Giovane
Perfetto è rossiccio,
atletico, abbronzato. Ha
poche rughe sulla fronte
e una corona di capelli;
le sopracciglia sono
inarcate”
Terracotta di incerta
provenienza
Brussels A 302
Polluce: “il Giovane
scuro è più giovane
d’età (rispetto al
Giovane perfetto), e
le sopracciglia non
sono aggrottate: ha
aspetto piuttosto
studioso che
atletico.”
Terracotta da Tebe,
325-250 a. C.
Copenhagen NM
5390
Polluce: “Il Giovane
riccioluto è ancora
più giovane, di
colorito rossastro,
con la capigliatura
corrispondente al suo
nome. Ha
sopracciglia
aggrottate, e una
ruga sulla fronte”. La
maschera ha le
sopracciglia piane.
Oxford 1966. 673
Polluce: “Il
Campagnolo è di
pelle scura, e ha
labbra spesse,
naso schiacciato e
capelli a corona”
Terracotta dalla
Beozia
Paris, Louvre MNB
506
Maschere della commedia nuova: le donne giovani
Polluce: “La prima falsa vergine ha
pelle chiara, e la chioma legata
sulla parte frontale della testa, ha
l’aspetto di una giovane sposa”.
Leipzig, Museum des
Kunsthandwerks, 19.123
Polluce: “L’etera adulta ha un
aspetto più rossiccio della Falsa
Vergine, ed ha trecce ricciolute
attorno alle orecchie”
Maschera dall’agorà di Atene
Atene, Museo nazionale 1751
Le maschere della commedia nuova: i vecchi
Tre maschere di vecchi. A sinistra, il Vecchio dalla barba lunga e dai capelli mossi (“ha una corona di capelli
sulla fronte, una folta barba e un aspetto torpido” Lipari, inv. 3072); al centro il Vecchio Licomedio (“ha
chioma ricciola, barba lunga; ha il sopracciglio sollevato e suggerisce l’idea di un intrigante” Atene, Agorà T
213); a destra il vecchio Padrone di un Bordello (“per il resto somiglia al licomedio, ma ha le labbra atteggiate
a sorriso e solleva entrambe le sopracciglia, è stempiato o calvo” Cairo 26771).
Le maschere di schiavi continuano a mantenere i tratti sforzati che erano propri della commedia antica, ed in
particolare la grandezza e deformità della bocca, che ritroviamo in numerosi esempi di maschere dell’età
ellenistica, come queste due (una si trova al Museo Archeologico di Atene, l’altra a Vienna, Kunsthistorisches
Museum) che rappresentano lo stesso tipo di personaggio, probabilmente il tipo dello Schiavo principale di
Polluce: “Lo schiavo principale ha un rotolo di capelli rossi, le sopracciglia inarcate e corruga la fronte”
Maschere della commedia nuova, mosaico conservato a Roma, Museo Capitolino. Epoca incerta, forse copia
di età imperiale di un originale ellenistico. A sinistra la maschera femminile corrisponde al tipo della kore, la
giovane vergine, rappresentata con viso pallido, sguardo serio, sopracciglia lievemente curve, e lunga
chioma ricciola legata da un nastro (kekruphalos). A destra, maschera di schiavo corrispondente al tipo
dello schiavo principale dalla chioma mossa (episeistos heghemòn).
Statuetta in terractta raffigurante un
attore comico nella parte di uno schiavo
London, British Museum
Si osservi la somiglianza della maschera
con il disegno di un’altra maschera di
schiavo conservata nello stesso Museo.
Mosaico da una casa della città di Zeugma sull’Eufrate, in Turchia, raffigurante una scena della commedia
perduta di Menandro Synaristosai “Le donne che pranzano assieme”. Il mosaico è firmato in basso
dall’autore Zosimo.
L’Edipo di Capodarso
Calice-cratere siciliano, ca. 350-325 a.
C.
Siracusa, Museo Archeologico Regionale
“P. Orsi”, 66557
In questo importante frammento di
vaso siciliano si è potuta identificare
con sicurezza una scena di tragedia. Si
tratta della scnea dell’Edipo re in cui un
Vecchio Messaggero comunica ad Edipo
la morte del presunto padre, Polibo, ma
poi gli rivela anche che Polibo e Merope
non erano i suoi veri genitori. Giocasta,
presente al racconto, capisce tutto ed
esce in silenzio per uccidersi.
Nel vaso si vede un personaggio
barbato in veste regale, con accanto
due bambine, che ascolta un vecchio in
abiti da viandante. A destra un
personaggio femminile si porta la mano
al viso con un gesto di disperazione.
L’abbigliamento
dei
personaggi
è
evidentemente ispirato al costume degli
attori tragici. Il Messaggero indossa il
chitone, e un tipo di stivale in pelle del
tutto simili a quelli dell’attore di
Taranto. Sopra il chitone il personaggio
porta una clamide, ed ha nelle mani il
bastone. Il personaggio regale indossa
invece la veste lunga fino alle caviglie,
e un himation o mantello.
Il vaso di Pronomos: una compagnia di attori pronta per mettere in scena un
dramma satiresco (fine V - inizio IV secolo a. C.)
(Cratere a volute, Napoli 3240 - immagine sviluppata in piano)
Questo celebre vaso raffigura un folto gruppo di personaggi in ambiente teatrale, disposti attorno alle figure divine di Dioniso e Arianna, sdraiati su un
divano. La figura centrale in basso è il flautista Pronomos, che certamente il pittore vuol porre in evidenza. Si distinguono poi due figure, una seduta (il
poeta Demetrio) e una in piedi con la cetra in mano (il citarista Carino). Dieci personaggi maschili sono vestiti da Satiri, con mutande ricoperte di pelo,
coda e fallo. Essi portano in mano ciascuno la propria maschera, che solo uno ha già indossato (quello che accenna un passo di danza). In basso a destra
si distingue un personaggio vestito, anch’esso con maschera in mano: si ritiene sia il Corifeo. Nella fila superiore un attore dal viso barbuto, vestito con
un costume irto di ciuffi di pelo bianco, con pelle di leopardo, tiene in mano una maschera di Satiro vecchio: è il Papposileno, capo dei satiri. Alla sua
sinistra si distingue Eracle, con pelle di leone e clava, e alla sinistra di Eracle un attore che ha in mano una maschera femminile. A sinistra di Dioniso,
un altro attore con elaborato costume tiene in mano una maschera dai capelli ricciolie ispidi. Il contesto è quello di un dramma satiresco.
Anfora apula, ca. 325 a. C.
Malibu, J. Paul Getty Museum 84.
Ae. 996
Il vaso rappresenta Andromeda
legata ad una roccia di fronte al
mare perché sia divorata da un
mostro marino. Il mito era stato
trattato da Euripide nella perduta
Andromeda, e la raffigurazione si
ispira
forse
a
una
scena
euripidea. Si noti il costume
molto ricco
di decorazioni,
comoposto da una veste lunga
fino ai piedi sopra la quale la
donna indossa una mantella
semitrasparente
Boston, Museum of Fine Arts, 69. 695 Cratere a campana apulo, ca. 370,
cosiddetta “commedia dell’oca”
New York, Metropolitan Museum of Arts, 24.97.104
Calice cratere apulo, forse da Taranto, ca. 400 a.C.
(cosiddetta “commedia dell’oca”)
Getty Museum, Malibu, 96.AE.114
Askos a figure rosse, Italia Meridionale, 360 - 350 B.C.
Raffigurazione di attore
comico (fliace?)
caratterizzato dal
costume con imbottitura,
fallo in evidenza e gambe
coperte dalla tunica che
rappresenta la nudità
scenica. Il personaggio è
un vecchio che agita il
bastone inseguendo
qualcuno, probabilmente
lo schiavo che è
raffigurato sul lato
opposto del vaso. Si
tratta di una situazione
comica di lunghissima
tradizione, della quale
già Aristofane nelle Rane
parla come di un trito
motivo di repertorio dei
comici.
London, British Museum F 151.
Cratere a campana apulo, 380 a.C. circa
New York. Metropolitan Museum of Arts, coll. Fleischmann F93
cratere a campana apulo, 400-380 a.C. circa
Scena certamente
teatrale, probabilmente
di commedia. Un
personaggio in costume
tragico che porta il
nome di Egisto sembra
appena uscito da una
porta e incontra sul
palco dei personaggi
comici. Quello al centro
porta un nome da
schiavo, Pirria, e sta
sopra un canestro
rovesciato in
atteggiamento oratorio.
Gli altri due, un vecchio
e un giovane, sono
denominati choregoi. Si
tratta verosimilmente di
una commedia basata
sul contrasto fra genere
tragico e comico, non
identificabile.
Würzburg, Martin von Wagner Museum der Universität Würzburg, H 5697
Cratere a campana apulo, 370 a. C. circa
Il vaso rappresenta due
personaggi comici. A
destra il personaggio
sull’altare tiene nella
destra una spada e nella
sinistra una sorta di
indumento per bambini,
con gambali e piedini. Si
osservi che il personaggio
ha maschera e vesti
femminili, ma sotto la
veste lunga indossa
pamtaloni aderenti, e cioè
il tipico costume maschile.
Si tratta cioè di un uomo
travestito da donna. La
scena raffigurata è
esattamente quella delle
Tesmoforiazuse di
Aristofane in cui il Parente
di Euripide, parodiando il
Telefo euripideo, minaccia
di sgozzare i bambino
preso in ostaggio. Al posto
del bimbo c’è però un otre
pieno di vino. La donna a
sinistra accorre con un
recipiente per poter
almeno raccogliere il
sangue versato.
Cratere a campana apulo, ca. 370 a. C.
Würzburg, Martin von Wagner Museum der Universität Würzburg, H 5697
Berlin F 3044
Calice cratere di Assteas, probabilmente proveniente da Nola
•
•
•
•
Disegno ricavato dal lato A del vaso.
Scena di commedia. Un povero
vecchio, di nome Carino, è aggredito
da due ladri che vogliono portare
via il forziere su cui Carino si è
sdraiato. Il ladro a destra, di nome
Cosilo, afferra e strattona il
mantello su cui è steso il vecchio,
l’altro, di nome Gymnilos, afferra
Carino per i piedi. Sulla destra uno
schiavo imbelle di nome Carione
osserva terrorizzato senza
intervenire a favore del padrone.
La scena è decorata con evidenti
elementi teatrali, come le maschere
femminili visibili al centro, e il palco
sorretto da colonnine, con una porta
sullo sfondo che rappresenta
l’abitazione del vecchio Carino.
Le commedie di Plauto
presuppongono un palco e uno
sfondo sostanzialmente simile a
questo.
Nel caso dei costumi di Menandro
risultano di grande interesse alcuni
mosaici che raffigurano scene delle
sue commedie, identificate con
precisione
con
i
nomi
dei
personaggi e il numero dell’atto.
Quello raffigurato (Arbitrato, atto
secondo) viene da una ricca casa di
Mitilene sull’isola di Lesbo, detta la
casa di Menandro, e risale al III
secolo d. C. La casa presenta
raffigurazioni
da
altre
sei
commedie.
Nonostante
l’epoca
tarda possiamo ritenere con buona
sicurezza che l’immagine che viene
presentata della scena di Menandro
risalga assai più addietro, giacchè
esistono altre copie di questi
mosaici, di epoca diversa: ad
esempio, a Pompei ci sono mosaici
del I secolo d. C. che raffigurano le
Synaristosai, presenti anche a
Mitilene,
che
vedremo
nell’immagine seguente.
Probabilmente
tutti
i
mosaici
discendono da un originale famoso
del III secolo a. C., dunque
piuttosto
vicino
a
Menandro.
Dall’immagine si vede come i
costumi fossero piuttosto vicini
all’abbigliamento quotidiano degli
Ateniesi. Il personaggio di sinistra
porta l’abbigliamento dell’uomo di
campagna (bisaccia, bastone, pelle
di capra).
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Gli attori antichi: maschere e costumi.