Trattamento del materiale infetto
Una volta identificata una fonte di infezione, andranno prese tutte le precauzioni per evitare la
diffusione di materiale infetto.
•Guanti
Sebbene questi accessori non siano da considerare quale preoccupante fonte d’infezione, quando si va a
contatto con alveari infetti andranno intraprese normali precauzioni igieniche. I guanti andranno lavati con
acqua e sapone che, ovviamente, non avrà alcun effetto sulle spore, ma aiuterà a rimuovere cera e propoli
che potrebbero contenerne.
• Leva
Si disinfetta facilmente passandola alla fiamma. Nel caso ci si trovi in apiario si può disinfettarla mettendola
all’interno dell’affumicatore aperto, azionando il mantice fino a produrre una fiamma viva.
•Affumicatore
Il mantice andrà ripulito il più possibile dai resti di propoli e cera.
•Arnie, escludiregina…
Per l’attrezzatura apistica sono utilizzabili diverse sostanze e metodi, non necessariamente l’uno alternativo
all’altro:
✔ Passaggio in soda caustica: in questo caso l’arnia dopo essere stata raschiata viene lavata con acqua
bollente e soda, viene poi asciugata con il passaggio alla fiamma azzurra. In questo caso la sterilizzazione
ha una efficacia dell’80% circa.
✔ Passaggio alla fiamma: l’interno dell’arnia viene bruciato con un cannello fino a che il legno diventa
nero, segue poi un lavaggio con l’idropulitrice. L’efficacia è circa dell’80%.
✔ Immersione in paraffina: ha una efficacia che si avvicina al 100% quando il materiale è immerso per
dieci minuti a 160°C. Sia il tempo che la temperatura sono fondamentali per la buona riuscita dell’operazione. Il punto di fiamma della paraffina è di 199°C; andrà quindi tenuta sempre sotto controllo la temperatura per evitare pericolosi incendi.
✔ Immersione in ipoclorito di sodio: una delle poche sostanze effettivamente attive sulle spore della
peste. La comune candeggina ha una concentrazione del 3% e ricerche hanno dimostrato che l’immersione in acqua e ipoclorito allo 0,5% uccide effettivamente le spore della peste in 20 minuti. Il materiale
deve essere tuttavia estremamente pulito perché la candeggina non raggiunge le spore protette da cera
o propoli. Inoltre la soluzione non può essere conservata alla luce e per periodi molto lunghi.
✔ Immersione in sali d’ammonio quaternari o altri disinfettanti non raggiungono, come l’ipoclorito, le
spore protette da propoli o cera.
✔ Ossido di etilene: è efficace anche per la sterilizzazione dei favi, ma il suo uso è estremamente problematico, la miscela con l’aria lo rende esplosivo e può lasciare residui cancerogeni. Per tali motivi è bandito in molti paesi.
✔ Raggi gamma: è l’unico mezzo di disinfezione che garantisce una sterilità del 100%, sia delle arnie che
dei favi; è relativamente poco costoso e, se è vero che sanifica nel contempo arnie e favi, è altrettanto
vero che risulta problematico dal punto di vista sia dei costi di trasporto del materiale alle ditte, sia per
le problematiche legislative.
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•L’efficienza delle api adulte nel filtrare le
spore dal miele
Le api adulte sono in grado di eliminare parte delle
spore per mezzo della valvola proventricolare. Le
api adulte dei ceppi R filtrano le spore dal miele in
modo più efficiente rispetto ai ceppi S.
LA SELEZIONE DI CEPPI DI API
RESISTENTI ALLA PESTE AMERICANA
Un certo grado di resistenza alla peste americana è
comune a tutte le razze di apis mellifera, e non
potrebbe essere altrimenti visto che il patogeno si
sviluppa esclusivamente sulle api e quindi non può
essere totalmente distruttivo.
I primi test furono fatti da Park nel 1935, che dimostrò come alcune colonie risultavano più resistenti di
altre.Alle colonie venivano somministrati i resti di 75
scaglie, aumentando la dose anche famiglie resistenti
manifestavano la malattia.
Altri ricercatori scoprirono che nelle colonie resistenti le larve malate venivano rimosse sei giorni
dopo la nascita, mentre nelle suscettibili questo non
avveniva che all’undicesimo giorno cioè nel momento in cui si era gia formata la massa delle spore.
Studi successivi iniziarono a selezionare per resistenza (R) e sensibilità (S) e si ottennero linee dieci volte
più resistenti e linee dieci volte più suscettibili rispetto alla media. Vennero poi dimostrati una serie di fattori ereditari che contribuiscono alla tolleranza della
malattia.
• La velocità con cui le giovani larve diventano
R all’infezione con l’aumento dell’età
Le larve selezionate mostrarono una crescita più
veloce nel primo giorno di vita.
• Il comportamento igienico delle api adulte
Consiste nella rimozione delle larve malate prima
che diventino infettive. Questo comportamento
venne ulteriormente diviso in un fattore che porta
a disopercolare le celle e in uno che porta alla rimozione della larva.
•Efficienza di fattori antibatterici nella secrezione delle api nutrici
Il cibo prodotto dalle nutrici può contenere alcuni
fattori che inibiscono la germinazione delle spore e
la crescita delle cellule vegetative.
Per i ricercatori la più deludente e inaspettata sorpresa fu che sia il gene della disopercolatura sia quello della rimozione sono, entrambi, recessivi.
Gli ibridi dei due ceppi risultavano tutti suscettibili a
dimostrazione inequivocabile che i caratteri dipendono da geni recessivi e che per la loro espressione
devono, quindi, trovarsi in condizioni di omozigosi.
Gli ibridi, entrambi suscettibili, quando furono reincrociati con i ceppi parentali diedero i seguenti esiti:
un quarto era suscettibile, un quarto resistente, un
quarto disopercolava bene ed un quarto rimuoveva
velocemente le larve. Questi risultati dimostrarono
chiaramente che l’espressione del carattere R dipende da due geni indipendenti e recessivi e, sfortunatamente, questo comporta notevoli difficoltà di selezione.
Per quanto riguarda gli altri fattori di resistenza non
si conosce nulla a proposito delle loro basi genetiche.
Una selezione inoculando giovani larve e incrociando artificialmente i più R dimostrò un aumento della
resistenza dei ceppi selezionati.
Regina selezionata per il comportamento igienico
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COME RIDURRE AL MINIMO
LA PESTE AMERICANA
SENZA USO DI CHEMIOTERAPICI
L’utilizzo di antibiotici non è in alcun modo conciliabile con l’immagine che ha il consumatore
del miele.
La presenza di residui di antibiotici nel miele, anche se in
quantità incomparabilmente inferiori rispetto ad altre
derrate zootecniche (latte, uova…), non ha alcuna possibilità di essere accettata ed accettabile. Recentemente il
rinvenimento di tracce di antibiotico nei mieli cinesi ha
provocato la chiusura delle importazioni da tale paese.La
normativa europea in merito è in rapida evoluzione ed
armonizzazione. E’ prevedibile che siano messi a punto
comuni metodi di analisi e precise soglie di riferimento.
Secondo alcuni responsabili veterinari, in Italia, non é
giustificata e giustificabile, in alcun caso, la somministrazione di antibiotici alle api. I responsabili veterinari italiani che interpretano la normativa con un possibile uti-
Stazioni di fecondazione per selezione
regine igieniche
Non c’è dubbio che esistano parecchi fattori ereditabili che fanno si che alcuni ceppi siano più resistenti alla peste americana di altri; ricerche più recenti
dimostrerebbero che i geni deputati alla resistenza
siano più numerosi. L’esito dei lavori di ricerca dimostrerebbe che i geni che controllano il comportamento igienico sarebbero almeno sette. La selezione
è comunque difficile perché queste linee andrebbero tenute separate dalle altre per fare in modo che i
caratteri si fissino nella popolazione. Tuttavia, da
ricerche recentemente condotte, è stato provato che
qualsiasi razza di api ha all’interno della sua popolazione un 10% di colonie che hanno le caratteristiche
genetiche per la ricerca e rimozione delle larve infette (Spivak M.). Questa frequenza genica può essere
accresciuta attraverso una maggiore diffusione di
ceppi d’api con spiccato comportamento igienico.
In USA ricercatori in collaborazione con un gruppo
di allevatori di api regine attuano un programma di
selezione di ceppi con spiccato comportamento igienico, alcuni dei quali mantenuti attraverso l’inseminazione strumentale.
Un analogo programma di diffusione di api regine
“igieniche” si sta svolgendo in Argentina. Se allevatori di regine, produttori di miele ed istituti di ricerca
si concentrassero nella realizzazione di un programma di selezione su questa caratteristica, la frequenza
genica dei caratteri deputati alla resistenza aumenterebbe e come risultato si avrebbe una minore incidenza della malattia.
Per quanto riguarda l’effetto delle pratiche apistiche
sulla manifestazione della resistenza. L’infezione da
peste è destinata a crescere con una apicoltura razionale che utilizza sistematicamente i chemioterapici,
perché le colonie, indisturbate, hanno maggiori possibilità di esprimere i caratteri di resistenza.
Visite frequenti consentono il costante controllo
dello stato sanitario della famiglia
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lizzo ricordano che é necessaria obbligatoriamente la
specifica prescrizione galenica e l’utilizzo sotto il debito
controllo dell’autorità. L’utilizzo di tali principi attivi,
senza l’opportuna procedura espone a pesanti rischi sanzionatori. Il Regolamento di polizia veterinaria, d’altronde, con l’inapplicabile ed ingiustificabile concetto di
focolaio riferito alle patologie apistiche, complica e
rende difficoltoso il rapporto tra apicoltori e responsabili della sanità animale.
La conduzione apistica dovrà misurarsi con diverse
possibili leve per combattere questa patologia.
Compatibilmente con le esigenze aziendali risultano
evidenti due indirizzi operativi:
prima di effettuare ogni trasferimento di covata dagli
alveari o formazione di nuclei dovrà essere effettuato
un controllo minuzioso.
Importante è anche il numero di favi ispezionati, la
tentazione è quella di guardarne solo due o tre, ma
minore sarà il numero di favi osservato, minore sarà la
possibilità di trovare l’infezione. Durante le visite
effettuate allo scopo di controllare la presenza della
peste, è sempre preferibile scrollare le api nell’arnia
per avere una migliore visione della covata.
Chi si avvale di personale dovrà mettere a punto precise procedure ed adeguata formazione sullo stato
sanitario e sui controlli degli apiari.
✔ è di primaria importanza ispezionare il nido con la
maggior frequenza possibile;
✔ evitare, il più possibile, lo scambio di materiale da
alveari infetti o sospetti.
L’adozione di svariati accorgimenti può facilitarci al
fine di evitare, il più possibile, lo scambio di favi che
abbiano contenuto covata.
La sempre più frequente adozione, in Italia, di reti
escludiregina è, in parte, spiegabile anche con una
preoccupazione di profilassi igienica. Per altri aspetti
una buona pulizia e disinfezione sta diventando una
buona e abituale pratica produttiva di gran parte
delle aziende apistiche.Più complesso ed impegnativo è, invece, la modifica in ordine alla gestione della
famiglie.
Più intense, puntuali ed attente, saranno le visite maggiori saranno le probabilità di scoprire la famiglia
ammalata prima che avvenga uno scambio di favi o di
quant’altro necessario per la conduzione degli apiari.
Una buona occasione per controllare la sanità delle
famiglie si ha durante il controllo della sciamatura.
Dopo aver fatto lo spazio necessario, scrollare le api
dai favi sarà doppiamente utile, perché ci consentirà
di controllare facilmente sia la presenza di celle reali
sia quella di cellette anomale.
Una visita mensile (anche molto breve, osservando
con attenzione alcuni favi di covata) durante il corso
della stagione fa diminuire di molto la probabilità che
un alveare diventi fonte di infezione per gli altri. Le
colonie che non salgono a melario nel corso dei raccolti andranno ispezionate al più presto.
Molto importante sarà poi programmare notevole
tempo ed attenzione in fase autunnale, quando oltre
a valutare le scorte, si potrà osservare meglio la covata perché le famiglie hanno incominciato a ridurne
l’allevamento. Tutte le celle abbandonate e non nate
andranno osservate con sospetto: si trovano percentualmente maggiori casi positivi in tarda-estate/autunno rispetto alle visite primaverili.
Le visite autunnali hanno, anche, l’indiscutibile vantaggio di eliminare tempestivamente quelle famiglie
che, se morissero, potrebbero essere saccheggiate
aumentando la percentuale di colonie infette.
In tutti gli apiari in cui si sono verificati casi di peste,
LA MESSA IN QUARANTENA
La quarantena è una pratica che prevede un periodo di
isolamento per individuare ed eliminare una patologia
infettiva e contagiosa.
Con questa pratica si può limitare la diffusione della
peste. In apicoltura si possono applicare due tipi di quarantena, per alveare e per apiario.
• Per alveare
Si applica quando ogni alveare viene trattato come
unità singola, evitando lo scambio di favi con le altre
colonie. Si può attuare a discrezione dell’apicoltore, ma
è consigliabile quando l’incidenza della patologia supera il 20% del totale.
Questo tipo di quarantena è consigliabile a tutti gli apicoltori amatoriali che, avendo un numero di alveari
limitato, sono in grado di avere il pieno controllo del
materiale.
Chi possiede un numero circoscritto di famiglie può,
facilmente, distinguere il materiale usato per ogni
alveare usando colori diversi; anche i telaini da nido e
da melario andranno marcati con una linea di colore.
Così operando, si ha sempre il controllo della prove-
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nienza dei favi anche quando sono usati per costituire
nuclei e, quando un alveare risulta infetto, oltre alla
distruzione della colonia, si potrà provvedere a sterilizzare tutto il materiale venuto a contatto della famiglia.
Questa pratica, pur essendo molto dispendiosa, dal
punto di vista dell’organizzazione del lavoro, può essere considerata anche da apicoltori semiprofessionali.
contaminazione) si colloca in una situazione decisamente privilegiata per circoscrivere le possibili vie di
trasmissione del patogeno.
✔ E’ giunta l’ora di abbandonare “la strada vecchia” perchè fallimentare dal punto di vista dei risultati pratici, come ben evidenziato dalla comparsa, nei paesi e
fra gli apicoltori che si sono maggiormente affidati
alla lotta con antibiotici, di ceppi di peste americana
resistenti.
✔ E’ giunta l’ora di abbandonare “la strada vecchia” in
quanto incompatibile con una richiesta crescente e
motivata di qualità nel miele e di assenza di residui. Il
grande progresso dei metodi analitici che individuano, in modo sempre più preciso, tracce e residui dell’utilizzo di antibiotici in apicoltura, sta riconfigurando il mercato mondiale del miele. Chi non saprà adeguarsi risulterà fuori gioco; chi, al contrario, saprà
garantire un prodotto coerente con le aspettative dei
consumatori potrà, forse, trarne l’adeguato riconoscimento economico.
✔ I fronti su cui lavorare sono noti da tempo: ricerca di
ceppi di api igieniche, procedure di profilassi igienica, sperimentazione di tecniche innovative per la disinfezione dei materiali.
E’ giunta l’ora di passare “dal dire al fare”. Proviamo ad
imboccare un nuovo percorso, con la piena consapevolezza di quanto sia impegnativo e difficile abbandonare
vecchie e consolidate abitudini e relative convinzioni.
Speriamo che questa nostra esposizione possa essere
colta quale contributo alla nuova attitudine problematica e culturale che la questione “peste americana” pretende. Proviamo a passare “dal dire una cosa e praticarne un’altra”, al più difficile ed impegnativo, ma fruttuoso,“fare ciò che si dice”.Trovare la strada per contrastare la peste americana, così come per le altre patologie
che andremo ad analizzare, non è facile. Impone costi
non facilmente sopportabili ma è un percorso obbligato: affidarsi alla “medicina” risolutiva non offre, infatti,
alcuna prospettiva.
• Per apiario
In questo caso, ogni apiario viene condotto in modo
separato, evitando lo scambio di materiale da una
postazione all’altra. Questo sistema è in uso tra molti
apicoltori professionali in Nuova Zelanda, dove ogni
apiario con tutto il suo materiale è identificato molto
semplicemente attraverso un codice.
Rispetto al sistema precedente questo tipo di quarantena ha il vantaggio di essere più semplice e meno dispendioso dal punto di vista del tempo necessario per
mantenerlo.
Esistono diverse varianti a questo sistema ed una prevede di mettere un apiario in quarantena solo quando
casi di peste sono accertati: l’apiario viene isolato per
diciotto mesi e per un anno viene sottoposto a visite
periodiche per individuare ed eliminare le famiglie
infette. Nulla impedisce di praticare in questi apiari la
quarantena per alveare.
CONSIDERAZIONI FINALI
E’ necessario investire maggiori attenzioni e sforzi, da
parte di tutti i soggetti in campo, per contrastare una
patologia “dimenticata” o meglio posta in secondo piano
dalla diffusione della varroa.
A noi apicoltori spetta una parte di rilievo in questo sforzo, a partire dalla consapevolezza che l’approccio “chimico” (basato sull’impiego di antibiotici) non ha alcuna
valenza e validità strategica.A tal proposito è opportuno
sottolineare che:
✔ L’apicoltura italiana,basata sull’utilizzo di arnie Dadant
Blatt (con melari destinati unicamente al raccolto di
miele, esenti da covata e quindi con minor rischio di
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Peste europea
SINTOMI E DIAGNOSI
L
a peste europea colpisce le larve che, di solito,
quando infette, muoiono all’età di quattro o cinque giorni.
La patologia si manifesta nelle famiglie in primavera,
quando le colonie sono in rapida crescita; di solito in
ogni zona esiste un ben definito periodo di comparsa
della malattia, che viene, di norma, seguito da una guarigione spontanea.
Le larve ammalate si trovano nelle loro celle in posizione disordinata, un po’ come capita quando non
sono seguite da un numero sufficiente di nutrici e non
ricevono una alimentazione adeguata. Quando muoiono, le larve appaiono flaccide, marroni e, con l’inizio
della decomposizione, si sviluppa un odore generalmente puzzolente più o meno acido; a volte tuttavia
non è percepibile alcun odore. Se le larve morte vengono sezionate e si osserva la membrana peritrofica,
questa appare colma di batteri.
Le larve infette che sopravvivono hanno un peso più
basso perché i batteri assimilano molto del loro cibo.
Le larve risultano suscettibili a qualunque età, ma,
più invecchiano, più si riducono le probabilità di
contrarre la malattia, perché proporzionalmente
lasciano meno cibo a disposizione per la moltiplicazione dei batteri. In questo caso, le larve infette filano dei deboli bozzoli, a causa del minor sviluppo che
subiscono le ghiandole della seta; molti batteri si sviluppano nelle feci, ma restano imprigionati nel bozzolo e sono facilmente eliminati dalla circolazione.
In una colonia infetta esiste sempre un equilibrio
interno tra il numero di larve che si ammalano e
muoiono; quelle infette che sopravvivono e quelle
che vengono eliminate da parte dalle api prima ancora che mostrino i sintomi della malattia.
L’infezione può persistere molti anni, anche senza
segni visibili, causando lievi danni. Questo è stato
dimostrato con test sierologici su colonie australiane
apparentemente sane che a livello microscopico non
mostravano nulla. La fluttuazione dell’infezione è
messa in relazione con la disponibilità della gelatina
prodotta dalle api nutrici. Prove sperimentali hanno
dimostrato che colonie, private di gran parte della
covata disopercolata, sviluppano molte più larve
CAUSA
La peste europea è causata da Melissococcus pluton,
un batterio Gram positivo non sporigeno che, all’osservazione microscopica, appare singolo o in catene
di varia lunghezza od ancora a grappoli.
MOLTIPLICAZIONE E SVILUPPO
DELLA COLONIA
I batteri sono diffusi attraverso il cibo contaminato e
si moltiplicano rapidamente all’interno dell’intestino
delle api dove trovano un ambiente ricco di CO2.
Frequentemente, però, le larve non muoiono, filano il
bozzolo ed i batteri sono scaricati con le feci alla
base delle cellette. Nelle celle i batteri possono rimanere vitali per anni, molti sono rimossi dalle api spazzine, ma alcuni riescono nuovamente a penetrare
nelle larve.
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infette, (Bailey) perché ricevono un surplus di cibo.
Questo sarebbe convalidato da ulteriori prove basate, al contrario, sull’aggiunta di covata disopercolata
in eccesso: in questo caso gran parte delle larve
malate risultano rimosse velocemente. Questo sarebbe dovuto al fatto che, con un’improvvisa carenza di
cibo, le larve malate sono le prime a morire di fame.
Capita, quindi, che nelle colonie infette prima del
picco stagionale in cui di solito si manifesta l’infezione, esista un equilibrio tra l’incremento del numero delle larve che si ammalano e la loro eliminazione
da parte delle api adulte. Il punto critico si ha quando il maltempo od un altro evento interrompono il
flusso nettarifero. Durante la crescita della colonia, il
batterio può svilupparsi velocemente senza che le
larve manifestino la malattia, ma, interrompendosi la
covata, le nutrici producono un surplus di cibo che
diventa disponibile per le larve e per i batteri. Quando riprende il flusso nettarifero, riprende la deposizione, il cibo a disposizione delle singole larve diminuisce e le larve ammalate ricevono cibo insufficiente. Questo cambiamento è rapido e le larve infette
iniziano a morire velocemente in numero maggiore
rispetto alle possibilità delle api di scovare ed eliminare le larve colpite. In questa situazione si manifesta il tipico picco stagionale della malattia.
Regine molto prolifiche danno luogo a famiglie apparentemente resistenti alla malattia, probabilmente
perché l’area di covata rimane sempre ampia rispetto alle api nutrici anche in condizioni avverse e, in
questo modo, le larve infette vengono facilmente
scoperte ed eliminate. Sintomatico che le colonie
vicine alla morte per fame non mostrino segni della
malattia, perché le infette sono le prime a morire e
ad esser eliminate.
Può accadere, talvolta, che le famiglie possano essere
distrutte o seriamente compromesse dalla malattia,
specialmente quando il numero di batteri che si
accumulano è così elevato da uccidere un largo
numero di larve. Nella maggior parte dei casi, le colonie non raggiungono livelli d’infezione così elevati e
la buona stagione, con un surplus di nettare a disposizione delle api, fa scomparire i segni della malattia.
Nelle postazioni con raccolti costanti, l’incidenza
della patologia resta bassa e l’effetto sulle colonie è
transitorio.
fermentato. Comune invasore è anche Bacillus alvei,
batterio saprofita che vive sulle larve morte a causa
della peste europea; occasionalmente si può trovare
anche Bacillus laterosporus
CONTROLLO DELLA MALATTIA
• Distruzione delle colonie
Si rende necessaria solo quando le colonie risultano fortemente colpite e non sono in grado di
riprendersi.
• Chemioterapia
Esistono parecchi antibiotici in grado di controllare la malattia, ma molto spesso questa si ripresenta
poi la stagione successiva.
Anche se i sintomi scompaiono, le api hanno minori possibilità di eliminare le larve malate e quindi
l’infezione resta elevata. Gli antibiotici più efficaci
hanno, inoltre, tutti un tempo di degradazione
lungo ed è alto il rischio di inquinare il miele.
• Effetti delle pratiche apistiche
Tutte le pratiche che interrompono l’allevamento
di covata o che mantengono poca covata in proporzione al numero delle nutrici permettono al
M.pluton di moltiplicarsi, a causa dell’eccesso di
gelatina fornita dalle api nutrici alle larve.
INFEZIONI DA BATTERI SECONDARI
La morte delle larve può essere accelerata da batteri
secondari, di cui il più comune è Bacterium euridice Questo bacillo solitamente si trova nel tratto alimentare delle larve sane in numero limitato, ma si
moltiplica velocemente nelle larve affette da M. pluton.
Un altro comune batterio considerato un invasore
secondario è Streptococcus faecalis che, quando presente, può causare un odore caratteristico di acido e
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MALATTIE DELLA COVATA CAUSATE DA FUNGHI
I funghi includono muffe e lieviti e molti sono organismi saprofiti che si nutrono di materiale organico in decomposizione. Cosi come i batteri, molti funghi si possono trovare come invasori opportunisti su insetti uccisi in precedenza da altre malattie; alcuni, tuttavia, possono causare delle patologie specifiche: nelle api possono causare
covata calcificata e, più raramente, covata pietrificata.
La covata calcificata
SINTOMI E DIAGNOSI
L
e larve colpite da covata calcificata muoiono
dopo che la cella è stata opercolata. Le larve dapprima sono soffici e molli e assumono la forma
esagonale delle celle, poi si restringono e diventano
dure. La maggior parte delle larve colpite appare bianca, ma alcune possono presentarsi grigie con sfumature tendenti al nero. Generalmente la covata da fuchi
è la più colpita, ma non è raro trovare in una colonia
sia la covata maschile che quella femminile affetta. Le
giovani larve non mostrano segni evidenti dell’infezione e muoiono nei primi due giorni dopo l’opercolatura della celletta anche se, più raramente, possono
morire come prepupe. Le api forano le celle per cercare di eliminare le larve morte.
CAUSE
La malattia è causata da Ascosphera apis, fungo che
infetta solo le larve.
MOLTIPLICAZIONE E SVILUPPO
Le larve ingeriscono le spore di A. apis con la nutrizione; queste germinano nel lume intestinale stimolate dalla CO2, ma, sino a che non avviene la morte della
larva, il fungo non diventa invasivo e non forma spore.
Il fungo si sviluppa bene nelle larve leggermente raffreddate. Sperimentazioni hanno dimostrato che la
covata è altamente suscettibile quando, poco prima
dell’opercolatura, viene raffreddata per poche ore dai
normali 35°C a 30°C. Questo fenomeno può verificarsi spesso, specialmente durante la crescita primaverile delle colonie, quando il numero delle api non risulta sufficiente a consentire un’adeguata termoregolazione del nido. Le larve di fuco generalmente sono più
colpite proprio perché si trovano alla periferia della
camera di covata. I nuclei e le colonie deboli risultano
più a rischio per la minor capacità di riscaldamento
dell’area di covata.
La malattia è, relativamente, facile da provocare artificialmente eliminando parte delle api adulte o aggiungendo covata. Altri fattori che possono contribuire ad
aumentare l’incidenza della patologia sono deboli
infezioni da virus o da batteri, avvelenamenti o una
nutrizione non adeguata ad opera di nutrici ammalate.
Non è difficile constatare la presenza della patologia
contemporaneamente ad altre affezioni della covata.
Ogni larva colpita produce miliardi di spore; la maggior parte delle quali è eliminata dalle api, ma inevitabilmente molte restano infettive all’interno dell’alveare e per molti anni. Lo sviluppo della malattia è tuttavia limitato dall’andamento dalle normali temperature
di allevamento.
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CONTROLLO DELLA PATOLOGIA
La covata pietrificata
• Pratiche apistiche
Come visto in precedenza, l’incidenza della covata
calcificata è aggravata da tutte le pratiche apistiche
che in primavera causano una perdita di calore.
Tra queste tecniche, notevole rilevanza possono
avere i metodi di controllo della sciamatura, come
la divisione delle colonie e l’allargamento del
nido, con l’interposizione di fogli cerei tra i favi di
covata.
Le colonie sofferenti, di solito, si riprendono dalla
malattia se lasciate indisturbate.
SINTOMI
L
e larve colpite da covata pietrificata possono essere opercolate oppure no. All’inizio appaiono bianche e soffici, poi diventano giallo verdastre o marroni e di consistenza durissima. Molte muoiono prima
che la cella sia opercolata.
CAUSE
La covata pietrificata è causata dall’Aspergillus flavus o
più raramente dall’Aspergillus fumigatus entrambi i funghi si trovano comunemente nel suolo e nei cereali; possono infettare altri insetti e talvolta causano malattie
respiratorie negli animali e nell’uomo.
• Chemioterapia
Molti farmaci sono stati sperimentati per il controllo della covata calcificata, tuttavia la persistenza delle spore non consente un eradicamento della
malattia.
MOLTIPLICAZIONE E SVILUPPO
Le spore possono germinare sulla cuticola, ma generalmente l’infezione avviene attraverso l’intestino. Il fungo
può moltiplicarsi anche sulle api adulte in modo simile a
quello che avviene nelle larve; le api colpite perdono tuttavia la capacità di volare e muoiono lontano dall’alveare.
Sebbene si sia osservata la morte di colonie colpite dal
patogeno, di solito la malattia ha carattere transitorio e si
risolve spontaneamente.
• Sedi degli apiari
Postazioni in luoghi umidi e ventosi possono avere
rilevanza nella manifestazione della malattia così
come una cattiva aerazione degli alveari.
• Selezione di ceppi resistenti
Selezioni effettuate prendendo in considerazione il
comportamento igienico delle famiglie hanno fortemente ridotto l’incidenza della patologia.
CONTROLLO DELLA PATOLOGIA
Non sono conosciute modalità di controllo della malattia.
MALATTIE DELLA COVATA CAUSATE DA VIRUS
II virus sono costituiti da materiale genetico incluso in un guscio proteico; non sono in grado di nutrirsi e moltiplicarsi in modo autonomo. La moltiplicazione può avvenire solo all’interno di una cellula di un altro organismo.
Una volta penetrati, modificano il DNA cellulare e iniziano ad autoreplicarsi, fino alla morte della cellula.Tutte le
forme di vita sono attaccate dai virus e, da quando si è iniziato a studiarli, ne sono stati individuati diversi che attaccano le api; alcuni causano patologie della covata: tra questi, i virus della covata a sacco e della cella reale nera.
Virus della covata a sacco
SINTOMI
M
entre le larve sane si impupano quattro
giorni dopo l’opercolatura, le larve colpite
dal virus della covata a sacco falliscono la
metamorfosi e del liquido si accumula all’interno
della cuticola.
Il colore delle larve ammalate cambia e, da bianche perlacee, si fanno dapprima gialle e, dopo la
morte, diventano marroni per seccare infine formando una scaglia a forma di gondola.
I sintomi di questa patologia sono molto specifici
e facilmente riconoscibili.
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DIFFUSIONE E SVILUPPO
Il contagio avviene attraverso la nutrizione delle giovani larve, che muoiono velocemente dopo l’opercolatura. Le larve di due giorni di età risultano essere le più
suscettibili.
Una volta penetrato, il virus della covata a sacco si moltiplica nel corpo delle giovani larve, fino a causarne la
morte. Ogni larva infetta contiene circa un milligrammo di virus, sufficiente ad infettare le larve di mille
colonie! Fortunatamente, in circostanze naturali, l’infezione tende a rimanere debole ed a risolversi spontaneamente nel corso dell’estate. Le api adulte, infatti,
riconoscono ed eliminano velocemente parte delle
larve colpite; il virus inoltre perde rapidamente la sua
infettività.
L’infezione si mantiene all’interno delle colonie, di
anno in anno, attraverso le api adulte, in cui il virus si
moltiplica senza causare danni.
Le giovani api sono le più suscettibili perché si infettano durante le operazioni di pulizia delle larve uccise
dal virus. Il patogeno si moltiplica poi nelle ghiandole
ipofaringee e, con la secrezione della gelatina, l’infezione si propaga alle larve, completando il ciclo del
virus.Tuttavia, molte volte il ciclo non arriva a compimento, perché le api adulte infette cambiano mansioni
all’interno dell’alveare e, in questo caso, cessando di
nutrire la covata, le ghiandole ipofarigee degenerano e
queste api non sono più in grado di trasmettere la
malattia. Frequentemente la diffusione avviene attraverso il polline che riceve i virus attraverso le secrezioni ghiandolari, durante la raccolta. Se il polline infetto è utilizzato rapidamente può contagiare parecchie
larve prima di perdere la propria carica infettiva. La trasmissione del virus avviene più facilmente nei periodi
in cui la divisione del lavoro all’interno della colonia è
meno sviluppata; ovvero, generalmente, all’inizio della
stagione e durante i periodi di carestia.
La malattia non è tuttavia molto infettiva perché le api
adulte colpite dal virus (esattamente come accade
quando le nutrici sono anestetizzate con l’anidride
carbonica) perdono l’appetito per il polline e cambiano comportamento diventando bottinatrici. Inoltre il
metabolismo delle api infette diminuisce, un po’ come
capita nelle giovani operaie che sono state completamente private del polline: la loro vita risulta accorciata
e molte non sopravvivono all’inverno.
Curioso il fatto che molte di queste api infette si trovano morte poco lontano dal glomere.
Ricerche effettuate in paesi anglosassoni hanno trovato il virus in colonie senza segni apparenti, in percentuali che vanno dal 30 al 90% delle colonie esaminate.
Molte volte la patologia passa inosservata perché le api
rimuovono velocemente le larve.
In condizioni normali la malattia ha un andamento
benigno e si risolve spontaneamente. Andranno eliminate solo le colonie che, per problemi concomitanti
(es. varroasi), non sono in grado di riprendersi. Considerando che il virus perde la propria infettività in circa
due mesi, una normale disinfezione delle arnie è più
che sufficiente. È invece consigliabile la distruzione
dei favi con polline e covata morta.
Virus della cella reale nera
C
ome indicato dal nome, questo virus colpisce le
pupe delle regine che muoiono e diventano
nere; anche le pareti della cella reale assumono
questo colore.
Nei primi stadi della malattia le larve infette hanno una
sintomatologia simile a quella della covata a sacco.
Questa patologia si nota più facilmente negli allevamenti di regine dove si trovano molte celle in colonie con
poca covata; questo capita più facilmente all’inizio della
stagione ed è intimamente associato alla nosemiasi. Contrariamente al virus della covata a sacco, questo non si
moltiplica molto velocemente quando viene ingerito
dalle larve o dalle nutrici, ma si trova facilmente nelle
api che bottinano nei campi. Questa virosi si controlla
attraverso le pratiche comunemente indicate per la lotta
alla nosemiasi.
24
Le malattie delle api adulte
I patogeni che causano malattie delle api adulte il più delle volte si limitano ad accorciare la
durata di vita degli individui colpiti, e sono spesso presenti negli alveari senza causare danni
significativi.
Nella stagione attiva con l’attività di raccolta ed un intenso allevamento della covata le api vecchie sono rimpiazzate da quelle nascenti e le possibilità di passaggio dei patogeni da un’ape
all’altra sono ridotte. In inverno condizioni ambientali avverse che causano una clausura forzata della colonia possono scatenare infezioni a volte letali per la famiglia.
MALATTIE DELLE API ADULTE
CAUSATE DA VIRUS
I virus delle api adulte sono studiati solo da pochi decenni, e sebbene presenti negli alveari da tempi immemorabili la loro rilevanza in termini di perdite di colonie è aumentata da quando le api europee sono costrette a
convivere con la varroa
Virus della paralisi cronica
SINTOMI
Q
uesta malattia virale può presentarsi secondo
due diverse sindromi ben distinte. Nella
prima, le api colpite presentano un anomalo
tremolio del corpo e delle ali, sono incapaci di volare
e camminano in modo disordinato davanti gli alveari
e, sovente, si raggruppano a decine sui fili d’erba,
dove poi muoiono. Molte volte hanno l’addome gonfio e le ali disposte a “K”.
Nelle colonie pesantemente colpite, le api si raggruppano nella parte più alta del nido, l’addome è gonfio
e parzialmente disteso e le ali allargate. L’addome
gonfio è causato dal liquido che si accumula nella
sacca melaria.
Questo spesso causa dissenteria e le api colpite
muoiono nel giro di pochi giorni. Le colonie fortemente affette spesso collassano e nell’ispezione della
colonia si trova solo la regina, circondata da poche
centinaia di api. Questa sindrome corrisponde alla
malattia un tempo conosciuta come mal della foresta,
perché si riscontrava quando gli apiari venivano portati a raccogliere la melata.
Il secondo tipo di sindrome era, un tempo, chiamata
mal nero e le api affette sono spesso scambiate per
saccheggiatrici. In questo caso le api virosate non
perdono la capacità di volare ma restano prive di gran
parte della peluria e quindi appaiono nere e più piccole del normale, con l’addome gonfio, lucenti e di
aspetto “untuoso”. Quando cercano di rientrare nella
colonia sono, spesso, soggette ad attacchi da parte
delle api guardiane, che non le riconoscono e le trattano come se fossero saccheggiatrici.
Dopo qualche giorno, anche in questo caso, perdono
la capacità di volare, sono soggette a tremolio e vanno
incontro alla morte. Entrambe le sindromi possono
coesistere in una colonia, ma di solito una è preva-
25
lente. L’espressione di una delle due sintomatologia
rispetto all’altra sarebbe dovuta prevalentemente al
diverso genotipo delle api colpite. L’influenza genetica è dimostrata dal fatto che Kulincévic’ e Rothenbuhler riuscirono a selezionare dei ceppi di api più
sensibili al virus rispetto a quelli di partenza. Occasionalmente in famiglie fortemente colpite anche le
pupe possono restare uccise.
Per infettare un’ape sono necessarie parecchie milioni di particelle, ma, se iniettate direttamente nell’emolinfa, ne bastano anche solo un centinaio. In natura, la trasmissione avviene attraverso i peli rotti. Va
peraltro detto che api sane, in colonie sane, se sottoposte a test sierologici, a volte risultano positive. Non
esiste un periodo particolare dell’anno in cui si manifesta la malattia, tuttavia condizioni avverse come
maltempo, carestia di raccolto e alcune pratiche apistiche possono contribuire a determinarne lo sviluppo. Tra queste operazioni apistiche possiamo ricordare, la clausura forzata delle colonie, la formazione
dei pacchi d’ape e tutto quello che può causare delle
ferite e delle rotture dei peli. Kulincévic’ ha anche
osservato che le colonie orfane soffrono più velocemente di paralisi.
iniettato, prima di morire infettano le giovani larve,
probabilmente attraverso la secrezione della gelatina
dalle ghiandole ipofaringee.
Le larve nutrite con una carica sufficiente di virus
muoiono prima che la cella sia opercolata, altre volte
sfarfallano come se fossero sane.
Virus delle ali deformate
Q
uesto virus è spesso associato a forti infestazioni da varroa. Il virus è trasmesso nello
stesso identico modo del virus della paralisi
acuta. Il virus si sviluppa lentamente e le pupe infette riescono sempre ad emergere ma con le ali rovinate o poco sviluppate e sono presto soggette a
morte.
Virus della paralisi acuta
A
nche questo virus si può trovare comunemente in famiglie apparentemente sane, specie
durante la stagione attiva, senza causare danni
alle colonie perché di solito si va a dislocare in tessuti non essenziali per la vita delle api.
Tuttavia, dopo la diffusione della varroa, ha causato
notevoli danni sia in Europa che negli Stati Uniti.
Apparentemente, l’acaro attiva il virus o, più semplicemente, lo trasmette nei tessuti nei momenti di
suzione ed il virus entra in circolo nell’emolinfa dell’ape. Le api adulte, in cui il virus è stato attivato o
Virus X
Q
uesto virus ha come effetto quello di accorciare la vita delle api; è associato alla amebiasi ed accelera la morte delle api già infette
dall’ameba.
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MALATTIE DELLE API ADULTE
CAUSATE DA PROTOZOI
I protozoi sono un gruppo di microrganismi sporigeni e molte specie sono patogene per gli insetti.Tra i più
studiati troviamo Nosema bombycis che causa una grave malattia del baco della seta e Nosema apis patogeno per Apis mellifera.
Nosemiasi
N
osema apis è un protozoo parassita specifico
delle api che si sviluppa e moltiplica esclusivamente nelle cellule dell’epitelio dell’intestino
delle api adulte.
SINTOMI E DIAGNOSI
Le api infette non mostrano nessun segno apparente
della malattia, ma gli individui colpiti in primavera ed
estate vivono la metà del tempo delle api sane. Prove
di laboratorio con api infette hanno rilevato un accorciamento della durata della vita dal 10 al 40% ed un
minor sviluppo delle ghiandole ipofaringee. Questo
potrebbe spiegare il motivo per cui, nelle colonie
malate, il 15% circa delle uova non riesce a trasformarsi in larva, contro una percentuale del 1% nelle
colonie sane. Un’altra anomalia si ha nel contenuto di
azoto nei corpi grassi che, nelle api sane può variare
da 14 a 23 mg, mentre nelle api malate è ridotto a 6
mg. Anche il contenuto di aminoacidi dell’emolinfa
risulta minore (Lotmar; Wang; Moller). Il peso secco
delle api infette diminuisce rapidamente mentre
aumenta, di molto, il contenuto in acqua, condizione
che spesso facilita dissenteria.
Sebbene la nosemiasi risulti aggravata quando accompagnata da dissenteria, non è automatico che la presenza di questo sintomo indichi quale causa il nosema. Le api giovani colpite dal patogeno smettono
rapidamente di allevare covata, invecchiano precoce-
mente, diventano subito guardiane o bottinatrici.
Diminuisce la produzione di invertasi e amilasi, con
conseguenze negative sul processo di formazione del
miele. In api ingabbiate, la minor durata della vita può
essere controbilanciata nutrendo con polline addizionato di sciroppo. Quando le colonie sono artificialmente infettate in primavera od estate in poche settimane guariscono, ma se infettate in identico modo in
autunno muoiono nell’inverno, perché, con le api in
glomere, non c’è tempo sufficiente per la diminuzione spontanea dell’infezione. Sebbene la morte delle
colonie o danni gravi non siano, di solito, causati da
infezioni naturali, significative correlazioni negative
sono state dimostrate tra tipologia e quantità di miele
raccolto e grado dell’infezione. Questo viene anche
suffragato dal fatto che rilevabili aumenti di produzione sono stati ottenuti trattando le colonie con l’antibiotico specifico per Nosema apis.
Le famiglie infette subiscono perdite di api invernali
superiori alle colonie sane e, molto spesso, in primavera i nuclei e le colonie deboli sono soggetti, maggiormente, alle conseguenze della malattia, non
essendo sufficientemente in forza per un’adeguata
pulizia delle spore presenti sui favi. Lo sviluppo della
patologia ed i danni conseguenti possono essere
molto diversi a causa delle condizioni ambientali e,
molto spesso, dei virus associati alla malattia.
Non essendoci sintomi specifici, la certezza o meno
della presenza della patologia si può avere solo con
l’analisi microscopica per la ricerca delle spore, nelle
api o nella feci.
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MOLTIPLICAZIONE E SVILUPPO
so fenomeno capita se si prendono dei favi in primavera da colonie infette e si collocano in colonie sane
a fine estate.
Questo osservazioni indicano che le spore possono
persistere sui favi per un tempo sufficiente ad infettare la colonia in glomere invernale. D’altronde alcuni test hanno dimostrato che le spore rimangono vitali nelle feci depositate sui favi per almeno un anno.
Normalmente in estate le api infette defecano all’esterno dell’alveare e questo contribuisce alla riduzione dell’infezione; tuttavia vanno considerati i casi in
cui le api sono costrette in clausura a causa del
tempo inclemente; esiste una correlazione tra periodi
con giornate fredde e piovose, in stagione produttiva,
e gravità dell’infezione nell’anno successivo. In tali
condizioni, oltre ad una minor crescita delle colonie,
si verificano minori scorte in polline ed una minore
pulizia dei favi da parte delle api.
Interessanti sono i risultati di alcune prove effettuate
in estate con favi infetti inseriti in colonie sane al centro del nido oppure alla periferia: le famiglie che
hanno avuto i favi inseriti al centro della covata avevano, nella primavera seguente, un’infezione a livelli
molto bassi, rispetto alle altre. Probabilmente i favi al
centro della covata vengono ripuliti meglio dalle api.
Le spore vengono ingerite dalle api e appena giungono nell’intestino germinano, invadendo le cellule epiteliali; qui iniziano a moltiplicarsi e, in un’ape fortemente infetta, si possono trovare da 30 a 50 milioni di
spore.
Nosema apis non infetta le larve e le api nascenti
sono sane, ma diventano subito suscettibili quanto le
api adulte.
Le spore di nosema vengono eliminate dalle api infette attraverso le feci e le api sane possono venire contaminate sia per contatto accidentale sia con l’alimentazione. In alcuni casi, in effetti, le feci finiscono
sul miele e sul polline e le operazioni di pulizia dei
favi, nonché quelle di eliminazione delle api morte,
divengono occasione di contagio. Con l’estate, si ha
sempre un declino naturale della malattia, perché le
api che nascono hanno minori probabilità di entrare
in contatto con le spore; inoltre le feci sono scaricate
all’esterno e le api infette muoiono lontano dall’alveare.
Colonie ammalate, trasferite su favi non infetti all’inizio dell’estate, perdono l’infezione esattamento nello
stesso identico modo delle colonie di controllo, ma
nella primavera successiva, mentre nelle colonie trasferite su favi sterili la malattia non si manifesta, nelle
altre si verifica il consueto picco primaverile. Lo stes-
CONTROLLO DELLA MALATTIA
Sebbene sia teoricamente possibile rimuovere l’infezione trasferendo le famiglie su favi sterili all’inizio
dell’estate, da un punto di vista pratico il metodo è
irrealizzabile per i costi in termini di mano d’opera.
Trattamenti con chemioterapici: l’unico principio
effettivamente attivo contro la nosemiasi è la fumagillina, un antibiotico commercializzato quasi esclusivamente per gli apicoltori con il nome commerciale
di Fumidil B®. La fumagillina sopprime velocemente
l’infezione quando somministrata alle api in concentrazioni di 5 – 30 mg per litro di sciroppo. L’antibiotico, una volta stoccato nei favi con il miele, rimane
attivo per diversi anni alla temperatura di 4°C e per
almeno un mese alla temperatura di 30°C (Furgala e
Sugden).
Quando 200 mg di fumagillina sono somministrati ad
una colonia in autunno, distribuiti in circa cinque litri
di sciroppo, l’infezione risulta lieve nella primavera
seguente. Nei paesi dove le api sono costrette in
inverno a periodi di clausura molto lunghi, vengono
raccomandati fino a 400 mg per colonia.
Quando somministrata in primavera, la fumagillina
previene il consueto picco primaverile dell’infezione
e le colonie trattate producono significativamente
maggior covata e più miele rispetto a quelle a cui
viene somministrato solo sciroppo zuccherino.
I trattamenti chemioterapici eseguiti in autunno
hanno una efficacia notevolmente superiore a quelli
primaverili poiché l’antibiotico non è attivo sulle
spore, assai più numerose in primavera nelle colonie
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L’infezione può essere aggravata anche da trasporti o
claustrazioni degli alveari che durino a lungo: in condizioni di stress capita che le api defechino sui favi
infettandoli con spore.
Il periodo più delicato per il disturbo delle colonie è
a fine inverno quando le api iniziano a ripulire i favi
e sono quindi molto suscettibili alla contaminazione.
Per chi si trova ad operare in zone diverse un pratico
sistema per controllare il nosema è quello di effettuare una rotazione degli apiari, lasciandoli per un
anno in zone individuate per un raccolto costante e
abbondanza di polline, per fare in modo che le api
possano ripulire a dovere i favi.
Un'altra causa di sviluppo del patogeno si ha quando
si tengono apiari molto numerosi in momenti di carestia di nettare e soprattutto di polline.
Molte volte anche i mininuclei usati nella fecondazione delle regine possono soffrire di nosemiasi poiché
sono popolati da api tendenzialmente vecchie che
sono le più suscettibili all’infezione e, inoltre, subiscono manipolazioni frequenti.
non trattate in autunno.
Alcuni ricercatori sostengono che la fumagillina non
è attiva quando somministrata in polvere con zucchero a velo o con candito, ma altre prove hanno
invece dato effetti positivi.
Probabilmente questi pareri contrastanti, a seguito di
successo ed insuccesso, sono conseguenti al grado di
contaminazione dei favi, specie nei trattamenti primaverili. Fino ad oggi, tutti i tentativi effettuati per
selezionare dei ceppi di Nosema resistenti alla fumagillina, trattando con dosi subletali d’antibiotico, sono
falliti. E’ probabile, quindi, che il microrganismo non
sia in grado di sviluppare resistenza a questo principio attivo. In Europa il Fumidil B® non è più commercializzato; la casa produttrice, per motivi economici,
non ha ritenuto opportuno presentare la documentazione richiesta per il rinnovo dell’autorizzazione
all’utilizzo in apicoltura.
EFFETTI DELLE PRATICHE APISTICHE
SULLO SVILUPPO DELLA NOSEMIASI.
Molto spesso le operazioni che gli apicoltori effettuano sugli alveari possono aggravare le infezioni da
nosema. Una pratica che può contribuire al diffondersi della malattia è lo stoccare in primavera favi in
magazzino per poi riconcederli alle famiglie alla fine
dell’estate od utilizzarli nella formazione di nuclei a
stagione avanzata. Operando in questo modo, si
vanno a reintrodurre i favi quando le api non sono
più in grado di ripulirli dalle spore a dovere per l’inverno.
Anche visite frequenti agli alveari possono contribuire: tutte le volte che durante le visite si schiacciano
delle api il liquido che ne fuoriesce viene succhiato
dalle api di casa e questo può contribuire ad aggravare l’infezione. Questo spiegherebbe anche l’alta incidenza della nosemiasi nei pacchi d’ape.
Le visite fuori stagione possono contribuire
allo sviluppo della nosemiasi
STERILIZZAZIONE DEL
MATERIALE INFETTO
Per la disinfezione del materiale infetto l’agente chimico più conveniente è l’acido acetico, comunemente
disponibile in commercio alla concentrazione dell’80%.
Il sistema più semplice è quello di interporre del materiale assorbente tra i corpi d’arnia o i melari che contengono i favi da disinfettare con circa 2 ml d’acido acetico per litro di volume. Un’altra possibilità è quella di
tenere il materiale contaminato a 49°C al 50% d’umidità relativa dell’aria per ventiquattro ore.
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L’epitelio dei tubi di malphighi delle api colpite si
atrofizza; non sono conosciuti altri effetti dell’infezione. La diagnosi si effettua attraverso la ricerca delle
cisti al microscopio.
L’effetto della malattia sulle colonie è incerto, molto
probabilmente è dannosa. ma non si conoscono sintomi specifici. Colonie infettate a scopo sperimentale
apparivano normali nei momenti di picco dell’infezione e, anche se sono riportati casi in cui la patologia ha causato seri danni alle colonie colpite, le circostanze non sono mai state chiarite (Jordan 1937).
corta e le cisti non hanno il tempo sufficiente per
compiere il ciclo biologico completo.
L’infezione viene trasmessa alle api invernali dai resti
delle feci che si trovano sui favi contaminati nell’inverno e nella primavera precedenti.
Molto spesso l’amebiasi viene associata alla nosemiasi, ma in realtà le due patologie sono completamente
indipendenti, a volte sono concomitanti perché si trasmettono nello stesso modo.
Malpighamoeba mellificae forma solo 500.000 cisti
per ape, queste richiedono tre settimane di tempo
per riprodursi, contro i trenta milioni di spore per
ape del Nosema apis che si moltiplicano in metà
tempo.
Risulta quindi evidente che l’ameba ha minori possibilità di sviluppo e di solito si trova associata alla
nosemiasi accompagnata da una forte dissenteria, ma
non per questo è da considerarsi la causa primaria
delle perdita di colonie.
MOLTIPLICAZIONE E SVILUPPO
CONTROLLO DELLA MALATTIA
Le cisti sono ingerite dalle api adulte, germinano nell’intestino e le amebe entrano poi direttamente nei
tubi di Malphighi dove si incistano.
Nei climi temperati il picco dell’infezione avviene
generalmente in aprile-maggio, ed è generalmente
seguito da un rapido declino nei mesi estivi.
Le ragioni del rapido declino sarebbero le stesse della
nosemiasi: i favi infetti durante la stagione di raccolto
vengono ripuliti dalle api. Inoltre il numero delle cisti
diminuisce di molto perché la vita delle api è più
Le stesse precauzioni che vengono prese per la lotta
alla nosemiasi sono egualmente valide per il controllo dell’amebiasi, compresa la sterilizzazione del materiale.
Va peraltro ribadito che l’incidenza della malattia è
bassa, specie se comparata con la nosemiasi, probabilmente a causa del lento meccanismo di sviluppo
delle cisti per cui raggiungono la maturità quando la
vita delle api estive è alla fine ed è, quindi, più difficile che i favi siano ricontaminati.
Amebiasi
Q
uesta malattia è causata da Malpighamoeba
mellificae un protozoo che infetta il lume dei
tubi malphighiani delle api adulte, dove si sviluppa come ameba e poi si incista.
SINTOMI E DIAGNOSI
La riduzione drastica, od ancor meglio l’abbandono, dell’uso di farmaci nella lotta alle malattie delle
api è, per motivi diversi, una scelta obbligata e strategica.
Si potranno fare passi in avanti se:
• si verificherà una maggior conoscenza ed attenzione da parte degli apicoltori sulle varie, possibili,
patologie.
• Si saprà includere, nella gestione degli apiari a fini produttivi, una costante azione di ricerca e vigilanza sulle patologie.
• Si adotteranno, sempre più, prassi gestionali e consuetudini aziendali sistematiche con azioni concrete di profilassi igienica, prevenzione e contrasto delle malattie, tenendo nel debito conto le condizioni di possibile stress quali: insufficienti flussi nettariferi e polliniferi, carenze di adeguate riserve di lipidi e sostanze azotate in invernamento ecc...
• Si verificherà una crescita dell’attività di assistenza tecnico-sanitaria svolta dalle associazioni
apistiche, avvalendosi di tecnici professionali in continuo rapporto con la ricerca e con i responsabili della politica veterinaria.
• Si saprà uscire nella gestione delle tematiche di lotta sanitaria dalla mera dimensione locale ed attivare un flusso di comunicazione e di operatività quantomeno di valenza nazionale.
• Si verificheranno azioni di selezione di ceppi d’api più resistenti ad alcune patologie e nel contempo adattati al contesto ambientale e climatico di riferimento.
• Si riuscirà ad ottenere una radicale riscrittura delle norme di polizia veterinaria, con l’abbandono,
fra l’altro, dell’inapplicabile (in apicoltura) concetto di focolaio.
Un particolare ringraziamento a tutti gli apicoltori che con le loro osservazioni sul campo contribuiscono e partecipano allo scambio continuo di informazioni nel tentativo di comprendere le infinite variabili che possono incidere sulla sanità degli alveari.
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Qualsiasi riproduzione, noleggio, prestito, utilizzo in rete, rappresentazione pubblica, diffusione e trasmissione è autorizzata a condizione che se ne concordino le
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2° parte