Un argomento al mese su cui riflettere: Novembre 2010
Nel regno degli animali: le piaghe d’Egitto.
da “La vita in Cristo e nella Chiesa” – Anno LVI, n°8.
N
ella grande sezione che va da Es
7,8-11,10 figurano quattro tipi di
animali: rane, insetti, mosconi e
cavallette.
La catena delle piaghe che colpiscono
l'Egitto sono precedute dalla scena in cui
Mosè e Aronne si presentano al faraone
come inviati del Dio d'Israele e gli
chiedono la liberazione degli ebrei. A
seguito del netto rifiuto del faraone, si
annunziano gravi flagelli per lui e per la
sua terra. Effettivamente, il racconto delle
dieci piaghe si protrarrà per ben cinque
capitoli (Es 7,8-11,10). Ma il faraone, no
nostante tutto, rimane irremovibile fino
all'ultima piaga, la più terribile, che sarà
scatenata direttamente da Dio in piena
notte (cf Es 11,10;12,29), senza l'ausilio
né di Aronne né di Mosè.
Disegno di Luzzati Emanuele
A livello letterario la forma finale della
narrazione rispecchia la fusione di varie
fonti (Jahvista, Sacerdotale) e, nonostante le differenze, a queste tradizioni soggiace un unico modello di
base: a motivo della resistenza del faraone alla volontà di Dio, vengono messe in atto, in rapida successione,
tutta una serie di piaghe. Il racconto è costruito con estrema simmetria: le prime due piaghe sono incentrate
sull'elemento«acqua», successivamente è l'elemento «terra» che viene colpita, quindi è l'elemento «aria» ad
essere esposta ai flagelli.
Una lettura attenta mostra che le piaghe vanno spesso in coppia: sangue/rane (Nilo); mosconi/zanzare
(insetti); peste/ulcera (malattie); grandine/cavallette (raccolti); tenebre/morte dei primogeniti (notte). Inoltre,
ogni serie di due, la seconda piaga risulta più grave rispetto alla precedente, mostrando così una continuità
e una progressione del male.
Possiamo ancora osservare alcuni elementi comuni: la quantità immensa delle rane e degli insetti, e il
crescendo delle reazioni allo scatenarsi di questi elementi: dal fastidio si passa poi al disgusto e alla
distruzione totale dei prodotti (agricoltura, bestiame e a questa distruzione sono destinate quattro piaghe: 58). Le tenebre indicano il culmine del terrore. La serie dei nove «segni/prodigi» mostra un crescendo che si
risolverà nel pieno della decima piaga, quella più terribile, l'unica, non a caso, denominata nega; le altre
invece sono solamente ótót, «segni» e mòphetìm, «prodigi».
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Con i suoi 6000 kilometri circa, dal lago Vittoria in Uganda fino al delta nel Mediterraneo, il Nilo è il fiume
più lungo del pianeta. Sono le sue sponde e il fiume stesso il teatro dove si abbattono le prime delle due
piaghe che affliggono l'Egitto all'epoca di Mosè e del faraone Tutmosis II
I primi due flagelli colpiscono appunto le acque del Nilo che, per comando divino, si cambieranno in
sangue. Colpendo le acque del fiume Nilo, Dio colpisce l'Egitto nelle sue forze vitali, le acque che lo
rendevano fertile e ricco, e che gli egiziani adoravano come una divinità. Quelle acque che essi usarono per
affogare i neonati maschi degli ebrei (cf Es 1,16) diventano ora «sangue» prefigurando così la decima piaga:
la morte dei primogeniti degli egiziani.
La seconda piaga scatena un'invasione massiccia di rane, come se l'acqua lanciasse all'assalto le
proprie truppe contro gli abitanti del paese. La proliferazione delle rane è tale che esse penetrano sino nei
palazzi, suscitando disgusto, ripugnanza e orrore: «il paese ne fu ammorbato» (Es 8,10).
Nell'antico Egitto, le rane simboleggiano il periodo embrionale della vita, la fecondità e la pioggia. Infatti,
è proprio la rana a rappresentare la dea Heket, patrona delle partorienti, protettrice dei primogeniti e simbolo
della creazione e della fecondità. Il collegamento tra le «rane» e la «vita» che rinasce, non ci deve stupire:
dopo ogni ciclica inondazione del Nilo, sia il fiume sia i campi si riempivano di esse.
In una delle cosmogonìe più importanti dell'antico Egitto, quella di Hermopolis, quattro delle otto divinità
che presiedono la creazione del mondo, erano immaginate proprio con la testa di rana. Portata dai vivi,
doveva garantire la fertilità, dai morti la rigenerazione.
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L'importanza della simbologia è testimoniata anche in epoca copta, quando la rappresentazione della
rana è usata su lucerne di ceramica che portano l'iscrizione: «Io sono la risurrezione».
Ci si domanda: perché proprio le rane, naturale conseguenza delle beneficile inondazioni del Nilo,
dovrebbero essere così ripugnanti agli egiziani, tali da farle considerare una piaga? Semplice: il pubblico a
cui era rivolto questo racconto era differente: non già gli egiziani, ma Israele stesso. Questo secondo flagello
doveva spaventare e far inorridire anche Israele a cui le rane, evidentemente, dovevano ingenerare ben altri
significati, tra cui la repulsione per gli stessi culti idolatrici.
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Le zanzare, i mosconi e la peste rendevano irreversibile l'impurità che separava l'Egitto dalle fonti della
sua vita, le sue divinità. Privato del soccorso dei pro-pri dèi, l'intero paese divenne una cloaca tenebrosa e
brulicante, fonte di morte per il faraone e per il suo popolo. Il testo ribadisce puntuale, fino all'ultima piaga,
che «il faraone indurì il suo cuore e non lasciò partire il popolo». Il suo indurimento nasconde un conflitto
profondo, quello della guerra di una nuova divinità che si erge contro tutti gli dèi d'Egitto.
Il culto degli animali divinizzati nei santuari egizi rendeva ancor più inconcepibile la pretesa degli ebrei di
offrire ad un 'Elohim sconosciuto, un animale che rappresentava una divinità. Tale sacrilegio esponeva i
responsabili alla pena di morte (cf Es 8,22). Infatti, gli ebrei sacrificavano l'ariete, mentre molte delle divinità
degli egiziani erano in forma di ariete, montone e toro e proprio Amon, che era adorato in tutto l'Egitto, aveva
come animale sacro l'ariete.
La quinta piaga, la peste, colpisce con la morte il bestiame degli egiziani, mentre quello degli ebrei viene
risparmiato. La peste si accompagnerà poi alle ulcere che colpiranno anche i maghi di tutti i santuari, ormai
incapaci di proteggere l'Egitto e il suo sovrano dagli attacchi di questo Dio sconosciuto.
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La grandine devasta l'economia agricola dell'Egitto, distruggendo i suoi raccolti. Contro tale piaga è
impossibile prendere precauzioni. La grandine, generalmente, è accompagnata da fenomeni temporaleschi
come i tuoni, ma non è di tuoni di cui si sta parlando qui nel versetto che la riguarda, bensì della voce stessa
di Dio, in quanto qolôt significa soprattutto «voci», piuttosto che «tuoni» così come invece, spesso, viene
tradotta dalle moderne edizioni bibliche.
La terza piaga (8,15) accenna poi al «dito di Dio», quasi che, in un crescendo sempre più drammatico, si
possa sentire la sua voce e il suo tocco.
I flagelli causati da grandine e cavallette hanno due elementi comuni: la quantità e la consequenzialità.
Come se non bastasse, con lo sciamare delle cavallette, il ciclo si oscura per la seconda volta. Le cavallette
appaiono come un esercito potente. Forse non è casuale che «cavallette» in ebraico si dice 'arbeh e, per
dire «molti», si usa la parola harbeh (la differenza, sia dal punto di vista eufonico che grafico, è sottile). Le
cavallette poi, con il loro passaggio, portarono immancabilmente la carestia. Ciò che è scampato alla
grandine, ora è roso da esse. Si tratta di un vero e proprio cherem divino: tutto è divorato! Ora è lo stesso
trono del faraone, assieme al suo popolo, ad essere minacciato.
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La penultima piaga sopraggiunge senza alcun preavviso e durerà tre giorni: è l'oscurità, preludio alla
morte dei primogeniti. L'Egitto, paese di sole e di luce, sarà ricoperto di fitta tenebra, preannuncio di una
nuova irruzione del caos.
Si tratta di una metafora cosmica: la tenebra è, infatti, uno degli elementi costitutivi del caos e rifugio
delle forze maligne. Gli eventi che si svolgono di notte sono potenzialmente negativi e nell'oscurità può
sempre albergare il nemico. Il termine «tenebra» indica la sciagura massima: l'implacabile oscurità che è
preludio alla morte; in quanto luce è sinonimo di «vita», mentre le tenebre adombrano il regno dei morti.
La luce è come il canale attraverso il quale Dio comunica la vita al cosmo. Anzi, più che un semplice
elemento del cosmo è all'origine della vita stessa. Inversamente, le tenebre che coprono l'Egitto sono come il
primo segno della morte che si avvicina. Non è casuale che esista in ebraico biblico un'altra parola per dire
«tenebra»: essa è tzalmawet, composto da tzel, «ombra» e da mawet, «morte», sinonimo di «inferi», di
tenebra estrema ed infernale. Come luce significa felicità e vita, così le tenebre indicano gli ambiti tenebrosi
del non vivere. Per questo il mondo dei morti è la regione delle tenebre.
L'eclisse di sole annuncia la caduta del dio supremo, Ra, e del suo figlio divino, il faraone. In effetti, a
ben vedere, dal punto di vista storico, alla decadenza dell'Egitto sopraggiungerà una generazione dopo
l'Esodo sotto la XX dinastia.
Tornando alla seconda piaga, rappresentata dalle rane, notiamo una corrispondenza interessante.
Secondo la numerologia ebraica il termine tzefardea', «rane» corrisponde a 444, come l'espressione hoshek
'afelah, ossia «buio di tenebra». Le rane sono associate alla te nebra e quest'ultima evoca da sempre il
sonno, l'anticamera della morte.
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Le tenebre inglobano in sé tutte le angosce e gli incubi delle piaghe precedenti. L'affresco dei colpi infetti
all'Egitto del faraone culminerà nella decima piaga, la morte dei primogeniti. Ora non Mosè, non Aronne, ma
è 'Elohim stesso ad operare direttamente, fronteggiando gli dèi d'Egitto. Dietro Mosè e il faraone, dietro ai
loro popoli, si palesano gli dèi e le guerre che essi scatenano. Agli occhi del faraone, ma soprattutto al suo
cuore indurito, 'Elohim deve dimostrare di poter vincere tutti gli dèi dell'Egitto, prima che egli impartisca
l'ordine di liberare il suo popolo.
Quest'ultima piaga provocherà la resa incondizionata del faraone che ordinerà la partenza dei suoi
schiavi, i figli d'Israele (cf Es 12,31) nel cuore della notte.
Scopo dichiarato di questa piaga è dimostrare agli egiziani che è YHWH a determinare una sorte diversa
tra l'Egitto e Israele (cf Es 11,7). Il Dio degli schiavi si dimostra più forte del dio del faraone.
Nella memoria collettiva d'Israele la figura del faraone ha lasciato un segno indelebile: egli è come
l'uomo che si oppone ai progetti di Dio, colui che «non conosce YHWH» e, appunto per questo, non lascia
partire Israele (cf Es 5,2b). Il faraone è l'anti-YHWH, colui che si mette al suo posto credendo di poter
decidere della sorte di altri uomini.
La storia delle dieci piaghe è vista, pertanto, come un recidivo rifiuto e un progressivo indurimento di
cuore di fronte al comando di Dio; indurimento che porterà alle estreme conseguenze: l'annientamento della
vita. Una piaga questa che si dilata e imputridisce sull'humus favorevole dell'orgoglio. L'uomo vede le sue
aspettative infrangersi contro la propria insufficienza. E il peccato, appunto, del faraone che osava
competere con Dio e, all'impari confronto, esce sconfitto.
a cura di Sandro Imparato
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