Venerdì 7 Gennaio 2011
LA MAFIA, MESSINA E LA SUA PROVINCIA: Nel cimitero
della mafia si cercano altri tre corpi. Le operazioni di scavo
si sono allargate lungo la Statale 185 che porta a Novara
L’Epifania non ha interrotto le ricerche dei morti seppelliti nel cimitero della mafia di
Mazzarrà Sant’Andrea. Si continua senza soste con la campagna di scavi a setacciare il territorio
disseminato di cadaveri. Dopo la scoperta dei resti umani di due degli scomparsi inghiottiti dalla
“lupara bianca”, gli inquirenti da ieri sondano gli argini del torrente Mazzarrà alla ricerca delle altre
fosse in cui sarebbero stati tumulati altri tre cadaveri. L‟esumazione delle salme effettuata nei
primi due giorni di scavi si presume possa aver riportato alla luce i resti di Natale Perdichizzi,
scomparso da Mazzarrà Sant‟Andrea il 23 luglio del 1997 e di Antonino Ballarino, fatto scomparire
da Basicò il 23 marzo del 1993. Le due vittime, al momento della sparizione, avevano entrambe
26 anni. Vite interrotte per le sentenze di morte emesse dai boss locali che indisturbati fin dal 1986
hanno insanguinato e saccheggiato - senza nessun segno di ribellione da parte della popolazione
- il territorio per meri interessi economici. Nessuna conferma sull‟identità dei due ritrovamenti di
questi giorni viene comunque data da chi conduce le indagini, anche perché i resti umani riemersi
dal sottosuolo dovranno necessariamente essere sottoposti ad accertamenti scientifici, come la
comparazione del Dna con i rispettivi congiunti, nei laboratori del Ris di Messina, questo per
fugare i dubbi sulle identificazioni. Tra i parenti degli scomparsi, apprese le notizie, sono riemersi il
dolore, mai sopito e allo stesso tempo la rassegnazione per l‟atroce destino riservato ai propri cari
dalla tracotanza mafiosa dei componenti del clan dei “Mazzarroti”, molti dei quali sono ancora
liberi di spadroneggiare e taglieggiare uno dei territori un tempo tra i più suggestivi e produttivi
della Sicilia. L‟escavatore meccanico dei vigili del fuoco intanto non conosce sosta. Da ieri gli
investigatori impegnati nelle ricerche coordinate dalla Procura distrettuale antimafia di Messina
hanno concentrato le attenzioni sul sottosuolo ai margini del greto del torrente Mazzarrà. La zona
in cui gli inquirenti hanno fatto realizzare una lunga trincea di scavo, è ubicata a valle della Statale
185 che conduce a Novara di Sicilia, in corrispondenza delle fortificazioni militari realizzate dal
regime fascista prima della fine dell‟ultimo conflitto mondiale. Si suppone che nella zona dove
scorre una strada arginale in terra battuta possa esserci una terza sepoltura. Nulla è trapelato dal
riservo con cui i reparti speciali dei carabinieri stanno compiendo accertamenti e ricerche. Un‟altra
zona del torrente Mazzarrà dove si starebbero estendendo le ricerche, sarebbe compresa tra le
contrade Scellia e Santa Barbara, in territorio di Novara di Sicilia. Le strade, soprattutto quelle che
permettono l‟accesso all‟alveo del torrente sono pattugliate dai carabinieri che fanno anche da
staffetta di collegamento tra i diversi punti in cui si sta scavando. Uno dei cadaveri che si stanno
cercando potrebbe essere stato inumato nella parte del territorio di Novara di Sicilia confinante
con Mazzarrà Sant‟Andrea. E non è un caso infatti che le ricerche si siano concentrate in questa
fascia di territorio che inizia da contrada Mandrì di Mazzarrà e, proseguendo a valle della Statale
185 che si inerpica a mezza costa, fino alle contrade Scellia e Santa Barbara. Dalla lunga lista
degli scomparsi sono stati estrapolati per esigenze di indagine - dettate dalla “fonte confidenziale”
- solo cinque nominativi su cui si sono concentrate le ricerche. Trovati i resti dei primi due
cadaveri, si cercano adesso gli altri tre che potrebbero essere: il barcellonese Alberto Smecca,
originario di Gela, la cui scomparsa è stata denunciata dai familiari il 9 aprile del 1992. Al
momento della sparizione Smecca aveva 50 anni. Della scomparsa dell‟uomo, parlò per primo il
pentito Maurizio Bonaceto che attribuì rapimento e uccisione ad un esponente di primo piano della
mafia di Barcellona a causa del furto di una partita di rame. La rivelazione non ebbe il conforto di
alcun riscontro investigativo e il delitto rimase impunito. Altro scomparso della zona su cui
potrebbero essersi concentrate le ricerche iniziate all‟alba di martedì scorso, sarebbe Carmelo
Grasso, inteso “Picuredda”, scomparso da Falcone il 10 aprile del 1995. A questi potrebbe essere
aggiunta - solo sulla base di supposizioni dettate dalla vicinanza territoriale ai luoghi delle
sepolture - la sparizione di Salvatore Munafò, scomparso da contrada Case Bruciate di Rodì Milici
a 36 anni, il 3 giugno del 1997, un mese prima del rapimento di Natale Perdichizzi. I terreni fino
adesso sondati dalle ricerche sono stati quelli del latifondo di contrada “Piano Gorne”, un altipiano
dall‟accesso impervio situato sulle colline che sovrastano l‟abitato di Mazzarrà esteso per 80 ettari,
confine naturale di tre comuni, Mazzarrà, Novara e Rodì Milici. Il secondo terreno sarebbe un
vivaio di contrada Mandrì, ai margini del torrente, dove si suppone possa essere stato trovato un
cadavere. Nuovi scavi continueranno senza sosta anche oggi. LEONARDO ORLANDO - GDS
I RETROSCENA
Un geometra “straniero” che s‟è trovato invischiato nella ragnatela mafiosa, un uomo di rispetto
catanese e un imprenditore vittima del pizzo che ha deciso coraggiosamente di voltare pagina,
dopo che i clan gli avevano cannibalizzato l‟azienda di inerti e movimento terra, messa in piedi con
il lavoro di trent‟anni. Negli ultimi mesi indubbiamente il processo “Vivaio”, che si sta svolgendo
davanti alla corte d‟assise presieduta dal giudice Salvatore Mastroeni, e l‟inchiesta “Sistema”,
hanno portato una ventata nuova nel muro d‟omertà della famiglia mafiosa barcellonese e nei
gruppi affiliati, sconvolgendo il sistema di pesi e contrappesi criminali di un territorio
tradizionalmente “chiuso”. Si tratta del geometra marchigiano Enzo Marti, del catanese Alfio
Giuseppe Castro, ritenuto personaggio di primo piano del gruppo etneo dei Santapaola, e
dell‟imprenditore di Merì Giacomo Venuto, titolare della “Mediterranea srl”. I primi due nei mesi
scorsi hanno riempito pagine e pagine di verbali davanti ai magistrati della Distrettuale antimafia
svelando non pochi particolari sulle infiltrazioni mafiosi nella gestione delle discariche di Mazzarrà
e Tripi, il terzo pochi giorni fa ha reso proprio nell‟ambito del processo “Vivaio” una clamorosa
testimonianza, raccontando particolari inediti. Marti per questa inchiesta è stato già condannato in
abbreviato a 6 anni e 4 mesi per concorso esterno all‟associazione mafiosa. Fu stabilmente a
Mazzarrà S. Andrea dal marzo 2003 sino al gennaio 2006, era un consulente per la verifica dello
«stato della discarica di Tripi in contrada Formaggiara, su incarico di Innocenti Giuseppino,
amministratore della TirrenoAmbiente, discarica che, per quello che so, era stata realizzata dalla
ditta Rotella». Nel frattempo ha raccontato nei verbali tutto quello che sapeva sulle “dinamiche
criminali locali” da quando venne incaricato di gestire la discarica. Anche della sua amicizia con
Antonino “Ninì” Rottino, poi ucciso Mazzarrà Sant‟Andrea il 22 agosto 2006 davanti alla sua
abitazione in un‟esecuzione d‟assestamento all‟interno del gruppo dei Mazzarroti. Castro,
imprenditore ritenuto dall‟accusa ritenuto il “collante” tra il clan etneo dei Santapaola e la famiglia
mafiosa di Barcellona per la gestione degli affari nella zona, ha deciso da alcuni mesi di voltare
pagina e collaborare con gli inquirenti. Infine l‟imprenditore Venuto in aula al processo “Vivaio” il
20 dicembre scorso per la prima volta ha fatto i nomi di personaggi come Carmelo D‟Amico,
Carmelo Bisognano e Pietro Mazzagatti, parlando a lungo anche del “pastore” di Mazzarrà S.
Andrea Tindaro Calabrese, che a un certo punto lasciò perdere le pecore per occuparsi di camion
e viaggi. Di D‟Amico ha detto testualmente che aveva preso il posto di Salvatore “Sem” Di Salvo e
ha raccontato anche di aver pagato il “pizzo” per anni al boss di Mazzarrà Carmelo
Bisognano.(n.a.)
LA STORIA
Mazzarrà Sant‟AndreaL‟inconsolabile dolore che da sempre affligge i coniugi Perdichizzi per la
prolungata assenza del figlio prediletto, Natalino Perdichizzi, si pensava potesse essere mitigato
soltanto dal ritrovamento del luogo dove il giovane era stato seppellito. Così non è stato. Di fronte
alla notizia che il figlio è morto, soppresso col sistema della “lupara bianca”, il dolore diventa più
acuto e devastante. Il papà di Natalino, Rosario Perdichizzi, ieri non era nella sua casa di
Mazzarrà, perché ospite della figlia in una località del nord d‟Italia. Rosario Perdichizzi non ha
avuto la forza di parlare. Quella forza che per due anni, subito dopo la scomparsa, lo aveva
indotto a cercare il proprio figlio anche attraverso manifesti con le foto del giovane fatti affiggere
sui muri di tre comuni: Mazzarrà, Furnari e Terme Vigliatore. I genitori chiedevano soltanto di
“poter portare un fiore sulla tomba del figlio”. Un appello legittimo di due anziani, sofferenti, che
non hanno mai avuto nessuna sete di giustizia, ma che hanno sempre chiesto soltanto pietà per la
sorte riservata ad un giovane di 26 anni. Gli appelli e la perseveranza non hanno purtroppo fatto
breccia nel cuore dei responsabili della scomparsa di Natalino. Non solo non fu mai fatto
recapitare l‟atteso messaggio di speranza, anche anonimo, così come avevano chiesto nei
manifesti, madre e padre dello scomparso, anzi la reazione agli appelli è stata dura e
inequivocabile. Nella notte tra il 19 e 20 luglio del 1999, dopo due anni di ricerche e appelli, la
cosca mafiosa di Mazzarrà reagì incendiando il furgone della famiglia Perdichizzi che veniva
utilizzato per trasportare ai mercati le piantine che il commerciante produce. Gli anziani genitori
dello scomparso, temendo altre possibili ritorsioni, si chiusero definitivamente nell‟assoluto silenzio
durato per più di dieci anni. Un riserbo reso ancora più impenetrabile dal clima di isolamento totale
in cui la comunità pare abbia lasciato quella famiglia, durante questi 13 lunghi anni di vana attesa.
Natalino Perdichizzi manca dalla sua casa dal 22 luglio del 1997. L‟ultima volta è stato visto uscire
dalla propria abitazione con la bicicletta, diretto in contrada Mulino, dove però all‟arrivo avrebbe
incontrato i suoi sicari che lo avrebbero soppresso e seppellito ai piedi di un albero d‟ulivo
all‟interno di un vivaio di proprietà di un boss. Quello stesso vivaio da dove sarebbero stati estratti
solo adesso alcuni resti mortali. Adesso i genitori cercano di avere, tra mille difficoltà, notizie su
quei resti e nessuno sa dare loro una parola di conforto. Anzi ieri da Milano “attaccati” al telefono
hanno più volte insistito per avere conferme che ancora non sono arrivate. Rosario Perdichizzi
attende da 13 anni di conoscere cosa è capitato al proprio figlio e nessuno sa dare una risposta e
nemmeno una frase di conforto in una Mazzarrà immersa ieri in un‟atmosfera surreale, indifferente
del fatto che nelle campagne circostanti la mafia locale ha creato il più grande cimitero clandestino
della Sicilia a servizio delle cosche di Cosa nostra. (l.o.)
I 33 SCOMPARSI
Il 28 novembre „86 il boss Girolamo “Mommo” Petretta. Il 5 settembre „98 a Merì Francesco
Mastroieni; l‟8 aprile „90 Sebastiano Rizzotti; il 29 aprile Nicola Genovese. Il 20 settembre „90 a
Barcellona Marcello Pedalà. Il 25 gennaio „91 Salvatore Ansaldo. Il 29 gennaio da Merì Nicolino
Aspa. Il 2 febbraio Salvatore Famà di S. Lucia del Mela. Il 17 maggio „91 Alfio Bonazinga. A
Terme Vigliatore Mariano Chiofalo. Il 7 gennaio „92 tocca a Bruno Abbate. Dieci giorni dopo, a
Barcellona, Angelo La Rocca Il 4 novembre „96 tocca anche al figlio di La Rocca, Francesco, con
l‟amico Giuseppe Nicosia. Il 12 febbraio „92 sparisce Roberto Amato. Il 17 marzo „92 scompaiono i
barcellonesi Rosario Chillemi, Filippo Alesci Lo Presti e il castrense Salvatore Mirabile. Di Angelo
Smecca nessuna notizia dal 9 aprile „92. Dodici giorni dopo scompare Carmelo Catalfamo. Il 15
febbraio „93 a Rodì Milici Alessandro Maio. Il 22 febbraio a Barcellona Giuseppe Italiano; il 17
marzo Giuseppe Porcino. Il 23 marzo „93 a Basicò Antonino Ballarino; il 10 aprile „95 a Falcone
Carmelo Grasso. Il 5 gennaio „96 a Oliveri il tortoriciano Carmelo Barberi Triscari. Il 30 gennaio „96
il barcellonese Carmelo Genovese. Il 16 maggio a Furnari Vincenzo Bartolone. Il 3 giugno „97 a
Rodì Milici Salvatore Munafò; il 22 luglio „97 a Mazzarrà Natalino Perdichizzi. A Barcellona il 12
dicembre „97 Santi Bonomo. A Barcellona Sebastiano Mazzeo, sparisce da casa il 4 gennaio del
1998.
NELLA FOTO IL LUOGO DOVE GLI INVESTIGATORI, SUPPORTATI DAI VIGILI DEL FUOCO,
CERCANO ALTRI CADAVERI
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