Le Proposte di Turismo Itinerante
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Da sempre il "Mal d’Africa" ci ha perseguitato.
Fu così che otto amici uniti da una sindrome
comune, davanti ad un tavolo pieno di carte
geografiche decisero di programmare un viaggio
di 20.000 km in Africa: Tunisia, Libia, Ciad,
Camerun, Niger e Algeria.
Sbarchiamo a Tunisi. Espletiamo le pratiche
doganali in un paio d’ore e puntiamo verso il sud.
Chott el Djerid. Questo lago salato è il nostro
primo bivacco. Coperto da una corazza scintillante
che brilla al sole, pare galleggiare a perdita
d’occhio. Minuscoli iceberg di sale dalle forme
bizzarre emergono dalla sua superficie.
Le ruote del nostro fuoristrada crocchiano
frantumandone la crosta. Si ha la netta
sensazione di essere penetrati nel deserto del
deserto
Nessun ombra all’orizzonte inesorabilmente piatto,su cui palpita l’aria calda e nel miraggio si disegnano
pozze d’acqua e deludenti lagune. I datteri di Nefta non hanno nulla in comune con i piccoli frutti
appiccicosi che ci vende l’ortolano sotto casa in minuscoli sarcofagi di cartone decorato. Quelli che
stiamo mangiando si vendono sfusi, sono secchi e duri e cadendo su un sasso fanno "toc", ma sono
dolcissimi.
Verso Il Camerun di Aldo Pellati
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Questa è la terza volta che visitiamo la Libia. Ritornarci per 40 giorni è sempre una grande emozione e
soprattutto non è mai una ripetizione. Solo ora, nel rileggere il nostro articolo di dodici pagine pubblicato
su "Caravan e Camper" di giugno 1998, ci rendiamo conto di aver dedicato poco spazio nel descrivere
l’ospitalità, le emozioni e le bellezze della terra di Ghaddafi. Ancora una volta a Tripoli approfittiamo
della sincera ospitalità di Paolo e Abdul Azis e facciamo tesoro dei loro consigli. Presentiamo il nostro
itinerario di viaggio all’ambasciata del Ciad : ci rilasciano un permesso di transito con un’unica
raccomandazione: nei tratti minati ad est del Tibesti avremmo dovuto affidarci a una guida locale. In
quattro giorni percorriamo la pista Ghadames – Ghat di 700 km lungo il confine dell’Algeria.
Contattiamo Mister Mufta,una guida conosciuta nei viaggi precedenti , sarà con noi per nove giorni
nell’Acacous e Mathendous.
Il massiccio arenario del Tadrart Acacous è costituito da un’infinita varietà di forme rocciose bizzarre
che emergono dalla sabbia. Puntiamo sempre verso sud, serpeggiando tra questi labirinti frastagliati di
roccia. Numerose pitture rupestri decorano questi anfratti rocciosi, ottimi ricoveri per i pastori e i
cacciatori del Neolitico. L’altopiano roccioso del Messak Settafet è solcato da numerosi Oueds:
all’interno dell’Oued Mathendous visitiamo i maggiori iti d’arte rupestre, sicuramente tra le più preziose e
meglio conservate di tutta la preistoria neolitica sahariana.
Siamo accampati e fa freddo, accanto al fuoco osservo Vera, Silvana, Marisa, Cristine, Nicola Toni e
Stefano: sono ipnotizzati dai guizzi del falò.
Stiamo aspettando che nella sabbia rovente finisca di cuocere il pane che ogni sera Mister Mufta ci
serve assieme al tè. L’infuso servito in minuscoli bicchieri è spaventosamente dolce, sciropposo, a volte sa
di menta a volte di garofano.
Le stelle scintillano nitide, nella notte senza nubi e priva d’umidità la volta stellata è magnifica. In questo
splendido scenario festeggiamo il ritorno in Italia di Vera e Nicola, affidiamo loro le lettere contenenti
gli auguri di Natale per parenti e amici.
Siamo a Germa, antica capitale del popolo dei Garamanti, penetriamo nell’Erg d’Awbari, splendido mare di
sabbia all’interno del quale, come miraggi, ci appaiono incassati tra le dune gli incredibili laghi blu di
Mandara, Um el Ma e di Gabron, costeggiati da palme che si riflettono nell’acqua immota.
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Chi è stato nel Sahara ci ritorna, chi non c’è stato sicuramente, sogna almeno una volta di visitarlo
attirato da sconfinate distese di dune, morbide onde di sabbia, le luci radenti del tramonto che allungano
le ombre e ci incantano.
A Timsa facciamo il pieno di gasolio e ne portiamo 280 LT di scorta, acquistiamo verdure fresche e
affrontiamo la pista di 270 km per il vulcano di Wau an Namus.
A causa di un fastidiosissimo vento cerchiamo riparo in fondo al cratere.
Siamo rimasti in tre equipaggi: un Iveco 4x4, un Toyota Pick Up e la nostra Land Rover 130.Tutti i mezzi
sono corredati di cellula abitativa in vetroresina ;due della "Modulidea" e una della "Campertre ". Tutte e
tre si sono dimostrate leggere e robustissime, Interessante è il sistema modulare della Campertre, che
consente in fase di progetto di modificare la lunghezza, altezza, larghezza della cellula abitativa, a
secondo delle singole esigenze.
Dedichiamo qualche ora alla manutenzione ai nostri fuoristrada, tracciamo una rotta sulla cartina e
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trasferiamo i punti satellitari nei nostri G. P. S (Global Positioning
System). Da qui in navigazione satellitare ( 785 km di fuori pista )
giungiamo al Koufra dopo quattro giorni. La pista costeggia il
margine occidentale del grande Erg, ,dove le dune si trasformano
al tramonto in un continuo movimento di forme plasmate dai
giochi di luce e ombre del sole cadente.
La sabbia portata dal vento si accumula e si somma ad altra: così
le dune s’ingigantiscono le une dietro le altre per chilometri e
chilometri formando "Rebiana sand sea". Siamo ai margini dell’oasi
di al Koufra. S’ode il cigolio del secchio
che sale dalle sorgenti profonde, ecco nascere la vita .Si ode il fruscio delle
palme accarezzate dal vento, il canto delle donne che lavano alla fonte.
Siamo in fila per fare gasolio nell’unico distributore funzionante. Per nostra
fortuna i camionisti libici ci fanno passare avanti , superiamo la chilometrica
fila e riempiamo al massimo la nostra Land consapevoli che dovranno essere
sufficienti per 780 km di fuori pista che ci porterà in Ciad.
La frontiera tra Libia e Ciad è aperta solo per i locali. Tracciamo una rotta
sulle nostre cartine tenendoci il più lontano possibile dal Tibesti Ciadiano,
trasferiamo i punti satellitari nel nostro G.P.S. e
incominciamo l’attraversata, aggirando il posto di
frontiera per ritornare in pista solo nelle vicinanze di
Ounianga Kebir .
I libici al termine del conflitto con il Ciad, vedendosi
sconfitti, si ritirarono abbandonando nel deserto ogni
genere di materiale bellico: carri armati, postazioni
missilistiche, mortai, obici, proiettili e mine inesplose
.Questo materiale a distanza di anni affiora dalla sabbia
rendendo pericoloso il nostro lento avanzare
Facciamo dogana a Ounianga Kebir.
Da qui in poi fino alla capitale N’Djamena, che dista otto
giorni di fuori strada, non troveremo più né strade, né
corrente elettrica, nè acqua . Ci appioppano una
costosissima guida: Monsieur Laycir che sarà con noi per
cinque giorni. E’ un Tubu (che in lingua Kamuri significa
abitante del Tibesti ) I Tubu sono nomadi neri che abitano
in una sconfinata porzione di Sahara: da Kufra in Libia , al
lago Ciad fino alla città morta di Djado in Niger , sono duri
e orgogliosi, hanno saputo conservare nel tempo loro
indipendenza di usi e costumi, hanno saputo farsi
rispettare e temere dai loro vicini. Le loro regole sono
dettate dal deserto e la loro cultura è quella di un mondo
senza confini; pare discendano dagli Etiopi.
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dettate dal deserto e la loro cultura è quella di un mondo senza confini; pare discendano dagli Etiopi.
I Tubu si considerano un’etnia superiore e per questo si dedicano all’unica attività nobile, l’allevamento
del bestiame , mentre ogni altra cupazione è vista con disprezzo ed è delegata a caste inferiori.
Sapientemente guidati da Monsieur Laycir evitiamo i campi minati ed entriamo nel parco dell’Ennedi. Il
paesaggio varia continuamente: s’inseguono altipiani, depressioni sabbiose, verdi oasi con irreali palmeti,
0ued profondi che solcano gli sconfinati spazi sahariani. Seguono poi migliaia di km. di oceano pietrificato
nel quale si susseguono forme bizzarre, magnifici monoliti e imponenti torri di pietra affondate nella
sabbia, picchi dalle forme geometriche impossibili , dune e barcane a volte mai calpestate da piede
umano. I nostri fuoristrada percorrono fiumi invisibili, da sempre nell’attesa della prossima improbabile
pioggia .Siamo circondati da guglie, torrioni e archi naturali .
Nelle ore più calde ci ripariamo all’ombra dei grandi massicci di arenaria, negli anfratti più segreti
mirabili pitture rupestri fanno bella mostra di sé.
Seguiamo la via dei pozzi, uomini e donne tentano invano di tenere in fila il bestiame assetato. Il cigolio
della puleggia di legno issata su una robusta corda che è tirata da un cammello governato da un bambino.
Quando la sacca, fatta di camere d’aria, giunge a fine corsa, è versata in un abbeveratoio, attorno al
quale si affollano gli animali.
Le donne trasportano sulla testa l’acqua fino ai vicini villaggi, dove la faranno decantare. Ora la tipologia
del terreno è cambiata: avanziamo su distese d’argilla secca profondamente screpolata in poligoni
regolari . Le fessure mettono a dura prova le molle delle nostre sospensioni e delle nostre spine dorsali
troppo deboli .
L’aria è densa, il caldo che sale dal terreno e il vento sembrano fare ondeggiare la carovana che avanza
come fosse un miraggio .
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Sui fianchi dei dromedari un ’ assortimento di zucche e ghirbe per l’acqua, pentolame, pelli di animali , pali
per le stuoie per montare le capanne , masserizie ballonzolanti, baldacchini colorati stracolmi di bambini
piccolissimi dalla testa " rapata alla
moicana" ci guardano dall’alto dei
dromedari, per nulla intimoriti,
c’inviano parole incomprensibili
frammiste a grida gutturali.
Co
mpl
eta
no
la
car
ova
na
cap
re e asini stracarichi, gli adulti a piedi ci vengono incontro e gesticoliamo
con loro, ci congediamo con una stretta di mano, si allontanano in fila
indiana e, girandosi, di tanto in tanto ci regalano un sorriso.
Siamo alla guelta d’ Achei , sorgenti d’acqua che sgorgano dal nulla
e nei luoghi più impensati . Queste depressioni ricevono inoltre le
acque piovane delle zone alte: sul fondo coperto di limo si formano
queste pozze perenni, focolai di vita vegetale e animale. Sulle rive
fangose si notano numerose tracce a forma di stella: sono le
impronte dei coccodrilli.
Questi sauri del Ciad sono di piccole dimensioni e
difficilmenteraggiungono i 2 metri. Sono timorosi e né il bestiame,
e nè gli uomini non hanno nulla da temere. In questa stagione lo
stagno è grande un centinaio di metri. A un tratto sbucano un
centinaio di cammelli, capre e montoni: sono eccitati, assetati, soffiano, starnutano, nitriscono.
Siamo impegnati in tortuoso slalom tra questi picchi di roccia dalle forme sorprendenti che cambiano
continuamente colore nel volgere della giornata.
Spaventiamo una famiglia di babbuini e da un’altura vediamo il lago Yoa, il più grande e forse il più bello
dei bacini che ornano i dintorni di Ounianga Kebir. I laghi sono circondati da palmeti, falesie di arenaria
multicolore interrotte da dune gialle arancione .
Lasciamo l’Ennedi e puntiamo verso sud , il paesaggio diventa monotono, acacie su praterie gialle a perdita
d’occhio e dalle nostre cartine costatiamo che non muterà per ben 500 chilometri. Mulinelli di polvere si
liberano verso il cielo e ci viene incontro girando su se stessa per poi svanire nel nulla. Fec fec, un gran
polverone penetra nella cabina , nel naso, negli occhi, per incollarsi infine sulla pelle sudata.
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Stiamo attraversando un paese senza nome, lo sterrato è uno
stretto budello, i banchi del mercato lungo i muri rendono
difficoltoso il passaggio dei nostri fuoristrada Le capanne sono in
stile sudanese, le decorazioni murali, sia interne sia esterne, sono
arabeschi color porpora e sono tracciate direttamente con un
dito. Le donne mostrano le loro bellezze senza pudore e
imbarazzo. Al mercato troviamo solo spezie, patate e cipolle. Il
caos è indescrivibile ; tutti gridano e si spostano con un
apparente non senso. Le magliette bucate, i pantaloni sbrecciati e
i berretti consumati sembrano far parte di un’unica possibile
uniforme.
Rimpinguiamo le scorte d’acqua, la filtriamo e la medichiamo con il
Micropur . I rifornimenti per il gasolio sono lenti e macchinosi
dovendoli effettuare con "sbrodolosi" travasi da fusti da 200 litri mezzi vuoti pagati per pieni al mercato
nero. In un letto di un fiume secco ci cimentiamo in una gara con un branco di gazzelle Tomson (perdendo
ovviamente). La savana punteggiata da euforbie e alberi di acacia, gradatamente lascia il posto al verde
cupo della foresta.
Milioni d’insetti brulicano nell’aria , ogni tipo di suono ci avvolge via via che l’oscurità incombe e si
compatta sempre più. E’ notte e i rumori della foresta giungono con insistenza dentro la nostra cellula.
Il bestiame viene racchiuso in recinti improvvisati fatti di cespugli spinosi e noi ci accampiamo per la
notte nelle vicinanze.
A N’Djamena, dopo 2550 chilometri di pista e fuori pista, i nostri pneumatici mordono l’asfalto della
capitale del Ciad. Siamo sballottati da una banca all’altra, tentiamo negli alberghi e solo dopo il quarto
tentativo riusciamo a cambiare. Dobbiamo discutere su ogni cosa: dal prezzo del cambio al taglio delle
banconote. Subiamo l’ennesimo controllo di polizia, scambio di battute coi militari su temi calcistici e ci
lasciano passare. Sostiamo per una settimana al parcheggio del Novotel.
Lasciamo le nostre jeep al sicuro. Visitiamo la capitale con i mezzi pubblici. Individuato il nostro autobus,
ci tuffiamo nella calca davanti alle porte, combattiamo aspramente per conquistare l’accesso e riceviamo
una buona dose di spinte , urla e gomitate. Cento e più occhi ci osservano divertiti, l’atmosfera nel buss è
gradevole ,musica africana a tutto volume riempie l’abitacolo. La carrozzeria è costellata di botte e
graffi, i fari anteriori sono completamente ciechi, le frecce sono inesistenti, la tappezzeria, di finta pelle
nera è unta e appiccicosa e i finestrini sono bloccati su quattro posizioni differenti.
Il cruscotto è spento, le ruote, perduta la loro perfezione
geometrica, ci fanno sobbalzare e vibrare tutta la
carrozzeria. Facciamo un giro nelle ambasciate ,
otteniamo il visto per il Camerun e il Niger e prenotiamo
quello per l’Algeria che troveremo pronto al ritorno dal
Camerun.
Le nostre femminucce fanno a gara per il bucato più
bianco, noi maschietti giochiamo a fare i meccanici e alla
sera piscina e doccia per tutti.
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bianco, noi maschietti giochiamo a fare i meccanici e alla sera piscina e doccia per tutti.
Siamo al mercato, una fiumana di gente ci sospinge, siamo sballottati come fuscelli. Un oceano di
mercanzie strane, profumi penetranti, odori pungenti, musicassette a tutto volume, suoni di clacson e
campanelli si alternano alle grida e alle esclamazioni dei venditori.
Usciamo dalla capitale, vista la ressa davanti alla dogana del Camerun , ci appartiamo aspettando momenti
migliori. Pranziamo a base di: ananas, papaia, mango e noci di cocco che ci hanno aperto a colpi di machete.
La strada asfaltata finisce già in periferia: buche , pozzanghere , piste rosse e foreste tropicali ci
faranno compagnia per tutto il Camerun. Il terreno è color porpora, argilloso e traditore. I profondi
solchi sono la testimonianza degli aspri combattimenti sostenuti da camionisti impantanati. La foresta
tropicale ci sovrasta e si chiude sopra di noi , abbassando piacevolmente la temperatura ma l’umidità è
altissima. Sfiliamo a fianco di termitai a forma di fungo, qua e là mandrie di zebù con maestose corna a
forma di lira, la pista sale su un altipiano e è ripida e impervia, capanne e granai sono affastellati gli uni
sugli altri. Terrazze di argilla si alternano a tetti in paglia, è il momento magico del tramonto. Una leggera
brezza rinfresca l’aria.
Ora la palla di sole ha perso la sua violenza e svanisce nel nulla, donandoci un cielo infuocato che
lentamente si spegne. E’ notte e migliaia di stelle riempiono ogni
angolo del cielo.
I " Koma", gruppo autoctono, sono relegati nelle zone più
impervie nel nord del Camerun. Questa etnia vede minacciata la
propria identità e le proprie tradizioni dalla cultura islamica. I
loro villaggi sono raggiungibili solo a piedi. I trekking per i monti
Atlantica li organizza il"Lamido"(capo villaggio), persona capace e
responsabile che gode di una certa autorità presso i portatori, è
ben accetto dai Koma e parla la loro lingua. I Koma occupano una
fascia di montagne lungo il confine della Nigeria. Grazie al loro
isolamento e alla difficoltà d’accesso hanno saputo mantenere
intatte le loro tradizioni. Essi vivono completamente nudi, usano
del fogliame legato attorno alla vita per coprire le parti più
intime . Questa nudità non è vista di buon occhio dal governo
centrale ed è considerata indecente dalla morale religione
musulmana.
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In fila indiana con portatori e guida entriamo nella foresta, superiamo villaggi ben mimetizzati dalla
vegetazione .Le donne e i bambini ci sorridono compiaciuti, notiamo che a tutte mancano due denti
davanti. Solo in seguito sapremo che, raggiunta la pubertà, ai maschietti è praticata la circoncisione
mentre alle femminucce vengono tolti due denti superiori, gli incisivi. La vita nel villaggio sembra scorrere
come 1000 anni fa e si ha l’impressione di entrare in un mondo fuori dal tempo. Doniamo al capo villaggio
sale, zucchero, tè, tabacco e fiammiferi.
Lasciamo questo lembo d’Africa d’altri tempi, ritorniamo nella foresta :l’umidità è altissima, ci giriamo e
vediamo da lontano le loro mani alzate in segno di saluto.
In Camerun ci sono sette parchi naturali. Visitiamo il parco di Waza. Si estende per ben 1700 chilometri
quadrati ed è stato istituito nel 1934 per proteggere soprattutto
antilopi, giraffe, elefanti.
Carichiamo sulla nostra land-rover una guida indigena, Monsieur
Amonat, esperto conoscitore degli animali e del loro ambiente. Il
parco è diviso in due zone una di foreste e una di pianure erbose.
La stagione delle piogge è terminata, la savana sta incominciando
a ridiventare secca.
Una giraffa ci guarda
letteralmente dall’alto. Un tempo
diffusa in tutta l’Africa, dal sud
del Sahara fino a Città del Capo,
oggi è completamente scomparsa in
alcune zone. Anche nel parco di Waza,il problema del bracconaggio non è
sconfitto; durante il nostro lento girovagare ne vediamo le conseguenze. Le
antilopi equine sono in piena attività , i maschi tentano nuove conquiste; è
tempo di corteggiamenti, di amori e di sfide. La loro presenza costituisce
la conferma che la catena alimentare di Waza è ben equilibrata.
Verso sera avvistiamo un gruppo di elefanti: comprende almeno50 adulti e
nascosti tra la selva delle enormi zampe, notiamo anche diversi piccoli. Il
branco punta deciso verso lo stagno, probabilmente i pachidermi sono
assetati. Il gruppo è composto soprattutto di femmine. Una delle quali
ostenta la propria autorità e imponenza ,puntandoci.
Il parco ospita ben 300 specie di volatili. Stormi di uccelli, dal volo rapido
e leggero, disegnano nell’aria danze sonore prima di scendere in picchiata
sull’acqua
Verso Il Camerun di Aldo Pellati
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Lo stagno è ricoperto da anitre, oche dalle zampe color corallo, ibis con livrea bianco e nera . Il cielo è
disegnato da voli di aironi, bande di merli metallici cantano fra le mimose , cariche di nidi sospesi degli
uccelli tessitori. Un batter di ali scuote l’aria : sono le garzette intente a nidificare. Per terra
innumerevoli linee gemelle, vere e proprie strade ferrate in miniatura, rivelano il passaggio di mille piedi
giganti. Gli "Eritrocedi" piccole scimmie terricole, a differenza delle altre, non amano starsene sugli
alberi, in caso di pericolo preferiscono fuggire all’impazzata piuttosto che arrampicarsi.
Il sole è tramontato e una semioscurità scende all’improvviso, come un velo grigio che avvolge ogni cosa.
Siamo di nuovo su una pista di terra rossa, la foresta tropicale ci sovrasta, dall’intricatissima vegetazione
del sottobosco emergono altissimi ebani. Nuvole bianche, il vento le spinge e le ammassa sul fianco della
montagna, è un continuo mutare di forme , accavallamenti, vortici fugaci. L’aria è satura di umidità e la
bruma ci avvolge. E’ giorno e dobbiamo accendere i fari. Sono ore che la foresta ci scorre lateralmente e
a volte ci sovrasta, ora il sole, ammalato, filtra appena. Queste lame di luce mettono in evidenza tutte le
tonalità del verde e del giallo e l’effetto è di grande suggestione .
In Camerun la vendita del legname pregiato sta inesorabilmente dilapidando il patrimonio verde, un vero
gioiello botanico incastonato nella zona centrale del paese. Incrociamo nuovissimi autotreni, appartenenti
alle multi nazionali, carichi di tronchi di teck. Una lunga processione di alberi secolari. Brandelli interi di
foresta che sfilano a fianco a noi e inermi assistiamo a questo funerale della natura.
"Pigmei": nome magico, nome che da sempre mi ha fatto sognare. Ho visto decine e decine di fotografie e
finalmente ci stiamo avvicinando.
Sono due ore che risaliamo il fiume, unico modo per penetrare questa giungla Camerunese. Questa piccola
piroga, di assi malconce, scafo piatto, instabile e insicuro, apre un varco attraverso le fronde delle canne
di bambù cariche di nidi di uccelli.
A causa delle forti mescolanze con tribù limitrofe, i pigmei hanno perso di purezza. Hanno tratti negroidi.
Vivevano completamente nudi e sotto la pressione del governo centrale e del cristianesimo questa usanza
è in via di sparizione. Sono famosi per la loro bassa statura, vivono nella foresta, senza fissa dimora, in
capanne fatte di foglie. Abili cacciatori, usano: archi, reti e
lance.
Siamo a Kribi al mare. Onde gigantesche ci rendono
difficoltosa l’entrata in mare. Alla fine della giornata siamo
stanchissimi, con il corpo arrossato dalle strisciate sulla
sabbia, causate dalla risacca del mare. Sulla spiaggia
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difficoltosa l’entrata in mare. Alla fine della giornata siamo stanchissimi, con il corpo arrossato dalle
strisciate sulla sabbia, causate dalla risacca del mare. Sulla spiaggia vediamo i pescatori con reti
lunghissime, aiutati da decine di persone,che pescano da terra usando le palme del litorale come
carrucole.
A Yaounde otteniamo il visto del Ciad . Al mercato una marea di gente ci investe, creando delle vere e
proprie onde di movimento Un caos ricco di fascino e carico di straordinaria vitalità .
Le donne con cesti sul capo camminano erette come regine.
Sulle bancarelle si vedono cose stranissime, come pozioni
magiche e misteriose : polvere di dente di coccodrillo, radici
essiccate, corna di antilope frammiste a polveri di ranocchio,
erbe allucinogene, usate nei riti magici, unguenti
medicamentosi, misture per l’amore , afrodisiache e
miracolose in grado di risvegliare gli istinti più assopiti o di
esaltare ulteriormente quelli più esuberanti.
Le case di culto sono affollate, le persone sono ben vestite.
Uno spettacolo multicolore: vestiti dai colori sgargianti,
estrose chiome di capelli neri e lucenti. Ci tuffiamo in questa
fiumana di gente, in cerca di qualche inquadratura.
L’atmosfera è piacevole , tutti collaborano, alcuni troppo; infatti appena si accorgono di essere
inquadrati, il mirino si affolla. di visi e corpi.
A causa di un ponte rotto non possiamo proseguire oltre. A Tibati invertiamo la rotta , risaliamo verso
nord, lasciamo il Camerun , costeggiamo il lago Ciad. A causa della desertificazione, il lago si ritira . Le
impronte degli zoccoli del bestiame restano impresse nell’argilla, questa superficie gibbosa rende lenta e
difficile il nostro avanzare.
I Bororo, tribù di pastori nomadi per eccellenza, si muovono in tutta la zona di savana dal Senegal al
Sudan . Originarie dall’incrocio di popolazioni Berbere di pelle bianca, con africani di pelle nera. Hanno
lineamenti caucasici, di corporatura alta e slanciata. Amano acconciarsi e farsi belli. Uomini e donne
hanno una venerazione per la bellezza: è bello chi ha la carnagione chiara struttura sottile, naso fine,
dritto e lungo e ampio sorriso. Credo che siano una delle popolazioni più fotogeniche di tutta l’Africa.
Raggiunta la pubertà, le giovani si sottopongono alla dolorosa pratica della "scarnificazione": una serie di
tagli sottili sull’addome e sul viso. Cospargono della cenere sulle ferite, queste si cicatrizzano formando
un elaboratissimo disegno a rilievo. A detta degli uomini, ciò rende le ragazze più desiderabili.
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Completato il raccolto del grano, del miglio e del sorgo, comincia la stagioni dei corteggiamenti. I Bororo
addobbati in tutto il loro splendore con braccialetti, pitture e ninnoli vari, si riuniscono in danze
impetuose, ricche di rituali tesi a risvegliare tutti i sensi.
Stiamo per lasciare il Ciad per entrare in Niger. Fra l’andata e il
ritorno abbiamo trascorso quaranta giorni tra: sabbie, sassi,
acacie spinose, laghi salati e tanto "fec fec". Pur avendo subito
un’aggressione da gente armata di kalaschnikof, un furto
perpetrato da bambini e un taglieggiamento ad opera dei militari,
a noi il Ciad è piaciuto, specialmente il nord . Un viagio fatto da:
panorami mozzafiato, orizzonti senza limiti, notti sotto le stelle.
Un viaggio privo del superfluo, difficile descriverlo, ma che forse
nel quale si riconoscerà chi l’ha a sua volta provato.
Facciamo dogana a Assamka e entriamo in Niger.
………….Agadez è nota per la sua moschea con un minareto alto trenta metri, irto di travi dove si
appollaiano i corvi. Il sultano ha un ruolo politico ,religioso, svolge funzioni di polizia. La polvere portata
dal vento oscura l’orizzonte; montoni pezzati, vacche, cammelli, asini si mescolano alla moltitudine umana.
L’Air, grande massiccio montuoso di origine vulcanica, terreno di elezione del popolo nomade Tuareg
Nigerini.
I Tuareg con la spada che batte sulla coscia, due occhi neri, dai
contorni ripassati con la polvere di antimonio, il tutto incorniciati
da un velo tinto con l’indaco.
Ingaggiamo una guida, Monsieur Moussa sarà con noi per quattro
giorni nell’Air. Monsieur Moussa dall’età indefinibile, ha la testa
coronata da un turbante ad anello, a sua volta sormontato da una
folta zazzera, eccellente camminatore porta con sé un pesante
randello a forma di mazza da golf.
Una piacevole vegetazione fiancheggia il letto di sabbia grossolana
degli "Uadi" Il vento agita palme e acacie. un. cammello, con un incessante avanti e indietro tira su dal
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pozzo grosse otri, ricavate da camere d’aria dismesse, il cui contenuto scorre lungo i canali di deflusso
fino ai campi coltivati a grano, orzo e pomodori d’inverno e miglio e sorgo d’estate. Si ode il cinguettio e il
frullare di ali degli stormi d’uccelli.
Dopo aver attraversato il Sahara, l’Air appare come un miracolo di vita e siamo circondati da tenera erba
verde. Picchi montuosi , monoliti arrotondati, o colonne levigate dall’erosione si tagliano contro l’azzurro
del cielo. Il massiccio dell’Air è un piccolo mondo isolato di difficile accesso dove si trovano laghi,
cascate, dune di sabbia, boschi di acacie che formano interminabili gallerie d’ombra.
I nostri fuoristrada avanzano in stretti corridoi di pareti verticali
di roccia, dai colori cupi, dove il sole filtra appena. Incontriamo
carovane provenienti dal sud del Niger cariche di: cerali, carne
secca e tessuti. Durante il percorso saranno barattati in cambio di
sale e datteri.
A Timia ci accolgono gli abitanti con in testa il capo villaggio.
Visitiamo un fortino coloniale francese, situato su un’isola di
granito nero. Dall’alto si vedono giardini, palmeti in straordinaria
successione e in contrasto con le morbide tonalità delle sabbie
invadenti del Tènèrè.
Ci congediamo con la nostra guida Monsieur Moussa con
un’ennesima spaghettata, si è dimostrato capace e cordiale. Abbiamo capito sin da subito che chiedergli
le distanze in ore o in chilometri, era cosa inutile. Non dava valore al tempo, il suo riferimento erano il
sole e le stelle. Il resto erano dettagli insignificanti. Monsieur Moussa è ritornato nel suo deserto, alla
sua normalità fatta da …una solitudine infinita, all’acqua centellinata, al rito ….del te, al pane ..cotto nella
sabbia, che sono il piacere del suo vivere.
Dopo duecento chilometri di pista entriamo in Algeria a Inguezan .
Attraversiamo il Sahara,che da sempre stimola la fantasia di tutti coloro che amano gli spazi aperti, le
sconfinate estensioni desertiche. Il Sahara ha una superficie pari a venticinque volte l’Italia.
Proseguiamo sempre verso nord.
Prima delle dune di Laouni, gironzoliamo in fuori pista per una
giornata. Corriamo paralleli ad innumerevoli picchi a forma di torri,
funghi, "cattedrali" affioranti da sabbie multicolori e lungo infiniti
cordoni dunari. Incrociamo una carovana Tuareg proveniente da
Bilma, notiamo che il pomo della sella è a forma di croce, vanto dei
fabbri dell’Air. Siamo nella mitica Tamanrasset . Ci prepariamo per
la notte nelle vicinanze del "picco di Tamm ",poco lontani da un
accampamento Tuareg. Ai bordi di una pozza, forme femminili
fanno bucato chine su dei copertoni pieni d’acqua. Un Tauareg con
il suo turbante, lucido come la carta carbone, lascia intravedere
soltanto gli occhi e la radice del naso, tiene per mano il figlio dai
capelli finemente intrecciati. Le donne, a differenza degli uomini,
possono mostrarsi a viso scoperto e offrono a noi fotografi il loro
sorriso. Il fuoco è stato acceso in una cavità della sabbia.
C’invitano. Il te verde passa dalla teiera al bicchiere e viceversa
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prima di essere versato su dei minuscoli bicchierini posati sulla sabbia.
La pista è molto sconnessa. Ci stiamo dirigendo all’Assekrem. Spegniamo la radio e prestiamo attenzione
ai rumori del nostro fuori strada: gemiti e scricchiolii sinistri. Purtroppo cede un supporto di un
ammortizzatore. Risolviamo il problema portando a 3 atmosfere le provvidenziali sospensioni ad aria della
Bitop. Così facendo possiamo proseguire e di sera giungiamo all’eremo di padre Foucauld a 2870 metri.
Ci alziamo prima dell’alba, s’intravedono i contorni ancora sfumati
dell’Hoggar. Il debole sole dell’alba tinge le punte del Tahat 2918 metri, i
suoi profili si fanno sempre più netti man mano che il sole si alza
all’orizzonte e vediamo uscire dall’ombra: guglie, chenyons e un continuo
susseguirsi di catene montuose.
Siamo in pista e ne avremo ancora per tre giorni, passiamo per: In
Ecker,Anguid, Bordj Omar Driss, Hassi Mmessaoud e da qui in poi una
strada asfaltata ci porterà a casa dopo 22000 chilometri percorsi in135
giorni. Il traghetto "Carthage" ci sta riportando a Genova, siamo tutti
spapparazzati al sole, ed è un momento di riflessione: bravi Silvana e Toni
e al loro Iveco 4 per 4, per essere stata la loro prima volta in Africa, se la
sono cavata egregiamente. Dieci e lode alla cellula in vetroresina della
Campertre.
La mia fantasia vola: sulle dune del deserto, al silenzio assoluto, alle savane
Camerunensi, al bagno degli elefanti, ai voli d’uccelli al tramonto,
all’emozione della navigazione satellitare, ai 15000 chilometri di pista alle
tribù Bororo, Komba, Pigmoidi,Tuhareg. Non dimenticherò i cieli blu
cobalto, le notti stellate, i tramonti infuocati, il nulla, l’infinito, gli abbracci
di gioia e le risate con gli amici attorno al fuoco.
Christine ed io ringraziano tutti coloro che ci hanno aiutati per la realizzazione di questo viaggio:
La disponibilità degli amici: Romeo Conforto, Mauro Pellegrini, Venturino Colito.
La latteria sociale di Merano (BZ), La concessionaria Toyota Genetti di Lana e Merano (Bz) per aver
messo a punto il nostro fuoristrada.
Il kit: compressore, manometri e sospensioni aggiuntive ad aria BITOP sono della ditta VEI di Reggio
Emilia messe in opera dalla Giò Camper di Monza (Mi).
Ringraziamo inoltre la ditta d’importazione Move-it di Merano (BZ).
Il kit: 3 pannelli fotovoltaici, batteria solare e regolatore di carica e carica batteria, ci è stato messo a
disposizione dalla ditta Enertec di Asti.
La Meranese Gomme, la ditta di lubrificanti Franz F. di Merano (Bz) e l'olio Wameco.
Le pellicole Velvia 50 Asa della Fuji messa a disposizione dalla ditta: Foto Gino di Livigno (So) e Foto
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Kofler di Lana ( BZ ).
Le serigrafie adesive sono della ditta Martinelli Ivano di Milano.
La carrozzeria è stata curata dalla ditta Stimabile di Cernusco sul Naviglio (Mi)
I serbatoi in vetroresina per l’acqua e il gasolio sono stati realizzati dalla ditta "Campertre in
collaborazione con la G.M. di Velo D’astico (Vicenza).
Il rivelatore di eventuali fughe di gas incombusti e gas soporiferi ci è stato fornito dalla ditta N.C.A.
camping di Milano
Per l'assicurazione R.C.A. per l'Italia e per l'Europa siamo stati assistiti dalla Sara Assicurazione e
dall'A.C.I di Merano e Bolzano.
Per le prenotazione dei traghetti e informazioni su questo viaggio ci siamo rivolti come sempre all'agenzia
viaggi Nouba Tours di Merano (Bz)
Per andarci
( 20.000 km in 176 giorni !):
VISTI:
Libia: si ottiene all’Ambasciata libica a
Milano
Occorre: timbro bilingue (italiano – arabo)
dalla Questura di Milano, invito di un
agenzia libica,
1 foto. Per queste pratiche ci si può
rivolgere al Sig. ACHIM ( Tour operator)
Tel 0339 / 2533373 costo £ 220 000
Ciad: ambasciata del Tschad a Bonn 53173,
Bastaistr. 80 tel. 0049 0228 356026 Fax
0049 0228 355887 costo: £ 70 000
Camerun: Ambasciata del Camerun, via
Siracusa 4/6 00161 Roma tel 06 44291285
Fax 06 44291323 costo: £ 110 000
oppure: all’Ambasciata del Camerun in
N’Djamena (Ciad)
Niger: Ambasciata del Niger a Roma tel. 06
3729013 costo: £ 90 000
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3729013 costo: £ 90 000
Algeria: Ambasciata dell’Algeria a Roma tel. 06 8084141 costo: £ 60 000
ALTRI DOCUMENTI: patente internazionale, Carnet du Passage per il Ciad, Camerun e Niger
VACCINAZIONI: febbre gialla, epatiti A e B, meningite, vaiolo, anticollera, profilassi antimalaria.
MONETA: Libia: Dinaro libico: 1$ = 2 Dinari
Ciad: CFA 100 FF = 10.000 CFA = ( 1 CFA = 3 £ )
Camerun: CFA - Niger: CFA - Algeria: Dinaro 1 Dinaro = 30 £
ALTRI COSTI:
Traghetto: Genova – Tunisi £ 1.800 000 andata e ritorno
Gasolio: Tunisia: £ 500 x litro Libia £ 100 Ciad £ 1200 Camerun £ 1050 Niger £ 900 Algeria £ 360
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