Tempo Libero 11
Corriere della Sera Mercoledì 21 Novembre 2012
BS
Lo scrittore
ger a testa alta, e vive in Lager illeso e incorrotto. (…) Ho sempre visto, e ancora vedo in lui,
la rara figura dell’uomo forte e mite, contro
cui si spuntano le armi della notte.
Nella Tregua, il libro dell’incredibile tortuoso ritorno, resta indelebile il ricordo di Flora,
l’italiana delle cantine di Buna, una ex prostituta di provincia, finita in Germania con l’organizzazione Todt, pronta a regalare il pane ai
due Häftlinge spaventati e intimoriti, che s’innamorano di lei e, dopo che Alberto ha regalato un pettine alla ragazza, se la sognano di notte, quasi ritrovando un mondo che credevano
perduto e nemmeno tanto scalfito dalla scoperta che Flora aveva convegno con altri uomini.
Cerio, uno dei racconti del Sistema periodico, rievoca il piccolo commercio dei cilindretti
rubati nel laboratorio di chimica. Ai timori e
agli scoraggiamenti di Primo, Alberto contrappone una volontà indomita e fiera.
Per lui la rinuncia, il pessimismo, lo sconforto, erano abominevoli e colpevoli: non accettava l’universo concentrazionario, lo rifiutava
con l’istinto e con la ragione, non se ne lasciava
inquinare. Era un uomo di volontà buona e forte, ed era miracolosamente rimasto libero, e libere erano le sue parole ed i suoi atti: non aveva abbassato il capo, non aveva piegato la
schiena. Un suo gesto, una sua parola, un suo
rigo, avevano virtù liberatorie, erano un buco
nel tessuto rigido del Lager, e tutti quelli che lo
avvicinavano se ne accorgevano, anche coloro
che non capivano la sua lingua. Credo che nes-
La mappa
Sopra, la mappa delle «Pietre
d’inciampo» che verranno
posate a Brescia (disegno di
Franco Portinari); nell’altra
pagina, le pietre posate a Roma
dall’artista Gunter Demnig
L’amico bresciano
Di Alberto Dalla Volta,
Primo Levi scrisse: «È il
mio migliore amico. (...)
nessuno di noi italiani ha
dimostrato capacità di
adattamento simili alle
sue. Alberto è entrato in
lager a testa alta, e vive in
lager illeso e incorrotto»
suno, in quel luogo, sia stato amato quanto lui.
La forza incrollabile di Alberto subirà un’incrinatura soltanto quando il padre Guido, nella grande selezione dell’ottobre 1944, verrà
scelto per il gas. Una sorte che il figlio non accetterà arrivando a negare l’evidenza. Così leggiamo in una pagina amara dei Sommersi e i
salvati:
Alberto cambiò, nel giro di poche ore. Aveva
sentito voci che gli sembravano degne di fede:
i russi erano vicini, i tedeschi non avrebbero
più osato persistere nella strage, quella non
era una selezione come le altre, non era per le
camere a gas, era stata fatta per scegliere i prigionieri indeboliti ma recuperabili, come suo
padre, appunto, che era molto stanco e non
ammalato; anzi lui sapeva perfino dove li
avrebbero mandati, a Jaworzno, non lontano,
in un campo speciale per convalescenti adatti
soltanto per lavori leggeri. Naturalmente il padre non fu più visto, ed Alberto stesso scomparve durante la marcia di evacuazione del
campo, nel gennaio 1945.
Il futuro scrittore aveva diviso tutto con Alberto: il cibo che si poteva raccattare anche
grazie al puro altruismo di pochi giusti, come
scopriamo in Il ritorno di Lorenzo, uno dei testi più belli della raccolta Lilit, e perfino il preziosissimo pacco dono ricevuto dall’Italia, la
cui metà verrà rubata: è il tema di L’ultimo Natale di guerra.
Ma proprio una scodella di zuppa, che Primo ricevette da un polacco in cambio di una
L’esordio
Eraldo Affinati è nato nel
1956 a Roma dove vive e
lavora. Insegna italiano e
storia nell’Istituto
professionale di Stato «Carlo
Cattaneo», presso la
succursale della Città dei
Ragazzi. Ha esordito con Veglia
d’armi. L'uomo di Tolstoj
(Marietti 1992, Mondadori
1998), un breviario interiore
ispirato all’opera del grande
scrittore russo. Il suo primo
romanzo, d’impronta
autobiografica, s’intitola
Soldati del 1956 (Marco Nardi
1993, Mondadori 1997)
I successi
È stato finalista nel Premio
Strega e nel Premio Campiello,
con il libro Campo del Sangue
(Mondadori
1997), diario di
un viaggio
compiuto con
mezzi poveri da
Venezia ad
Auschwitz, sulle
tracce del
nonno, Alfredo
Cavina, fucilato
dai nazisti il 26
luglio 1944 a
Pievequinta
(Forlì) e della
madre,
Maddalena,
riuscita a fuggire
il 2 agosto 1944 alla stazione
di Udine da un treno che la
stava deportando in Germania.
Un teologo contro Hitler. Sulle
tracce di Dietrich Bonhoeffer
(Mondadori 2002, disponibile
anche in ebook) riflette invece
sull’azione etico-resistenziale
di uno dei più grandi cristiani
del Novecento. Ha curato
l’edizione completa delle opere
di Mario Rigoni Stern, Storie
dall’Altipiano (I Meridiani,
Mondadori, 2003)
Per i nuovi italiani
Insieme alla moglie, Anna
Luce Lenzi, ha fondato la
«Penny Wirton», una scuola di
italiano per stranieri. Italiani
anche noi (Il Margine, 2011) è
appunto il titolo del manuale
della Penny Wirton
L’ultimo libro
L’ultimo libro di Affinati, L'11
settembre di Eddy il ribelle
(Gallucci Editore, 2011),
illustrato da Emma Lenzi,
racconta a chi era ancora
bambino nel 2001 il più grave
attacco terroristico di tutti i
tempi e il suo significato nella
storia dei popoli del mondo
dozzina di tubetti di vetro usati per trasferire i
liquidi nei laboratori di chimica, risultò fatale.
Chi poteva averla lasciata ancora mezza piena
se non un malato incapace di mangiarla tutta?
È una storia incredibile che lo stesso Levi rivelò in uno dei suoi ultimi racconti dal titolo Pipetta da guerra:
Quella sera stessa io e il mio amico ed alter
ego Alberto ci spartimmo quella zuppa così sospetta. Alberto aveva la mia età, la mia statura, il mio carattere e il mio mestiere, e dormivamo nella stessa cuccetta. Ci somigliavamo
perfino un poco, i compagni stranieri e il Kapo
ritenevano superfluo distinguere fra noi, e pretendevano che quando chiamavano «Alberto!» o «Primo!» rispondesse comunque quello
di noi che era più vicino. Eravamo dunque per
così dire intercambiabili, e chiunque avrebbe
pronosticato per noi due lo stesso destino: entrambi sommersi o entrambi salvati. Ma proprio a questo punto entrò in funzione l’ago dello scambio, la piccola causa degli effetti determinanti. Alberto aveva avuto la scarlattina da
bambino, ed era immune; io invece no. Mi accorsi delle conseguenze della nostra imprudenza pochi giorni dopo. Alla sveglia, mentre Alberto stava
bene, a me la gola doleva intensamente; stentavo a deglutire e avevo la febbre alta.
Quella malattia, come
sappiamo, salverà Primo
perché gli consentirà di restare nell’infermeria fino all’arrivo dei russi, che lo raccoglieranno ormai allo stremo delle forze insieme a
pochi altri compagni. Alberto invece, non contagiato dalla scarlattina, lascerà
il campo ancora sotto le
L’eredità
grinfie delle SS per affronta«Ora che i protagonisti
re il temibile inverno polacdella Shoah, per evidenti
co.
Mai titolo fu più stupefaragioni anagrafiche, stanno
cente
dei Sommersi e i salper lasciarci raggiungendo
vati: come il vecchio marii sommersi, la spina di
naio di Coleridge, citato in
Primo Levi passa a noi.
esergo, non sa resistere alla forza che lo spinge a rieEd io credo che molte
ancora una volta,
persone oggi siano pronte vocare,
lui, unico sopravvissuto, la
a raccoglierla»
storia agghiacciante patita
insieme ai suoi amici affogati nell’ingordo oceano,
così Primo Levi sente di dover tornare a ricordare una catastrofe, non naturale, bensì provocata da uomini contro altri uomini. È questa la
tremenda responsabilità del salvato che scrive
in nome di chi non ha potuto farlo, pur essendo dolorosamente consapevole della clamorosa insufficienza che avranno le sue parole: coloro che sono stati davvero «sul fondo» avrebbero potuto testimoniare una verità indicibile
da chi, per fortuna, destino, capacità, egoismo, piccole o grandi cause, vallo a capire, è
riemerso.
Ecco perché le due pietre d’inciampo poste
in Piazza Vittoria n. 11, a Brescia, possiedono
un valore speciale. Alberto non era soltanto
l’alter ego di Primo Levi. Sapendo quanto lo
scrittore piemontese amasse Joseph Conrad,
potremmo considerarlo il suo «compagno segreto», se non addirittura la spina nel fianco
che, fino all’ultimo, non smise di pungerlo.
Ma ora che i protagonisti della Shoah, per evidenti ragioni anagrafiche, stanno per lasciarci
raggiungendo i sommersi, la spina di Primo
Levi passa a noi. Ed io credo che molte persone oggi, gli adulti ma soprattutto i giovani, siano pronte a raccoglierla.
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Polemiche Lo storico dell’arte ha presentato ieri nella sede del Corriere il libro «La madre di Caravaggio è sempre incinta». Ma l’ebook torna su Amazon
«I disegni del Merisi? Bufala atomica»
Tomaso Montanari torna all’attacco di Curuz e Conconi Fedrigolli
L
a data ormai la sanno tutti: 5 luglio 2012. L’Ansa
batte la notizia bomba:
«Caravaggio, trovati cento disegni mai visti!». Tomaso Montanari, docente alla Federico II di
Napoli, quello studio del duo
bresciano Maurizio Bernardelli
Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, lo bolla però così: «Una
bufala, una balla, una sòla atomica». Sono trascorsi alcuni
mesi, ma la presunta scoperta
dei cento disegni del Merisi nel
Fondo Peterzano è roba che
scotta ancora. Montanari le ha
dedicato persino il primo capitolo del suo ultimo libro, La
madre di Caravaggio è sempre
incinta (Skira), presentato ieri
a Milano, nella sede del Corriere. Ecco cosa scrive dei due studiosi bresciani: «Due perfetti
ignoti. Non possiamo impedire
a chi vuole dire stupidaggini di
dirle, ma la storia dell’arte non
si fa con gli ebook. Poi non capisco perché l’Ansa non abbia
appurato la notizia, prima di
diffonderla». Ma quando arrivano notizie-bomba come questa, i giornali devono pubblicarle o no? «Certo. Con la smentita incorporata» scherza Montanari. Pierluigi Panza, firma del
Corriere e moderatore dell’incontro di ieri, risponde così:
«Dobbiamo avere il coraggio di
prendere posizione». Dopodiché lascia la platea di stucco.
Giusto un attimo. La vituperata scoperta, dice, scaturisce da
«un giudizio imparziale». Poi,
però, arriva la stoccata. Tranchant: «Imparziale perché quei
due non conoscono la materia». Montanari rincara la dose:
«Gli argomenti a sostegno dell’attribuzione? Vaneggiamenti
e fotomontaggi con effetti esilaranti. A me pare una bieca ope-
razione di marketing. Ma com’è possibile valutare quei disegni 700 milioni di euro?».
Gian Antonio Stella un’idea ce
l’ha: «Il Comune di Milano potrebbe metterli a bilancio». Risate in platea. Ma non avrà ragione Bernardelli Curuz quando denuncia un certo ostracismo del mondo accademico?
Macché. Montanari replica:
L’attacco e la replica
«Gli argomenti a sostegno dell’attribuzione?
Vaneggiamenti e fotomontaggi con effetti esilaranti.
Pare bieco marketing». Bernardelli replica: «Macché
speculazione, ci abbiamo messo soldi e fatica»
«Pura demagogia. La storia dell’arte è ormai slabbratissima. E
il rigore è un valore».
Intanto, però, dopo essere
sparito per misteriosi motivi,
l’ebook è tornato in vendita su
Amazon. «Ci sono stati problemi tecnici» spiega Curuz. Che
non accetta di essere tacciato
di divismo: «Non c’è alcun intento speculativo nella nostra
ricerca. Crediamo fermamente
nel nostro lavoro, ci abbiamo
messo soldi e tanta fatica. Siamo stati peraltro contattati da
un’associazione statunitense:
credo esporremo la ricerca laggiù. Non aggiungo altro».
Alessandra Troncana
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Fondo Peterzano Maurizio Bernardelli Curuz e i disegni contestati
Codice cliente: 5441984
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«I disegni del Merisi? Bufala atomica»