Facoltà di Scienze Politiche
Corso di laurea in Relazioni Internazionali
Cattedra di Organizzazione Internazionale
IL POLO AGROALIMENTARE DELL’ONU:
IL WORLD FOOD PROGRAMME
Relatore
Chiar.mo Prof.
Claudio Zanghì
Correlatore
Candidata
Prof. Raffaele Cadin
Flaminia Battistelli
Anno Accademico 2007/2008
INDICE
INTRODUZIONE ................................................................................................................5
CAPITOLO I: LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE ECONOMICA E
SOCIALE NEL SISTEMA DELLE NAZIONI UNITE .....................................................9
1.1 L’ORIGINE E L’EVOLUZIONE DELLA COOPERAZIONE ECONOMICA E
SOCIALE ..............................................................................................................................9
1.1.1 La natura della cooperazione alla luce della carta dell’ONU .....................................11
1.1.2 I contenuti della cooperazione economica e sociale ....................................................14
Le regole della cooperazione................................................................................................15
Le tipologie di cooperazione.................................................................................................17
1.2 GLI ORGANI PREPOSTI ALLA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO E LE LORO
FUNZIONI...........................................................................................................................24
1.2.1 La funzione normativa e la funzione di coordinamento dell’Assemblea Generale e del
Consiglio economico e sociale..............................................................................................25
1.2.2 Il decentramento delle attività operative per lo sviluppo .............................................29
Gli Istituti Specializzati ........................................................................................................30
Gli organi sussidiari.............................................................................................................34
CAPITOLO II: IL SISTEMA DELLE NAZIONI UNITE NEL SETTORE
AGROALIMENTARE: IL POLO AGRO-ALIMENTARE ............................................38
2.1 IL SISTEMA DELLE NAZIONI UNITE NEL SETTORE AGROALIMENTARE ........38
2.1.1 L’evoluzione della cooperazione agroalimentare internazionale..................................39
Dalla FAO alla nascita del Polo agroalimentare..................................................................41
Il diritto all’alimentazione e la sicurezza alimentare ............................................................45
2.2 PROFILO ISTITUZIONALE E ATTIVITA’ DEGLI ENTI DEL POLO
AGROALIMENTRE............................................................................................................49
2.2.1 Profilo istituzionale e attività della FAO.....................................................................49
2.2.2 Profilo istituzionale e attività dell’IFAD .....................................................................53
2.2.3 Profilo istituzionale del WFP.......................................................................................57
2.2.4 Missione e attività del WFP ........................................................................................61
2.3 ATTIVITA’ CONGIUNTE DEL POLO AGRO-ALIMENTARE: IL TWIN-TRACK
APPROACH E GLI OBIETTIVI DEL MILLENNIO...........................................................64
CAPITOLO III: IL WORLD FOOD PROGRAMME E L’ASSISTENZA
UMANITARIA...................................................................................................................69
3.1 LE NAZIONI UNITE E L’ASSISTENZA UMANITARIA............................................69
3.1.1 I principi dell’azione umanitaria delle Nazioni Unite...................................................71
3.1.2 Il coordinamento dell’azione umanitaria nel sistema ONU ..........................................74
3.2 LE OPERAZIONI DI EMERGENZA DEL WFP ..........................................................78
3.2.1 I principi umanitari nelle operazioni del WFP ............................................................79
2
3.2.2 Il WFP e le emergenze .................................................................................................81
3.2.3 Una nuova definizione di emergenza: la protezione delle livelihoods...........................83
3.2.4 Le tipologie e le fasi delle operazioni di emergenza .....................................................85
3.2.5 L’approvazione delle EMOPs e il ruolo del WFP.........................................................87
3.2.6 La valutazione dei bisogni nelle emergenze..................................................................91
3.2.7 Il targeting nelle emergenze.........................................................................................92
3.2.8 La distribuzione degli aiuti e gli implementing partners...............................................93
3.2.9 Dal soccorso iniziale alla riabilitazione.......................................................................94
3.2.10 Le reti di sicurezza alimentare ...................................................................................96
3.2.11 Uscire dalle operazioni di emergenza ........................................................................97
3.3 IL WFP E LE EMERGENZE COMPLESSE..................................................................99
3.3.1 Gli aiuti alimentari del WFP nelle emergenze complesse ...........................................100
3.3.2 L’accesso ai beneficiari nelle emergenze complesse...................................................103
3.3.3 Il WFP e i rifugiati.....................................................................................................108
3.3.4 Il WFP e gli sfollati ...................................................................................................111
CONCLUSIONI ...............................................................................................................115
APPENDICE ....................................................................................................................122
WFP - GENERAL REGULATIONS..................................................................................122
DICHIARAZIONE DI INTENTI DEL WFP......................................................................130
BIBLIOGRAFIA..............................................................................................................134
3
Desidero ringraziare il World Food Programme, in particolare la Divisione di Public Policy
Communications and Private Partnerships.
Il tirocinio da me svolto nel luglio-ottobre 2008 ha rappresentato per me un’opportunità di
apprendimento e l’occasione per approfondire le tematiche della fame nel mondo e
dell’assistenza umanitaria realizzata dalle Nazioni Unite.
4
INTRODUZIONE
Fin da quando si è iniziato a parlare di cooperazione internazionale, i problemi di natura
economica e sociale hanno occupato uno spazio nell’attenzione degli Stati. Naturalmente, la
priorità era rappresentata dai problemi politici e dalle possibili soluzioni ad essi.
All’indomani della prima guerra mondiale, quando erano vive la catastrofica esperienza
bellica e la spinta a risolvere le dispute internazionali attraverso il diritto e la cooperazione
internazionale, gli sforzi furono soprattutto diretti a creare un’istanza – la Società delle
Nazioni – in grado di comporre i conflitti e assicurare la pace. Anche se il Covenant della
Società delle Nazioni non assumeva esplicitamente un collegamento tra la stabilità economica
e la salvaguardia della pace, i costi economici della guerra nei paesi più colpiti (Austria, paesi
balcanici) così come il sottosviluppo di altri (Cina) avevano indotto la comunità
internazionale a occuparsene e a tentare le prime forme di intervento. Nonostante la limitata
efficacia di queste, alla fine degli anni Trenta il rapporto del “Comitato Bruce” aveva
proposto di estendere alla cooperazione economica la competenza della Società delle Nazioni
e di creare organizzazioni intergovernative specificamente addette a tale attività.
Bisogna tuttavia aspettare la Conferenza di San Francisco del 1945 che darà vita alle Nazioni
Unite, perché la cooperazione economica e sociale fosse definitivamente istituzionalizzata,
attraverso il riconoscimento ufficiale di questo tipo di cooperazione tra le attività dell’ONU e
la sua attuazione grazie alla decentralizzazione tramite gli Istituti Specializzati.
Come la Prima Guerra mondiale aveva permesso di intuire il rapporto tra sviluppo economico
e pace, così la Seconda aveva portato questo legame alla luce in modo chiaro e
incontrovertibile. Fondamentale in queso senso è stato l’apporto americano, espresso dal
presidente Roosevelt che aveva convinto gli Stati Uniti a impegnarsi nella Seconda guerra
mondiale sulla base dei quattro obiettivi enunciati nel suo discorso del 6 gennaio 1941: la
libertà dal bisogno insieme alla libertà di parola, alla libertà di credo e alla libertà dalla paura.
Mediante una serie di passaggi, le “quattro libertà” vennero fatte proprie da un numero
crescente di membri della comunità internazionale. Esse costituirono la base per quel “più
vasto e permanente sistema di sicurezza collettiva” prefigurato dalla dichiarazione congiunta
del presidente americano e del premier britannico Churchill sottoscritta il 14 agosto 1941 e
5
nota come la “Carta Atlantica”. I suoi punti fondamentali, affermati nella Conferenza di Yalta
nel febbraio 1945, costituirono la base della Carta della Nazioni Unite sottoscritta dai
rappresentanti dei 50 paesi che nell’aprile-giugno 1945 diedero vita alla Conferenza di San
Francisco.
Già nel corso del secondo conflitto mondiale la fame è una realtà da fronteggiare e
l’inserimento di freedom from want tra le libertà promesse ai popoli del mondo legittima
nuove iniziatie: il settore agro-alimentare è uno dei primi banchi di prova del nuovo spirito
cooperativo che anima la comunità internazionale. La nuova organizzazione denominata
FAO, il cui atto istitutivo venne firmato nel febbraio 1945 nel corso della Conferenza di
Quebec City, “nata dall’idea della libertà dal bisogno […] e insieme nata dall’esigenza di
pace”1, era ormai pronta a costituire uno dei mattoni su cui veniva costruito l’edificio delle
Nazioni Unite.
Nonostante l’iniziale carattere tecnico e depoliticizzato che gli Stati membri lea conferiscono,
nel tempo la FAO, e la cooperazione agro-alimentare nel complesso, si arricchiscono di nuovi
strumenti teorici e pratici. La comunità internazionale giunge innanzitutto a riconoscere che la
povertà estrema e la fame nel mondo sono l’una la causa dell’altra, e una loro soluzione
presuppone il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione rurale e investimenti
mirati nel settore agricolo. Allo stesso modo, gli obiettivi della cooperazione agro-alimentare
si trasformano fino ad identificarsi nella sicurezza alimentare, nella sovranità alimentare dei
PVS e nello sviluppo agricolo e rurale sostenibile dei paesi beneficiari. L’approdo del
percorso evolutivo che ha investito tale settore è espresso dall’attuale impegno della comunità
internazionale alla realizzazione degli Obiettivi del Millennio, il primo dei quali è proprio
dimezzare la povertà assoluta e la fame nel mondo entro il 2015.
Nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite, il Polo agro-alimentare costituisce lo
“strumento” di tale cooperazione grazie all’azione interdipendente dei tre enti che lo
costituiscono: FAO, IFAD e WFP. Avendo come sfondo il nesso tra sviluppo e pace, tra
dimensione economica e dimensione politica, il presente lavoro di tesi si propone di
ricostruire il ruolo del polo agro-alimentare dell’ONU con particolare riferimento al WFPWorld food Programme e alle sue funzioni operative nell’ambito della cooperazione
umanitaria e d’urgenza.
Il primo capitolo delinea nei suoi termini generali il tema della cooperazione internazionale in
ambito economico e sociale e analizza il sistema delle Nazioni Unite in relazione ad essa.
1
Rev. Pan. Doc. 15, 25-06-1945, pp. 4-5 cit. in Schutz, FAO, Food and Agricolture Organization,
editor in chief Rudiger Wolfrum, managing editor Christiane Philipp, 1995, p. 502.
6
Dopo aver accennato all’origine e all’evoluzione della cooperazione economica e della
cooperazione sociale a livello internazionale e allo spazio che esse ricoprono nella carta
dell’ONU, vengono descritte le regole di tale cooperazione e distinti i tre tipi (cooperazione
tecnica, finanziaria, umanitaria e d’urgenza) di essa. Successivamente vengono analizzati gli
organi preposti alla cooperazione allo sviluppo e le loro funzioni, partendo dalla funzione
normativa e di coordinamento esercitata dall’Assemblea generale e dal Consiglio economico
e sociale dell’ONU. Passando alle attività operative dedicate allo sviluppo, vengano esaminati
gli istituti specializzati in riferimento sia a quanto previsto per essi dalla Carta costitutiva
dell’ONU, sia ai poteri di coordinamento dell’Assemblea generale e del Consiglio economico
e sociale, sia gli accordi di collegamento. Infine, vengono delineate le caratteristiche e i
compiti degli organi sussidiari, e in particolare di quelli “quasi autonomi” con funzioni
operative nell’ambito della cooperazione, importanti ai fini di questo discorso in quanto
comprendenti le agenzie come il WFP oggetto del nostro studio.
Il secondo capitolo descrive il sistema delle Nazioni Unite nel settore agro-alimentare.
L’evoluzione della cooperazione in questo settore viene seguita a partire dalla fondazione
della FAO fino alla nascita del Polo agro-alimentare, quando altri due enti, un organo
sussidiario comune a FAO e ONU e un istituto specializzato (WFP e IFAD) si inseriscono nel
“monopolio” della FAO in materia di cooperazione agro-alimentare. Ciò accade
parallelamente all’emergere di nuovi concetti quali il “diritto ad un’alimentazione adeguata” e
la “sicurezza alimentare”. È così che attualmente è possibile parlare di un sistema onusiano in
campo agro-alimentare. In tale sistema, la FAO, sebbene abbia nel tempo orientato le sue
attività e le sue risorse in senso operativo, conserva oggi le sue funzioni “normative”, mentre
assumono un ruolo crescente nel campo delle attività finanziarie e operative le due
organizzazioni più giovani. L’IFAD, infatti, è l’organizzazione preposta al finanziamento dei
progetti agricoli diretti a migliorare la produzione alimentare di Paesi in Via di Sviluppo
(PVS), mentre il WFP è la prima organizzazione nel mondo per la distribuzione di aiuti
alimentari finalizzata allo sviluppo economico e sociale dei paesi beneficiari, all’assistenza e
alla sicurezza alimentare di rifugiati, sfollati e degli altri soggetti bisognosi in situazioni di
emergenza.
Al ruolo del World Food Programme nell’ambito dell’assistenza umanitaria delle Nazioni
Unite è specificatamente dedicato il terzo capitolo. Esso si apre con una disamina
dell’assistenza umanitaria nel sistema delle Nazioni Unite, un vasto ambito che ricomprende
al proprio interno l’assistenza alimentare. Dopo aver toccato i principi dell’assistenza
umanitaria, l’analisi affronta il cruciale tema del coordinamento tra le organizzazioni onusiane
7
preposte all’azione umanitaria. Successivamente vengono analizzate le Operazioni di
emergenza del WFP, alla luce sia dei generali principi umanitari, sia di nuovi concetti come la
“protezione delle livelihoods”, cioè delle capacità di sostentamento, oltre il vecchio concetto
di fonti materiali (come il bestiame, le coltivazioni ecc.).
Il mandato del WFP si articola in quattro obiettivi strategici quali salvare vite in situazioni di
crisi, proteggere i livelli base di sostentamento in tali situazioni e rafforzare la capacità di
reazione agli shock, sostenere i miglioramenti nell’alimentazione e lo stato di salute dei
bambini, delle madri e di altri soggetti vulnerabili, promuovere l’accesso all’istruzione e
ridurre le disparità tra i sessi. Delle attività finalizzate al conseguimento di tali obiettivi, le più
caratteristiche sono le operazioni di emergenza (EMOPs), le quali richiedono un accurato
lavoro di individuazione dei destinatari e di valutazione dei bisogni, nonché l’adozione di
procedure complesse. Il tutto in una strategia che contempla il passaggio dal soccorso
immediato (relief) alla creazione delle condizioni per il ripristino (recovery) della sicurezza
alimentare.
Il terzo capitolo si conclude con una discussione di problematiche particolarmente attuali
come quelle che il WFP incontra nella gestione delle emergenze complesse. Il confine tra la
dimensione umanitaria e quella politica appare drammaticamente sottile nelle emergenze
determinate dall’uomo, come tipicamente i conflitti. Il problema principale che in un simile
contesto devono affrontare le organizzazioni internazionali è rappresentato dall’accesso ai
destinatari della propria azione. Quest’ultimi (quasi sempre popolazioni civili) tendono a
essere vittime due volte, sia dell’emergenza iniziale (per esempio la guerra), sia delle
strumentalizzazioni politiche operate dalle parti ostili (gli impedimenti e i ricatti rivolti agli
operatori umanitari). Si tratta di un fenomeno che sta diventando particolarmente drammatico
nel caso dei rifugiati e degli sfollati, cioè di ampi settori della popolazione che, per sfuggire ai
conflitti interni si spostano, oppure vengono fatti spostare con la forza, all’interno o oltre i
confini del proprio paese.
Sebbene sia ancora difficile formulare un bilancio, sembra che la fine della guerra fredda, ben
lontana dall’aver favorito l’avvento di un’epoca di pace e di sviluppo, abbia moltiplicato nel
mondo crisi politiche che diventano presto militari e che la maggior parte delle volte sono
anche sociali ed economiche, con effetti drammatici sulle popolazioni. E, sebbene sia ancora
più difficile fare un bilancio in questo campo, anche le emergenze naturali sembrano
aumentate. Tutto questo sottolinea l’importanza dell’azione della comunità internazionale, in
particolare di quel sistema imperfetto ma indispensabile che è l’ONU, nel fronteggiare le
emergenze
e
contribuire
a
creare
8
le
condizioni
dello
sviluppo.
CAPITOLO 1
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE ECONOMICA E SOCIALE
NEL SISTEMA DELLE NAZIONI UNITE
1.1 L’ORIGINE E L’EVOLUZIONE DELLA COOPERAZIONE ECONOMICA E
SOCIALE
Come affermato dal Preambolo1 e dall’articolo 1.32 della Carta, e poi specificato dai Capitoli
IX e X, le Nazioni Unite promuovono la collaborazione internazionale in campo economico e
sociale. Ciò esprime la consapevolezza che i fini e i principi delle Nazioni Unite, vale a dire il
mantenimento di rapporti pacifici tra le nazioni, la sicurezza, il rispetto dei diritti umani, non
possono essere slegati dallo sviluppo economico e dall’equità sociale dei popoli.
Il grande sforzo che l’ONU compie in campo economico e sociale, e che va sotto il nome di
cooperazione per lo sviluppo, ha l’intento di ridurre le gravi disuguaglianze esistenti tra gli
stati e comprende tutte le attività dell’Organizzazione volte a realizzare le condizioni per
elevare il tenore di vita delle popolazioni ed assicurare il progresso sociale dell’umanità3. Lo
stimolo dell’Assemblea Generale in tal senso è stato e continua ad essere molto forte, anche
grazie alla maggioranza che in seno ad essa hanno i Paesi in via di sviluppo (PVS), i
principali fautori dell’accrescimento di tale funzione dell’Organizzazione4.
L’Assemblea Generale ha fatto riferimento all’art. 1.3 in numerose occasioni, sottolineando la
necessità della cooperazione internazionale nella risoluzione di questioni di carattere
economico, sociale, culturale o umanitario, nonché l’importanza della cooperazione tra Paesi
1
“We the people of the United Nations determined (..) to promote social progress and better standards
of life in larger freedom, and to these ends (..) to employ international machinery for the promotion of
the economic and social advancement of all peoples ”.
2
“The Purposes of the United Nations are: (..) To achieve international co-operation in solving
international problems of an economic, social, cultural, or humanitarian character”.
3
Vedi Malintoppi, A., Studi sul coordinamento nel sistema delle Nazioni Unite, Milano, Giuffrè, 1962,
p. 67.
4
Vedi Conforti, B., Le nazioni Unite, Padova, CEDAM, 2000, p. 233 e ss.
9
più arretrati per promuovere lo sviluppo economico5. A conferma di ciò, nella ris. 2625
(XXV) del 24.10.1970 sulle relazioni amichevoli e sulla collaborazione fra gli Stati, ad
esempio, si afferma che gli Stati “hanno il dovere di cooperare tra loro, senza tener conto
delle differenze esistenti nei loro sistemi politici, economici e sociali, nelle varie sfere delle
relazioni internazionali 6”.
Un’analisi della cooperazione internazionale economica e sociale nel sistema delle Nazioni
Unite non può prescindere dall’esame delle norme della Carta dell’ONU applicabili e
dell’origine ed evoluzione storica dell’attività medesima.
L’origine dell’interesse degli Stati per la soluzione dei problemi internazionali di natura
economica, sociale e umanitaria è anteriore alla nascita delle Nazioni Unite; nelle prime
trattazioni generali, si parla di “dovere di mutua assistenza” a cui si riconducevano varie
forme di collaborazione tra stati “per la tutela degli interessi comuni e per la conservazione
della società internazionale”, anche se tali regole avevano più la natura di obblighi morali che
non di regole giuridiche7. Allo stesso modo, si faceva riferimento al dovere degli Stati di
convocare conferenze internazionali su problemi, quali quelli di carattere sanitario, la cui
soluzione richiedeva una cooperazione interstatuale. Si riconosceva altresì, circa le forme
private d’assistenza umanitaria, che d’altronde hanno costituito l’impianto originario sul quale
poi si è sviluppata la cooperazione multilaterale su basi associative, un dovere morale degli
Stati di consentire sul proprio territorio lo stabilimento di stazioni d’osservazione e
l’organizzazione di missioni tecniche8.
Se le unioni amministrative dell’ultima parte del XIX secolo sono, a ragione, riconosciute
come strumenti di cooperazione economica, sociale e tecnica, è comunque solo tra le due
guerre che si profila l’embrione di un meccanismo operativo in campo economico e sociale. Il
Covenant della Società delle Nazioni non stabiliva una connessione tra la stabilità economica
e il mantenimento della pace, né, di conseguenza, prevedeva un meccanismo d’intervento
dell’organizzazione nelle questioni economiche e sociali. Nonostante ciò, le esigenze
avvertite soprattutto da parte degli Stati più colpiti dagli effetti della guerra e da problemi
5
Si pensi al Buenos Aires Plan of Action for promoting and implementing technical cooperation among
developing countries endorsed dall’AG con ris. 33/134, 19.12.1978.
6
Vedi Wolfrum R., “Article 55” e “Article 56” in The Charter of the United nations: a commentary,
ed. By Bruno Simma – in collaborazione con Hermann Mosler et al., II. ed. Oxford, Oxford University
Press, 2002, p. 902.
7
Fiore, T. di diritto internazionale pubblico cit. in Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel
diritto delle Nazioni Unite, Napoli, Jovene, 1977, p. 41.
8
Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 41.
10
endemici di sottosviluppo sono state all’origine del coinvolgimento della Società delle
Nazioni in un numero crescente di questioni economiche e finanziarie, con risultati peraltro
poco soddisfacenti9.
Proprio sulla base di queste esperienze si innescò un dibattito sull’opportunità di rendere
permanenti quelle forme occasionali di cooperazione economica, sociale e tecnica; a tal
proposito fu creato un comitato speciale per lo sviluppo della cooperazione internazionale in
materia economica e sociale, il “Comitato Bruce”, che propose, da una parte, l’istituzione di
un nuovo organo, il “Comitato Centrale”, che avrebbe avuto le stesse funzioni del Consiglio
della Società in relazione alle attività di cooperazione e, dall’altra, la creazione di nuove
organizzazioni tecniche intergovernative. Nonostante la mancata attuazione di tali proposte, il
rapporto10 del Comitato Bruce costituisce il più significativo documento in materia di
cooperazione multilaterale anteriore alla seconda guerra mondiale.
La questione della “istituzionalizzazione” della cooperazione economica e sociale venne
ripresa alla Conferenza di San Francisco e la scelta adottata dalla Carta dell’ONU fu una
soluzione di compromesso tra le due proposte elaborate dal Comitato Bruce. La Carta, infatti,
da una parte, accentua l’interesse per la cooperazione rivedendo la struttura stessa
dell’organizzazione, dall’altra contiene una serie di norme relative ad organizzazioni
internazionali con competenze tecniche collegate all’ONU, gli Istituti Specializzati11.
1.1.1 La natura della cooperazione alla luce della carta dell’ONU
Per comprendere come la cooperazione per lo sviluppo sia intesa nella Carta, è necessario
leggerla alla luce dei criteri ispiratori della Carta medesima e dello specifico contenuto dei
Capitoli IX e X.
9
Vennero formulati alcuni programmi di assistenza tecnica come quelli di ricostruzione economica e
finanziaria in Austria, Grecia e Bulgaria e il programma di cooperazione tecnica con la Cina nel 1931.
Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 42-43.
Vedi anche Wolfrum R., “Article 55” e “Article 56”, op. cit., p. 911.
10
Approvato dall’Assemblea della Società delle Nazioni il 14 -12 -1939.
11
Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 46.
11
Nel Preambolo si trova un primo accenno alla cooperazione internazionale economica e
sociale, anche se qui l’accezione data ai termini “economico e sociale” risulta più restrittiva
che negli articoli successivi12.
La prima norma che, effettivamente, disciplina questo settore è l’articolo 1.3 della Carta che
elenca, tra gli obiettivi delle Nazioni Unite, quello di conseguire la cooperazione
internazionale nella soluzione delle problematiche internazionali di carattere economico,
sociale, culturale o umanitario.
Un’ulteriore specificazione si trova, poi, all’interno della sezione del Capitolo IV dedicata a
“funzioni e poteri” dell’Assemblea Generale, nell’articolo 13.1(b) in cui si parla di studi e
raccomandazioni intrapresi dall’ organo assembleare nell’intento di promuovere la
cooperazione nel settore economico, sociale, culturale, dell’istruzione e della salute. La
portata dei suddetti articoli è specificata dalle disposizioni dei capitoli IX e X dedicati
rispettivamente alla “Cooperazione internazionale economica e sociale” e al “Consiglio
economico e sociale”.
Come si vedrà, dal complesso di tali norme sembra dedursi la scelta di formulare soltanto un
obbligo generico di collaborazione in materia economica e sociale13, lasciando alla prassi e
alla volontà degli Stati membri il compito di adeguare le funzioni dell’Organizzazione alle
esigenze future; ciò peraltro si conciliava con la prevista istituzione degli istituti specializzati,
cui i trattati istitutivi avrebbero attribuito una serie di responsabilità in materia di
cooperazione “tecnica” con gli Stati membri.
Riconoscendo l’importanza di un’azione concertata per la soluzione dei problemi di carattere
economico e sociale, la Carta pone determinati diritti e obblighi a favore e a carico degli Stati
membri. Assume una rilevanza fondamentale, con riferimento alle situazioni giuridiche
soggettive degli Stati nel campo della cooperazione economica e sociale, l’art. 55 della Carta
con cui si apre il Capitolo IX. Secondo questa norma14, dalla quale emerge la coerenza interna
dei fini enunciati nell’articolo 1 della Carta, l’ONU promuove un più elevato tenore di vita, il
pieno impiego e condizioni di progresso e sviluppo economico e sociale (art 55(a) ) e la
12
Malintoppi, A., Studi sul coordinamento nel sistema delle Nazioni Unite, op. cit., p. 71.
È l’obbligo generico di collaborazione alla base di qualsiasi patto d’unione, vedi Malintoppi, A., Le
raccomandazioni internazionali, Milano, Giuffrè, 1958, p.89.
14
“With a view to the creation of conditions of stability and well-being which are necessary for
peaceful and friendly relations among nations based on respect for the principle of equal rights and
self-determination of peoples, the United Nations shall promote:
a. higher standards of living, full employment, and conditions of economic and social progress and
development;
b. solutions of international economic, social, health, and related problems; and international cultural
and educational cooperation; and (..)”.
13
12
soluzione delle questioni internazionali di carattere economico e sociale (art. 55(b) ). Tali
obiettivi vanno perseguiti nel tentativo di creare quelle condizioni di benessere e stabilità
indispensabili affinché l’obiettivo principale dell’Organizzazione, vale a dire il mantenimento
della pace e della sicurezza internazionali, possa essere realizzato.
La carta attribuisce, quindi, al conseguimento del fine della cooperazione un carattere
strumentale rispetto a quello principale, ma non esclusivo, del mantenimento della pace e
della sicurezza internazionali. Allo stesso modo, nella prassi dell’ONU, è stato enfatizzato più
volte come il mantenimento della pace costituisca una pre-condizione allo sviluppo
economico15, trovandosi dunque le due componenti in un rapporto dialettico, essendo l’uno il
presupposto dell’altro 16.
Sebbene l’art. 55 (a) e (b) sia diretto a specificare e rafforzare gli artt. 1.3 e 13.1(b), la
clausola (a) dell’art. 55, laddove introduce i concetti di “pieno impiego” e “economic and
social (..) development”, non ha equivalenti nelle due norme menzionate. Per quanto riguarda
la clausola (b) del 55, si distingue tra promozione di soluzioni ai problemi internazionali di
carattere socio-economico e promozione della cooperazione nell’ambito culturale e
dell’istruzione, ad indicare la differente funzione dell’ONU nei due campi. Se, per quanto
riguarda cultura e istruzione, l’ONU si limita a promuovere la cooperazione tra gli Stati, nel
campo economico e sociale, si tratta di una vera e propria competenza atta a ricercare
soluzioni adeguate alle problematiche internazionali. In quest’ambito, infatti, la cooperazione
internazionale, così come articolata dagli artt. 55 e 56, non è solo un fine in sé, come lo è in
ambito culturale ed educativo, bensì soprattutto uno strumento mediante il quale realizzare gli
obiettivi di stabilità e benessere stabiliti dalla Carta17.
In ultima analisi, ad ogni modo, l’articolo si limita a stabilire l’impegno dell’ONU a
“promuovere” la soluzione dei problemi internazionali ed interni nei suddetti settori, senza
creare obblighi giuridici specifici. D'altronde già il Comitato tecnico (Comitato II/3) della
Conferenza di San Francisco specificò che nessuna disposizione del capitolo IX poteva essere
15
In tal senso si è espressa anche la Corte internazionale di giustizia la quale, nel parere Certe spese
delle Nazioni Unite del 20 luglio 1962, affermava che il mantenimento della pace e della sicurezza
internazionali costituisce il fine principale dell’ONU, potendo gli altri obiettivi essere conseguiti solo
se è realizzata questa condizione fondamentale; nella Declaration on International Economic Cooperation, ris. AG S-18/3, 1.5.1990, si afferma che “reduction in international political tension (..) will
create an opportuniy for strenghtening international economic cooperation”.
16
Questo approccio è stato particolarmente evidenziato in An Agenda for Peace (ris. AG 47/120 B del
20.12.1993) che nel capitolo dedicato al post-conflict peace buiding fa esplicito riferimento all’art. 55.
Vedi Wolfrum R., “Article 55” e “Article 56”, op. cit., p. 923.
17
Vedi Wolfrum R., “Article 55” e “Article 56”, op. cit., p. 927.
13
interpretata come un’autorizzazione all’ONU ad intervenire negli affari economici interni
degli Stati Membri18.
La forma così stabilita dall’art. 55 per la promozione della soluzione di tali problemi è quella
della cooperazione su basi “associative” e volontarie (d’altronde ciò è confermato, come si
vedrà in seguito, dalla natura volontaria dei contributi che finanziano le attività dell’ONU nel
settore economico e sociale).
La genericità dell’obbligo di collaborazione economica e sociale si è nel tempo tradotta in una
sua potenziale illimitatezza, tant’è che in questo articolo, e in particolare nel concetto chiave
di “sviluppo” di cui all’art 55(a), hanno trovato fondamento giuridico tutte le attività di
cooperazione economica, sociale e tecnica delle Nazioni Unite, nonché tutte le delibere
dell’Assemblea e del Consiglio economico e sociale (ECOSOC) relative a cooperazione
economica in generale, pieno impiego e stabilità economica, sviluppo, assistenza tecnica e
finanziaria, risorse naturali, commercio internazionali, rapporti finanziari internazionali19.
All’art. 55 si ricollega espressamente l’art. 56 che formula l’obbligo degli Stati membri di
agire, collettivamente o singolarmente, in cooperazione con l’organizzazione per il
raggiungimento degli obiettivi posti dall’articolo precedente. Tale norma ha la funzione di
rafforzare l’obbligo generico di cooperazione previsto nel preambolo della Carta nonché negli
articoli esaminati poc’anzi20. Essa, peraltro, non specifica le modalità e gli strumenti di tale
cooperazione, né investe l’Organizzazione del potere di richiederne forme specifiche agli Stati
membri.
In conclusione, si può dunque rilevare che, stando a quanto emerso dall’analisi dei principi
della Carta, la cooperazione internazionale economica e sociale, nell’ambito del sistema delle
Nazioni Unite, ha una natura strumentale, per ciò che concerne i fini dell’Organizzazione;
associativa e volontaria, per ciò che invece riguarda gli obblighi giuridici che, a tal proposito,
derivano dalla Carta a carico degli stati membri.
1.1.2 I contenuti della cooperazione economica e sociale
18
“The members of the Committee 3 of Commission II are in full agreement that nothing contained in
Charter IX can be construed as giving authority to the organization to intervene in the domestic affairs
of the Member States”.
19
Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 51.
20
Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 52 e
Malintoppi, A., Studi sul coordinamento nel sistema delle Nazioni Unite, op. cit., p. 74.
14
Le regole della cooperazione
Nel corso degli anni l’ONU ha operato nell’ambito della cooperazione per lo sviluppo e
ampliato la sua attività nel settore attraverso la creazione di nuove istituzioni e organi
sussidiari; l’adozione di raccomandazioni circa l’attività degli stati e delle istituzioni
internazionali; l’elaborazione di nuovi principi e programmi; la realizzazione, infine, di
attività operative dirette.
Le regole e i principi generali della cooperazione economica e sociale sono contenuti in
alcune “storiche” risoluzioni dell’Assemblea Generale. Tra queste occupano un posto di
rilievo la Dichiarazione e il Programma d’azione per l’instaurazione di un nuovo ordine
economico internazionale21, la Carta dei diritti e doveri economici degli Stati22 e la
Dichiarazione sulla Cooperazione Economica Internazionale23.
Da una parte, questi atti riprendono principi già contenuti in precedenti dichiarazioni e
risoluzioni dell’Assemblea, come ad esempio la ris. 2625 (XXV) del 1970 sulle relazioni
amichevoli e la collaborazione fra gli Stati e la ris. 1803 (XVII) del 1962 sulla sovranità
permanente sulle risorse naturali. Dall’altra parte, questi storici documenti elaborano un
preciso indirizzo politico relativamente alla crescita dei Paesi più arretrati orientato alla
creazione di un nuovo sistema di relazioni economiche internazionali. Sistema che deve
basarsi su un’idea di sviluppo che non dipenda dall’assistenza fornita dai paesi
industrializzati, bensì che sia libero da condizionamenti economici e politici imposti
dall’esterno e al quale concorra l’intera comunità degli Stati, permettendo ai PVS di far valere
il loro potere di negoziazione che loro deriva dalla piena sovranità sulle risorse naturali24.
Questo orientamento si sostanzia in specifiche norme della Dichiarazione, del Programma e
della Carta quali il diritto di ogni Stato ad adottare il sistema socio-economico più adeguato
alle proprie esigenze, la sovranità dei popoli sulle proprie risorse naturali, il potere di
nazionalizzare i beni stranieri, il diritto a controllare l’attività delle società multinazionali
all’interno del proprio territorio e così via. Ispirate dalla medesima concezione sono quelle
norme che, sempre secondo tali atti, devono regolamentare il commercio internazionale: una
contrattazione libera da condizionamenti politici e militari; relazioni economiche
internazionali basate sull'equità delle ragioni di scambio; la concessione ai PVS di trattamenti
21
Ris. 3201 e 3202 S-VI dell’1.5.1974.
Ris.3281-XXIV del 12.12.1974.
23
Ris.S-18/3 dell’ 1.5.1990, Declaration on International Economic Co-operation, and particularly
the Revitalization of Economic Growth and Development of Developing Countries.
24
Vedi Conforti, B., Le nazioni Unite, op. cit., pp. 233 e ss.
22
15
preferenziali anziché reciproci; l’accesso, da parte dei PVS, ai progressi scientifici e
tecnologici25.
Negli anni, sotto la spinta dei paesi industrializzati, queste regole sono state inserite in un
contesto più ampio. In due atti fondamentali dell’Assemblea26, la Dichiarazione sul diritto allo
sviluppo del 1986 e la Dichiarazione di Rio del 1992, infatti, viene affermata una nuova
visione politica socio-economica che, sancendo il carattere universale e inalienabile del diritto
allo sviluppo, pone la persona umana al centro di tale processo e lega la crescita al rispetto dei
diritti umani e alla tutela dell’ambiente27.
Il concetto di sviluppo sostenibile, cioè di sviluppo economico compatibile con l’equità
sociale e il rispetto dell’ambiente, si impone definitivamente con la Dichiarazione di Rio del
199228 ed è individuato come obiettivo del XXI secolo dall’Agenda 21 dell’ONU29.
Questi principi sono integrati dalle strategie decennali che l’Assemblea ha adottato a partire
dal 1960 e che indicano gli obiettivi da raggiungere, nell’arco del decennio, nell’ambito della
25
Vedi Conforti, B., Le nazioni Unite, op. cit., pp. 236.
Dichiarazione sul diritto allo sviluppo, ris. 41/128, 4.12.1986 e Dichiarazione di Rio del 1992
adottata dalla Conferenza dell’ONU sull’ambiente e sullo sviluppo (UNCED), fatta propria dall’AG
con ris. 47/190 del 22.12.1992.
27
Vedi Spatafora, E., Cadin, R., Carletti, C., Sviluppo e diritti umani nella cooperazione
internazionale: lezioni sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo umano, Torino, Giappichelli,
2003, p. 237-240.
28
Il concetto di sviluppo sostenibile viene introdotto dal Rapporto Brundtland del 1987, adottato dalla
Conferenza mondiale sull’ambiente e lo sviluppo: “lo Sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa
i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri
bisogni ». Nella Dichiarazione di Rio, lo sviluppo sostenibile è “il diritto allo sviluppo deve essere
realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze relative all' ambiente e allo sviluppo delle
generazioni presenti e future” (art. 4).
29
l’Agenda 21, adottata dalla Conferenza di Rio, è il documento programmatico dell’ONU per il XXI
secolo che indica le azioni da compiere, a livello globale, nazionale e locale, perchè lo sviluppo
sostenibile sia raggiunto. Inoltre, per dar seguito a quanto raggiunto in seno all’UNCED, con ris 47/191
del 22 dicembre 1992, è stata creata la Commissione per lo sviluppo sostenibile (CSD), commissione
funzionale dell’ECOSOC.
26
16
cooperazione per lo sviluppo30. Nel 2000 l’Assemblea ha adottato la Dichiarazione del
Millennio che fissa gli 8 Obiettivi strategici per lo Sviluppo da raggiungere prima del 201531.
Così tracciata la cornice teorica in cui si colloca la cooperazione internazionale nel sistema
delle Nazioni Unite, è utile procedere ad un’analisi sostanziale, distinguendo forme e
contenuti della cooperazione stessa.
Le tipologie di cooperazione
La nozione di cooperazione internazionale economica e sociale delle Nazioni Unite
comprende tutte le forme di cooperazione dirette a favorire il progresso economico e sociale
degli Stati più arretrati, nonché l’assistenza umanitaria fornita dalla comunità internazionale
in seguito al verificarsi di un’emergenza.
Tra i molteplici tipi di cooperazione esistenti occorre effettuare una distinzione preliminare,
sulla base della natura dei soggetti che vi prendono parte, tra cooperazione bilaterale e
multilaterale. Nel primo caso si tratta di una forma di cooperazione gestita dai singoli governi
dei paesi donatori, regolata da accordi bilaterali con uno o più paesi beneficiari; con la
seconda, invece, s’intende una forma di cooperazione perseguita dagli Stati attraverso le
organizzazioni internazionali a vocazione universale o regionali e che trae il suo fondamento
giuridico dai trattati istitutivi di tali enti e dagli atti adottati dai loro organi sociali. Esiste
anche una forma mista di cooperazione, definita multi-bilaterale, che consiste in programmi di
sviluppo finanziati da un paese e gestiti congiuntamente con un organismo multilaterale.
30
La strategia del Decennio (ris. 1710 del 1961), che proclama il primo decennio per lo sviluppo, mira
a colmare il distacco tra paesi avanzati e PVS attraverso un programma di azione finanziariamente
adeguato e basato essenzialmente su grandi investimenti infrastrutturali. Nel 1970, con la ris. 2626,
l'Assemblea proclama il secondo Decennio per lo sviluppo caratterizzato da un approccio più globale,
prefiggendosi obiettivi non solo economici, ma anche sociali. La strategia per il terzo Decennio
(dicembre 1980) fissa, tra gli altri, l'obiettivo dello 0,7% di ODA (Official Development Assistance)
sul prodotto nazionale lordo dei paesi del DAC (Comitato di aiuto alla sviluppo dell'OCSE) entro il
1985. La strategia per il quarto Decennio (ris. 45/199 del 1990) si propone uno sviluppo accelerato dei
PVS e un rafforzamento della cooperazione internazionale, e in particolare una significativa riduzione
della povertà estrema.
31
Gli Obiettivi del Millennio sono: Eliminare la povertà estrema e la fame; Assicurare l’istruzione
elementare universale; Promuovere la parità tra i sessi e conferire maggior potere alle donne;
Diminuire la mortalità infantile; migliorare la salute materna; Combattere l’HIV/AIDS, la malaria e
altre malattie; Assicurare la sostenibilità ambientale; Sviluppare un partenariato globale per lo
sviluppo.
17
Nella cooperazione economica e sociale del sistema ONU, che com’è evidente è di natura
multilaterale, si distingue, sulla base dei contenuti, tra cooperazione finanziaria, tecnica e
umanitaria e d’urgenza. Si analizzano qui di seguito le prime due categorie di cooperazione,
rinviando al terzo capitolo l’esame dell’assistenza umanitaria e d’urgenza.
La cooperazione finanziaria è parte integrante della cooperazione internazionale economica e
sociale e comprende tutte le risorse finanziarie allocate, su base bilaterale o multilaterale, da
uno Stato o da un’Organizzazione internazionale, come parte del proprio aiuto allo sviluppo ai
Paesi più arretrati.
Il Gruppo Banca Mondiale32 e il Fondo Monetario Internazionale33 sono le maggiori
organizzazioni internazionali su scala mondiale, e al contempo parte del sistema ONU34, a
concedere assistenza finanziaria; anche gli altri Istituti Specializzati35 e l’ONU stessa,
attraverso i suoi organi sussidiari e i fondi fiduciari speciali36, effettuano operazioni
finanziarie nei PVS37.
Ad oggi, anche la Banca Mondiale ha orientato la propria azione verso il raggiungimento
degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio enunciati nella Conferenza delle Nazioni Unite del
2000. Essa elargisce prestiti, con interessi a tasso di mercato, ai Governi dei Paesi membri o a
favore di progetti sui quali vi sia una garanzia del governo di uno Stato membro.
32
Per Banca Mondiale (BM) si intendono normalmente le istituzioni collegate IBDR (Banca
Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo) e IDA (Associazione internazionale per lo sviluppo),
mentre il Gruppo Banca Mondiale si compone anche di MIGA (Agenzia Multilaterale per la Garanzia
degli Investimenti), IFC (Società Finanziaria Internazionale), ICSID (Centro Internazionale per la
Risoluzione dei Conflitti). L’Accordo istitutivo della BM è entrato in vigore il 27.12.1945.
33
Il FMI e l’IBRD sono state istituite nel 1945, a seguito degli accordi raggiunti nel corso della
Conferenza di Bretton Woods, con il compito rispettivamente di promuovere la stabilizzazione delle
relazioni monetarie e finanziarie internazionali e di sostenere la ricostruzione dei Paesi usciti devastati
dal conflitto mondiale. Completata la ricostruzione delle economie dei Paesi europei e del Giappone, la
BM ha diretto la sua attenzione verso i PVS.
34
FMI (accordo di collegamento del 15.11.1947), IBDR, IFC e IDA sono Istituti Specializzati
dell’ONU; se formalmente sono IS come gli altri, nella prassi godono di uno status diverso e più
autonomo rispetto agli altri IS, innanzitutto per il diverso sistema di voto (ponderato) adottato dalle
istituzioni del “sistema Bretton Woods”.
35
L’IFAD (v. supra) ha il mandato specifico di finanziare programmi di sviluppo agricolo nei PVS,
attraverso la concessione di prestiti; inoltre, progetti qualificabili come di assistenza tecnica spesso
includono anche una grossa componente di assistenza finanziaria, come nel caso di numerose
operazioni della FAO e dell’UNIDO.
36
I “trust funds” sono fondi multilaterali amministrati dall’ONU e dalle sue agenzie (in molti casi
attraverso l’UNDP) che vengono destinati a scopi o paesi specifici.
37
Vedi Eggerstedt, H., Taake, H.H., “Capital Assistance” in United Nations: law, policies and
practice, editor in chief Rudiger Wolfrum ; managing editor Christiane Philipp, 1995, p. 90.
18
I documenti sulla strategia per la riduzione della povertà (PRSPs)38 sono oggi il principale
strumento con cui la BM sostiene i Paesi a basso reddito. Sono documenti preparati dai
Governi dei paesi beneficiari, in cui si formulano in modo organico le politiche dirette a
ridurre la povertà e stimolare lo sviluppo socio-economico. L’elaborazione di un PRSP è
condizione necessaria per ottenere l’assistenza agevolata della BM (tramite l’IDA) e del
FMI39, nonché per partecipare all’Iniziativa HIPC di cancellazione del debito40. In conformità
ai piani di sviluppo elaborati dal singolo Paese, la BM elabora le proprie Strategie di
Assistenza Paese (CAS) 41 con cui pianifica i programmi di assistenza.
L’Associazione internazionale per lo sviluppo (IDA)42, i cui statuti sono entrati in vigore nel
1960, ha invece il mandato di fornire assistenza ai Paesi che non sono in grado di accedere ai
prestiti concessi alle condizioni della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo.
Essa, quindi, concede finanziamenti a lungo termine43 e senza interessi44 ai Paesi a basso
reddito pro capite.
Per beneficiare dell'assistenza dell’IDA, i Paesi devono dimostrare di seguire politiche idonee
a promuovere la crescita e ridurre la povertà. La procedura consiste in una fase preliminare
d’inchiesta per la valutazione del progetto da finanziare e una fase di negoziazione, che si
apre con l’approvazione del progetto di accordo di credito da parte dell’IDA e si chiude con la
firma di un accordo con lo Stato beneficiario45.
Per molti anni gli aiuti finanziari sono stati forniti solo per il tramite di queste organizzazioni,
mentre a partire dagli anni sessanta, su pressione dei PVS46, l’ONU ha creato importanti
38
Poverty Reduction Strategy Papers.
Tramite il Poverty Reduction and Growth Facility (accordo per la riduzione della povertà e la
crescita) del 1999 sulla base del quale vengono concessi crediti a tassi particolarmente vantaggiosi ai
Paesi a basso reddito.
40
Il programma Heavily Indebted Poor Countries (HIPC), nato nel 1986 dall’iniziativa congiunta del
FMI e della BM, ha lo scopo di aiutare i paesi più poveri del mondo portando il loro debito pubblico a
un livello sostenibile, a condizione che i loro governi dimostrino di raggiungere determinati livelli di
efficienza nella lotta alla povertà.
39
41
Country Assistance Strategies. Vedi World Bank, worldbank.org.
A differenza della IBRD che reperisce i fondi nei mercati finanziari, l’IDA dipende dai contributi dei
suoi stati membri, che devono quindi essere periodicamente ricostituiti.
43
Con un periodo di ammortamento di 35-40 anni ed un periodo di mora di dieci anni prima che inizi il
rimborso del capitale.
44
È prevista una commissione dello 0,75% per rimborso spese. I crediti IDA sono finanziati attraverso
un Fondo rotativo che è reintegrato, di norma, su base triennale e finanziato, per circa la metà,
direttamente dai Paesi più ricchi, mentre il resto delle risorse proviene dai rimborsi dei prestiti concessi
e da trasferimenti netti dall’IBRD.
45
Vedi World Bank, worldbank.org.
46
Con il declino del sistema neo-liberista di Bretton Woods emergono con maggiore intensità le
rivendicazioni dei PVS per l’instaurazione di un nuovo ordine economico mondiale (NOEI), in grado
42
19
meccanismi finanziari, di cui il principale è l’UNDP, e numerosi fondi destinati a paesi in
condizioni particolari o a scopi particolari47.
La cooperazione tecnica, che ricade nella cosiddetta “area operativa”48 dell’ONU, comprende
le attività internazionali di cooperazione economica dirette a promuovere, mediante il
trasferimento delle conoscenze necessarie allo sviluppo e la fornitura di servizi tecnici, un più
efficace utilizzo delle risorse economiche di cui dispongono gli Stati (programmi di
formazione di mano d’opera tecnica e professionale, missioni di esperti e progetti di ricerca).
Nonostante l’assenza di una noma specifica della Carta relativa alla cooperazione tecnica,
l’Organizzazione ha intrapreso sin dal dopoguerra attività nel campo dell’assistenza tecnica. Il
fondamento giuridico della cooperazione tecnica è stato ravvisato sia nell’art. 55, trattandosi
di un aspetto della più generale cooperazione economica e sociale, sia nell’art. 6649 della
Carta, che si riferisce ai “servizi” che il Consiglio economico e sociale può realizzare su
richiesta degli Stati membri e degli Istituti Specializzati, trattandosi di programmi “operativi”.
L’esecuzione delle attività operative è comunque subordinata, a norma dell’ art 66.2 della
Carta, ad una specifica richiesta degli Stati interessati, ciò costituendo una garanzia di non
ingerenza50.
Le decisioni politiche generali della cooperazione tecnica sono prese dall’Assemblea e dal
Consiglio economico e sociale che ne definiscono le principali politiche, obiettivi e
strumenti51. Il quadro giuridico in cui si esplicano le attività operative della cooperazione
tecnica è costituito dagli atti giuridici internazionali di natura contrattuale conclusi tra
organizzazione internazionale e Stato beneficiario52.
La cooperazione tecnica è finanziata per la maggior parte dai contributi volontari degli Stati
raccolti in vari fondi, mentre lo sono solo in parte dal budget generale dell’ONU e degli
di superare gli squilibri economici esistenti e ispirato ad esigenze di cooperazione e solidarietà
internazionale, vedi infra.
47
Vedi Meng, W., “Economic Co-operation under the UN-System” in United Nations: law, policies
and practice, editor in chief Rudiger Wolfrum, managing editor Christiane Philipp, 1995, p. 451-455.
48
Vedi Stoll, P.T., “Technical Assistance” in United Nations: law, policies and practice, editor in chief
Rudiger Wolfrum, managing editor Christiane Philipp, 1995 p. 1211-1214.
49
“(The economic and social council) may, with the approval of the General Assembly, perform
services at the request of Members of the United Nations and at the request of specialized agencies”.
50
Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 71.
51
Per quanto riguarda gli Istituti Specializzati, tali decisioni sono obbligatorie solo nei casi in cui è
coinvolto un programma dell’UNDP, mentre in tutti gli altri casi hanno solo valore di
raccomandazioni. Vedi Stoll, P.T., “Technical Assistance”, op. cit., p. 1217.
52
Vedi supra.
20
Istituti Specializzati53. Gli Stati donatori, fino ad oggi contrari ad assumere impegni
economici, intesi come contributi fissi, continuativi e proporzionali ai rispettivi PIL,
“promettono” i loro aiuti nel corso della speciale conferenza sull’annuncio dei contributi che
il Segretario Generale dell’ONU convoca annualmente54. Generalmente, ogni progetto è
finanziato da più fonti, prima di tutto dai contributi degli stessi Stati beneficiari55.
Dall’ampio coinvolgimento dell’ONU in quest’ambito deriva una complessa struttura
organizzativa sottoposta ancora oggi a continue riforme.
Le origini della cooperazione tecnica possono ricondursi alla risoluzione n. 200 (III) adottata
dall’Assemblea il 4 dicembre 1948, la quale ha istituito il Programma ordinario di Assistenza
Tecnica, inserendo le spese per il suo funzionamento nel bilancio ordinario e qualificando le
attività così consentite come “servizi”, ai sensi dell’art. 66.256. Le attività del Programma
erano limitate all’invio di missioni di esperti, alla concessione di borse di studio ai cittadini
dei Paesi in via di sviluppo e all’istituzione di centri di formazione e ricerca. Tali attività di
assistenza ordinaria sono state consolidate dalla creazione del Dipartimento delle Nazioni
Unite della cooperazione tecnica per lo sviluppo nel 1978, nato dalla fusione dell’Ufficio
della cooperazione tecnica con altre divisioni del settore economico e sociale57.
Le attività di cooperazione tecnica dell’ONU si sono ulteriormente estese con la creazione, su
iniziativa del Consiglio economico e sociale, del Programma ampliato di assistenza tecnica
(EPTA)58 diretto a rafforzare le economie nazionali dei PVS, elevare il tenore di vita delle
popolazioni e promuovere una reale indipendenza economica e politica dei paesi beneficiari.
Inoltre, la ris. n. 222 (IX), istituiva dell’EPTA, assume particolare importanza in quanto
definisce per la prima volta alcuni principi base della cooperazione economica e sociale
53
Allo scopo di aumentare i contributi degli Stati membri, che spesso condizionano le loro donazioni
agli scopi dei progetti cui sono destinati, sono stati creati vari Fondi per scopi speciali amministrati da
UNDP (es. UN volunteers (UNV), UN Fund for Sciente and Technoloy). Il programma è anche
responsabile dei Trust Funds, spesso istituiti per le donazioni di un singolo stato o per particolari scopi.
54
Peraltro, la contribuzione annuale contrasta con il meccanismo di finanziamento dei PVS da parte
dell’ l’ONU, attraverso l’UNDP, che avviene invece su base pluriennale.
55
Vedi Stoll, P.T., “Technical Assistance”, op. cit., p. 1218.
56
A conferma di quanto già rilevato, l’art. 66.2 qui è stato interpretato come attributivo di una
competenza all’Assemblea.
57
In conformità alla ris.AG 32/197 del 20.12.1977 diretta ad innescare un processo di ristrutturazione
dei settori economico e sociale del sistema ONU.
58
Con la ris ECOSOC 222 (ix) del 1949, poi approvata dall’AG con ris 304 (IV).
21
dell’ONU, come il principio della volontarietà dei contributi e del consenso dello Stato
beneficiario59.
Alle pressioni degli Stati di nuova indipendenza per l’istituzione di un Fondo delle Nazioni
Unite per lo sviluppo economico (SUNFED)60 che fornisse investimenti a titolo gratuito o
comunque a basso interesse ai PVS, si opponevano gli Stati industrializzati, contrari alla
creazione di un meccanismo di finanziamento in seno all’ONU concorrenziale rispetto a
quello della Banca Mondiale61. Ciò perché in questo modo gli stati industrializzati avrebbero
visto eroso il loro “monopolio” decisionale all’interno dei meccanismi di finanziamento ai
PVS.
Con la creazione del Fondo Speciale (FS) 62, organo sussidiario dell’Assemblea, autonomo
rispetto all’EPTA ma senza funzioni di finanziamento diretto dello sviluppo economico, si è
raggiunta una soluzione di compromesso, che ha comportato un notevole ampliamento della
cooperazione economica e sociale. Il mandato del Fondo, infatti, ha previsto una maggiore
ampiezza delle attività operative consentite63 e ha accentuato l’aspetto finanziario
dell’assistenza tecnica introducendo il concetto di “pre-investimento”64.
Nella metà degli anni sessanta, con l’ingresso nelle Nazioni Unite dei Paesi di nuova
indipendenza, l’ONU espande ancora le proprie attività di cooperazione tecnica mediante
l’istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (UNIDO) e il
Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), quali organi sussidiari
dell’Assemblea Generale65.
La principale funzione dell’UNIDO66 è la promozione dello sviluppo industriale nel mondo,
in particolare nei PVS, e come obiettivo a lungo termine il miglioramento delle condizioni di
vita di queste popolazioni, aiutandoli a sfruttare al meglio le proprie risorse naturali e umane
in loco. L’UNIDO essenzialmente fornisce assistenza tecnico-industriale67 e trasferisce
59
Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 68 –
73 e Stoll, P.T., “Technical Assistance”, op. cit., p. 1220.
60
creato nel 1952, venne poi unito all’UNDP nel 1966.
61
Affossato il SUNFED a causa del disinteresse dei paesi industrializzati, per far fronte ai bisogni
finanziari dei paesi in via di sviluppo, nel 1960 venne creata l’IDA, affiliata alla Banca mondiale, vedi
infra.
62
Istituito con la ris 1240 (XIII) del 1957.
63
Il mandato del FS, infatti, prevedeva la realizzazione di progetti nei settori dell’agricoltura, sanità,
pubblica amministrazione, risorse naturali, trasporti, industria e altri.
64
I progetti del Fondo Speciale erano infatti mirati a promuovere il successivo afflusso di capitali
pubblici e privati, nazionali e internazionali, e a consentire le operazioni finanziarie della Bank.
65
Vedi Marchisio, S., L’ONU. Il diritto delle Nazioni Unite, Bologna, il Mulino, 2000, pp. 356 e ss.
66
Istituito con ris. AG2152 (XXI) del 17.11.1966
67
Tale assistenza è fornita sotto forma di esperti, formazione, borse di studio, attrezzatura.
22
tecnologia industriale, qualificandosi come ente a carattere prevalentemente operativo. Svolge
altresì funzioni di coordinamento, costituendo un forum di negoziazione tra paesi
industrializzati e PVS. Dopo lunghe trattative, nel 1985 è stato trasformato in Istituto
Specializzato68.
Il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo69, invece, nasce dalla parziale fusione
dell’EPTA e del Fondo Speciale70, allo scopo di coordinare e razionalizzare il sistema della
cooperazione tecnica.
Con la ris. n. 2688 (XXV) del 1970, l’UNDP è stato sottoposto ad una riforma volta a
rinforzare il suo ruolo centrale nella programmazione dell’assistenza tecnica e, allo stesso
tempo, rendere gli stati beneficiari responsabili dei loro programmi nazionali. La risoluzione
suddetta, infatti, ha introdotto la programmazione per paese, secondo la quale ogni Paese che
voglia beneficiare dell’assistenza dell’UNDP deve formulare il proprio programma nazionale
di sviluppo, costituito da un insieme di progetti coerenti, da realizzare in un determinato
periodo in collaborazione con l’UNDP. In caso di approvazione da parte del Consiglio di
amministrazione dell’UNDP, è attribuita allo Stato beneficiario, all’inizio di un periodo
quinquennale, il c.d. “ciclo di programmazione”, una cifra indicativa corrispondente al totale
delle risorse finanziarie disponibili per la realizzazione del medesimo. Il programma
nazionale costituisce dunque il quadro di riferimento dei successivi interventi (Ibidem).
L’UNDP interviene solo su richiesta dei governi degli Stati beneficiari. Per disciplinare i
rapporti con gli stati beneficiari, l’UNDP conclude accordi bilaterali, sulla base di un modello
uniforme, che contiene le norme organizzative sullo svolgimento delle attività di realizzazione
dei progetti e sul trattamento giuridico degli enti che eseguono i progetti all’interno dello stato
beneficiario.
Oggi l’UNDP è l’organo più importante nel sistema dell’ONU per la cooperazione economica
e sociale e costituisce il principale meccanismo mondiale di cooperazione tecnica e di preinvestimenti. Esso ha la funzione di approvare i programmi nazionali di sviluppo presentati
dai singoli stati, di mobilizzare le risorse e le competenze necessarie e di sovrintendere
all’esecuzione dei progetti che compongono i programmi; costituisce dunque, nel sistema
ONU, il centro del finanziamento, della pianificazione e del coordinamento dell’assistenza
tecnica.
68
Il trattato istitutivo dell’UNIDO è stato adottato l’8.04.1979 ed entrato in vigore il 21.06.1985.
Con ris. AG 2029 (XX) del 22.11.1965.
70
L’unificazione delle due componenti “assistenza Tecnica” e “pre-investimento”, corrispondenti
rispettivamente alle attività dell’EPTA e del Fondo, verrà formalmente sanzionata dalla risoluzione
2688 (XXV) dell’11-12-1970, che introduce il meccanismo del country programming.
69
23
Nell’ambito del commercio internazionale, la pressione dei PVS per riformarne le regole è
stata all’origine della creazione di un nuovo organo sussidiario dell’Assemblea, l’UNCTAD71,
con il compito di promuovere lo sviluppo attraverso il commercio e la rivalorizzazione dei
termini di scambio tra Paesi a basso reddito e paesi industrializzati. Tra le competenze
esercitate da quest’organo va rilevata una funzione politica e quasi-normativa72; tuttavia tali
funzioni sono diminuite nel tempo, mentre hanno assunto crescente importanza quelle
operative di assistenza tecnica73.
Il riferimento, nelle prime risoluzioni istitutive dei vari programmi e attività, all’obbligo ex
art. 56, al rispetto del principio di sovranità, e alla conseguente necessità di richiesta da parte
dello Stato e di un accordo tra stato e organizzazione, e il principio della volontarietà dei
contributi confermano il carattere essenzialmente volontaristico delle attività operative
nell’ambito della cooperazione tecnica.
Inoltre, la scelta di creare organi sussidiari anziché nuovi Istituti Specializzati ha accentuato il
processo d’accentramento della direzione delle attività di cooperazione nelle mani degli
organi principali dell’ONU e l’espansione dell’apparato organico dell’Organizzazione. La
dilatazione della cooperazione tecnica non è stata, quindi, il frutto dell’assunzione di nuovi
diritti e obblighi internazionali da parte degli Stati membri74, bensì di un’interpretazione
sempre più estensiva delle disposizioni di capitoli IX e X della Carta75.
1.2 GLI ORGANI PREPOSTI ALLA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO E LE
LORO FUNZIONI
Secondo l’art. 60 della Carta dell’ONU, gli organi preposti alla cooperazione economica e
sociale sono l’Assemblea Generale e, sotto la sua direzione, il Consiglio economico e sociale.
Ad entrambi gli organi fanno capo una serie di commissioni e organi sussidiari da essi istituiti
che operano in questo settore. Essi si coordinano, nella loro attività, con quella degli Istituti
71
Ris. AG1995 (XIX) del 30.12.1964.
Vedi supra par. II.
73
Marxen, R., “UNCTAD – United Nations Conference on Trade and Development”, in United
Nations: law, policies and practice, editor in chief Rudiger Wolfrum, managing editor Christiane
Philipp, 1995, p. 1274-1284.
74
Come sarebbe stato se si fosse scelto di creare nuovi istituti specializzati ai sensi dell’articolo 59.
75
Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 103.
72
24
Specializzati, organizzazioni internazionali autonome, operanti anch’esse nel campo della
cooperazione economica e sociale. Insieme, danno vita al sistema delle Nazioni Unite76.
L’ECOSOC, la cui composizione77 e funzionamento sono disciplinati dal capitolo X della
Carta, ha il compito di promuovere la cooperazione internazionale nel campo economico e
sociale. Esso rappresenta il principale forum di discussione delle questioni economiche e
sociali internazionali e di consultazione con la società civile; opera attraverso i numerosi
organi sussidiari istituiti sulla base dell’art. 6878.
Al Consiglio si ricollegano anche gli stessi organi sussidiari dell’Assemblea, operanti nel
settore socio-economico, molti dei quali79 devono seguirne le direttive. A sua volta
l’Assemblea, in quanto organo alla cui autorità è sottoposto il Consiglio, può impartire
direttive agli organi sussidiari del Consiglio così come al Consiglio stesso. In definitiva, tutti
gli organi operanti nel settore dello sviluppo possono ritenersi sottoposti gerarchicamente
all’Assemblea e, nel grado immediatamente successivo, al Consiglio economico e sociale.
Il capitolo X delinea le competenze specifiche del Consiglio distinguendo tra competenze
“concorrenti” rispetto a quelle dell’Assemblea, quali le funzioni attribuite al Consiglio
dall’art. 62, ed esclusive o proprie come, ad esempio, le funzioni relative al coordinamento
con gli Istituti Specializzati. Sia le funzioni concorrenti che quelle proprie, necessitano, per la
loro validità, dell’approvazione da parte dell’Assemblea.
1.2.1 La funzione normativa e la funzione di coordinamento dell’Assemblea Generale e
del Consiglio economico e sociale
La funzione primaria dell’ONU nel campo della cooperazione economica e sociale è quella
che può definirsi “normativa”, consistente cioè nell’elaborazione di una serie di regole80 al
fine di disciplinare i rapporti tra gli Stati nel settore della cooperazione.
L’Assemblea, sulla base degli articoli 1081 e 13, può intraprendere studi, adottare
dichiarazioni di principi e indirizzare raccomandazioni agli Stati membri allo scopo di
76
Vedi Conforti, B., Le nazioni Unite, op. cit., pp. 234 e ss.
Il Consiglio è un organo a composizione ristretta di cui fanno parte 54 membri (art. 61.1), i quali
vengono ogni anno rinnovati parzialmente dall’Assemblea Generale dell’ONU, eleggendone 18
membri per un periodo di 3 anni (art. 61.2) in base al principio dell’equa distribuzione geografica.
78
Vedi United Nations, un.org.
79
Ad es. UNICEF, UNCTAD, UNDP.
80
Il contenuto di tali “regole” è stato brevemente affrontato nel paragrafo precedente.
77
25
promuovere la cooperazione internazionale economica e sociale. Le competenze così
attribuite all’Assemblea Generale indicano il carattere propulsivo della sua attività e la sua
funzione, tramite le raccomandazioni, di esprimere manifestazioni di desiderio dirette a
condizionare il comportamento degli Stati.
Anche il Consiglio ha il potere di fare raccomandazioni all’Assemblea, agli Stati membri e
agli Istituti Specializzati interessati “with respect to international economic, social, cultural,
educational, health, and related matters”82 e, nello stesso ambito, elaborare progetti di trattati
da sottoporre all’Assemblea83.
Le regole formulate negli “atti normativi” adottati dall’Assemblea e dal Consiglio non hanno
forza obbligatoria, non attribuendo la Carta poteri vincolanti a tali organi. Tuttavia, la
mancanza d’efficacia giuridicamente vincolante di tali atti dell’Organizzazione nel campo
della cooperazione economica e sociale non esclude che essi costituiscono un importante
punto di riferimento per l’attività delle Nazioni Unite e dettano le linee guida per il
comportamento degli Stati membri.
Oltre all’Assemblea e al Consiglio (e ad una serie di Commissioni prevalentemente di studio),
anche la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD)84 ha
svolto finora un ruolo importante nell’esercizio della funzione quasi-normativa per ciò che
concerne la regolamentazione del commercio internazionale85.
Il sistema delle Nazioni Unite è un sistema decentralizzato, composto dagli organi principali,
dalle Commissioni funzionali e regionali, dai fondi e dai programmi istituiti sia
dall’Assemblea che dal Consiglio e dagli Istituti Specializzati, e la sua attività in campo
socio-economico, sempre più ramificata, richiede idonei meccanismi di coordinamento.
L’Assemblea Generale e il Consiglio Economico e Sociale svolgono una fondamentale
funzione di coordinamento nel campo della cooperazione per lo sviluppo: mentre la prima
81
Art. 10: “The General Assembly may discuss any questions or any matters within the scope of the
present Charter or relating to the powers and functions of any organs provided for in the present
Charter, and, except as provided in Article 12, may make recommendations to the Members of the
United Nations or to the Security Council or to both on any such questions or matters”.
82
art. 62.1.
83
art. 62.3.
84
vedi infra par 1.2.2.2.
85
Tale organo, infatti, nel 1971 ha predisposto un sistema generale di preferenze negli scambi
commerciali a favore dei PVS (che ha modificato il GATT); concluso una serie di accordi multilaterali
su alcuni prodotti di base (accordo sul caucciù del 1979, sul cacao del 1980, sullo stagno del 1981) e
contribuito all’elaborazione di codici di condotta poi adottati da conferenze multilaterali (Codice di
condotta delle “conferenze marittime”, poi adottato sotto forma di convenzione multilaterale nel 1974;
codice sul trasferimento delle tecnologie). Vedi Conforti, B., Le nazioni Unite, op. cit., pp. 234 e ss.
26
stabilisce l’indirizzo politico generale, il secondo coordina l’attività del sistema ONU affinché
tali politiche siano implementate.
Tra gli articoli della Carta86 che regolano i meccanismi di coordinamento del sistema ONU,
va innanzitutto esaminato l’art. 1.487che prevede, tra i fini dell’ONU, quello di costituire un
centro per il coordinamento delle attività degli Stati rivolto al raggiungimento degli obiettivi
comuni.
Tuttavia, il gruppo più rilevante di tali norme si trova nei capitoli dedicati alla cooperazione
economica e sociale88. Tra esse, si può distinguere tra norme inerenti all’organizzazione
interna dell’ONU e all’attività esplicata nei confronti degli Stati membri e norme relative ai
meccanismi di coordinamento nei confronti degli Istituti Specializzati89.
Per quanto attiene all’organizzazione interna, l’art. 6090 della Carta, individuando il Consiglio
come organo preposto alla cooperazione economica e sociale, gli attribuisce un ruolo centrale
nella funzione di coordinamento91, sotto la direzione dell’Assemblea Generale92. Nell’ambito
dei rapporti con gli Stati membri, gli art. 62.1 e 2 e 63.2 attribuiscono al Consiglio la facoltà
di raccomandare genericamente nel campo economico e sociale93 e nel settore specifico del
coordinamento94.
86
Artt.17.3, 57.1, 58, 59, 60, 62.1, 63.1-2, 64, 66.2, 70, 91, 96.
Art. 1.4: “The Purposes of the United Nations are: (..) to be a centre for harmonizing the actions of
nations in the attainment of these common ends”.
88
Ciò deriva dalla separazione operata dalla Carta fra attività dell’ONU nel campo politico e quella nel
settore economico e sociale; quest’ultima comprende tutta l’attività, diretta e indiretta, con natura
strumentale rispetto al fine principale dell’ente tra cui, quindi, anche l’attività di coordinamento della
cooperazione.
89
Vedi Malintoppi, “Istituti specializzati delle Nazioni Unite” in Enciclopedia del diritto, vol XXIII,
pp.14-31, Milano, 1973.
90
Art. 60: “Responsibility for the discharge of the functions of the Organization set forth in this
Chapter shall be vested in the General Assembly and, under the authority of the General Assembly, in
the Economic and Social Council, which shall have for this purpose the powers set forth in Chapter X”.
91
Ad eccezione del compito di esaminare i bilanci degli istituti Specializzati, attribuito direttamente
all’AG dall’art.17.3.
92
L’ECOSOC sottopone i suoi rapporti e quelli degli organi sussidiari e degli Istituti Specializzati
all’Assemblea, che qui vengono trasmessi alla Seconda Commissione (economica e finanziaria) o alla
Terza (sociale, umanitaria e culturale) (Meng, su art 60).
93
Art. 62 (1)e(2): “The Economic and Social Council may make or initiate studies and reports with
respect to international economic, social, cultural, educational, health, and related matters and
may make recommendations with respect to any such matters to the General Assembly to the Members
of the United Nations, and to the specialized agencies concerned.
It may make recommendations for the purpose of promoting respect for, and observance of,
human rights and fundamental freedoms for all.
94
Art. 63.2: “ The Council (..) may co-ordinate the activities of the specialized agencies through
consultation with and recommendations to such agencies and through recommendations to the General
Assembly and to the Members of the United Nations.
87
27
Per ciò che riguarda il rapporto tra ONU e Istituti Specializzati, il coordinamento è
caratterizzato dalla posizione paritaria dei soggetti. Le norme della Carta, che verranno più
approfonditamente esaminate nel paragrafo successivo, sono solamente principi generali e,
per trovare un’applicazione effettiva, devono essere tradotti negli accordi di collegamento, i
soli idonei a vincolare contemporaneamente l’ONU e gli IS.
È stato da più parti osservato, tuttavia, come i meccanismi di coordinamento dell’ONU
previsti dalla Carta non siano del tutto adeguati alla decentralizzazione funzionale delle
attività dell’ONU, sia per come era stata delineata alle origini ma, soprattutto, per come si è
evoluta nel tempo95. Nella prassi applicativa, infatti, il Consiglio ha progressivamente visto
eroso il proprio peso a favore dell’Assemblea che ha esercitato, da sola o attraverso i suoi
organi sussidiari, funzioni originariamente previste in capo al Consiglio96.
Ad esempio, come si è visto, l’UNDP, organo sussidiario dell’Assemblea, svolge un ruolo
fondamentale nel coordinamento della cooperazione allo sviluppo, soprattutto avendo
riguardo all’assegnazione delle risorse finanziarie e all’esecuzione dei progetti degli Istituti
Specializzati nei singoli paesi attraverso i coordinatori residenti.
Oggi, il coordinamento tra organi principali e sussidiari dell’ONU e Istituti Specializzati è
assicurato
dal Committee for Programme and
Coordination (CPC)97,
a livello
intergovernativo, e dal Chief Executives Board for Coordination (CEB), a livello
amministrativo. Quest’ultimo raggruppa, sotto la presidenza del Segretario generale, i capi dei
fondi, dei programmi, delle istituzioni specializzate dell'ONU e delle organizzazioni legate
all'ONU, con il compito di rafforzare la cooperazione e il coordinamento riguardo a una vasta
gamma di questioni sostanziali e organizzative del sistema ONU98.
95
Dicke, K. “Decentralization” in United Nations: law, policies and practice, editor in chief Rudiger
Wolfrum ; managing editor Christiane Philipp, 1995, p. 380-388.
96
Vedi Meng, W., “Economic Co-operation under the UN-System”, op. cit., p. 460.
97
Il CPC è il principale organo sussidiario dell’AG e dell’ECOSOC relativamente alla pianificazione,
alla programmazione e al coordinamento.
98
Gli altri due sono l’High Level Committee on Programmes (HLCP) e l’High Level Committee on
Management (HLCM); il primo è responsabile del coordinamento delle politiche e delle attività del
sistema ONU, in particolare degli IS, anche allo scopo di renderle conformi agli Obiettivi di sviluppo
del Millennio eagli orientamenti emersi dalle conferenze dell’ONU; il secondo dell’armonizzazione
dell’amministrazione, del personale e dei bilanci. Vedi Saulle, M. R., Istituti specializzati delle Nazioni
Unite, op. cit., p. 59.
28
Nel 1997 il Segretario Generale dell’ONU ha creato l’United Nations Development Group
(UNDG )99 quale organo di coordinamento di tutti i fondi, programmi, agenzie, dipartimenti e
uffici dell’ONU che operano nel campo dello sviluppo. Tale organo ha il compito di
sovrintendere tutte le attività operative di aiuto allo sviluppo e favorire l’unità d’azione dei
programmi di cooperazione sul campo, con una particolare attenzione al “sistema del
coordinatore residente”.
L’Assemblea supervisiona l’attività dell’UNDG attraverso la sua Seconda Commissione, e in
particolare gli fornisce un formale mandato intergovernativo tramite la “Revisione triennale
delle politiche delle attività operative per lo sviluppo del sistema delle Nazioni Unite"100
(TCPR); il documento costituisce un importante strumento dell’Assemblea per monitorare e
valutare le attività operative dell’ONU e definire regole e modalità di funzionamento e di
coordinamento del sistema delle agenzie101.
Negli ultimi anni sono stati fatti alcuni tentativi di riforma per dare una maggiore coerenza e
un più efficace coordinamento alla cooperazione allo sviluppo nel sistema delle Nazione
Unite, armonizzandone strategie operative e conformandole agli obiettivi di sviluppo emersi
dalle conferenze e dai vertici internazionali102.
1.2.2 Il decentramento delle attività operative per lo sviluppo
Come già sottolineato, l’ONU prevede tra i propri scopi l’attuazione della cooperazione
internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale,
culturale ed umanitario (art. 1.3); per il perseguimento di questo fine, la Carta dell’ONU
traccia le linee essenziali di un sistema imperniato sulla decentralizzazione delle funzioni
relative ai settori specializzati.
99
L’UNDG è uno dei tre pilastri del CEB ed è presieduto dall’Amministratore dell’UNDP; il suo
Comitato esecutivo è composto dai 4 fondi e programmi che riferiscono direttamente al Segretario
Generale: UNICEF, UNFPA, WFP e UNDP.
100
Triennial Comprehensive Policy Review of operational activities for development of the United
Nations system (TCPR).
101
Vedi United Nations Development Group, undg.org.
102
Ad esempio il CCA (Common Country Assessment, Diagnosi comune per paese) e l'UNDAF
(United Nations Development Assistance Framework, Quadro per l'assistenza allo sviluppo delle
Nazioni Unite), la loro possibile interazione con strategie nazionali di sviluppo e di riduzione della
povertà; il "sistema del coordinatore residente" dell'ONU e una serie di meccanismi inter-agenziali di
coordinamento, come l'equipe di paese (Country Team) e i gruppi tematici di lavoro.
29
A differenza della tendenza centralistica103 della Società delle Nazioni, alla Conferenza di San
Francisco prevalse l’orientamento favorevole ad un decentramento funzionale nei settori
tecnico, economico e sociale104 per il quale l’ONU si sarebbe avvalsa di organizzazioni
internazionali specializzate, preesistenti o di futura creazione, e ne avrebbe supervisionato le
attività attraverso un consiglio economico e sociale105. Su tale scelta, d’altronde, pesava
l’esistenza di un sistema de facto già decentralizzato: infatti, sette autonome organizzazioni
internazionali già esistevano o nascevano contemporaneamente alle Nazioni Unite106.
Un’ importante tappa verso la decentralizzazione delle attività operative si ebbe poi in
conseguenza della ristrutturazione dell’ONU degli anni ’60-’70: con l’ingresso dei PVS
nell’Organizzazione, crebbe la domanda di assistenza tecnica e di nuove soluzioni
organizzative. L’Assemblea, negli anni, ha risposto a queste istanza con la creazione di
programmi, organi sussidiari e nuovi Istituti Specializzati coinvolti nella cooperazione per lo
sviluppo.
In conclusione, come emerso dalle previsioni della Carta e dall’evoluzione della prassi,
mentre l’ONU costituisce la sede decisionale (e di stanziamento dei fondi) della cooperazione
internazionale allo sviluppo, gli Istituti Specializzati e gli organi sussidiari a carattere
operativo sono stati associati in qualità di enti esecutori, allo scopo cioè di eseguire progetti
nei settori di loro competenza; di seguito si analizzano brevemente caratteristiche e funzioni
di tali soggetti.
Gli Istituti Specializzati
103
Quando la Società delle Nazioni venne istituita, operavano circa 20 organizzazioni internazionali
con competenza settoriale, le Unioni Amministrative internazionali, con le quali la SdN tentò di creare
una cooperazione di tipo centralistico; l’art 24 del Covenant della Società delle Nazioni prevedeva
infatti: “There shall be placed under the direction of the League all international bureaux already
established by general treaties if the parties to such treaties consent. All such international bureaux and
all commissions for the regulation of matters of international interest hereafter constituted shall be
placed under the direction of the League. (..)”. Solo 6 organizzazioni si associarono alla SdN, secondo
l’art. 24. Il fallimento di questo tentativo direttivo da parte della Società delle Nazioni è il punto di
partenza degli sviluppi che porteranno alla scelta operata nella Conferenza di san Francisco a favore
della decentralizzazione. Vedi Meng, W., “Economic Co-operation under the UN-System”, op. cit., p.
457.
104
Un precedente significativo della scelta di un sistema decentralizzato può rinvenirsi nella già citata
proposta elaborata nel 1939 dalla Commissione Bruce, relativamente alla Società delle Nazioni, di
istituire un Comitato Centrale che coordinasse il settore socio-economico.
105
Vedi Saulle, M. R., Istituti specializzati delle Nazioni Unite, op. cit., p. 60.
106
UPU, ILO, FAO, ICAO, IBRD, IMF.
30
La nozione di Istituto Specializzato trae origine dall’art. 57107 che attribuisce tale qualifica
alle organizzazioni internazionali che presentino determinate caratteristiche e siano poste in
collegamento con l’ONU mediante gli accordi previsti dall’art. 63108.
Dall’art. 57 si ricavano tali requisiti, in presenza dei quali un’organizzazione internazionale
può acquistare lo status di Istituto Specializzato. Il primo concerne la stessa base normativa
dell’ente: quest’ultimo deve essere costituito mediante un accordo intergovernativo, può
quindi trattarsi sia di unioni di Stati in senso stretto, sia di “Istituti internazionali”, purché
risulti istituito sulla base di un accordo109.
In secondo luogo deve essere un ente con vasti compiti internazionali, nel senso, cioè, che
devono considerarsi esclusi quegli enti che svolgono attività interna agli stati. L’espressione
usata nell’art. 57, inoltre, può anche intendersi come riferita alla sfera d’azione dell’ente che
deve essere potenzialmente universale dal punto di vista geografico.
Il terzo requisito, infine, concerne la sfera di attività dell’ente che deve esplicarsi nei settori
“economico, sociale, culturale, educativo, sanitario e simili”. L’espressione usata, a carattere
meramente esemplificativo, si riferisce al tipo di attività dell’ente che deve essere settoriale,
attinente, quindi, ad un’attività prevalentemente tecnica. Ciò è peraltro in linea con la
vocazione universale dell’ONU intesa come pluralità dei fini che essa intende perseguire,
adeguandosi alle esigenze che di volta in volta emergono110.
La presenza dei requisiti esaminati è condizione necessaria ma non sufficiente perché un ente
diventi un Istituto Specializzato: l’acquisizione di tale qualità giuridica, infatti, non può
derivare da un atto attributivo unilaterale dell’ONU, bensì esclusivamente da un accordo
bilaterale tra l’ente e le Nazioni Unite. La necessità dell’accordo espresso è da ricondursi sia
alla posizione di assoluta parità in cui si trovano i soggetti, sia alla mancanza di situazioni
giuridiche soggettive che incidono sulle loro relazioni prima dell’accordo. È solo dall’accordo
107
Art. 57: “The various specialized agencies, established by intergovernmental agreement and
having wide international responsibilities, as defined in their basic instruments, in economic, social,
cultural, educational, health, and related fields, shall be brought into relationship with the United
Nations in accordance with the provisions of Article 63.
Such agencies thus brought into relationship with the United Nations are hereinafter referred to as
specialized agencies”.
108
Art. 63.1: “The Economic and Social Council may enter into agreements with any of the
agencies referred to in Article 57, defining the terms on which the agency concerned shall be brought
into relationship with the United Nations. Such agreements shall be subject to approval by the General
Assembly”.
109
Sebbene non si possa escludere l’altra ipotesi, in concreto, gli IS esistenti hanno natura di unioni
internazionali di Stati in senso stretto. Vedi Malintoppi, A.,“Istituti specializzati delle Nazioni Unite”,
op. cit., p. 27.
110
Vedi Saulle, M. R., Istituti specializzati delle Nazioni Unite, op. cit., p. 62.
31
di collegamento, infatti, che deriva la titolarità di diritti ed obblighi, reciproci o unilaterali,
dell’ente rispetto all’ONU (in ogni caso non un vincolo di dipendenza dell’Istituto nei
confronti dell’ONU.
L’art. 63.1 individua nel Consiglio economico e sociale l’organo competente a negoziare gli
accordi di collegamento con gli Istituti Specializzati, mentre è l’Assemblea ad approvarli.
L’accordo entra in vigore solo dopo l’approvazione da parte dell’Assemblea Generale e
dell’organo plenario dell’ente.
I singoli accordi, che seguono un modello unitario, hanno come fine specifico quello di
attuare e integrare il sistema di collegamento previsto dalla Carta dell’ONU. Seguono le
norme dedicate al coordinamento tra ONU e IS.
La funzione del coordinamento tra gli Istituti e l’ONU, in quanto attività indiretta e
strumentale nell’ambito della cooperazione economica e sociale, può essere ricondotta negli
obiettivi ex art. 55. Alla norma suddetta è inscindibilmente connesso l’art. 56, il cui obbligo
generico di cooperazione degli Stati, valido per l’attività diretta nel campo economico e
sociale, può pertanto essere esteso anche all’attività indiretta di coordinamento. Dall’art. 56
può, quindi, desumersi un invito agli Stati membri, che la maggior parte delle volte sono
anche membri degli Istituti Specializzati, al coordinamento tra la loro attività svolta in quanto
membri dell’ONU e quella svolta come membri dei singoli Istituti111.
L’art. 58, poi, attribuisce all’Organizzazione il compito di rivolgere raccomandazioni agli IS
ai fini dell’armonizzazione dei rispettivi programmi e delle singole attività; la norma è
un’enunciazione di principio che solo gli accordi di collegamento traducono in un vero e
proprio potere di adottare raccomandazioni. Le stesse considerazioni valgono per il già visto
art. 63.2 che, se pur limitatamente all’ECOSOC, concerne tanto il coordinamento delle attività
degli Stati quanto degli Istituti.
A norma dell’art. 64, invece, il Consiglio può prendere opportune disposizioni per ricevere
rapporti regolari dagli Istituti; sulla base della stessa norma, il Consiglio può negoziare con gli
Stati membri e gli IS accordi speciali al fine di ottenere rapporti sulle misure prese per attuare
le sue raccomandazioni e quelle dell’Assemblea112.
111
L’ONU si è più volte indirizzata ai suoi Stati membri per sollecitare il coordinamento degli stessi in
seno agli Istituti Specializzati per ottenere un’azione omogenea e agli Stati per sollecitarli ad adeguarsi
a quanto richiesto dai singoli Istituti Specializzati di cui erano membri. Vedi Saulle, M. R., Istituti
specializzati delle Nazioni Unite, op. cit., p. 62.
112
The Economic and Social Council may take appropriate steps to obtain regular reports from the
specialized agencies. It may make arrangements with the Members of the United Nations and with the
specialized agencies to obtain reports on the steps taken to give effect to its own recommendations and
to recommendations on matters falling within its competence made by the General Assembly.
32
Da quanto detto discende che sia nelle raccomandazioni che nella consultazione sono
individuabili gli strumenti tipici della funzione di coordinamento113, i quali, per il carattere di
consensualità il primo, e di flessibilità il secondo, confermano la reciproca parità nel rapporto
tra ONU e Istituti Specializzati.
Le altre norme inerenti ai rapporti con gli IS interessano principalmente il Consiglio e
prevedono la già osservata competenza nella negoziazione degli accordi di collegamento114; la
possibilità degli IS di partecipare alle sue deliberazioni e a quelle delle commissioni da esso
istituite115; l’esecuzione dei “servizi” ad esso richiesti dagli IS116 .
Nell’attuare ed integrare tale sistema di coordinamento, gli accordi tra ONU e IS prevedono
norme concernenti: lo scambio completo e rapido di informazioni e documenti tra ONU e IS;
l’esame, da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU, dei bilanci degli IS (come previsto
dall’art. 17.3); la partecipazione reciproca dell’ONU e degli IS ai rispettivi organi; l’impegno,
da parte degli IS, di sottoporre le raccomandazioni dell’ONU agli organi competenti e fare
rapporti regolari sulle loro attività; gli obblighi degli IS in tema di assistenza ad organi
dell’ONU; la riscossione, da parte dell’ONU, dei contributi dovuti agli IS dagli Stati; la
facoltà dell’ONU di effettuare studi rivolti a istituire servizi comuni; il coordinamento degli
organi periferici degli IS117.
Ad oggi gli Istituti Specializzati dell’ONU118 sono numerosi e operanti nei più disparati
settori, ben oltre quelli elencati dall’art. 57, a conferma della continua evoluzione delle
esigenze che la comunità internazionale è chiamata ad affrontare. Il prossimo capitolo è in
parte dedicato all’esame di un singolo Istituto Specializzato, l’Organizzazione delle Nazioni
Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).
It may communicate its observations on these reports to the General Assembly.
113
Ma anche organi speciali creati per il coordinamento.
114
Art.63.(1)
115
Art. 70
116
Art. 66.(2)
117
Vedi Malintoppi, A.,“Istituti specializzati delle Nazioni Unite”, op. cit., p. 30.
118
ILO (International Labour Organization), FAO (Food and Agriculture Organization of the United
Nations), UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization), WHO (World
Health Organization) World Bank Group (IBRD - International Bank for Reconstruction and
Development, IDA - International Development Association, IFC - International Finance Corporation,
MIGA -Multilateral Investment Guarantee Agency. ICSID - International Centre for Settlement of
Investment Disputes, IMF - International Monetary Fund); ICAO (International Civil Aviation
Organization); IMO (International Maritime Organization); ITU (International Telecommunication
Union); UPU (Universal Postal Union); WMO (World Meteorological Organization); WIPO (World
Intellectual Property Organization); IFAD (International Fund for Agricultural Development); UNIDO
(United Nations Industrial Development Organization); UNWTO (World Tourism Organization);
IAEA (International Atomic Energy Agency).
33
Gli organi sussidiari
L’art. 7.2119 della Carta dell’ONU attribuisce agli organi principali delle Nazioni Unite
(Assemblea generale120e Consiglio di Sicurezza121) il potere di istituire gli organi sussidiari
necessari per l’adempimento delle loro funzioni. L’art. 68, infine, prevede che anche il
Consiglio economico e sociale122 possa istituire commissioni per il medesimo scopo.
Tralasciando il Consiglio di sicurezza, le cui competenze trascendono l’ambito della
cooperazione, sembra utile approfondire natura e funzioni degli organi sussidiari
dell’Assemblea generale e del Consiglio economico e sociale, alla luce dei principi della
Carta e della prassi applicativa.
L’art. 22 pone due limiti all’esercizio del potere di istituire organi sussidiari. Innanzitutto, le
funzioni attribuite a tali organi devono rientrare nella sfera delle competenze dell’Assemblea;
in secondo luogo, devono presentare carattere “necessario”, elemento la cui valutazione è
rimessa alla stessa Assemblea.
L’art. 22 è il fondamento giuridico della complessa struttura creata negli anni dall’Assemblea
generale. A parte le sei grandi commissioni in cui si articola, essa ha istituito un elevatissimo
numero di organi sussidiari molto diversificati tra loro e, per questo, difficilmente
classificabili. Essi si possono distinguere sulla base della loro composizione (stato o
individui) e della struttura organizzativa, del carattere permanente o temporaneo, del grado di
indipendenza di cui godono, delle modalità con cui vengono nominati o estinti, delle funzioni
ad essi affidate e dei settori in cui operano.
Sebbene alcuni organi sussidiari abbiano raggiunto un notevole grado di autonomia, il loro
status giuridico è, ad ogni modo, caratterizzato dalla subordinazione all’Assemblea generale.
Essa può controllare la loro attività, determinare o modificare composizione, mandato e
regolamento interno degli stessi o addirittura estinguerli in qualsiasi momento123.
119
“Such subsidiary organs as may be found necessary may be established in accordance with the
present Charter”.
120
Art. 22: “The General Assembly may establish such subsidiary organs as it deems necessary for the
performance of its functions”.
121
Art. 29: “The Security Council may establish such subsidiary organs as it deems necessary for the
performance of its functions”.
122
Art. 68: “The Economic and Social Council shall set up commissions in economic and social fields
and for the promotion of human rights, and such other commissions as may be required for the
performance of its functions”.
123
Tomuschat, C. (1995) General Assembly in United Nations: law, policies and practice, editor in
chief Rudiger Wolfrum ; managing editor Christiane Philipp, p. 548-550.
34
Tra tutti i tipi di organi sussidiari, assumono particolare rilievo quelli dotati di autonomia
funzionale e operativa124, creati dall’Assemblea per perseguire le finalità della cooperazione
economica e sociale. Tali organi, definibili quasi-autonomous bodies125, godono di una
personalità giuridica ridotta che si sostanzia, ad esempio, nella competenza a concludere
accordi con gli Stati beneficiari o stipulare i contratti necessari all’adempimento dei loro
compiti.
Le funzioni loro attribuite, purché comprese nella sfera di competenza dell’Assemblea,
possono andare dall’elaborazione di principi, regole e programmi (come ad esempio nel caso
dell’UNCITRAL126, dell’UNCTAD e dell’UNEP); al finanziamento di progetti di soccorso o
sviluppo (UNCDF e UNFPA, UNDP); all’esecuzione diretta di attività operative (UNICEF e
WFP)127.
La proliferazione degli organi sussidiari dell’Assemblea generale, verso la fine degli anni
settanta, era giunta ad un livello tale da rendere sempre più pressante l’esigenza di una
riforma organizzativa dell’ONU. L’attuale fase di riforma dell’area operativa delle Nazioni
Unite è iniziata con il Rapporto Bertrand (1985) e proseguita con una serie di proposte dirette
a migliorare l’efficienza e coerenza dell’intero sistema, partendo dalla razionalizzazione della
rete degli organi sussidiari e dal loro coordinamento per evitare inutili sovrapposizioni.
Dal Consiglio economico e sociale dipendono una serie di organi sussidiari creati sulla base
dell’art. 68 della Carta, che autorizza il Consiglio a istituire “commissioni per le questioni
economiche e sociali e per promuovere i diritti dell'uomo, nonché quelle altre commissioni
che possono essere richieste per l'adempimento delle sue funzioni”. La rete di organi che
trovano fondamento giuridico in tale norma si compone delle commissioni funzionali, delle
commissioni economiche regionali, dei comitati permanenti e da quelli composti di esperti.
Le Commissioni economiche regionali sono cinque e sono state create sotto l’impulso
dell’Assemblea, che fin dalla prima sessione, ne chiese l’istituzione per contribuire alla
124
Possono farsi rientrare in questa definizione i seguenti organi sussidiari: UN Children’s Fund
(UNICEF), UN Development Programme (UNDP), UN Population Fund (UNFPA), UN Environment
Programme (UNEP), Office for the UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), UN Conference
on Trade and Development (UNCTAD), UN Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the
Near East (UNRWA), UN University (UNU), UN Institute for disarmamene Research (UNIDIR), UN
Institute for Training and Research (UNITAR), UN Development Fund for Women (UNIFEM), World
food Programme (WFP).
125
Vedi Hilf e Khan, “Article 22” in The Charter of the United Nations: a commentary, ed. By Bruno
Simma with Hermann Mosler et al., Oxford, Oxford University Press, 2002, pp. 421 e ss.
126
United Nations Commission on International Trade Law.
127
Vedi Hilf e Khan, “Article 22” , op. cit., p. 424.
35
ricostruzione dei Paesi distrutti dalla guerra. Sono gli unici organi delle Nazioni Unite che,
oltre ad avere una composizione su base regionale, funzionano a livello decentrato nella
regione geografica di competenza. Essi, tuttavia, non svolgono attività operative dirette,
piuttosto ricoprono un ruolo di coordinamento delle politiche degli Stati di appartenenza,
adottano raccomandazioni e intraprendono azioni di studio e documentazione.
Le commissioni funzionali sono organi intergovernativi operanti in diversi settori che
rientrano nelle competenze del Consiglio economico e sociale, quali ad esempio sviluppo
sociale, condizione della donna, diritti umani, prevenzione del crimine; tra queste, assume
particolare rilievo la Commissione per lo sviluppo sostenibile la quale, creata su impulso
dell’UNCED e composta da 55 membri scelti sulla base dell’equa distribuzione geografica tra
gli Stati membri dell’ONU e degli Istituti Specializzati, definisce le priorità d’azione delle
Nazioni Unite tra quelle individuate dall’Agenda 21.
Dei comitati permanenti, si è già accennato al ruolo rivestito dal Committee for Programme
and Coordination (CPC) nel coordinamento, nella pianificazione e nella programmazione nel
campo della cooperazione economica e sociale; esso collabora con l’Advisory Committee on
Administrative and Budgetary Questions (ACABQ), organo sussidiario dell’Assemblea
generale responsabile dell’esame dei bilanci dell’ONU e degli Istituti Specializzati, e con la
Joint Inspection Unit (JIU), agenzia creata nel 1966 dall’Assemblea Generale e dotata di ampi
poteri
investigativi
relativamente
all’efficienza
interna
e
l’utilizzo
dei
fondi
dell’Organizzazione128.
Infine, si è già osservata la competenza attribuita al Consiglio dall’art 66.2 in merito
all’esecuzione di “servizi”, vale a dire attività materiali, richiesti dagli Stati membri e dagli
Istituti Specializzati. Questa norma, infatti, costituisce il fondamento giuridico di molte delle
attività operative che l’ONU ha iniziato ad espletare sin dalle sue origini dirette allo sviluppo
dei Paesi meno avanzati, come l’UNRWA o l’UNICEF.
Tuttavia nella prassi, i programmi operativi in campo economico e sociale sono stati istituiti,
nella maggior parte dei casi, dall’Assemblea Generale mediante proprie decisioni; si è, infatti,
determinata una sorta di revisione tacita dell’art. 66.2 nel senso che l’Assemblea ha finito per
esercitare come propria la competenza di eseguire servizi.
D’altronde la Carta nulla dice rispetto ai mezzi e alle modalità delle attività operative e nella
prassi, che è stata determinante in proposito, l’ONU si è atteggiata, in misura crescente, a
strumento di attività interna degli stati attraverso lo sviluppo del suo apparato organico.
128
Vedi Lagoni, R., “ECOSOC – Economic and Social Council”, in United Nations: law, policies and
practice, editor in chief Rudiger Wolfrum, managing editor Christiane Philipp, 1995, p.465-470.
36
37
CAPITOLO 2
IL SISTEMA DELLE NAZIONI UNITE NEL SETTORE AGROALIMENTARE:
IL POLO AGRO-ALIMENTARE
2.1 IL SISTEMA DELLE NAZIONI UNITE NEL SETTORE AGROALIMENTARE
Concluso l’esame della cooperazione internazionale economica e sociale nel sistema delle Nazioni
Unite, in questo capitolo l’analisi si restringe su un settore specifico di tale cooperazione, il settore
agro-alimentare.
Oggi la comunità internazionale sembra aver raggiunto la consapevolezza che il circolo vizioso della
povertà estrema non può spezzarsi se non trovando una soluzione al problema della fame nel mondo,
che a sua volta presuppone il miglioramento della condizione della popolazione rurale e investimenti
mirati nel settore agricolo.
Il concetto di “sviluppo” ha subito negli anni profonde trasformazioni, grazie soprattutto alle voci dei
nuovi paesi decolonizzati che si sono imposte nel dibattito internazionale. Se fino agli anni settanta lo
sviluppo era inteso come mera crescita economica sul modello dei paesi industrializzati
dell’Occidente, nel tempo tale concetto si è arricchito della dimensione sociale, culturale e ambientale,
ormai ritenute sue componenti imprescindibili.
La cooperazione allo sviluppo, in particolare nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite, si è adattata
e trasformata: oggi la comunità internazionale è, almeno sulla carta, impegnata a realizzare gli
Obiettivi del Millennio, il primo dei quali è dimezzare la povertà assoluta e la fame nel mondo entro il
2015.
L’approccio multi-dimensionale dello sviluppo ha imposto un ripensamento anche alla cooperazione
internazionale agro-alimentare. Se, da una parte, il modello di sviluppo del passato comportava grandi
investimenti infra-strutturali dall’esterno e privilegiava il settore industriale, dall’altra riduceva
l’impegno internazionale alla lotta contro la fame nel mondo all’assistenza alimentare bilaterale, un
modo di smaltire le eccedenze agricole dei Paesi produttori e di ottenere vantaggi economici allo
stesso tempo.
38
Il modello di crescita economica “suggerito” ai PVS ha spesso comportato, infatti, il sacrificio del
settore rurale, il degrado dei redditi degli agricoltori e l’assenza di politiche agricole e interventi di
sostegno nel settore. I costi sociali sempre più alti, la marginalizzazione crescente di ampie fasce della
società e le crisi alimentari susseguitesi dagli anni settanta in poi hanno condotto a nuove politiche e
strategie dello sviluppo dei paesi più arretrati; in particolare, gli aiuti alimentari sono stati
gradualmente riformulati allo scopo di contribuire al raggiungimento della sovranità alimentare, ossia
di creare un sistema produttivo locale piuttosto che ad accrescere la dipendenza dei PVS dall’esterno.
Dalla prima Conferenza mondiale sull’alimentazione del 1974 ad oggi, il settore agro-alimentare ha
attirato un’attenzione crescente da parte della comunità internazionale, accompagnata alla
consapevolezza che dal settore agricolo e dallo sviluppo rurale dipendono le condizioni di vita di
milioni di persone nel mondo. Secondo le stime del 2008 della FAO, infatti, il 75% della popolazione
affamata del pianeta, 963 milioni di persone, vive in aree rurali e dipende dalla possibilità di accedere
alla terra e alle altre risorse naturali per la propria sopravvivenza.
Nuovi programmi, summit internazionali e dichiarazioni di principi hanno caratterizzato l’attività
dell’ONU e dei suoi Stati membri negli ultimi decenni, creando strumenti più o meno efficaci ma ad
ogni modo contribuendo all’evoluzione del dibattito in materia, a tenere alta l’attenzione dell’opinione
pubblica mondiale sul problema della fame e, in molti casi, ad ottenere alcuni risultati. All’interno di
questa galassia di iniziative sponsorizzate dalle Nazioni Unite, l’attenzione di questa ricerca si
concentra principalmente sul cosiddetto Polo agro-alimentare dell’ONU, costituito da due Istituti
Specializzati, (Food Agriculture Organization - FAO e International Fund for Agriculture
Development - IFAD) e un peculiare organo sussidiario comune a ONU e FAO (World Food
Programme - WFP). Tutte e tre queste agenzie, con sede a Roma, sono proiettate su scala globale,
ognuna con un mandato specifico e complementare agli altri, all’interno di una strategia sempre più
omogenea e multi-dimensionale per combattere la fame e la povertà.
2.1.1 L’evoluzione della cooperazione agroalimentare internazionale
39
La prima forma di cooperazione intergovernativa nel settore agro-alimentare risale agli inizi del XX
secolo, quando venne creato l’Istituto Internazionale di Agricoltura, sotto il patrocinio di Vittorio
Emanuele III, sulla base di una proposta dell’americano David Lubin1.
Il Re d’Italia convocò a Roma una conferenza diplomatica nell’ambito della quale venne firmato, il 7
giugno 1905, la Convenzione istitutiva dell'Istituto Internazionale di Agricoltura (IIA). L'Istituto, in
funzione dal 1908, ridimensionato rispetto alle proposte iniziali, risultò essere un’unione
amministrativa internazionale con compiti prevalentemente di studio e raccolta dati2. Ogni iniziativa,
infatti, si scontrava con il dominio riservato, previsto dalla Convenzione di Roma, nelle questioni
relative agli interessi economici, le legislazioni e le amministrazioni degli Stati3.
Non si registrano altre forme di cooperazione agro-alimentare nel periodo compreso tra le due guerre:
né il Patto della Società delle Nazioni, né lo Statuto dell’Organizzazione internazionale del lavoro,
infatti, contengono alcun riferimento all’agricoltura.
La crisi generalizzata del ’29, tuttavia, ebbe alcune conseguenze. La sovrapproduzione e il crollo dei
prezzi dei prodotti agricoli, nel quadro della profonda crisi finanziaria ed economica globale,
condussero ad un ripensamento delle politiche governative nel settore agricolo, in particolare da parte
dei governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, che ne tentarono una correzione in senso
protezionistico e perseguirono una stabilizzazione dei prezzi dei prodotti di base4.
Un'altra novità ebbe luogo nella Società delle Nazioni, nel cui ambito la competenza della sezione
dedicata alla sanità fu esteso ai problemi della nutrizione. Un gruppo di nutrizionisti contribuì
all’elaborazione di innovative ricerche sull’importanza dell’alimentazione nel miglioramento delle
condizioni della vita dell’uomo; iniziava così il cosiddetto “matrimonio rivoluzionario” tra agricoltura
e sanità.
Gli specialisti della Società ebbero un ruolo decisivo anche negli sviluppi istituzionali successivi: la
loro proposta di creare una nuova organizzazione intergovernativa, infatti, venne accolta dal presidente
1
All'epoca, l'agricoltura negli Stati Uniti era caratterizzata da una notevole variabilità negli andamenti della
produzione, con frequenti fasi di produzione "in eccesso" che, secondo Lubin, una volta saturate le richieste della
zona, poteva essere incanalata altrove.
2
Secondo la proposta originaria di Lubin, si sarebbe dovuto trattare di una Commissione internazionale del
commercio, un organismo di coordinamento della produzione e della distribuzione a carattere internazionale, in
grado di superare i particolarismi e le tentazioni protezionistiche e con competenze di gestione dei mercati
internazionali dei prodotti agricoli. L’Istituzione avrebbe avuto carattere “rivoluzionario” nel sistema
internazionale.
3
Va ad ogni modo riconosciuta l’importanza, nell’evoluzione della cooperazione internazionale, dell’attività
dell’istituto e delle sue iniziative; ad esempio, nel 1930 l'IIA curò il primo "censimento agricolo mondiale",
prevedendone la cadenza decennale - una tradizione che verrà poi ripresa dalla FAO.
4
Nel 1931, con l’Agricoltural Marketing Act, la Gran Bretagna abbandonava il libero scambio in agricoltura per
arginare la concorrenza straniera, mentre negli Stati Uniti, le politiche de New deal prevedevano massicci
sovvenzioni per l’esportazione dei prodotti agricoli. Inoltre, nel 1933, venne firmato il primo Accordo
internazionale sul grano. Vedi Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per
l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), Milano, Angeli, 1992, p. 24.
40
americano Roosevelt, il quale si fece promotore di una Conferenza delle Nazioni Unite
sull’alimentazione e l’agricoltura a Hot Springs5. Gli Stati partecipanti convenirono sull’importanza di
aumentare la produzione agricola mondiale e crearono una commissione provvisoria di 48 Stati con il
compito di elaborare lo Statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e
l’agricoltura.
Nella conferenza di Hot Springs vengono tracciati i contorni della futura organizzazione che, per una
consapevole scelta degli stati fondatori, risultava avere competenze molto estese con riferimento alle
materie (alimentazione, silvicoltura, pesca, statistiche), ma ridotti poteri effettivi di intervento sui
mercati mondiali6.
Terminati i lavori della commissione provvisoria, l’atto istitutivo venne firmato nell’ambito della
prima Conferenza della FAO convocata a Quebec il 16 ottobre 1945: nasceva così l’Organizzazione
delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.
Dalla FAO alla nascita del Polo agroalimentare
Nel primo periodo di funzionamento della FAO, i risultati più concreti della sua attività possono
individuarsi nell’elaborazione di principi relativi allo smaltimento delle eccedenze7 e nella
partecipazione ai programmi di assistenza tecnica delle Nazioni Unite. Dalla sua origine fino al 1976,
anno di istituzione di un proprio programma di cooperazione tecnica (TCP), infatti, la FAO è il
principale esecutore dei programmi di assistenza tecnica dell’ONU (EPTA, FS, UNDP8).
Nel quadro della concezione dominante secondo la quale lo sviluppo agricolo si otteneva mediante
massicci investimenti di capitale, trasferimento di tecnologia e di know-how ai PVS, il compito
principale della FAO consisteva nello sviluppo di tecniche e tecnologie nella sede centrale che poi,
5
La conferenza si tenne a Hot Springs, in Virginia, dal 16 maggio al 3 giugno del 1943.
Già dal secondo dopoguerra la dipendenza alimentare dei Paesi più sfavoriti dai paesi produttori dell’Occidente
è tale per cui le contrapposte esigenze in campo si riflettono nelle diverse visioni della futura FAO: da un parte,
vi è la visione di un’organizzazione operativa in grado di far fronte alle crisi alimentari e al sottosviluppo
agricolo, promuovendo la produzione agricola e programmando la cooperazione internazionale a lungo termine;
dall’altra, l’atteggiamento degli Stati produttori teso a ridimensionare il ruolo della FAO a organismo di
semplice studio. Vedi Shaw, D. J., World food security. A history since 1945, Basingstoke and New York,
Palgrave MacMillan, 2007, pp. 3 e ss.
7
La Conferenza della FAO, con la ris. 14/53, raccomandava, in linea con la dominante concezione
liberoscambista, il principio dello smaltimento “ordinato” delle eccedenze da parte degli Stati membri per evitare
pressioni sul mercato e la caduta dei prezzi dei prodotti agricoli. La Conferenza, inoltre, incaricava di elaborare
principi che regolassero il fenomeno la Commissione dei prodotti la quale, nel 1957, si trasformava in Comitato
sui problemi dei prodotti di base, con un sottocomitato ad hoc per lo smaltimento delle eccedenze. Vedi Di
Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), op.
cit., pp. 42 e ss.
8
Vedi supra, primo cap.
6
41
attraverso i suoi esperti, venivano trasferiti ai paesi beneficiari. L’attività dell’Organizzazione si
concentrava dunque in settori pratici quali l’assistenza tecnica, la formazione e la diffusione di
conoscenze, evitando settori più politicamente “sensibili”, quali le politiche agricole nazionali, che
avrebbero sollevato le resistenze degli Stati industrializzati9. Fino alla metà degli anni settanta l’attività
della FAO mantiene questo carattere tecnico e depoliticizzato, anche grazie all’assenza dell’Unione
Sovietica e al ruolo di forum neutrale che gli Stati usciti dalla decolonizzazione, entrati in massa negli
anni sessanta, vogliono conferire all’Organizzazione 10.
Gli anni sessanta sono l’età dei surplus dei mercati interni nei paesi industrializzati e delle “politiche
d’aiuto” bilaterali nei confronti dei PVS, che si rivelano soprattutto vantaggiose per i paesi ricchi11. I
canali di scambio bilaterali dei prodotti agro-alimentari erano preferiti dagli Stati rispetto ad un
rafforzamento della FAO e, per quanto riguarda le insufficienze alimentari, l’Organizzazione non era
stata dotata degli strumenti necessari per fronteggiarle, limitandosi a coordinare i paesi fornitori di
stock alimentari ai PVS. Tuttavia, è proprio a questi anni che risalgono l’inizio del dibattito sul ruolo
della FAO di fronte alle emergenze alimentari e le prime spinte verso l’adozione di una nuova food aid
policy, che porteranno di lì a poco alla creazione del World Food Programme (WFP).
Con il rapporto I prodotti alimentari al servizio dello sviluppo; un sistema di utilizzazione delle
eccedenze12, il Direttore Generale della FAO Sen riconosceva il carattere transitorio dell’assistenza
alimentare rispetto ai progetti di sviluppo a lungo termine e, ad ogni modo, la necessità che la FAO
svolgesse un ruolo non solo di coordinatore degli aiuti bilaterali, ma soprattutto di principale
responsabile dell’esecuzione di un nuovo programma multilaterale di aiuti. Il problema
dell’alimentazione veniva posto in una nuova prospettiva, nel senso che diveniva una questione
concernente la condizione umana e non più esclusivamente ridotta alla produzione agricola.
La maggioranza degli Stati membri del Consiglio era favorevole alla proposta di Sen ma gli Stati
Uniti, che già in passato si erano opposti alle precedenti proposte di creare una riserva alimentare
mondiale per far fronte alle crisi13, presentarono una contro-proposta per la realizzazione del
9
Vedi Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura
(FAO), op. cit., pp. 52 e ss.
10
A differenza di quanto avveniva in altri organismi dell’ONU, come ad esempio l’ UNCTAD, spesso usati
come “casse di risonanza” delle istanze politiche dei PVS e caratterizzati dall’ideologizzazione Nord-Sud.
11
Gli aiuti alimentari bilaterali, infatti, favorivano da una parte l’aumento della produzione interna agricola nei
paesi industrializzati, dall’altra, l’accesso facilitato al mercato delle materie prime ed energetiche a basso costo
dei PVS. Vedi Buonomo, V., Un programma contro la fame: il fondo internazionale per lo sviluppo agricolo,
Roma, Città nuova, 1988, p. 26 e ss.
12
Doc. 61/17 presentato all’undicesima sessione della Conferenza, 4-24 novembre 1961 in Di Blase, A. e
Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), op. cit., p. 72.
13
La proposta di John Byod Orr, primo Direttore Generale della FAO, nel 1946, di dotare l’Organizzazione di un
Ufficio alimentare mondiale allo scopo di stabilizzare i prezzi dei prodotti agricoli sul mercato mondiale e
gestire una riserva mondiale per far fronte alle carestie alimentari, incontrò l’opposizione dei governi
statunitense e inglese. La Conferenza della FAO proponeva, nel 1951, la costituzione di una riserva alimentare
42
programma che essenzialmente ridimensionava la portata innovativa di quella del Direttore della
FAO14. Sulla base del progetto di Sen, con due risoluzioni parallele della FAO e dell’ONU, ossia la ris.
1/61 del Conferenza della FAO, approvata dall’Assemblea generale dell’ONU con ris. 1714 (XVI) del
19 dicembre 1961, nasceva il World Food Programme (WFP)15, un programma di aiuti alimentari
d’urgenza fondato sulla disponibilità delle eccedenze dei prodotti agricoli, inizialmente concepito
come transitorio e complementare rispetto agli altri programmi di cooperazione allo sviluppo del
sistema ONU.
Dall’età delle eccedenze dei prodotti agricoli di base si passava ad una fase in cui gli stock mondiali
iniziarono a scarseggiare, allorché si verificò, negli anni 1972-74, la più grave crisi agro-alimentare del
secondo dopoguerra, in particolare nella regione africana saheliano-sudanese. A fronte della nuova
situazione, la FAO lanciava, senza tuttavia raccogliere le adesioni sperate, il progetto di Intesa
internazionale sulla sicurezza alimentare mondiale16, mentre iniziavano i lavori preparatori della
Conferenza mondiale sull’alimentazione, sotto gli auspici delle Nazioni Unite.
Gli esiti della Conferenza del 1974, da collocare peraltro nel più ampio quadro delle iniziative
formulate dall’ONU negli anni settanta sui problemi dello sviluppo, mettono in luce il rischio di
marginalizzazione della FAO a favore di organismi e soluzioni parallele. Dalla Conferenza nascono,
infatti, il Consiglio mondiale dell’alimentazione (WFC), organo di collegamento delle politiche delle
Nazioni Unite per i settori agricolo e alimentare, e il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo
internazionale, sollevando ancora una volta l’opposizione degli USA che, nel 1954, diedero vita ad un sistema di
aiuti alimentari bilaterale per la gestione delle proprie eccedenze cerealicole. Vedi Di Blase, A. e Marchisio S.,
L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), op. cit., pp. 32 e ss.
14
All’inizio del 1961 il Presidente Kennedy aveva istituito, allo scopo di gestire gli aiuti alimentari bilaterali, il
“Food for Peace office” alla Casa Bianca con McGovern direttore. Quest’ultimo, a capo della delegazione
americana, presentava pochi mesi dopo alla Conferenza della FAO, la proposta per la realizzazione del WFP:
nonostante l’estensione evocata dallo slogan “Food for Peace”, la proposta degli Stati Uniti auspicava un
coinvolgimento della FAO esclusivamente come intermediaria dei suoi interventi di aiuti bilaterali. Il
Programma alimentare così concepito prevedeva un’unità amministrativa subordinata al Direttore Generale della
FAO e un organo consultivo subordinato a Conferenza e Consiglio. Vedi Shaw, D.J., The UN World Food
Programme and the development of food aid, Basingstoke and New York, Palgrave MacMillan, 2001, p. 32 e ss.
15
Vedi infra paragrafo sul profilo istituzionale e attività del WFP.
16
Secondo il progetto di accordo, proposto dal Direttore Generale nel 1973, gli Stati firmatari si sarebbero
impegnati a cooperare per assicurare in ogni momento approvvigionamenti mondiali di cereali sufficienti ad
attenuare la fluttuazione della produzione e dei prezzi, ad adottare misure nazionali ed internazionali per
accrescere la produzione alimentare, ad offrire a condizioni ragionevoli le eccedenze disponibili all’esportazione
nei periodi di scarsità alimentare. Il progetto era approvato dalla Conferenza della FAO nel novembre 1973 e
sottoposto all’esame di un gruppo di lavoro ad hoc, composto da 45 Stati membri, osservatori della CEE e da sei
organizzazioni intergovernative. Il rapporto del gruppo, inviato a tutti gli Stati membri della FAO e dell’ONU,
veniva esaminato dal Comitato dei prodotti nell’ottobre 1974. L’accordo non sarebbe stato vincolante ma
piuttosto una promessa basata sulla buona fede (come d’altronde era avvenuto per i principi sullo smaltimento
delle eccedenze raccomandati dalla FAO). Vedi Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni
Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), op. cit., pp. 96 e ss.
43
(IFAD), istituzione finanziaria con status di Istituto Specializzato delle Nazioni Unite, con il mandato
di eliminare la povertà e la fame nelle aree rurali dei paesi in via di sviluppo17.
La FAO attraversava dunque una crisi di adattamento, provocata dall'emergere delle priorità dello
sviluppo e del nuovo ordine economico internazionale, da cui è scaturita una fase definita di
«rifondazione», durante la quale l'Organizzazione ha riformulato i suoi obiettivi ed ampliato la gamma
degli strumenti a sua disposizione per contribuire all'eliminazione della fame e della malnutrizione nel
mondo. Per quanto riguarda il profilo interno, la riforma si è sostanziata nell’istituzione di un proprio
programma di cooperazione tecnica, un maggiore decentramento dell’Organizzazione mediante
l’istituzione di rappresentanti nei PVS e un riorientamento delle risorse verso le attività operative.
Per quanto riguarda la cooperazione agro-alimentare del sistema ONU, la FAO ha ad ogni modo svolto
un ruolo di primo piano nella sua evoluzione contribuendo con iniziative quali la Conferenza mondiale
sulla riforma agraria e lo sviluppo rurale del 197918, la Conferenza mondiale sulla gestione e lo
sviluppo della pesca del 1984, l'adozione del Patto sulla sicurezza alimentare mondiale nel 1985, la
Conferenza internazionale sulla nutrizione del 1992.
Anche gli obiettivi della FAO si sono trasformati nel tempo e sono giunti ad identificarsi nella
sicurezza alimentare, nella riforma agraria e nello sviluppo agricolo e rurale sostenibile. La sicurezza
alimentare, che significa assicurare, a tutti e in ogni momento, l’accesso materiale ed economico agli
alimenti di base indispensabili, diventa responsabilità dell’umanità con il Patto mondiale della
sicurezza alimentare del 1985. In questo quadro, l’aumento della produzione agricola diventa
funzionale alla sicurezza alimentare, ossia inteso come mezzo per realizzare la sufficienza alimentare
di base.
Gli altri due obiettivi si riferiscono invece ad una concezione dello sviluppo agricolo e rurale in cui
assumono rilevanza il fattore umano, e dunque la partecipazione delle masse rurali al proprio processo
di autodeterminazione, e il fattore nazionale, nel senso di pianificazione dello sviluppo, e quindi delle
tecnologie e dei progetti da applicare, a partire dalle esigenze di ogni Paese beneficiario. La FAO
promuove, infatti, un modello di sviluppo rurale e di riforma agraria che integra i due obiettivi
17
Vedi infra, paragrafo ‘il profilo istituzionale dell’IFAD’.
La Conferenza mondiale sulla riforma agraria e lo sviluppo rurale del 1979, nell’ambito della quale venne
adottata la “Carta del contadino”, ha costituito un importante tentativo di coordinare a livello internazionale le
politiche per lo sviluppo rurale e di stabilire una serie di impegni per gli Stati circa l’adozione di concrete misure
per favorire dei processi di riforma agraria. Il Piano d’Azione approvato dalla Conferenza del 1979, tuttavia, pur
rappresentando un’iniziativa di grande respiro, non ha trovato negli anni successivi un’adeguata traduzione in
termini operativi da parte degli Stati firmatari.
18
44
dell’accrescimento della produzione e dell’integrazione sociale anche se, trattandosi di una materia
sensibile di politica interna, ha spesso incontrato forti resistenze degli Stati interessati19.
In tal modo, il campo d’azione della FAO ha finito per ampliarsi rispetto alle intenzioni originarie e
tutta la sua attività ruota oggi intorno all’idea, integrativa degli obiettivi dell’Atto istitutivo, per cui lo
sviluppo è un processo di autodeterminazione nazionale e individuale, condizionato dalla giustizia
economica e sociale.
Siffatta evoluzione interna della FAO si è altresì intrecciata a quella parallela degli altri due enti che
oggi costituiscono il Polo agro-alimentare: l’IFAD e il WFP. Essi, infatti, crescendo nel tempo nei
rispettivi settori di attività, hanno ben presto “imposto” alla FAO una maggiore apertura e adattamento
della propria politica e azione. Benché negli anni non siano mancati spunti di incomprensione dovuti
alla non sempre chiara divisione dei compiti, le visioni strategiche della FAO, dell’IFAD e del WFP si
sono gradualmente integrate, essendo questi tre enti del sistema ONU attivi, benché con mandati
diversi, nello stesso settore di cooperazione internazionale agro-alimentare. I rapporti tra i soggetti del
Polo si sono trasformati, in particolare quello tra FAO e WFP, dove quest’ultimo ha acquisito una
crescente autonomia rispetto alle Organizzazioni da cui promana.
L’analisi prosegue attraverso un esame dei principi guida della cooperazione agro-alimentare, come
elaborati nel tempo dal Polo all’interno del più ampio quadro dell’evoluzione della cooperazione allo
sviluppo del sistema ONU, e che oggi ne indirizzano l’azione; si traccia poi un’analisi dei profili
istituzionali e delle attività di FAO, IFAD e, in particolare, WFP allo scopo di distinguerne i rispettivi
mandati, strutture e attività; si conclude con un’indagine delle attività congiunte del Polo agroalimentare.
Il diritto all’alimentazione e la sicurezza alimentare
La nuova concezione dello sviluppo, espressa nel testo del primo decennio dell’ONU per lo sviluppo
del 196120, che riconosce l’importanza anche dei fattori umani, sociali e istituzionali nel processo di
crescita economica, si specifica, in tema agro-alimentare, nel diritto all’alimentazione e alla libertà
dalla fame sancito nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.
L’art. 11 del Patto adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite 196621, infatti, riconosce il
diritto ad un’alimentazione adeguata come parte del diritto ad un adeguato tenore di vita e accorda al
19
Vedi Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura
(FAO), op. cit., pp. 113 e ss.
20
Vedi supra par. sulle regole della cooperazione, primo cap.
21
Art. 11: “1. Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo a un livello di vita
adeguato per sé e per la propria famiglia, che includa alimentazione, vestiario ed alloggio adeguati, nonché il
miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita. Gli Stati parti prenderanno misure idonee ad assicurare
l'attuazione di questo diritto, e riconoscono a tal fine l'importanza essenziale della cooperazione internazionale,
45
diritto di essere liberi dalla fame lo status di diritto fondamentale dell’uomo. In vista di ciò, gli Stati
contraenti s’impegnano ad adottare tutte le misure necessarie per migliorare i metodi di produzione, di
conservazione e di distribuzione delle derrate alimentari, sia a livello nazionale che internazionale,
mediante la piena applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, la diffusione di nozioni
relative ai principi nutritivi e la riforma dei regimi agrari. Gli Stati, inoltre, si prefiggono di assicurare
un’equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali.
Il diritto all’alimentazione così sancito, trova il suo fondamento nell’art. 25 della Dichiarazione
universale dei diritti umani del 194822 ed è rispecchiato nel fine di "assicurare all'umanità la libertà
dalla fame" consacrato nel Preambolo della Costituzione della FAO. Tale diritto può, inoltre, essere
visto come parte integrante del diritto alla vita, riconosciuto legalmente nel Patto internazionale sui
diritti civili e politici, adottato anch’esso dall'Assemblea Generale dell'ONU nel 196623.
Il diritto all’alimentazione, in particolare, è stato da allora esplicitamente riconosciuto ed ulteriormente
definito in vari strumenti e dichiarazioni internazionali quali le Dichiarazioni adottate dalla Conferenza
mondiale delle Nazioni Unite sull'alimentazione del 197424, dalla Conferenza internazionale sulla
nutrizione convocata nel 1992 dalla FAO e dall'OMS e dalla Dichiarazione e dal Piano d'azione
adottati dal Vertice mondiale sull'alimentazione tenutosi a Roma nel 199625.
basata sul libero consenso.
2. Gli Stati parti del presente Patto, riconoscendo il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla
fame, adotteranno, individualmente e attraverso la cooperazione internazionale, tutte le misure, e fra queste
anche programmi concreti, che siano necessarie:
(a) per migliorare i metodi di produzione, di conservazione e di distribuzione delle derrate alimentari mediante la
piena applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, la diffusione di nozioni relative ai principi della
nutrizione, e lo sviluppo o la riforma dei regimi agrari, in modo da conseguire l'accrescimento e l'utilizzazione
più efficaci delle risorse naturali;
(b) per assicurare un'equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali in relazione ai bisogni, tenendo conto
dei problemi tanto dei paesi importatori quanto dei paesi esportatori di derrate alimentari".
22
Art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani: "diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire il
benessere proprio e della propria famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione e
alle cure mediche e ai servizi sociali necessari (..)"
23
Secondo l'art. 6(1) del Patto internazionale su diritti civili e politici: "Il diritto alla vita è inerente alla persona
umana. Questo diritto deve esser protetto dalla legge. Nessuno può essere arbitrariamente privato della vita". Il
diritto all’alimentazione, il cui fondamento giuridico è normalmente individuato nel Patto sui diritti economici,
sociali e culturali, è stato ricondotto, da alcuni rapporti del Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite, al
Patto sui diritti civili e politici. Un livello di malnutrizione tale da provocare un’estesa mortalità infantile, infatti,
potrebbe essere considerata come una evidenza dell'omissione dello Stato a proteggere il diritto alla vita
all’interno del suo territorio. Vedi Moore, G. Diritto all’alimentazione, fao.org/legal.
24
La Dichiarazione universale sull'eliminazione della fame e della malnutrizione, adottata dalla Conferenza
mondiale delle Nazioni Unite sull'alimentazione del 1974, stabilisce che "Ogni uomo, donna e bambino ha il
diritto inalienabile ad essere libero dalla fame e dalla malnutrizione per potersi sviluppare completamente e
mantenere le proprie facoltà fisiche e mentali”. Oltre alla suddetta Dichiarazione, la Conferenza mondiale
sull’alimentazione ha anche adottato 22 risoluzioni in materia di sicurezza alimentare.
25
La Dichiarazione sulla sicurezza alimentare mondiale del 1996 intende il diritto all’alimentazione,
estendendolo rispetto all’accezione originaria, come "il diritto di ogni persona ad avere accesso ad alimenti sani
e nutritivi, in accordo con il diritto ad una alimentazione appropriata e con il diritto fondamentale di ogni essere
umano di essere libero dalla fame".
46
Gli obiettivi e gli strumenti indicati nell’art. 11 del Patto sui diritti economici, sociali e culturali
riflettono dunque la strategia generale della comunità internazionale, e del sistema delle Nazioni Unite
in particolare, per il raggiungimento della sicurezza alimentare, così come concepita nel 1966. Allo
stesso modo, secondo l’art. 226 del Patto, gli Stati contraenti si impegnano ad operare, con il massimo
delle risorse di cui dispongono, al fine di assicurare progressivamente la piena attuazione dei diritti
riconosciuti nel Patto stesso e, in particolare, si impone agli Stati contraenti di legiferare sul diritto ad
un'alimentazione adeguata.
Il diritto all’alimentazione si è nel tempo configurato come diritto collettivo alla sicurezza
alimentare27, la cui effettività dipende fortemente dal modo in cui il diritto agrario di uno Stato regola i
rapporti istituzionali uomo-terra. Il diritto alla sicurezza alimentare, che rappresenta tutt’oggi
l’imperativo programmatico della cooperazione agro-alimentare e dell’attività dei soggetti del Polo, è
stato oggetto, tuttavia, di una profonda evoluzione che ha reso necessaria una rivisitazione del
programma d'azione previsto dall'art. 11.2 del Patto.
Una nuova strategia è stata fornita dalla Dichiarazione e dal Piano d'azione adottati dal Vertice
mondiale sull'alimentazione (WFS) del 1996. Gli Stati partecipanti al Vertice si sono prefissi
l’obiettivo di dimezzare il numero delle persone che soffrono la fame entro il 201528. Secondo la
Dichiarazione e il Piano d’azione, la sicurezza alimentare si realizza “when all people, at all times,
have physical and economic access to sufficient, safe and nutritious food to meet their dietary needs
and food preferences for an active and healthy life”29.
Il Piano, poi, definisce un concreto programma d'azione per il raggiungimento della sicurezza
alimentare attraverso un ambiente politico, sociale ed economico atto a ridurre la povertà e a
migliorare l'accesso di tutti ad una alimentazione sufficiente, nutrizionalmente adeguata e sana e ad
assicurarne l’effettiva utilizzazione30. Esso sancisce l'impegno all'adozione di politiche per
26
Art. 2. 1: “Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna ad operare, sia individualmente sia
attraverso l’assistenza e la cooperazione internazionale, specialmente nel campo economico e tecnico, con il
massimo delle risorse di cui dispone, al fine di assicurare progressivamente con tutti i mezzi appropriati,
compresa in particolare l’adozione di misure legislative, la piena attuazione dei diritti riconosciuti nel presente
Patto”.
27
Così è stato inteso dal Patto sulla sicurezza alimentare mondiale della FAO del 1985. Vedi Di Blase, A. e
Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), op. cit., pp. 122 e
ss.
28
Il Comitato sulla sicurezza alimentare (CFS) ha il compito di monitorare i progressi ottenuti nel
raggiungimento dell'obiettivo stabilito dal Vertice mondiale sull’alimentazione del 1996.
29
World Food Summit Plan of Action (fao.org).
30
“we will ensure an enabling political, social, and economic environment designed to create the best conditions
for the eradication of poverty and for durable peace, based on full and equal participation of women and men,
which is most conducive to achieving sustainable food security for all; we will implement policies aimed at
eradicating poverty and inequality and improving physical and economic access by all, at all times, to sufficient,
nutritionally adequate and safe food and its effective utilization”, Rome Declaration on World Food Security
(fao.org).
47
un'alimentazione e uno sviluppo agricolo e rurale sostenibile, ed affronta problemi connessi con la
sicurezza alimentare quali il commercio e l'investimento. Il Piano d'azione tratta anche della
prevenzione delle situazioni di crisi e del bisogno di far fronte alle necessità alimentari temporanee ed
urgenti in modalità tali da favorire la ripresa, lo sviluppo e la capacità di soddisfare le necessità future.
L'Alto Commissario per i diritti umani, invitato dal Piano d’azione a definire meglio i diritti connessi
all'alimentazione di cui all'art. 11 del Patto del 1966, e il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti
economici, sociali e culturali31, che monitora l’implementazione del Patto negli Stati parti, hanno
elaborato il contenuto normativo del diritto ad un’alimentazione adeguata e i conseguenti obblighi
degli stati.
Nel Commento Generale 12 delle Nazioni Unite sull’interpretazione del diritto all’alimentazione, si
afferma che “the right to adequate food is realized when every man, woman and child, alone or in
community with others, has physical and economic access at all times to adequate food or means for
its procurement. The right to adequate food shall therefore not be interpreted in a narrow or restrictive
sense which equates it with a minimum package of calories, proteins and other specific nutrients. The
right to adequate food will have to be realized progressively. However, States have a core obligation to
take the necessary action to mitigate and alleviate hunger even in times of natural or other disasters32”.
Viene data, quindi, un’interpretazione ampia del diritto ad un’alimentazione adeguata (non solo come
diritto a procurarsi il cibo mediante i propri sforzi senza essere intralciati, ma anche diritto a riceverlo
quando non si è in grado di procurarselo) e si individua l’obbligo dello Stato di fare tutto il possibile
per soddisfare tale diritto anche in situazioni di emergenza.
In particolare, il Commento Generale insiste sulla necessità di un’azione positiva degli Stati che si
specifica nell’obbligo di introdurre leggi che proteggano tale diritto e di mobilitare le risorse
necessarie per la sua realizzazione33. Secondo tale interpretazione, infatti, il diritto ad un’alimentazione
adeguata impone agli Stati di assumersi tre tipi o gradi di responsabilità, ossia il dovere di rispettare,
proteggere e realizzare quanto stabilito. L'obbligo a rispettare implica che lo stato debba riconoscere
ad ogni essere umano il diritto ad un’alimentazione adeguata e pertanto l’accesso ad essa; nel rispetto
di questo diritto, lo Stato non deve interferire in alcun modo con tale accesso, ossia con i mezzi di
sussistenza dei suoi cittadini e con la loro capacità di provvedere a sé stessi. L'obbligo a proteggere
richiede la regolamentazione della condotta degli attori non statali affinché non interferiscano con
l’accesso ad un’alimentazione adeguata degli individui. L'obbligo a realizzare il diritto in esame
richiede un’azione positiva dello Stato, attraverso provvedimenti sia di breve che di lungo termine:
31
Il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali opera mediante l'Ufficio dell'Alto
Commissario per i Diritti Umani.
32
General Comment n. 12 del Comitato delle nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali (ventesima
sessione, 1999). Vedi Office of the High Commissioner for Human Rights (ohchr.org).
33
Vedi Il diritto al cibo (fao.org).
48
esso deve quindi agevolare e provvedere. Con agevolare ci si riferisce al dovere dello Stato di
implementare programmi per la sicurezza alimentare, fornendo agli individui i mezzi per essere
autosufficienti. Con provvedere ci si riferisce invece al dovere dello Stato di fornire assistenza diretta
ogni volta che un individuo o un gruppo non siano in grado di godere del diritto ad una alimentazione
adeguata, in particolare nei casi di disastri naturali o di altro tipo34.
Nel 2000 l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha istituito la carica di Relatore
speciale sul diritto all’alimentazione il quale, affiancato dall’Unità di ricerca sul diritto
all’alimentazione, ha il compito di ricevere le informazioni riguardanti violazioni del diritto
all’alimentazione, identificare le problematiche emergenti sullo stesso, visitare i diversi Paesi e
presentare rapporti annuali all’Alto Commissario35.
Per verificare i progressi compiuti, gli Stati membri si sono riuniti nel 2002 per il Vertice mondiale
sull’alimentazione: cinque anni dopo, promosso dalla FAO36. Constatata l’insufficiente volontà
politica di molti Stati, la Dichiarazione del Vertice, ha ribadito che la fame e la malnutrizione sono
inestricabilmente legate al problema della povertà che l’agricoltura da sola non può risolvere e ha
riaffermato il diritto al “safe and nutritious food37”, definendo la sicurezza alimentare come
responsabilità comune dell’umanità. La Dichiarazione, inoltre, ha confermato l’obiettivo del WFS di
dimezzare il numero degli affamati entro il 2015 e auspicato, a tale scopo, la creazione di una Alleanza
internazionale contro la fame per coordinare gli sforzi degli Stati, delle organizzazioni internazionali e
delle organizzazioni della società civile coinvolti38.
2.2 PROFILO ISTITUZIONALE E ATTIVITA’ DEGLI ENTI DEL POLO
AGROALIMENTRE
2.2.1 Profilo istituzionale e attività della FAO
34
Vedi ohchr.org e Moore, op. cit.
Vedi UN Special Rapporteur on the Right to Food (relatorighttofood.org).
36
Il vertice mondiale sull’alimentazione: cinque anni dopo, tenutosi a Roma dal 10 al 13 giugno del 2002, ha
visto la partecipazione di 4000 delegati di 181 paesi e più della metà dei loro capi di Stato e di governo.
37
Vedi World Food Summit: five years later. FAO headquarters, Rome, Italy, 10-13 June 2002.
38
Vedi infra par. 2.3.
35
49
Nel preambolo dello Statuto della FAO sono formulati gli scopi secondo i quali gli Stati membri si
impegnano a migliorare l’alimentazione e le condizioni di vita delle popolazioni, soprattutto rurali,
migliorare la produzione e la distribuzione dei prodotti agricoli e, come emendato nel 1965,
contribuire all’espansione dell’economia globale e a liberare l’umanità dalla fame.
Sebbene la formulazione degli obiettivi sia piuttosto generica, questi ultimi vanno letti nel più ampio
contesto delle intenzioni dei fondatori dell’Organizzazione, che ponevano la pace come obiettivo delle
future relazioni interstatali, ritenendola strettamente connessa al benessere delle popolazioni: “ the
FAO is born out of the idea of freedom from want ... is born out of the need for peace as well … the
two are interdependent” 39.
Le funzioni della FAO, definite all’art. 1 dello Statuto, consistono nel raccogliere, analizzare e
diffondere le informazioni relative alla nutrizione, all’agricoltura e all’alimentazione; nel
raccomandare agli Stati membri azioni nazionali o internazionali relativamente a settori specifici40; nel
fornire assistenza tecnica ai paesi che la richiedano e, in linea generale, adottare tutte le misure
necessarie per raggiungere gli scopi stabiliti nel preambolo.
Lo Statuto della FAO distingue tra membri originari dell’Organizzazione, membri aggiunti e membri
associati. Ai sensi dell’art. 2, i membri originari sono quelli che, avendo partecipato alla Conferenza di
Hot Springs, hanno accettato l’Atto istitutivo (44 su 45 Stati partecipanti). La conferenza della FAO
può, a maggioranza di due terzi, ammettere nell’Organizzazione, in qualità di membro aggiunto, ogni
paese che ne faccia richiesta e che accetti gli obblighi dello Statuto41. Con la stessa maggioranza, la
Conferenza può ammettere, quale membro associato dell’Organizzazione, qualsiasi territorio o insieme
di territori che non siano responsabili della conduzione delle proprie relazioni internazionali. Sulla
base di questa previsione molte colonie e territori ad autonomia limitata hanno goduto dello status di
membri associati della FAO fino al momento dell’indipendenza42.
39
General Report del Reviewing Panel della Commissione provvisoria dell’ONU su cibo e agricoltura, I
conferenza, Rev. Pan. Doc. 15, 25-06-1945, p. 4-5. Cit. in Schutz, “FAO – Food and Agricolture Organization”,
op. cit., p. 502.
40
Art. 1.2. “L’Organizzazione promuove e all’occorrenza raccomanda azioni nazionali e internazionali vertenti
su: a) la ricerca scientifica, tecnologica, sociale e economica in materia di nutrizione, alimentazione e
agricoltura; b) il miglioramento dell’insegnamento e dell’amministrazione in materia di nutrizione,
alimentazione e agricoltura e la diffusione delle conoscenze teoriche e pratiche nel campo della nutrizione e
dell’agricoltura; c) la conservazione delle risorse naturali e l’attuazione di metodi perfezionati di produzione
agricola; d) l perfezionamento delle tecniche di trasformazione, commercializzazione e distribuzione dei prodotti
alimentari ed agricoli; e) l’istituzione di soddisfacenti sistemi di credito agricolo a livello nazionale e
internazionale; f) l’adozione di una politica internazionale per quanto concerne gli accordi sui prodotti agricoli”.
41
Art. 2, paragrafo 2 dello Statuto della FAO.
42
Ciad, Gabon, Madagascar, Mali e Senegal dal 1959-61; Cipro, Nigeria e Somalia dal 1959-60; Jamaica dal
1961-63; Kenya e Malta dal 1963-63; Lesotho e Botswana dal 1965-66; Guyana dal 1961-66; Mauritius dal
1961-68; Bahrain e Qatar dal 1967-71. Vedi Schutz, op. cit., p. 500-501.
50
Concordemente al terzo paragrafo dell’art. 2 introdotto nel 1991, che prevede la possibilità di
ammettere organizzazioni regionali di integrazione economica, la Comunità economica europea è
diventata membro a pieno titolo dell’Organizzazione43.
La FAO si compone di tre organi principali che sono la Conferenza, il Consiglio e il Direttore
Generale. La Conferenza, supremo organo dell’Organizzazione, in cui ciascun membro è rappresentato
da un delegato, delibera a maggioranza dei voti espressi. Si è sviluppata, tuttavia, la prassi del
consensus per quasi tutte le questioni discusse ad eccezione degli emendamenti allo Statuto e al
Regolamento generale, e delle decisioni su bilancio che richiedono la maggioranza dei due terzi44.
L’organo assembleare, che si riunisce in sessione ordinaria a scadenza biennale, esamina il lavoro
svolto dall’Organizzazione, ne definisce le linee di indirizzo e approva le previsioni di bilancio, in
forma di sommario e progetti dei programmi di lavoro e di bilancio che, preparate e proposte dal
Direttore Generale, le vengono sottoposte durante il secondo anno del biennio. Può fare
raccomandazioni agli Stati membri relative ad azioni nazionali e internazionali e alle altre
organizzazioni internazionali in materie pertinenti agli scopi quali definiti nel preambolo dello Statuto.
Il Consiglio, composto da 49 membri con mandato triennale a rotazione45, è l’organo esecutivo eletto
dalla Conferenza ed esercita i poteri che quest’ultima le delega. Si riunisce almeno quattro volte tra le
sessioni ordinarie della Conferenza e controlla l’amministrazione generale e finanziaria
dell’Organizzazione. Il Consiglio e i suoi comitati46 esaminano il programma di lavoro e di bilancio
prima che essi vengano sottoposti alla Conferenza.
Il Direttore Generale, eletto dalla Conferenza per un periodo di sei anni, ha un ruolo di primo piano
nella gestione degli affari correnti e nella determinazione della politica generale dell’Organizzazione.
Egli determina, rielabora e coordina le finalità di tutti i programmi della FAO. Secondo l’art. 7, infatti,
il Segretario, subordinatamente al controllo generale della Conferenza e del Consiglio, è titolare di
pieni poteri e autorità per dirigere i lavori dell’Organizzazione. Il Direttore Generale e il suo ufficio
sono assistiti da cinque uffici direttamente collegati tra loro; la struttura interna della FAO, poi, si
43
Oggi la FAO è costituita da 191 Stati membri, un’organizzazione membro, la Comunità Europea, e un
membro associato, le Isole Faroe.
44
Vedi Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura
(FAO), op. cit., pp. 220-221.
45
Ai fini dell’elezione del Consiglio della FAO, gli Stati membri sono divisi in sette gruppi regionali, ad ognuno
dei quali è attribuito un numero fisso di seggi: Africa, 12 seggi; Asia, 9; Europa, 10; America Latina e Caraibi, 9;
Medio Oriente, 6; America del Nord, 2; Pacifico sud-occidentale, 1. Vedi United Nations, “Food and Agriculture
Organization (FAO)” in United Nations Handbook 2007/2008, pp. 263 e ss.
46
Il Consiglio ha 8 comitati permanenti di cui 3 con competenze relative alla gestione dell’Organizzazione:
Comitato del Programma, Comitato Finanziario, Comitato sulle questioni costituzionali e giuridiche e 5 relativi
ai settori in cui opera la FAO: Comitato sui problemi dei prodotti di base, Comitato per la pesca, Comitato per le
foreste, Comitato per l’agricoltura, Comitato per la sicurezza alimentare mondiale
51
articola in otto dipartimenti che possono raggrupparsi in due categorie, quelli amministrativi e quelli
tecnici specifici della FAO47.
Ai sensi dell’art. 6, la Conferenza e il Consiglio possono istituire commissioni con funzioni consultive
per l’attuazione e il coordinamento delle politiche e comitati o gruppi di lavoro per effettuare studi e
presentare rapporti; anche il Direttore Esecutivo può istituire gruppi di esperti. Agli organi sussidiari,
la cui proliferazione ha caratterizzato l’evoluzione della FAO negli anni settanta48, si aggiungono
numerose conferenze dedicate a questioni tecniche, tra cui assumono particolare rilevanza le
Conferenze regionali. Per garantire una maggiore efficienza delle attività dell’Organizzazione, sono
presenti nel mondo cinque uffici regionali, nove sub-regionali, cinque di collegamento e 74 uffici
nazionali.
Al di là di quanto previsto dal Trattato istitutivo, il vero livello decisionale corrisponde alla
concertazione tra Direttore Generale, Consiglio e comitati del Consiglio. La Conferenza, che secondo
l’Atto istitutivo definisce la politica generale e approva il bilancio, ha piuttosto un potere di ratifica
delle decisioni prese al livello indicato.
Secondo l’art. 18 dello Statuto, ogni Stato membro e membro associato ha l’obbligo di versare
annualmente all’Organizzazione il suo contributo al bilancio ordinario49. Tuttavia, i contributi
obbligatori dei membri rappresentano solo una parte delle somme amministrate della FAO
nell’esercizio finanziario biennale. Una parte consistente è costituita dalle risorse extra-bilancio che
provengono sia dal sistema ONU (in particolare dall’UNDP50), sia dai governi donatori nel quadro di
programmi multibilaterali (fondi fiduciari).
47
I Dipartimenti in cui è articolata la FAO sono: Agricoltura e Difesa del Consumatore, Sviluppo Economico e
Sociale, Gestione Risorse Naturali e Ambiente, Pesca e Acquicoltura, Foreste, Cooperazione Tecnica,
Conoscenza e Comunicazione, Risorse Umane, Finanziarie e Fisiche.
48
Vedi Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura
(FAO), op. cit., pp. 223 e ss.
49
Le quote dei contributi sono stabiliti dalla Conferenza, su proposta del Consiglio e raccomandazione del
comitato finanziario. Nella prassi la FAO applica la stessa ripartizione dei contributi adottata dall’Assemblea
Generale dell’ONU.
50
La FAO è sempre stata la principale beneficiaria delle risorse dell’UNDP, in quanto organo incaricato
dell’esecuzione dei progetti in campo agro-alimentare. Tuttavia, la percentuale dei progetti agricoli affidati alla
FAO è progressivamente diminuita a causa del crescente intervento dell’Ufficio dell’UNDP per l’esecuzione dei
progetti, di altri organi del sistema ONU e degli stessi governi dei paesi beneficiari.
51
Vanno ricordati il Codice di condotta per la pesca responsabile per una gestione della pesca che protegge le
risorse marine; la Convenzione di Rotterdam sulla procedura di consenso informato per i prodotti chimici
pericolosi e i pesticidi nel commercio internazionale; il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per
l’alimentazione e l’agricoltura, per garantire l’accesso delle future generazioni alle risorse genetiche. Inoltre, la
Commissione per il Codex Alimentarius, istituita nel 1963 e gestita congiuntamente dalla FAO e
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), stabilisce le norme per rendere il cibo più sicuro per i
consumatori.
52
La FAO svolge funzioni sia “normative” che operative. Con riferimento alle prime, la Conferenza,
sulla base dell’art. 14 dello Statuto, approva convenzioni e accordi e li sottopone agli Stati membri;
definisce altresì norme e standard internazionali su questioni relative a agricoltura e alimentazione
attraverso strumenti di soft law51.
Quanto al secondo tipo di funzioni, occorre innanzitutto notare che, acquisita la consapevolezza di
non poter agire esclusivamente sul piano “normativo” per realizzare la sicurezza alimentare, le priorità
dell’Organizzazione sono state oggetto di una profonda evoluzione e le sue attività orientate, in misura
crescente, in senso operativo. Mentre nei primi anni le attività della FAO consistevano essenzialmente
nella fornitura di servizi tecnici, come in precedenza osservato, è stato soprattutto con il processo di
decolonizzazione e l’ingresso dei nuovi PVS che esse si sono trasformate nella natura e nel volume,
oltre che nel crescente peso finanziario che hanno assunto.
Il programma di cooperazione tecnica e le operazioni di emergenza, infatti, hanno assunto un ruolo
crescente nel bilancio ordinario, così come sono aumentate le risorse extra-bilancio destinate al
finanziamento di progetti operativi, in particolare dei Trust Funds52. La FAO ha negli anni privilegiato
i progetti diretti all’espansione della produzione agricola nei PVS, a volte trascurando lo sviluppo
rurale, delle istituzioni e la riforma agraria di quegli stessi paesi.
Dal 1994 la FAO ha dato inizio al più significativo processo di auto-riforma dalla sua nascita, diretto a
decentralizzare le attività, razionalizzare le procedure e ridurre i costi dell’Organizzazione53. Tale
processo è attualmente orientato a perseguire gli obiettivi contenuti nel Rapporto di Valutazione
Esterna Indipendente, stilato da un gruppo di valutazione di esperti nel 200754.
2.2.2 Profilo istituzionale e attività dell’IFAD
52
Nel 2007 la FAO ha speso 505 milioni di dollari in 1615 progetti operativi, dei quali 520 erano operazioni di
emergenza per un valore di 250 milioni di dollari provenienti sia da fonti di finanziamento ordinarie che extrabilancio, rappresentando il 49% dei progetti totali. Il programma di cooperazione tecnica, invece, ha avuto un
valore di 255 milioni di dollari, coperti per il 10,7% dal budget ordinario, il 72% dai fondi fiduciari, il 15,9% dai
fondi fiduciari unilaterali e l’1,4% dall’UNDP (fao.org).
53
I punti centrali della riforma sono: il trasferimento del personale dalla sede centrale al field, maggiore
coinvolgimento degli esperti dei paesi in via di sviluppo e in transizione, estensione del partenariato con il
settore privato e le ONG, maggiore accesso elettronico ai dati statistici e documenti dell’Organizzazione
(fao.org).
54
Il Rapporto suggerisce le seguenti priorità: snellimento della burocrazia, nuova definizione di ruoli e livelli,
con conseguente taglio dei dipendenti, maggiore sinergia e comunicazione tra le sedi nazionali, regionali e subregionali, crescente decentramento dell’autorità, così da responsabilizzare gli attori territoriali, maggiore
coerenza nei progetti di sviluppo, abbandono di settori obsoleti e lotta agli sprechi. La Conferenza ha approvato
il Rapporto e ha istituito un comitato, aperto a tutti gli Stati membri, con il compito di elaborare proposte per un
Piano d’azione immediato che faccia seguito alle raccomandazioni dello studio.
53
Durante la Conferenza mondiale sull’alimentazione del 1974 la Sierra Leone presentava la proposta, a
nome degli Stati africani e appoggiata dagli Stati arabi esportatori di petrolio, di creare un’istituzione
finanziaria internazionale che finanziasse i progetti agricoli diretti ad aumentare la produzione
alimentare nei PVS. La proposta venne fatta propria dalla Conferenza che, con la ris. finale n. XIII,
raccomandava l’istituzione del Fondo Internazionale di sviluppo agricolo (IFAD). L’ONU convocava
a Roma, nel giugno 1976, una Conferenza ad hoc per negoziare l’Accordo istitutivo. Lo Statuto,
sottoscritto da novantuno Stati, è entrato in vigore il 30 novembre 1977, consentendo all’IFAD di
iniziare ad operare dal 1978. In seguito, alla conclusione dell’Accordo di collegamento con l’ONU,
approvato dell’Assemblea Generale con la ris. n. 32/107 del 15-12-1977, l’IFAD ha inoltre acquisito lo
status di Istituto Specializzato delle Nazioni Unite.
Il Preambolo55 dell’Accordo esprime quella concezione di sviluppo più volte richiamata, punto
d’approdo del dibattito internazionale degli anni settanta e di cui l’IFAD si fece portatore, per la quale
solo una reale integrazione di tutti i fattori favorenti lo sviluppo, in una programmazione economica
che considera il settore agricolo come prioritario, può avere effetti realmente benefici per i PVS56.
Secondo l’art. 2 dello Statuto57, la finalità del Fondo è quella di mobilitare risorse aggiuntive58 e di
renderle disponibili, a condizioni favorevoli, per lo sviluppo agricolo negli Stati membri in via di
sviluppo. A tale scopo, l’IFAD fornisce i mezzi finanziari, principalmente per progetti diretti ad
introdurre, sviluppare o migliorare sistemi di produzione alimentare e a rafforzare le politiche e le
istituzioni connesse nel quadro delle priorità e strategie nazionali.
Con la ris. 86/XVIII del 26 gennaio 1995, il Consiglio dei governatori, in conformità con l’art. 12
dell’Accordo istitutivo, ha emendato gli artt. 3, 4 e 6 del medesimo relativi alla classificazione degli
Stati membri, alle risorse e alla distribuzione dei voti negli organi collegiali, e gli artt. 12 (lett. a) e 13
(sez.3) sulla procedura ed entrata in vigore degli emendamenti all'Accordo. Tale modifica ha anche
interessato gli Annessi I, II e III relativi alla distribuzione degli Stati nelle varie categorie di membri.
55
Agreement establishing the IFAD, Preamble: “Considering the need to improve the conditions of life in the
developing countries and to promote socio-economic development within the context of the priorities and
objectives of the developing countries, giving due regard to both economic and social benefits”.
56
Vedi Buonomo, V., Un programma contro la fame: il fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, op. cit.,
pp. 29 e ss.
57
Art. 2: “The objective of the Fund shall be to mobilize additional resources to be made available on
concessional terms for agricultural development in developing Member States. In fulfilling this objective the
Fund shall provide financing primarily for projects and programmes specifically designed to introduce, expand
or improve food production systems and to strengthen related policies and institutions within the framework of
national priorities and strategies, taking into consideration: the need to increase food production in the poorest
food deficit countries; the potential for increasing food production in other developing countries; and the
importance of improving the nutritional level of the poorest populations in developing countries and the
conditions of their lives”.
58
“Aggiuntive” nel senso che le risorse finanziarie dell’IFAD si aggiungono a quelle mobilitate in loco dai
rispettivi paesi e a quelle predisposte dalle altre fonti di aiuto, multilaterali o bilaterali. Vedi Buonomo, V., Un
programma contro la fame: il fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, op. cit., p. 59.
54
L’art. 3 dello Statuto59 opera una distinzione tra Stati membri originari e non originari: la sez. 2 lett. a,
infatti, qualifica come membri originari del Fondo quegli Stati che, avendo partecipato alla Conferenza
istitutiva, hanno accettato lo Statuto. Può invece diventare membro dell’IFAD, ai sensi dell’ art. 3
sez.1 lett. a, ogni Stato appartenente all’ONU, ad un suo Istituto Specializzato o all’Agenzia
internazionale dell’energia atomica; nonché, come specificato dalla lett. b, tutti i gruppi di Stati a cui
sono stati delegati poteri in settori che rientrano nelle competenze del Fondo e capaci di adempiere agli
obblighi scaturenti dall’Accordo.
Con l’entrata in vigore delle modifiche citate, l’originaria classificazione degli Stati membri in tre
categorie sulla base delle condizioni economico-finanziarie è stata sostituita da una ripartizione per
liste. I 165 Stati membri del Fondo sono, infatti, distribuiti nelle Lista A (paesi industrializzati
appartenenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), Lista B (paesi membri
dell’Organizzazione dei Paesi esportati di petrolio) e Lista C (paesi in via di sviluppo)60.
L’art. 9 sez. 1 del Trattato istitutivo prevede poi il potere di recesso, disciplinandone le modalità di
esercizio, e la sospensione dallo status di membro come conseguenza dell’applicazione della sanzione,
di cui alla sez. 2, nei confronti degli stati membri che non hanno adempiuto ad uno degli obblighi
derivanti dallo Statuto.
La struttura dell’IFAD, ai sensi dell’art. 6 sez. 1 dello Statuto, si articola in Consiglio dei governatori,
Consiglio d’amministrazione e Presidente. Al Consiglio dei governatori, organo plenario composto da
due rappresentanti (in qualità di titolare e di supplente) per ogni Stato membro, sono attribuiti tutti i
principali poteri dell’IFAD che possono tuttavia, con l’eccezione di alcuni poteri esclusivi61, essere
delegati al Consiglio d’amministrazione.
Al Consiglio di amministrazione spettano sia le competenze direttamente attribuitegli dallo Statuto, sia
quelle delegategli dal Consiglio dei governatori; ai sensi dell’art. 6 sez. 5, esso ha funzioni di gestione
e di indirizzo, tra le quali assumono rilevanza le competenze relative all’approvazione dei prestiti e dei
59
Art 3 : “Section 1 - Eligibility for Membership: (a) Membership of the Fund shall be open to any State
member of the United Nations or of any of its specialized agencies, or of the International Atomic Energy
Agency. (b) Membership shall also be open to any grouping of States whose members have delegated to it
powers in fields falling within the competence of the Fund, and which is able to fulfil all the obligations of a
Member of the Fund.
Section 2 - Original Members and Non-Original Members: (a) Original Members of the Fund shall be those
States listed in Schedule I, which forms an integral part of this Agreement, that become parties to this Agreement
in accordance with Section 1(b) of Article 13.
(b) Non-original Members of the Fund shall be those other States that, after approval of their membership by the
Governing Council, become parties to this Agreement in accordance with Section 1(c) of Article 13.
60
L’ultima lista è a sua volta divisa in: C1 (paesi dell’Africa) e C2 (paesi dell’Europa, Asia e Pacifico) e C3
(paesi dell’America Latina e Caraibi).
61
Ai sensi dell’art. 6 sez. 2 lett. c, sono esclusivi del Consiglio dei governatori i poteri relativi all’adozione di
emendamenti allo Statuto; all’ammissione di nuovi membri e alla sospensione; alla cessazione delle operazioni
del Fondo; ai ricorsi presentati dagli Stati sull’interprestazione e sull’applicazione dell’Accordo; alla retribuzione
del presidente.
55
doni ai paesi beneficiari (che devono essere finanziariamente pre-approvati dal Consiglio dei
governatori). L’organo è composto da 18 Stati membri e 18 Stati supplenti, eletti dal Consiglio dei
governatori per un periodo di tre anni62.
Al vertice dell’IFAD, il Consiglio dei governatori elegge a maggioranza qualificata, per un periodo di
quattro anni, il Presidente del Fondo al quale lo Statuto63 attribuisce la responsabilità della condotta
degli affari dell’Organizzazione e della direzione del personale. Nell’ambito dell’IFAD, data la sua
natura di istituzione finanziaria, vige il sistema del voto ponderato.
Accanto agli organi descritti, un Comitato di controllo a composizione mista, creato nel 1982, è
incaricato di esaminare le decisioni adottate dal Consiglio di amministrazione e un Comitato di
valutazione, a composizione simile, ha il compito di verificare l’idoneità della programmazione del
Fondo64.
Il fine statutario dell’IFAD è quello di concedere finanziamenti, sotto forma di prestiti o doni, ai paesi
in via di sviluppo membri del Fondo o alle Organizzazioni intergovernative di cui detti membri sono
parte. I finanziamenti sono concessi nel quadro delle priorità di cui all’art 7 sez.1 lett. d, vale a dire
incrementare la produzione alimentare e migliorare il livello nutrizionale delle popolazioni più
bisognose nei paesi più poveri tra quelli a deficit alimentare, nonché in funzione di criteri economici e
sociali obiettivi.
Il Fondo accorda prestiti di tre tipi: a condizioni particolarmente favorevoli, intermedie o ordinarie, a
seconda del prodotto nazionale lordo del paese beneficiario65. Le operazioni di prestito sono
regolamentate, ai sensi dell’art. 7 sez. 2 lett. f, da accordi stipulati dall’IFAD con il paese beneficiario,
che assume la responsabilità dell’esecuzione del progetto. L’IFAD fornisce anche assistenza tecnica ai
paesi membri in via di sviluppo, per lo più sotto forma di dono.
Le risorse del Fondo sono costituite, secondo quanto disposto dall’art. 4, dai contributi iniziali versati
inizialmente dagli Stati fondatori, dai contributi supplementari versati secondo il sistema della
62
I membri del Consiglio di amministrazione vengono scelti secondo la seguente ripartizione: 16 dalla lista A, 8
dalla lista B, 12 dalla lista C.
63
Art. 6, sez. 8 dell’Accordo.
64
Vedi Spatafora, E., Cadin, R., Carletti, C., Sviluppo e diritti umani nella cooperazione internazionale: lezioni
sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo umano, op. cit., p. 135-137.
65
I prestiti speciali a condizioni particolarmente favorevoli sono senza interessi salvo una commissione annua
dello 0,75%, con rimborso in 40 anni; quelli a condizioni intermedie hanno un tasso d’interesse annuo pari alla
metà del tasso di interesse variabile di riferimento determinato annualmente dal Consiglio di amministrazione,
con rimborso in 20 anni; quelli a condizioni ordinarie hanno un tasso di interesse pari a quello di riferimento
determinato dal Consiglio di amministrazione e con rimborso in 15 anni o 18 anni. Vedi Loan and Grant
Administration; Operational Manual (ifad.org). Vedi anche Della Fina V., “Fondo internazionale di sviluppo
agricolo (IFAD)”, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1998, II° aggiornamento p. 362.
56
ricostituzione delle risorse66, da quelli speciali provenienti da Stati non membri o altre fonti e dalle
risorse provenienti da operazioni dell’IFAD.
A partire dal 1994, l’IFAD ha adottato un nuovo orientamento programmatico per destinare gli
investimenti rurali al miglioramento della condizione nutrizionale delle popolazioni più povere e ha
elaborato il principio guida dei progetti che il Fondo realizza, anche in cooperazione con la FAO e il
WFP, cioè il principio della sicurezza alimentare familiare, la household food security. Attualmente, il
quadro strategico del Fondo stabilisce le nuove linee d’azione per il periodo 2007-2010 e, in
particolare, definisce il modo in cui l’istituzione contribuirà al raggiungimento degli Obiettivi di
sviluppo del Millennio67.
2.2.3 Profilo istituzionale del WFP
Il WFP trova la sua base giuridica nelle due già citate risoluzioni parallele della FAO e dell’ONU: la
ris. n. 1/61 della Conferenza della FAO del 24-11-1961 e la ris. n. 1741 (XVI) dell’Assemblea
Generale dell’ONU del 19-12-1961. Inizialmente previsto come programma sperimentale di tre anni,
la durata del WFP è stata estesa sine die con le ris. n. 4/65 della Conferenza della FAO del 6-12-1965 e
n. 2095 (XX) del 1966 dell’Assemblea Generale dell’ONU68.
Le Regole Generali, che disciplinano il funzionamento del WFP, sono state elaborate sotto la direzione
del Comitato intergovernativo ed approvate dal Consiglio della FAO e dall’ECOSOC e più volte
66
Lo Statuto prevede un sistema speciale di finanziamento dell’IFAD per il quale le risorse iniziali, destinate ad
esaurirsi, vengono gradualmente ricostituite attraverso sottoscrizioni addizionali periodiche degli Stati membri
che costituiscono le risorse supplementari. Tale sistema funziona sulla base di accordi ad hoc con i quali gli Stati
si impegnano a versare le quote addizionali concordate. Vedi Della Fina V., “Fondo internazionale di sviluppo
agricolo (IFAD)”, op. cit., p. 363.
67
Secondo il quadro strategico 2007-2010, la finalità generale dell’IFAD è mettere uomini e donne poveri che
vivono nelle aree rurali dei paesi in via di sviluppo in condizione di ottenere redditi più alti e una maggiore
sicurezza alimentare. Gli obiettivi sono garantire che i poveri delle aree rurali abbiano, oltre alle capacità e
all’organizzazione necessarie per trarne profitto, maggiore accesso alle risorse naturali, in particolare accesso
indiscusso all’acqua e alla terra, e a una migliore gestione delle risorse naturali e delle tecniche di conservazione
di tali risorse; alle tecnologie agricole più avanzate e servizi alla produzione efficaci; ad una vasta gamma di
servizi finanziari; a mercati trasparenti e competitivi per i fattori di produzione e i prodotti agricoli; ad
opportunità di lavoro rurale non agricolo e di sviluppo delle imprese; ai processi di definizione dei programmi e
delle politiche a livello locale e nazionale. Vedi Strategic framework 2007-2010 (ifad.org).
68
La durata del Programma è stata estesa “on a continuing basis for as long as multilateral food aid is found
feasible and desiderable”. Vedi Saur, K. G. (ed.), “World Food Programme (WFP)” in Yearbook of International
Organizations, Guide to global civil society networks, ed. Union of International Associations, Munchen, 20062007.
57
revisionate69; in sua attuazione, il Consiglio adotta, e in caso emenda, il Regolamento Generale70. Le
Regole Generali, formalmente riconducibili nella categoria delle regole di diritto interno delle
organizzazioni internazionali, possono considerarsi come lo Statuto del WFP.
L’art VIII71 delle Regole Generali qualifica il WFP come “an autonomous joint subsidiary programme
of the United Nations and FAO”. Il Programma ha infatti la peculiare natura giuridica di organo
sussidiario comune alla FAO e all’ONU72 e il suo funzionamento è sottoposto al controllo congiunto di
entrambe le organizzazioni. Esso, inoltre, è qualificabile come organo operativo e complesso, dotato
cioè di una propria struttura organizzativa73.
Le Nazioni Unite e la FAO controllano il WFP essenzialmente attraverso un organo intergovernativo,
il Consiglio di amministrazione (Executive Board) che, ai sensi dell’art. VI. 1, “will be subject to the
general authority of the Economic and Social Council and the Council of FAO”. Il Consiglio di
amministrazione del WFP ha sostituito, a partire dal 1 gennaio 1996, in forza della ris. 48/162 adottata
dall’Assemblea Generale il 20-12-199374, il precedente Comitato sulle politiche ed i programmi di
aiuto alimentare (CFA) il quale era a sua volta subentrato, a partire dal 1976, al Comitato
intergovernativo, operante dal 196375.
Tale organo, istituito congiuntamente dalle due Organizzazioni, è composto da 36 membri, con
mandato triennale, eletti per metà dall’ECOSOC e per metà dal Consiglio della FAO in modo tale da
69
Le Regole Generali sono state modificate una prima volta nel 1977, con l’approvazione dell’ECOSOC e del
Consiglio della FAO, conformemente agli esiti della Conferenza mondiale sull’alimentazione del 1974, e
rivedute successivamente nel 1991 nell’ambito della XXVI sessione della Conferenza della FAO (928/11/1991). Le ultime modifiche sono entrate in vigore a partire dal 1 gennaio 2004. Vedi General Regulations
in allegato.
70
Il Regolamento Generale e ogni suo emendamento sono comunicati all’ECOSOC e al Consiglio della FAO.
Art. VI.2 (b). vi, General Regulations.
71
Vedi General Regulations and rules, art. VIII.1 (wfp.org)
72
Gli artt. 22 e 68 della Carta dell’ONU e l’art. 6 dello Statuto della FAO attribuiscono rispettivamente
all’Assemblea Generale e al Consiglio economico e sociale dell’ONU e alla FAO la facoltà di istituire organi
sussidiari. Vedi supra par. sugli organi sussidiari, I cap e par. sul profilo istituzionale e attività della FAO, II cap.
73
Vedi Marchisio, S., “Programma alimentare mondiale”, in Enciclopedia del diritto, II aggiornamento, 1998, p.
791.
74
La ris. 48/162 del 1993 stabilisce alcuni principi generali per la riforma dei settore economico e sociale delle
Nazioni Unite, tra cui la trasformazione degli organi principali degli organi sussidiari operativi dell’Assemblea
Generale (WFP, UNICEF, UNDP, UNFPA) in consigli di amministrazione con la medesima composizione e
simili funzioni e responsabilità. Vedi Shaw, D.J., The UN World Food Programme and the development of food
aid, op. cit., p. 232.
75
Con la ris. XXII del 16-11-1974 adottata dalla Conferenza mondiale sull’alimentazione e approvata
dall’Assemblea Generale dell’ONU e dalla Conferenza della FAO, il Comitato intergovernativo viene sostituito
dal Comitato sulle politiche ed i programmi di aiuto alimentare. Quest’ultimo era composto da 42 Stati, eletti per
metà dall’ECOSOC e per metà dal Consiglio della FAO, di cui 15 scelti tra paesi industrializzati e 27 tra i PVS.
Al CFA era stato attribuito lo specifico compito, oltre a quelli già propri del Comitato intergovernativo, di
elaborare e coordinare le politiche d’aiuto alimentare raccomandate dalla Conferenza mondiale
sull’alimentazione del 1974.
58
assicurare un’equa ripartizione geografica tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo76. Il
Consiglio si riunisce tre volte l’anno, in una sessione annuale e due ordinarie, tuttavia in circostanze
eccezionali può riunirsi in sessione straordinaria.
Secondo l’art. VI, al Consiglio di amministrazione spetta il controllo generale delle attività del WFP,
l’elaborazione e il coordinamento delle politiche degli aiuti alimentari a breve e lungo termine e le
funzioni di supervisione e direzione intergovernative della gestione del WFP. Esso inoltre esamina,
modifica e approva i programmi, progetti e attività che gli sono sottoposti dal Direttore Esecutivo e i
rispettivi bilanci, verifica infine l’amministrazione e l’esecuzione dei programmi e dei progetti
approvati.
Per quanto riguarda il vincolo di subordinazione che lega il WFP alla FAO e all’ONU, esso si
sostanzia nell’obbligo del Consiglio di amministrazione di presentare un rapporto annuale al Consiglio
economico e sociale dell’ONU e al Consiglio della FAO. Ai sensi dell’art. VI. 3, infatti: “The Board
shall provide a concise report annually on WFP’s programmes, projects and activities including major
decisions of the Board to the substantive session of the Economic and Social Council and the Council
of FAO”.
La struttura organizzativa del WFP, ai sensi dell’art. V delle Regole Generali, è costituita, oltre che dal
Consiglio di amministrazione, dal Segretariato composto dal Direttore Esecutivo (Executive Director)
e da funzionari.
Il Direttore Esecutivo è eletto, per un periodo di cinque anni, dal Segretario delle Nazioni Unite e dal
Direttore Generale della FAO, previa consultazione del Consiglio di amministrazione del WFP.
Secondo l’art VII delle Regole Generali, il Direttore è responsabile, di fronte al Consiglio,
dell’amministrazione del WFP e dell’esecuzione dei suoi programmi, progetti e attività e rappresenta il
Programma nelle relazioni esterne.
Il Direttore Esecutivo svolge un ruolo rilevante nella fase di valutazione e approvazione delle richieste
di assistenza da parte dei governi dei paesi beneficiari: ai sensi dell’art. X. 6, infatti, riceve le richieste,
le esamina e formula proposte ad esse relative, in stretta consultazione con l’ONU, la FAO e gli altri
enti pertinenti77. Le richieste vengono approvate dal Consiglio il quale, tuttavia, può delegare tale
76
Art. V lett. a: “The Executive Board (hereinafter “the Board”) jointly established by the United Nations and
FAO and composed of thirty-six (36) States Members of the United Nations or Member Nations of FAO to be
elected by the Economic and Social Council of the United Nations and the Council of FAO from among the
States listed in Appendix A in accordance with the distribution of seats set out in Appendix B”.
L’Appendice A riproduce gli elenchi degli Stati membri della FAO e dell’ONU ai fini dell’elezione al Consiglio
di amministrazione del WFP, mentre l’Appendice B, approvata dall’Assemblea dell’ONU e dalla Conferenza
della FAO rispettivamente con ris. n. 53/223 del 23-4-1999 e n. 6/99 del 13-11-1999, stabilisce i criteri di
distribuzione dei seggi tra le liste.
77
UNDP, UNESCO, UNHCR, etc. a seconda dei settori coinvolti nell’operazione.
59
potere direttamente al Direttore esecutivo78. In situazioni di emergenza, le decisioni relative alle
richieste di soccorso che eccedono l’autorità delegata dal Consiglio al Direttore esecutivo, sono prese
congiuntamente dal Direttore generale della FAO e dal Direttore esecutivo del WFP. A tal riguardo,
fino alle modifiche del 1991 che hanno attribuito all’allora CFA il ruolo di principale supervisore, le
Regole Generali non delimitavano in modo sufficientemente chiaro le rispettive sfere di competenza
del Segretario Generale dell’ONU, Direttore generale della FAO e Direttore esecutivo del WFP, con la
conseguenza che spesso scaturivano dispute nella gestione delle operazioni di soccorso che vedevano
entrambe FAO e WFP coinvolti79.
La disciplina giuridica delle attività operative del WFP è oggetto di specifici accordi quadro con gli
Stati beneficiari. Ai sensi dell’art. XI, il Direttore Esecutivo prepara, in consultazione con il governo
interessato, un accordo che indichi, in particolare, termini e condizioni secondo i quali devono
realizzarsi le attività proposte, le responsabilità del governo dello Stato beneficiario, lo status del
Programma e dei suoi funzionari nell’ordinamento interno dello Stato. Gli accordi sono conclusi dal
Direttore Esecutivo, o da un suo rappresentante, in nome del WFP. In caso di operazioni d’urgenza,
invece, tali accordi possono assumere la forma di semplici scambi di lettere tra il Direttore esecutivo e
il governo interessato80.
Per ciò che riguarda le risorse del WFP, in conformità all’art. XIII delle Regole Generali, “all
contributions to WFP shall be on a voluntary basis”. Le risorse del Programma sono costituite, ai sensi
dell’art. 4.1 delle Regole Finanziarie del WFP81, dai contributi degli Stati, degli organismi governativi
o da altre fonti pubbliche o non governative, incluse quelle private; da entrate varie, inclusi gli
interessi sugli investimenti; infine, da fondi fiduciari e conti speciali.
Le risorse del WFP risultano provenire principalmente dalle donazioni dei governi, in denaro, beni o
servizi, annunciati nell’ambito della conferenza speciale convocata dal Segretario Generale dell’ONU
e dal Direttore Generale della FAO ogni due anni, sulla base dell’ammontare complessivo delle risorse
necessarie per ogni esercizio biennale determinato dal Consiglio di amministrazione. Spetta ai donatori
stabilire a quale titolo intendono fornire i loro contributi: come risorse ordinarie (che coprono le spese
78
Art. VI . 2 (c): “The Board shall review, modify as necessary, and approve programmes, projects and activities
submitted to it by the Executive Director. In respect of such approvals, however, it may delegate to the
Executive Director such authority as it may specify”. Conformemente al suddetto articolo, il Consiglio ha
delegato al Direttore esecutivo il potere di approvare progetti di sviluppo, operazioni di emergenza e operazioni
di soccorso protratto il cui valore in alimenti non eccede i 3 milioni di dollari. Vedi Appendix to the General
Rules-Delegation of Authority to the Executive Director in General Regulations.
79
Vedi Wolf, K. D.,“WFP-World Food Programme” in United Nations: law, policies and practice, editor in chief
Rudiger Wolfrum, managing editor Christiane Philipp, 1995, p. 1415.
80
Vedi infra, terzo capitolo.
81
Financial Regulation 4.1: “The resources of WFP shall consist of: (a) contributions made pursuant to Article
XIII of the General Regulations; (b) miscellaneous income, including interest on investments; and (c)
contributions received in trust as set forth in Financial Regulation V”.
60
amministrative e i programmi di sviluppo), per operazioni di soccorso prolungato e riabilitazione, a
titolo di Riserva alimentare di emergenza, per operazioni urgenti speciali o, infine, a titolo di
operazioni bilaterali82. Accanto alle donazioni da parte dei governi sono, negli ultimi anni, aumentati i
contributi da parte del settore privato83.
Il Programma amministra la Riserva alimentare di emergenza (IEFR) che è stata istituita nel 1975 dal
Segretario Generale dell’ONU, in conformità alla ris. 18 adottata dalla Conferenza mondiale
sull’alimentazione il 16-11-1974, con un target annuale minimo di 500.000 tonnellate di cereali. Al
suo interno è stato creato un conto di intervento rapido, l’Immediate Response Account (IRA), a sua
volta con un obiettivo di 30 milioni di dollari annui, allo scopo di mettere a disposizione del WFP le
risorse finanziarie necessarie nelle situazioni di emergenza.
Con la ris. 50/227 (1995) dell’Assemblea Generale dell’ONU, la FAO e il WFP hanno assorbito le
funzioni del Consiglio mondiale dell’alimentazione, nato come si è detto nel 1974 su raccomandazione
della Conferenza Mondiale sull’alimentazione, che è stato in tal modo estinto.
2.2.4 Missione e attività del WFP
Secondo l’art. II84 delle Regole Generali, gli obiettivi del World Food Programme consistono
nell’utilizzare gli aiuti alimentari per favorire lo sviluppo economico e sociale dei paesi beneficiari, nel
soddisfare le esigenze dei rifugiati, così come i fabbisogni alimentari nati da altre situazioni di
emergenza e nel promuovere la sicurezza alimentare mondiale conformemente alle raccomandazioni
82
Il WFP può fornire servizi bilaterali previo recupero dei costi. Nel 2007 il totale dei contributi al WFP sono
stati di (in migliaia di $) 2.705.376 (rispetto ai 1.821.640 del 2002), così ripartiti: programmi di sviluppo
(276.952), operazioni di emergenza (827.776), IRA (26.901), Protracted relief and recovery operation- PRRO
(1.324.566), operazioni speciali (162.199), altro (trust funds, conti speciali, fondo ordinario) (86.981).
I principali donatori sono stati USA (1.176.257), Commissione Europea (250.437), Canada (160.758), Giappone
(118.713), Olanda (75.630), Svezia (64.863), Norvegia (40.209). Vedi WFP, World Food Programme- Annual
Report 2007.
83
i contributi del settore privato nel 2007 sono stati di (in migliaia di $) 49.205 rispetto ai 3.788 del 2002. Vedi
WFP, World Food Programme- Annual Report 2007.
84
Art 2: “The purposes of WFP are: (a) to use food aid to support economic and social development; (b) to meet
refugee and other emergency and protracted relief food needs; (c) to promote world food security in accordance
with the recommendations of the United Nations and FAO. 2. In order to achieve the foregoing purposes, WFP
shall, on request, implement food aid programmes, projects and activities: (a) to aid in economic and social
development, concentrating its efforts and resources on the neediest people and countries; (b) to assist in the
continuum from emergency relief to development by giving priority to supporting disaster prevention,
preparedness and mitigation and post-disaster rehabilitation activities; (c) to assist in meeting refugee and other
emergency and protracted relief food needs, using this assistance to the extent possible to serve both relief and
development purposes; (d) to provide services to bilateral donors, United Nations agencies and non
governmental organizations for operations which are consistent with the purposes of WFP and which
complement WFP’s operations”.
61
delle Nazioni Unite e della FAO. Nel perseguire questi obiettivi, il WFP, nelle sue operazioni,
concentra i suoi sforzi e le sue risorse sulle popolazioni e i paesi più bisognosi; contribuisce alla
transizione dall’emergenza allo sviluppo dei paesi colpiti da conflitti o disastri naturali, dando la
priorità alla prevenzione, preparazione e mitigazione dei disastri e alle attività successive di
riabilitazione; fornisce servizi bilaterali ai finanziatori, agli enti del sistema ONU e alle organizzazioni
non governative per operazioni che siano conformi alle sue finalità e complementari alle sue attività
(art. II. 2).
Gli obiettivi e le funzioni del Programma, ai sensi dell’art. II.1 del Regolamento, sono integrati da una
Dichiarazione di Intenti, che il Consiglio ha il compito di elaborare e revisionare periodicamente. Il
WFP ha adottato tale Dichiarazione nel dicembre 1994, diventando in questo modo il primo organo
sussidiario del sistema ONU a dotarsi di un simile atto85.
Nella Dichiarazione di Intenti si riconosce, innanzitutto, che l’aiuto alimentare è uno tra i mezzi per
promuovere la sicurezza alimentare e che le politiche che guidano l’assistenza alimentare fornita dal
WFP devono orientarsi all’obiettivo fondamentale dell’eliminazione della fame e della povertà,
dunque della necessità stessa degli aiuti alimentari. L’atto in esame pone al centro delle politiche e
delle strategie del WFP il miglioramento del livello nutrizionale e della qualità della vita delle persone
più vulnerabili e il contributo a “realizzare i beni materiali e a favorire l’autonomia delle popolazioni
indigenti e delle comunità”, in particolare mediante programmi ad alta intensità di manodopera locale
che creano occupazione, reddito e infrastrutture come presupposto di uno sviluppo sostenibile.
Allo scopo di perseguire gli obiettivi definiti nelle Regole Generali e nella Dichiarazione di intenti, al
WFP sono attribuite competenze essenzialmente operative. Infatti, su richiesta dei governi dei paesi
beneficiari, il WFP esegue programmi, progetti e attività di assistenza alimentare classificabili in
operazioni di emergenza (EMOPs), di soccorso prolungato e ricostruzione (PRROs), progetti di
sviluppo (DEVs) o, infine, operazioni speciali (SOs), riconducibili ad altrettante categorie d’intervento
stabilite dal Consiglio86. Va in primo luogo notato come la sfera di attività del Programma,
inizialmente limitata alla gestione delle eccedenze alimentari dei paesi donatori e agli interventi nelle
85
Vedi WFP, WFP Mission Statement, 1994. la Dichiarazione di intenti del WFP è stata approvata all’unanimità
dal Consiglio di amministrazione, dopo essere stata elaborata dal Segretariato e esaminata da un gruppo di
lavoro composto da 14 membri del Consiglio, sulla base anche dei risultati della prima valutazione tripartita del
WFP condotta, tra il 1991-93, da tre tra i maggiori donatori (Canada, Olanda e Norvegia). Vedi Shaw, D.J., The
UN World Food Programme and the development of food aid, op. cit., p. 245.
86
Le categorie stabilite dal Consiglio sono: Development Programme Category; Emergency Relief Programme
Category; Protracted Relief Programme Category; Special Operations Programme Category (Art. II. 2, General
Rules).
62
situazioni di emergenza alimentare, si sia estesa nel tempo fino a comprendere programmi di sviluppo
a lungo termine, che oggi, insieme alle operazioni di soccorso, costituiscono la categoria principale87.
Con le operazioni di emergenza il WFP, sulla base della propria competenza tecnica nel settore dei
trasporti e della logistica, risponde ai disastri naturali o ai conflitti fornendo aiuti alimentari e beni di
prima necessità alle popolazioni colpite. Nei tre mesi iniziali di un’emergenza, il WFP, come si vedrà
meglio nel terzo capitolo, può ricorrere a un prestito massimo di 500.000 dollari dall’Immediate
Response Account, superati i quali, se le condizioni lo richiedono, il Country Director elabora un piano
d’azione di emergenza (EMOP) di durata compresa tra i 3 e i 24 mesi.
Oltre questo termine, il WFP può intervenire con una Protracted Relief and Recovery Operation
(PRRO), di durata massima triennale88. Tali operazioni di soccorso prolungato e ricostruzione
sostengono le comunità colpite da disastri nel periodo necessario a ristabilire i propri mezzi di
sussistenza e la sicurezza alimentare. Essi comprendono assistenza ai rifugiati e sfollati, e progetti
quali “cibo in cambio di formazione professionale” o “cibo in cambio di lavoro”, attraverso i quali si
incentivano la formazione e il lavoro da parte di manodopera locale per la ricostruzione delle
infrastrutture necessarie, “scambiati” con razioni alimentari.
Mediante l’assistenza alimentare alle popolazioni colpite da fame cronica e sottonutrizione, i
programmi di sviluppo del WFP mirano invece a sostenerne lo sviluppo economico e sociale a lungo
termine, permettendo alle comunità di convogliare
tempo e risorse nella realizzazione di più
sostenibili condizioni di vita. I progetti di sviluppo includono anche quelli miranti a mitigare gli effetti
climatici, come il miglioramento dei terreni, l’irrigazione e la conservazione delle acque, che
contribuiscono a ridurre il rischio d’insicurezza alimentare, e i programmi di school feeding, attraverso
i quali il WFP fornisce razioni alimentari come corrispettivo della frequenza scolastica, che viene in tal
modo incentivata89.
87
Nel 2007 l’ammontare totale delle spese dirette è stato di (in migliaia di $) 2.753.308, così distribuiti: sviluppo
(309.318), emergenze (2.005.656), operazioni speciali (166.244), operazioni bilaterali, trust funds e conti
speciali (272.090). Vedi WFP, World Food Programme- Annual Report 2007.
88
I PRROs devono essere elaborati almeno sei mesi prima della scadenza dell’EMOP per permettere la
mobilitazione delle risorse necessarie e la sua approvazione da parte del Vice Direttore esecutivo, per operazioni
con valore inferiore ai $ 3 milioni, del Direttore esecutivo, per operazioni del valore compreso tra i $ 3 e i 20
milioni, del Consiglio di amministrazione, per operazioni il cui valore supera i $20 milioni. Vedi wfp.org.
89
Nel 2007 i beneficiari di tali programmi sono stati 19,3 milioni di bambini; in 45 anni sono 28 i paesi in cui i
programmi di alimentazione scolastica, avviati dal PAM, sono ora gestiti direttamente dai governi. Vedi WFP,
World Food Programme- Annual Report 2007.
63
Le operazioni speciali, infine, che sono per natura a breve termine e solitamente integrative delle
operazioni di emergenza o delle PRROs, sono finalizzate a superare gli impedimenti operativi che
rallentano la catena dell’assistenza alimentare e implicano interventi logistici o sulle infrastrutture90.
Nel fornire assistenza alimentare, il WFP privilegia gli acquisti locali o regionali in base al paese di
destinazione, allo scopo di sostenere i mercati dei PVS e fornire cibo culturalmente più accettabile,
evitando di influire negativamente sul delicato equilibrio di domanda e offerta di paesi con economie
notoriamente fragili91.
Il WFP gestisce la Base di pronto intervento umanitario delle Nazioni Unite (UNHRD) di Brindisi, un
network che permette di inviare aiuti umanitari di primo soccorso nel mondo nell'arco di 24/48 ore.
UNHRD fornisce strutture per lo stoccaggio del materiale e supporto logistico anche ad altre agenzie
delle Nazioni Unite, organizzazioni governative e non governative.
La Dichiarazione di Intenti del 1994, infine, afferma l’importanza, per il WFP, di svolgere un ruolo di
membro attivo del sistema delle Nazioni Unite, ponendo la questione della fame nel mondo al centro
dell’ordine del giorno internazionale e di lavorare in stretta collaborazione con le altre organizzazioni,
in particolare con quelle per l’alimentazione e l’agricoltura con sede in Roma, la FAO e l’IFAD; con
l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, con l’UNHCR e con gli
altri enti e organizzazioni non governative (ONG) partners per fare fronte alle emergenze e alle crisi
umanitarie92.
2.3 ATTIVITA’ CONGIUNTE DEL POLO AGRO-ALIMENTARE: IL TWIN-TRACK
APPROACH E GLI OBIETTIVI DEL MILLENNIO
Dalla consapevolezza che nessuna organizzazione da sola possiede le risorse o le capacità necessarie
ad affrontare tutti i problemi legati alla fame e al sottosviluppo, deriva l’importanza accordata da FAO,
IFAD e WFP ad una stretta collaborazione reciproca, oltre a quella con gli altri enti del sistema delle
Nazioni Unite, per potenziare l’impatto complessivo delle proprie attività.
90
Progetti del WFP attivi nel 2007: 19 DEVs, 44 EMOPs, 69 PRROs e 33 SOs. . I beneficiari totali sono stati
86,1 milioni di persone in 80 paesi, di cui 23,8 in progetti di sviluppo, 15,3 in operazioni di emergenza, 47 in
operazioni di soccorso prolungato e ricostruzione. Vedi WFP, World Food Programme- Annual Report 2007.
91
Si tratta dell’iniziativa “Purchase for progress” lanciata nel 2008. Già nel 2007, comunque, circa l’80% del
cibo acquistato dal WFP, per una cifra di 162 milioni di dollari, proveniva dal 69 PVS. Oltre agli accennati
benefici per i paesi produttori, gli acquisti locali consentono al Programma di effettuare transazioni più rapide e
di risparmiare sui costi di trasporto.
92
Vedi Shaw, D.J., The UN World Food Programme and the development of food aid, op. cit., p. 230.
64
Sono numerosi i livelli ai quali opera la collaborazione del Polo, dalla formulazione di politiche e
orientamenti comuni, allo sviluppo di progetti congiunti di cooperazione allo sviluppo, dai vertici
istituzionali alla condivisione dei costi e all’integrazione di dati e tecnologie dell’informazione.
Altrettanto numerose sono le attività e i progetti comuni: la FAO e il WFP collaborano ad esempio alla
valutazione congiunta della vulnerabilità delle popolazioni povere alle crisi alimentari93; i progetti
finanziati dall’IFAD possono comprendere i programmi di aiuto alimentare e i programmi “cibo in
cambio di lavoro” del WFP; la FAO, attraverso la Divisione del Centro Investimenti, gestisce un
servizio multi-disciplinare per l’identificazione e la valutazione dei progetti idonei per il finanziamento
dell’IFAD.
Il Polo ricopre inoltre un ruolo di primo piano, mediante l’attivazione di numerosi progetti congiunti94
in particolare in relazione al primo Obiettivo, all’interno del Joint Programming, strumento promosso
dalle Nazioni Unite allo scopo di coordinare gli sforzi del sistema ONU e dei partner nazionali per
elaborare, implementare e monitorare le attività dirette al raggiungimento degli Obiettivi del
Millennio95.
Nei casi di emergenza, poi, le agenzie agro-alimentari lavorano spesso insieme per determinare l’entità
e la tipologia di intervento che si rende necessario, conformemente al cluster approach introdotto nel
2005 dall’ONU per garantire una più coerente ed efficace risposta umanitaria del sistema globale96. Il
Polo peraltro aveva già offerto esempi di collaborazione, come la risposta congiunta fornita
all’emergenza provocata dallo Tsunami del 2004 nei paesi asiatici, attraverso interventi distinti ma
complementari.
93
Nel 1997 21 organismi e organizzazioni, perseguendo gli obiettivi del Vertice Mondiale sull’Alimentazione
del 1996, hanno creato un Gruppo di Lavoro di Mediazione per sviluppare insieme un Sistema di Mappatura e
Informazione sulla Vulnerabilità e sulla Precarietà Alimentare (FIVIMS), all’interno del quale FAO, IFAD e
WFP svolgono un ruolo di primo piano attraverso supporto tecnico e finanziario.
94
il WFP ha preso parte, nel 2007, a 84 joint programmes (JPs) in 36 paesi beneficiari, principalmente in tre
settori principali: HIV/AIDS (14 JPs), istruzione (13 JPs), Obiettivi di Sviluppo del Millennio (11 JPs). In
Tanzania il WFP e FAO collaborano in 5 JPs e WFP e IFAD in 1 JP; in Mozambico, il Building Commodity
Value Chains and Market Linkages for Farmers’ Associations, rappresenta un caso di JP trilaterale tra FAO,
IFAD e WFP. Vedi WFP, World Food Programme- Annual Report 2007.
95
Il Joint Programming è uno strumento nell’ambito dell’iniziativa Delivering as One delle Nazioni Unite,
sviluppatasi a partire dalle raccomandazioni contenute nel rapporto finale, dell’aprile 2007, del Gruppo di alte
personalità sulla coerenza del sistema delle Nazioni Unite nelle aree dello sviluppo, dell'assistenza umanitaria e
dell'ambiente. Il Gruppo è stato istituito nel 2006 dall’allora Segretario dell’ONU Kofi Annan per valutare
l'esigenza di riorganizzare il ruolo delle agenzie, fondi e programmi del Sistema delle Nazioni Unite operanti nei
settori della promozione dello sviluppo umano, dell'assistenza umanitaria e della protezione dell'ambiente al fine
di eliminare eventuali duplicazioni dei rispettivi mandati e di aumentare l'incisività e l'efficacia dell'azione delle
Nazioni Unite. Vedi High-level Panel on System-wide Coherence (un.org).
96
L’Emergency Relief Coordinator (ERC) ha lanciato nel 2005 un’Humanitarian Response Review allo scopo di
valutare le capacità di risposta umanitaria del sistema globale (Sistema ONU, ONGs, Red Cross, etc) e eventuali
aree da potenziare. Lo studio ha individuato il cluster approach come strumento per rendere la risposta
umanitaria globale più effettiva, attraverso la creazione di partenariati, e più prevedibile e strutturata, attraverso
una chiara divisione dei compiti e delle responsabilità nei vari settori di risposta. Vedi infra, terzo capitolo e
Office for Coordination of Humanitarian Affairs (ochaonline.un.org).
65
FAO, IFAD e WFP sono impegnati nel raggiungimento degli Obiettivi del Millennio. Le tre agenzie
concordano nella valutazione per la quale tali obiettivi possono essere conseguiti solamente a patto di
aiutare le persone in povertà estrema, in particolare nelle aree rurali, ad emergere dallo stato di miseria
e fame in cui sono confinate. Conseguentemente, i tre soggetti del Polo concentrano la loro attività sul
primo obiettivo del Millennio di dimezzare, entro il 2015, la popolazione che vive in condizioni di
povertà estrema e fame.
A tal fine, il Polo ha elaborato il cosiddetto twin track approach, strategia del “doppio binario”, che
combina l’assistenza immediata a programmi di sviluppo a lungo termine diretti ad accrescere la
produttività, creare posti di lavoro e aumentare il valore dei beni locali. Secondo le agenzie, inoltre, se
si vuole ottenere un progresso concreto, la struttura del commercio agricolo internazionale deve
diventare più equa, offrendo ai paesi in via di sviluppo le stesse possibilità di guadagno
dall’esportazione dei propri prodotti. La prima direttrice d’intervento, costituita da assistenza
alimentare mirata, prevenzione sanitaria, programmi di school-feeding, ricostruzione di infrastrutture
danneggiate dai conflitti o disastri naturali, deve abbinarsi alla seconda fatta da investimenti a lungo
termine nello sviluppo rurale. Le tre agenzie operano in collaborazione per assicurare il funzionamento
della strategia twin track. Le diverse attività e settori di competenza dei tre soggetti sono tra loro
complementari e concorrono all’obiettivo individuato: la FAO con il sostegno allo sviluppo rurale
tramite il suo expertise nel settore agricolo, il WFP fornendo assistenza alimentare nelle emergenze,
ricostruzione e programmi di school-feeding, l’IFAD con i suoi progetti che migliorano l’accesso delle
popolazioni dei PVS a risorse indispensabili quali i servizi finanziari, le risorse tecnologiche, la terra e
i mercati.
Le agenzie sono anche impegnate a ricercare soluzioni congiunte agli altri Obiettivi del Millennio.
Concorrono all’obiettivo di garantire l’educazione primaria universale (secondo Obiettivo) con i
programmi di school feeding del WFP e gli altri progetti volti a incrementare i redditi familiari così da
favorire la frequenza scolastica.
Per quanto riguarda il terzo Obiettivo di promuovere la parità dei sessi, le donne ricevono
un’attenzione particolare nei progetti del WFP, IFAD e FAO. Il ruolo fondamentale delle donne nello
sviluppo di strategie di lotta alla povertà è da tempo riconosciuto dagli operatori della cooperazione
internazionale e le tre agenzie le definiscono un target prioritario dei loro programmi. Le donne,
infatti, costituiscono la maggioranza dei poveri nel mondo e spesso sono il vero sostegno
dell’agricoltura, lavorando la terra molto più degli uomini. L’esperienza dimostra che quando le donne
vengono dotate degli strumenti appropriati, ad esempio consentendo loro l’accesso al credito, i risultati
66
sono migliori nell’elevare il reddito famigliare, risultando più affidabili degli uomini nella gestione
delle risorse loro concesse.
Nel perseguire l’ottavo Obiettivo di creare un partenariato globale per lo sviluppo, le tre agenzie
stanziate a Roma sono state tra i fondatori dell’Alleanza contro la fame (IAAH) che, a partire da una
proposta del Presidente tedesco J. Rau del 2001, è stata ufficialmente lanciata nel corso della Giornata
mondiale dell’alimentazione del 2003 con l’intento di riunire in una partnership globale, nazionale e
locale per la sensibilizzazione sul tema della fame, le organizzazioni internazionali, le ONG, i
donatori, i produttori e i consumatori di prodotti alimentari, il mondo scientifico e accademico97.
Dalla ricostruzione che si è proposta emerge l’evoluzione del concetto di sviluppo nell’ambito della
cooperazione del sistema ONU e in particolare nel settore agro-alimentare. Nel tempo tale concetto è
andato ampliandosi dalla dimensione esclusivamente economica ad altre dimensioni di tipo sociale e
culturale. Si è rilevato come tale evoluzione abbia trovato riscontro nella “filosofia” cui le tre agenzie
del Polo agro-alimentare dichiarano di ispirarsi, centrata oggi sul diritto individuale e collettivo ad
un’alimentazione adeguata e sul principio per cui ogni forma di assistenza alimentare debba essere
orientata al conseguimento dell’autonomia e dell’autosufficienza delle popolazioni. Nella prassi, FAO,
IFAD e WFP hanno ampliato gradualmente il loro campo d’azione fino ad includere, nel
perseguimento del loro mandato istituzionale, aspetti sociali come dimostrano i programmi che
collegano l’assistenza alimentare alla frequenza scolastica e alla formazione professionale e culturali,
come
97
dimostrano
la
teoria
e
la
pratica
Vedi International Alliance Against Hunger (iaahp.net).
67
del
cibo
culturalmente
accettabile.
68
CAPITOLO 3
IL WORLD FOOD PROGRAMME E L’ASSISTENZA UMANITARIA
3.1 LE NAZIONI UNITE E L’ASSISTENZA UMANITARIA
Nell’ambito della cooperazione economica e sociale nel sistema delle Nazioni Unite, particolare
rilievo assume l’assistenza umanitaria e d’urgenza, che si distingue nettamente dall’assistenza allo
sviluppo. Tale settore della cooperazione, infatti, attiene alla prima fase dei soccorsi in un’emergenza e
si sostanzia in aiuti, la cui efficacia è subordinata alla tempestività delle operazioni di soccorso, diretti
a garantire i bisogni essenziali da cui dipende la sopravvivenza stessa della popolazione colpita.
Le crisi umanitarie possono essere causate da catastrofi naturali, conflitti armati e in generale da tutti
quei disastri che stravolgono le normali condizioni di vita di una popolazione. Questa è ad ogni modo
una definizione relativa, in quanto l’impatto di un disastro, di qualunque natura esso sia, può variare in
relazione al grado di vulnerabilità e viceversa al grado di sviluppo della comunità colpita. Povertà e
arretratezza, infatti, possono amplificare gli effetti di una catastrofe naturale o innescare tensioni
interne o internazionali.
L’aumento esponenziale, registrato nell’ultimo ventennio, delle crisi umanitarie dovute a conflitti
armati o catastrofi naturali e del numero delle vittime ad esse collegate, ha fatto sì che assumessero un
ruolo di primo piano nella gestione del fenomeno l’assistenza umanitaria internazionale e i suoi attori.
Di fronte alla mancanza di volontà politica degli Stati di rimuovere le cause delle emergenze
umanitarie, come il sottosviluppo e i conflitti armati, le Nazioni Unite hanno svolto e continuano a
svolgere un ruolo centrale nel fronteggiare tale fenomeno. Se l’ONU si è, sin dai suoi esordi, dotato di
funzioni operative attraverso la fornitura diretta di soccorsi, è solo in tempi recenti che si è impegnato
nella regolamentazione e nel coordinamento dell’assistenza umanitaria.
Benché la Carta dell’ONU non incarichi direttamente l’Organizzazione di occuparsi di assistenza
umanitaria, il fondamento giuridico della sua competenza in materia può essere ricondotto all’art. 1.3
della Carta stessa. Tale norma, come osservato nel primo capitolo, annovera tra gli scopi delle Nazioni
Unite quello di conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali
di carattere, inter alia, umanitario.
69
Gli organi preposti alla realizzazione di tale obiettivo, come d’altronde alla cooperazione economica e
sociale nel complesso, sono l’Assemblea Generale e, sotto la sua direzione, il Consiglio Economico e
Sociale. Un ruolo di primo piano, tuttavia, è stato svolto anche dal Segretario Generale cui competono,
ai sensi degli artt. 98 e 99 della Carta1, le funzioni che gli vengono affidate dagli organi collegiali
dell’Organizzazione2 nonché le funzioni politiche autonome cui fa riferimento il secondo dei suddetti
articoli. Fu proprio sulla base dei vasti poteri di iniziativa previsti dall’art. 99 che, nel 1971, il
Segretario Generale dell’ONU, di fronte all’inerzia degli altri organi, promosse la prima operazione di
soccorso su vasta scala dell’ONU nel Pakistan orientale, a seguito di un ciclone che fece più di
500.000 vittime.
Mentre si è dedicata alla formulazione dei principi solo dalla fine degli anni ottanta, l’ONU si è invece
occupata della fornitura diretta di soccorsi sin dalle origini. Sono infatti molteplici le agenzie e i
programmi del sistema onusiano che operano nel campo dell’assistenza umanitaria. Dopo il fallimento
dell’Unione Internazionale di Soccorso3, al momento della creazione delle Nazioni Unite, gli Stati
decisero di non istituire un’organizzazione con lo specifico mandato di fornire assistenza umanitaria in
qualunque situazione di emergenza4.
Il primo organismo al quale vennero affidati compiti operativi, creato nel 1943 e dunque antecedente
alla nascita dell’ONU, fu la United Nations Relief and Rehabilitation Administration (UNRRA). Tale
ente fu creato allo scopo di portare soccorso alle vittime civili della seconda guerra mondiale, gestire i
campi di sfollati e il rimpatrio di milioni di rifugiati e, una volta portati a termine tali compiti, venne
dissolto nel 1947. Dopo l’estinzione dell’UNRRA, molte delle sue funzioni vennero assunte da diversi
organismi, primi fra tutti dallo United Nations High commissioner for Refugees (UNHCR) e dallo
United Nations Children’s Fund (UNICEF).
1
Art. 98 della Carta dell’ONU: “The Secretary-General shall act in that capacity in all meetings of the General
Assembly, of the Security Council, of the Economic and Social Council, and of the Trusteeship Council, and
shall perform such other functions as are entrusted to him by these organs”.
Art. 99 “The Secretary-General may bring to the attention of the Security Council any matter which in his
opinion may threaten the maintenance of international peace and security”.
2
Proprio su tale base, nel 1964 l’ECOSOC incaricò l’allora Segretario Generale di esaminare quale potesse
essere il ruolo più appropriato per l’ONU nella risposta umanitaria da far seguire ai disastri naturali.Vedi ris.
1049 (XXXVII) 1964.
3
Nel 1927 43 Stati firmarono la Convenzione per la creazione di un’Unione Internazionale di soccorso allo
scopo di portare soccorsi laddove fosse necessario. Costituita nel 1933, le sue attività rimasero comunque molto
limitate e lo scoppio del secondo conflitto mondiale e la fine della Società delle Nazioni ne decretarono la fine.
4
Vedi Zorzi Giustiniani, F., Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria, Napoli, Editoriale Scientifica, 2008,
p.162.
70
L’UNHCR, tuttavia, venne istituito solo nel 19515 quando succedette all’ International Refugee
Organization (IRO) allo scadere del mandato quinquennale di quest’ultimo. Lo Statuto di UNHCR
stabilì, come sua funzione principale, la protezione giuridica dei rifugiati, senza che fossero
inizialmente previste funzioni operative simili a quelle dei suoi predecessori. Esse vennero integrate
nel suo mandato solo successivamente, quando emerse l’esigenza di fornire assistenza materiale ai
rifugiati che ricadevano sotto la sua protezione6.
L’altro organismo che ha ereditato gran parte delle funzioni operative dell’UNRRA è l’UNICEF,
inizialmente istituito come programma temporaneo e successivamente trasformato, nel 1953, in organo
sussidiario a carattere permanente dell’Assemblea Generale. L’UNICEF non ha mai smesso di
svolgere compiti di assistenza umanitaria sia in situazioni di emergenza derivanti da conflitti, come
previsto dal suo mandato originario, sia da catastrofi naturali.
Altri organi sussidiari dell’ONU che svolgono un ruolo operativo in materia umanitaria sono
l’UNRWA7, l’UNDP e l’UNEP; tra gli Istituti Specializzati va invece segnalata l’attività svolta dalla
WHO e, come descritto nel secondo capitolo, dalla FAO. Nel campo dell’assistenza alimentare, un
ruolo cruciale è stato svolto sin dalla sua creazione nel 1963 dal WFP, tanto che oggi è la principale
agenzia umanitaria del sistema ONU.
In seguto all’altissimo numero di catastrofi naturali verificatisi a partire dal 1965, le Nazioni Unite
hanno assunto un ruolo chiave nel coordinamento del settore. Nel 1971 è stato quindi creato l’Ufficio
dello United Nations Disaster Relief Coordinator (UNDRO) con il compito di coordinare tutte le
azioni di soccorso internazionale in caso di catastrofe naturale. L’UNDRO è stato sostituito dopo
vent’anni di attività, anche a testimonianza del cresciuto interesse degli Stati per le questioni
umanitarie, prima dal Department of Humanitarian Affairs (DHA) e poi dall’ Office for the
Coordination of Humanitarian Assistance (OCHA)8.
3.1.1 I principi dell’azione umanitaria delle Nazioni Unite
5
L’UNHCR è stato istituito dall’Assemblea Generale dell’ONU quale suo organo sussidiario con ris. 319 (IV)
del 19 dicembre 1949, ma cominciò le sue attività solo nel 1951 allo scadere del mandato dell’IRO.
6
Nel 1952 l’Assemblea Generale dell’ONU autorizzò UNCHR, per la prima volta, a lanciare un appello per
raccogliere fondi per assistere i rifugiati che ricadevano nel suo mandato. Vedi ris. 538 (VI), 2 febbraio 1952.
Vedi Zorzi Giustiniani, F., Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria,, op. cit., p. 163.
7
UNRWA – United Nations Relief and Work Agency for Palestinian Refugees in the Near East, creata
dall’Assemblea Generale nel 1948 con compiti esclusivamente umanitari relativamente alla situazione dei
rifugiati palestinesi in seguito alla nascita dello Stato di Israele.
8
Vedi infra.
71
I principi che contraddistinguono l’assistenza umanitaria sono l’umanità, l’imparzialità e la neutralità.
Tali principi sono nati e si sono sviluppati nell’ambito del Movimento di croce Rossa e Mezzaluna
Rossa. Essi hanno poi ricevuto un riconoscimento convenzionale, mediante il riferimento all’azione
del CICR, nelle Convenzioni di Ginevra e nei relativi Protocolli; grazie all’adozione di tali strumenti,
sono diventati i principi propri di ogni operazione di soccorso umanitario condotta in tempo di
conflitto armato9.
Il requisito dell’umanità, come menzionato nelle Convenzioni10, è riferito sia all’ente che presta i
soccorsi che al contenuto dell’assistenza umanitaria, senza essere definito ulteriormente. L’esplicito
riferimento alla Croce Rossa fatto nelle Convenzioni permette di adottare la definizione, fornita dalla
Croce Rossa stessa, secondo la quale un’organizzazione, per definirsi umanitaria, “must be concerned
with the condition of man, considered solely as a human being, regardless of his value as a military,
political, professional or other unit”11.
La seconda caratteristica richiesta dalle Convenzioni in materia di attività di soccorso, l’imparzialità,
fa riferimento all’assenza di ogni discriminazione oggettiva, ossia alla non applicazione di distinzioni
sfavorevoli nei confronti di certe persone, in ragione della loro appartenenza a una determinata
categoria12.
La neutralità non viene espressamente annoverata dalle Convenzioni tra i requisiti dell’assistenza
umanitaria, tuttavia è un concetto che permea l’intero corpus del diritto umanitario nel senso che
quest’ultimo non prende posizione sulle cause dei conflitti e richiede di essere applicato e rispettato da
tutti i belligeranti e dalle parti contraenti delle Convenzioni e dei Protocolli. Il concetto di neutralità è
peraltro strettamente connesso con quello di imparzialità ma, a differenza di quest’ultimo che richiede
di agire secondo regole prestabilite, il requisito della neutralità impone un obbligo di astensione.
Astenersi, quindi, dal prendere posizione in controversie di natura politica, razziale, religiosa o
9
Ai sensi dell’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949, applicabile ai conflitti armati non
internazionali e ormai parte del diritto consuetudinario internazionale, “un ente umanitario imparziale, come il
Comitato internazionale della Croce Rossa, può offrire i suoi servigi alle Parti belligeranti”. Secondo il II
Protocollo Addizionale relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali, “quando la
popolazione civile soffre di privazioni eccessive per mancanza di approvvigionamenti essenziali alla sua
sopravvivenza, come i viveri e i rifornimenti sanitari, sono intraprese, con il consenso dell’Alta Parte contraente,
azioni di soccorso in favore della popolazione civile, di carattere esclusivamente umanitario e imparziale e
svolte senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole” (art. 18.2).
10
Art. 3, cit. “un ente umanitario imparziale, come il Comitato internazionale della Croce Rossa” e art. 59 della
IV CG “Allorché la popolazione di un territorio occupato o una parte della stessa sia insufficientemente
approvvigionata, la Potenza occupante accetterà le azioni di soccorso organizzate a favore di detta popolazione e
le faciliterà nella piena misura dei suoi mezzi. Queste azioni, che potranno essere intraprese sia da Stati, sia da
un ente umanitario imparziale, come il Comitato internazionale della Croce Rossa, consisteranno specialmente
in invii di viveri, medicinali ed oggetti di vestiario”.
11
Vedi Uhler O., Coursier H. (eds), Commentary, IV Geneva Convention, Geneva, 1958 cit. in Zorzi Giustiniani,
F., Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria,, op. cit., p. 134.
12
Art. 18.2, II Protocollo “(..) azioni di soccorso in favore della popolazione civile, di carattere esclusivamente
umanitario e imparziale e svolte senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole”.
72
ideologica (neutralità ideologica) ma anche attuare una rigida separazione tra combattenti e
popolazione civile, nel senso di assicurarsi che l’assistenza vada a beneficio esclusivamente dei civili
(neutralità militare)13. L’applicazione di questo principio permette, a chi fornisce assistenza, di godere
della fiducia di tutti gli attori coinvolti e di ottenere, quindi, una maggiore facilitazione nell’accesso
alle vittime.
L’applicabilità dei suddetti principi è stata generalizzata a tutte le tipologie di crisi, conflitti armati o
catastrofi naturali, grazie alle tre risoluzioni dell’Assemblea Generale 43/131, 45/100 e 46/18214 in
materia di assistenza umanitaria che li hanno resi i principi cardine di qualsiasi operazione umanitaria.
Tuttavia, con il moltiplicarsi delle organizzazioni umanitarie, si sono manifestate alcune divergenze
riguardo all’interpretazione e all’applicazione di tali principi e alla concezione stessa dell’azione
umanitaria15.
Parallelamente si è giunti all’elaborazione di diversi codici di condotta mediante i quali le parti
aderenti si sono accordate su alcuni standards generali di comportamento in materia di assistenza
umanitaria. Tra le iniziative che hanno ricevuto maggiori adesioni all’interno della comunità
internazionale si segnalano il Code of Conduct for the International Red Cross and Red Crescent
Movement and NGOs in Disaster Relief16 e la Humanitarian Charter and Minimum Standards in
Disaster Response (Sphere Project)17. Quest’ultimo progetto mira a promuovere i diritti delle persone
colpite dai disastri specificando gli standars minimi che dovrebbero essere raggiunti da chi fornisce
assistenza umanitaria; il WFP, insieme ad altri organismi del sistema ONU, vi aderisce e partecipa
attivamente.
Le tre storiche risoluzioni dell’Assemblea Generale in materia di assistenza umanitaria poc’anzi citate
hanno segnato un punto di svolta per quanto riguarda l’impegno dell’ONU nella regolamentazione e
nel coordinamento dell’azione umanitaria. Esse forniscono, infatti, un regime generale alle operazioni
13
Vedi Mackintosh, K., “The Principles of Humanitarian Action in International Humanitarian Law” (HPG
Report 5) in The Politics of Principles: the principles of humanitarian action in practice, March 2000, p. 5-7 e
Zorzi Giustiniani, F., Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria,, op. cit., p. 142.
14
Si tratta delle due ris. 43/131 e 45/100 recanti Humanitarian assistance to victims of natural disasters and
similar emergency situations adottate l’8 dicembre 1988 e il 14 dicembre 1990 e la ris. 46/182 Strengthening of
the coordination of humanitarian emergency assistance of the United Nations adottata il 19 dicembre 1991.
15
Alcune organizzazioni hanno sviluppato il cosiddetto human rights-approach per il quale l’assistenza
umanitaria è inscindibile dalla protezione dei diritti dell’uomo finendo, in certi casi, per condizionare la fornitura
dei soccorsi all’osservanza dei diritti dell’uomo. Un altro approccio è quello denominato developmentalist
approach basato sull’idea del capacity building e dell’applicazione di concetti propri dell’assistenza allo
sviluppo a situazioni di emergenza umanitaria; esso prende le mosse dalla critica ai sistemi tradizionali di
soccorso accusati di creare dipendenza e ridurre le capacità delle comunità locali. Vedi Zorzi Giustiniani, F., Le
Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria,, op. cit., pp. 148-152.
16
Sponsorizzato da membri dello Steering Committee for Humanitarian Response (SCHR), da Interaction e dal
CICR, è un codice in dieci punti che ha raccolto oltre 200 adesioni tra le ONG umanitarie.
17
È un progetto di SCHR e Interaction, sostenuto da CICR, VOICE e dall’International Council of Voluntary
Agencies (ICVA).
73
umanitarie e assegnano un ruolo chiave alle Nazioni Unite in materia, affrontando, inoltre, altre due
questioni cruciali, vale a dire l’accesso alle vittime, di cui si avrà modo di parlare in seguito, e il
coordinamento tra gli attori coinvolti, qui di seguito affrontato.
3.1.2 Il coordinamento dell’azione umanitaria nel sistema ONU
L’azione umanitaria è condotta da una pluralità di attori e ciò può comportare il rischio di sprechi e
duplicazioni. Appare quindi fondamentale la necessità del suo coordinamento, inteso come mezzo
volto a garantire la realizzazione dell’obiettivo dell’assistenza umanitaria in ogni operazione di
emergenza, vale a dire la soddisfazione dei bisogni essenziali delle vittime18.
Responsabile del coordinamento è, in linea di principio, lo Stato nazionale. Tuttavia, quando
l’emergenza è tale da gettare lo Stato nel caos, come avviene di regola nelle “emergenze complesse”19,
il coordinamento dei soccorsi non potrà che essere realizzato dalle organizzazioni umanitarie.
Particolare rilievo a riguardo assume il ruolo svolto dalle Nazioni Unite, non solo nel coordinare
l’azione delle sue agenzie e degli Istituti Specializzati del sistema onusiano, ma anche degli altri attori
umanitari. La crescita esponenziale degli organi sussidiari del sistema ONU, osservata nel primo
capitolo, e la loro progressiva autonomia rispetto all’organo da cui promanano20, si riscontra anche nel
settore umanitario nel quale opera una pluralità ed eterogeneità di enti, con il rischio sempre presente
di una risposta non del tutto efficace se non adeguatamente coordinata.
Organi sussidiari e Istituti Specializzati che lavorano in situazioni di emergenza hanno spesso concluso
tra loro accordi bilaterali, generalmente denominati memoranda d’intesa, che istituiscono un quadro
flessibile di collaborazione e ripartizione delle rispettive responsabilità. Nell’esaminare le operazioni
di emergenza del WFP più avanti, si avrà l’occasione di considerare i memoranda che tale agenzia ha
concluso con i suoi partner, in particolare quello tra WFP-UNHCR relativo all’assistenza dei rifugiati
nelle emergenze.
18
“Coordination and all of OCHA’s work is ultimately undertaken to improve the lives and day-to-day living
conditions of the people that are at the heart of the UN’s humanitarian purpose – those affected by disaster,
calamity and conflict”. Vedi OCHA, OCHA in 2005. Activities and extra budgetary funding requirements,
novembre 2004, p.17.
19
Vedi infra, par. 3.3.
20
I principali organi sussidiari dell’ONU che si occupano di assistenza umanitaria sono WFP, UNHCR,
UNRWA, UNICEF e UNDP. Come già osservato per il WFP, anche gli altri godono di sostanziale autonomia
dall’Assemblea Generale, l’organo che li ha creati, e dal Segretario Generale, vertice della struttura
amministrativa dell’Organizzazione. Quest’ultimo, infatti, è incaricato di nominare i direttori, oltre che del WFP,
anche di UNDP e UNICEF; eppure, in tutti e tre i casi, deve sempre ottenere la preventiva approvazione degli
Stati membri rappresentati nei rispettivi consigli di amministrazione.
74
Al di là delle intese bilaterali, il coordinamento globale dell’attività di tutte le agenzie coinvolte è
assicurato dall’ONU attraverso diversi meccanismi e modelli. La ris. 46/182 ha riformato
integralmente la capacità di risposta dell’ONU alle emergenze, prevedendo, in primo luogo, la
creazione della figura dell’Emergency Relief Coordinator (ERC), nominato dal Segretario Generale
quale interlocutore delle agenzie nelle emergenze e guida dei coordinatori residenti che rappresentano
l’ONU nei singoli teatri di crisi21. L’ERC è stato posto al vertice del Dipartimento degli Affari
Umanitari (DHA), creato l’anno seguente come ufficio di supporto22, e poi dell’Ufficio delle Nazioni
Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), nuovo organismo di coordinamento che
nel 1997 ha sostituito il DHA.
La risoluzione prevede tre meccanismi a sostegno dell’azione di coordinamento dell’ERC: l’Inter
Agency Standing Committee (IASC), il Central Emergency Revolving Fund (CERF)23 e il
Consolidated Appeal Process (CAP)24 .
21
Le specifiche responsabilità assegnate all’ERC dalla ris. 46/182 sono: “Under the aegis of the General
Assembly and working under the direction of the Secretary-General, the high-level official would have the
following responsibilities: a) Processing requests from affected Member States for emergencyassistance
requiring a coordinated response; b) Maintaining an overview of all emergencies through, inter alia, the
systematic pooling and analysis of early-warning information as envisaged in paragraph 19 above, with a view to
coordinating and facilitating the humanitarian assistance of the United Nations system to those emergencies that
require a coordinated response; c) Organizing, in consultation with the Government of the affected country, a
joint inter-agency needs-assessment mission and preparing a consolidated appeal to be issued by the SecretaryGeneral, to be followed by periodic situation reports including information on all sources of external assistance;
d) Actively facilitating, including through negotiation if needed, the access by the operational organizations to
emergency areas for the rapid provision of emergency assistance by obtaining the consent of all parties
concerned, through modalities such as the establishment of temporary relief corridors where needed, days and
zones of tranquility and other forms; e) Managing, in consultation with the operational organizations concerned,
the central emergency revolving fund and assisting in the mobilization of resources; f) Serving as a central focal
point with Governments and intergovernmental and non-governmental organizations concerning United Nations
emergency relief operations and, when appropriate and necessary, mobilizing their emergency relief capacities,
including through consultations in his capacity as Chairman of the Inter-Agency Standing Committee; g)
Providing consolidated information, including early warning on emergencies, to all interested Governments and
concerned authorities, particularly affected and disaster-prone countries, drawing on the capacities of the
organizations of the system and other available sources; h) Actively promoting, in close collaboration with
concerned organizations, the smooth transition from relief to rehabilitation and reconstruction as relief
operations under his aegis are phased out; i) Preparing an annual report for the Secretary-General on the
coordination of humanitarian emergency assistance, including information on the central emergency revolving
fund, to be submitted to the General Assembly through the Economic and Social Council”. Vedi ris. 46/182,
par.35.
22
Il DHA nasce dalla fusione dell’UNDRO con altri uffici creati ad hoc per gestire crisi complesse.
23
Il CERF è un meccanismo centrale di finanziamento che integra le disponibilità finanziarie delle varie agenzie
nella fase iniziale delle emergenze. Il suo scopo quindi è quello di permettere al sistema ONU di rispondere
tempestivamente alle crisi senza dover attendere che i fondi dei donatori si rendano disponibili.
24
Il CAP è un processo di raccolta fondi congiunto che viene attivato quando una crisi umanitaria necessita di
una risposta di tutto il sistema ONU. Esso consiste prima di tutto nella tempestiva valutazione dei bisogni delle
vittime e nell’identificazione della strategia operativa più adeguata, predisposte da una missione condotta dai
rappresentanti delle agenzie ONU. Sulla base dei risultati della missione viene preparato un documento che verrà
usato per richiedere i finanziamenti necessari ai donatori. Una volta ricevuti i finanziamenti, le agenzie devono
75
Tra questi ricopre un ruolo di particolare importanza lo IASC. Esso è un organo consultivo, presieduto
dallo stesso ERC, che costituisce il principale meccanismo di coordinamento tra le organizzazioni
umanitarie. Ne fanno parte tutti i programmi e agenzie ONU che si occupano di soccorsi, alcune
organizzazioni esterne a tale sistema e le principali federazioni internazionali di ONG25, rendendolo il
foro ideale dove scambiare informazioni e opinioni tra i membri della comunità umanitaria. Il suo
ruolo consiste nell’elaborare linee-guida della politica umanitaria e migliorare, sul piano operativo, la
risposta del sistema umanitario nel suo insieme26.
Per quanto riguarda il coordinamento sul campo, la ris. 46/182 ha previsto che tali funzioni siano
svolte, di regola, dal coordinatore residente (RC)27, il quale generalmente proviene dall’UNDP.
Quest’ultimo, in qualità di Humanitarian Coordinator (HC), è il diretto rappresentante sul campo
dell’ERC che, infatti, provvede a nominarlo dopo aver consultato lo IASC. Il RC/HC presiede il
Country Team dell’ONU presente in un determinato paese e composto dai rappresentanti delle agenzie
sul campo.
Nel 1994, lo IASC ha approvato altri due modelli possibili: il primo comporta che le cariche di RC e
HC vengano assegnate a persone diverse o che nel paese teatro della crisi non ci sia un RC. Il secondo
si verifica, invece, quando l’ERC decide di designare una lead agency per la fornitura di assistenza
umanitaria e in quel caso il direttore locale dell’agenzia scelta diventa anche coordinatore umanitario.
La scelta di una lead agency, fatta dallo IASC tra i suoi membri, dipende da vari fattori, primo fra tutti
la stretta connessione del suo mandato al tipo di assistenza richiesta nell’emergenza, ma anche la
presenza sul territorio dell’ente e la sua capacità di stabilire meccanismi, sia settoriali che comuni, di
supporto operativo. La scelta, dunque, dipende dalla situazione specifica nella quale si svolge la crisi;
il WFP è stato designato agenzia pilota in numerose emergenze, sia in forza del suo primato nel settore
della distribuzione alimentare che della logistica.
Un tentativo di riforma globale dell’Organizzazione è stato posto in essere dal Programme for Reform
lanciato nel 1997 dal Segretario Generale dell’ONU. Tre punti rilevano a riguardo del futuro delle
restituire le somme che sono state anticipate loro mediante il CERF. Vedi Humanitarian Appeal,
ochaonline.un.org/cap2005.
25
ICRC e IOM (International Organization for Migration) con invito permanente, IFRC (International
Federation of the Red Cross) in qualità di osservatore e le seguenti federezioni di ONG: InterAction,
International Council of Voluntary Agencies, Steering Committee for Humanitarian Response. Vedi IASC,
humanitarianinfo.org/iasc.
26
Vedi Zorzi Giustiniani, F., Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria,, op. cit., p. 212.
27
Per quanto riguarda il ruolo assegnato al RC, la ris. 46/182 prevede: “Within the overall framework described
above and in support of the efforts of the affected countries, the resident coordinator should normally coordinate
the humanitarian assistance of the United Nations system at the country level. He/She should facilitate the
preparedness of the United Nations system and assist in a speedy transition from relief to development. He/She
should promote the use of all locally or regionally available relief capacities. The resident coordinator should
chair an emergency operations group of field representatives and experts from the system”. Vedi ris. 46/182, par.
39.
76
operazioni umanitarie: in primo luogo la creazione di comitati esecutivi per facilitare la cooperazione e
lo scambio di informazioni tra le agenzie e dipartimenti diversi su temi comuni, favorendo
l’abbattimento delle barriere che prima esistevano tra di esse. Dei quattro comitati creati, l’Executive
Committee on Humanitarian Affairs (ECHA) rappresenta attualmente il foro in cui sono dibattute al
livello più alto le questioni umanitarie28. Le altre due novità previste dalla riforma sono la
trasformazione del DHA in OCHA e la soggezione di tutte le agenzie ONU all’autorità dello Special
Representative del Segretario generale29.
Il sistema di coordinamento umanitario delle Nazioni Unite descritto si è rivelato, tuttavia, carente
sotto molti punti di vista. A livello centrale, l’OCHA ha sperimentato sin dagli esordi insufficienza di
risorse, di autorità e di supporto da parte delle agenzie. Esso inoltre dipende, in larga misura, dai
contributi volontari degli Stati. Sul campo, poi, il coordinatore umanitario dovrebbe “facilitare e
garantire una veloce, efficace e ben coordinata assistenza umanitaria a coloro che sono stati seriamente
colpiti dall’emergenza complessa in questione”30, raggiungere accordi con le agenzie onusiane e, nella
misura del possibile, con gli altri attori umanitari sulla divisione dei rispettivi compiti. Spesso il
coordinatore umanitario non è stato in grado di assolvere le sue funzioni a causa delle scarse risorse
che si è visto attribuire. L’esigenza di rafforzare la sua leadership e in generale quella delle Nazioni
Unite nelle emergenze umanitarie è ormai costantemente ribadita dagli organi dell’Organizzazione31.
Una recente riforma in tal senso è stata compiuta dallo IASC che ha deciso di designare un ente guida
(cluster lead) per ogni settore dove erano state rilevate deficienze del sistema32. Nel 2005 ha così
nominato il WFP quale ente guida nel settore della logistica, ponendolo a capo del Global Logistics
Cluster (nel settore degli aiuti alimentari la sua leadership era gia stabilita)33.
28
Dell’Executive Committee on Humanitarian Affairs (ECHA) fanno parte tutte le agenzie umanitrie dell’ONU,
il Department of Political Affairs (DPA) e il Department of Peace-keeping operations (DPKO). L’ECHA si
riunisce mensilmente ed è presieduto dall’Under-Secretary-General (USG) for Humanitarian Affairs, nella sua
qualità di direttore di OCHA. Vedi ECHA, ochaonline.un.org.
29
Un Rappresentante Speciale del Segretario generale (SRSG) viene nominato in emergenze complesse dove di
solito l’ONU ha dispiegato un’operazione di pace o è impegnato in negoziati poltici. In questi casi al SRSG
viene affidata la direzione generale di tutta l’operazione e alla sua autorità sono sottoposte tutte le agenzie
operative, coordinatore residente e umanitario. Vedi Renewing the United Nations: a programme for reform,
Report of the Secretary General, A/51/959, 14 luglio 1997.
30
Vedi IASC, Terms of reference of the humanitarian coordinator, 9 dicembre 1994, p.1
31
Vedi ris. 59/141 approvata dall’AG il 25 febbraio 2005, par. 2 e la ris. dell’ECOSOC 2003/5 del 15 luglio
2003, par. 35.
32
Vedi Cluster Approach, humanitarianreform.org.
33
Lo IASC ha poi nominato l’UNICEF come ente guida nei settori della nutrizione, acqua, igiene e servizi
comuni di dati e UNHCR per la gestione e il coordinamento dei campi, il riparo d’emergenza e la protezione
degli sfollati a seguito di un conflitto. Vedi IASC, Guidance Note on Using the Cluster Approach to Strengthen
Humanitarian Response, 24 novembre 2006.
77
Tracciata la cornice generale dell’assistenza umanitaria del sistema delle Nazioni Unite, i suoi principi,
i suoi attori e il relativo sistema di coordinamento, si passerà ora ad analizzare le operazioni di
emergenza del World Food Programme che in tale ambito si inseriscono.
3.2 LE OPERAZIONI DI EMERGENZA DEL WFP
La povertà genera la fame ed è a sua volta alimentata da mancanza di responsabilità dei politici,
corruzione, agitazioni civili, conflitti etnici o religiosi, disastri naturali improvvisi e siccità prolungate
e diffuse.
Negli ultimi quindici anni si è assistito a un tendenziale aumento dei disastri naturali, incrementando il
numero di crisi umanitarie che implicano la fame delle popolazioni colpite. Dati della Federazione
Internazionale della Croce Rossa mostrano che il numero dei disastri idro-metereologici, come uragani
e siccità, sono aumentati di sette volte rispetto agli anni Sessanta34, mentre quelli geofisici, come
terremoti ed eruzioni vulcaniche, di cinque. Dall’analisi emerge, inoltre, che l’incremento dei disastri
ha un tasso più elevato nei paesi con minore sviluppo umano.
Lo stesso problema si presenta per quanto riguarda i conflitti. Sebbene il loro numero sia diminuito
rispetto al periodo immediatamente successivo alla fine della Guerra Fredda, ne sono ancora attivi
circa venti, alcuni dei quali (Iraq e Sudan ad esempio) richiedono alcune tra le più massicce operazioni
di intervento degli ultimi decenni.
L’andamento di tali fattori fornisce indicazioni precise per quanto riguarda il futuro dell’assistenza
umanitaria e, in particolare, degli aiuti alimentari che sembrano destinati ad aumentare a ritmo
crescente negli anni a venire.
Il WFP è la prima agenzia umanitaria del mondo a fornire aiuti alimentari. Le sue attività, come
brevemente descritto nel capitolo precedente, si dividono in EMOPs (Emergency Operations –
Operazioni di Emergenza), DEVs (Development Programmes – Programmi di Sviluppo), PRROs
(Protracetd Relief and Rehabilitation Operations – Operazioni per il Soccorso prolungato e la
Riabilitazione) e SOs (Special Operations- Operazioni Speciali).
34
Vedi IFRC, World Disaster Report: Focus on Risks, Ginevra, Svizzera, 2003 e CRED (Centre for Research on
the Epidemiology of Disasters), cred.be.
78
Ognuna di esse risponde ad uno o più dei quattro Obiettivi Strategici35 propri del mandato del WFP e
che incanalano la sua azione verso scopi precisi: salvare vite in situazioni di crisi; proteggere i livelli
base di sostentamento in tali situazioni e rafforzare la capacità di reazione agli shock; sostenere i
miglioramenti nell’alimentazione e lo stato di salute dei bambini, delle madri e di altri soggetti
vulnerabili; promuovere l’accesso all’istruzione e ridurre le disparità tra i sessi .
In questa seconda sezione, l’analisi si concentra sulle Operazioni di Emergenza del WFP, le più
caratterizzanti e più rilevanti, in termini di numero e risorse, della sua attività, esaminandone i principi,
le policies e le varie fasi della loro concreta realizzazione.
L’ultima sezione del capitolo esamina la risposta del WFP ad un particolare tipo di emergenze, quelle
complesse, e il suo approccio verso le specifiche categorie coinvolte nelle situazioni di crisi, ossia i
rifugiati e gli sfollati. Si affronta infine una questione, quella dell’accesso umanitario, che spesso si
pone nelle situazioni di emergenza complessa laddove il diniego o la restrizione dell’accesso alle
vittime può compromettere la realizzazione delle operazioni di soccorso.
3.2.1 I principi umanitari nelle operazioni del WFP
Partendo dalla considerazione che il WFP è un’agenzia umanitaria del sistema ONU a carattere
essenzialmente operativo e che la sua natura giuridica è quella di organo sussidiario comune a due
organizzazioni internazionali, da cui in ultima istanza dipende, si comprende come i principi guida e le
policies che orientano le sue attività, traggano spesso la loro legittimità e la loro ispirazione da fonti
esterne, dall’Assemblea Generale dell’ONU e dalla Conferenza Generale della FAO in primis.
Tuttavia, l’organo direttivo del WFP, sin dagli albori della sua esistenza, non ha mai mancato di
traslare e adattare tali principi all’effettivo operare dell’agenzia, facendo in modo che ogni operazione,
in particolare nel settore dell’assistenza umanitaria, si inserisse in un quadro giuridico e politico
concordato e conforme ai principi del diritto umanitario, dei diritti umani e alle risoluzioni dell’ONU
in materia di assistenza umanitaria.
L’intento è ora quello di tracciare il continuum che intercorre tra i principi e la pratica che
caratterizzano le operazioni di emergenza di questo peculiare organo del sistema ONU, nonché il
contenuto dei criteri in tal modo elaborati e praticati.
35
Gli Obiettivi Strategici del WFP sono enunciati nel Piano Strategico 2008-2011, vedi WFP, WFP Strategic
Plan 2008-2011.
79
Sulla base dei vari tentativi internazionali di standardizzare la materia e sulla base dell’esperienza sul
campo dell’agenzia, il Consiglio di amministrazione ha adottato la decisione Humanitarian
Principles36 che chiarifica i principi umanitari che guidano l’attività del WFP.
La dichiarazione prende le mosse dalla convinzione che la comunità internazionale debba agire di
fronte alla sofferenza umana nel mondo quando le famiglie, le comunità, le istituzioni locali o
nazionali non sono in grado di fronteggiare i bisogni delle persone più vulnerabili. Si riconosce
l’importanza di assicurare che l’aiuto sia innestato sulle capacità presenti all’interno delle comunità e
dei paesi dove si opera, che l’assistenza alimentare sia il mezzo appropriato alla situazione e sia ben
coordinato con la risposta umanitaria nel complesso.
Muovendo da queste premesse, il WFP ribadisce la sua aderenza agli standars umanitari elaborati
nell’ambito dallo Sphere Project e adottati dallo IASC nel 2000. Il WFP, infatti, ha fornito supporto
tecnico al progetto sin dagli esordi e, recentemente, nell’elaborazione della sezione dedicata alla
sicurezza alimentare e alla nutrizione. Negli accordi che normalmente stipula con le ONG locali per
implementare parte dei suoi progetti, ad esempio, il WFP inserisce la richiesta della loro adesione alla
Sphere Humanitarian Charter e ai suoi standars.
L’obiettivo del WFP è usare l’assistenza, alimentare e non, per soddisfare i bisogni immediati delle
vittime delle emergenze e migliorare la sicurezza alimentare dei suoi beneficiari. A tale obiettivo si
connette l’impegno a non usare mai gli aiuti alimentari come mezzo di pressione politica o economica.
Nel fornire la sua assistenza, il WFP anzitutto riconosce come propri i tre principi basilari
dell’assistenza umanitaria: l’umanità, l’imparzialità e la neutralità37. In secondo luogo, pone a
fondamento di un’efficace azione umanitaria il rispetto, inteso sia nei riguardi dello Stato territoriale in
cui opera, e quindi della sua sovranità e integrità territoriale, sia dei costumi e delle tradizioni locali38.
La dichiarazione continua richiamandosi ai principi dell’auto-sufficienza, della partecipazione e del
capacity-building, precisando che l’assistenza del WFP deve essere fornita in modo tale da non
danneggiare la produzione agricola locale e non interferire nei mercati locali. Per quanto riguarda la
36
WFP, Humanitarian Principles, WFP/EB.A/2004/5-C, Maggio 2004.
“Humanity. WFP will seek to prevent and alleviate human suffering wherever it is found and respond with
food aid when appropriate. It will provide assistance in ways that respect life, health and dignity. Impartiality.
WFP’s assistance will be guided solely by need and will not discriminate in terms of ethnic origin, nationality,
political opinion, gender, race or religion. In a country, assistance will be targeted to those most at risk from the
consequences of food shortages, following a sound assessment that considers the different needs and
vulnerabilities of women, men and children. Neutrality. WFP will not take sides in a conflict and will not engage
in controversies of a political, racial, religious or ideological nature. Aid will not be provided to active
combatants”. Vedi WFP, Humanitarian Principles, cit.
38
“Foundations of effective humanitarian action. Respect. WFP will respect the sovereignty, territorial integrity
and unity of the state in which it is working. WFP will respect local customs and traditions, upholding
internationally recognized human rights. WFP will act in accordance with the United Nations Charter and
consistent with international humanitarian law and refugee law. WFP will also take into account the Guiding
Principles on Internal Displacement, when applicable”. Vedi WFP, Humanitarian Principles, cit.
37
80
partecipazione, invece, essa si riferisce sia al coinvolgimento della popolazione locale
nell’implementazione delle attività del WFP, sia all’inclusione delle istituzioni locali e nazionali nella
programmazione e esecuzione delle stesse. Il WFP, infine, opera in coordinamento con il sistema
ONU, a livello centrale e locale, e con gli altri attori umanitari.
Nella dichiarazione sono inoltre individuati i livelli di accountability e professionalità che il WFP si
impegna a mantenere, tenendo informati i donatori, i Governi dei paesi ospitanti, i beneficiari e gli altri
attori coinvolti delle sue attività e del loro impatto, attraverso rapporti regolari e mantenendo i più alti
standards di professionalità e integrità del suo personale39.
3.2.2 Il WFP e le emergenze
Nell’arco della sua esistenza il WFP, e in particolare l’Executive Board, ha tracciato un esauriente
quadro in cui inserire, definire e disciplinare le emergenze che il WFP si trova ad affrontare. Accanto
ai principi umanitari appena descritti, occorre considerare la definizione di emergenza elaborata e
adattata negli anni dagli organi direttivi del WFP ai fini della sua attività.
Nel 1970 il Comitato intergovernativo ha circoscritto le emergenze a quelle “situazioni urgenti in cui
c’è una chiara evidenza che si è verificato un evento che ha provocato sofferenza umana o perdita di
bestiame e che il governo interessato non ha i mezzi per risolverlo”40. Su questa base, distingue tre
categorie di emergenze: 1) calamità naturali improvvise, come terremoti e alluvioni, 2) emergenze
provocate dall’uomo, come i flussi di rifugiati, 3) condizioni di grave scarsità alimentare dovuta a
siccità, fallimenti dei raccolti, malattie41.
Tale definizione ha subito negli anni integrazioni di non trascurabile portata. Nel 1986 il Comitato
sulle politiche ed i programmi di aiuto alimentare (CFA), avallando l’anzidetta definizione, ha adottato
ampi criteri sulla base dei quali il Direttore Esecutivo avrebbe dovuto valutare l’esistenza di
39
“Professionalism. WFP will maintain the highest standards of professionalism and integrità among its
international and national staff to ensure that its programmes are carried out efficiently, effectively, ethically and
safely. All staff will adhere to the Standard Code of Conduct for the International Civil Service and the
Secretary-General’s Bulletin on Sexual Abuse and Exploitation in Humanitarian Crises and Other Operations”.
Vedi WFP, Humanitarian Principles, cit.
40
“(..) for the purposes of WFP emergency projects, emergencies are defined as urgent situations in which there
is clear evidence that an event has occurred which causes human suffering or loss of livestock and which the
government concerned has not the means to remedy; and it is a demonstrably abnormal event which produces
dislocation in the life of a community on an exceptional scale”. Vedi WFP/IGC: 17/5 Rev. 1; WFP/IGC: 17/16.
41
Quest’ultima categoria corrisponde a quella odierna di emergenze ad andamento incrementale. Ibidem.
81
un’emergenza a cui far seguire l’intervento del WFP. Ai sensi della decisione del CFA, un’Operazione
di Emergenza ha le sue fondamenta nei seguenti principi: (i) la fame è inaccettabile; (ii) i paesi più
poveri devono ricevere un’attenzione prioritaria negli interventi del WFP; (iii) gli interventi devono
essere rapidi e non soggetti a eccessive formalità burocratiche né a criteri troppo rigidi e (iv)
l’assistenza deve essere temporanea42.
Nel corso degli anni novanta, nel giro di poco tempo, il WFP ha trasformato la sua natura
riconvertendo la sua attività, fino ad allora prevalentemente di sviluppo, in una focalizzata sulle
emergenze verso le quali iniziarono ad essere allocate circa l’80% delle risorse operative43. Il tipo di
attività che si è trovato a svolgere, in particolare, si è indirizzato verso situazioni di conflitto o postconflitto e crisi economiche ad andamento incrementale o improvvise, come in Europa dell’Est, nella
Comunità degli Stati Indipendenti (CIS) o in Indonesia.
Questi mutamenti nella prassi hanno trovato riscontro in una corrispondente evoluzione del concetto di
emergenza, testimoniata dall’attenzione che tale materia ha ricevuto dall’organo direttivo del WFP.
Nella prima sessione del 2005 l’Executive Board, sulla base di un’ampia rassegna dell’evoluzione di
tale concetto nella teoria e prassi umanitaria del WFP e della comunità internazionale in generale, ha
integrato la propria definizione di emergenza e i relativi principi. Dall’indagine condotta dal Board, in
particolare rispetto alle altre agenzie ONU e ai suoi principali partners e donatori, emerge che i
soggetti esaminati evitano di dare specifiche definizioni e precise quantificazioni di ciò che costituisce
un’emergenza. Le definizioni adottate usano termini che fanno riferimento a “extraordinary situations”
(UNDP), che colpiscono un “large number of people or a very large percentage of a population”
(IASC);
le emergenze sono caratterizzate dalla necessità di ricorrere a “exceptional measures”
(UNHCR) o “extraordinary action” (UNICEF) e un’emergenza è tale solo quando “overwhelms the
normal coping capacities of the affected people and society” (UNICEF) 44.
Le categorie di emergenze generalmente individuate dai soggetti considerati sono tre. Per l’UNICEF,
infatti, esistono emergenze provocate da improvvisi disastri, quelle ad andamento incrementale e
quelle complesse; UNDP, a sua volta, fa riferimento ai disastri naturali, ai disastri provocati dall’uomo
e alle emergenze complesse; l’ACT45 distingue tra “natural”, “human made” e “complex
emergencies”.
42
Vedi WFP/CFA: 21/10Add.1.
Vedi Shaw, D.J., The UN World Food Programme and the development of food aid, op. cit., p.182.
44
L’indagine condotta dall’Executive Board nel 2005 include l’esame delle definizioni di “emergenza” e relativi
criteri di FAO, OCHA, UNDP, UNHCR, UNICEF, WHO, ICRC (International Committee of the Red Cross),
USAID (United States Agency for International Development), IASC, ACT (Action by Churches Together),
OXFAM e molti altri. Vedi WFP, Definition of Emergency, WFP/EB.1/2005/4-A/Rev.1.
45
Action by Churches Together, un importante partner nelle operazioni di emergenza del WFP.
43
82
Elemento unificante è il condiviso riconoscimento delle emergenze complesse come una categoria a
sé, caratterizzata da forti implicazioni politiche all’origine del conflitto e durante la fornitura dei
soccorsi. Altro tratto comune nelle definizioni adottate dai soggetti della comunità internazionale è
l’idea che un’emergenza possa originarsi anche da una serie di eventi che erodono i mezzi di
sostentamento e gradualmente distruggono la “capacità di resistenza” delle persone colpite. È altresì
largamente diffusa la nozione di emergenza come sinonimo di crisi “imminente” o “minaccia”,
piuttosto che apice della crisi. Ciò implica che non si attende che l’emergenza venga dichiarata per
entrare in azione, ma al contrario si agisce per evitare l’esplosione della crisi. Le definizioni
considerate, infine, riconoscono l’importanza di una valutazione flessibile basata sui fattori propri
della situazione specifica da affrontare.
3.2.3 Una nuova definizione di emergenza: la protezione delle livelihoods
Alla luce dei cambiamenti interni nonché delle evoluzioni dei principi condivisi dalla comunità
internazionale, si è posta l’esigenza, per il WFP, di adeguare la sua definizione di emergenza. Dal
momento che tale definizione fornisce i criteri guida delle decisioni relative ad ogni Operazione di
Emergenza, essa deve riflettere il più possibile le sfide esistenti e la prassi corrente. In particolare, si
deve riconoscere il rischio connesso con le capacità di sostentamento (livelihoods risk) come parte
integrante del concetto di emergenza, l’esistenza della categoria specifica delle emergenze complesse e
il fondamentale ruolo ricoperto dalla valutazione dei bisogni che l’assistenza mira a soddisfare.
Nel 2005 l’Executive Board ha approvato la seguente definizione di emergenza: “For purposes of WFP
emergency projects, emergencies are defined as urgent situations in which there is clear evidence that
an event or series of events has occurred which causes human suffering or imminently threatens
human lives or livelihoods and which the government concerned has not the means to remedy; and it is
a demonstrably abnormal event or series of events which produces dislocation in the life of a
community on an exceptional scale46”.
L’“evento o serie di eventi” all’origine di un’emergenza possono essere di varia natura: improvvise
calamità naturali quali terremoti, alluvioni, infestazioni di insetti e simili disastri inattesi; disastri
causati dall’uomo che provocano flussi di rifugiati, sfollati o comunque sofferenze della popolazione
colpita; scarsità di cibo determinata da eventi ad andamento incrementale quali siccità, fallimenti di
raccolto, malattie, etc. che hanno come risultato quello di erodere la sicurezza alimentare delle
comunità e delle persone più vulnerabili; accesso al cibo o condizioni di disponibilità dello stesso
46
Vedi WFP, Definition of Emergencies, cit. Il corsivo indica le parti emendate nel 2005.
83
compromessi da improvvisi shock economici, fallimenti del mercato, collassi dell’economia che
provocano un’erosione della capacità della popolazione e delle persone più vulnerabili di soddisfare le
proprie esigenze alimentari; emergenze complesse di fronte alla quale il governo del paese colpito o il
Segretario Generale dell’ONU richiede l’intervento del WFP47.
In conformità a questi criteri, sono di volta in volta valutati gli specifici casi candidabili per un
intervento del WFP. Le decisioni che concernono le operazioni di soccorso sono quindi fondate sulle
effettive e accertate esigenze delle popolazioni colpite, tenendo conto delle eventuali considerazioni e
criteri che l’Executive Board può in ogni momento modificare, conformemente al mandato e ai
principi del WFP.
Nell’attuale definizione di emergenza, l’attenzione è posta sull’elemento rappresentato dalle capacità
di sostentamento (livelihoods). Già nel 1986 il CFA aveva affermato che fornire assistenza in
un’emergenza presupponeva una valutazione fatta sulla base delle informazioni disponibili e di
un’applicazione flessibile dei criteri approvati, includendo tra le emergenze anche quelle a intensità
incrementale o di tipo livelihood-threatening48. Il WFP poi, nel The policy of Food Aid and
Livelihoods in Emergencies49, che costituisce il quadro normativo delle EMOPs per la protezione del
sostentamento e del recupero, ribadisce che i suoi programmi sono diretti a salvare “lives and
livelihoods”. Tradizionalmente concentrato a salvare vite nelle emergenze, nel tempo il WFP ha potuto
verificare come quest’ultime abbiano spesso un significativo impatto nel lungo periodo sulle capacità
di sostentamento delle persone colpite. Da ciò deriva la strategia oggi adottata di fornire aiuti
alimentari a quelli che sono a rischio di perdere, o hanno perso, tali capacità.
Ai fini dei suoi interventi, con il termine livelihoods il WFP intende le capacità, le risorse e le attività
necessarie per vivere, che comprendono risorse umane (salute, capacità, istruzione), naturali (terra,
acqua, foreste, minerali), sociali (parentele, networks, gruppi), fisiche (infrastrutture, attrezzi) e
finanziarie (salari, risparmi, credito, debiti)50.
Molte delle strategie di sopravvivenza quali quelle di nutrirsi meno o con cibi meno nutrienti, di
indebitamento, della migrazione e della vendita dei propri mezzi materiali, che le vittime di
un’emergenza adottano per soddisfare i bisogni alimentari mettono a repentaglio la loro salute e il loro
benessere, nonché la loro sicurezza alimentare di lungo periodo e la capacità di affrontare le crisi
47
Ibidem.
Sebbene la decisione del 1986 non faccia riferimento esplicito al termine “livelihoods”, essa afferma che
l’aiuto alimentare è appropriato nelle emergenze ad andamento incrementale allo scopo di “contribuire al
miglioramento, nel lungo periodo, della sicurezza famigliare delle famiglie colpite” e “contribuire ad una
riduzione della futura vulnerabilità delle persone”. Vedi WFP/CFA: 21/10Add.1
49
WFP, The policy of Food Aid and Livelihoods in Emergencies, WFP/EB.A/2003/5-A.
50
Vedi WFP, The policy of Food Aid and Livelihoods in Emergencies, cit.
48
84
future51. L’assistenza umanitaria diretta a proteggere le capacità di sostentamento, dunque, non solo
facilita il processo di recupero dei singoli nuclei familiari, ma può anche aiutare a preservare risorse
essenziali su cui l’intera comunità si poggerà per riprendersi nell’immediato futuro52.
Si comprende quindi che, se nella vecchia ottica la perdita di bestiame (livestock) era di per sé un
elemento determinante nell’erosione dei mezzi di sostentamento atto a provocare un’emergenza
umanitaria, oggi esso non è più determinante di quanto non lo sia, ad esempio, il tasso di diffusione
dell’HIV/AIDS o il verificarsi di un collasso economico. Dare importanza all’elemento dei “mezzi di
sostentamento” in un’emergenza, significa inoltre riconoscere che non solo un evento esemplare ma
anche una serie di eventi di intensità minore può condurre all’erosione della capacità delle famiglie di
accedere al cibo necessario alla sopravvivenza e che di conseguenza l’assistenza tempestiva può
evitare una perdita irreversibile di tale capacità.
Proteggere le capacità di sostentamento nelle emergenze, tuttavia, può comportare il rischio di deviare
le risorse destinate a rispondere ad uno shock verso situazioni di insicurezza alimentare cronica.
Secondo la politica del WFP, queste ultime situazioni vanno infatti affrontate attraverso programmi di
sviluppo a lungo termine, sebbene non sia sempre facile distinguere tra bisogni cronici e bisogni
transitori nell’ambito di una crisi. Proprio dal riconoscimento che un elevato numero di emergenze
“croniche” fondono soccorso, recupero e sviluppo e richiedono una prospettiva a lungo termine, deriva
l’istituzione della categoria delle Operazione per il soccorso prolungato e la riabilitazione (PRROs).
3.2.4 Le tipologie e le fasi delle operazioni di emergenza
Sebbene politiche, obiettivi, meccanismi di finanziamento siano i medesimi per tutti i tipi di
emergenze – anche se ognuna di esse è poi valutata singolarmente - il WFP individua quattro categorie
di emergenze al fine di programmare i relativi interventi: disastri improvvisi, crisi ad andamento
incrementale, emergenze complesse, flussi di rifugiati.
Le prime tre tipologie di emergenze possono causare spostamenti della popolazione, in gruppi di
internally displaced people (IDPs), le cui condizioni sono normalmente più difficili e le cui esigenze
sono più acute rispetto a quelle della popolazione residente; si vedrà meglio in seguito come il WFP si
rapporta a questa specifica categoria nelle sue operazioni di emergenza.
51
Vedi Gentilini, U., “Vulnerabilità e reti di salvataggio per gli ultra-poveri: l’approccio del World Food
Programme”, in La questione agraria, n.1, 2004, p. 74.
52
Vedi Young H., Were G., Aklilu Y., Catley A., Leyland T., Borrel A., Raven-Roberts A., Webb P., Holland
D., Johnecheck W., “Nutrition and Livelihoods in Situations of Conflict and Other Crises”, in Scn News, 24,
2002, pp. 28-30.
85
Le categorie anzidette possono richiedere due tipologie di assistenza, ossia soccorso e/o recupero e
l’assistenza può interessare tutto il paese colpito o essere localizzata in aree specifiche all’interno di
esso, durare pochi mesi (in caso di disastri improvvisi), uno o più anni (in caso di emergenze
complesse e dove sono coinvolti rifugiati). La valutazione dei bisogni e il tipo di risposta che
l’emergenza richiede variano quindi a seconda del tipo di crisi e, in ogni caso, le emergenze complesse
richiedono sfide di programmazione e di tipo operativo maggiori rispetto agli altri tipi di emergenza,
dovute alla situazione di conflitto in cui si verificano.
Per quanto riguarda le emergenze complesse, stando alla definizione che ne dà l’Executive Board, esse
si determinano quando un conflitto o un tracollo socio-economico provocano una grave crisi
umanitaria e un elevato grado di insicurezza alimentare. Sino alla fine degli anni ottanta, le emergenze
erano solitamente associate ai disastri naturali e solo in misura minore alle crisi human-made. Con il
proliferare dei conflitti nel periodo del “post guerra fredda”, questa situazione è radicalmente mutata: i
numerosi conflitti interni, spesso esacerbati da altri fattori quali disastri naturali o insicurezza
alimentare cronica, hanno provocato un crescente numero di vittime civili e esigenze umanitarie
sempre più pressanti, in particolare relativamente ai rifugiati e agli sfollati. Nei casi di conflitto in cui
la pace è stata ristabilita, possono altresì sorgere particolari esigenze umanitarie relative ai combattenti
smobilitati.
Si vedrà meglio in seguito come il WFP e il sistema delle Nazioni Unite forniscono assistenza
umanitaria nelle emergenze complesse, in particolare in riferimento alle categorie coinvolte (rifugiati e
IDPs).
Ogni Operazione di Emergenza, affinché si realizzi materialmente, richiede la presentazione di un
piano da parte del rappresentante del WFP sul campo e l’approvazione del progetto da parte del
Direttore Esecutivo, dal vice Direttore Esecutivo o dal Direttore Generale della FAO; ciò fa seguito ad
una richiesta da parte del governo del paese colpito o, in casi eccezionali, dello stesso Segretario
Generale delle Nazioni Unite.
La singola operazione, poi, si struttura nelle seguenti fasi: 1) la valutazione dei bisogni delle persone
colpite dalle emergenze (ENA), 2) il targeting, ossia l’identificazione dei gruppi e delle aree più
vulnerabili (Vulnerability Analysis and Mapping – VAM) , 3) la pianificazione dell’operazione e dei
suoi obiettivi (Design and Planning), 4) l’implementazione che prevede la registrazione dei
beneficiari, la distribuzione e la gestione dei beni, 5) il monitoraggio del progetto e l’analisi dei
risultati e, infine, 6) l’uscita dall’emergenza (exiting) o la conversione dell’EMO in una operazione
per il soccorso prolungato e la riabilitazione (PRROs).
86
Appare utile analizzare la procedura e i criteri di approvazione, nonché le fasi ritenute più rilevanti di
un’Operazione di Emergenza del WFP, ossia quelle del targeting, della valutazione dei bisogni e
dell’uscita dall’emergenza. Verranno inoltre esaminate le reti di sicurezza alimentare che il WFP attiva
anche in contesti di crisi e la transizione, nel corso di un’EMOP, dalla fase del relief a quella del
recovery.
3.2.5 L’approvazione delle EMOPs e il ruolo del WFP
Quando da una rapida valutazione delle condizioni del paese colpito dalla crisi si accerta che occorre
un’immediata assistenza alimentare da parte del WFP, tale assistenza viene fornita attraverso
l’espansione o l’adattamento di un EMOP, PRRO o programma di sviluppo già esistente in quell’area.
Se invece l’assistenza non può essere fornita attraverso alcun progetto, attività o operazione in corso, e
la procedura regolare per la preparazione e l’approvazione di un EMOP non può essere seguita vista
l’urgenza della situazione, viene predisposto un Immediate Response Project Document per
l’approvazione del Country o Regional Director. Il Country Director (per operazioni a livello di paese)
e il Regional Director (per operazioni a livello regionale) hanno infatti l’autorità, delegata loro dal
Direttore Esecutivo, di approvare un Immediate Response EMOPs fino ad un costo massimo di
500.000 dollari, il cui finanziamento dovrà essere concesso dal Direttore di Operations Management
Programming (OMXP) entro ventiquattro ore.
Al di là di questa particolare categoria di EMOPs, la regolare procedura delle operazioni di emergenza
prevede, in caso di operazione a livello di paese, una presentazione del progetto da parte del Country
Director e una raccomandazione del Regional Drector, oppure, in caso di EMOP regionale o in un
paese dove il WFP non è presente, una presentazione del progetto da parte del Regional Director.
Se il valore totale del cibo necessario all’operazione non eccede i 3 milioni di dollari e l’EMOP si
svolge in un paese dove il WFP operava già prima della crisi, il documento è approvato dal Vice
Direttore Esecutivo (Direttore dell’Operations and Management Department). Nel caso in cui la stessa
tipologia di operazione sia prevista in un paese in cui il WFP non era presente prima dell’emergenza, il
documento è approvato dal Direttore Esecutivo. Quando invece l’operazione supera i 3 milioni di
dollari, essa viene approvata congiuntamente dal Direttore Esecutivo del WFP e dal Direttore Generale
della FAO.
Laddove necessario, e quando il country office fornisce le informazioni necessarie attraverso un
documento attendibile, l’EMOP può essere approvata in soli sette giorni. Tuttavia, si ha un inizio
tempestivo dell’operazione solo quando il cibo e i beni necessari possono essere acquistati o presi in
87
prestito localmente o in un paese vicino53, altrimenti il tempo di esecuzione della distribuzione del
cibo, che a quel punto deve essere importato, può essere anche di alcuni mesi.
Le EMOP hanno una durata massima di 24 mesi dall’inizio della crisi e sono di norma seguite da una
PRRO, la cui programmazione è invece più accurata e inizia circa sei mesi prima del suo previsto
avviamento. Eccezionalmente una PRRO può avere inizio prima della fine di un EMOP o addirittura
senza essere preceduta da un’EMOP: se la situazione si stabilizza velocemente e l’operazione è su
piccola scala, infatti, le attività di recupero possono iniziare prima del previsto.
Il Regional Director, tuttavia, può decidere di continuare a fornire l’assistenza attraverso un EMOP
anche se è stato superato il limite massimo dei ventiquattro mesi piuttosto che muovere verso una
PRRO. Tale scelta è opportuna laddove la situazione rimane molto instabile, con alti livelli di
insicurezza alimentare, frequenti spostamenti di popolazione e non si è in grado di pianificare le
attività per più di 12 mesi. Una proposta in tal senso, concordata tra Regional e Country Director, deve
essere sottoposta al Vice Direttore dell’Operations and Management Department e approvata non oltre
15 mesi (9 prima del limite dei 24 mesi dell’EMOP che si intende estendere).
Il quadro giuridico della singola operazione di emergenza è fornito dall’accordo specifico, denominato
Letter of Understanding (LOU), che il WFP stipula con il governo beneficiario prima dell’inizio
dell’intervento. Esso descrive brevemente l’intervento e i suoi obiettivi, la durata prevista e la stima
dei beneficiari e delle aree in cui si prevede di operare.
Di norma, tale accordo costituisce l’implementazione concreta del Basic Agreement che,
precedentemente concluso tra WFP e governo, rappresenta la cornice giuridica di tutte le attività e le
operazioni del WFP in quel paese. Nell’ipotesi in cui non sia stato concluso un Basic Agreement con
quel paese, la Letter of Understanding includerà una clausola con cui le parti si impegnano a rispettare
quanto prescritto dalla Convenzione sui Privilegi ed Immunità delle Nazioni Unite e la Convenzione
sui Privilegi ed Immunità degli Istituti Specializzati, entrambi applicabili al WFP54.
Dei criteri in base ai quali viene accordato l’intervento del WFP, il primo è quello dell’eleggibilità ai
fini dell’individuazione dei soggetti che possono richiederne l’assistenza d’urgenza. Possono fare
richiesta tutti gli Stati membri dell’ONU e i membri o membri associati degli Istituti Specializzati55; la
53
Tuttavia il Regional Director e l’OMXP possono decidere di accelerare le consegne dirottando verso l’area
colpita dall’emergenza spedii di cibo da altri paesi.
54
“The Parties have entered into this LOU fully accepting and agreeing to abide by the provisions of the
Convention on Privileges and Immunities of the United Nations, and the Convention on the Privileges and
Immunities of the Specialized Agencies and its Annex 2, which are both applicable to WFP”. Ibidem.
55
Il WFP può altresì fornire assistenza di emergenza, alimentare o di altro tipo, e supporto logistico qualora lo
richieda il Segretario Generale dell’ONU; in questi casi eccezionali l’assistenza del WFP sarà integralmente
88
priorità è ad ogni modo accordata alle richieste dei paesi a basso reddito e deficit alimentare (lowincome, food-deficit countries - LIFDCs). Le richieste da parte di tutti gli altri paesi sono considerate
alla luce delle risorse a loro disposizione (in particolare PIL pro capite, capacità di prendere in prestito
dall’IMF, riserve di valuta estera56), della situazione dell’offerta alimentare nazionale, e del grado della
crisi in questione, misurata in particolare sulla base della proporzione di popolazione colpita. Tuttavia,
migliore è la posizione finanziaria del paese richiedente, tuttavia, e maggiore sarà la richiesta di
dimostrare l’eccezionalità della situazione e la necessarietà dell’assistenza alimentare. Un paese a
reddito medio dove un numero di persone non elevato è colpito da un disastro, più o meno
intensamente, non sarà di norma eleggibile ad ottenere il supporto delle risorse del WFP destinate alle
emergenze.
Il secondo criterio attiene alle pre-condizioni necessarie affinché sia concessa l’assistenza del WFP.
Innanzitutto, esse è accordata quando vi è una richiesta da parte del governo o del Segretario Generale
dell’ONU; deve inoltre esserci una valutazione credibile che accerti le condizioni di emergenza, che
l’assistenza internazionale sia necessaria e gli aiuti alimentari siano la risposta opportuna, che il cibo
richiesto non sia già stato fornito da altre fonti e sia possibile una consegna tempestiva dell’aiuto ai
beneficiari stabiliti; deve altresì sussistere l’assicurazione, da parte del governo, che il personale del
WFP sia messo nelle condizioni di monitorare la distribuzione e l’uso del cibo e delle altre eventuali
risorse fornite; non si può prescindere, infine, dalla disponibilità finanziaria necessaria
all’implementazione materiale dell’operazione.
Il WFP, in ogni caso, interviene non in presenza di ogni disastro che si verifichi localmente, bensì in
presenza di disastri oltre la capacità delle comunità colpite e del governo di fronteggiarli con le proprie
forze; ai fini dell’approvazione, viene considerata anche l’assistenza che viene eventualmente offerta
da altre fonti.
Questi criteri consentono al WFP di agire qualora, a giudizio del Direttore Esecutivo, ciò possa
“salvare le vite e proteggere e ristabilire la capacità di sostentamento” delle persone colpite. Ciò
significa che la sussistenza di tali condizioni non creano un obbligo ad agire da parte del WFP: in
ultima istanza, infatti, la decisione viene presa sulla base di una valutazione fondata sulle informazioni
disponibili allo scopo di determinare l’effettiva necessità e la giustificazione di un’operazione di
emergenza.
L’ultimo criterio valuta invece l’idoneità dell’aiuto alimentare, il quale non viene ritenuto la soluzione
ad ogni tipo di emergenza. L’Executive Board individua due situazioni nelle quali, più delle altre,
coordinata con il sistema ONU e gli sforzi dei governi, delle organizzazioni inter-governative e delle ONG
coinvolti (General Regulations, art. IX).
56
Secondo quanto stabilito dal CFA nel 1986, infatti, il WFP non valuterà la capacità di risposta alle emergenze
da parte di un paese esclusivamente sulla base del PIL. CFA 21/24 (maggio/giugno 1986).
89
l’assistenza alimentare d’urgenza è la risposta appropriata: quando l’offerta di cibo ha subito un
collasso (sia che si tratti di un fallimento della produzione o di un cedimento dei mercati, in ogni caso
quando il fallimento dell’offerta è la caratteristica dominante della situazione alimentare); o quando si
è verificato uno spostamento di popolazione - ossia un’inusuale migrazione, originata da una crisi, di
un grande numero di persone dalle proprie case – e queste persone sono sprovviste di altri mezzi di
sopravvivenza.
Nel caso in cui il WFP interviene in un’emergenza, secondo i criteri e le modalità analizzate, esso può
ricoprire diversi ruoli e rispondere a diverse funzioni a seconda della situazione specifica e delle
richieste del governo.
Innanzitutto il WFP può fornire consulenza e assistenza al governo del paese interessato, ma anche alle
altre agenzie ONU coinvolte e alle autorità locali, in riferimento alla valutazione del fabbisogno degli
aiuti alimentari d’urgenza, alla pianificazione e alla gestione degli interventi di aiuto alimentare e al
coordinamento delle consegne di tutti gli aiuti alimentari internazionali.
Il suo compito principale nelle emergenze, tuttavia, è quello di fornire in prima persona aiuti
alimentari, sempre subordinati ad una precedente individuazione dei beneficiari, congiuntamente al
supporto logistico laddove necessario, e aiutare a far sì che la consegna e la distribuzione si svolgano
correttamente. In tutti i casi, l’azione del WFP è pianificata e implementata in stretta collaborazione
con il Resident/Humanitarian Coordinator e gli altri membri del UN country team.
Qualora si tratti di un’emergenza complessa, il WFP coopera con l’ufficio delle Nazioni Unite per il
Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) e le altre agenzie nel quadro di una risposta interagency sulla base di un piano comune d’azione umanitaria (CHAP) e un appello consolidato (CAP)57.
In questa struttura di sforzi integrati, il WFP ha uno specifico ruolo relativamente alla valutazione e al
monitoraggio del fabbisogno di aiuti alimentari, al coordinamento della consegna degli aiuti alimentari
internazionali; l’agenzia, inoltre, fornisce l’expertise logistico di cui ha un indiscusso primato nel
sistema umanitario dell’ONU e, laddove richiesto, i servizi logistici necessari a tutta la comunità
umanitaria internazionale.
In tutte le operazioni di emergenza il WFP ha poi la responsabilità di verificare che l’aiuto fornito sia
stato ricevuto e utilizzato nel modo più efficiente ed efficace possibile, nel rispetto del quadro
giuridico fornito dagli specifici accordi stipulati con il governo e con le altre organizzazioni
interessate.
Il WFP, inoltre, sebbene senza coinvolgersi direttamente, ha il “dovere umanitario” di usare la propria
influenza allo scopo di assicurare che il governo e/o le altre organizzazioni umanitarie forniscano gli
57
Vedi supra, par 3.1.2.
90
aiuti non alimentari e i servizi necessari alla sopravvivenza della popolazione colpita, in particolare
acqua, servizi igienici e sanitari, ripari e condizioni di sicurezza, che peraltro risultano funzionali
all’efficacia degli aiuti alimentari forniti dal WFP medesimo.
3.2.6 La valutazione dei bisogni nelle emergenze
L’Emergency Needs Assessment (ENA) costituisce il primo stadio di ogni intervento del WFP: sulla
base delle sue conclusioni, infatti, prende le mosse la progettazione di ogni operazione di soccorso.
Accertata la necessità dell’assistenza esterna e l’adeguatezza degli aiuti alimentari come soluzione alla
specifica situazione, si stima il numero di persone colpite, il loro grado di bisogno in termini di
fabbisogno alimentare e la loro capacità di accedere al cibo con i propri mezzi, nonché la durata
prevista dell’assistenza58. La valutazione deve rappresentare il più possibile i reali bisogni dei futuri
beneficiari in modo tale da evitare di sotto/sovrastimarne il numero e quindi di lasciare persone a
rischio o sprecare risorse scarse.
Le missioni di valutazione condotte dal WFP possono essere di quattro tipi59: valutazioni rapide, che
consistono in una prima e rapida stima dei bisogni in una situazione di particolare urgenza; valutazioni
del raccolto e dell’offerta alimentare, relative all’indagine degli effetti di uno shock (naturale o
economico) sul livello di sicurezza alimentare del paese, di regola condotte con la FAO; valutazioni
congiunte dirette a misurare i potenziali livelli di auto-sufficienza dei rifugiati, effettuate con UNHCR;
le valutazioni dell’ONU di tipo inter-agency, che fanno seguito agli appelli consolidati.
Il fatto che il WFP dipenda completamente dai contributi volontari dei governi e degli altri donatori,
aiuta a comprendere l’importanza della trasparenza e dell’indipendenza della sua attività come
requisito fondamentale per continuare a ricevere fondi e ad operare senza interruzioni. La trasparenza
delle valutazioni dei bisogni nelle emergenze (ENA) è stata a volte messa in dubbio dai donatori,
creando un motivo di preoccupazione per il WFP essendo i risultati delle ENAs usate per convalidare
le richieste di finanziamento delle operazioni.
Dalla consapevolezza dell’importanza delle attività di valutazione, deriva l’attenzione crescente
prestata dal WFP a rafforzare la qualità e l’attendibilità di tale fase nonché a ribadire il continuo
impegno a migliorare i metodi, le capacità e i rapporti con i parnters60 nella valutazione dei bisogni,
58
Vedi Darcy, J, Hofmann, C.A., According to need? Needs assessment and decision-making in the
humanitarian sector, Overseas Development Institute 2003, HPG Report No 15.
59
Vedi WFP, Emergency Needs Assessment, WFP/EB.1/2004/4-A, p.20.
60
Il WFP esegue o partecipa a circa 100 missioni di valutazione ogni anno. Al momento, il 50% circa delle
ENAs del WFP sono condotte con partners; l’obiettivo è di aumentare tale percentuale fino al 75%, facendo in
91
come illustrato nella relativa decisione adottata dal Board nel 200461. Rientrano in questa strategia
recenti iniziative quali l’istituzione nel 2003, all’interno del WFP, dell’Emergency Needs Assessment
Branch (ODAN) allo scopo di fornire supporto e consulenza nelle valutazioni e di collaborare con i
partner e con i donatori, oltre alla maggiore decentralizzazione del processo di valutazione di cui oggi
sono responsabili i Regional e Country Director.
Il WFP, al contempo, ha rafforzato il partenariato locale con i governi e le ONG, sviluppando stretti
legami operativi con le reti nazionali e regionali di valutazione della sicurezza e vulnerabilità
alimentare e incrementando il ricorso ad esperti locali. Esso coopera, inoltre, con i suoi partner
istituzionali, tra cui FAO, UNHCR, UNICEF e IASC, nelle attività di valutazione anche attraverso la
stipulazione di nuovi accordi o la revisione di quelli già esistenti, come nei casi della guida per le
missioni di valutazione congiunta WFP/UNHCR e del FAO/WFP Crop and Food Supply Assessment
Mission Guidelines.
La strategia del WFP diretta a migliorare le ENAs ha altresì integrato i risultati di iniziative parallele
quali l’Humanitarian Charter and Minimum Standards in Disaster Response (Sphere Project)62.
3.2.7 Il targeting nelle emergenze
L’identificazione delle persone più bisognose, delle aree più vulnerabili e dei momenti nei quali
l’assistenza occorre maggiormente, è un fattore fondamentale ai fini dell’efficacia degli aiuti
alimentari e ricopre un importante ruolo nel continuum tra emergenza e sviluppo adottata dal WFP.
Nel 2006, il Consiglio di Amministrazione ha adottato la decisione Targeting in Emergencies63, dove
l’identificazione dei beneficiari delle operazioni del WFP è considerato un elemento centrale di
un’integrata e completa valutazione dei bisogni e di un’adeguata risposta alle emergenze.
Il WFP definisce il targeting come quel processo attraverso il quale vengono selezionate le persone e
le aree ai fini di un trasferimento di risorse e comprende due attività principali: l’identificazione dei
modo che solo le valutazioni rapide siano condotte esclusivamente dal WFP. Vedi WFP, WFP Annual Report
2007, cit.
61
Vedi WFP, Emergency Needs Assessment policy, cit.
62
Vedi supra, par. 3.1.2
63
WFP, Targeting in Emergencies, WFP/EB.1/2006/5-A.
92
beneficiari e la selezione dei meccanismi di consegna e distribuzione degli aiuti. L’Executive Board
delinea in tal modo i principi che sottendono un’assistenza alimentare mirata: l’azione del WFP è
rivolta non solo a chi rischia la vita ma anche a chi rischia di perdere i propri mezzi di sostentamento,
il WFP identifica i gruppi più vulnerabili sulla base del loro livello di sicurezza alimentare e
nutrizionale, individua il tipo e la forma di assistenza alimentare che più si adatta alle esigenze di tali
gruppi, ed esegue gli aggiustamenti dei target e le modifiche necessarie nelle sue attività
conformemente ai cambiamenti accertati nei bisogni dei beneficiari.
Il targeting è, infatti, un’attività di gestione richiesta a tutti i livelli del ciclo dell’intervento e avviene
per mezzo dell’unità di Vulnerability Analysis and Mapping. Dal momento che sia le situazioni di
emergenza, così come i bisogni della popolazione, si trasformano e cambiano, anche i gruppi
identificati come target e i metodi di tale attività devono evolversi in misura corrispondente. Un
targeting efficace richiede un’analisi regolare e sistematica di una molteplicità di fattori, inclusa la
dimensione di genere di un’emergenza. Includere questi fattori negli obiettivi dell’operazione
dall’inizio, permette una certa flessibilità nell’individuazione dei beneficiari nelle fasi successive senza
che siano compromessi gli obiettivi generali del progetto. La scelta del tipo di operazione e del
meccanismo di consegna che assicuri che il cibo raggiunga chi ne ha bisogno è un aspetto altrettanto
importante.
Gli impedimenti insiti nelle emergenze, come la mancanza di accesso nelle emergenze complesse
dovuta ai conflitti armati, portano inevitabilmente a fare errori nell’identificazione dei destinatari.
L’obiettivo del WFP è minimizzare gli errori di esclusione, che possono costituire una minaccia alle
vite delle persone colpite, e mantenere entro un limite accettabile gli errori di inclusione, che sono
invece sprechi che devono essere contenuti.
Il targeting, inoltre, normalmente migliora nella transizione da un’operazione di soccorso ad una di
recupero in conseguenza del fatto che il numero dei beneficiari cala e gli errori di identificazione
diminuiscono.
3.2.8 La distribuzione degli aiuti e gli implementing partners
Le attività di distribuzione sono realizzate dal WFP direttamente oppure attraverso implementing
partners con cui vengono conclusi accordi specifici. In situazioni di conflitto interno, nelle aree
sottoposte all’autorità del governo, il WFP coopera con le entità governative esistenti, servendosene a
volte come partners per l’implementazione operativa delle operazioni.
93
Quando la capacità nazionale è limitata, la maggior parte degli aiuti viene distribuita mediante le
ONG, in particolare quelle internazionali con cui il WFP ha concluso memoranda d’intesa o mediante
istituzioni locali radicate nel territorio come le chiese e le società della Croce Rossa/Mezzaluna rossa.
Il WFP può altresì ricorrere alle strutture tradizionali, ad esempio affidando la distribuzione ai capi
villaggio o a comitati di donne, ad organizzazioni che rappresentano gli sfollati e i rifugiati o a
comitati locali di soccorso, la cui istituzione è spesso stimolata dal personale sul campo dell’agenzia.
Una modalità alternativa è rappresentata dalla distribuzione su base familiare, che consiste nel
suddividere la comunità in gruppi numericamente simili che eleggono al loro interno un leader a cui
sono affidate le razioni da distribuire tra tutti i componenti.
Il WFP vincola il partenariato con le ONG al rispetto dei cinque Principi del Partenariato (PoP),
adottati durante la Global Humanitarian Platform (GHP) del 2007 dal WFP, le maggiori ONG, il
Movimento della Croce Rossa/Mezzaluna Rossa e le agenzie ONU, che sono: uguaglianza,
trasparenza, approccio orientato ai risultati, responsabilità e complementarietà.
Il partenariato può essere di tipo cooperativo, formalizzato in un Field Level Agreement (FLA), dove
l’ONG è responsabile di eseguire un’attività per conto del WFP (trasporto, stoccaggio, distribuzione) o
di tipo complementare, nel quale le parti progettano insieme un’operazione o il WFP fornisce il cibo
necessario alla realizzazione di un progetto dell’ONG. A parte inevitabili difficoltà operative, la
collaborazione tra WFP e implementing partners rimane di cruciale importanza grazie al valore
aggiunto che il rapporto di queste ultime con il territorio comporta64.
3.2.9 Dal soccorso iniziale alla riabilitazione
Il WFP accorda un particolare significato, e quindi attenzione nella pratica, alla transizione, nel corso
di un’emergenza, dal soccorso iniziale alla fase successiva del ristabilimento del livello di sicurezza
alimentare antecedente alla crisi. La suddetta transizione si rispecchia spesso nel passaggio da
un’operazione di emergenza (EMOP) ad un’operazione per il soccorso prolungato e la riabilitazione
(PRROs).
L’Executive Board ha formulato la seguente definizione di soccorso: “relief is assistance provided to
enable people affected by a crisis to meet their nutritional and related needs (saving lives) with dignity
and without resorting to activities that undermine their future food security (protecting livelihoods)”65.
64
Nel 2007 il WFP ha lavorato con più di 230 ONG in 31 EMOPs in 22 paesi e oltre 2.100 ONG hannno
collaborato in 82 PRROs, vedi WFP, WFP’s operational relationship with NGOs – Annual Report 2007 e WFP,
Working with NGOs – A Framework for Partnership, WFP/EB.A/2001/4-B.
65
Vedi WFP, Consolidated framework of WFP policies, WFP/EB.2/2008/4-F.
94
Va osservato come l’accento sia posto sull’importanza del tipo di assistenza da adottare allo scopo di
non compromettere l’obiettivo di lungo periodo della sicurezza alimentare dei beneficiari.
Il soccorso alimentare si rende necessario quando una crisi priva temporaneamente le persone dei
mezzi di sostentamento e dell’accesso al cibo, e continua ad esserlo fino a quando le persone colpite
non tornano ad essere in grado di procurarsi, con i propri mezzi, un’alimentazione sufficiente ed
adeguata. Se tale fabbisogno è generalmente di breve durata nel caso di emergenze acute ed
improvvise, può invece protrarsi a lungo nel caso di flussi di rifugiati o sfollati che hanno un accesso
limitato alla terra o ai posti di lavoro, così come nelle emergenze complesse quando c’è una
intermittente interruzione delle attività agricole ed economiche.
Il criterio basilare su cui si fonda il soccorso del WFP è che esso deve essere fornito ogni volta si renda
necessario ma allo stesso tempo deve essere ritirato (gradualmente) il prima possibile. Interventi mirati
di soccorso diretti ai nuclei familiari più vulnerabili e più esposti all’insicurezza alimentare, tuttavia,
continuano ad essere implementati per periodi più lunghi anche in seguito alla conclusione
dell’operazione di emergenza.
Il concetto di recovery rimanda invece alla fase immediatamente successiva di un’emergenza, in un
continuum che il WFP si preoccupa di assicurare per evitare che conseguenze negative si ripercuotano
nel lungo periodo sui beneficiari. Tale concetto implica il ripristino di una condizione di normalità
ossia quella antecedente al verificarsi della crisi. Nel contesto delle emergenze che colpiscono la
sicurezza alimentare, per il WFP con recovery si intende “a process that occurs at various levels
(individual, household, community, country) following a shock (human-made or natural disaster)
when, on the basis of existing capacities and, if necessary, with externally provided assistance, there is
a return to the level of food security that existed prior to the shock (livelihoods are restored)”66.
La fase del recupero inizia non appena le persone colpite hanno soddisfatto le immediate esigenze di
sopravvivenza e sono nuovamente in grado di pensare a ricostruire le proprie vite e i propri mezzi di
sussistenza. Nel caso di un disastro naturale, ad esempio, questa fase può cominciare dopo pochi
giorni, mentre nel caso di rifugiati o IDPs il vero recovery inizia solo dopo il ritorno nelle case che
questi hanno abbandonato, in seguito alla decisione di integrarli in modo definitivo nella posizione
attuale, o dopo che sono stati fatti ristabilire altrove. Nell’attesa di una soluzione definitiva, tuttavia, il
livello di autosufficienza può essere incrementato attraverso l’accesso alla terra coltivabile o ad
opportunità di impiego, nonché rafforzandone il livello di salute psico-fisica che permetta loro di
sfruttare effettivamente tali opportunità.
In un’emergenza complessa, infine, il recovery inizia non appena le condizioni locali di sicurezza
permettono di ripristinare le attività agricole o qualunque altra attività che generi reddito in modo
66
Vesi WFP, Consolidated framework of WFP policies, cit.
95
sostenibile - ma che possono sempre essere interrotte a causa di un deterioramento delle condizioni
circostanti.
In ultima analisi, il primo obiettivo del WFP nelle emergenze rimane quello di assicurare una
tempestiva consegna e distribuzione dei soccorsi umanitari allo scopo di salvare vite; al contempo,
come enunciato nella Dichiarazione di intenti, il WFP cerca di usare l’assistenza d’urgenza in modo
tale che serva sia a scopi di soccorso che di sviluppo67. Occorre quindi considerare gli aiuti alimentari
non solo come un necessario e doveroso intervento durante le crisi umanitarie, ma anche come una
risorsa scarsa, il cui uso attentamente mirato è in grado di prevenire comportamenti che aumentano la
vulnerabilità, e di favorire lo sviluppo di lungo periodo.
3.2.10 Le reti di sicurezza alimentare
Una particolare modalità di impiego degli aiuti alimentari da parte del WFP, trasversale agli Obiettivi
Strategici e alle corrispondenti categorie di operazioni, è rappresentata dalle cosiddette reti di sicurezza
alimentare.
Le “reti di salvataggio” possono essere definite come i trasferimenti di risorse (contante, buoni,
vouchers) volti ad assicurare la quantità minima di consumo di cibo di un determinato gruppo di
persone altamente vulnerabili e a proteggere gli individui da eventuali shock nel consumo alimentare.
Al contempo, tali reti incentivano quanto più possibile l’assunzione di “comportamenti produttivi” dei
beneficiari e costituiscono una piattaforma che collega le strategie d’investimento nella sicurezza
alimentare di una comunità con gli effettivi bisogni degli ultra-poveri68.
Sebbene riguardino tutti gli obiettivi strategici del mandato del WFP, le reti di sicurezza alimentare
attengono in misura maggiore alla seconda priorità strategica (proteggere i livelli base di
sostentamento in situazioni di crisi e rafforzare la capacità di reazione agli shock) e sono spesso
attivate nel corso di un’operazione di emergenza o nella fase di transizione verso un’operazione di
soccorso prolungato e riabilitazione.
Gli specifici interventi compresi in tali reti sono principalmente tre: trasferimenti in denaro, lavori
pubblici e trasferimenti basati sull’alimentazione. Questi ultimi comprendono i trasferimenti indiretti
di alimenti (sussidi al consumo, buoni alimentari) e trasferimenti diretti (“condizionati” e non). Gli
aiuti alimentari si inseriscono in queste tre categorie, con l’obiettivo di raggiungere le persone quando
il loro consumo di alimenti si riduce al di sotto di una data soglia critica a causa di shock di vario
67
“WFP is well placed to play a major role in the continuum from emergency relief to development. (..)
emergency assistance will be used to the extent possible to serve both relief and development purposes”, Vedi
WFP, WFP Mission Statement, cit.
68
Vedi Gentilini, U., “Vulnerabilità e reti di salvataggio per gli ultra-poveri: l’approccio del World Food
Programme”, op. cit., p. 75.
96
genere, favorendone al contempo l’inserimento in attività produttive quali la costruzione di
infrastrutture comunitarie69.
Per mezzo della loro funzione di “trampolino”, le reti di salvataggio basate sull’alimentazione non solo
aumentano il consumo corrente, ma pongono anche le basi per migliorare la produttività futura in
situazioni di “emergenza quotidiana”, favorendo il continuum tra emergenza-riabilitazione-sviluppo.
‘
3.2.11 Uscire dalle operazioni di emergenza
La risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU 46/182 afferma che l’assistenza nelle emergenze
deve essere fornita in modo tale da facilitare il recupero e le attività di sviluppo a lungo termine.
Rientra nelle funzioni del Resident/Humanitarian Coordinator a livello locale e dello IASC, sotto la
leadership dell’Emergency Relief Coordinator, a livello globale, assicurare che questi collegamenti
sistematici siano fatti e continuamente perfezionati70.
Secondo lo IASC, l’exit strategy da un’operazione di soccorso è meglio garantita dove e quando il
governo del paese colpito trova la capacità di subentrare nella cura delle vittime. Capacità che peraltro
non deve limitarsi all’assistenza umanitaria ma estendersi, nel caso di emergenze complesse, alla
protezione delle vittime medesime71. Il coordinatore umanitario/residente ha la responsabilità di
determinare, in consultazione con il country team e il governo, quando le condizioni per procedere ad
un totale o parziale ritiro siano soddisfatte72.
Alla luce di quanto stabilito a livello di sistema delle Nazioni Unite dall’ONU e dallo IASC,
l’Executive Board del WFP ha adottato la decisione Exiting Emergencies73 con la quale riconosce,
come parte integrante delle operazioni di emergenza, la necessità di un’exit strategy programmata con
il governo interessato e gli altri partner coinvolti e dichiarata espressamente all’inizio di ogni
intervento allo scopo di facilitare risposte più effettive da parte del paese colpito dopo la fase iniziale
dei soccorsi.
69
Ibidem.
IASC (1997) Exit Strategy for Humanitarian Actors in the Context of Complex Emergencies, reliefweb.int, p.1
71
Tale strategia d’uscita prevede che la titolarità dell’operazione venga assunta da un’istituzione permanente,
spesso attraverso l’inserimento in già esistenti programmi governativi. Vedi anche Rogers, Beatrice L., and
Kathy E., Macias (2004) Program Graduation and Exit Strategies: Title II Program Experiences and Related
Research. Food and Nutrition Technical Assistance Project (FANTA).www.fantaproject.org.
72
Ibidem, p. 2.
73
Vedi WFP, Exiting Emergencies, WFP/EB.1/2005/4-B.
70
97
Uscire da un’emergenza può assumere una doppia valenza per il WFP: ritirare la sua assistenza da un
EMOP o da un paese, ma anche sostituire un EMOP con un programma a lungo termine per
proteggere e potenziare i mezzi di sostentamento e la resistenza della comunità interessata. L’obiettivo
principale delle operazioni di emergenza del WFP è riportare la capacità di accesso al cibo delle
comunità colpite ai livelli precedenti all’emergenza e i soccorsi offerti dal WFP devono essere parte di
un più esteso sforzo nazionale e internazionale per raggiungere tale obiettivo, a cui devono aggiungersi
altre forme di assistenza, inclusa quella di tipo non alimentare. L’exit strategy da un’emergenza deve
fare quindi in modo che l’assistenza del WFP venga ritirata senza che sia compromessa la riacquisita
capacità dei beneficiari di soddisfare il proprio fabbisogno alimentare. La strategia d’uscita è quindi un
piano che progetta il ritiro delle risorse dell’agenzia, dal paese o dalla popolazione beneficiaria, senza
che vengano pregiudicati i traguardi raggiunti durante la risposta all’emergenza. Il piano d’uscita
stabilisce gli indicatori in base ai quali ritirarsi, i benchmarks misurabili per valutare i progressi fatti
nel raggiungimento degli obiettivi stabiliti inizialmente, i livelli crescenti verso il loro raggiungimento
e individua i responsabili per ogni livello. Include, infine, misurazioni periodiche dei progressi fatti, le
possibili modificazioni basate su un’analisi dei potenziali rischi e un calendario flessibile che indichi
quando si prevede di raggiungere i benchmarks prefissati.
La chiara identificazione degli obiettivi dell’operazione d’emergenza aiuta a determinare come e
quando uscire. Se l’obiettivo è il recupero di ciò che è stato distrutto, il prolungato accesso al cibo da
parte della comunità ai livelli precedenti all’emergenza costituisce un evidente segnale ai fini
dell’uscita dall’operazione. Si verificano casi, tuttavia, in cui il ripristino dei livelli di sicurezza
alimentare precedenti alla crisi è un risultato insoddisfacente o un obiettivo irrealistico per un
intervento d’emergenza. Si pensi ad esempio al caso di un’emergenza in un contesto di fame cronica in
cui ripristinare i livelli anteriori alla crisi è possibile solo se ai soccorsi si affiancano interventi a lungo
termine del WFP o altri enti umanitari che contrastino le cause della fame alla radice.
L’Executive Board ha stabilito gli indicatori, specifici al contesto in cui si opera, sulla base dei quali
decidere quando uscire da un’emergenza74. Essi possono essere programmatici, che attengono cioè
agli effettivi progressi verso gli obiettivi stabiliti o contestuali, relativi al miglioramento della
complessiva situazione umanitaria o al ritorno dei rifugiati alle loro case. Con i criteri sistematici, poi,
si fa riferimento alla capacità del governo di fornire adeguata assistenza nell’emergenza, mentre gli
indicatori esterni sono attinenti alla diminuzione dei contributi dei donatori al finanziamento
dell’operazione di soccorso.
Nella prassi tuttavia, nonostante gli indicatori siano stati definiti espressamente, a volte si rende
difficile sapere con certezza se l’uscita dall’emergenza è appropriata; gli indicatori vanno quindi intesi
74
Vedi WFP, Exiting Emergencies, cit.
98
come parte di un’exit strategy che sia flessibile e lasci spazio alla discussione, a valutazioni qualitative
e a giudizi basati sulle informazioni accessibili al personale sul campo del WFP e degli altri soggetti
coinvolti.
Elemento fondamentale da considerare nel pianificare una strategia d’uscita è il tipo e il grado di
partnership esistente con le altre agenzie ONU, le autorità locali e le ONG e, conseguentemente, è
necessaria l’inclusione del piano del WFP come parte integrante del piano strategico sviluppato dai
soggetti del sistema ONU.
3.3 IL WFP E LE EMERGENZE COMPLESSE
Spetta allo Stato territoriale garantire, in prima battuta, le esigenze umanitarie fondamentali della
popolazione, avendo in materia una “responsabilità primaria”. Le tre risoluzioni in materia di
assistenza umanitaria dell’Assemblea Generale ribadiscono infatti che “it is up to each State first and
foremost to take care of the victims of natural disasters and similar emergency situations occuring in
its territory”75. L’assistenza umanitaria interviene, quindi, soltanto in funzione suppletiva allorché il
sovrano territoriale si dimostri unable o unwilling di provvedere alle esigenze umanitarie della
popolazione ed è subordinata al consenso dello Stato. Tuttavia si parla anche dell’esistenza di un vero
e proprio dovere di assistenza umanitaria da parte della comunità internazionale76.
Il diritto umanitario internazionale, in tutte le disposizioni dedicate alla fornitura dei soccorsi, fa
riferimento alla necessità che il sovrano territoriale permetta l’accesso di tali soccorsi, anche se il
relativo obbligo è espresso in termini diversi a seconda del tipo di conflitto – internazionale o interno –
e dello status del territorio ai quali si riferisce77.
Anche le Nazioni Unite hanno affermato, se pur cautamente, il principio del libero accesso alle vittime
a partire dalle ris. 43/131, 45/100 e 46/182, per le quali “l’accesso alle vittime è essenziale78” e
l’“assistenza umanitaria dovrebbe essere fornita con il consenso dello Stato e in principio sulla base di
una richiesta del paese colpito”79, senza peraltro distinguere esplicitamente tra conflitti internazionali e
conflitti interni80. Il principio è stato nel tempo adottato anche dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU il
75
Vedi ris. AG 43/131, 45/100, 46/182.
Lattanzi, F. (1997) Assistenza umanitaria e intervento di umanità (Torino Giappichelli), p.10.
77
Vedi art. 59 della IV Convenzione di Ginevra applicabile ai conflitti internazionali, per cui gli Stati devono
accettare e facilitare le operazioni di soccorso. Nei conflitti interni, invece, la disciplina in materia di assistenza
umanitaria è contenuta nell’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra e all’art. 18 del II Protocollo.
78
“In providing humanitarian assistance, in particular the supply of food, medicines or health care, for which
access to victims is essential, rapid relief will avoid a tragic increase in the number of victims”, corsivo nostro,
ris. AG 43/131, 45/100, 46/182, cit., preambolo.
79
“humanitarian assistance should be provided with the consent of the affected country and in principle on the
basis of an appeal by the affected country”, corsivo mio, ris. 46/182, cit, par. I.3.
80
Vedi Mackintosh, K. The Principles of Humanitarian Action in International Humanitarian Law (HPG Report
5), op. cit., p. 9.
76
99
quale, dal conflitto in Bosnia Erzegovina in poi, ha iniziato a esigere dalle parti in conflitto un
“accesso integrale e senza restrizioni” alle vittime civili, esprimendosi in termini obbligatori81.
Di fatto l’accesso è però spesso negato, o comunque ostacolato, e l’efficacia dei soccorsi umanitari è
così ridimensionata. I paragrafi successivi affrontano le problematiche e i dilemmi connessi
all’assistenza alimentare in situazioni di emergenze complesse e in particolare il carattere “sensibile”
del cibo in tali crisi. Si esamina poi l’impatto di fattori caratterizzanti le emergenze complesse, quali
l’accesso umanitario e la massiccia presenza di rifugiati e sfollati, sulla programmazione e
sull’implementazione delle operazioni di emergenza del WFP.
3.3.1 Gli aiuti alimentari del WFP nelle emergenze complesse
Lo IASC, di cui il WFP è membro, ha definito le emergenze complesse come “una crisi umanitaria in
un paese, regione o società in cui vi sia una totale o considerevole delegittimazione dell’autorità
derivante da un conflitto interno o esterno e che richiede un intervento internazionale che vada al di là
del mandato o delle possibilità di una singola agenzia e/o del programma delle Nazioni Unite presente
nel paese82”.
L’azione umanitaria si è realizzata prevalentemente, e tutt’oggi si realizza, in tali ambiti di “emergenza
complessa”, spesso a conflitto ancora aperto, in cui risulta difficile distinguere tra combattenti e civili.
Esse sono caratterizzate da manifestazioni di violenza e da notevoli perdite di vite umane, da un
numero elevato di rifugiati, sfollati e dispersi, da ingenti danni alle strutture economiche e sociali ed
alle infrastrutture, dal collasso delle istituzioni politiche e da alti livelli di insicurezza alimentare. Tali
elementi possono risultare esasperati dall’eventuale coincidenza con disastri naturali quali siccità o
alluvioni83.
Le crisi complesse spesso si protraggono per anni di pari passo con le fasi del conflitto che oscilla e
rifluisce continuamente, a volte su base stagionale; sono volatili, ossia caratterizzate da cambiamenti
improvvisi, legate, ad esempio, a divisioni interne alle fazioni in lotta o a cambi di alleanze, che
81
Vedi ris. 758 (1992), 8 giugno 1992, par. 8 in cui il CdS “demand that all parties and others concerned create
immediately the necessary conditions for unimpeded delivery of humanitarian supplies to Sarajevo and other
destinations in Bosnia and Herzegovina” .
82
“A humanitarian crisis in a country, region, or society where there is a total or considerable breakdown of
authority resulting from internal or external conflict which requires an intenational response that goes beyond the
mandate or capacity of any single agency and/or the ongoing UN country programme”, vedi IASC, 10th meeting,
Dicembre 1994.
83
Vedi Maniscalco, M. L., “L’azione umanitaria: dilemmi e paradossi vecchi e nuovi”, in Rivista Trimestrale di
Scienza dell’Amministrazione”, n. 3, 2004, p. 10-11.
100
colpiscono le popolazioni e causano nuovi sfollamenti84, così che il livello dei bisogni umanitari
cambia di conseguenza.
Il WFP dagli anni novanta ad oggi ha distribuito tonnellate di cibo a milioni di persone in situazioni di
emergenze complesse; nonostante ciò, sono stati numerosi i civili che il WFP non è stato in grado di
raggiungere. I costi di consegna sono aumentati, massicce quantità di cibo sono state perse, rubate o
non allocate nel migliore dei modi e molte sono state le critiche che nel tempo sono state rivolte al il
WFP e alla comunità umanitaria nel complesso. Le sfide poste da situazioni di emergenza complessa,
infatti, sono molteplici e richiedono una continua evoluzione delle politiche e delle pratiche adottate.
Dei problemi ricorrenti che l’assistenza alimentare del WFP affronta nelle emergenze complesse, si
pone per primo in ordine temporale l’accesso alle vittime, di cui si dirà nel paragrafo successivo.
Accanto all’accesso, che rimane un elemento molto instabile per tutta la durata dell’emergenza, appare
altrettanto difficile assicurare la protezione del personale e un ambiente sicuro in cui effettuare le
operazioni, determinare il numero di persone bisognose di assistenza, il grado di tale assistenza, e
mantenere le rispettive stime aggiornate, è altrettanto difficile.
I dislivelli nelle informazioni, i dubbi sull’affidabilità di molti dati e le difficoltà nella verifica delle
informazioni, infatti, sono tutti elementi peculiari a questa tipologia di emergenze e si ricollegano al
generale collasso della struttura socio-politica del paese, all’assenza di istituzioni locali rappresentative
di tutta la società e alla presenza di interessi settari (così che le informazioni si riferiscono solo a
determinati gruppi e sono soggette a manipolazioni). La mancanza di dati attendibili è di regola più
acuta nelle prime fasi di un’emergenza ma l’esperienza dimostra che, dopo un graduale miglioramento,
tale affidabilità declina nel tempo. I leader locali o i gruppi che controllano una determinata zona,
infatti, ad un certo punto capiscono come funzionano i meccanismi di valutazione e di allocazione
degli aiuti del WFP e come assicurarsi, manipolandoli, maggiori risorse85.
Stabilire stime realistiche del numero di persone bisognose di assistenza è attività delicata per il WFP;
i numeri sono spesso politicamente “sensibili” e costituiscono un frequente motivo di frizione tra le
agenzie, i rappresentanti delle popolazioni e coloro che detengono il potere a differenti livelli, e a volte
finiscono per essere oggetto di vere e proprie negoziazioni. Laddove mancano le istituzioni, il WFP
usa come fonte di informazione gli attori locali: il suo staff sul campo, le chiese, i consigli, le ONG.
Il cibo rappresenta un elemento chiave nelle emergenze complesse in quanto costituisce un mezzo
essenziale di sopravvivenza per la popolazione ma anche una risorsa strategica strumentalizzata dalle
84
Secondo l’analisi condotta dall’uffico di valuazione del WFP, la divisone interna al SPLA è stato uno dei
fattori determinanti al verificarsi della carestia nel Sudan meridionale nel 1991. Vedi WFP, Recurring
Challenges in the Provision of Food Assistance in Complex Emergencies – the problems and dilemmas faced by
WFP and its partners, Ron Ockwell, Office of Evaluation, WFP, settembre 1999, Roma, p. 3.
85
Vedi Guarnieri, V., “Food aid and Livelihoods: Challenges and Opportunities in Complex Emergencies”, in
Forced Migration Review, n. 20, 2004, pp. 4 - 6.
101
forze belligeranti e un bene economico prezioso, suscettibile di essere accumulato e commerciato.
Sebbene il WFP tenti di essere neutrale in situazioni di conflitto e di fornire assistenza in modo
imparziale, cioè sulla base dei bisogni, gli aiuti forniti, in particolare quando si tratta di ingenti aiuti
alimentari, non sono mai privi di conseguenze sull’evoluzione degli eventi e delle azioni degli attori
coinvolti nella crisi. Accade ad esempio che l’assistenza fornita si frapponga - involontariamente - agli
obiettivi di alcune fazioni in lotta, diventandone un bersaglio, oppure fornisca un non intenzionale
supporto alle loro operazioni militari86.
Il cibo, poi, offre legittimità e rinforza l’autorità del governo o della fazione che controlla l’area o che,
di fatto, ne controlla la distribuzione. Le operazioni logistiche di consegna e distribuzione, a loro volta,
generano un’attività economica considerevole, rappresentando a volte la principale fonte di
occupazione e di guadagno nelle aree colpite dalla crisi87.
Il rischio più ricorrente è che il cibo venga usato come un’arma politica e militare. In quasi tutte le
crisi fronteggiate dalla comunità umanitaria, le fazioni in lotta hanno cercato di manipolare i processi
di allocazione e distribuzione per favorire le “loro” aree o popolazioni. Le distribuzioni di cibo sono
state usate, in alcuni teatri di crisi, come “esca” per attrarre le persone verso specifiche località dove
potevano essere controllate (Burundi, 1998), attaccate (Zaire orientale, 1997) o creare sfollamenti
artificiali per ottenere gli aiuti (Congo orientale, 1997).
La negazione del cibo è stata anche usata come mezzo per influenzare il voto nelle elezioni (Bosnia,
1996-98) o spingere le popolazioni a lasciare la loro terra e trovare rifugio in aree controllate dal
governo in modo da gravare sulle risorse a disposizione di quest’ultimo e danneggiarne la capacità di
controllo (Angola, 1993-9). Per tutte le ragioni illustrate, gli aiuti alimentari forniti dalla comunità
umanitaria nelle emergenze complesse sono stati in passato accusati da più parti di alimentare e
prolungare i conflitti.
Da queste considerazioni emerge l’esigenza del WFP di monitorare la destinazione del cibo ai
beneficiari identificati e il suo impatto successivo. Sebbene no-food-without-monitoring sia un
principio generalmente applicato dall’agenzia, sono frequenti le eccezioni nelle emergenze complesse,
dove a volte il monitoraggio si limita alle consegne e alle distribuzioni, tralasciando le fasi successive,
a causa di restrizioni imposte dalle parti, risorse insufficienti o ragioni di sicurezza. Ciò non sembra
86
Ciò accade ad esempio quando i camion del WFP che trasportano cibo, messi a disposizione per lavorare con
il WFP e che non circolerebbero in quelle aree se non in ragione dei contratti firmati con l’agenzia, sono requisiti
da militari o bande armate (ad esempio in Zaire, 1996-97). Vedi WFP, Recurring Challenges in the Provision of
Food Assistance in Complex Emergencies – the problems and dilemmas faced by WFP and its partners, cit., p.
14.
87
Le operazioni di assistenza alimentare, infatti, possono essere una fonte di guadagno per gli attori del conflitto
sia diretta, attraverso contratti o appropriazione indebita, o indiretta, attraverso la tassazione; spesso sono state
imposte tasse sul passaggio dei convogli del WFP (Bosnia), sui beneficiari (Liberia) o gli operatori locali
incaricati della distribuzione (Zaire). Vedi WFP, Recurring Challenges in the Provision of Food Assistance in
Complex Emergencies – the problems and dilemmas faced by WFP and its partners, cit., p. 14.
102
del tutto coerente con il principio di neutralità che impone all’assistenza umanitaria la non
partecipazione (diretta o indiretta) alle ostilità, da cui può ricavarsi il corollario del controllo effettivo
delle risorse immesse nell’area del conflitto da parte delle organizzazioni di soccorso, inteso sia come
supervisione della distribuzione sia come monitoraggio della post-distribuzione88.
Non solo le parti in lotta, ma anche la comunità internazionale ha usato e usa il cibo come strumento di
pressione politica. Molti stati donatori ricorrono all’ear-marking, devolvendo i propri fondi a specifici
programmi o crisi, favorendo operazioni umanitarie in paesi considerati strategici e magari trascurando
paesi che versano in situazioni di crisi di ben maggiore entità. Alcuni donatori hanno condizionato i
contributi al WFP al loro impiego in specifici progetti in località determinate, deliberatamente
favorendo alcuni gruppi e escludendone altri. Allo stesso modo, contributi sono stati ritirati o
indirizzati verso altre agenzie quando il WFP si è rifiutato di organizzare distribuzioni in località
“suggerite” dai donatori89. Gli stessi Rappresentanti Speciali (SRSG), in conformità al loro mandato di
cercare soluzioni politiche alle crisi, hanno più volte chiesto al WFP e alle altre agenzie umanitarie di
modificare i loro piani di distribuzione allo scopo di facilitare i negoziati politici in corso90.
Se decidere il tipo di aiuto da destinare, a chi, e se e quando ritirarlo, è di per sé una sfida per i
funzionari del WFP, che per di più si acuisce in un contesto di emergenza complessa, ciò prende le
forme di un vero e proprio dilemma quando si constata che, sempre più spesso, sono i donatori a
decidere sull’allocazione delle risorse e l’agenzia ha poca discrezione nel fornire assistenza secondo le
proprie valutazioni dei bisogni tra i differenti paesi, aree o gruppi individuati. Il risultato è, tra gli altri,
quello di esporsi all’accusa di coloro i quali la criticano di essere, se pur non intenzionalmente, uno
strumento della politica estera degli Stati donatori.
3.3.2 L’accesso ai beneficiari nelle emergenze complesse
88
Vedi Mackintosh, K. The Principles of Humanitarian Action in International Humanitarian Law (HPG Report
5), op. cit., p. 11.
89
Negli anni 1997-98, ad esempio, USAID richiese che il cibo da loro donato venisse distribuito a determinati
gruppi nelle regioni di Bay e Bakool (Somalia centrale); tale richiesta fu disattesa dal WFP per motivi di
sicurezza. Come risultato, il WFP perse gran parte delle donazioni di USAID. Vedi WFP, Recurring Challenges
in the Provision of Food Assistance in Complex Emergencies – the problems and dilemmas faced by WFP and
its partners, cit., p. 13.
90
Ad esempio in Afghanistan, Angola, Liberia, Somalia; di solito queste richieste sono state “gentilmente”
respinte dal WFP, ma tensioni si sono verificate durante la crisi in Afghanistan (1992-94) nella quale la direzione
generale di tutte le attività politiche e umanitarie è stata affidata alla stessa persona. Vedi WFP, Recurring
Challenges in the Provision of Food Assistance in Complex Emergencies – the problems and dilemmas faced by
WFP and its partners, cit., p. 26.
103
Uno dei maggiori ostacoli all’assistenza umanitaria delle Nazioni Unite e ai soccorsi alimentari
d’urgenza del WFP in particolare è costituito, come si è detto, dagli impedimenti frapposti all’accesso
degli aiuti alle vittime. Tale difficoltà non è limitata alle situazioni di conflitto ma può verificarsi
anche quando un gruppo di persone è isolato e/o ostacolato nell’accesso all’assistenza umanitaria in
ragione del proprio status economico, politico, etnico o religioso o delle condizioni di salute.
Il WFP considera l’accesso umanitario una pre-condizione dell’assistenza umanitaria91. Dall’accesso,
infatti, dipende il movimento, libero e sicuro, del personale umanitario per distribuire beni di soccorso
e per raggiungere i civili impossibilitati a muoversi a causa di conflitti, disastri naturali o che si
trovano in altre situazioni di accesso difficile. L’accesso umanitario, poi, è fondamentale per poter
eseguire valutazioni imparziali dei bisogni della popolazione a rischio e quindi fornire l’assistenza
adeguata.
L’accesso umanitario è normalmente frutto di negoziazioni con le parti belligeranti con cui si stabilisce
la sospensione parziale, ratione loci o ratione temporis, delle ostilità. Lo spazio umanitario così
garantito, tuttavia, può ampliarsi o restringersi in qualunque momento per il determinarsi dei più
disparati fattori, in primis di tipo politico o relativi alla sicurezza; esso quindi richiede una diplomazia
costante.
Il termine negotiated access risale al primo accordo del genere concordato dalle Nazioni Unite. Nel
1989 Operation Lifeline Sudan (OLS), il programma umanitario creato dall’ONU e realizzato dal
WFP, dall’UNICEF e da varie ONG locali, ha concluso un accordo con il governo sudanese e il Sudan
People’s Liberation Movement (SPLA)92 per far giungere i soccorsi ai beneficiari nel Sudan
meridionale e agli sfollati dei campi di Khartoum attraverso l’istituzione di “corridoi umanitari”.
L’esperienza è stata da lì in poi ripetuta, dal WFP e dalle altre agenzie ONU, in altri teatri di crisi ad
esempio in Afghanistan, Angola e Etiopia, con varie formule quali ad esempio i “corridoi di pace”, le
“aree sicure”, i “corridoi sicuri” e i “giorni di tranquillità”93.
Le operazioni di emergenza del WFP sono intralciate non solo dalle restrizioni o dal diniego
dell’accesso da parte dello Stato o delle entità non statali che controllano determinate aree del paese,
ma anche dalle estorsioni da parte di bande locali o dalla stessa incapacità dello Stato territoriale di
91
“Humanitarian access involves the free and unimpeded movement of humanitarian personnel to deliver relief
services, or the free and safe movement of humanitarian agencies to reach civilians who are trapped, unable to
move or detained because of armed conflict, natural disasters and other difficult access situations. Humanitarian
access allows impartial assessment of the needs of populations at risk and the delivery of assistance to respond to
those needs. Access is therefore a precondition for humanitarian action”, corsivo nostro, vedi WFP, Note on
humanitarian access and its implications for WFP, WFP/EB.1/2006/5-B/Rev.1,marzo 2006, par.5.
92
Si tratta dell’Agreement on the implementation of the principles governing the protection and provision of
humanitarian assistance to war affected civilian populations. Vedi WFP, Note on humanitarian access and its
implications for WFP, cit., par. 6. Vedi anche Zorzi Giustiniani, F., Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria,,
op. cit., p. 106.
93
Vedi WFP, Note on humanitarian access and its implications for WFP, cit., par. 6.
104
garantire la sicurezza del personale umanitario. Tali impedimenti sono spesso acuiti dal collasso di
infrastrutture essenziali nella distribuzione degli aiuti o da altri ostacoli di percorso come la presenza
di mine o di ordigni inesplosi.
Le conseguenze di un accesso ostacolato o ritardato sono numerose, innanzitutto le valutazioni e i
monitoraggi dei bisogni risultano inesatti, se non del tutto assenti, e a loro volta conducono a piani
strategici e operativi fondati su informazioni incomplete94. La consegna del cibo, in secondo luogo,
avviene in ritardo, se non addirittura cancellata, il livello nutritivo dei beneficiari si deteriora, così che
si rendono necessarie razioni di cibo supplementare e terapeutico. I costi di trasporto e consegna, poi,
aumentano a causa del ricorso a meccanismi di distribuzione detti di last resort, come ad esempio il
lancio degli aiuti dagli aerei quando è impossibile raggiungere i destinatari via terra. La percezione di
neutralità del WFP, infine, può risentirne95 e la sicurezza del personale è messa a rischio.
Con la creazione dell’OCHA e dell’ERC ai sensi della ris. 46/182, la responsabilità complessiva della
negoziazione dell’accesso è stata centralizzata in linea con i tentativi di rafforzare la coerenza della
risposta umanitaria delle Nazioni Unite96. L’ERC e l’OCHA, che godono di un credito politico
maggiore rispetto alle singole agenzie grazie al rapporto privilegiato con il Segretario Generale, sono
attivamente coinvolti nel condurre le negoziazioni a livello centrale, in stretta consultazione con il
coordinatore umanitario e il country team. A livello locale, infatti, il coordinatore umanitario/residente
è responsabile, insieme al country team, di raggiungere un accordo quadro all’interno del quale, poi, le
singole agenzie negoziano intese dettagliate nei rispettivi settori assumendo un ruolo di leadership a
seconda del tipo di assistenza predominante nella crisi. Come UNHCR negozia l’accesso ai rifugiati e
l’UNICEF ai bambini, il WFP negozia l’accesso per consegnare il cibo quando l’insicurezza
94
In Darfur nel 2004, ad esempio, la mancanza di accesso ha impedito al WFP di raccogliere i dati relativi ai
nuclei familiari di 30 comunità sulle 75 selezionate. Le aree controllate dai ribelli dello SPLA, infatti, erano
particolarmente difficili da raggiungere e richiedevano un permesso di ingresso negoziato con i comandanti
locali. La valutazione dei bisogni complessivi della regione che ne è risultata è stata del tutto inadeguata rispetto
alla reale situazione delle aree sotto il controllo del SLA. Vedi WFP (2004), Emergency Food Security and
Nutrition Assessment in Darfur, Sudan, Roma.
95
Durante la crisi in Angola nel 1993-94, ad esempio, la difficoltà per il personale del WFP di accedere alle aree
controllate dai ribelli dell’UNITA per condurre le sue missioni di valutazione fece sì che un’alta percentuale
degli aiuti fosse distribuita nelle aree sotto il controllo del governo. Di conseguenza il WFP fu acusato
dall’UNITA di non essere neutrale e, attraverso gli aiuti, favorire la resistenza delle aree filo-governative; la
tensione si manifestò più volte attraverso blocchi dei convogli stradali e spari contro gli aerei che trasportavano
cibo del WFP. Vedi Vedi Mc Hugh, G., Bessler, M., Humanitarian Negotiations with Armed Groups, New
York, United Nations, 2005, par. 3.2.1.
96
Su richiesta del Segretario Generale dell’ONU, un gruppo informale dello IASC, presieduto dall’OCHA e di
cui il WFP è parte, ha elaborato nel 2005 un manuale sui negoziati umanitari con i gruppi armati ad uso del
personale delle Nazioni Unite per consentire di individuare le caratteristiche dei loro interlocutori (struttura del
gruppo, motivazioni, rivendicazioni, dimensione etno-culturale) e condurre i negoziati con la massima sicurezza
e cautela. Vedi Vedi Mc Hugh, G., Bessler, M., Humanitarian Negotiations with Armed Groups, op.cit.
105
alimentare è la priorità da affrontare97. Nel fare ciò deve spesso concordare, nel ruolo di cluster lead
della logistica che le è stato assegnato, operazioni di trasporto che travalicano i confini nazionali o
attraverso aree in aperto conflitto. Il WFP negozia attraverso il suo Country Director.
Il WFP, in quanto food agency, inoltre, ha esigenze specifiche che devono essere costantemente
tutelate e fatte presenti nelle consultazioni tra le agenzie. L’accesso, infatti, deve essere continuo
poiché le consegne del cibo, a differenza di altri beni di soccorso che possono essere distribuiti una
tantum, devono essere regolari e tempestive. La sensibilità politica implicita in questa forma di aiuti
impone precauzioni ulteriori: si è detto infatti come il cibo possa essere usato come un’“arma” o
comunque influenzare le dinamiche di potere tra i gruppi. L’assistenza alimentare ha poi esigenze
logistiche particolari come ad esempio la presenza di depositi sicuri e adeguati e di un’ampia
pianificazione del trasporto, essendo il cibo voluminoso, deperibile e costoso da trasportare.
Non è possibile standardizzare un approccio del WFP all’accesso umanitario: ogni accesso è casespecific, richiede quindi capacità diplomatiche, un approccio flessibile e il bilanciamento, di volta in
volta, tra i bisogni dei civili e le esigenze di sicurezza del personale e degli stessi beneficiari. Ogni
emergenza complessa richiede un’analisi attenta degli aspetti politici, sociali ed economici della crisi.
Sebbene, infatti, i negoziati umanitari per garantire l’accesso alle vittime debbano mantenersi separati
da quelli politici, essi non possono essere condotti in un vacuum politico e devono essere politicamente
informati in modo da non danneggiarsi reciprocamente 98.
La cornice giuridico-politica entro cui si sviluppano i negoziati del WFP è composta dai principi del
diritto umanitario internazionale, dai diritti umani e dei rifugiati, dai principi umanitari e dalle policies
che guidano le sue operazioni di emergenza e dai requisiti di sicurezza operativa elaborati dalle
Nazioni Unite99. Nel complesso, essi costituiscono gli standards minimi e i compromessi ammissibili
entro cui il WFP conduce le sue negoziazioni. Tra questi standards, l’agenzia accorda un peso
rilevante all’aderenza alla sua politica di genere per la quale le donne, quando sussistono le condizioni
di sicurezza, sono incaricate di ricevere e distribuire le razioni agli altri membri della comunità100.
Policies altrettanto basilari cui devono conformarsi i contenuti degli accordi consistono nel divieto di
97
Il WFP ha assunto un ruolo di lead agency nei negoziati umanitari che si sono svolti in Sierra Leone dal 1997
in poi, ha assunto la guida dei negoziati con il governo e i ribelli in Guinea-Bissau nel 1998, dopo una prima
azione diplomatica condotta dal RC e ha avuto un ruolo chiave nella negoziazione dei “corridoi umanitari” in
Sudan tra il 1996 e il 1999. Vedi WFP, Note on humanitarian access and its implications for WFP, cit., par.23.
98
Vedi WFP, Note on humanitarian access and its implications for WFP, cit., par. 26.
99
Il WFP opera sotto la guida politica di United Nations Department on Safety and Security e conformemente a
United Nations Minimum Operational Security Standards (MOSS).
100
Sebbene il ricorso alle donne nelle operazioni di distribuzione si sia rilevato un approccio vincente in molti
contesti, in particolare nei campi dei rifugiati, in altri casi ha esposto le donne al rischio di attacchi (Liberia,
Angola). Vedi WFP, Gender Policy (2003-2007) - Enhanced Commitments to Women to Ensure Food security,
WFP/EB.3/2002/4-A, settembre 2002.
106
pagare per ottenere l’accesso ai beneficiari e di trasportare armi o persone armate su veicoli
contrassegnati dal logo del WFP.
Un ruolo importante è svolto dalle ONG e dall’ICRC, con cui il WFP e le altre agenzie collaborano per
ottenere e mantenere l’accesso ai beneficiari quando esse non possono essere presenti in prima
persona. In situazioni particolarmente a rischio, infatti, il regolamento sulla sicurezza delle Nazioni
Unite proibisce l’accesso delle agenzie. In quei casi il WFP e gli altri organismi ONU si adoperano per
sviluppare partnership innovative con le ONG, l’ICRC o altri attori della società civile che hanno
politiche di sicurezza più flessibili allo scopo di garantire che gli aiuti arrivino comunque a
destinazione101. Requisito fondamentale di tali accordi è assicurarsi che il partner coinvolto sia
percepito dalla popolazione come neutrale e abbia concluso i necessari accordi con le autorità locali.
L’accesso negoziato dalle Nazioni Unite, dove realizzato, non ha dato purtroppo sempre i frutti sperati.
Per prima cosa, sebbene il WFP il più delle volte tenti di negoziare, in una situazione di conflitto, sia
con i rappresentanti del governo che con i movimenti ribelli o i warlords locali per garantire
l’assistenza alle rispettive popolazioni, in quanto agenzia dell’ONU ha dovuto spesso agire in linea con
i desideri del governo riconosciuto (quando esiste) o nel quadro degli accordi speciali conclusi dalle
Nazioni Unite con il governo (come ne caso di OLS in Sudan), finendo con l’assistere solo le zone
sotto il controllo governativo.
Il cosiddetto humanitarian-access-first approach adottato dall’ONU, poi, rischia di influire
negativamente sull’efficacia dell’azione umanitaria, trasformando l’accesso da mezzo a fine
(“l’accesso a tutti i costi”). In certi casi tale approccio ha subordinato gli obiettivi umanitari al
tentativo di condurre i belligeranti al tavolo della pace o ha finito per favorire in concreto più le parti
belligeranti che la popolazione civile102.
Tale considerazione si lega ad un’analisi critica della progressiva integrazione di assistenza umanitaria
e azione politica sviluppata a partire dagli anni novanta dal Segretario Generale e dal Consiglio di
Sicurezza dell’ONU. L’Agenda per la Pace del 1992 ha, infatti, fornito la cornice concettuale di una
nuova strategia integrata di risoluzione dei conflitti armati di cui l’assistenza umanitaria dovrebbe far
101
In seguito all’eruzione del vulcano Nyiragongo a Goma nel 2002, ad esempio, il WFP ha concordato un
meccanismo “creativo” di divisione delle responsabilità per cui il WFP forniva le razioni alimentari, le autorità
governative gestivano le liste dei beneficiari e i gruppi politici dell’opposizione della società civile monitoravano
la distribuzione. Questa fomula di inclusione degli attori locali, sotto la generale supervisione del WFP, ha
funzionato bene anche grazie alla costruzione di un sistema di accountability di tutte le parti. Vedi WFP, Note on
humanitarian access and its implications for WFP, cit., par. 36.
102
Nel conflitto bosniaco, ad esempio, i belligeranti acconsentirono a firmare accordi speciali al solo scopo di
ottenere credibilità a livello internazionale, senza che ci fosse la reale volontà di rispettarli. Vedi Zorzi
Giustiniani, F., Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria,, op. cit., p. 109.
107
parte.103 La riforma lanciata dal Segretario Generale nel 1997 rappresenta il tentativo successivo di
porre in essere tale approccio, attraverso il rafforzamento dello Special Representative (SRSG) che il
Segretario Generale nomina in situazioni di emergenze complesse di particolare rilievo104.
Quando nel teatro di crisi sono presenti forze di peacekeeping dell’ONU o missioni di monitoraggio
che vengono percepite come non neutrali da parte dei gruppi locali, ciò può compromettere anche la
percezione di neutralità di cui godono il WFP e le altre agenzie umanitarie da parte di chi non
distingue correttamente tra i due gruppi di attori ONU.
In ultima analisi, il collegamento dell’azione umanitaria a fini politici non sembra del tutto compatibile
con i principi di imparzialità e neutralità riconosciuti dalla stessa Assemblea Generale come
fondamento dell’assistenza umanitaria. Il ruolo dell’azione umanitaria non è e non può essere quello di
risolvere i conflitti o mettere fine alle violazioni dei diritti umani, che rimangono, in ultima analisi,
obiettivi dell’azione politica105.
3.3.3 Il WFP e i rifugiati
La Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 definisce rifugiato “una persona che temendo
a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un
determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e
non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che,
non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di
siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per lo stesso timore”.
I diritti dei rifugiati, codificati dalla Convenzione del 1951 e estesi a chiunque rientri nella suddetta
definizione dal Protocollo del 1967, prevedono tra gli altri il fondamentale principio di non-
103
“Al Consiglio di Sicurezza è stata assegnata da tutti gli Stati membri la responsabilità primaria per il
mantenimento della pace e della sicurezza internazionale in base allo Statuto. Nel suo senso più ampio questa
responsabilità deve essere condivisa dall'Assemblea Generale e da tutti gli elementi funzionali
dell'Organizzazione. Ciascuno di essi ha un ruolo speciale e indispensabile da giocare in un approccio integrato
alla sicurezza umana”, traduzione mia, vedi Agenda for peace, preventive diplomacy, peacemaking and
peacekeeping, Report of the Secretary General pursuant to the statement adopted by the Summit Meeting of the
Security Council n 31 January 1992, A/47/277-S/2411, 17 giugno 1992, par. 15.
104
Vedi supra, par. 3.1.3.
105
Vedi Maniscalco, M. L., “L’azione umanitaria: dilemmi e paradossi vecchi e nuovi”,op. cit., p. 18-19.
108
refoulement, secondo il quale nessuno Stato contraente potrà espellere o rimandare (refouler) in nessun
modo un rifugiato, contro la sua volontà, verso un territorio dove teme di essere perseguitato106.
L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) è l’agenzia dell’ONU incaricata di
fornire protezione internazionale e assistenza materiale ai rifugiati ed è attualmente competente anche
per i richiedenti asilo, i rifugiati rimpatriati (returnees) e gli sfollati interni107.
Ai fini dei suoi interventi, con rifugiati il WFP indica quelle persone che ricadono sotto la protezione
di UNHCR108. I rifugiati sono riconosciuti dal WFP come una categoria speciale di beneficiari per tre
ragioni: essi hanno bisogni particolari dovuti al fatto che sono stati costretti a lasciare non solo le loro
case e i loro mezzi di sostentamento, ma anche il loro paese; costituiscono un peso addizionale
(temporaneo, ma spesso protratto nel tempo) per il governo del paese ospitante, che è spesso già
povero, e sulle risorse naturali e ambientali dell’area in cui si stabiliscono (spesso a danno della
sicurezza alimentare di lungo periodo della popolazione ospitante); la comunità internazionale ha la
responsabilità di assicurare la protezione dei rifugiati e aiutare il governo che li ospita, se necessario, a
fornire loro assistenza materiale. Sebbene li riconosca come una categoria speciale, il WFP fornisce
assistenza ai rifugiati in ragione del loro livello di insicurezza alimentare e non del loro status.
Il WFP assiste i rifugiati nel quadro del memorandum di intesa (MOU) concluso con UNCHR nel
2002. Quando si verifica un nuovo flusso di rifugiati in una crisi già esistente e UNCHR è presente nel
paese, viene condotta il prima possibile una missione di valutazione congiunta (Joint Assessment
Mission-JAM) per accertarne i bisogni immediati.
Nel caso di una nuova crisi di rifugiati, invece, i pre-requisiti della mobilitazione di WFP e UNHCR
sono leggermente diversi. Se UNCHR è già presente nel paese, risponde alla crisi nel quadro fornito
dall’accordo che ha firmato con il governo; se non ancora presente, può offrire i suoi servizi al
governo ma comunque necessita di una sua richiesta prima di stabilirsi nel paese, eseguire una
valutazione e fornire assistenza. Il WFP, invece, può agire sulla base di una richiesta dello Stato
indirizzata al WFP medesimo, a UNHCR o al sistema dell’ONU nel complesso, oppure sulla base di
una richiesta da parte del Segretario Generale dell’ONU. Se già presente nel paese, poi, può iniziare gli
accertamenti, in collaborazione con le autorità governative, anche prima della richiesta formale del
governo.
106
Convenzione relativa allo status dei rifugiati, Art. 33: “Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere in nessun modo – un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a
causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue
opinioni politiche”.
107
I rifugiati nel mondo (stime 2007) sono sedici milioni, di cui 11,4 sotto il mandato di UNHCR e 4,6 sotto il
mandato di UNRWA, vedi UNHCR, 2007 Global Trends: Refugees, Asylum-seekers, Returnees, Internally
Displaced and Stateless Persons, giugno 2007.
108
Nel 2007 il WFP ha assistito 1.9 milioni di rifugiati e 0,8 milioni di returnees nel mondo. Vedi WFP, WFP
Annual Report 2007, cit. p. 8.
109
Il WFP fornisce assistenza se il numero dei rifugiati è superiore a 5000 e se, in seguito alla valutazione
della sicurezza alimentare, risulta che essi necessitano di assistenza alimentare. Mentre UNHCR ha il
compito di determinare, insieme al governo del paese ospitante, lo status dei richiedenti asilo e il
numero totale dei rifugiati che vivono in quel paese, attraverso la compilazione di appositi registri, il
WFP fornisce assistenza alimentare ai rifugiati che ne hanno bisogno: il numero di assistiti da UNCHR
può dunque differire dal numero di rifugiati beneficiari del WFP. Tuttavia le due agenzie collaborano,
sulla base dello Joint Assessment Guidelines, nel determinare il numero dei rifugiati che necessitano
degli aiuti alimentari e sviluppano un piano (Joint Plan of Action) che delinea gli obiettivi e gli accordi
operativi di ogni operazione congiunta.
Nel caso di rifugiati rimpatriati, il WFP ha evidenziato la necessità di stabilire se il cibo sia o meno
una risposta appropriata. Quando i returnees si stanziano in aree urbane dove il cibo è disponibile,
fornire aiuti sottoforma di contante può costituire una risposta più adeguata alle loro esigenze. In caso
di rimpatrio in aree rurali o dove il cibo non è immediatamente disponibile, invece, WFP e UNHCR
hanno accertato che il migliore sostegno in questa fase iniziale consiste nel fornire aiuti alimentari su
una base trimestrale che può eventualmente essere estesa.
UNHCR è responsabile del monitoraggio dello stato nutrizionale dei rifugiati assistiti e
l’implementazione di eventuali programmi di alimentazione supplementare. Per quanto riguarda gli
aspetti logistici, il WFP è responsabile del trasporto del cibo fino ai punti estesi di consegna (extended
delivery points -EDPs), mentre da lì alla destinazione finale la responsabilità passa a UNHCR. La
distribuzione è regolata da specifici accordi tra le agenzie e il governo, in consultazione con i
beneficiari, secondo il principio della massima partecipazione dei membri delle comunità, in
particolare delle donne; la direzione generale di questa fase è di regola affidata a un implementing
partner di UNHCR.
Il memorandum di intesa WFP-UNHCR dedica particolare importanza alla creazione delle condizioni
per raggiungere soluzioni durature e la promozione dell’autosufficienza attraverso una serie di attività
dirette all’empowerment socio-economico dei rifugiati e rimpatriati nelle comunità locali; le agenzie si
impegnano a collegare le attività di reintegrazione ai programmi di riabilitazione e sviluppo a lungo
termine del governo e degli altri attori coinvolti109. L’accordo infine prevede una stretta collaborazione
sul campo e il costante scambio di informazioni tra le due agenzie.
109
Memorandum di intesa WFP-UNHCR, Art 3.11: “In accordance with their respective mandates, UNHCR and
WFP will promote the use of assistance to encourage and build the self-reliance of the beneficiaries. This will
include programming food anf non-food aid to support asset-building, training, income-generation and other
self-reliance activities (..)”.
110
3.3.4 Il WFP e gli sfollati
Lo sfollamento di civili è ormai una delle maggiori questioni umanitarie del nostro tempo: secondo
stime di UNHCR, gli sfollati nel mondo sono 51 milioni110. Gli internally displaced people (IDPs)
sono civili costretti a lasciare le proprie case e terre a causa di un conflitto armato, di un clima di
violenza generalizzata, di episodi di violazione dei diritti umani, di disastri naturali o causati dall'uomo
e che non hanno attraversato una frontiera statale internazionalmente riconosciuta111.
Gli sfollati sono stati tradizionalmente considerati come un affare interno degli Stati interessati e le
agenzie umanitarie hanno generalmente non assistito gli IDPs a meno che non venisse loro
esplicitamente richiesto dai governi. Non esiste, infatti, una specifica agenzia responsabile
dell’assistenza e della protezione degli sfollati: attualmente ci sono sette diverse organizzazioni che si
occupano degli sfollati che sono, oltre al WFP, UNHCR, l’UNDP, UNICEF, WHO, IOM e ICRC. Il
cibo è di norma la prima esigenza degli sfollati, sebbene altri bisogni siano altrettanto essenziali, in
particolare la protezione della loro incolumità fisica e dei diritti umani.
La protezione internazionale accordata agli IDPs è stata alquanto insoddisfacente nei decenni passati e
solo nel 1997 il Segretario Generale dell’ONU ha nominato il Rappresentante Speciale delle Nazioni
Unite per gli sfollati e reso il Coordinatore delle Nazioni Unite per il Soccorso di Emergenza (ERC)
responsabile della protezione e dell’assistenza degli sfollati interni.
I Principi Guida sugli sfollati sono stati elaborati dal Rappresentante Speciale del Segretario Generale
per gli sfollati, e presentati alla Commissione per i Diritti Umani nel 1998, con l’intento di
compendiare in un unico documento le pertinenti norme dei diritti dell’uomo e del diritto umanitario
applicabili in situazioni di sfollamento. Essi costituiscono dunque il primo e completo tentativo di
articolare la protezione e l’assistenza ai bisogni degli sfollati. In quell’occasione molte organizzazioni,
tra cui WFP, UNHCR, UNICEF e CICR, hanno dichiarato il proprio sostegno al documento,
incoraggiando così molti governi a fare altrettanto.
I Principi Guida non sono stati approvati formalmente ma molti governi, agenzie dell’ONU,
organizzazioni regionali o non governative hanno da subito cominciato a fare riferimento ad essi o ad
utilizzarli come fondamento per i propri programmi, leggi o politiche pubbliche, nonostante molti
governi si fossero opposti alla loro applicazione considerandoli una violazione della propria sovranità.
110
Secondo tali stime, di 51 milioni di IDPs 26 milioni sono dovuti a conflitti armati e 25 milioni a disastri
naturali, vedi UNHCR, 2007 Global Trends: Refugees, Asylum-seekers, Returnees, Internally Displaced and
Stateless Persons, cit., p. 2.
111
I Principi Guida danno la seguente definizione di internally displaced people: “persons or groups of persons
who have been forced or obliged to flee or to leave their home or places of habitual residence, in particular as a
result of or in order to avoid the effects of armed conflict, situations of generalized violence, violations of human
rights or natural or human-made disasters, and who have not crossed an internationally recognized border." Vedi
Guiding Principles on Internal Displacement, introduzione, art.2.
111
Sebbene non legalmente vincolanti per se, i Principi Guida codificano il diritto vigente, riaffermando
quanto prescritto dal diritto umanitario internazionale e dai diritti umani. Essi sono stati adottati dallo
IASC nel 1998 (ma non dall’ECOSOC) e costituiscono il parametro di riferimento del WFP nella sua
attività.
Nel 2000, l’ONU ha istituito il Senior Inter-Agency Network on Internal Displacement nell’ambito
dello IASC con il compito di condurre missioni e analisi relative a situazioni di sfollamento
particolarmente critiche e favorire una risposta umanitaria dell’ONU efficiente e coordinata di fronte
alle esigenze degli sfollati, in cui ogni agenzia contribuisca allo sforzo congiunto sotto un sistema di
coordinamento unificato all’interno del paese interessato.
Nel marzo del 2000 fu proposto che UNHCR assumesse la piena responsabilità degli sfollati, con il
ruolo di lead agency nella protezione e assistenza degli IDPs e UNCHR rispose positivamente. Dopo
numerosi rinvii, nel 2005 il Coordinatore delle Nazioni Unite per il Soccorso di Emergenza (ERC) ha
finalmente assegnato la responsabilità per la protezione degli sfollati a UNHCR, dando forma alla già
avanzata proposta di un agenzia a capo del coordinamento.
Il WFP è il maggiore fornitore di cibo agli sfollati interni e questi sono la categoria più numerosa dei
suoi beneficiari112. Nel 2001 il WFP ha rivisto le proprie azioni a favore di questa categoria ed ha
stilato un quadro per le politiche e le strategie in caso di sfollamento113. Il Consiglio di
Amministrazione ha ribadito che il WFP fornisce assistenza agli sfollati quando gli venga richiesto da
uno Stato membro dell’ONU, da un membro o membro associato di un Istituto Specializzato o
dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica.
L’Executive Board ha proposto una linea di condotta secondo la quale gli sfollati non costituiscono
uno specifico gruppo destinatario a cui fornire gli aiuti, se non in alcuni casi come ad esempio nei
campi, ma piuttosto sono assistiti sulla base dei loro bisogni alimentari. L’agenzia, quindi, applicherà
gli stessi criteri di targeting usati per gli altri gruppi colpiti da insicurezza alimentare, impegnandosi
tuttavia a comprendere e affrontare le esigenze particolari degli sfollati. Questa politica, tuttavia, non è
stata ancora adottata a causa dei dibattiti sui Principi Guida che si sono avuti nell’ECOSOC e
nell’Assemblea Generale, nonché all’interno dello stesso Executive Board. L’agenzia, infatti, è
tutt’oggi coinvolta nel dibattito ancora aperto nei fora competenti e il suo ruolo potrebbe evolversi
conseguentemente.
In attesa di definire la protezione degli sfollati che solleva temi molto sensibili per gli Stati, nella
prassi l’assistenza del WFP a questa categoria è ispirata alla pratica e ai principi condivisi dal sistema
112
Nel 2007 il WFP ha assistito 8,8 milioni di sfollati nel mondo. Vedi WFP, WFP Annual Report 2007, cit. p. 8.
WFP, Reaching people in situation of displacement: framework for action, WFP/EB.A/2001/4-C, 17 Aprile
2001.
113
112
ONU. La sua assistenza è subordinata al soddisfacimento di alcune condizioni, ossia l’esistenza di una
richiesta da parte dello Stato114 nel territorio del quale si trovano gli IDPs o da parte del Segretario
Generale dell’ONU, ai sensi dell’art. IX delle Regole Generali del WFP; l’accesso ai gruppi colpiti
deve essere garantito allo scopo di permettere valutazioni, targeting, distribuzione del cibo e
monitoraggio della stessa; lo Stato deve inoltre dare assicurazione di un livello di sicurezza sufficiente
affinché il WFP possa operare in conformità agli Standard minimi di sicurezza operativa elaborati
dalle Nazioni Unite115.
Gli sfollati richiedono, ad ogni modo, un approccio a sé da parte del WFP nel senso che l’aver
abbandonato case, terre e mezzi di sostentamento può rendere queste persone più vulnerabili
all’insicurezza alimentare. Lo sfollamento deve essere quindi un indicatore di vulnerabilità, più che un
mezzo per definire un gruppo specifico. La condizione di insicurezza alimentare che vivono è peraltro
esacerbata dall’insicurezza e dalle condizioni politiche del paese e l’elevato numero di donne e
bambini che di norma si riscontra è ulteriore motivo di preoccupazione per l’agenzia. Il WFP tenta, il
prima possibile dall’inizio della crisi, di incorporare nelle sue operazioni misure che sostengano
l’autosufficienza degli sfollati nel lungo periodo. L’assistenza del WFP è dunque fornita agli sfollati
sulla base degli stessi criteri usati per gli altri gruppi vulnerabili, con un’attenzione particolare a non
discriminare questi ultimi o dare luogo a tensioni con le comunità residenti.
L’unica differenza, che richiede maggiore attenzione nella programmazione dell’intervento, è
costituita dalle sensibilità politiche che la questione suscita. Se infatti, in principio, lo Stato ha la
responsabilità di proteggere gli IDPs, esso speso si rivela unwilling o unable di soddisfare i suoi
obblighi e le risorse internazionali mobilitate per assisterli sono spesso rallentate da infiniti dibattiti. La
sfida addizionale che l’assistenza ai rifugiati pone al WFP è quindi quella di comprendere i fattori
politici e socio-economici che hanno determinato lo sfollamento, le condizioni che permettano il
ritorno e il ri-stanziamento definitivo di queste persone e tenerne conto al momento della
programmazione e implementazione di ogni fase dell’operazione.
Oltre agli aiuti alimentari, il WFP può fornire ai suoi partners umanitari servizi di tipo logistico,
operativo e di trasporto, ad esempio di beni non alimentari di primo soccorso o degli stessi sfollati in
località più sicure. L’agenzia esegue, inoltre, la costante valutazione e il monitoraggio dei bisogni dei
beneficiari che, a causa dei movimenti da un luogo di sfollamento ad un altro, si evolvono senza sosta;
114
Conformemente a quanto affermato dalla ris 46/182 dell’Assemblea Generale dell’ONU: “humanitarian
assistance should be provided with the consent of the affected country and in principle on the basis of an appeal
by the affected country”, anche il WFP ribadisce il rispetto della sovranità dello Stato colpito.
115
United Nations Minimum Operational Security Standards (MOSS).
113
un’attenzione particolare è riservata alla valutazione dei bisogni dei gruppi più vulnerabili, ossia
donne, bambini e anziani.
Non essendo la protezione propria del suo mandato, il WFP non si focalizza su questa ma ha
recentemente aumentato i propri sforzi in questo senso e promosso una maggiore responsabilità, ad
esempio rafforzando il monitoraggio della distribuzione del cibo, per evitare che questo possa causare
tensioni tra i gruppi o violenze sulle donne116.
Conformemente a quanto stabilito dalla ris. 46/182 dell’ONU, le Nazioni Unite collaborano con il
governo per assicurare che la risposta umanitaria sia, nella misura del possibile, complementare a
quella delle autorità nazionali e locali. L’approccio del WFP agli sfollati è, di volta in volta, parte della
risposta congiunta del sistema ONU e si pone in linea con la strategia e le azioni del UN Country
Team, sostenendo il ruolo di guida del coordinatore umanitario/residente delle Nazioni Unite nella
realizzazione di una strategia che soddisfi le esigenze di protezione e assistenza degli sfollati di quel
paese.
Un aspetto di questo tipo di assistenza, poi, riguarda la difficoltà materiale di implementarla laddove,
in situazioni di conflitto, l’accesso agli sfollati è spesso limitato. Tali limitazioni e gli attacchi
intenzionali al personale umanitario sono all’ordine del giorno e richiedono strategie coordinate e
approcci neutrali da parte delle agenzie coinvolte che garantiscano l’incolumità dei beneficiari e del
personale
umanitario.
116
WFP, Reaching people in situation of displacement: framework for action, cit., par.45
114
CONCLUSIONI
Con la carta dell’ONU, gli Stati si impegnano per la prima volta a cooperare tra di loro
in campo economico e sociale. Che cosa significava questo allora e, soprattutto, che
cosa significa oggi? Indubbiamente la nascita delle Nazioni Unite segna l’avvento di
una nuova concezione dei rapporti internazionali: dopo la tragedia dei conflitti mondiali
e il fallimento della Società delle Nazioni, gli Stati si dichiarano pronti a mettere da
parte gli egoismi nazionali e a impegnarsi a salvaguardare la pace guadagnata con così
tante perdite, umane e non. Ma gli Stati iniziano anche a comprendere che garantire la
pace internazionale significa costruirne le pre-condizioni socio economiche, fattori
pregiudiziali ai fini della stabilità politica di un determinato paese. Eppure questa
intuizione sembra sia rimasta più un’enunciazione di intenti che una politica da
perseguire realmente e il mondo appare oggi diviso in un emisfero ricco e in uno
povero.
Laddove le Nazioni Unite prevedono un meccanismo coercitivo per ristabilire la pace,
non pongono invece obblighi agli Stati in tema di cooperazione economica e sociale nel
senso di costruire le condizioni necessarie alla pace tra i popoli. Nel tempo i PVS hanno
imposto con forza crescente le loro esigenze di sviluppo all’attenzione della comunità
internazionale e l’ONU, volente o nolente, ne è spesso stata la tribuna.
I PVS sono riusciti a sancire formalmente i loro diritti e i loro bisogni nelle
dichiarazioni e nelle carte che si sono susseguite dagli anni sessanta del ventesimo
secolo in poi: il nuovo ordine economico internazionale aveva inizio, almeno in teoria.
Ma i meccanismi della divisione internazionale del lavoro e dei mercati non sono stati
intaccati da tali enunciazioni: sono ancora oggi del tutto sbilanciati dalla parte dei paesi
più sviluppati. In attesa di un sistema economico e commerciale mondiale che sia
effettivamente equo, la comunità internazionale supplisce con la cooperazione che,
tuttavia, se non affiancata da una reale volontà politica degli Stati di sradicare le cause
del sottosviluppo, non può realizzare appieno i propri obiettivi.
115
Laddove poi gli aiuti dipendono dai contributi volontari degli Stati, è facile che siano
subordinati agli interessi geo-politici ed economici di questi ultimi. È proprio per questo
che si rende necessario un meccanismo di filtro e coordinamento, che sia neutrale e allo
stesso tempo rappresentativo di donatori e beneficiari: solo l’ONU sembra poter
esercitare tale ruolo. Dalla ricostruzione della cooperazione economica e sociale nel
sistema delle Nazioni Unite che si è operata è emerso che, rispetto al sistema
decentralizzato concepito alle origini, l’Organizzazione ha ampliato le sue funzioni e le
sue attività in questo ambito, caratterizzato oggi da una pluralità di agenzie, programmi,
istituti specializzati e organi sussidiari con diversi gradi di autonomia. Il sistema che ne
è emerso, se da un lato risulta poco coeso, soggetto a sprechi e sovrapposizioni,
dall’altro lato è comunque l’unico che oggi riempie il vuoto derivante dallo scarso
impegno da parte degli Stati industrializzati.
Nella tesi si è ricostruito il percorso che in ambito ONU ha portato ad accogliere una
visione dello sviluppo inteso come diritto inalienabile dell’uomo e parte integrante dei
diritti umani. È ormai riconosciuto come tale diritto sia inscindibilmente legato ai diritti
civili e politici, economici, sociali e culturali in quanto da essi dipende la sua piena
realizzazione. La persona umana è al centro del processo di sviluppo, un processo
graduale che abbraccia dunque tutte le dimensioni in cui l’uomo vive e si esprime:
l’ONU parla, infatti, di “sviluppo umano”. Lo sviluppo umano, d’altronde, non può
realizzarsi, né si può affermare il suo carattere universale e inalienabile, prescindendo
dal diritto alla nutrizione, alla salute, all’istruzione. Questi diritti vanno oggi
riconosciuti come diritti non derogabili perché strettamente connessi al diritto
fondamentale per eccellenza: il diritto alla vita. Riconoscere l’interdipendenza tra
sviluppo e diritti civili, politici, sociali, economici dell’uomo, e dunque la
multidimensionalità dello sviluppo, è il passo fondamentale verso un effettivo esercizio
dello sviluppo umano e una crescita equa di cui tutti possano beneficiare.
Ma ancora prima, c’è un altro legame che è fondamentale riconoscere e dunque
affrontare: non c’è sviluppo umano senza eliminazione della povertà. Se oltre 900
milioni di persone nel mondo soffrono la fame, come è concepibile che possano
sviluppare le proprie capacità e costruirsi un futuro se la loro unica preoccupazione è
sopravvivere?
L’ONU, la FAO, il WFP e le altre agenzie del sistema ONU riconoscono oggi che
l’eliminazione delle cause profonde della povertà in cui vivono milioni di persone nel
116
mondo è la pre-condizione di qualsiasi sviluppo. La povertà e la fame, infatti,
costituiscono una vera e propria violazione dei diritti dell’uomo laddove ostacolano
l’attuazione dei diritti civili/politici/economi/sociali/culturali.
L’impetuosa globalizzazione, che pure ha portato beneficio a molti, ha avuto l’“effetto
indesiderato” di travolgere e lasciare indietro i paesi più poveri e le loro popolazioni. È
responsabilità di ogni Stato recuperare il controllo del processo di crescita e creare le
condizioni di un effettivo sviluppo della propria popolazione. Allo stesso tempo, la
comunità internazionale deve impegnarsi nella realizzazione di un nuovo ordine
economico internazionale più equo e inclusivo, che preveda il ri-equilibrio nella
distribuzione delle risorse e la costruzione di rapporti paritari e di mutuo scambio tra
paesi sviluppati e paesi più arretrati. Gli enti preposti alla cooperazione economica e
sociale devono operare per pervenire ad un “patto per lo sviluppo” nei paesi più
arretrati, in cui lo sviluppo sia il “vettore” di un processo integrato dove tutti i diritti
umani e le libertà fondamentali possano realizzarsi1. Questo convincimento fornisce la
strategia che deve guidare le politiche e la prassi della cooperazione economica e
sociale internazionale e, in particolare, quella realizzata dal sistema ONU; è il quadro
teorico generale da cui nessun tipo di cooperazione può oggi prescindere.
Si è scelto a questo punto di esaminare un settore trasversale a tutte le tipologie di
cooperazione - finanziaria, tecnica e umanitaria e d’urgenza - che è quello agroalimentare, proprio in ragione del legame inscindibile che esiste tra povertà, fame e
sviluppo. Il modello di cooperazione del passato, ancora lontano da questi
riconoscimenti, riduceva l’impegno internazionale per la lotta contro la fame nel mondo
all’assistenza alimentare bilaterale che, sotto la patina dei buoni propositi, nascondeva
molto altro. L’esigenza, prima di tutto, di smaltire le eccedenze agricole dei paesi
produttori, attività da cui peraltro derivavano a questi ultimi notevoli vantaggi
economici. Ma pesava anche la mancanza di riflessione sulle motivazioni, gli obiettivi e
le pratiche di una cooperazione agro-alimentare che fosse realmente d’aiuto ai suoi
destinatari. Calare dall’alto gli investimenti, imporre stravolgimenti strutturali,
finanziare grandi progetti infra-strutturali tralasciando il settore agricolo e le esigenze
delle popolazioni rurali, spesso le più vulnerabili, e in generale trascurare i fattori
1
Vedi Rapporto sullo sviluppo nel mondo 2000/2001: Combattere la povertà della Banca
Mondiale in Spatafora, E., Cadin, R., Carletti, C., Sviluppo e diritti umani nella cooperazione
internazionale: lezioni sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo umano, op. cit., p.243.
117
specifici della realtà locale cui tali interventi erano destinati, ha dato risultati controversi
se non esplicitamente negativi. L’esperienza ha dimostrato che solo con un approccio
fondato sull’inclusione, la partecipazione paritaria di donatori e beneficiari e sul mutuo
scambio si costruiscono buoni progetti di cooperazione.
La filosofia dietro la cooperazione agro-alimentare si è evoluta parallelamente al
dibattito sullo sviluppo. Tale forma di assistenza è stata gradualmente riformulata allo
scopo di contribuire al conseguimento della sovranità alimentare, vale a dire allo scopo
di favorire la creazione di un sistema produttivo locale piuttosto che un accrescimento
della dipendenza dei PVS dall’assistenza esterna. Nella concezione dello sviluppo
agricolo e rurale, poi, ha gradualmente assunto rilevanza il fattore umano, e dunque la
partecipazione delle masse rurali al processo di autodeterminazione. D’altronde, come
afferma la Dichiarazione sul diritto allo sviluppo del 1986, tale diritto umano
presuppone la piena realizzazione del diritto all’autodeterminazione dei popoli. Anche
la FAO, sotto la spinta dei paesi di nuova indipendenza, ha ripensato il suo ruolo
nell’affrontare il problema dell’alimentazione, inteso come una questione centrale della
condizione umana e non più esclusivamente ridotta alla produzione agricola.
Sovranità alimentare, sicurezza alimentare, diritto all’alimentazione sono i principi che
oggi guidano la cooperazione che in quest’ambito realizza il Polo agro-alimentare
dell’ONU. Nel continuum tra diritti inerenti all’uomo e sviluppo umano, infatti, si
colloca il diritto all’alimentazione. Tale diritto è sancito dall’art. 11 del Patto
internazionale sui diritti economici, sociali e culturali che afferma, e distingue tra loro, il
diritto ad un’alimentazione adeguata e il diritto fondamentale alla libertà dalla fame. Il
secondo diritto è in realtà un aspetto del primo, la realizzazione del diritto ad
un’alimentazione adeguata ha infatti come condizione preliminare l’eliminazione della
malnutrizione generata dalla povertà più estrema2.
Nel 1961 il Direttore Generale della FAO Sen riconobbe la necessità che fosse
direttamente la FAO ad eseguire un programma multilaterale di aiuti alimentari, non
limitandosi più alla gestione di quelli bilaterali. Con ciò venivano gettate le basi per la
creazione del WFP che iniziava ad operare poco dopo. A sua volta, la Conferenza
mondiale
sull’alimentazione
del
1974
costituiva
una
tappa
fondamentale
nell’evoluzione delle politiche del settore, conseguendo tra i suoi risultati più
significativi la creazione dell’IFAD.
2
Vedi Alston, P. (1984) International law and the human right to food, in Alston P.,
Tomasevski, K. (eds.), The right to food (Utrecht), p.11.
118
FAO, IFAD e WFP, che insieme costituiscono il Polo agro-alimentare dell’ONU, sono
oggi tre aspetti della stessa strategia: sradicare la fame e migliorare la produzione
agricola e le condizioni di vita delle popolazioni, soprattutto rurali, dei PVS. Hanno
mandati diversi, ma le rispettive visioni strategiche sono strettamente integrate.
La cooperazione agro-alimentare effettuata dal Polo è, quindi, di tipo tecnico e
finanziario in situazioni di “normalità” in cui si mira allo sviluppo del sistema agricolo e
rurale locale, ma assume carattere umanitario d’urgenza quando il verificarsi di una crisi
mette a rischio la sicurezza alimentare della popolazione dello Stato interessato.
Gli aiuti alimentari del WFP sono, infatti, usati trasversalmente, in progetti di sviluppo
come in operazioni di emergenza, assumendo le forme idonee a seconda degli obiettivi
da raggiungere. Il diritto ad un’alimentazione adeguata si pone come cruciale nel
continuum tra il soccorso iniziale e la riabilitazione successiva delle comunità colpite
che il WFP e le altre agenzie operative dell’ONU riconoscono come linea guida dei loro
interventi nelle emergenze. Il WFP fornisce soccorsi d’urgenza in modo da proteggere i
mezzi di sostentamento dei beneficiari e non compromettere, anzi se possibile
rafforzare, il loro sviluppo futuro.
Come ha affermato nel 1999 il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici,
sociali e culturali, “sebbene il diritto ad un’alimentazione adeguata debba essere
realizzato progressivamente, gli Stati hanno l’obbligo di prendere le misure necessarie
per mitigare e alleviare la fame nel senso previsto dall’art. 11 del Patto, anche in tempi
di disastri naturali o di altro tipo” 3. Ciò significa che non è sufficiente che lo Stato
garantisca la tutela dei diritti correlati al diritto ad un’alimentazione adeguata (diritto
alla proprietà, al lavoro, alla sicurezza sociale). Esso deve anche provvedere a fornire
direttamente quanto necessario agli individui e ai gruppi più vulnerabili che si trovano
in una condizione di insicurezza alimentare; ossia deve assicurare a quanti sono soggetti
alla sua giurisdizione, tra cui rientrano rifugiati e sfollati, l’accesso a quel minimo di
cibo sufficiente, adeguato e sicuro da assicurare loro la libertà dalla fame. Tale obbligo
persiste nelle situazioni di emergenza nelle quali lo Stato interessato deve soddisfare le
esigenze umanitarie fondamentali della popolazione con tutte le risorse di cui dispone.
Tuttavia, laddove esso non è in grado di provvedere ai bisogni basilari della sua
popolazione (innanzitutto un’alimentazione adeguata), in situazioni di emergenza
3
General Comment n. 12 del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e
culturali (ventesima sessione, 1999), vedi supra, secondo capitolo.
119
supplisce l’assistenza fornita dalla comunità delle organizzazioni umanitarie che lo
Stato farà in modo di facilitare: da ciò deriva che impedire l’accesso agli aiuti alimentari
umanitari in situazioni di conflitto o altro tipo di emergenza potrebbe costituire una
violazione dell’art. 11 del Patto.
Si è osservato come operare in situazioni di emergenza complessa, dove peraltro
l’accesso è spesso ristretto, ponga notevoli sfide al WFP: innanzitutto il WFP, come
tutti gli enti umanitari, è responsabile nel prestare la massima attenzione a non alterare
gli equilibri dei conflitti in cui opera. Ciò significa che l’allocazione di un bene sensibile
come il cibo richiede preparazione, conoscenza del sistema politico e socio-economico
in cui si opera, flessibilità e capacità diplomatiche.
Le operazioni del WFP, poi, per risultare pienamente efficaci non possono prescindere
da una stretta consultazione e dal coordinamento con gli altri enti, del sistema ONU e
non, della comunità umanitaria. Le missioni di valutazione congiunte con la FAO in
caso di shock economico o naturale, con UNHCR in caso di flussi di rifugiati, i
partenariati con le ONG e le istituzioni locali, ad esempio, costituiscono contributi
fondamentali all’efficacia delle attività del WFP. In interventi delle Nazioni Unite
sempre più integrati e “centralizzati”, poi, il WFP si è visto riconoscere più volte il
ruolo di lead agency, sia in relazione al coordinamento degli aiuti alimentari
internazionali nel complesso, che dei servizi logistici e delle telecomunicazioni.
Ma il WFP può essere del tutto neutrale? Come si concilia la sua neutralità con gli
interessi strategici, politici ed economici degli Stati che ne finanziano le operazioni? E
ancora, come può la sua azione essere neutrale se sempre maggiori pressioni vengono
esercitate nei suoi confronti affinché si integri negli obiettivi politici dell’ONU
attraverso le missioni di peace-making/peace-building/peace-keeping sul campo?
Sembra potersi concludere che l’investimento di attenzione realizzato a questo proposito
dall’agenzia sia notevole. Il WFP nasce come il braccio operativo, “alimentare”
dell’ONU. Eppure oggi, grazie ai suoi risultati si è conquistata la sua sfera di
autonomia, mantenendosi in equilibrio tra percezione di neutralità di cui gode tra i
beneficiari e la fiducia degli Stati donatori, confermandosi come la più grande agenzia
umanitaria nel mondo.
Riconsiderando il rapporto dialettico, emerso all’inizio della presente tesi, che intercorre
tra pace e sviluppo socio-economico, sembra potersi concludere che fino a quando gli
Stati non avranno la volontà politica di sradicare le cause che stanno dietro alle
emergenze, vale a dire le condizioni di sottosviluppo e i fattori politici, economici e
120
sociali che alimentano i conflitti armati, non sarà possibile realizzare quella stabilità
interna necessaria alla costruzione dello sviluppo e della pace. Nell’ambito delle
emergenze, in particolare quelle complesse, ciò che l’assistenza umanitaria deve fare è
salvare vite umane preservando le esigenze di sviluppo futuro della popolazione. In
ultima analisi, se l’assistenza umanitaria non sembra potersi sostituire all’azione politica
degli Stati, è tuttavia compito della comunità internazionale nel complesso agire avendo
come obiettivo la pace e il rispetto dei diritti umani nel mondo.
121
APPENDICE
WFP - GENERAL REGULATIONS
Article I: Establishment
The World Food Programme (hereinafter “WFP”) is jointly established by the United
Nations and the Food and Agriculture Organization of the United Nations (hereinafter
“FAO”) as a programme for the purposes and for the performance of the functions set
out in the present General Regulations and shall continue its activities in the light of
periodic reviews.
Article II: The purposes and functions of WFP
1. The purposes of WFP are:
(a) to use food aid to support economic and social development;
(b) to meet refugee and other emergency and protracted relief food needs;
(c) to promote world food security in accordance with the recommendations of the
United Nations and FAO.
2. In order to achieve the foregoing purposes, WFP shall, on request, implement food
aid programmes, projects and activities:
(a) to aid in economic and social development, concentrate its efforts and resources on
the neediest people and countries;
(b) to assist in the continuum from emergency relief to development by giving priority
to supporting disaster prevention, preparedness and mitigation and post-disaster
rehabilitation activities;
(c) to assist in meeting refugee and other emergency and protracted relief food needs,
using this assistance to the extent possible to serve both relief and development
purposes;
(d)
to provide services to bilateral donors, United Nations agencies and non
governmental organizations for operations which are consistent with the purposes of
WFP and which complement WFP’s operations.
Article III: Cooperation of WFP with the United Nations and FAO and with othe
relevant agencies and organizations
122
In all stages of its activities, WFP shall, as appropriate, consult with and seek advice
and cooperation from the United Nations and FAO. It shall also coordinate and operate
in close liaison with appropriate United Nations agencies and operating programmes,
bilateral assistance programmes, and other relevant organizations, as required.
Article IV: Headquarters
The Headquarters of WFP shall be in Rome, Italy.
Article V: Organization: Organs
The organs of WFP shall be:
(a) The Executive Board (hereinafter “the Board”) jointly established by the United
Nations and FAO and composed of thirty-six (36) States Members of the United
Nations or Member Nations of FAO to be elected by the Economic and Social Council
of the United Nations and the Council of FAO from among the States listed in
Appendix A in accordance with the distribution of seats set out in Appendix B.
(b)A Secretariat comprising an Executive Director and such staff as WFP may require.
Article VI: Powers and functions of the Board
1. The Board shall, within the framework of these General Regulations, be responsible
for providing intergovernmental support and specific policy direction to and supervision
of the activities of WFP in accordance with the overall policy guidance of the General
Assembly of the United Nations, the FAO Conference, the Economic and Social
Council and the Council of FAO, and for ensuring that WFP is responsive to the needs
and priorities of recipient countries. The Board will be subject to the general authority
of the Economic and Social Council and the Council of FAO.
2. The functions of the Board shall be the following:
(a) The Board shall help evolve and coordinate short-term and longerterm food aid
policies. It shall, in particular:
(i) ensure implementation of the policies formulated by the General Assembly and the
FAO Conference and the
coordination measures and guidance received from the Economic and Social Council
and the Council of FAO;
(ii)
provide a forum for intergovernmental consultation on national and
international food aid programmes and policies;
(iii)
review periodically general trends in food aid requirements and food aid
availabilities, and the implementation of recommendations made on food aid policies;
(iv)
formulate proposals for improvements in and more effective coordination of
multilateral, bilateral and non-governmental food aid policies and programmes,
including emergency food aid; and
(v)recommend new policy initiatives to the Economic and Social Council and the
Council of FAO and, through them, respectively, to the General Assembly and FAO
Conference as necessary;
(b)The Board shall be responsible for the intergovernmental supervision and direction
of the management of WFP. It shall, in particular:
(i) receive information from and give direction and guidance to the Executive Director;
123
(ii)
ensure that the activities and operational strategies of WFP are consistent with
the overall policy guidance set forth by the General Assembly and the FAO Conference,
as well as the Economic and Social Council and the Council of FAO;
(iii)
monitor the performance of WFP, and review the administration and
execution of the activities of WFP;
(iv)
decide on strategic and financial plans and budgets;
(v)encourage and examine new programme initiatives;
(vi)
adopt and, as necessary, revise the general rules required to give effect to
these General Regulations. The general rules and
any amendments thereto shall be reported to the Economic and Social Council and to
the Council of FAO;
(vii)
adopt and, as necessary, revise the Financial Regulations in accordance with
Article XIV of these General Regulations; and
(viii) consider the annual report of the Inspector General, and take such action thereon
as it considers appropriate.
(c) The Board shall review, modify as necessary, and approve programmes, projects and
activities submitted to it by the
Executive Director. In respect of such approvals, however, it may delegate to the
Executive Director such authority as
it may specify. It shall review, modify as necessary, and approve the budgets of
programmes, projects and activities, and review the administration and execution of
approved programmes, projects and activities of WFP.
(d)The Board shall carry out such other responsibilities as are conferred upon it in these
General Regulations.
3. The Board shall provide a concise report annually on WFP’s programmes, projects
and activities including major decisions of the Board to the substantive session of the
Economic and Social Council and the Council of FAO. The annual report must contain
sections referring to one or all of the following, as appropriate:
(a) monitoring of the implementation of all previous policy decisions referred to in
paragraph 2 (a) (i) of this Article;
(b)policy recommendations;
(c) coordination recommendations including for improvement of field‑level
coordination; and
(d)such other matters as may be required pursuant to decisions of the Economic and
Social Council and the Council of FAO.
4. The Board shall adopt its own Rules of Procedure. The Rules of Procedure shall:
(a) with respect to the approval of programmes, projects and other activities, make
provision for such approval being obtained by correspondence between sessions of the
Board;
(b)make provision for inviting Members of the United Nations or Members or Associate
Members of FAO that are not members of the Board to participate without the right to
vote in the deliberations of the Board. Any Member of the United Nations or FAO, and
any Associate Member of FAO, and any Member or Associate Member of any other
specialized agency or the International Atomic Energy Agency (IAEA), that is not a
member of the Board, whose programme, project or other activity is under review, or
who has a particular interest in a programme, project or other activity, shall have the
right to participate, without the right to vote, in the deliberations of the Board.
5. The Board shall hold an annual session and such regular sessions as it considers
necessary and, in exceptional circumstances, may hold special sessions on request
submitted in writing by at least one third of the members of the Board, or with the
124
concurrence of one third of the members of the Board on the call of the Secretary
General of the United Nations (hereinafter “the Secretary-General”) and the DirectorGeneral of FAO (hereinafter “the Director-General”) or on the call of the Executive
Director.
6. The Board shall ensure, in the programmes, projects and other activities under its
supervision, that commercial markets and normal and developing trade are neither
interfered with nor disrupted, that the agricultural economy in recipient countries is
adequately safeguarded and that due consideration is given to safeguarding normal
commercial practices in respect of acceptable services in accordance with the relevant
decisions of the United Nations and FAO, and their subsidiary bodies.
Article VII: WFP Secretariat: Organization and functions
1. The Secretariat of WFP shall be headed by an Executive Director, who shall be
responsible and accountable to the Board for the administration of WFP and for the
implementation of WFP programmes, projects and other activities.
2. The Executive Director shall be appointed by the Secretary- General and the
Director-General after consultation with the Board.
3. The Executive Director shall be appointed for a term of office of five years. The
procedure set out in paragraph 2 above shall apply to reappointment which shall, in no
case, be for more than one further term.
4. The Executive Director shall be responsible for providing necessary services to the
Board.
5. The Executive Director shall be responsible for the staffing and organization of the
Secretariat.
The selection and appointment of senior officials above the level of D2 shall be made
by the Executive Director in agreement with the Secretary-General and the DirectorGeneral.
6. The Executive Director shall administer the staff of WFP in accordance with FAO
Staff Regulations and Rules and such special rules as may be established by the
Executive Director in agreement with the Secretary-General and the Director-General.
7. The Executive Director shall keep the cost of management and administration of
WFP to a minimum consistent with the maintenance of efficiency and accountability
and shall use the most efficient and cost-effective services, including in the field. In this
context, and in the context of relevant resolutions of the United Nations and FAO, the
Executive Director shall, under such arrangements as may be agreed upon:
(a) make extensive use of the technical services of FAO, the United Nations and other
agencies of the United Nations system where these offer the most efficient and costeffective services; and
(b)where appropriate, draw upon the administrative, financial, and other services of
FAO the United Nations and other agencies of the United Nations system. 8. The
representative of WFP for each country where WFP has operational activities shall be
designated by the Executive Director. In other countries, the Resident Representative of
the United Nations Development Programme (UNDP), or the Regional Representative
of UNDP, as the case may be, shall act as the representative of WFP at the request of
the Executive Director and with the agreement of the Administrator of UNDP.
9. Without prejudice to the authority of the Secretary-General and the Director-General,
the Executive Director shall generally represent WFP and perform such functions as
may be conferred on the Executive Director or on the Secretariat under any agreements
concluded by the United Nations and FAO on behalf of WFP with States or
125
intergovernmental organizations, and under the assistance agreements provided for in
Article XI of these General Regulations.
10.
The Executive Director shall exercise such other responsibilities, as are
conferred upon the Executive Director in these General Regulations or as may be
conferred by the Board.
11.
The Executive Director may delegate to other officials of WFP such authority
as the Executive Director considers necessary for the effective carrying out of the
responsibilities of the Executive Director.
Article VIII: Legal status and capacity
1. WFP is an autonomous joint subsidiary programme of the United Nations and FAO.
2. WFP shall, drawing on the legal personality of the United Nations and FAO, have
legal capacity:
(a) to contract;
(b)to acquire and dispose of movable and immovable property;
(c) to be party to judicial proceedings.
3. Any liability arising from the exercise of the legal capacity referred to above shall be
met by WFP from its own funds and shall not constitute a liability on other funds of the
United Nations or FAO.
Article IX: Eligibility for assistance
All States Members of the United Nations or Members or Associate Members of any
specialized agency or of the IAEA shall be eligible to submit requests for consideration
by WFP. WFP may also provide emergency food aid and associated non-food items and
logistics support at the request of the Secretary-General. WFP assistance in such
exceptional cases shall be fully coordinated with the United Nations system and efforts
of governments, intergovernmental and non-governmental organizations in the areas
concerned.
Article X: Requests for assistance
1. Governments desiring assistanc from WFP may request:
(a) food aid programmes and projects to support economic and social development;
(b)food assistance to meet emergency needs;
(c) food assistance to meet protracted relief needs;
(d)technical assistance to help establish or improve their own food assistance
programmes.
2. Bilateral donors, United Nations agencies and non-governmental organizations may
request WFP services for operations which are consistent with the purposes of WFP and
which complement WFP’s operations.
3. Requests for assistance tocountry programmes or development projects shall indicate
that they have a clear relationship with the recipient country’s development plans and
priorities and include, as appropriate, a significant input of the recipient government’
resources. WFP should also be assured that all efforts will be made, as feasible and
appropriate, to have the objectives of the programmes and projects pursued once the
operations of WFP have been phased out.
4. Requests for assistance or services shall be presented in the form indicated by the
Executive Director and in accordance with general rules made pursuant to these General
Regulations.
126
5. In examining such requests and in formulating proposals thereon the Executive
Director shall consult closely with the United Nations, FAO and other relevant agencies.
6. Decisions on requests shall be made in accordance with the powers and functions of
the Board, including any delegation of authority made by the Board to the Executive
Director. Decisions on requests for assistance to meet emergency needs which exceed
the level of authority delegated to the Executive Director shall be made jointly by the
Executive Director and the Director-General.
Article XI: Assistance agreements
1. Upon approval by the Board or by the Executive Director on its behalf, of a request
for a food aid programme or project, or for technical assistance To help a government
establish or improve its own food assistance programme, an agreement shall be
prepared by the Executive Director in consultation with the government concerned. All
such agreements shall indicate the terms and conditions on which the proposed activities
are to be carried out and the responsibilities of the government of the recipient country.
2. Upon approval of a request for emergency or protracted relief food aid, an
agreement, which may be in the form of an exchange of letters, may be concluded
forthwith between the Executive Director and the government of the recipient country
and/or intergovernmental or non-governmental bodies concerned.
3. Upon approval of a request for services to bilateral donors, United Nations agencies
and non-governmental organizations, the Executive Director may enter into an
agreement with the government, or intergovernmental and/or non-governmental body
concerned, specifying the services to be provided and the terms and conditions on which
the proposed services are to be carried out.
Assistance agreements shall be signed by the Executive Director, or the Executive
Director’s representative, on behalf of WFP.
Article XII: Implementation
1. The primary responsibility for the execution of programmes, projects and activities
shall rest with the recipient country, in accordance with the provisions of the relevant
agreements and general rules made pursuant to these General Regulations. The
Executive Director shall, however, be responsible for supervision and assistance in
execution, and shall take the necessary measures for this purpose.
2. Commodities shall be delivered, under criteria to be established by the Board, to the
recipient country as grants without payment.
3. Costs of unloading and internal transport, and of any necessary technical and
administrative supervision, shall be borne by the government of the recipient country.
However, this condition may be waived by the Executive Director in whole or in part,
under criteria to be established By the Board, when providing food assistance to meet
emergency and protracted relief needs and, in the case of least developed countries,
food aid programmes and projects.
4. In the assessment of prospective economic and social development programmes and
projects and in
their execution, when approved, adequate consideration shall be given to safeguarding
exporters, international trade and producers and safeguarding local food production and
commercial markets in recipient countries. The Executive Director shall comply with
such general rules as shall be established by the Board for these purposes. Such general
rules shall ensure early consultation with countries likely to be affected, drawing on
127
FAO’s Principles of Surplus Disposal and shall also ensure that the Consultative SubCommittee on Surplus Disposal of the FAO Committee on Commodity Problems is
informed and its views taken into account.
Article XIII: Contributions
1. All contributions to WFP shall be on a voluntary basis. Contributions may be
donated by
governments, intergovernmentaL bodies, other public and appropriate nongovernmental, including private, sources.
2. Donors may contributo appropriate commodities, cash and acceptable services In
accordance with the general rules
made pursuant to these General Regulations. Except as otherwise provided in such
general rules In respect of developing countries,
countries with economies in transition and other nontraditional donors, or in respect of
other exceptional situations,
each donor shall provide cash contributions sufficient to cover
the full operational and support costs of its contributions.
3. Commodity pledges may be made either in monetary terms or in terms of fixed
physical quantities of specified commodities.
Article XIV: Financial arrangements
1. All contributions to WFP mentioned in Article XIII of these General Regulations
shall be credited to the World Food Programme Fund (hereinafter referred to as “the
WFP Fund”), from which the cost of administration and operation of WFP shall be met.
The WFP Fund, and any sub-funds or accounts that may be established, shall be
administered in accordance with the Financial Regulations of WFP.
2. The Board shall exercise full intergovernmental supervision and scrutiny of all
aspects of the WFP Fund.
3. The Executive Director shall have complete responsibility and shall be accountable
to the Board for the operation and administration of the WFP Fund.
4. In all matters relating to the financial administration of WFP, the Board shall draw
on the advice of the United Nations Advisory Committee on Administrative and
Budgetary Questions (ACABQ) and the Finance Committee of FAO.
5. The Board shall, after receiving advice from the ACABQ and the FAO Finance
Committee, establish Financial Regulations to govern the management of the WFP
Fund.
6. The Executive Director will submit the following to the Executive Board for
approval:
(a) the biennial WFP budget, and supplementary WFP budgets whenever appropriate
prepared in exceptional circumstances;
(b)annual financial statements of WFP, together with the report of the External Auditor;
(c) other financial reports.
These will also be submitted to the FAO Finance Committee and the ACABQ for their
review and comments. The reports of these bodies will be submitted to the Board.
Article XV: Amendments to the General Regulations
1. Amendments to these General Regulations shall be approved by the General
Assembly of the United Nations and the FAO Conference.
128
2. The Board may recommend
amendments to these General Regulations through the Economic and Social Council
and the Council of FAO.
129
DICHIARAZIONE DI INTENTI DEL WFP
Il World Food Programme - WFP è il braccio operativo per gli aiuti alimentari del sistema
delle Nazioni Unite. L’aiuto alimentare è uno dei molti strumenti che possono contribuire a
promuovere la sicurezza alimentare, termine con cui si indica il libero e incondizionato
accesso di tutti i popoli al cibo necessario per una vita sana e attiva1.
La politica alla base dell’utilizzo degli aiuti alimentari del WFP deve essere orientata
all’eliminazione della fame e della povertà. Lo scopo ultimo degli aiuti alimentari dovrebbe
essere l’eliminazione del bisogno stesso di tali aiuti.
Sono necessari interventi mirati per aiutare a migliorare la vita delle popolazioni più
bisognose. Popolazioni che, stabilmente o nel corso di periodi critici della propria esistenza,
non sono in grado di produrre viveri a sufficienza o non possiedono le risorse per ottenere in
altro modo il cibo di cui le famiglie hanno bisogno per condurre una vita sana e attiva.
In linea con il proprio mandato, che riflette anche il principio di universalità, il WFP
continuerà a:
•
utilizzare gli aiuti alimentari a sostegno dello sviluppo sociale ed economico;
•
soddisfare le esigenze dei rifugiati e i fabbisogni alimentari nati da altre
situazioni di emergenza, assicurando il relativo supporto logistico; e
promuovere la sicurezza alimentare mondiale secondo i consigli delle Nazioni
•
Unite e della FAO.
Le linee-guida che indirizzano l’utilizzo degli aiuti alimentari del WFP sono:
a) salvare la vita dei rifugiati e delle popolazioni coinvolte in situazioni di emergenza:
b) migliorare la qualità della vita e il livello nutrizionale delle popolazioni più vulnerabili nei
momenti critici della loro esistenza;
c) prestare assistenza nella realizzazione di beni materiali e favorire l’autonomia delle
popolazioni indigenti e delle comunità, in particolare attraverso programmi di lavoro
intensivi.
Nel primo caso, gli aiuti alimentari rappresentano una componente essenziale alla protezione
umanitaria e sociale. Il loro impiego sarà realizzato con un forte orientamento allo sviluppo,
1
Convegno Internazionale sulla Nutrizione FAO/WHO (1992)
130
con l’obiettivo principale di salvare vite umane. Per quanto possibile, la fornitura di aiuti
alimentari di emergenza sarà coordinata con i soccorsi forniti dalle altre organizzazioni
umanitarie. Nel secondo caso, gli aiuti alimentari rappresentano un pre-investimento nelle
risorse umane. Nel terzo, si fa ricorso alla risorsa più abbondante delle popolazioni indigenti,
il lavoro delle proprie braccia, per creare occupazione e reddito nonché per costruire le
infrastrutture necessarie allo sviluppo.
Il WFP è nella posizione giusta per sostenere un ruolo principale nel processo continuo che va
dagli aiuti di emergenza allo sviluppo. Nei programmi di sviluppo, si accorderà la priorità alla
prevenzione delle calamità naturali, alla capacità di farvi fronte e di attenuarne le conseguenze
nonché alle attività di ricostruzione successive. Per contro, gli aiuti di emergenza saranno
utilizzati, per quanto possibile. a scopi sia assistenziali sia inerenti allo sviluppo. In entrambi i
casi, l’obiettivo finale è quello di favorire l’autonomia.
Nello svolgere il proprio mandato, il WFP concentrerà la propria attenzione sul modo più
consono e redditizio di sfruttare le risorse disponibili. Particolare attenzione sarà prestata a
quegli aspetti dello sviluppo in cui gli aiuti alimentari si rivelano maggiormente utili. Saranno
fatti tutti gli sforzi necessari per evitare ripercussioni negative su produzioni alimentari locali,
modelli di consumo e dipendenza dagli aiuti alimentari. Il WFP continuerà a giocare un ruolo
principale e significativo nel prestare la propria assistenza e competenza tecnica nel settore
dei trasporti e della logistica, allo scopo di garantire una distribuzione pronta ed efficiente
degli aiuti umanitari.
La natura multilaterale del WFP rappresenta uno dei suoi maggiori punti di forza. La capacità
di intervenire virtualmente in qualsiasi parte del mondo in via di sviluppo, senza riguardo
all’orientamento politico dei governi, sarà sfruttata al fine di mettere a disposizione un canale
neutrale attraverso il quale convogliare gli aiuti di emergenza in situazioni in cui molti Paesi
finanziatori non sarebbero in grado di prestare direttamente assistenza. Il WFP si occuperà di
fornire i servizi - consigli, buoni uffici, supporto logistico e informazioni - nonché di
sostenere i diversi Paesi nell’organizzare e gestire i propri programmi di aiuti alimentari.
Su richiesta, il WFP è pronto a fornire servizi bilaterali ai finanziatori, alle organizzazioni
delle Nazioni Unite e alle organizzazioni non governative previo recupero dei costi. Tali
servizi saranno forniti e giustificati separatamente e si integreranno con le operazioni
principali del WFP, per quanto possibile.
131
Gli sforzi e le risorse del WFP saranno concentrati sui Paesi e le popolazioni più bisognose2,
seguendo la decisione del CFA di destinare almeno il 90% del sostegno allo sviluppo prestato
dal WFP ai Paesi a basso reddito con carenze alimentari e almeno il 50% del proprio sostegno
allo sviluppo ai Paesi meno sviluppati.
Il WFP si impegnerà a garantire che i propri
programmi di assistenza siano ideati e resi operativi coinvolgendo nel senso piú ampio la
popolazione. Le donne, in particolare, rappresentano un fattore chiave nel processo di
cambiamento: consegnare il cibo nelle loro mani significa affidarlo a chi lo utilizzerà a
beneficio dell’intero nucleo familiare e in primo luogo dei bambini. Lo scopo dei programmi
di assistenza del WFP sarà proprio quello di rafforzare nelle donne la capacità d’intervento e
di recupero di fronte alle emergenze.
Per essere realmente efficaci, gli aiuti alimentari dovrebbero essere totalmente integrati nelle
priorità e nei progetti di sviluppo dei Paesi destinatari e coordinati con altre forme di
assistenza. Il punto di partenza del WFP è rappresentato dalle politiche nazionali, dai piani e
dai programmi dei Paesi in via di sviluppo, inclusi i loro piani per la sicurezza alimentare. Lo
scopo è integrare tutte le proprie attività a livello del Paese in modo di essere in grado di far
fronte ai fabbisogni urgenti a mano a mano che essi si presentano, pur mantenendo i propri
obiettivi fondamentali di sviluppo. Le note sulla strategia da adottare nel Paese, se disponibili,
dovrebbero fornire l’ossatura di una risposta integrata da parte del sistema delle Nazioni
Unite. In alcuni casi speciali, il WFP adotterà un approccio al problema multinazionale o
regionale, in particolare per quanto concerne la fornitura di assistenza umanitaria. Nessuna
organizzazione da sola possiede le risorse o le capacità necessarie ad affrontare tutti i
problemi legati alla fame e al sottosviluppo. Di qui l’importanza accordata dal WFP alla
collaborazione con le altre organizzazioni, in particolare con gli enti da cui trae origine: le
Nazioni Unite e la FAO. Il WFP continuerà a lavorare in stretta collaborazione con l’Ufficio
delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, con l’UNHCR e con altri
enti e organizzazioni non governative pertinenti (NGO) per fare fronte alle emergenze e alle
crisi umanitarie. Il rapporto di collaborazione interesserà anche le organizzazioni delle
Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura con sede in Roma, la FAO e l’IFAD,
soprattutto per quanto concerne l’utilizzo degli aiuti alimentari per il raggiungimento della
sicurezza alimentare dei nuclei familiari. Si continueranno a stabilire associazioni di impresa
incisive con l’UNDP, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, enti e
2
Normalmente, per affamate e indigenti si intendono le popolazioni che guadagnano meno
dell’equivalente di un dollaro al giorno o che destinano la maggior parte del proprio budget familiare
all’acquisto di cibo.
132
istituzioni regionali, finanziatori bilaterali e organizzazioni non governative, a sostegno dello
sviluppo economico e sociale.
Il WFP sosterrà il proprio ruolo di membro attivo del sistema delle Nazioni Unite con
l’obiettivo di porre la questione della fame nel mondo al centro dell’ordine del giorno
internazionale. Nel suo dialogo con i governi destinatari e la comunità dei soccorsi, il WFP
patrocinerà le politiche, le strategie e le operazioni orientate a diretto beneficio delle
popolazioni affamate e indigenti.
133
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Il polo agro-alimentare dell`ONU