Università degli Studi di Siena
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Studi in Beni storico-artistici, musicali,
cinematografici e teatrali
Munari e i bambini:
laboratori per uno sviluppo creativo della personalità.
Candidata: Heléna Beckel
Relatore: prof. Massimo Squillacciotti
Anna Accademico 2012-2013
1
Indice
Introduzione
p. 3
Capitolo I Ma chi è Bruno Munari?
p. 5
Capitolo II Bruno Munari bambino
p. 7
Capitolo III "Io penso invece che la gente voglia capire". Alla
ricerca della fantasia e dei suoi meccanismi. Cos'è la
fantasia? Ha delle regole? Come stimolarla? A che pro?
p. 9
p. 13
Capitolo IV Metodo-Munari
Bruno, il Giappone e i gatti
p. 13
Il castello di Tokyo
p. 17
Capitolo V Un lontano pomeriggio del 1956. I laboratori.
p. 19
Il laboratorio di Brera, 1977
p. 19
Il laboratorio di Faenza, 1978
p. 22
Il laboratorio tattile, Milano 1977
p. 24
Laboratori di un giorno
p. 26
Munarità-telecronache
Primi approcci con la creta
p. 27
p. 27
Le videocassette: laboratori “giocare con l’arte”
p. 30
Tecnica versus creatività?
P. 36
Capitolo VI Di-sogno. Teorie e grafiche sui sogni in una
classe di prima elementare
p. 38
p. 38
Relazione della maestra Chiara sulla classe
Tabella "italianità"
p. 40
Sul laboratorio e sul disegno
p. 41
Fare laboratorio: spazio, tempo, materiali, relazioni
p. 44
2
Diario
p. 45
Conclusioni
p. 78
Appendice Fotografica
p. 79
Bibliografia
3
Introduzione
Ho scritto questa tesi perché volevo sondare in lungo e in largo la maniera generosa di insegnare al
bambino ma anche ad un adulto “pentito” di un «Peter Pan di levatura leonardersca»1: Bruno
Munari. «Aiutami a fare da me»2 ha scritto la Montessori ed è questo motto che Munari ha il pregio
di vedere in ogni bambino che gli sta di fronte.
Munari a mio parere riesce a capire come inserirsi in quella che Vygotsky chiama “zona di sviluppo
prossimale”3. Munari, di fronte al bambino, si colloca appunto "un po' più in là" – "più avanti" non
sarebbero state le sue parole; "più in là" indica un passo diverso dal consueto – della conoscenza
del bambino.
La sua “arma” è l'azione. Munari si mostra semplicemente in azione davanti al bambino che, per la
sua innata curiosità, lo osserverà attentamente e sarà naturalmente spinto ad imitare. Imitare, non
copiare. Imitare la maniera, spingersi, a partire da questa, verso nuove scoperte, proprie. «Capire
facendo», coniato dall'americano Dewey4, è il ritornello del suo lavorare con i bambini.
In questa tesi raccolgo i laboratori stimolanti la creatività, stimolanti il pensiero visivo come lo
intende Arnheim, descritti dallo stesso Munari nei suoi testi. Inoltre, siccome penso che il successo
del metodo Munari sia dovuto non poco alla sua personalità, al suo non imporsi (Munari amava
ripetere ai suoi collaboratori la massima del saggio Lao Tse: «Azione senza appropriazione di Sè.
Sviluppo senza sopraffazione»), ho trascritto quasi per intero le parole – poche ma dense della
delicatezza e intelligenza che chi lo conosceva gli attribuisce – e le azioni “gentili” di Munari
conservate nella serie di videocassette Giocare con l'arte, pubblicate nel 1990, usurate dal tempo e
consultabili al Museo Pecci di Prato.
Nella seconda parte del mio lavoro presento l' esperienza di laboratorio che ho avuto modo di fare
in una prima elementare di una scuola di di Bologna.
Non potendo sapere se si sarebbe ripresentata la possibilità di lavorare in un contesto scolastico, ho
unito il desiderio di sperimentare con mano la “fattibilità” di un laboratorio-simil-Munari con la
curiosità di scoprire cosa sognano i bambini di oggi5. Così è nato Di-sogno: laboratorio per
1
Pierre Restany, “Un Peter Pan di statura leonardesca”, in Su Munari, Abitare Segesta Cataloghi, a cura di
Beppe Finessi, Milano 2002, cit., p. 254.
2
Citato in: Beba Restelli, Giocare con tatto. Per una educazione plurisensoriale secondo il metodo Bruno
Munari, FrancoAngeli/Le Comete, Milano 2002, p. 29.
3
J. Bruner, La mente a più dimensioni, Editori Laterza, Bari 2003, p. 91.
4
Kenneth Frampton, Storia dell’architettura moderna, Zanichelli, Bologna 1993, p. 137.
5
Sia per la breve durata dell'esperienza didattica sia per le mie lacune pedagogiche, questa seconda parte di tesi
4
sperimentare attività stimolanti la creatività e per parlare del sogno.
non ha pretese scientifiche.
5
CAPITOLO I
Ma chi è Bruno Munari?
«Quello nato a Milano nel 1907.
Quello delle Macchine inutili del 1930.
Quello dei nuovi libri per bambini del 1945.
Quello dell’Ora X del 1945.
Quello delle Scritture illeggibili di popoli sconosciuti del 1947.
Quello dei Libri illeggibili del 1949.
Quello delle Pitture negative-positive del 1950.
Quello delle Aritmie meccaniche del 1951.
Quello delle Proiezioni a luce polarizzata del 1952.
Quello delle fontane e dei giochi d’acqua del 1954.
Quello delle Ricostruzioni teoriche di oggetti immaginari del 1956.
Quello del Portacenere cubico del 1957.
Quello delle Forchette parlanti del 1958.
Quello del design.
Quello delle Sculture da viaggio del 1958.
Quello dei Fossili del Duemila del 1959.
Quello delle Strutture continue del 1961.
Quello delle Xerografie originali del 1964.
Quello degli Antenati del 1966.
Quello del corso di design alla Harvard University USA del 1967.
Quello della Flexy del 1968.
Quello della grafica editoriale Einaudi.
Quello dell’Abitacolo del 1971.
Quello dei Giochi didattici di Danese.
Quello dei colori nelle Curve di Peano del 1974.
Quello dei Messaggi tattili per non vedenti del 1976.
Quello dei bonsai.
Quello dei Laboratori per bambini al museo del 1977.
Quello delle rose nell’insalata.
Quello della lampada di maglia.
6
Quello dell’Olio su tela del 1980.
Quello dei Filipesi del 1981.
Quello dell’Alta tensione del 1991.
Quello degli Ideogrammi materici del 1993.
Ognuno conosce un Munari diverso»6.
6
Autobiografia redatta da Bruno Munari. Consultabile sul sito dell'Associazione Bruno Munari:
www.brunomunari.it/index_munari.htm, consultato il 20/12/2012.
7
CAPITOLO II
Munari bambino
All'improvviso, senza essere stato avvisato da alcuno, mi ritrovai completamente nudo, in piena città
di Milano, la mattina del 24 ottobre 1907. Mio padre aveva contatti con le più alte personalità della
città, essendo cameriere al Gambrinus. Mia madre si dava delle arie ricamando ventagli7.
La famiglia di Bruno si trasferisce poco dopo nella campagna milanese, fonte di sempre nuovi
stimoli visivi, olfattivi e tattili per un bambino, come lui stesso si definisce, "sperimentatore".
Racconta Munari come da ragazzino trascorresse molte ore accanto alla «Macchina galleggiante
sull'acqua del fiume Adige ad ammirare lo spettacolo continuo dei colori, delle luci, dei movimenti
della grande ruota»8. Osservava la grande ruota che pescava penne di gallina, pezzi di carta, foglie
di alberi, alghe ed erbe acquatiche verdi come il vetro morbido.
«Curioso di vedere cosa si poteva fare con una cosa, oltre a quello che si poteva fare normalmente»9
il bambino Munari si divertiva a giocare con tutto quello che trovava in natura: piume e semi di
acero da fare volare; cordicelle e mollette a cui appendere messaggi per gli amici; specchietti per
catturare i raggi del sole; gocce di acqua da lasciare cadere su varie superfici per ascoltarne il
suono; bastoncini flessibili di bambù che potavano diventare una frusta da fare schioccare o un arco
per lanciare le frecce, o ancora un amo per andare a pesca, un bastoncino da passeggio, una fionda,
una catapulta, una molla. Un bambino immerso nella natura con tutti i suoi sensi, contemplatore
attivo, attento alla natura in movimento, all’azione dell’acqua e dell’aria. Raccoglitore di
suggestioni che saprà poi trasformare in creazioni artistiche, fette di mondo da noi spesso ignorate o
dimenticate.
Che anche il contesto rurale abbia contribuito allo sviluppo della creatività di Munari è molto
probabile. Infatti, come vedremo in seguito trattando dei laboratori, le scenografie e gli allestimenti
giocano una parte fondamentale nella stimolazione del bambino.
All'età di diciotto anni Bruni Munari si trasferisce in città, Milano.
7
Citazione di Munari tratta da una biografia redatta dalla sua collaboratrice Pia Antonini e reperibile alla pagina
web http://www.isamunari.it/joomla151/templates/munari/doc/chi_munari.pdf, consultata il 28/12/2012.
8
Citazione riportata in Beba Restelli, Giocare con tatto. Per una educazione plurisensoriale secondo il metodo
Bruno Munari, FrancoAngeli/Le Comete, Milano 2002, p. 29.
9
Ibidem, p. 30.
8
CAPITOLO III
«Io penso invece che la gente voglia capire». Alla ricerca della fantasia e dei suoi
meccanismi. Cos'è la fantasia? Ha delle regole? Come stimolarla? A che pro?
Io penso invece che la gente voglia capire e quindi mi accingo a cercare di spiegare, sperando che altri
più competenti di me, continuino questo modesto inizio di conoscenza di fenomeni che interessano a
tutti, per un maggiore sviluppo della creatività e quindi della personalità10.
Contro la segretezza di cui si ammanta il mondo artistico, contro un arte che si mostra solo nel suo
prodotto finito, contro chi pensa ad un arte per pochi, Munari oppone il suo pensare l’arte come un
mondo di esplorazione e messa in atto dei processi della mente, un mondo per tutti.
Munari cerca di capire il funzionamento della creatività, procedendo induttivamente e "facendo".
Nel libro Fantasia11, Munari fa una sorta di casistica di fantasie artistiche famose. Ad ogni caso
l'osservatore-lettore sarà affetto da un de-placement cognitivo che lo porterà o semplicemente a
sorridere, a storcere la bocca con fare altezzoso, oppure a provare nuove sensazioni, a stupirsi per
una cosa mai immaginata. "Cambio di peso; cambio di colore; cambio di funzione, ecc..": il
cambiamento come motore della fantasia. Il cambiamento come strategia per "svegliarsi".
Il mutamento è assente non soltanto nelle cose immobili, ma anche nelle cose che ripetano la
medesima azione ininterrottamente, o perseverino in essa incessantemente. Gli psicologi notano che
gli animali cessano di reagire quando un dato stimolo li investe incessantemente12.
Provocare, creare mutamento per non morire (di noia): per esempio con un cambio delle regole.
Regole all'incontrario. S-regole che danno centinaia di verdi:
“senza ragione
1+1=2
lontano è il sentimento dal calcolo
giallo + blu=centinaia di verdi
lontana è la ragione dall’arte”13
Di seguito, in forma sintetica, altri esempi relativi al "cambio" di regole.
10
B. Munari, Fantasia, Edizioni Laterza, Bari 1977, p. 18.
11
B. Munari, Fantasia, Edizioni Laterza, Bari 1977.
12
R. Arnheim, Pensiero visivo, Einaudi, Torino 1974, p. 27.
B. Munari, Teoremi sull’arte, Corraini, Mantova 2003, p. 47.
13
9

Moltiplicazione degli arti-mostro a sette teste14

Affinità visive-manubrio+sellino=toro (Picasso)15
Forchette=mani (Munari)
Pennellessa=donnina (Munari) (Fig. 1)

Cambio colore-un pane blu16

Cambio di materia-un martello di sughero17

Cambio di luogo-il letto in piazza-s-piazzare (Munari)18 (Fig.2)
Come un piccione-nel cappello del prestigiatore.
Cartoline di Milano-col mare.
Scolabottiglie-in un museo (Duchamp).

Cambio di funzione-modellino di cesso come portacenere19
Cappello messicano-decorazione al muro.
Scarpa-porta monete (Chaplin-Charlot).

Cambio di moto-tempo-alla Ridolini20
Oppure "se i vigili del fuoco si muovessero come la burocrazia!"21.

Cambio di dimensione22
Enormi tubi di dentifricio (Pop-art).
Fantasia come movimento di pensiero, capacità di combinare cose solitamente, concettualmente,
spazialmente, lontane, capacità di mettere in relazione. Le relazioni possono complicarsi con
ulteriori "manomissioni" all'oggetto che possono portare alla creazione di "esseri o cose" suscitanti
nuove sensazioni: relazioni tra relazioni.
Esempio: un gatto blu (cambio di colore) talmente leggero che ha bisogno di essere ancorato altrimenti
vola (cambio di peso) alto venti metri (cambio di dimensione) che si muove tra le fiamme (cambio di
14
15
16
17
18
19
20
21
22
B. Munari, Fantasia, Edizioni Laterza, Bari 1977, p. 49.
Ibidem, p. 6.
Ibidem, p. 68.
Ibidem, p. 71.
Ibidem, p. 79.
Ibidem, p. 83.
Ibidem, p. 86
Ibidem, p.88.
Ibidem, p. 91.
10
luogo) 23.
Dopo aver fatto alcuni esempi per spiegare la regola del "come" attraverso il ribaltamento delle
regole, bisogna passare al "con che cosa". Munari offre l'esempio chiarificatore di questo punto
della ricerca:
Pensate quanta gente vede una faccia nella luna. Perché solamente una faccia? Perché non un pavone?
Un copride [coleottero che si nutre di escrementi]? Perché il copride non l’ha mai visto, non lo ha
memorizzato e quindi non può riconoscerlo. Mentre la faccia umana è la prima cosa che un genere
umano vede venendo al mondo. È la prima immagine che viene memorizzata, che tutti memorizzano,
e quindi dire che là si vede una faccia, è una relazione tra le più semplici che si possono fare. Solo
qualcuno vede una balena che si trasforma in cammello24.
La fantasia, come prodotto di relazioni tra ciò che si conosce, è quindi più o meno fervida se
l’individuo avrà più o meno la possibilità di fare relazioni, se avrà visto più o meno cammelli o
balene.
Dopo il "come" che ribaltava le regole d'uso e il "che cosa" che permette di aumentare la creatività e
quindi le connessioni tra gli oggetti e le esperienze, arriva il momento del "perché" scrivere sulla
fantasia.
Usando le parole di Rodari, altro rivoluzionario della creatività e collaboratore di Munari:
Per cambiare una società basata sul mito della produttività ( e sulla realtà del profitto), che ha bisogno
di uomini a metà-fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti senza volontà. Per cambiarla
occorrono uomini creativi, che sappiano usare la loro immaginazione25.
perché un individuo creativo è una persona che di fronte ai problemi sarà capace di vedere con
occhi diversi (ricordo a tal proposito il libro di Munari "Guardiamoci negli occhi"26, dove il lettore
può cambiare il colore degli occhi ai vari volti disegnati nel testo), di escogitare diverse soluzioni;
un individuo creativo ha un' intelligenza elastica, affronta ogni circostanza, stimola e fa crescere la
comunità in cui vive, non smette di conoscere e confrontarsi con i più svariati campi.
Sia per il carattere gentile che per lo sconforto e la sfiducia nel mondo degli adulti, in cui tutti i
23
B. Munari, Fantasia, op. cit., p. 117.
24
B. Munari, Fantasia, Edizioni Laterza, Bari 1977, p. 22.
G. Rodari, Grammatica della fantasia, edizioni EL, Trieste 1997, p. 179.
B.Munari, Guardiamoci negli occhi, Giorgio Lucini, Milano 1970.
25
26
11
sensi sono annichiliti fatta eccezione per la "reattività" all'odor del denaro, Munari volgerà gran
parte delle sue energie di uomo creativo al mondo dei bambini, gli adulti del futuro.
Munari intervistato da Marco Meneguzzo, fondatore di Reggio Children, centro di studi, di
formazione e di azione per lo sviluppo della creatività nei bambini, dichiara:
Pensa a quante cose non riusciamo a capire perché siamo travolti da un modo sbagliato di vivere, da
pensieri effimeri, futili, da mode. È questo quello che cerco di contrastare e di cambiare nei miei
laboratori per bambini27.
27
Marco Meneguzzo, Bruno Munari, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 21.
12
CAPITOLO IV
Metodo-Munari
Bruno, il Giappone e i gatti
Che i nomi portino con sé la propria eredità, un passato tramandato, una mala o buona fama è noto,
ma ritrovare il significato della propria essenza, il proprio haiku conciso poetico esatto dall'altra
parte del mondo, è sorprendente! E chi più di Munari, amante e costruttore di sorprese, sarà stato
più felice (perché stupirsi significa serbare ancora lo spirito bambino) nello scoprire che il suo
cognome sillabato MU-NA-RI significasse in Giappone FARE-DAL-NULLA! Come spesso
ammoniva Munari "semplificare è più difficile di complicare". Ed è proprio di semplicità, di
leggerezza (anche nel significato di ironia) che ci parlano le sue opere. Una scrittura dalle regole
molto simili alle sue, pare che, come testimonia Renzo Zorzi, apparve a Munari proprio in
Giappone, in un piccolo negozio.
Era il 1964 e Russoli, Castellani, Zorzi e Munari si trovavano a Kyoto.
Lasciate le grandi vie, Zorzi e Munari presero per una stradina sconnessa che li condusse in un
piccolo ambiente pieno di
mercanzia venuta da chissà dove...piccolissimi oggetti quasi arcani, minuscoli contenitori per
trasportare due uova o un peso minimo, leggeri e quasi volanti nella loro struttura essenziale,
innocente [...] striscioline di cuoio presentate separatamente, ma che formavano, intrecciate, altri
contenitori: quasi una sorta di creatività senza limiti [...] fazzolettini trattenuti da piccole stecche di
bambù, gabbiette forse per grilli, tutto costruito a perfezione e finalizzato a uno scopo, insieme del
tutto assurdo e irraggiungibile. Veniva voglia di restare in quel minuscolo negozietto per sempre [...]
come forse in un regno salvatosi per rendere testimonianza di una possibilità.
Il suo [di Munari] viso fine passava sopra agli oggetti, senza bisogno di toccarli; gli bastava
mostrarceli, come una prova di esistenza28.
Semplicità ed essenzialità connotano il "fare" di Munari non solo nelle sue creazioni artistiche, ma
ancor di più quando si rivolge ai bambini. In specifico, il metodo progettuale dei suoi laboratori
didattici potrebbe trovare largo consenso nel mondo del Karate (nato in Giappone), condividendo
infatti le stesse modalità e finalità.
Nel Karatè il maestro si chiama SHU HA RI, nel cui nome sono racchiuse le tappe attraverso cui
28
Renzo Zorzi in Su Munari, a cura di Beppe Finessi, Abitare Segesta Cataloghi, Milano 2002, pp. 66-67.
13
passa l’allievo nel percorso verso la conoscenza. SHU significa rispettare le regole e corrisponde
alla prima tappa (kata), caratterizzata dallo studio. L’allievo osserva l’arte e cerca di riprodurla nel
suo profondo, accomodandola alla propria costituzione e alle proprie doti personali. È la fase dell'
osservazione dell’appropriazione e dell’assimilazione fisica. Nel laboratorio questo step potrebbe
corrispondere alla sperimentazione degli strumenti, alla comprensione delle tecniche artistiche e al
consolidamento dell’esperienza, ma anche al ritrovare l’azione fisica, motoria. HA significa infrangi
le regole, ovvero l’allievo deve distruggere il modello per vedere cosa c’è dietro. Distruggendo la
sacralità delle regole e di conseguenza la sicurezza che le regole danno, l' allievo sperimenta
l’indipendenza, può vedere cosa succede se fa in maniera diversa. E’ un momento caratterizzato da
una dimensione cognitiva, da una presa di coscienza.
Nel laboratorio ciò si traduce nell'esplorazione delle varianti, della misurazione dei limiti, della
trasformazione delle organizzazioni. RI significa vai oltre, e non è la fase conclusiva ma una tappa
di una crescita senza fine perché le tre fasi sono cicliche. Dopo lunga esperienza si dimentica il Kata
perché si è diventati il Kata (cioè il sapere). È il momento della creatività, del “dimenticare a
memoria”29.
Delineato il percorso di formazione, si pone la questione di come il maestro di un laboratorio
dovrebbe comportarsi.
Munari dice che i bambini sono un po' come i gatti: «Per entrare nel mondo di un bambino (o di un
gatto) bisogna almeno sedersi per terra, non disturbare il bambino nelle sue occupazioni e lasciare
che si accorga della vostra presenza»30. Se il bambino "a quattro zampe" sarà stato libero di toccare,
di sperimentare diverse sensazioni tattili, di saltare da un piano all'altro e di "vedere nel buio" avrà
immagazzinato numerosi dati sensoriali che lo avvantaggeranno nella comprensione del mondo.
Impedire ad un bambino di "gattonare" significa privarlo di sensazioni, privarlo delle metafore con
cui esprimere sensazioni fisiche. Crescendo, bisognerà cercare di favorire la "raccolta" di nuove
informazioni che, se apprese direttamente, ovvero facendone esperienza, rimarranno salde nella
memoria e saranno materiale vivo per nuove costruzioni di pensiero.
Ampliare quindi la conoscenza plurisensoriale ("I sensi sono gli organi di «prensione» delle
immagini del mondo esterno, necessari all’intelligenza”31), perfezionare le sensazioni per formare
un individuo non isolato dall' ambiente, è un cardine del pensiero di Munari. Il mezzo è l' azione
(«Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco», antico proverbio cinese che ritorna
29
“Progettare differenze ovvero progettare per ottenere opere sempre variabili o sempre diverse. Obiettivo
perseguito da Munari con lucidità e disinvoltura, acquisendo regole per poterle superare dopo averle accuratamente
analizzate, e prendendosi il lusso di dimenticarle a memoria.” B. Finessi, Bruno Munari, Tuttotondo Tuttoquadro,
Corraini, 2007, p.19.
30
B. Munari in Giocare col tatto, B. Restelli, collana “Le Comete”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 30.
31
Maria Montessori, La scoperta del bambino, Garzanti, Milano 1970, pp. 162-163.
14
spesso nei testi di Bruno Munari).
Per chiarire definitivamente l' importanza dell' azione nel processo di conoscenza cito qui le parole
di Alberto Munari, figlio di Bruno e professore di Epistemologia Operativa:
Non basta far parlare un bambino su di un tema dato per capire cosa ne pensa: occorre far agire il
bambino su quel tema, che deve essere una situazione concreta, manipolabile, io dico agibile. Affinché
egli possa agire il proprio pensiero. Sempre grazie al processo di interiorizzazione l' adulto è diventato
molto abile nel giocare con i concetti e con le parole, in modo tale che a volte è in grado di dire
qualsiasi parola a proposito di qualsiasi cosa [...] e quindi di occultare più o meno volontariamente il
procedere effettivo del pensiero. Con l' azione invece è più difficile scivolare tra le maglie
dell'ambiguità. Un'azione è o non è. Risalire dalla parola al gesto (che l' ha prodotta e poi
interiorizzata) è una strategia efficace per far emergere i processi effettivi di elaborazione della
conoscenza32.
Anche il maestro userà l' azione per essere d' esempio ai bambini.
Attraverso azioni-gioco, usando l'"effetto sorpresa" e l' ironia, il maestro verrà immediatamente
seguito dagli alunni.
La pedagogia di Munari si può definire "pedagogia attiva", come quella di J. Piaget, pedagogista e
psicologo svizzero che fonda il suo pensiero sulla contrarietà nei confronti di un’imposizione
dall’alto e sull’importanza di un apprendimento basato sul "fare" e sulla scoperta del mondo
circostante in modo autonomo33.
Il maestro si deve porre come un regista e deve porsi in quella zona che Vygotsky chiama "zona di
sviluppo prossimale"34, ossia il maestro dovrà innanzitutto comprendere "su quale gradino" della
conoscenza si trova il bambino e collocare di conseguenza la scenografia e il "copione" su un
gradino "prossimo" a quello di "partenza". È anche l' atteggiamento di una buona madre che «si
mantiene sempre sul confine della competenza del bambino»35.
Scenografia e copione dovranno costituire il quadro motivazionale, perciò dovranno essere il più
stimolanti possibile, per adempiere al compito di «collante fra piano emozionale e cognitivo, fra
attività pratica e teorica»36. Inoltre in un laboratorio sarà sempre molto importante, annota Munari,
mantenere uno sguardo attento ed avere la sana pratica di confrontare i propri sguardi con quelli
32
A. Munari in Laboratorio "giocare con l'arte", quaderno n. 7, a cura del Museo Internazionale delle
Ceramiche di Faenza, Faenza 1984, p. 96.
33
Tale pensiero è sviluppato in: Jean Piaget, Lo sviluppo e l’educazione dell’intelligenza, Loescher, Torino 1974.
34
J. Bruner, La mente a più dimensioni, Laterza, Bari 2003, p. 91.
35
Ibidem, p. 96.
36
P. Manuzzi, Pedagogia del gioco e dell'animazione, Guerini studio, Milano 2006, p. 144.
15
degli altri organizzatori: «Ogni collaboratore potrà fare le sue osservazioni, e se queste sono
riconosciute valide da tutti, andranno a modificare il metodo di apprendimento»37 .
Se come metodologia didattica Piaget e Munari sono tangenti, penso che per quanto riguarda l'
ambito delle attività "artistiche" ( intese come attività nelle quali si usano gli strumenti degli artisti)
Munari fosse più vicino al pensiero di Arnheim. Piaget infatti concepisce lo sviluppo cognitivo
come una progressione verso una specifica meta: nel pensiero quel traguardo è il ragionamento
logico-matematico; nelle arti visive è il realismo ottico. A Munari ed Arnheim non interessa affatto
il risultato finale, poiché il "risultato" è costantemente ottenuto nell'atto di percepire: percezione
come conoscenza. "Pensare esige qualcosa di più che pensare i concetti e assegnare loro certi
compiti. Esige che si svelino relazioni, che si scopra una struttura in se stessa elusiva. L' attività
produttiva di immagini serve a dar senso al mondo".
37
B. Munari, Il laboratorio per bambini a Brera, Zanichelli, Bologna 1981, p. 44.
16
Il castello di Tokyo
Quasi vent' anni dopo il primo viaggio in Giappone Munari vi ritorna, perché invitato a mostrare le
sue azioni didattiche agli operatori ed educatori del Kodomo-No-Shiro (Castello dei bambini), un
palazzo costruito per i bambini a Tokyo, fortemente voluto dal ministero per la Salute e il Benessere
del Bambino. Si tratta di un edifico di diciassette piani: ogni piano è adibito a laboratori per la
comunicazione visiva, per la musica, per l’elettronica o per altre attività legate al mondo
dell’infanzia. Al piano terra inoltre è presente un teatro rotondo, in cui lo spazio si può via via
creare a seconda delle esigenze, senza difficoltà poiché le gradinate intorno al palco sono mobili.
Un altro spazio in cui si manifesta la tecnologia nipponica è quella del piano che offre ai bambini
una parete enorme ricoperta di mattonelle bianche sulle quali dipingere liberamente a seconda dell'
altezza; a fine incontro un rivolo d' acqua scende dall' alto della superficie di mattonelle e “lava” via
il colore, presentando così la parete di nuovo pronta all'incontro successivo. Gli ambienti sono
luminosi e “componibili”, grazie a pareti in cartongesso. In molti spazi il soffitto è attrezzato con
pertiche, alle quali agganciare pannelli, attrezzi, scampoli di diversi tessuti. Mentre i bambini
giocano e sperimentano, i genitori sostano in una sala dove solitamente si dilettano con l' arte degli
origami. Bruno Munari ripropone quindi i laboratori che vedremo nel dettaglio nel prossimo
capitolo: i segni, la texture, la prospettiva cromatica, il collage, i formati diversi, i colori, le
costruzioni, le composizioni tattili, le forme componibili, disegnare un albero, modellare la creta. Fa
sorridere vedere (come ho avuto modo di osservare nell'unico pezzo integro di videocassetta che
registra appunto Munari al Kodomo-No-Shiro) come le sue azioni-gioco rendano quasi superfluo il
ruolo del traduttore al suo fianco.
Molto interessanti sono le idee educative che Munari apprende da questa esperienza. Scopre che
nelle scuole materne il messaggio principale da far passare è che ognuno deve esporre il proprio
pensiero ma non imporlo; e che quando una persona parla si deve ascoltarla, poi rispondere. Segue
nel testo a queste osservazioni una critica acuta e pesante della società italiana: «Paese di furbi dove
ognuno cerca di rubare qualcosa agli altri [...]società di rapinatori; anche da noi le persone educate
non interrompono, ma spesso nemmeno ascoltano, ti lasciano parlare e poi parlano loro»38.
38
B. Munari, Il castello dei bambini a Tokyo, Einaudi Ragazzi, Trieste 1995, p. 19.
17
CAPITOLO V
Un lontano pomeriggio del 1956. I laboratori.
«Ogni collaboratore potrà fare le sue osservazioni, e se queste sono riconosciute valide da tutti,
andranno a modificare il metodo di apprendimento»39
Un lontano pomeriggio del 1956 dalla televisione escono queste parole: «Buon giorno a tutti anche
a quelli che invece di andare a pescare sono stati a casa a guardare la trasmissione. Quando
torneranno quelli che sono andati a pescare […] resteranno molto meravigliati nel vedere che
voi,che oggi ci state a vedere, avrete alla fine pescato un pesce enorme. Grande come questo!
Questo che vedete è infatti il pesce giapponese che costruiremo»40. É un giovane Bruno Munari che
spiega nella trasmissione “Costruire è facile” come, con un po' di carta velina e colla, sia possibile
creare un pesce. Conclude con un' immagine del Giappone a lui così caro:« In Giappone, proprio in
questo periodo dell'anno, i ragazzi costruiscono centinaia di pesci come questi, poi li appendono a
lunghe canne di bambù e li lasciano fuori dalle finestre o sui tetti fino a consumazione. Questa
manifestazione è per loro la festa della giovinezza, perché questo pesce rappresenta la carpa che è
simbolo della perseveranza giovanile»41.
Il laboratorio di Brera, 1977
In molti musei di vari paesi esistono dei parcheggi per bambini dove questi sono lasciati "liberi" di
fare quello che vogliono, avendo di fronte alcune riproduzioni a colori delle opere esposte nel museo.
Lasciarli liberi vuol dire abbandonarli all'imitazione, per cui alla fine i bambini avranno provato la loro
incapacità di imitare i maestri, si sentiranno stanchi e delusi, non avendo imparato nulla di utile al loro
sviluppo42.
Il progetto del laboratorio nasce da una serie di seminari organizzati dalla Fondazione Rizzoli negli
anni 1975/76, ai quali partecipano esperti di varie nazioni sul tema “Museo Vivo”, con l’intento di
trasformare il Museo da luogo esclusivamente di conservazione di opere d’arte a strumento di
comunicazione e sperimentazione visiva. Munari, nella sua relazione all’interno dei seminari
39
40
41
42
B.Munari (a cura di), Il laboratorio per bambini a Brera, Zanichelli, Bologna 1981, p.44.
Pia Antonini in Su Munari, a cura di Beppe Finessi, Abitare Segesta Cataloghi, Milano 2002, p. 236.
Ibidem, p. 237.
B. Munari (a cura di), Il laboratorio per bambini a Brera, Zanichelli, Bologna 1981, p. 4.
18
Rizzoli, propose l'idea del "laboratorio", come strumento per entrare nell' opera d'arte, dalla "porta"
della sua matericità, del suo "essere fatta di, essere fatta come".
Non tutti i visitatori di un museo sanno vedere le opere d'arte visiva. Gran parte di essi, a causa di una
educazione basata soprattutto sulla letteratura, cerca il racconto nell' arte visiva e non "vede", perché
non conosce i problemi, le regole di tutto ciò che dà corpo a un' opera d' arte visiva43.
Quando questa proposta operativa fu accettata dalla direzione del Museo, si formò il gruppo di preprogettazione (con Metta Gislon, Coca Frigerio, Marielle Muheim, Tonino Milite) che scelse di
rivolgersi ai bambini (Munari: "Siccome è quasi impossibile modificare il pensiero di un adulto, noi
dovremo occuparci dei bambini"44) nella fascia di età relativa alle scuole elementari. Scelta
motivata dal pensiero che il lavoro avrebbe potuto facilmente adattarsi e modificarsi sia in funzione
della scuola materna sia in funzione della scuola media.
La base da cui partire era l’analisi delle varie tecniche delle opere d’arte di ogni epoca per ricavarne
gli elementi da fornire ad esperti di stimolazione della creatività, affinché fossero trasformati in
giochi. Per meglio comprendere il "gioco", le tecniche e le regole sono espresse con riproduzioni d'
arte e pannelli esplicativi con il massimo di immagini e il minimo di parole. Sotto a queste
spiegazioni ed esemplificazioni visive il bambino trova gli strumenti giusti "per provare anche lui a
fare"45.
Nasce così il gioco "che colore vedi da lontano?" (tra i pannelli esplicativi uno mostra una macchia
formata di puntini giallo e blu, che ad una certa distanza viene percepita dall'occhio come un "verde
mobile") per capire il divisionismo; il gioco del "è il segno che fa il disegno", ovvero a diverso
strumento e diversa maniera di usare lo strumento, corrispondono diverse "comunicazioni" (come
mostrano i vari pannelli di artisti); il gioco del "ricalco", ovvero come "catturare" la texture delle
cose; il gioco del "lontano vicino", per avvicinarsi alla prospettiva, non quella Albertiana
(rinascimentale di punti di fuga e reticoli complessi), ma quella cromatica che ogni bambini può
"afferrare" davanti a un paesaggio "profondo"; il gioco del "cosa ti sembra?" per mezzo di fogli di
formati diversi che suggeriranno nuovi disegni (di fronte ai bambini un'opera duccesca su tavola
tripartita); il gioco del "collage" con una particolare attenzione all'uso "materico" e "3d" che assume
la carta, quando questa viene variata: stropicciata, piegata (alle pareti esempi di composizioni di
Braque e Picasso); il gioco delle "forme componibili", utilizzando pezzetti di carta colorata tagliati
43
44
45
B. Munari (a cura di), Il laboratorio per bambini a Brera, Zanichelli, Bologna 1981, p. 4.
bidem, p. 5.
Ibidem, p. 6.
19
ad hoc.
Un' altra attività proposta a Brera è quella di dipingere con un colore soltanto. Ma, se solitamente i
bambini hanno nelle loro scatole di colori una o massimo due variazioni dello stesso colore, in
questo laboratorio trovano tantissimi colori diversi per ogni "famiglia cromatica". Ogni bambino
conoscerà così "nuovi" colori e svilupperà la propria personalità scegliendo quelli che più gli
piacciono.
In breve: conoscenza di nuove tecniche per un ampliamento delle possibilità di sperimentazione.
Molte delle attività sopra descritte sono divenute parte integrante o sono state ispiratrici di altre
attività stimolatrici di creatività nei testi della collana pedagogica "Disegnare costruire colorare",
altre sono state "ripetute" e filmate per la collana di videocassette "Giocare con l'arte".
Non ho approfondito in questo paragrafo le attività di Brera proprio perché "ritorneranno", in
maniera più fresca e diretta, nel paragrafo "Munarità-telecronaca", nato appunto dalla visione delle
videocassette "Giocare con l'arte".
20
Il laboratorio di Faenza, 1978
Capire cos'è l'arte è una preoccupazione (inutile) dell'adulto.
Capire come si fa a farla è invece un interesse autentico del bambino46.
Come a Brera, il Laboratorio nel Museo Internazionbale delle Ceramiche di Faenza nasce per
rompere la diffidenza, l'indifferenza che coglie molte persone "non del mestiere" davanti all'opera
d'arte e al museo in generale. Creare familiarità con l'opera attraverso il "fare ceramica" è l'idea che
unisce ceramisti professionisti, insegnanti dell'Istituto Statale D'Arte "Gaetano Ballardini" e Bruno
Munari e che fa sì che il progetto dalla carta passi all'azione.
Munari aderisce al progetto anche perché a partire dalla ceramica, uno strumento malleabile e al
servizio della fantasia, è possibile fare leva su quei recettori tattili che i tanti "non toccare!" dei
genitori e tanti divieti hanno chiuso.
Anche l’esperienza di Faenza si basa sull’individuazione di quelle tecniche che meglio si adattano
all'età dei partecipanti e che meglio di altre possono essere declinate sotto forma di gioco. Come a
Brera i bambini trovano sui piani di lavoro all’interno del laboratorio la riproduzione di alcune
opere d’arte esposte nel museo e le fotografie di tutte le operazioni funzionali all’attività proposta:
si privilegia così il principio di massima comunicazione visiva e si evitano lunghe spiegazioni. Il
compito del "maestro" è di mostrare ed eventualmente aiutare i bambini a capire le varie tecniche
offerte, senza però intromettersi nel loro pensiero progettuale: un assistente tecnico, che non dice
cosa fare ma aiuta a capire "come".
Il laboratorio ebbe un grande successo tant'è che pochi anni dopo la sua nascita anche gli adulti,
insegnanti e non, chiesero di potervi partecipare. Tra gli adulti che presero parte alle attività
didattica in molti espressero il loro entusiasmo nei termini di un ricongiungimento con il mondo
dell'infanzia.
Il laboratorio di Faenza per i più piccoli organizzato da Ivana Ancorelli, principale organizzatrice e
ancora oggi, vent'anni dopo la sua nascita, prima responsabile del laboratorio, è quello che ritengo il
più interessante e che esemplifica più degli altri cosa significhi lavorare con la creta. Questo
laboratorio verrà riportato integralmente nel paragrafo successivo "Munarità-Telecronache".
Ma come funzionano i laboratori di Faenza? Con i bambini più piccoli (nido e scuola materna) la
sperimentazione inizia direttamente dal luogo di provenienza della creta: la cava. Poi seguono le
sperimentazioni, i "paciughi" con la materia, come ben descritto nella telecronaca della Ancorelli.
46
B. Munari, Fantasia, Edizioni Laterza, Bari 1977, p. 116
21
Ai bambini più grandi vengono presentate le seguenti tecniche: le impronte, le tracce, le texture, la
sfoglia, la trafila, il lucignolo, il rilievi, l'ingobbio, le perle, le terre colorate, la colorazione.
I laboratori per le scuole elementari si pongono i seguenti obiettivi:

superare gli stereotipi figurativi;

maturare la capacità creativa;

usare il linguaggio visuale in modo consapevole e personale;

approfondire ed ampliare conoscenza ed esperienza tecnica;

acquisire la terminologia specifica della materia.
Tra i lavori proposti per raggiungere gli obiettivi elencati c'è quello del "vaso" che sviluppa e affina
nel bambino la capacità compositiva e cromatica, il concetto di tridimensionalità, quello
corrispondenza e di forma, la nozione di grandezze graduate, di positivo e negativo, di modulo e di
progettazione.
22
Il laboratorio tattile, 1977
NON TOCCARE! Quante volte i bambini si sentono ripetere questa imposizione. Nessuno direbbe
mai: non guardare, non ascoltare, ma pare che il tatto sia diverso, molti pensano che se ne possa fare
a meno47.
Munari rimase negativamente stupefatto quando chiese agli organizzatori della mostra "Le mani
guardano" – mostra al Beaburg di Parigi in cui i fruitori dovevano lasciarsi guidare dal senso del
tatto per "esplorare" modelli di architettura e opere d'arte tattili – se avevano esposto anche le tavole
tattili del movimento futurista ma «quei signori non sapevano cosa fossero queste tavole»48.
Quando la mostra fu riproposta a Milano venne chiesto a Munari di allestire un laboratorio tattile
nel quale questa volta non mancarono le tavole tattili di ispirazione futurista. Anche se per certi
versi lontano dal funzionalismo del movimento futurista, Munari condivideva con Marinetti
l'importanza dell'esperienza tattile nella vita quotidiana come in quella artistica ai fini di «una
migliore comprensione tra gli esseri umani»49. A riprova di questa vicinanza, nel suo testo I
laboratori tattili, Munari riporta per intero le categorie di valori tattili come le aveva concepite
Marinetti50.
Il laboratorio fu realizzato in una sala collegata con la mostra di Milano: per accedervi bisognava
attraversare una porta “chiusa” con delle strisce di materiali diversi: strisce di plastica, di stoffa, di
corde, di nastri51. Questo stratagemma per accedere al laboratorio ricorda la formula di apertura
delle favole: con "C'era una volta" si chiede all'ascoltatore di credere a ciò verrà detto, di
abbandonare per un pò la realtà.
La "realtà", ovvero l'allestimento del laboratorio era composto da tavoli che avevano al centro dei
vassoi colmi di ritagli di materiali da toccare: cartone ondulato, pelliccia, plastica, pezzi di
moquette, carta vetrata. Materiali molto diversi che i bambini potevano cercare, toccare, guardare e
47
48
49
50
51
B. Munari, I laboratori tattili (1985), Edizioni Corraini, Mantova 2004, p. 3.
B. Munari, Laboratorio "giocare con l'arte ", a cura del Museo Internazionale delle Ceramiche Faenza, Bologna,
Zanichelli, 1988, p. 6.
Filippo Tommaso Marinetti, Il Tattilismo, pubblicato la prima volta dalla rivista “Comoedia”, gennaio 1921. Il testo
qui riportato è tratto da: Viviana Birilli (a cura di), Manifesti del Futurismo, Abscondita, Milano 2008, p. 188.
La prima categoria comprendeva il tatto sicurissimo, astratto, freddo, con materiali come carta vetrata di varie
gradazioni e la carta argentata. La seconda il tatto senza calore, persuasivo, ragionante, con materiali tipo seta liscia
e crespo di seta. La terza categoria comprendeva il tatto eccitante, tiepido, nostalgico, con materiali tipo velluto,
lana, crespo di seta-lana. La quarta era relativa al tatto quasi irritante, caldo, volitivo e comprende i materiali come
la seta granulosa, intrecciata, la stoffa spugnosa. La quinta categoria si riferiva al tatto caldo, morbido, umano e i
materiali erano la pelle scamosciata, i peli di cavallo o di cane, capelli e peli umani, marabù. Infine la sesta categoria
era relativa al tatto caldo, sensuale, spiritoso, affettivo e si riferiva a due tipi di materiale: uno il ferro ruvido, la
spazzola leggera, la spugna, la spazzola di ferro. L’altro gruppo era composto da peluria di uccello, peluche, peluria
della carne e della pesca.
Ibidem, pp. 6-9.
23
poi attaccare con una colla non molto adesiva su dei listelli di compensato e disporli in modo tale da
comunicare sensazioni, racconti tattili.
Nello spazio del laboratorio erano appese al muro tavole strette di legno, sulle quali erano incollati
tanti materiali in scala tattile, ad esempio dal materiale più morbido a quello più duro.
Ritorna come nel laboratorio di Brera e di Faenza, l'exemplum ben visibile, la varietà di strumenti
(in questo caso i materiali) conoscibili.
Il ruolo dell'adulto è quello di suggerire la sperimentazione di
materiali opposti per le
caratteristiche tattili (ruvido-liscio, duro-morbido, per esempio), di provare a mettere in fila
materiali in base alla scala tattile, di familiarizzare con le terminologia.
Espletato il ruolo di "suggeritore", la funzione dell'adulto sarà quella di essere d' aiuto nelle
problematiche "tecniche" (mostrare per esempio il modo più giusto di incollare), ma non dovrà mai
fornire indicazioni "artistiche".
Oltre alle tavole tattili i bambini potevano costruire messaggi tattili fatti con tante corde diverse alle
quali si potevano legare pezzetti di materiale: messaggi da “leggere” con le mani, anche provando a
tenere gli occhi chiusi.
Per Bruno Munari tutti gli uomini nascono forniti di un apparato plurisensoriale, che con il passare
degli anni viene atrofizzato perché l’individuo «dà la prevalenza alla logica e alla letteratura»52 e
privilegia il senso della vista e dell’udito, perdendo il piacere ma anche le possibilità di conoscenza
proprie del tatto. I laboratori tattili aiutano a riconquistare questo strumento di conoscenza che la
natura ci ha dato e a conservare la globalità sensoriale per una maggiore e più diretta conoscenza
dei fenomeni.
Laboratori di un giorno
Molti sono i laboratori che si susseguono dopo il successo dei primi, tra questi é interessante
segnalare quello di Aosta in occasione della Fiera degli artigiani, durante la quale i bambini avevano
a disposizione migliaia di forme diverse di legno (scarti della lavorazione degli “artigianifalegnami”); quello di Imperia, del 1982, “Giocare con la stampa”: un’ esperienza attraverso la
quale il bambino sperimentava le tecniche della stampa; “Aria e carta“ nel 1983 Mantova dove
Munari lanciava da una torre “origami” di carta e annotava le diverse traiettorie delle carte. Il
“laboratorio Lego” svoltosi a Milano nel 1987 in occasione della mostra “L’architettura è un gioco
stupendo” con un' intera sala colma di pezzetti di lego a disposizione dei bambini; il laboratorio
52
B. Munari, cit. in Beba Restelli, Giocare con tatto, collana “Le Comete”, Milano, Franco Angeli, 2002, p. 49.
24
“Giocare con la natura” realizzata a Milano nel 1988, nel quale i bambini giocavano con i diversi
tipi di materiali della natura raccolti in un parco; sempre a Milano, “Il laboratorio di
sperimentazione dei materiali” ideato in questo caso per giovani allievi dell’Accademia di Belle
Arti di Brera.
Al senso dell' udito Munari si accosta durante la Triennale di Milano del 1989, dove presenta una
sperimentazione ludica con i suoni, proposta poi nel 1988 nella scuola elementare “Sauro” di Lecco.
L' azione-gioco di costruzione di un albero partendo da grandi fogli di carta via via dimezzati a
creare i rami più giovani, è stata sperimentata con grande entusiasmo e partecipazione dai bambini
di alcune scuole elementari a Milano alla fine degli anni Settanta; così come il laboratorio “Rose
nell' insalata”, ovvero come trasformare verdure in matrici da inchiostrare. Sempre nelle scuole,
Munari ha proposto l' uso del proiettore di diapositive nella funzione “altra” di creatore di nuove
immagini, partendo da semplici composizioni di piccoli frammenti di origine organica o non inseriti
nei telaietti. Tutti questi laboratori portano la cifra di Munari: lo stupore che porta la
sperimentazione, la semplicità della regola che si interiorizza facilmente, l' uso di procedimenti che
invitano il bambino ad esprimersi con le immagini, senza paura di sbagliare.
25
Munarità-telecronache
Primi approcci con la creta
Di seguito un incontro-tipo di Ivana Ancorelli con bimbi della scuola materna al Museo
Internazionale delle Ceramiche a Faenza.
La creta è un elemento naturale. Qui da noi a Faenza ci sono dei luoghi da cui già l'uomo dell'antichità
traeva la creta: dalle cave allo stato secco, dai fiumi allo stato plastico, e ne ricavava manufatti.
Dentro questa terra, sapete cosa c'è che la mantiene così plastica, così morbida? L'acqua, l'elemento
essenziale che la rende docile alle nostre mani.
Oltre ad essere plastica, la creta è quindi anche malleabile, duttile. Tutti: "cosa vuol dire?" . Malleabile vuol
dire che si può manipolare, e duttile che si può trasformare e ridurre come ci piace. Sono tre dunque le
caratteristiche della creta: è plastica, duttile, malleabile. Ma che cosa succede quando si cuoce? Finché è
cruda, allo stato plastico, si può darle una forma, poi distruggere questa forma e rifarne una dopo l'altra
,centomila; ma quando questa forma si cuoce rimane definitivamente quella. Plastico significa, allora,
modificabile. E ancora: allo stato plastico la creta è infrangibile, si può buttare per terra e non si rompe.
Dopo che è stata cotta invece diventa frangibile, cioè si può rompere agli urti.
Altra differenza: cruda ha un colore grigiastro, cotta diventa rossa. Questo perché nella sua composizione vi
è una sostanza che le dà il colore rosso che si chiama "ossido di ferro". Continuiamo con le differenze:
quando è cruda, non assorbe; dopo la cottura, poiché l'acqua non c'è più, diventa porosa e capace di
assorbire. Cambia anche il nome: prima si chiama creta, argilla, terra; dopo è terracotta. Ecco, a questo
punto cominciamo ad usare la creta e a fare quello che vi dico.
Noi ora non useremo gli attrezzi che avete davanti, ma useremo solo le nostre mani, che sono degli strumenti
naturali del nostro corpo. Fate una pizza. Questa pallottola di terra trasformatela, battendo coi pugni molto
forte. Avete visto che abbiamo fatto una superficie. Con la mano, tocchiamo questa superficie: com'è? È
liscia oppure ruvida? Tutti: "liscia". Molto bene. Adesso facciamo un'altra trasformazione, usando prima i
due pollici, poi i due indici, i due medi, i due anulari, e per ultimo i due mignolini; e via, riempiamo tutta la
superficie con questi "buchi". Attenti a muover le dita simultaneamente!
(Questo è un esercizio molto utile perché sviluppa la capacità del bambino di usare contemporaneamente le
due dita chiamate ed è un'ottima ginnastica di scioglimento per le mani).
Sapete, è importante saper usare tutte e due le mani insieme, specialmente in questo campo. Di solito
adoperiamo molto di più la destra, ma dobbiamo far fare allenamento anche alla sinistra! E così abbiamo
trasformato la superficie. Prima era liscia; e invece adesso sentite piano piano, percorretela tutta con la
mano senza spingere, vi accorgerete che è ruvida. Adesso giochiamo con la fantasia ( É importante non solo
imparare ad usare mani ed attrezzi, ma anche far uscire la nostra mente dagli stereotipi soliti per arricchirla
di più. Quelle che abbiamo tracciato sono impronte, "buchi"; ma facciamo riflettere il bambino sulle
26
immagini che le impronte possono evocargli).
Sulla superficie abbiamo lasciato un insieme di segni. A cosa vi fanno pensare?
Tutti: "sono bolle d'acqua...mele...cappelli....nasi...fragole".
E adesso una terza trasformazione. La prima era una sfoglia liscia, la seconda una sfoglia con le impronte;
ora faremo una sfoglia a rilievo. Ma prima, bisogna tornare a rendere liscia la nostra pizzetta. Premetela col
palmo, con le nocche, col pugno.
Forza! (Questo esercizio, oltre a dare un'esperienza della riplasmabilità della creta, è importante perché
permette al bambino di liberare la sua aggressività naturale. Mentre vi è impegnato, è bene che gli si
permetta di scatenarsi quanto vuole; e niente paura se, com'è probabile, il rumore sarà assordante. Solo al
momento di fornire ulteriori spiegazioni sarà richiesto il silenzio).
Ora che la superficie è tornata liscia, pizzicottiamola tutta col pollici e l'indice come se fosse una guancia.
Le dita tirano su verso l'alto la creta, per cui sulla superficie si formano dei rilievi. Che cosa sembrano a voi
questi rilievi?
"Sembrano tante creste...squame di pesce...".
(Forse qualche bambino già condizionato alla passività, in un primo tempo stenterà ad abbandonarsi a
questo gioco. Immaginare qualcosa oltre il dato visivo immediato può costargli fatica, ma una volta superata
la barriera si sentirà più libero e ricco). Adesso, resa di nuovo liscia la pizzetta, facciamola sottile sottile,
quasi come un foglio di carta. Se è così, possiamo arrotolarla: infatti si lascia arrotolare benissimo.
Teniamola verticale sul tavolo, che cosa sembra?
"Camino...un tubo...una gamba storta..."
E invece teniamola orizzontale. Che cosa sembra adesso?
"tunnel...treno...".
Dunque uno stesso oggetto, messo orizzontale, verticale oppure storto, suscita immagini diverse. Abbiamo
arrotolato. Si potrà srotolare? Sì! E da questo pezzo unico e grande, proviamo a farne tanti, piccoli piccoli.
Rimettiamo insieme i pezzettini: avremo di nuovo l'unità. Ma qualcosa è cambiato. Dopo avere per tanto
tempo manipolato la creta, essa non risponde più come prima. É più secca. È naturale: ha perduto un po'
d'acqua. Se la vogliamo far tornare malleabile come all'inizio del gioco, cosa dovremo fare?
"Metterci dell'acqua!"
(La creta, per riacquistare freschezza, deve essere addizionata ad acqua e impastata a fondo, fino ad
impregnarsene. I bambini sono abituati spesso a giochi asettici e quasi già completi in sè che non lasciano
grande spazio al suo intervento liberatorio)
Quindi qualcuno è un po' imbarazzato, perché il "paciugo" fa schifo. E oltre a tutto evoca il ricordo di
proibizioni e rimproveri. Ma poi si sblocca e ride nel piacere della trasgressione e nella soddisfazione del
ritorno all'ordine e alla pulizia.
Intanto, ha imparato qualcosa sulla chimica della creta. E ora sulla creta liscia appoggiamo la nostra mano
e, ben allargata, senza più muoverla, premiamola sulla superficie. Anzi, anche l'altra mano libera la
spingerà, prima sul dorso poi sulle dita. La mano lascia la sua impronta. Impronta è quindi un segno
27
lasciato da un corpo che preme su una superficie più morbida rimanendo fermo. Se invece la punta del dito
preme sulla sfoglia, ma in movimento, percorrendola tutta, lascia quella che si chiama una traccia. Traccia è
un segno lasciato da un corpo che preme, in movimento, su una superficie più morbida. Il primo segno è
statico, il secondo è dinamico. Il gioco delle impronte si può fare anche con le scarpe. (Dopo, a seconda
dell'impronta lasciata, i bambini si divideranno in gruppi e questo sarà spunto per esercizi di insiemistica e
logica-matematica).
E arriviamo all'ultimo gioco di questo primo incontro con la creta. Se nascondiamo un pezzetino di argilla in
mezzo alle nostre palme e ruotiamo le mani, così una sopra l'altra, come a volte facciamo con la mollica o la
gomma da masticare aprendo le mani troveremo una pallina. Possiamo fare tante palline di tante misure
diverse e disporle per ordine di grandezza sulla nostra pizza di creta; perché rimangano attaccate alla pizza
usiamo una specie di colla che si chiama "barbottina": è sempre argilla ma c'è dentro molta più acqua del
solito. Invece delle palline si possono anche fare i colombini, cilindretti che si ottengono facendo scivolare
sotto le mani, che vanno avanti e indietro, la creta posta sul tavolo.
Fate tanti colombini grandi e piccoli, messi in fila. Vi siete divertiti? Tutti: “sì!”53
53
Ivana Ancorelli in Laboratorio "giocare con l'arte", quaderno n. 3, a cura del Museo Internazionale delle
Ceramiche di Faenza, luglio 1983, pp. 8-12.
28
Le videocassette: laboratori “giocare con l’arte”
Molti adulti pensano che sia bene aiutare i bambini a risolvere i loro problemi di comunicazione con
gli altri, dando loro le soluzioni già fatte. Così i bambini non si abituano a pensare come risolvere il
problema e cercheranno sempre qualcuno che dia loro la soluzione. Non bisogna quindi dare soluzioni
già fatte ma, attraverso giochi appositamente studiati, far sì che scoprano loro stessi come
comunicare con i disegni, i colori, le forme e tutte le tecniche di comunicazione visiva. Un bambino
creativo è un bambino felice54.
Bruno Munari ha realizzato una collana video edita dalla Metamorphosi, dedicata a bambini,
genitori, nonni ed educatori che vogliono giocare insieme con le tecniche dell' arte. La collana
contiene i seguenti titoli: Il segno, La forma, Il colore, Le texture, Il collage, La fotocopia.
Nei prossimi paragrafi descriverò i contenuti presenti nelle videocassette.
Videocassetta “Il collage”
Una macedonia di immagini e materie
“Non è la colla che fa il collage!”
“Come può essere\presentarsi il colore?”
Per prima cosa, Bruno mostra i tubetti di tempera e i diversi colori che ne escono. Poi estrae da una
carpetta il colore in fogli, ovvero numerosi cartoncini fogli colorati. Ma ecco spuntare tra i fogli una
foglia (“Ci son fogli e foglie”): ed ecco, come in tutto il fare di Munari, balza l’elemento ironico,
che apre immediatamente il campo ad altri orizzonti. Ai materiali cartacei si aggiunge la borsa di
scampoli, di materiale e colore diversi.
Munari fa qualche esempio, pratico ovviamente, di come realizzare un collage. La regola è il
procedimento di incollaggio: distribuire la colla sui bordi dei pezzi scelti e pressare, previa
copertura del pezzetto con un foglio, l’elemento incollato, “se no, si fa paciugo”.
Spunti: oltre a usare le forbici per tagliare, si può anche stracciare direttamente il foglio per ottenere
forme irregolari, sfrangiate.
“Il bambino è liberissimo di usare tutte le carte che vuole!”
Di seguito gli esempi di collage mostrati da Munari ai bambini.
54
Dalla copertina delle videocassette “Giocare con l'arte”.
29

Collage fotografico
Esempi istantanei di collage: cane gigante che salta una automobile-uso fantastico (carpetta piena di
ritagli di immagini da “far giocare”), cane in mezzo a paesaggio-uso realistico.
“Provate!”
“Vi faccio vedere un gioco divertente” ed ecco che Bruno taglia a striscioline longitudinali una foto
di una ragazza; appoggia le striscioline distanziate di circa un cm l’una dall’altra su un cartoncino
verde e l’occhio vede una ragazza che guarda attraverso una gelosie.
Sara: "Ho fatto una faccia…a pezzi.”

Collage con gli scampoli
Bruno M.: “Come mai il sole penzola dal cielo?”.
Federico: “Perché è giorno!”.
Bruno M.: “Ah non ci avevo pensato” [mai far percepire errata la risposta del bambino!].
Chiara: “Questo è una signora che guarda dietro ad un vetro rosso [foglio di acetato rosso] e il sole
con l’eclissi [coperto da un tondo di acetato blu]”.
Bruno M.: “Chissà come sarà la storia…”.
Regola finale: “Se vi piace questo gioco ricordatevi di chiudere la colla!”.
Videocassetta “Il colore”
Introduzione narrativa stimolante.
Bruno M.: “Da bambino mi hanno regalato una trottola particolare; quando gira, i dischi formano,
dai colori primari, tutti gli altri colori”. E poi estrae dalla tasca la trottola in questione".
Munari chiede che tutti i bimbi portino un colore da casa.
Poi chiede ai bimbi di metterli per terra raggruppati a seconda del colore o della vicinanza
cromatica.
Ed ecco Munari estrarre un mazzo di ravanelli con tanto di foglie! “E questi dove li mettiamo?”
I bambini sorridono e con naturalezza sistemano gli ortaggi tra il gruppo dei “rossi” e quello dei
“verdi”.
Poi da un sacco pieno di materiali oggetti di diversi colori, portati da Bruno, ogni bimbo è invitato a
scegliere tre colori e a creare con questi una composizione.
Munari osserva e apprezza ogni composizione: “Bello questo azzurro con questo arancione”, “Uh
che raffinato: tutta una composizione di diversi verdi”.

Colori secondari
Munari dispone su una tavolozza i tre colori primari.
30
Regola: non mescolare i pennelli già intinti con altri colori.
Dopodiché con un pennello medio traccia, partendo dall’alto, una striscia orizzontale gialla; poco
sotto una striscia rossa e ancor più in basso una striscia blu. Con un pennello pulito e un po’ bagnato
sfuma la striscia gialla nella striscia rossa, formando così l’arancione. Stesso procedimento per il
rosso, che fondendosi col blu formerà il viola.

Prospettiva del colore, ovvero il gioco del vicino e del lontano
Su un foglio di carta Munari, utilizzando un pastello a cera ed esercitando una minima pressione
colora una zona; con lo stesso pastello colora un’altra zona, stavolta premendo
con più forza il
pastello sul foglio e così via fino all’ultima zona in cui il colore risulterà molto intenso. Le parole
usate da Munari per descrivere questi effetti sono: “Qui il colore quasi
non
lontanissimo, qui è lontano, qui è un poco più lontano,
è qui”. Poi chiede ai
qui il colore
si
vede,
qui
è
bimbi, se vogliono, di fare un paesaggio “dove si vede che il colore va lontano”55.

Disegno invisibile
Davanti agli occhi stupiti dei bimbi, Munari traccia con una candelina da torta di compleanno
dei
segni su un foglio di carta. Ricopre i segni con del colore a tempera diluito ed ecco venire alla luce
il misterioso disegno!

Colori trasparenti
Munari mostra un’altra maniera per capire la composizione dei colori non primari: sovrapponendo
fogli di acetato di diversi colori. Molto semplice!
Videocassetta “La forma”
Il formato del foglio sul quale disegna un bambino è quasi sempre rettangolare (A4 o A3) e, può
non sembrare, ma è parecchio vincolante, è insistentemente suggerente dove “ha da stare” il
verticale e dove l’orizzontale: il più delle volte (bambini dai 5 anni in su) il foglio è sistemato sul
banco in modo che il lato lungo sia parallelo al busto di colui che disegna, e il disegno ha inizio dal
lato lungo, la base. Alla consegna “disegnate quel che volete” l’intramontabile “classico” è che il
bambino disegni alla base una striscia verdina o marrone e che invece colori di azzurro la linea
orizzontale alta del foglio; in mezzo casine casette casone, omini donnine bambini, un albero,
qualche volta un animale.
L’idea di Munari è di mettere a disposizione dei bambini fogli di carta di misure e di forme molto
variate, forme che cattureranno l' interesse del bambino, che troverà, pescando dal serbatoio di
immagini personali, per esse un soggetto.
55
A mio parere l’uso dei pennarelli mono-toni, che a fatica permettono al piccolo disegnatore di imprimere il proprio
carattere sul foglio, è molto limitante.
31
Per ottenere forme ancora più casuali, Munari strappa ( ciò che solitamente è sbagliato fare!infrangere le regole porta a nuove scoperte) davanti ai bambini le carte direttamente con le mani.
I fogli di diversi formati sono lasciati cadere a terra; i bimbi raccolgono quelle che più “parlano” a
loro.
Le girano tra le mani studiando le diverse posizioni ed è così che qualcuno interpreterà una forma
come la testa di una foca, qualcun altro vedrà degli occhiali, ecc…”Bambini e bambine di quattro,
cinque, sei anni, hanno disegnato cose che mai avrebbero disegnato sul solito foglio normale come
viene dato in quasi tutte le scuole”56.
Un altro effetto straniante è quello di presentare ai bimbi fogli con fori più meno grandi di diverse
geometrie e chiedere loro di disegnarvi quello che ritengono più adatto.
Sia per i formati “strani” sia per i fogli forati, si possono osservare diversi approcci: chi viene
invogliato dal foro a disegnarvi intorno casette, pensando allo spazio vuoto come ad un laghetto; chi
in una forma vedrà la sagoma di un volto; chi continuerà ad approcciarsi tradizionalmente, usando
una forma, anche se irregolare, per disegnarvi “prato e casetta” o ignorando il foro.
Nessuna delle forme a disposizione soddisfa il bambino?
Munari, mano alla puntatrice, mostra come costituire nuove forme con un semplice “trick” che
unisce carte di forme diverse.
Videocassetta “Il disegno”
È il segno che fa il disegno?
Munari presenta diversi esempi di disegni, che comunicano prevalentemente attraverso il segno:
disegno di foglie di un artista giapponese eseguite con un pennarello-pennello; disegno “pittura
rupestre” di Mirò che “usa il pennellaccio” e lo strofina con colore saturo sulla superficie; disegno
di uccellino “che sembra di prenderlo in mano” con pennarello nero sottile.
Quanti strumenti?
Tanti: fusaggine, pennarellone, pennello, carboncino…
Quanti segni con uno stesso strumento?
Munari, davanti ai bambini, indaga come le diverse possibilità espressive di un singolo strumento
cambino a seconda di come sia impugnato, come sia inclinato, come sia fatto muovere sul supporto,
quanta pressione gli venga impressa.
I bambini sono invitati a scegliersi uno strumento e a sperimentare.
Il segno è soltanto quello tracciato su un supporto?
56
B. Munari, Fantasia, Laterza, Bari 1977, p. 125.
32
Munari estrae una cordella nera “prendiamo un segno, lo butto in aria e…”e sul foglio ecco una
linea formare un interessante disegno.
Quante cose si possono vedere come se fossero di-segni!
Con il filo di ferro da fiorista si possono di-segnare alberi, profili di persone, biciclette, ecc…,
muovendo il nastro che si usa nella ginnastica artistica, con una luce appositamente posizionata, si
possono osservare di-segni d’ombra della durata di meno di un secondo, come anche i di-segni di
luce uscenti da una torcia in movimento.
33
Videocassetta “La fotocopia”
Mai copiare per imbrogliare! Copiare per imparare a fare!
Munari inizia questo laboratorio scherzando: fa indossare una mascherina nera a un bambino che
imiterà un falsario, intento ad usare la fotocopiatrice per riprodurre una banconota!
Dopo aver elencato gli usi comuni della macchina fotocopiatrice, Munari dice ai bambini che essa
"può riservarci molte sorprese", perché "con la fotocopiatrice si può anche giocare!".
Munari: “Mettete le manine insieme qui! Passa la luce, che legge le vostre mani”.
Ed ecco uscire la fotocopia della "composizione-mani", tra lo stupore generale.
Una volta compreso da dove esca la "sorpresa", tutti i bambini scelgono di posizionarsi davanti all'
"uscita della sorpresa".
Munari poi appoggia la fotografia di un animale sulla lastra della fotocopiatrice.
"E proviamo a muoverlo!"
"La fotocopiatrice legge il movimento"
E subito dopo appare un interessante cane "liquido", unico nel suo genere.
Munari mostra poi un foglio fitto di pallini neri e ripete l'operazione "movimento".
Cosa è risultato?
Munari: "Ho un' altra cosa che non si sa che cos' è ma proprio per questo muove l' immaginazione".
Munari: "Proviamo con delle foglie!" [dal foglio alle foglie].
Munari: "E adesso una reticella bianca e una foglia sopra. Ma devo aggiungere un foglio scuro sulla
reticella se no la macchina non riesce a catturarla".
E poi Munari complica la composizione, che può essere letta come un racconto [fare
sperimentare+pensiero narrativo].
Munari: “Adesso proviamo con la foto del cane, un rametto con foglie, uno straccetto. Cosa è
venuto fuori? Un cane dietro al cespuglio che forse salta lo straccetto”.
Munari: “E adesso provate voi!”.
I bambini sperimentano pieni di entusiasmo, perché il risultato non è mai deludente.
Inizialmente è una gara a chi appoggia più cose sulla lastra; poi Munari consiglia loro di non
sovrapporre troppi oggetti. Molti bimbi vogliono fotocopiare alcuni caratteri tipografici tagliati
dalle riviste, ma li posizionano a "faccia in su". Munari spiega che "quello che si vuole copiare va
voltato di là".
Solo dopo numerose prove di sovrapposizioni un bambino si ricorda della possibilità di muovere l'
immagine ed è seguito subito dagli altri.
Trascorso un po' di tempo, Munari mette in campo un diverso "modo" di fare.
34
"Possiamo anche disegnare con la luce!"
Munari "insegue" la luce della macchina fotocopiatrice, in azione, con il fascio di luce di una torcia.
I movimenti della torcia, a zig-zag, ondulatati, a intermittenza, formeranno un disegno.
Tecnica versus creatività?
Riporto qui un interessante ragionamento di Alberto Munari che risponde alla critica rivolta al
presunto lato troppo tecnico dei laboratori “Giocare con l'arte”.
La risposta è che senza una tecnica non si può realizzare la propria creatività.
Ma alla critica suddetta molto probabilmente sta come sottofondo la vecchia concezione
che separa il sapere scientifico-tecnico da un lato, e il sapere creativo-letterario-poetico da
un altro.
L’idea cioè che vi sia un sapere duro, rigido, che impone delle regole dalle quali non si
può uscire, da un lato, e dall’altro invece la libertà, un pensiero che può muoversi
liberamente.
[…]
L’arte appartiene al sapere narrativo, l’arte è un racconto personale che l’artista racconta
con le parole, con le immagini, con la creta, ecc.
[…]
Ho sentito molto spesso presentare i laboratori come dei luoghi dove non si fa più l’arte
intesa come intuizione poetica soggettiva, ma dove si fa una ricerca “oggettiva” delle
tecniche, dei gesti, degli strumenti. In realtà anche qui si tratta di cose di natura
soggettiva. Il discorso su tecnica-arte-creatività spesso viene usato per contrabbandare un
discorso su soggettività e oggettività. Invece, sfumando la frattura, il confine tra tecnica e
creatività, tra sapere scientifico e sapere narrativo, sfuma anche il confine tra sapere
oggettivo e soggettivo. Tutto quello che si realizza nel laboratorio dello scienziato che
gioca con la scienza così come nel laboratorio dei bambini che giocano con l’arte, è un
racconto che trova la sua legittimazione nel fatto stesso di realizzarsi e di trovare un
gruppo
di
persone
pronte
ad
ascoltarlo
57
e
a
ri-raccontarlo
ad
altre57.
A. Munari, “La legittimazione del sapere” in Laboratorio “giocare con l’arte”, quaderno 5, a cura del Museo
Internazionale delle ceramiche Faenza, Faenza 1991, pp. 85-91.
35
Capitolo VI
Di-sogno. Teorie e grafiche sui sogni in una classe di prima
elementare
Ciò che specificamente occorre […] è una battaglia convincente in favore del pensiero
visuale. Se l’avremo compresa in teoria, potremo cercare di curare in pratica la
lacuna morbosa che storpia l’educazione della capacità ragionativa58.
Durante la raccolta di informazioni sui laboratori di Bruno Munari, cresceva la mia
curiosità di provare e capire “con mano” un’esperienza di laboratorio per poter dare
corpo alle azioni, metodi, allestimenti descritti nei libri. «Capire facendo»59: come
un ritornello, le parole di Bruno Munari continuavano a “ronzare” nella mia testa.
Ho avuto la fortuna di avere una cara amica maestra che mi ha aperto la sua classe al
mio desiderio. È una prima elementare di una piccola scuola pubblica di Bologna.
Classe multiculturale: ci sono bimbi del Bangladesh, del Pakistan, del Gana, delle
Filippine, della Romania. I loro nomi sono: Marco, Matteo, Raluca, Ilaria, Sabrina I.,
Sabrina M., Cecilia, Antonio, Vadim, Winilyn, Manuel, Luxuri, Kamron, Dana,
Diego, Tayyab.
Relazione della maestra Chiara sulla classe60
Il gruppo classe si presenta eterogeneo per competenza, livelli di partenza e
provenienze culturali. Il clima della classe si è rivelato positivo fin dai primi giorni, i
bambini stanno instaurando tra loro un rapporto di fiducia, di affetto e di aiuto
reciproco. Dal punto di vista didattico le attività proposte cercano di coinvolgere le
varie realtà presenti utilizzando diversi linguaggi e strategie. I bambini si mostrano
58
R. Arnheim, Il pensiero visivo, Einaudi, Torino 1974, p. 6.
59
Frase riportata da: Beba Restelli, Giocare con tatto. Per una educazione plurisensoriale
secondo il metodo Bruno Munari, FrancoAngeli/Le Comete, Milano 2002, p. 32.
60
La relazione è stata redatta dalla maestra nel mese di Ottobre 2012.
36
sempre motivati, interessati e curiosi, il che facilita non poco il lavoro di insegnante.
Si manifesta eterogeneità di capacità, strumenti, tempi e ritmi di lavoro: alcuni
bambini non hanno frequentato la scuola dell' infanzia, dunque non sono abituati al
“tempo-scuola” e devono acquisire una serie di prerequisiti necessari; due bambini
presentano difficoltà specifiche tali per cui è necessario l' aiuto costante dell'
insegnante; sono presenti due bambini arrivati solo a Settembre in Italia, per i quali si
è avviato il corso di prima alfabetizzazione; sei bambini “stranieri” possiedono la
conoscenza della lingua italiana come L2. La multiculturalità di questa classe
rendeva necessaria uno strategia-laboratorio, che usasse il linguaggio universale dell'
arte, arte come contenitore dei problemi senza bloccarli, arte come spazio per
negoziare significati ed esprimere se stessi.
37
Tabella “italianità”
NOMI
DATA DI
NASCITA
LUOGO DI NASCITA
È IN ITALIA
DAL
Tayyab
09\07\2006
Pakistan
Da due anni
Kamarun (Annika)
11\10\2006
Bangladesh
Da settembre
2012
Cecilia
16\02\2006
Antonio
09\10\2006
Daniela (Dana)
22\02\2006
Moldavia
Da settembre
2012
Luxuri
24\01\\2006 Italia (genitori del Ghana)
Ilaria
22\01\2006
Sabrina
25\01\2006
Sabrina M.
01\01\2006
Matteo
06\02\2006
Diego
16\09\2006
Italia (genitori Romeni)
Manuel
27\11\2006
Italia (madre Romena)
Nicolò
13\01\2006
Winily
29\11\2006
Marco
09\05\2006
Raluca Ionela
20\12\2005
Romania
Da due anni
Vadim
20\09\2005
Ucraina
Da gennaio
2013
Italia (genitori Filippini)
Sul laboratorio e sul disegno
Nelle attività pratiche mi sono ispirata, seppur maldestramente (difficilissimo spiegare azioni
usando il minimo di parole), ai laboratori e al metodo di Bruno Munari. Anche se Munari aborriva
38
l’uso del “tema”, ho immerso questi incontri nel tema del sogno. Primo perché mi interessava
sapere cosa sognano i bambini di oggi, quali sono le figure di cui hanno paura, quali i desideri;
secondo perché il sogno nella società odierna è svalutato, relegato ai romantici o agli psichiatri,
mentre secondo me è importante che alla vita onirica venga dato ascolto, soprattutto a quella dei
bambini per sondare il loro stare bene o stare male, ma anche come prassi comune. Penso a ciò che
lessi nel testo Usare bene i sogni dell' antropologo Jill Morris riguardo ad una tribù della Malaysia, i
Senoi61. Al mattino la collettività si univa in cerchio ad ascoltare i sogni degli abitanti del villaggio
e a seconda dell' importanza dati ad essi nasceva una discussione, un' interpretazione. Quando il
sogno prendeva le forme del desiderio la collettività si impegnava ad aiutare il membro a
realizzarlo; nel caso di un incubo invece, il sognatore avrebbe dovuto impiegare lo spazio e il tempo
del sognare come una sorta di palcoscenico in cui “provare” una nuova parte. Se, per esempio, un
sogno ricorrente era di essere ucciso da una persona, il possessore e “posseduto” del sogno si
doveva impegnare la notte successiva a non scappare davanti all' assassino ma ad affrontarlo.
Raccontare è infatti raccontarsi: raccontare di sé e dell' ambiente culturale in cui si è immersi.
Bruner quando parla di «pensiero narrativo», intende proprio una costruzione di percorsi possibili,
percorsi in cui “strada facendo” si costruiscono, si negoziano significati. All' ascoltatore viene
chiesto la sospensione di giudizio, viene chiesto di con-prendere: «sospendere l' incredulità e
accettare quello che ci viene raccontato per tutto il tempo che vogliamo restare nell' ambito di una
realtà ad un tempo fittizia e creativa»62.
In terzo luogo, ho scelto “la scenografia-sogno”, perché ben si presta come prateria della fantasia,
per raccontare sogni “realmente accaduti” ma anche per inventarne dei nuovi: nessuno potrà dire
“questo sogno non è vero”. Il tema “sogno” legittima qualsiasi associazione mentale. Il linguaggio
del bambino, che non è logocentrico e lineare come quello dell' adulto, trapassa fluido dalla logica
alla fantasia. Il racconto del sogno è un campo di indagine in cui si trova chiara conferma delle
peculiarità visive e associative che sorreggono il pensiero combinatorio del bambino.
Un messaggio che mi premeva passare era quello del disegno come traccia; disegno come
strumento per memorizzare, per registrare gli aspetti prettamente visivi con immediatezza, senza
barriere ma anche per memorizzare un insieme, leggibile in un’occhiata, un’occhiata di chi sa
perché lo ha disegnato lui stesso.
Sappiamo che i bambini già prima dell' ingresso nella scuola primaria riescono a produrre forme che
61
J. Morris, Usare bene i sogni, pp. 98-100.
62
J. Bruner, La mente a più dimensioni, Editori Laterza, Roma-Bari 2003, p. 65.
39
rappresentano in modo sufficientemente riconoscibile oggetti ed eventi, schemi di case, persone,
alberi... Queste figure cosiddette “canoniche” trasversali, cioè simili nel modo di essere rappresentate
in diverse parti del mondo, sono molto spesso trascinate, senza variazioni, nel corso degli anni delle
scuole elementari63.
Principalmente per una ragione: per comunicare in maniera non ambigua, ovvero in una maniera
“riconosciuta” da un pubblico. Molto spesso però il pubblico è un pubblico adulto, dalle linee diritte
e dallo stereotipo radicato da anni di convenzionalità. Alla domanda “Qui cos' hai disegnato?”, il
bambino molte volte risponderà con ciò che sa che si vorrebbe da lui. Nel tempo lo sviluppo più
comune del disegno purtroppo è quello che di aggiungere, di abbellire piuttosto che di ristrutturare.
A questa problematica, una sorta di “conservatorismo” ed “economia” dei processi di progettazione
ed esecuzione, tenta di far fronte Munari quando propone nella videocassetta “Lo stereotipo”64 l'
uso di diversi strumenti (matita, fusaggine, pennarello) per disegnare la “casa”. E quando la bimba
nel filmato vuole forzare di far entrare la classica seconda finestra nella casetta disegnata col
carboncino, Munari le dice :”Ci può essere anche una casa con una sola finestra, o magari le “tue”
due finestre sono dietro”.
Ciò che penso volesse comunicare Bruno ad un bambino è che non esiste un modo giusto o
sbagliato di disegnare, esistono tante tecniche, tanti modi, tanti punti di vista da esplorare per
trovare il proprio modo di esprimersi.
E invece nelle culture in cui le attività basate su carta e matita sono consuete e di facile accesso e dove
la sperimentazione e il cambiamento evolutivo sono attesi e valorizzati, le prime organizzazioni
grafiche del tipico stile dell’arte infantile vengono ulteriormente sviluppate e, entro la fine
dell’infanzia, le attività artistiche o vengono canalizzate in modelli progressivamente più complicati
che soddisfano le norme e le aspettative culturali, oppure vengono accantonate nel senso che i bambini
smettono di disegnare65.
In questo “mio” laboratorio ho spiegato ai bambini con enfasi che il disegno del quaderno dei sogni
potesse essere anche soltanto una traccia, un disegno-schema, un amo con esca con cui pescare
nella nostra memoria, un' esca “fatta da noi per noi”. Quando ho detto ciò, pensavo al disegno come
strumento per ripercorrere nelle linee l' esperienza “sogno”; ma penso anche allo “strumento”
63
64
L. Donsì, S. Parrello, Disegnare il mondo. Disegno e conoscenza sociale, Liguori, Napoli 2005, p. 21.
Videocassetta Giocare con Munari Mini-lab, Museo Pecci di Prato.
65
C. Golomb, L’arte dei bambini. Contesti culturali e teorie psicologiche 2002. Tr. it. Raffaello Cortina Editore,
Milano 2004, p. 97.
40
disegno come “esperienza” su foglio di una lezione di storia, di italiano, di geografia. Osservare è
percepire (intendendo “percezione come cognizione” Arnheim), stare davanti all'oggetto; disegnare
è stare davanti al pensiero e mapparlo su carta: «L'esternalizzazione libera l' attività cognitiva dal
suo carattere implicito, rendendola più pubblica, negoziabile e solidale»66.
Il disegnare una linea è disegnare il pensiero. Disegno come strumento personalissimo di memoria
da affiancare alla preponderante cavalcata della scrittura che tutto pesta.
Il periodo in cui si assiste al “declino” del disegno come mezzo per esprimere vissuti e per comunicare
eventi (coincidente agli otto anni circa), corrisponde alla fase in cui i processi di lettura e scrittura
vengono completamente interiorizzati dal bambino. Questa coincidenza ci porta a riconsiderare, da un
lato, l’origine comune di scrittura e grafismo come capacita di “annotare significati” attraverso simboli
grafici, e dall’altro a considerare come, nel corso dello sviluppo, al grafismo sia riservato una doppia
evoluzione: verso sistemi notazionali iconici (disegno) e non iconici (numeri e lettere) diversamente
valorizzati dalla nostra cultura67.
Disegno inoltre come strumento di espressione della sfera emotiva.
«Io creo pour ne pas pleurer; questa è la prima ed ultima ragione». 68.
Purtroppo all’interno del sistema scolastico italiano, il destino del disegno è di scomparire con la
promozione dell’alunno alle classi superiori. Nelle scuole elementari come scrive Alberto Munari
«il fatto di mettere al mattino nei programmi orari di una scuola materie come la matematica, la
lingua, le scienze, ad esempio, mentre la musica, la danza, il disegno vengono collocate nelle tarde
ore del pomeriggio, indica chiaramente una valutazione diversa di queste discipline»69.
Fare laboratorio: spazio, tempo, materiali, relazioni
Lo spazio dell'aula si presenta non molto ampio, ciò ha reso necessario una ri-organizzazione dello
stesso, per facilitare l'azione dei bambini e ottimizzare i tempi di svolgimento. Quando dovevo
raccontare, per esempio, usavo la forma “cerchio” per creare più vicinanza; durante il “fare” invece
66
J. Bruner, La cultura dell'educazione, Feltrinelli, Milano 1999, p. 36.
C. Braglia, tesi di dottorato Sviluppo delle forme espressive grafiche, infantili: storia, teorie, pratiche. Una
ricerca etnografico-cognitiva, Università degli Studi di Siena, A. C. 2010-2011, p. 195.
68
R. Arnheim, Il pensiero visivo, Einaudi, Torino 1974, p. 299.
67
69
A. Munari “La legittimazione del sapere” in Laboratorio giocare con l’arte, quaderno 5, a cura del Museo
Internazionale delle ceramiche Faenza, Faenza 1991, p. 81.
41
i banchi erano a gruppi di quattro, al centro dei quali era disposto il materiale. Nel “compito” delle
macchine dei sogni il materiale scelto era materiale di riciclo non proprio di uso quotidiano (rullini
fotografici, pezzetti di legno, tubetti di tempera vuoti, cartucce di stampanti, scampoli, lenti di
ingrandimento...) che per la loro “diversità” erano molto stimolanti, così da favorire nuovi reticoli di
comunicazione (“i materiali divengono oggetti mediatori di comunicazione”70). Ho constatato che
spazi e tempi ben calibrati e materiali diversificati favoriscono non solo una migliore relazione del
bambino con gli oggetti, ma anche con gli altri compagni.
La “scaletta” da me pensata ha dovuto ascoltare in “maniera elastica” i segnali, le richieste, le
scoperte dei bambini reali che avevo davanti, e quindi ha richiesto aggiustamenti di volta in volta.
Per esempio ho sentito che era necessario dare più tempo al loro raccontarsi, come è accaduto il
giorno in cui hanno portato i quaderni con i disegni dei sogni fatti.
Oppure quando un bambino con le lacrime agli occhi ha detto di non sognare, ho inventato il gioco
del “facciamo che sto sognando”: un momento in cui ognuno poteva inventare ideare associazioni
assurde, strambe. Il gioco si è mostrato fruttuoso anche perché mi ha rivelato alcune maniere del
procedere e del costruirsi del pensiero nel bambino. Spesso il bambino si appoggia all’intervento
del compagno che lo precede rendendolo proprio e lo arricchisce di qualcosa di nuovo, che a sua
volta potrà essere trampolino per un nuovo intervento. L'esprimersi all'interno di un gruppo infatti
favorisce il nascere di molteplici zone di sviluppo prossimale e quindi rafforza i processi cognitivi,
nonché l'autostima e la motivazione del bambino. Questo gioco ha rivelato inoltre come il bambino
“non sognatore” avesse una fervidissima fantasia ed ingegno “da sveglio”!
Diario
Durante i primi incontri ho raccontato, con qualche variazione, la storia del GGG di Ronald Dahl71 ,
il Grande Gigante Gentile, il più piccolo dei giganti e da questi altri preso un po’ in giro. Insomma è
un personaggio che facilmente si immagina stare con un piede nel “vero mondo” “misurabile” (
nella sua descrizione fisica ho precisato come la sua testa, la sua altezza, arrivasse fino ad un tubo
giallo sul soffitto della classe: un gigante potrebbe stare in classe) e con l’altro in un “possibile
mondo”( alla domanda “dove abita il GGG?” ho risposto vagamente “uno va in Australia, poi va su
un’isola, poi si perde e se è fortunato si trova davanti la caverna del GGG”). E quindi, una volta
appurata la sua bontà e cioè che non mangia umani, è un personaggio che suscita simpatia, voglia di
conoscerlo (Marco: “Ce lo porti?”) e di aiutarlo.
70
71
P. Manuzzi, Pedagogia del gioco e dell'animazione, Guerini studio, Milano 2006, p. 151.
R. Dahl, Il GGG, Salani Editore, Milano 1982.
42
“Sapete bambini il GGG è un po’ vecchio e ha bisogno di aiuto. Lui è un collezionista di sogni ma
adesso fa un po’ fatica”. La richiesta del GGG ai bambini è che disegnino i loro sogni su un
blocchetto, sogni che lui poi “verserà” nelle sue bottiglie-porta-sogni.
Aspettavo e temevo mi venisse rivolta la domanda “E cosa se ne fa dei sogni?”, a cui inizialmente
avevo pensato di rispondere spiegando che il GGG avrebbe utilizzato i loro sogni per punire le
persone cattive, soffiando nelle orecchie di questi un sogno brutto e avrebbe invece premiato le
buone con i sogni buoni (come racconta Ronald Dahl) ma odorava di Cristianesimo spiccio e quindi
poi avevo preferito immaginare un GGG anzianotto che guardava i sogni, come un vecchietto
guarda la tv.
Nessuna domanda invece. Sono davanti a bambini non ad adulti.
Poi si diventa adulti, si entra nella ‘società’, uno alla volta si chiudono i recettori sensibili, non
impariamo quasi più niente, usiamo solo la ragione e la parola e ci domandiamo: quanto costa? A cosa
serve? Quanto mi rende? E poi, diventati ricchi, ci si fa costruire una villa al lago e, come ricordo di
un’infanzia felice perduta per sempre, si fanno mettere in giardino la serie completa dei nanetti e
Biancaneve in cemento colorato72.
Nello svolgersi, breve, del racconto ho cercato di suscitare ragionamenti ponendo domande
riguardanti i sogni: di cosa sono fatti, da dove provengono, se esiste una posizione particolare per
sognare, se tutti sognano, come si fa a catturarli.
Le risposte hanno preso vie inaspettate, ma non per questo meno ricche di narrazioni.
Lunedì 26 novembre
Io: “Mi chiamo Helena, sono l’aiutante di un signore un po’ particolare…qualcuno mi aiuta ad
aprire la valigia?”.
Un gruppo di bimbi si lancia sulla valigia. La apriamo e compare un grande disegno di un vecchio
dalle orecchie enormi, un po’ piegato, che sfiora con la mano una farfalla.
Marco: “Che orecchie strane…come si chiama?”.
Io: “GGG”.
Marco: “Gigi!”.
Ilaria: “Che orecchie!”.
72
Dal testo introduttivo di B.Munari, Ciccì Coccò, Como, Ed Fotoselex, 1982, cit. in G. Maffei, Munari. I libri,
p. 164.
43
Marco: “Sembra un elefante!”.
Io: “GGG che vorrà dire?”
Marco: “Gigi! Giagia! Gigante!”.
Io: “Sì, la sua testa infatti arriva al soffitto. Vedete quel pezzo di plastica giallo sul soffitto? Fino a
lì!”.
Marco: “Meeee che forza! Ce lo porti qua un giorno?”.
Io: “É molto vecchio, per questo mi ha chiesto di aiutarlo. Lui colleziona sogni. Guardate, questa è
la sua caverna e queste sono tutte bottiglie con dentro i sogni che ha raccolto” [Mostro loro un
disegno dove, sistemate su alti scaffali (gli scaffali della caverna del GGG), ci sono tantissime
bottiglie, il cui contenuto sono macchie di colore. Su alcune bottiglie ho disegnato una etichetta con
“il titolo” del sogno].
Marco: “Ma è la verità?” [e qui mi trovo solidale col personaggio del libro Messalina di Fabrizio
Dentice, quando davanti ad una bambina che gli chiede il nome del suo cavallo, pensa «e che ti
frega a te, bambina, come si chiama questo cavallo. Si chiama Pinocchio, si chiama, avrebbe voluto
risponderle d'impulso. Ma come si fa a mortificare un innocente?(...) non si può proprio. Perciò
Bernardo Sammarzano, a incontrare le scolaresche, soffriva»73].
Nicolò: “Ma quante ne ha raccolte? 1476?!”.
Io: “Di cosa pensate sono fatti i sogni?”.
Sabrina I: “Dell’amore”.
Ilaria: “Dell’amicizia”.
Raluca: “Della mente”
[Hanno risposto solo le femmine. Forse dovevo mostrare il disegno delle bottiglie più tardi, perché
la maggior parte dei bimbi sono attirati da esso].
Nicolò: “Io vedo delle scritte” [le etichette sulle bottiglie].
Marco: “C’è scritto il sogno? Ma quanti sogni fa?”.
Io: “Non sono i suoi, li acchiappa alle persone”.
Marco: “E come fa ad acchiapparli?”.
Antonio: “Come cavolo fa a prenderli tutti?”.
Marco: “Come fa a fregarli?”.
Io: “Vediamo se avete un’idea…”.
Marco: “Fa così!” [con la mano imita il gesto di afferrare qualcosa].
73
F. Dentice, Messalina, Adelphi, Milano 1991, p. 68.
44
Io: “Innanzitutto quando si sogna?”.
Raluca: “La notte!”.
Marco: “Te li fai dire” [prosegue il suo filo per rispondere alla precedente domanda “come li
acchiappa?”].
Raluca: “Io ho sognato qualcosa di brutto”.
Antonio: “Io ieri ho sognato che tagliavo un mignolo con le forbici e subito mi son svegliato”.
Raluca: “Io ho sognato metà del sogno brutto, poi mi sono svegliata perché era quasi mattino” [i
sogni “scadono” al mattino].
Ilaria: “Ieri l’altro ho fatto un sogno che era sabato, ero in cucina [luogo della quotidianità, della
vita reale] e pensavo che era vero”.
Tayyab: “Io quando ho sognato mi era sembrato che un lupo mi mangerà”.
Io: “Cosa vi sembra che contengano queste bottiglie?” (Figg. 5-6)
Marco: “Un serpente, un cuore”.
Nicolò: “Sembra sangue”.
Marco: “A me questo sembra …[l’urgenza di prendere la parola senza ancora avere chiaro cosa
dire] un’onda”.
Raluca: “A me sembra il sole”.
Antonio: “Perché queste sono vuote?”.
Io: “Perché sono sogni dai colori stranissimi e non son riuscita, non avevo la macchina fotografica
purtroppo, a disegnarli”.
Marco: “Pensa quando il GGG era ad una bottiglia!!!E li rubava?”.
Io [ritento la domanda “come catturare i sogni”]: “Voi [dal “secondo voi” passo al più diretto “voi”,
che pone i bambini in prima persona, soggetti agenti, nei panni di] come fareste ad acchiapparli?”
[Noto che adesso questo problema li coinvolge molto. Forse perché “acchiappare un sogno” è
associabile ad un gioco, ad un’azione, ad un movimento del soggetto].
Marco: “Se li fa dire”.
Raluca: “Ma se tutti dormono…”.
Marco: “Però anche lui dormirà…”.
Raluca: “Con la magia!”.
Marco: “Li può prendere con una palla…”.
Qualcuno: “Possiamo entrare nelle teste…”.
45
Marco: “Possiamo risucchiare con una palla”.
Tajjab: “Possiamo metterli nella palla con la magia” [unisce l’idea di Marco e di Raluca].
Nicolò: “Lo possiamo prendere con la mente”.
Marco: “No, ti sta entrando [il sogno], tu lo blocchi e lo prendi da là” [mima l’azione].
Antonio: “Ma se uno dorme le mani son sotto le coperte [probabilmente era talmente immerso nella
“situazione dormire” da vedere nessun’altra possibilità che le mani “sotto coperta”!].
Matteo: “In un cartone io ho visto uno che entrava nella testa degli altri per vedere i sogni”.
Marco: “Può darsi che era Gigì!”.
Raluca: “Il GGG non può entrare nella testa”.
Matteo: “Però può fare una bolla di sapone e la bolla entra dentro al cervello e prende il sogno”.
Marco: “Giusto!”.
Io: “Matteo ha indovinato come fa il GGG. Comunque ci sono tanti modi di catturare i sogni, questo
è quello del GGG”.
Marco: “Uuu! Lo fa con le bolle! Grande Matteo! Hai indovinato!”.
Io: “Winnilyn, vai ad aprire la tasca del GGG!”.
Winnilyn apre la tasca [una finestrella sul disegno del gigante, come quelle dei calendari
d’Avvento] e compare il disegno di un contenitore di bolle di sapone. C’è anche una lettera V e,
forse non molto chiaro, un calzino a righe.
Antonio alza la mano e con una certa solennità dice: “Ho capito una cosa: quando lui fa le bolle
entra dentro i sogni”.
Marco: “Ma può darsi che lui mentre uno è distratto prende le bolle e le fai oppure mentre uno
dorme, oppure mentre uno sta guardando da una parte, guarda cosa c’è, lui fa una bolla…”.
Io: “Quando si fanno i sogni?”.
Raluca: “Di notte”.
Marco: “Anche in piedi”.
Sabrina: “Ad occhi aperti!”.
Marco: “Perché quando uno fa un sogno è distratto”.
Raluca: “Sì, ma come fa a far delle bolle che entrano nel cervello?...ma le bolle scoppiano!” [Raluca
continuando a pensare alla soluzione-bolle “di Matteo”, vede la problematicità della materia
“scoppiabile” della bolla di sapone che non “fa quadrare i conti”].
Marco: “No, perché lui fa così” [Marco risolve quasi tutto con la gestualità].
Ilaria: “Son [le bolle del GGG] resistenti!”.
Io: “Cos’altro c’è nella valigia?”.
Tutti: “Calzini!”.
46
Nicolò: “Non puzzano!”.
Qualcuno: “Hanno un buco!”.
Io: “A cosa servono?”.
Ilaria: “Per acchiappare i sogni!”.
Io: “E il buco?”.
Marco: “[il GGG] Lo cuce”.
Ilaria: “Può diventare minuscolo ed entrare dentro ad un orecchio” [L’interesse
ritorna al
personaggio principale. Il problema del buco non sussiste].
Marco: “Ce lo porti? Lo porti in macchina, dentro un camion, sdraiato…”.
Nicolò: “Nella tasca [del pantalone del GGG] c’è una lettera V!”.
Marco: “Si potrebbe chiamare VVV oppure Vero!”.
Io: “Servono a qualcosa queste orecchie grandi?”.
Ilaria: “Ad ascoltare se uno è sveglio oppure no”.
Sabrina I: “Ad ascoltare i sogni”.
Io: “Con quelle orecchie riesce anche ad ascoltare quelli delle farfalle!”.
Marco: “Oppure quelli dei topi”.
Raluca: “Quelli dei conigli!”.
Marco: “Ma li riesce a sentire anche da sette km e cinquanta?”[Il fascino della precisione dei
numeri].
Io: “Gli animali sognano?”.
Coro misto di “No!” e “Boh”.
Tayyab: “Un cane non sogna”.
Io: “Un uccellino?”.
Coro: “No!”.
Io: “Una lumaca?”.
Coro: “No!”.
Io: “Un albero?”.
Coro: “No!”.
Nicolò: “Un albero no. Un uomo sì” [pensiero per opposizione].
Io: “Un lombrico?”.
Coro: “No no!”.
Marco: “Un uccellino di certo!”.
Kamron: “L’elefante sogna?”.
Io: “Chissà…”.
47
Marco: “Gli uccellini possono sognare tipo che un coccodrillo o un cinghiale li mangia oppure che
diventino già grandi”.
Ilaria: “Oppure un aquilone! Oppure sognare di avere tantissimi piccoli” [è straordinario con che
facilità il bambino abbandoni la logica per seguire la fantasia].
Io: “C’è una posizione particolare per sognare?” [imito qualche postura stramba].
Raluca: “Bisogna dormire. Io mi ricordo da tanto quel sogno-incubo…”.
Marco: “Oppure [continuità col pensiero antecedente] una rana può sognare di avere dei
girini…sognare che è già grande ed avere dei girini…”.
Raluca: “Il riccio può sognare di diventare un ragno…”.
Marco: “Si può chiamare anche Gigiùn!”.
Ilaria: “Giumbolo!”.
Marco: “A noi ce li può rubare i sogni?”.
Consegna
Io: “Lui vorrebbe che voi disegnaste, un disegno veloce, al mattino, appena svegli, il sogno che
avete fatto, se ve lo ricordate”.
Matteo: “Ma io non faccio tanto spesso i sogni!”.
Io: “Quando lo farai lo disegni; oppure te ne inventi uno”.
Qualcuno: “Anche sogni brutti?”.
Io: “Belli e brutti e misti!”.
Marco: “Lo facciamo a casa?”.
Ilaria: “Ma io devo svegliarmi molto presto, non ce la faccio…”.
Nicolò [permane sul pensare cosa sognino gli animali]: “Una rana ha sognato di fidanzarsi con un
rospo”.
Marco: “Oppure [oppure-non si impone] un riccio può sognare di avere una moglie e tanti ricci”.
Raluca: “Ma possiamo disegnare anche gli incubi che facciamo? [Le preme di saperlo, visto che “è
da tanto” che si ricorda un incubo, come ha detto prima].
Marco: “Io ne ho tre di incubi”.
Antonio: “Anch’io ne ho tre!”.
Ci avviciniamo al disegno delle bottiglie (fig. 2 e 3).
Il gioco del “cosa sembra?”, riguardo al contenuto delle bottiglie.
Ilaria: “Questo è un incubo!”.
Antonio: “Questo è un cervello!”.
48
Tayyab indica come incubo la bottiglia dal contenuto “rosso e blu”.
Ilaria: “É quello che ho detto io!”.
Tayyab: “Un fantasma”.
Ilaria: “Ho detto la stessa cosa”.
Antonio: “Io continuo a pensare ad un cervello”.
Kamron: “Sogno bello” [indica quello rosso e blu, dagli altri definito “incubo”. Tutti la guardano
straniti].
Io: “O magari è un bel sogno!”.
Kamron: “Un fantasma buono”.
Manuel: “Un fulmine!”.
Nicolò: “Magari il cervello è di una persona che non esiste…”.
Raluca: “Fantasma che vuole essere amico da qualcuno…fantasma triste” [sogno che poi mi
racconterà essere suo].
Raluca: “Fulmini che ha colpito un albero e mentre piove”.
Antonio: “Sangue vampirato”.
Tayyab: “Una pioggia, le gocce. Io dice la pioggia”.
Ilaria: “Onda d’acqua”.
Tayyab: “Mi sembra con il fuoco e con la pioggia”.
Marco: “Sembrano serpenti”.
Raluca: “Questa è la mia idea: un ragazzino che sta per morire per colpa di un incendio. A me
sembrano i suoi capelli”.
Tayyab: “Questa mi sembra una figurita”.
Io [Mi pare di intuire che per Tayyab sia molto importante vedere il proprio nome sul foglio. Il
nome rappresenta se stessi.]: “Vuoi avere la firma dappertutto Tayyab?”.
Raluca: “Anch’io voglio avere la firma!”.
Tayyab prosegue senza turbamenti nella conquista del maggior numero di bottiglie col suo nome.
Tayyab: “Questo è sangue che ha ucciso”.
Nicolò: “Questo ha la testa mangiata”.
Ilaria: “Questo mi sembra il prato con sopra una persona che dorme e questa è la sua maglietta
azzurra”.
Qualcuno: “Vene di sangue”.
Qualcun altro: “Bottiglia di sangue”.
Maestra Chiara: “Dana [bambina moldava che parla poco l’italiano] cosa c’è qui, secondo te?”.
Dana: “C’è Nicolò”.
49
Chiara: “E cosa fa?”.
Dana: “Beve una bottiglia”.
Io: “Al GGG piacciono da matti i sogni delle farfalle e le farfalle lo sanno.
Siccome le farfalle sono molto attratte dai colori, il GGG ha pensato a questo stratagemma per
catturarle. Ha preso dei calzini colorati bucati e li ha trasformati, con un po’ di fil di ferro e un
manico di scopa, in retini.
Le farfalle si son accorte che il calzino era bucato; quindi entravano nel calzino ridendo e uscivano
dal buco ridendo ancor di più. “Che stupidone quel gigante”, dicevano tra loro. Per settimane il
GGG cerca (anzi, in verità, fa finta) di acchiappare le farfalle coi calzini bucati. Ma un giorno cosa
fa? Prende un filo speciale, trasparente, che estrae dalle foglie di una pianta, l’agave.
La conoscete? (Qualcuno dice “sì” e tenta una descrizione).
Con questo filo trasparente cuce il buco”.
Ilaria: “Ma come fanno [le farfalle] ad entrare se il buco del calzino è chiuso e anche quello…”.
Le spiego, con calzino alla mano, che le farfalle vengono prese dal GGG dalla parte ampia del
calzino.
Ilaria mostra, indicandomi l’apertura grande del calzino, come la farfalla “però lei può girare e
uscire da qua”.
Io: “Sì potrebbe uscire di qui, ma è difficile girarsi”.
Marco: “Si gira ma poi è già chiuso. Ma lo fa [il GGG] ancora?”.
Io: “Sì. Poi [finisco rapidamente il racconto, perché il tempo a disposizione sta terminando] tira
fuori la farfalla dal calzino e scuote la polvere che c’è sulle ali, che sono i sogni. Poi fa una bolla di
sapone e intrappola la polverina; poi soffia la bolla con la polverina in una delle sue bottiglie”.
Insieme alla maestra Chiara distribuiamo ai bambini dei blocchi di fogli bianchi dal titolo “I miei
sogni”, che suggeriamo di mettere sotto al cuscino prima di andare a dormire e sui quali, al mattino,
potranno disegnare i sogni della notte.
Giovedì 29 novembre
Io: “Raccontiamo cosa abbiamo fatto l’altra volta, a chi non c’era”.
Marco: “L’Helena ci ha presentato il GGG, che è un signore che arriva fino a quel coso giallo
[capisco ora quanto sia importante dare appigli visivi durante il raccontare]. E poi ci ha fatto anche
vedere che lui ruba i sogni con delle bolle e poi ci ha fatto vedere tutte le sue bottiglie con dentro i
sogni…che ha rubato [Marco si ostina a credere che il GGG rubi i sogni]…poi noi abbiamo detto
«questo ci sembra un serpente questo un fantasma» e tu l’hai scritto”.
50
Io: “Ho dimenticato la valigia”.
Marco: “E allora cosa facciamo?” [Valigia-ambientazione x-azione x].
Io: “E che caratteristiche ha il GGG?”.
Marco: “Ha delle orecchie grandissime. I sogni preferiti sono delle farfalle, li cattura con i calzini
bucati e il buco è trasparente…con un ago c’è un filo trasparente, cuce, le farfalle vanno dentro e
credono di passare in mezzo al buco e invece lui le chiude dentro e le prende e ruba [di nuovo il
verbo “rubare”! Io non ho mai usato il verbo rubare]i sogni [Questa “strategia di caccia” era, a mio
parere, difficile da seguire e da ricordare ma, probabilmente perché legata alla figura fantastica del
GGG e richiamando le modalità del gioco, è stata seguita con grande attenzione].
Ilaria: “Le scuote per togliere la polverina che hanno sulle ali”.
Marco: “E i sogni!”.
Ilaria: “Poi libera le farfalle con la polverina che la polverina sono i sogni e dopo va dentro a una
bolla e va a portarla dentro alla sua caverna”.
Marco: “E poi le mette dentro alla bottiglia”.
Marco: “Ma tu Helena vivi nella caverna con lui?”.
Io: “No”.
Marco: “Dove abita?”.
Io: “In Australia”.
Marco: “E tu dove abiti?”.
Io: “Qui a Bologna”.
Sabrina: “E come ci fai ad andare?”.
Io: “Ho fatto un viaggio, mi son persa e…oh, nelle cartine non è segnato dove sta il GGG…”.
Un momento di silenzio.
Cecilia: “Tu l’hai già fatto l’albero di Natale?”.
Domando ai bambini se qualcuno di loro ha disegnato un sogno sul quaderno “I miei sogni”. Vedo
solo due mani alzate: quelle di Ilaria e Kamron. Chiedo loro di farmi vedere i disegni e di
raccontarmeli. Ho con me due timbri: uno di un ragno e uno di una farfalla; uno per “certificare” un
sogno brutto, l’altro per uno bello.
Ilaria: “La mamma strega diceva alla figlia «mettiti il cappello» e la figlia diceva «no, mettitelo
prima tu», «no tu», «no tu tu tu»”.
Bello e brutto. Ragno e farfalla.
-”Poi ho fatto il sogno dei numeri. Numeri che fluttuavano nell’aria”.
Io: “E tu?”.
51
Ilaria: “Ero lì con degli occhi così “ [Sgrana gli occhi].
Sogno bello!
-”Poi ho sognato dei coniglietti. Stavano giocando sull’erba”.
Marco: “Allora dovevi farne [disegnarne] tanti!”.
Io: “Il disegno è solo un pro-memoria!”.
Kamron mostra un disegno del GGG con la farfallina sulla mano. Ha detto due paroline che non ho
capito.
Chi non ha disegnato ha comunque voglia di “dire la sua”.
Raluca: “Ho sognato un fantasma buono, che ha fatto muovere la sedia e mi ha parlato…mi ha detto
se voglio essere suo amico e io ho accettato. Era un po’ bello… era due volte bello”.
Sabrina I: “Ieri ho fatto un sogno che mi investivano. L’altro giorno due serpenti…si stavano
avvicinando”.
Io: “E tu?”.
Sabrina I: “Io guardavo”.
Nicolò: “Credo di ricordare un sogno però non l’ho disegnato…era uno scoiattolo che andava su un
albero”.
Sabrina M: “Mi rapivano e mi son messa sotto le coperte del letto di mamma e papà”.
Cecilia: “Io avevo sognato che era Natale e c’era Gigì con le farfalle”.
Ho proposto alla classe l’”esperimento” “sogno e son desto”.
Ovvero: i bambini erano divisi in coppie; a turno uno veniva bendato (il sognatore) mentre l’altro
faceva da aiutante.
Il compito del sognatore era di dipingere ciò che vedeva ad occhi chiusi, con pennello e colori a
tempera. L’aiutante doveva agevolare l’azione del compagno: pronto ad intingere il pennello nel
colore richiesto, a posizionarlo nel verso giusto nella mano del sognatore, attento a pulire eventuali
sgocciolature del colore.
Il mio intento era innanzitutto di svincolare il bambino dal risultato visibile. Il bimbo bendato non
pretenderà di “fare un bel disegno” e quindi sarà libero di provare semplicemente il gusto del gesto,
di “vedere e ricordare”con la mente i colori da usare o già utilizzati. In secondo luogo volevo
stimolare il lavoro di collaborazione, il fidarsi e affidarsi all’altro compagno.
L’esperienza è stata percepita dai bambini soprattutto come un momento di gioco: saltellavano
frenetici per accontentare al più presto le richieste del sognatore.
A fine lavoro abbiamo osservato il disegno di ciascuno. Ogni bambino ha illustrato il di-sogno
davanti gli occhi incuriositi dei compagni; i “titoli” assegnati venivano riconosciuti con serietà. Ho
52
notato che l’attività proposta ha avuto il pregio di togliere l’imbarazzo del “bel disegno”, a parte
Diego che forse aveva paura di essere bendato e si è fatto aiutare nel disegno vero e proprio dal suo
aiutante, Nicolò.
Lunedì 3 dicembre
Chiedo alla classe se hanno disegnato qualcosa sui loro quaderni dei sogni.
Numerose mani si alzano affermativamente.
Marco: “lo sto facendo [il disegno] con Matteo [il bimbo che dice di sognare poco]: siamo Io e
Matteo; ci svegliamo dal letto e andiamo a vedere i regali”.
Winnilyn: “Una foresta e c’erano degli zombi. Andavano a far morire le persone”.
Io: “C’eri anche tu nel sogno?”.
Winnilyn: “No”.
Sogno brutto. Un ragno.
-[altro disegno] “Delle pecore”.
Io: “C’eri anche tu?”.
Winnilyn: “No”.
Sogno bello. Una farfalla.
--[mi mostra altro disegno] “Serpenti grandi. Andavano in una casa a morsicare le persone”.
Tre ragni.
--[mi mostra altro disegno] “Serpenti che vanno via dalla casa”.
Dana: “GGG”.
--[mi mostra altro disegno] “Tu e GGG, la scuola, la porta, tablo [lavagna]”.
--[mi mostra altro disegno] “Cifre”.
--[mi mostra altro disegno] “Crimastree [chrismastree]”.
--[mi mostra altro disegno] “Tu [io con un bel vestito a pallini]”.
Commento di tutti: “Belli!!!”.
Manuel: “Io e mia nonna e le farfalle e un coniglio che correva e io poi prendevo il coniglio in
braccio”.
Sabrina M: “Ho sognato di essere nello spazio. La terra le stelle la luna. Ho incontrato un
coccodrillo e poi ho incontrato un collare e gli ho messo un collare”.
-”Sono entrata da una porta e poi non sapevo dove mi trovavo e un numero mi ha detto «piacere»”.
-”Ho sognato d’avere dieci anni”.
Luxuri [bambino del Gana]: “Sono io. Questo è Nicolò [con tutti dei pallini tipo occhi di moscarisatine]”.
53
-”Io e questo è un mostro. Io ho paura. Questo gli va in testa. Sono belli questi sogni!”
Nicolò: “Questi son due biglietti «Buon Natale a Elena e al GGG»” .
-”Il GGG [ritratto]”
-”Vince Napoli contro Siena 4-0 [con i nomi dei calciatori]”
Cecilia: “Nuvole stelle e lettere”.
-”Era primavera però era già Natale. Avevo caldo”
-”Poi ho sognato due numeri [tre e quattro] e lettere”
-”La mamma e la figlia e il padre re. Questa è mia madre mio padre e io e mia sorella [Cecilia ha
una sorella maggiore] non c’è, doveva ancora nascere”.
Marco: “Ma tu c’eri già?!”.
Cecilia: “Sì!”.
Antonio e il sogno pensato-sogno brutto
-”Una strega. Mi stavo nascondendo dalla strega, poi la polizia ci metteva tanto ad arrivare. La
strega stava per far volare la mia casa. Questa è la porta e la maniglia. Mi ero dimenticato il
telefono”.
Tayyab: “Qua ho fatto i mostri che mangiavano. I mostri che mi volono mangiare. E queste sono le
corone delle bombole che mi vogliono fare morto”.
Io: “Sono bombe?”
Tayyab: “Sì”.
Io: “E tu hai mai visto una bomba?”.
Tayyab: “Io sono addormentare”.
Chiara: “Con chi l’hai vista la bomba?”.
Tayyab: “Con la mamma”.
Riprende a descrivere i sogni.
-”Qui c’era un lupo [rosa] e gli aieri che ha fatto un lupo. Son entrato in questo. Il lupo buono ha
fatto gli aerei e io sono entrato in questo”.
-”Poi dinosauro che mi voleva mangiare. Io ho saltato su di lui”.
-”E poi avanti ho fatto la mia amica che dice «tu vai a fare la spesa», «prima tu» «no tu»”.
Ilaria: “Come la mia strega!”.
Tayyab: “E avanti ho fatto una tigre. Io con macchina e la tigre rompe la mia macchinina e io sono
un po’ triste”.
Io: “Qualcuno qui ha visto una tigre?”.
-”Anche più d’una!”
-”Io l’ho vista solo in tv”
54
-Winnilyn: “Ho visto una tigre nel gabinetto”.
Riprendiamo i sogni di Tayyab.
Tayyab: “E poi ho fatto un castello e dentro c’erano i mostri e io sono entrato dentro e mi hanno
morsato. Io con la mia amica sono arrivato a casa mia [con due tetti]”.
-”Poi ho fatto un robot e un mostro cattivo”.
Sabrina I: “Io ho sognato che mi investivano con un camion”.
Io: “Era giorno o notte?”
Sabrina I: “Notte”.
-”Ho sognato due serpenti, uno va di qua uno di là”
-”Famiglia di farfalle. Farfallone mamma”
-”Poi ho sognato delle croci”
-”Poi un vaso di fiori”
-”Ho sognato una casa che nevica”.
Io: “E tu dov’eri?” [Eri-tempo imperfetto (passato)-il tempo di qualcosa che è effettivamente
successo, l’altra notte. Poi c’è il tempo interno del sogno che spesso è “strambo”].
Sabrina I: “Dentro la casa”.
-”Poi me a scuola. La maestra”.
Sogno bello.
-”Me, un albero di mele”.
Io: “E questo?
Sabrina I: “Quello che dà l’acqua [i compagni aiutano: innaffiatoio!]”.
Gioco delle associazioni assurde: un po’ come nei sogni
Io-esempio: “Una formica con in groppa un elefante”.
Sabrina M: “Elefante con in groppa una giraffa e cominciava a parlare!” [dà ad un animale una
capacità “non da animale”]
Cecilia: “Un topo con sopra un elefante, una zebra, una giraffa e un cavallo!” [Accumulo:
animale+animale+animale+animale]
Marco: “Un topo con in groppa una ciotola!” [animale+oggetto]
Nicolò: “Un albero che litiga da solo. Si dà i pugni”. [dà ad un vegetale una capacità “da umano”]
Ilaria: “Uno che dà i pugni ad altri [i compagni aiutano: pugile!]; ecco lui si dà i pugni da solo!”.
Matteo: “Un elefante che fa le puzzette e va in aria” [L’ironia fa volare! Puzzette-elemento buffo.
55
Elefante leggero-cambio di peso]
Sabrina M: “Una sirena che vola!” [sirena-coda di pesce-nuotare-habitat-acqua cambio di ambiente
e azione-aria-volo. Come volerà poverina?]
Winnilyn: “Una giraffa che volava!”.
Ilaria: “Una formica che fa la cacca più grande di sé!” [Dimensioni impossibili-contenuto più
grande del contenitore].
Raluca: “Una formica che si dipinge da sola di colore viola e diventa arcobaleno”. [Ritorna l’azione
riflessa sul medesimo (come nel pugile e nell’albero) + la trasformazione “non-sense” da viola ad
arcobaleno].
Riprendiamo i sogni disegnati.
Raluca: “Ho sognato che un fantasma ha fatto tremare la sedia e poi è uscito e mi ha detto che
voleva essere mio amico e io ho detto “sì”. Questa è la mia stanza”.
Qualcuno: “È una lavagna?”.
Raluca: “Non è una lavagna, è uno specchio”.
Qualcun altro: “Anch’io ho lo specchio!”.
Raluca: “Ero nella terra delle fate, dei farfalli e dei fiori. La fata mi portava a vedere qualcosa, mi
ha detto che era una sorpresa”.
-”E qua ho sognato che ero dentro dei pianeti con il mio gattino”.
-”Numeri che parlavano tra di loro. Il 5 col 4, lo zero col 7, il 10 col 2, l’8 col 9, l’1 col 7 il 6…”
Io: “Fai le frecce dei numeri che parlavano insieme”.
Raluca: “Il 2 con l’1, il 5 col 10, il 4 col 3, lo zero col 6, l’8 col 9 e 2, 1 e 9 parlavano in tre”
[cambia gli accoppiamenti].
Io: “Di cosa?”
Raluca: “Di numeri!”
“E poi un numero mi ha parlato. Mi ha detto «Ciao, come ti chiami?». Era il mio numero
preferito…il più buffo: il 10”.
Tutti: “Il mio il 4, il 5, il 100,..!”
Kamron: “Femmine…questo sogno bello questo brutto”.
-”E poi farfalle e [parole incomprensibili]”.
Nicolò viene in aiuto: “Una calza che portan le farfalle!”.
Ilaria: “Qua c’è il castello con gli unicorni che volano e qua cuori che girano intorno ad un albero
che dicevano «ciao» e anche il sole e questa sono io”.
-”Qua c’è il mare, bandierina rossa perché la signora nuvola soffiava e così il mare si agitava”.
- “E qua c’era un topolino che si mangiava tutto. Faceva la sua scultura visto che a lui piace molto il
56
formaggio coi buchi, visto che non aveva buchi se li faceva lui”.
-”Poi ho sognato che io ero già grande e portavo a spasso il mio cagnolino”.
Io: “Hai un cagnolino?”
Ilaria: “No”.
Giovedì 6 dicembre
Son entrata in classe con la mia “solita” valigia, l'ho aperta ed ho estratto quattro sacchi contenenti
materiale di riciclo (trovati da “Remida”, un' associazione che raccoglie residui di materiali di
diverse aziende, dalla falegnameria allo studio dentistico, con lo scopo di dare nuovo valore, grazie
a un ri-utilizzo pratico o ad un utilizzo creativo come insegnano nei loro laboratori, al “gettato”).
Divisa la classe in quattro gruppi, ho consegnato ad ognuno un sacco.
La consegna era di provare a costruire una “macchina dei sogni”: macchina intesa (anzi intendevo
io) come esemplificazione del funzionamento del prodursi dei sogni. Il compito si è rivelato al di
sopra delle loro capacità di astrazione e forse dovevo già intuirlo quando alla domanda “da dove
vengono, di cosa son fatti, ecc..” mi erano state date risposte vaghe nebbiose. E poi sicuramente la
metafora “macchina-organismo” non l' avevo ben spiegata. Comunque l' attività ha visto l'
attenzione ai “massimi livelli” di tutti : con gli oggetti di “partenza” per il pensiero, nessuno si è
sentito addosso lo spaesamento del “foglio bianco”.
Dentro alla valigia sono rimasti i materiali “speciali”: piccole piume, bottoni di diverse grandezze,
bava da pesca, conchiglie, fili morbidi. A richiesta potevano essere usati. Questo stratagemma dei
materiali speciali serviva a dare un po' di aurea ai materiali e quindi ad acuire l' attenzione sui
materiali dati.
L' unico gesto che ho spiegato è quello di come si utilizza il nastro biadesivo che, per la sua
immediata azione di incollaggio, mi è sembrato molto adatto per questo lavoro. Il nastro biadesivo
asseconda più di ogni collante (usabile coi bambini) il volere del bambino.
Il gesto assume un significato cognitivo, oltre che fisico. Un gesto che diventa strumento per capire:
nel momento in cui faccio sono anche in grado di spiegare cosa sto facendo e perché. E’ un
momento di esplicazione non solo agli altri, ma anche verso se stessi. Inizio il mio giro tra i banchi
e tra le macchine dei sogni.
Ilaria: “Qua c'è la coperta per tutti i sogni che non sono stati ancora usati. Qua fa funzionare tutto.
57
Questo fa togliere il tappo e colorare i sogni. Arrivano qua, vengono colorate da queste tipo bombe
che fanno il colore così; giri così e ti viene in testa”.
Io: “E questo [pezzettino di plastica trasparente percorso da una linea rossa]?”.
Ilaria ci pensa un attimo: “Serve per far capire la zona dov'è, fa proprio vedere dov'è...per esempio
qua è rosso e allora va vicino un po' ai vulcani; se è blu vicino al mare, se va in montagna diventa
marrone”.
Kamron: “Queste sono bombe e fan bum”.
Io: “E queste?”.
Kamron: “Anche bombe”.
Io: “E questi pezzetti piccolini?”.
Kamron: “No, queste son bombe. Questi sono bambini, questi mamma e papà.
Mamma e papà, piculini, fratello e sorella. Una bomba fa così [imita qualcosa che si proietta] e
mamma e papà corre e piculino uè uè piangere”.
Io: “Ma c'è un posto sicuro?”.
Kamrun simula una voce da bimbo piccolo: “Dov'è mamma e dov'è papà? E poi qua i due maschi e
femmina e poi basta”.
Io: “Anche le conchiglie sono bombe?”.
Kamron: “Sì”.
Io: “E questi mattoncini lunghi?”.
Kamron: “Sì, tutte. Qui [indicando un'altra parte della macchina, che è composta da due zone
separate] non c'è niente, qua gioca e qua bum e qua due che giocano”.
Io: “Cos'hai fatto?”.
Winnilyn: “Una bomba!”.
Io: “Come funziona?”.
Winnilyn: “Esplode”.
Io: “Da dove?”.
Winnilyn: “Da qui e qui”.
Io: “Come mai hai fatto una bomba? I sogni sono una bomba?”.
Winnilyn: “Sì”.
Io: “Ci si fa male?”.
Winnilyn: “No”.
Io: “Questa conchiglia? Serve a qualcosa?”.
Winnilyn: “Per una palla”.
Winnilyn deve ancora finire.
58
Nicolò: “Un risucchia-sogni spaziale, un dentifricio spaziale dovrebbe essere...ma questo non sta
dentro...”[lo aiuto con una penna a far spazio dentro al tubetto, in cui Nicolò vorrebbe infilare il
cotonfioc].
Raluca: “Questo serve per colpire quando c'è un sogno; colpisce tutti e due questo e questo. E qua
se vedi da dietro [la lente] vedi un po' diverso. E questo serve per collegare fili che qua passa per i
sogni passa per di qua e si collega così. Questo filo e dopo questa è collegata e questo sono i sogni
quando i bambini si sono svegliati e hanno fatto sogni (porta-sogni)”.
Io: “Sono i sogni che ci ricordiamo al mattino?”.
Raluca: “No. Quando i bambini si sono svegliati e hanno già fatto il sogno se si svegliano alla
notte”.
Cecilia: “Da questo attraverso. Se questo ruota gira, dice se è rosso o blu. Se è rosso è un po'
pauroso, se invece è blu è bello. Se è rosso e blu è un po' bello e un po' brutto. Invece questo filo
trasmette questa cosa che non si vede molto bene e dopo la trasmette a questo che lo trasmette a
tutto questa, passa da qua, ma non passa prima da qua e dopo lo trasmette tutto alla cassetta”.
A parte qualche richiesta di aiuto per separare lo scotch biadesivo e qualche “sforbiciata” con le
forbici “che tagliano”della maestra, i bambini hanno lavorato autonomamente.
Lunedì 10 e giovedì 13 dicembre
C'è un bimbo nuovo: Vadim, ucraino, non parla l'italiano; nella sua scuola, in Ucraina, aveva
iniziato a scrivere le letterine, in cirillico.
Racconta la maestra che quando è entrato, accompagnato da mamma e zia, in classe, il venerdì
prima, tanto piangeva che si è pensato di rimandare il distacco al lunedì dopo. I bambini della
classe, racconta maestra Chiara, sono stati solidali con il nuovo arrivato, “spiegandogli” che anche
loro all' inizio avevano pianto; alcuni bambini stranieri hanno aggiunto la loro esperienza: “io no
capivo niente” (Dana, bimba rumena).
Oggi Vadim non piangeva e chi sedeva vicino a lui, si prodigava ad essergli di aiuto.
Disegnare le farfalle con gli acquarelli
Divisa la classe in quattro gruppetti, ho spiegato a ciascun gruppo l'”esperimento” che volevo fare.
Ad un gruppetto ho mostrato una teca di farfalle (purtroppo vere) tropicali. Ho chiesto loro di
osservarle attentamente: colori, venature, come cambiasse il colore “dietro” le ali. Poi ho illustrato
loro la tecnica dell' acquarello, “perché per disegnare le farfalle i pennarelli sono troppo forti, le
59
matite colorate lasciano i segni...impariamo che ci sono tanti strumenti per dipingere e cerchiamo il
più adatto”. Foglio e pennello in mano, ho mostrato loro come il foglio ruvido all' inizio vada
ammorbidito con un po' d' acqua; come poi si debba aspettare che il foglio si asciughi un po',
altrimenti quando si appoggia il colore, questi si espande fino a scomparire; come il pennello vada
asciugato se si vuole “pescare” del colore più denso e quindi dare al disegno un tocco più intenso;
come sfumare il colore, strisciando la parte interessata con un pennello inumidito. Il bianco è il
foglio!
Gli interessati stavano molto attenti.
Sabrina: “Uhh come son pelose queste [farfalle]! Dietro questa, questa e quest' altra non mi
piacciono”.
Io: “Guardate questa tutta blu metallica. Com'è dietro?”.
Marco: “Schifosina...”.
Io: “E vedete qualcosa di particolare qui dietro?”[volevo accennare al mimetismo, e a come in
specifico questa farfalla sul retro avesse disegnati sulle ali delle specie di “occhi”, decorazione di un
bruco velenoso per il principale “mangiatore” di farfalle blu].
Marco: “Dei pallini, sembrano dei cereali”.
Kamron: “Che belle! [ e dall'esaltazione lancia la sua penna e la fa volare]; poi aggiunge: “anche nel
mio giardino!” .
Sabrina I: “Se uno le tocca non volano più”.
Io: “E quest' altra dietro?”.
Marco: “Uauuu è fluo!”.
Io: “Proviamo a trovare i colori di queste farfalle...”.
Marco: “Ma se ne può fare una anche inventata?”.
Tayyab vuole cogliere i colori della farfalla blu e unisce diversi blu, marroni, neri, rossi che
formano un bellissimo effetto. Poi continua ad aggiungere materia e il disegno diventa una macchia
di grigio [grigio colorato, il “farbiges grau”, una “delicatesse”. Un grigio “mobile” perché formato
da tanti colori, non dal bianco e il nero], ma Tayyab si mostra soddisfatto.
E qui ricordo le parole di Arnheim:
Inoltre, i bambini non disegnano, dipingono e modellano soltanto per le ragioni che ci interessano qui
in modo particolare. Amano esercitarsi, allenare i muscoli, ritmicamente o disordinatamente; amano
veder apparire qualcosa dove prima non c’era nulla, specialmente se questo qualcosa stimola i sensi
col colore forte o con una massa di forme; amano pure toccare, appiccicare, distruggere. Imitano ciò
60
che vedono altrove.74
Ilaria disegna la farfalla, anzi ciò che sa della farfalla, una generica farfalla “mentale”: due ali
tondeggianti simmetriche rispetto al corpo, due ali di diverso colore nella parte superiore. Ma forse
per il colore predominante si ispira ad una farfalla della teca, di colore giallo.
Il mio intento era far conoscere “meglio” le “forme” farfalla, di sostituire la “forma-stereotipo
farfalla” con una nuova, rinnovata dall' occasione di osservarne diverse.
“Cerchiamo di osservare più attentamente, notiamo i particolari, le venature, i contorni delle ali...”.
C'è la forma farfalla e poi impariamo a notare le differenze che rendono ricca ogni farfalla, diversa
da specie a specie.
Matteo si impegna nel riprodurre alcune caratteristiche della farfalla eletta: la sfumatura delle ali,
alcuni puntini color marrone. Ancora una volta la sicurezza per lui è nella realtà.
Winnilyn fa un pastrocchio di colori che occupa tutta la cartolina.
Ilaria: “Guarda [indicandomi il disegno di Winnilyn], ha fatto un quadro!”.
Conchiglie
Ho estratto dalla valigia alcune conchiglie, piccole e grandi e le ho appoggiate al centro dei banchi
su una tovaglietta.
Occhi strabuzzati e urletta di gioia.
Io: “osservatele bene”.
Alcune bimbe subito avvicinano all' orecchio le conchiglie.
Sabrina M: “Senti, si sente....[e canticchia una canzoncina]!”.
Il fascino del suono dentro alla conchiglia è irresistibile. Anche durante l'esercizio di disegno, alcuni
bimbi si fermano ad ascoltare il mare.
Cecilia subito afferra la conchiglia grande e la piccola, di forme simili, ed esclama “mamma e il suo
figlio”.
Nicolò: “questa sembra ferita [indicandomi una linea rossiccia che percorre trasversalmente una
conchiglia]!”.
Matteo: “uauuu questa ha i dentini”.
Sia Matteo che Nicolò che Sabrina hanno proiettato il loro mondo “antropomorfo” sull' oggetto
74
R. Arnheim, Il pensiero visivo, Einaudi, Torino 1974, pp. 300-301.
61
davanti a loro. E qui le parole di Munari lo esprimono con chiarezza:
[...] il bambino fa una operazione semplice: proietta tutto quello che sa su tutto quello che non conosce
a fondo. Questa ( la palla grande sarà la mamma e la palla piccola la figlia) non è fantasia, ma
proiezione del proprio mondo noto su ogni cosa75.
Ma poiché lo stesso Munari ha espresso la “formula” della fantasia nel porre in relazione le cose,
definirei queste associazioni “primi inizi di fantasia”, “fantasia piccina”, dovuta innanzitutto al
bagaglio “leggero” di immagini memorizzate.
Io: “queste conchiglie sono lo scheletro di alcuni animaletti del mare; loro hanno lo scheletro fuori,
mentre noi lo abbiamo dentro. Di cosa è fatto questo scheletro? Di qualcosa di duro ma fragile, un
po' come questo gesso”.
“Proviamo con questi gessi colorati a disegnare queste conchiglie. Vi faccio vedere diversi modi di
usare questo strumento”.
Mostro loro come del gessetto si possa sfruttare il segno di punta ma anche quello laterale “lungo”,
come si possa sfumare col dito o, imprimendo forza, creare un segno più marcato.
I bambini iniziano a sperimentare i gessetti.
C'è chi si sofferma sulle sfumature di colore di una conchiglia e chi sulla struttura, cogliendo molto
acutamente la linea a spirale che caratterizza la maggior parte delle conchiglie disposte sul
tavolo.
Marco sperimenta l'uso multiplo dei gessetti e riesce a trovare l'aspirato “marroncino” che vede in
una conchiglia.
E il nero?- dce Sabrina-È il foglio!
Ilaria sceglie la conchiglia piccola e, finito rapidamente il compito di “ritrarla”, si concentra
finalmente a riempire lo sfondo con foga-[Come Tayyab con gli acquarelli, a Ilaria più che
copiare l'oggetto, piace sperimentare “a fondo” nel grande spazio dello “sfondo” il nuovo
strumento]
Cosa ti sembra?
Ho proposto l'idea di Munari dei fogli di carta dai formati “strani” : cosa mi suggeriscono queste
forme?
Ai classici soliti fogli A4 sostituisco fogli dalle forme più disparate, dettate da un taglio casuale.
75
B. Munari, Fantasia, Edizioni Laterza, Bari, 1977, p. 30
62
Davanti ai bambini stappo alcuni fogli di carta da pacco e invito loro a fare lo stesso. L' attività
dello “strappare” (nelle comuni regole civili scolastiche bandito sbagliato) viene accolta con
entusiasmo.
Raccolgo un pezzetto di carta vagamente triangolare, disegno qualche riga parallela e me lo “metto”
in testa: voilà! Un cappellino!
E via che iniziano.
È bello vedere come non ci sia alcuna competizione e come le diverse interpretazioni delle forme
vengano ascoltate tranquillamente senza che nessuna voglia prevalere.
Manuel: “Scivolo d'acqua”.
Ilaria: “Io ci vedo una collina con castello”.
Nicolò: “Io una piramide”.
Altro disegno
Ilaria: “Un pesce volante”.
Diego: “Una mosca”.
Antonio: “Un orologio”.
Matteo non trova nulla che gli dica qualcosa. Dopo lungo cercare trova una forma-pinguino.
Marco, la volta successiva, era un po' in difficoltà davanti a tutte quelle forme...
Matteo (bisbigliando a Marco): “Fai un pinguino” [siccome proprio Matteo il giorno prima dopo
lungo cercare aveva trovato proprio la forma di un pinguino, che dalla maestra e da me era stato
molto apprezzato, è probabile che abbia voluto aiutare il compagno “rivelando” il sicuro risultato].
Tra le forme ritagliate non c' era quella di in pinguino...
Così Marco un po' di nascosto estrae dal suo astuccio le forbici e ritaglia la forma esatta di un
pinguino, che inizia a colorare.
Al pinguino segue una “maschera che prende i sogni e li dà al GGG”: anche questa ritagliata “ad
hoc”, seguendo uno schema di simmetria.
Le forme di Tayyab invece sono accompagnate da lunghe narrazioni (“Porta del treno che si deve
fare il biglietto...”, “Pesce che lo squalo mangia...”, ”Pezzo davanti del treno che entrano i genitori
dei bimbi...”); probabilmente ciò è dovuto al fatto che il suo italiano si è arricchito di nuove parole,
parole da sperimentare nell' immediato con entusiasmo.
Dal 3d al 2d. Dalla macchina dei sogni “tutto tondo” alla macchina dei sogni “piatta”
Quando le cose diventano segni ed acquistano la capacità rappresentativa di stare al posto di
altre, il gioco si trasforma da mera esuberanza fisica in un’attività che include un fattore
63
mentale76.
Pensavo che questo esercizio presentasse per un bambino non poche difficoltà, date dall' oggetto
pieno di anfratti davanti e dietro, spuntoni, punte e “punti di vista”.
Tra i quattro esercizi proposti, è stato quello svolto con più celerità e quello che non ha suscitato
domande e non ha minimamente suscitato timori di fallimento.
Tayyab con la serietà di un ingegnere intento ad illustrare l' ultima tecnologia, spiega cos'è ogni
quadretto, cerchietto, rettangolo della sua macchina disegnata. Non manca lo spazio per l'
affettività: la macchina è “abitata” felicemente dai componenti della famiglia, seduti uno dietro
l'altro (“Qui seduto mamma papà io”, “Qui dietro sorellina”).
Anche Kamron nella sua macchina dei sogni inserisce, come d'altronde aveva già raccontato
quando le chiesi di spiegarmi che aveva fatto, appena finito di assemblare la macchina, esperienze
quotidiane nelle quali la famiglia è rappresentata da quattro pallini uguali: “Questi sono bimbo e
bimba e mamma e papà”.
Marco: “Questi tre missili (pennette) partono e rubano i sogni ai bambini e poi li portano a questi
due cosini che si staccano e partono e vanno dal ggg”.
Sabrina I.: “Qui c'è un missile, questo diventa più grande perché è pieno di sogni. Scendono giù giù,
si raccolgono qui. Poi quando sono tantissimi riiniziano da capo”.
Antonio disegna ciò che sa più di ciò che vede. Disegna l' interno della sua macchina dei sogni.
Tanti cerchi con dentro un rettangolino (i cerchi di scotch giallo e il pezzetto di polistirolo).
Disegnare ciò che avevano davanti, era disegnare anche ciò che sapevano dell' oggetto e siccome l'
oggetto era stato costruito da loro ne conoscevano il senso, la storia e perciò senza difficoltà son
riusciti a rappresentarlo sul foglio.
Purtroppo è col crescere dell' età che il bambino si sentirà inadeguato se continuerà ad
“interpretare” ciò che ha davanti.
All’espediente che il fanciullo utilizzava per rappresentare “logicamente” una realtà tridimensionale, si
sostituisce la necessità di una rappresentazione subordinata alle leggi della prospettiva,
convenzionalmente stabilite. Bello, diviene il disegno che riproduce, nel modo più corretto possibile,
la realtà. Le nuove categorie estetiche diventano la fedeltà e la buona composizione77.
Niccolò: “Questo qua va dentro al cervello di una persona e mi cattura il suo sogno e qua stava
76
77
Dewey citato in G. Rodari, Grammatica della fantasia (1973), Edizioni EL, Trieste 1997, p. 169.
R. Quaglia, Manuale del disegno infantile. Storia, sviluppo, significati, UTET, Torino 2006, p. 177.
64
catturando un sogno nel cervello di una bambina che era la faccia di un orso”.
Io: “Questo è energia?”.
Nicolò: “Sì, vassoio di energia”.
Io: “E dove vanno i sogni catturati?”.
Nicolò: “Nel vassoio dei sogni”.
Diego: “Da qui si prendono i sogni e da qui si fanno uscire”.
Manuel: “Qua ci son le patte [paste] buttano le palle di fuoco”.
Diego: “E dove si contengono i sogni?”.
Matteo: “Questa è una macchina che vola, va veloce apre tutti i vetri ed entra dentro poi lancia
questi tre (Nicolò suggerisce: “Tipo dei missili”) dentro al cervello e prendono i sogni e poi li vanno
a mettere qui dentro nella scatolina”.
Io: “Ma questi missili entrano nel cervello o gli passano vicini?”.
Matteo: “Diventano piccoli, entrano nelle orecchie e vanno nel cervello. Tipo tappeto volante.”
Ilaria: “Qua ci sono i sogni che non sono ancora stati usati...questa li registra, questo quando fa
soffiare il vento e questo si muove degli ometti invisibili vengono a tirare con questo per togliere il
tappo; poi qua ci sono questi maccheroni che due, sono tappati così fanno passare da ognuno e
decidono quanto il sogno dura, qua quanti minuti, qua quanti secondi; se tu giri questa c' era come
un filo per i vecchi film che li' dove c' era il sogno, e poi c' era un filo trasparente con un pezzettino
rosso e ti faceva capire dov' era l' ambiente, cioè se era rosso era vicino ai vulcani. Poi lo mandano
al bambino”.
Winnilyn: “Qui è la bomba...qua entrano [i sogni] poi escono gli scarafaggi”.
Chiara: “E i sogni da dove escono? E gli scarafaggi?”.
Winnilyn rimane in silenzio.
“E gli scarafaggi?”.
Ilaria: “Li [i sogni] vanno a mettere?”.
Winnilyn continua a non rispondere.
Cecilia: “Qua è dove si trasmettono i sogni all'inizio, qua dopo li registra li manda a questo, qua i
sogni sono entrati. Questa è la bomboletta che porta tutti i sogni ai bottoncini, poi li manda alla
cassetta, questo li ricontrolla e li rimanda alla cassetta e qua finiscono i sogni”.
65
Giorno ultimo
Cecilia: “Questa è una fata, questa è una strega che combattono”.
Io: “Da cosa si capisce chi è la strega e chi è la fata?”.
Cecilia: “La strega c' ha le palle...palle brutte; la fata ha le stella”.
- “Questo è un computer strano con pochi tasti, ma lo schermo molto grande”.
Io: “Tu che facevi?”.
Cecilia: “Io scrivevo e guardavo”.
- “è Natale con due o tre fiori che nevicava, un lago che portava a un montagna che c'era una casa
dove potevi mangiare. E qui c'è scritto si può fare il bagno”.
Io: “Ma il lago sarà freddo per fare il bagno...”.
Cecilia: “Non era mai ghiacciato. Qua c'era ancora dell'erba, dei fiori che erano gli ultimi due,
pochissima erba che era rimasta poi intanto nevicava e chi voleva poteva giocare con la neve o
andare nella casa in montagna a mangiare”.
Io: “E come ci si veste in questo sogno?”.
Cecilia: “Tuta da sci e costume e anche la tuta per andare in montagna”.
Marco: “Che bello!”.
Io: “A chi piacerebbe essere in questo sogno?”.
Tutti: “Io!”.
Io: “Ma tu preferisci stare nel lago o nella neve?”.
Cecilia: “Io faccio tutti e due. Io farei alla mattina salgo qua in montagna e sto fino a pranzo, poi
vado giù nel lago, mi tuffo e nuoto quanto mi pare. Dopo vengo su e c'è papà che mi aspetta con l'
accappatoio che se no prendo freddo”.
Io: “Ma questo papà è bravissimo!”.
Cecilia: “Si, viene a svegliarci tutte le mattine, prepara la colazione, la merenda per la scuola”.
Qualcuno: “E tua madre?”.
Cecilia: “Dorme (risatina)”.
Ilaria: “Allora tua madre è un ghiro!”.
Cecilia: “Papà è il primo che si sveglia, ci prepara anche il latte, anche la colazione e alla mamma
anche il caffè”.
Io: “Ma gli piace svegliarsi presto?”.
Cecilia: “Perché lui ogni pomeriggio va a dormire. Però io, mia madre e mia sorella no. Il primo che
si sveglia è papà, poi la mamma, poi noi due. Papà ci accende la luce”.
66
Io: “Che brutta la luce!”
Cecilia: “Quando mio padre accende la luce io ancora dormo.
Io sabato avevo sognato che era il mio compleanno, ma non sono riuscita a disegnarlo.
La mia mamma al mattino mi dice: 'Cecilia svegliati che devo fare il letto!' ”.
Nicolò: “A volte mi accende la luce, a volte no”.
Sabrina, imitando la voce di un adulto: “Sabrina!” e mi fa delle carezzine.
Chiara: “E a te, Tajjab, come ti sveglia la mamma?”.
Tajjab: “Tajjab, svegliati!”
Diego: “Io mi sveglio da solo”.
Tajjab: “Io qualche volta mi sveglio da solo”.
Sabrina M.: “Mi accendono la luce, mi alzano la tapparella…..un sole! E io dico 'Mi devi svegliare
con la luce spenta'”
Raluca : “Io mi addormo mentre la mia mamma mi fa le foto e io chiudo gli occhi quando c’è la
lucetta. Un giorno io ho svegliato mio padre. Quando io ero in Romania, sai come mi svegliava mio
padre? Accendeva la luce, poi io dormivo di nuovo”.
Cecilia: “Posso dire una cosa? Io è stranissimo il sabato e la domenica mi sveglio prestissimo,
invece gli altri giorni della settimana no”.
Tutti: “Anch’io faccio così!”.
Marco: “Io non ce la faccio, mi devo alzare. Durante la settimana a volte mio padre o mia madre
viene lì nel letto e sto un po’ lì con lei. Invece il papà non mi sveglia così e va subito a lavorare e io
mi alzo”.
Io: “E il sabato e la domenica se dormono, cosa fai?”.
Marco: “Vado da mio fratello e gli chiedo se andiamo a guardare i cartoni”.
Io: “Ma lui sta dormendo o è sveglio?”.
Marco, con tono scocciato: “No, dorme sempre!”.
Cecilia: “Io invece sveglio un attimo papà e gli dico ( con vocina suadente) 'Papi, posso andare un
attimo di là a vedere la televisione?' E lui ( Cecilia imita il vocione del padre): 'Sì, sì, vai pure a
guardare i cartoni'”.
Io: “E riprende a dormire?”.
Cecilia: “Sì”.
Matteo: “Io il sabato e la domenica chiedo alla mamma e papà se posso andare in salotto e mi
guardo sempre la tv finché loro non si alzano. Invece alla settimana mio papà si sveglia che io non
lo vedo neanche, perché va subito a lavorare”.
Marco ( con tono di protesta): “Ah, neanche il mio. Io non lo vedo mai in questi giorni perché si
67
alza tipo oggi c’era lui e non l’ ho neanche visto, ma è andato subito a lavorare”.
Io: “Deve andare a lavorare così presto?”.
Marco: “Sì, ma non vedevo”.
Matteo: “Io sono l’ultimo che si alza”.
Ilaria: “Io una volta al mare sai a che ora mi sono alzata? Alle dieci e tredici! Al mare però io non
guardo mai i cartoni alla mattina”.
Manuel: “Mia nonna si sveglia prima di me e mi fa la colazione”.
Io: “Eh, sì! I nonni si svegliano prestissimo”.
Manuel: “Poi la nonna va subito a dormire”.
Io: “Secondo voi perché i nonni si svegliano così presto?”.
Cecilia: “Soprattutto le nonne, perché le nonne hanno sempre qualcosa da fare. C’è un amico di mio
padre che addirittura si sveglia all’alba, cioè all’alba è già fuori di casa: va in bicicletta, corre, poi
va a lavorare”.
Io: “Andrà a letto presto”.
Cecilia: “Va a letto alle nove e mezza; anch’io vado a letto a quell’ora”.
Ilaria: “Io vado a letto alle nove”.
Qualcuno: “Io alle dieci!”.
Qualcun altro: “Io alle undici!”.
Cecilia: “Mia mamma invece va a letto all’una di notte e intanto anche se lei dorme c’è la
televisione che va”.
Io: “Chi è sonnambulo, cioè gira, parla di notte?”.
Ilaria: “Io parlo, urlo, rido, piango e non so che cosa. Io faccio tutto perché io un giorno quando ero
a Napoli, perché io dormo con mia cugina, sopra c’è la sala e io per andare in bagno vado giù dalle
scale”.
Tajjab: “Io una volta stavo andando così (imita il sonnambulo) e sbattuto la testa”.
Matteo: “Io il sabato e la domenica i miei genitori mi sentono dal letto che io dico delle parole, urlo
e io non me ne accorgo neanche, e alla mattina mi dicono: Ma cosa facevi, ma cosa facevi?'”.
Sabrina M.: “Per fortuna mio cugino mi è venuto a prendere dalle scale, perché c’è anche la curva”.
Cecilia: “Era sabato, ero andata in parrocchia che si ballava, si mangiava, era molto bello e poi
sono andata a letto alle venti, sì, alle due e mezzo e dopo sai a che ora mi sono alzata? Allora papà
si è alzato un po’ tardi, mamma si è svegliata un po’ tardi, mia sorella si è svegliata un po’ tardi, io
invece mi sono alzata all’una e quindi ho fatto una mini merenda e dopo invece mi sono messa a
guardare la televisione, son passati dieci minuti ed era già ora di mangiare, che neanche avevo
fame”.
68
Marco: “Io a volte quando faccio colazione mio fratello dice che mi sente ridere nel letto”.
Raluca: “Io alcune volte quando sono nel letto mi sveglio la notte e provo a ridormire”.
Io: “Come fai? Hai una tecnica?”.
Raluca: “Non ho una tecnica, ma c’è un modo che è segreto, ma io non lo conosco mai”.
Ilaria: “Forse è contare le pecore?”.
Sabrina M.: “Io non conto le pecore, penso di dormire”.
Ilaria: “Io ho delle stelle sul soffitto così alla sera fanno luce e a me sembrano due forme: un cuore e
una stella, però messe così a casaccio; faccio un po’ così ( fa l’azione di stringere gli occhi) ed
escono le due forme. Una volta in campagna la mamma e il babbo vanno di là e io in un secondo mi
addormento. Io dormo così in montagna perché facciamo delle camminate”.
Nicolò: “Stanotte io non sono riuscito tanto ad addormentarmi, perché mia sorella respirava strano,
si sentiva un fischio assordante”.
Io e la classe cominciamo a provare dei fischi, finché Nicolò dice: “Tipo questo che hai fatto!”.
Dana: “Anche mia sorella”.
Raluca e Sabrina mi dicono di avere dei nuovi disegni sul quaderno dei sogni.
Raluca: “Qua sono in Romania dalla mia nonna, però è un po’ strano perché c’era il letto fuori con
il garage, però la mia mamma non ce l’aveva la macchina. E qua c’era la mia mamma che mi
seguiva, qua la nonna, qua io. La nonna è piccolina perché è in lontananza”.
Nicolò: “Si vede che la nonna la odiava e allora ha dato un cazzotto al letto ed è uscito fuori dalla
finestra però se pioveva ha messo questo [tendone]”.
Raluca: “Qua c’è mio padre che ha dato fuoco alla casa”.
Io: “Urca, se è alto!”.
Raluca: “È anche grassotto, ma qua non si vede. Qua c’era il fuoco che però si è spento, che mia
madre ha spento con l’acqua”.
Io: “Ma perché ha dato fuoco?”.
Raluca: “Però non voleva”.
Sabrina: “Qui ho sognato di essere entrata da una porta e vedere tanti cuori ballare con le mani. E’
una porta ma non si vedeva niente, era tutta trasparente ma quando sono entrata si sentivano delle
cose”.
69
Conclusioni
Creare per capire e per capirsi, senza la paura di sbagliare. La grande lezione di Bruno è l'aver
indicato una possibile strada: la sperimentazione, l'azione come portatrice in sé di scoperta, di
salvezza.
La grande critica che Munari fa agli adulti è di essere incapaci di rapportarsi col sapere in maniera
elastica, di accettare il mutamento, incapaci di “giocare” con il sapere perchè unicamente indirizzati
a cercare la risposta definitiva. E di riversare tutta questa “serietà” molto spesso sui bambini. Al
bambino invece bisognerà permettere di conquistarsi la conoscenza, bisognerà lasciarlo raccontare e
raccontarsi attraverso le parole e le azioni, bisognerà insegnargli che in un disegno non c'è giusto o
sbagliato ma una maniera di esprimersi
unica e inestimabile, la cui “raccontabilità” la cui
esplicazione può essere favorita dall' usare diversi strumenti. Mostrare le possibilità, mai imporre. E
sorridere quando un bambino mostrerà un disegno di una sedia storta.
Il bambino ignora il senso pratico, poiché guarda ogni cosa con occhi nuovi e possiede ancora la capacità di
percepire la cosa come tale. Il senso pratico lo apprende solo più tardi, lentamente, e passando attraverso
numerose esperienze spesso tristi….
Gli adulti si impegnano a inculcare nel bambino questo senso pratico, e le critiche al disegno muovono da questo
piatto punto di partenza: “Il tuo uomo non può camminare perché ha una gamba sola”; “Sulla tua sedia non puoi
mica sederti, perché è tutta storta”. E cosi via. Il bambino ride di sè, mentre invece dovrebbe piangere78.
78
Kandinskij, cit. in, Giani Gallino, Il mondo disegnato dai bambini. L’evoluzione grafica e la costruzione
dell’identità. Giunti, Firenze 2008, p. 60.
70
Fig.1: Bruno Munari e la poltrona
Fig.2: Pennellessa, di Bruno Munari
Fig. 3: Venere in Piazza, Munari
Fig. 4: Laboratorio Di-Sogno, i bambini scoprono il GGG
nella valigia
Fig.5: Laboratorio Di-Sogno, momento di racconto dei
sogni
Fig. 6: Laboratorio Di-Sogno, assegnazione di titoli alle
bottiglie a seconda del contenuto
Fig. 7: Laboratorio Di-Sogno, "A me sembra sangue
vampirato", “A me un fantasma che vuole essere amico”
Fig. 8:Laboratorio Di-Sogno, attività "sogno e son desto"
Fig. 8:Laboratorio Di-Sogno, attività "sogno e son desto"
Fig. 10:Laboratorio Di-Sogno, momento di assemblaggio
della "Macchina dei Sogni"
Fig. 11:Laboratorio Di-Sogno, momento di assemblaggio
della "Macchina dei Sogni"
Fig. 12:Laboratorio Di-Sogno, momento di
assemblaggio della "Macchina dei Sogni"
Fig. 13:Laboratorio Di-Sogno, momento di
assemblaggio della "Macchina dei Sogni"
Fig. 14:Laboratorio Di-Sogno, momento di
assemblaggio della "Macchina dei Sogni"
Fig. 15::Laboratorio Di-Sogno, momento di
assemblaggio della "Macchina dei Sogni"
Fig. 16:Laboratorio Di-Sogno,
momento di assemblaggio
della "Macchina dei Sogni"
Fig. 17:Laboratorio Di-Sogno, momento di
assemblaggio della "Macchina dei Sogni"
Fig. 18: Laboratorio Di-Sogno, disegnare le farfalle con
gli acquarelli
Fig. 19: Laboratorio Di-Sogno, farfalle (Matteo),
acquarello
Fig. 20: Laboratorio Di-Sogno, farfalla (Ilaria), acquarello
Fig. 21: Laboratorio Di-Sogno, farfalla (Sabrina I.),
acquarello
Fig. 22: Laboratorio Di-Sogno, farfalla (Nicolò),
acquarello
Fig. 23: Laboratorio Di-Sogno, farfalla (Kamron),
acquarello
Fig. 24: Laboratorio Di-Sogno, disegnare le farfalle con
gli acquarelli
Fig. 25: Laboratorio Di-Sogno, disegnare le conchiglie coi
gessetti
Fig, 26: Laboratorio Di-Sogno, “Pronto chi parla?”
Fig 27: Laboratorio Di-Sogno, Tayyab e Kamron cercano
di cogliere la forma-conchiglia coi gessetti
Fig. 28: Laboratorio Di-Sogno, conchiglie, sole e letto
(Kamron), gessetto
Fig. 29: Laboratorio Di-Sogno, conchiglie (Matteo),
gessetto
Fig. 30: Laboratorio Di-Sogno, conchiglie (Nicolò),
gessetto
Fig. 31: Laboratorio Di-Sogno, conchiglia (Raluca),
gessetto
Fig. 32: Laboratorio Di-Sogno, Macchina dei sogni dal 3d
al 2d
Fig. 33: Laboratorio Di-Sogno, Macchina dei sogni dal 3d
al 2d
Fig. 34: Laboratorio Di-Sogno, Macchina dei sogni dal 3d al 2d
Fig. 35: Laboratorio Di-Sogno, Macchina dei sogni dal 3d al 2d
Fig. 36: Laboratorio Di-Sogno, Disegnare su formati
diversi
Fig. 37: Laboratorio Di-Sogno, pinguino (Raluca)
Fig. 38: Laboratorio Di-Sogno, pinguino (Matteo)
Fig. 39: Laboratorio Di-Sogno, pinguino che prede i sogni
(Marco)
Fig. 40: Laboratorio Di-Sogno, “triangolare, cioè una
forma geometrica” (Sabrina M.)
Fig. 41: Laboratorio Di-Sogno, Scivolo (Manuel),
montagna con castello (Ilaria), piramide (Diego)
Fig. 42: Laboratorio Di-Sogno, porta del treno che si deve
dare il biglietto (Tayyab)
Fig. 43: Laboratorio Di-Sogno, un pescecane (Nicolò)
Fig. 44: Laboratorio Di-Sogno, casina (Kamron)
Fig. 45: Laboratorio Di-Sogno, lupo (Dana)
Fig. 46: “Numeri che parlavano tra di loro" Raluca
Fig. 47: “Qua sono in Romania dalla mia nonna, però è un po' strano perché c'era il letto
fuori", Raluca
Fig. 48: “Qua c'è mio padre che ha dato fuoco alla casa", Raluca
Fig. 49: “Qui ho sognato di avere dieci anni", Sabrina I.
Fig. 50: "Il GGG", Dana
"Crismastri",
Dana ci metteva tanto ad arrivare. La
Fig. 51: “Mi stavo nascondendo Fig.
dalla57:
strega,
poi la polizia
strega stava per far volare la mia casa”, Antonio
Fig. 52: “Io e Matteo ci svegliamo dal letto e andiamo a vedere i regali”. Marco
Fig. 53: “La mamma e la figlia e il padre re. Questa è mia madre, mio padre e io e mia
sorella non c'è, doveva ancora nascere”, Cecilia
Fig. 54: “è natale con due o tre fiori che nevicava, un lago che portava una montagna
che c'era una casa dove potevi mangiare. E qui c'è scritto 'Si può fare il bagno ' ",
Cecilia
Fig. 55: “Ho sognato che mi investivano", Sabrina M.
Fig. 56: “Me e l'albero di mele", Sabrina M.
Fig. 57: “Ero dentro a dei pianeti con il mio gattino", Raluca
Bibliografia
Arnheim Rudolf, Pensiero visivo, Einaudi, Torino 1974.
Birilli Viviana (a cura di), Manifesti del Futurismo, Abscondita, Milano 2008.
Braglia Cinzia, tesi di dottorato Sviluppo delle forme espressive grafiche, infantili:
storia, teorie, pratiche. Una ricerca etnografico-cognitiva, Università di
Siena 2010-2011.
Bruner Jerome, La mente a più dimensioni, Laterza, Bari 2003.
Bruner Jerome, La cultura dell'educazione, Feltrinelli, Milano 1999.
Dentice Fabrizio, Messalina, Adelphi, Milano 1991.
Dahl Roald, Il GGG, Salani Editore, Milano 1982.
Donsì Lucia, Parrello Santa, Disegnare il mondo. Disegno e conoscenza sociale,
Liguori, Napoli 2005.
Finessi Beppe (a cura di), Su Munari, Abitare Segesta Cataloghi, Milano 2002.
Finessi Beppe, Munari Bruno, Tuttotondo Tuttoquadro, Corraini, 2007.
Frampton Kenneth, Storia dell’architettura moderna, Zanichelli, Bologna 1993.
Galino Giani, Il mondo disegnato dai bambini. L’evoluzione grafica e la costruzione
dell’identità, Giunti, Firenze 2008.
Golomb Claire, L’arte dei bambini. Contesti culturali e teorie psicologiche,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2004.
Manuzzi Paola, Pedagogia del gioco e dell'animazione, Guerini studio, Milano 2006.
103
Meneguzzo Marco, Bruno Munari, Laterza, Roma-Bari 1993.
Montessori Maria, La scoperta del bambino, Garzanti, Milano 1970.
Morris Jill, Usare bene i sogni, edizioni Dired, Como 1989.
Munari Bruno, Fantasia, Edizioni Laterza, Bari 1977.
Munari Bruno, Il laboratorio per bambini a Brera, Zanichelli, Bologna 1981.
Munari Bruno (a cura di), Il laboratorio per bambini a Brera, Zanichelli, Bologna
1981.
Munari Bruno, Ciccì Coccò, Ed. Fotoselex, Como 1982.
Munari Bruno, Guardiamoci negli occhi, Giorgio Lucini, Milano 1970.
Munari Bruno, I laboratori tattili, Edizioni Corraini, Mantova 2004.
Munari Bruno, Il castello dei bambini a Tokyo, Einaudi Ragazzi, Trieste 1995.
Munari Bruno, Teoremi sull’arte, Corraini, Mantova 2003.
Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (a cura di), Quaderno n. 7, Faenza
1984.
Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (a cura di), Laboratorio "giocare
con l'arte", Bologna, Zanichelli 1988.
Piaget Jean, Lo sviluppo e l’educazione dell’intelligenza, Loescher, Torino 1974.
Quaglia Rocco, Manuale del disegno infantile. Storia, sviluppo, significati, UTET,
104
Torino 2006.
Restelli Beba, Giocare con tatto. Per una educazione plurisensoriale secondo il
metodo Bruno Munari, FrancoAngeli/Le Comete, Milano 2002.
Rodari Gianni, Grammatica della fantasia, edizioni EL, Trieste 1997.
Siti web consultati
Sito dell'Associazione Bruno Munari: www.brunomunari.it/index_munari.htm,
consultato il 20/12/2012.
Biografia di Munari redatta dalla sua collaboratrice Pia Antonini e reperibile:
http://www.isamunari.it/joomla151/templates/munari/doc/chi_munari.pdf,
consultata il 28/12/2012
105
Scarica

Munari e i bambini: laboratori per uno sviluppo creativo della