IL MITO DI ENEA
Enea, figura della mitologia greco-romana, era figlio del mortale Anchise e
della dea Venere. Principe Troiano, nativo delle falde del monte Ida nella
Troade, partecipò solo alla fase finale della guerra di Troia; era imparentato
con il re Priamo avendone sposato la figlia Creusa ed in quanto il padre
Anchise è cugino del re.
Riuscì a salvarsi dalla distruzione di Troia con il
padre ed il figlio Ascanio. Fuggì in Tracia, quindi
in Africa presso Didone regina di Cartagine,
quindi nel Lazio dove venne ad un trattato con
il re Latino che gli concesse territori e la mano
della figlia Lavinia, contro il cui pretendente
Turno, re dei Rutuli, dovette lottare fino ad
ucciderlo in duello. Fondò infine la città di
Lavinio (dal nome della sposa) dove fu rapito in
cielo dagli dei.
“Il fato ha stabilito che egli si
salvi, affinché non perisca…la
stirpe di Dardano…Ora il
Cronide ha preso in odio la
stirpe di Priamo. Ma sui Troiani
oramai regnerà il potente
Enea, e i figli che nasceranno
nell’avvenire” (Iliade, XX, 302308).
Alla fuga di Enea da Troia, con il padre Anchise e il figlioletto Ascanio, ripresa sia in
raffigurazioni antiche che moderne, si ricollegano tradizioni letterarie che hanno
origine fin dall’VIII sec. a. C.
In età virgiliana (I sec. a. C.) l’oscura profezia
riportata nell’Iliade, acquistò un significato ben
preciso: Enea fonderà Lavinium, la città custodirà gli
dei portati da Troia (Penati) e da qui avranno inizio
la stirpe albana e la stessa Roma. E non è casuale
che la Storia di Roma di Tito Livio principi con lo
sbarco di Enea nel territorio laziale.
Medaglione di Antonio Pio che raffigura gli
episodi salienti della leggenda di Enea
Secondo la leggenda lo sbarco di Enea sarebbe avvenuto alla foce del
fiume Numico in un luogo sacro al Sole.
La storia di Enea trova maggiore spazio nella
mitologia e nella poesia latina che in quella greca: le
sue gesta occupavano già una parte notevole
nell'Iliade, ma Virgilio ne fece il protagonista assoluto
del suo poema, rendendone la personalità unica ed
estremamente moderna per il modo con cui l'eroe
troiano interpretò l'esistenza e per l'atteggiamento
che assunse di fronte ad essa; inoltre l'itinerario del
suo viaggio e le tappe sulle coste del Mediterraneo
fanno pensare quasi ad una mitica presa di possesso
da parte del presunto antenato dei Romani di quel
mare che essi amavano chiamare " nostrum ".
Il viaggio di Enea da Troia alla foce del
Tevere
Achille si prepara alla battaglia. Vaso, VI sec. a.C., Atene,Museo
Archeologico Nazionale
Enea sacrifica ai Penati. Rilievo, I sec. a. C.,
Roma, Ara Pacis Augustae
Molte furono le tappe del viaggio, pieno di avventure,
contrattempi, episodi dolorosi, avvenimenti prodigiosi. I
profughi furono dapprima in Tracia, dove Enea parlò con
l'ombra di Polidoro, l'infelice figlio di Priamo: il padre l'aveva
mandato, perché si salvasse insieme con buona parte del
tesoro troiano, presso il re del luogo, Polimestore, il quale
però, alla notizia della caduta di Troia, l'aveva fatto uccidere
per impadronirsi del tesoro.
Lasciato quel luogo infido, dove regnava chi non aveva rispetto
né per le leggi divine né per quelle umane, Enea andò a Delo a
consultare l'oracolo, che lo esortò a cercare la sua antica
patria; pensando che l'oracolo alludesse a Creta, da cui
proveniva uno dei più antichi re di Troia, si recò quindi in
quell'isola; ma i Penati gli apparvero in sogno avvertendolo
che la terra che doveva cercare, l'Enotria o Italia, era più ad
ovest.
Si accinse quindi ad attraversare il mare Ionio; ma la dea
Giunone, a lui avversa, suscitò una violenta tempesta che
spinse le navi sulle isole Strofadi, da cui i profughi furono
costretti a ripartire subito dalle mostruose Arpie guidate da
Celeno, che si erano gettate in volo sui loro cibi,
contaminandoli.
Enea si recò allora in Epiro da Eleno, uno dei figli di Priamo
che, come sua sorella Cassandra, aveva il dono della profezia
ed era divenuto re in seguito ad una vicenda straordinaria. Il
figlio di Achille, Pirro-Neottolemo, lo aveva portato via da
Troia come schiavo; del bottino faceva parte anche
Andromaca, la vedova di Ettore, che Pirro aveva dato in
sposa ad Eleno; quando poi il violento figlio di Achille fu
ucciso, gli abitanti del luogo chiesero ad Eleno di diventare il
loro re.
Enea fu lieto di sapere che un troiano di stirpe regale avesse
avuto una buona sorte, ma fu profondamente afflitto quando
vide Andromaca: impietrita nel dolore e lontana nella mente,
rievocava ogni giorno, con offerte e preghiere presso un
falso sarcofago di Ettore che era stato eretto a Butroto, la
sua tragedia di donna cui avevano ucciso il marito ed il figlio.
Lasciata Butroto Enea, seguendo il consiglio di Eleno, si
diresse
verso
la
Sicilia,
la
circumnavigò
per
evitare Scilla e Cariddi e si fermò ad Erice, dove ebbe il
dolore di perdere il padre Anchise, indebolito dalle
fatiche del viaggio; sepolto il padre riprese il mare ma
di nuovo una violenta tempesta fece smarrire la rotta
alle navi e le sospinse sulla costa dell'Africa.
La nave di Enea approdò in un porto tranquillo, ma egli
temeva, insieme ai pochi scampati, di aver perso tutti
gli altri compagni; mentre disperato perlustrava il
luogo, incontrò sua madre Afrodite in veste di
fanciulla, che lo confortò e gli consigliò di presentarsi a
Didone, regina del luogo e chiederle ospitalità.
Le navi troiane approdano a Cartagine. Mosaico dalla villa
romana di Lullingstone nel Kent, U.K., conservato presso
il Castle Museum di Taunton, Somerset
Enea quindi, con pochi compagni e con il figlio, si diresse verso la
città indicatagli, nella quale fervevano i lavori di costruzione di
edifici, strade, templi; era avvolto da una nube prodigiosa che gli
permetteva di non esser visto, e così giunse fino al trono dal quale
la regina Didone esercitava la giustizia e impartiva ordini.
Vide allora che erano appena giunti a chiedere ospitalità e aiuto
anche i compagni che aveva creduto persi nel naufragio e,
dissoltasi la nube che lo avvolgeva, si unì agli amici nella supplica
alla Regina, che accolse con benevolenza le preghiere dei naufraghi
e ospitò Enea nel suo palazzo insieme al figlio Ascanio.
Nel mosaico di Lullingstone, Enea, Didone e
Ascanio partecipano a una battuta di caccia
Anche Didone era una profuga, fuggita dalla
patria con alcuni fedeli compagni dopo che le era
stato ucciso in una congiura il marito Sicheo;
subito attratta dall'eroe troiano, concepì per lui
una profonda passione e insieme la speranza che
egli rimanesse a dividere con lei il fardello del
comando; d'altra parte anche Enea si sentì legato
da un fortissimo sentimento a quella donna
coraggiosa, che gli fece dimenticare tutto, e in
particolare il dovere impostogli dagli dei della
ricerca di una nuova patria; Giove allora mandò
Mercurio a ricordargli il suo destino, ed egli
dovette dire addio alla regina Didone.
Mosaico di Lullingstone: nasce l'amore tra Enea e Didone
Mosaico di Lullingstone: Enea, Ascanio, Afrodite e Didone.
Didone tentò in ogni modo di trattenerlo, ma alla fine, di fronte alla
sua decisione irrevocabile, presa dalla disperazione al pensiero di un
futuro quanto mai triste, si tolse la vita; ed Enea dalla nave già al
largo della sponda africana, affranto e impotente, vide il rogo alzarsi
dal palazzo reale come un luttuoso segnale.
L'eroe troiano e i suoi compagni, partiti alla volta dell'Italia, fecero
prima una breve tappa in Sicilia, ad Erice, per rendere gli onori
funebri ad Anchise, colà sepolto, poi arrivarono finalmente in Italia,
a Cuma, dove Enea dovette fermarsi per interrogare la Sibilla; ma
prima di scendere con lei nel regno dei morti, dette sepoltura al
trombettiere Miseno sul promontorio che da lui prese il nome
di Capo Miseno: costui aveva osato sfidare gli dei ed era stato
precipitato in mare dal dio Tritone. La Sibilla lo accompagnò
nell' Averno perché egli ottenesse dal padre notizie sui suoi
discendenti e sulle vicende che ad essi sarebbero state legate.
Il viaggio riprese; vi fu un'ultima sosta per rendere
onoranze funebri alla nutrice Caieta - dalla quale
derivò
il
nome
della
città,
in
seguito
chiamata Gaeta - finché le navi approdarono sulle
rive del Tevere; e qui avvenne un prodigio: le navi
si tramutarono in ninfe e si allontanarono in mare,
e da ciò Enea comprese di essere arrivato nel luogo
designato dagli dei, dove le sue peregrinazioni
sarebbero finite.
Ma non erano finite le difficoltà. Fu accolto con tutti
gli onori da Latino, re della città di Laurento, che gli
offerse in sposa la figlia Lavinia, seguendo i segni
divini che gli avevano profetizzato necessario tale
matrimonio; fu tuttavia avversato dalla moglie di
Latino, Amata, e dal pretendente di Lavinia, Turno
re dei Rutuli, che raccolse molte genti del
circondario e mosse guerra a quello che riteneva un
usurpatore.
Come sempre era avvenuto da parte di Enea nei
riguardi della guerra, egli si batté con onore ma a
malincuore e solo per realizzare il disegno divino, e
alla fine si compì anche il destino di Turno, che
cadde sotto i colpi dell'eroe troiano.
Luca Giordano, Il
duello di Enea e
Turno, Firenze,
Galleria Corsini, 1650
Con la morte di Turno finisce in Virgilio la storia delle peregrinazioni di
Enea, ma le leggende antiche tramandavano le sue ultime vicende,
raccontando che durante un combattimento contro gli Etruschi, che
erano stati alleati di Turno, nel culmine di un'improvvisa tempesta
scomparve e Venere lo trasportò nell'Olimpo, dove divenne una
divinità, onorata in seguito dai Romani col nome di Giove Indigete. Il
figlio di Enea, Ascanio-Iulo fondò poi la città di Albalonga e dalla sua
stirpe ebbe origine la famiglia Giulia.
Federico Barocci - Enea che fugge da Troia (1598)
La figura del " pius Aeneas " - di
questo eroe che, pur non amando la
guerra, combatté per difendere la sua
antica e la sua nuova patria, che si
mostrò sempre ossequioso verso gli
dei, premuroso verso la famiglia,
rispettoso delle leggi divine ed
umane, e soprattutto affrontò sempre
la vita con un grande senso di
responsabilità, volendo portare a
termine ad ogni costo i compiti che il
destino gli aveva affidato - ritorna,
durante il Medioevo in tutte le
riduzioni, parafrasi, imitazioni che si
fecero del poema virgiliano.
Nel Rinascimento essa diventa uno
dei modelli ideali della tradizione
epico-cavalleresca, e la sentiamo
presente all'Ariosto nella figurazione
di Ruggero, e al Tasso in quella del
"pio" Buglione.
Francesco Salviati Enea, 1556
Luca Giordano, Il duello di Enea e Turno, Firenze, Galleria Corsini, 1650
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