Giuliano Gambin STORIA DELLE COMUNITA’ DI VILLAGA, TOARA E BELVEDERE CENTRO STUDI BERICI Tutti i diritti sono riservati. Giuliano Gambin STORIA DELLE COMUNITA’ DI A mia moglie e alle mie figlie che mi hanno sostenuto in questo lavoro storiografico VILLAGA, TOARA E BELVEDERE CENTRO STUDI BERICI Indice PREFAZIONE CAPITOLO PRIMO: TESTIMONIANZE NEL BASSO VICENTINO E A VILLAGA 1. La grotta di S. Bernardino 2. I reperti di Ca’ Bissara a Pojana Maggiore 3. L’insediamento capannicolo di Sossano 4. I ritrovamenti a Barbarano e a Villaga 5. Altre tracce preistoriche a Villaga 6. Una curiosa notizia di geologia 10 11 11 12 13 14 CAPITOLO SECONDO: L’ETA’ ROMANA 1. Quattro date importanti 2. La centuriazione del territorio 3. I reperti archeologici 18 19 21 CAPITOLO TERZO: VILLAGA NELL’ETA’ FEUDALE 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. L’età longobarda L’organizzazione pievana del territorio I Benedettini nel Basso Vicentino La Curtis di Barbarano La Manifestatio Barbarani Le infeudazioni del vescovo Le origini del Comune di Villaga Il tramonto dell’età feudale I Traverso, i Godi e i Barbarano 5 26 27 27 28 29 31 31 34 34 INDICE INDICE 10. I toponimi dei nostri luoghi 11. Le antiche contrade 35 38 CAPITOLO QUARTO: GLI ORDINI CAVALLERESCHI A VILLAGA 1. 2. 3. 4. Gli Ordini religioso-cavallereschi nel Basso Vicentino La Commenda di S. Silvestro di Villaga La chiesa di S. Silvestro La Domus hospitalis di Barbarano a Toara? 42 44 48 49 CAPITOLO SETTIMO: LA PARROCCHIA DI TOARA 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. Le origini L’inventario dei beni della chiesa dell’anno 1444 Le visite pastorali La nuova chiesa Il Beneficio parrocchiale Il recente restauro della chiesa La canonica La chiesa di S. Antonio Abate di Belvedere Descrizione della chiesa attuale Elenco dei parroci di Toara e Belvedere 140 141 144 149 150 158 159 162 169 174 CAPITOLO QUINTO: IL PERIODO VENEZIANO 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. Sotto la Repubblica Serenissima di Venezia Statuti delle ville di Belvedere, Pozzolo, Villaga e Toara La bonifica delle campagne I nobili Barbarano a Toara e Belvedere Il Castello trasformato in palazzo e l’erezione della villa di Toara Il rapimento del figlio del conte Barbarano Cesare Barbarano prigioniero a Belvedere L’economia L’avvento del mais Dall’abbondanza alla carestia I pastori Gli Estimi Gli atti notarili 52 53 59 60 62 63 66 68 69 70 71 74 89 CAPITOLO OTTAVO: LE CONFRATERNITE 1. Le Confraternite di Villaga 2. Le Confraternite di Toara 3. Le Pie Unioni 177 179 187 CAPITOLO NONO: LE ANAGRAFI PARROCCHIALI 1. 2. 3. 4. 5. 6. I registri parrocchiali La popolazione di Villaga La popolazione di Toara Come eravamo… Villaga: nati, morti, matrimoni Toara: nati, morti, matrimoni 189 193 200 206 209 225 CAPITOLO SESTO: LA PARROCCHIA DI VILLAGA 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. Le notizie più antiche L’Inventario dei beni della chiesa dell’anno 1492 Le visite pastorali La chiesa attuale Descrizione della chiesa La canonica Il cimitero Cronologia dei parroci Il Beneficio parrocchiale La Fabbriceria 6 102 103 109 117 120 126 128 129 130 136 CAPITOLO DECIMO: L’OTTOCENTO 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Le descrizioni di Villaga e di Toara del Maccà La caduta della Repubblica di Venezia e il periodo napoleonico Nel 1848 famiglie e comunità depredate L’economia La proprietà fondiaria Salute e malattie La scuola nell’Ottocento 7 240 241 242 243 249 251 256 INDICE CAPITOLO UNDICESIMO: IL FASCISMO E LA SECONDA GUERRA MONDIALE 1. Annotazioni delle maestre dall’anno 1928 all’anno 1945 Prefazione 260 CAPITOLO DODICESIMO: TESTIMONIANZE 1. 2. 3. 4. Le 98 primavere di Umberta De Marchi Gervasio Bruttomesso, l’ultimo reduce dalla Russia I Ferrari, una famiglia di maniscalchi e di fabbri Elettra Miglioranza: memoria storica di Belvedere 278 279 281 282 CAPITOLO TREDICESIMO: EDIFICI RELIGIOSI E ARTISTICI 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. Cappella Madonna della Neve Villa Barbaran Conti Piovene Porto Godi Oratorio di S. Giorgio Villa Palma Bedeschi Villa Barbarano detta il Castello Casa Barbieri Fattoria Zonin Villa Rasia Dani La Colombara del Paradiso Il portico di casa Bruttomesso Villa Bruttomesso Villa Castagna Statue artistiche: le Madonne di via Salgan 8 286 288 290 291 293 295 296 297 298 299 300 302 304 L’opera che sono lieto di presentare, che completa il lavoro già avviato col volume pubblicato nel 2003 “Il Novecento a Villaga”, è scaturita dalla volontà di indagare sulle vicende delle nostre comunità di Villaga, Toara e Belvedere, a partire dalle origini per giungere sino ai giorni nostri, al fine di conoscere la nostra storia, alla scoperta dei valori morali e civili che l’hanno contraddistinta. Sono convinto, infatti, che fare “memoria storica” è rendere un prezioso servizio ai cittadini, perchè una comunità senza memoria è come un popolo senza storia e identità. Il volume presenta la storia (dal greco “istorìa” = ricerca) dei documenti che riguardano il nostro territorio e attraverso questi ne ricostruisce l’identità, ne traccia le linee di sviluppo e ne interpreta i cambiamenti che vi sono avvenuti. L’indagine effettuata, che indubbiamente non ha pretesa di dare una risposta nè definitiva, nè totalmente esauriente a tutti i problemi o gli interrogativi che possono sorgere sulla vita del passato, è stata condotta, però, sulla base di precise documentazioni rinvenute nei vari archivi comunali, parrocchiali, della Curia vescovile e di Stato, cercando di decifrare e interpretare le carte antiche con rigore scientifico, ma nello stesso tempo di presentarle nel modo più semplice ed accessibile a tutta la popolazione. Le informazioni raccolte nel corso del lavoro hanno consigliato di suddividere la trattazione in vari momenti storici, nel tentativo di inquadrare le vicende di Villaga sullo sfondo della storia vissuta dalla nostra regione e dall’area bassovicentina, dalla preistoria al secondo dopoguerra. Non potevo perciò limitare il lavoro ai soli fatti riguardanti il nostro Comune, poiché ne sarebbe uscito uno scritto frammentario e disorganico e quindi di difficile lettura. Infatti, pur ponendo tutta la mia attenzione agli avvenimenti che si svolsero a Villaga, non potevo non metterli in relazione alla storia, perché solo così è possibile capire perchè avvennero e perchè proprio in quel dato momento storico. Nel pensare e nello scrivere questo libro, ho tenuto presente il principio che adottano quanti, oggi, scrivono di storia locale, e cioè il concetto che occorre 9 PREFAZIONE considerare la storia come qualcosa che nasce anche “dal basso”, che appartiene non solo ai personaggi illustri, ma anche alla gente comune. Pertanto ho cercato di dar spazio ad una ricostruzione storica che, seppur priva di grandi eventi, racconta la quotidiana lotta per la sopravvivenza della nostra gente e il suo riscatto in tempi recenti che ha portato alla situazione attuale. Nel volume poi trovano adeguato spazio le fotografie d’epoca e moderne, con le quali ho potuto corredare il tutto, grazie alla collaborazione di tante famiglie a cui sono riconoscente per la disponibilità dimostrata. Un ringraziamento particolare va poi ai parroci, don Giancarlo, don Valerio e don Giuseppe per avermi dato la possibilità di consultare gli archivi parrocchiali da cui sono emerse preziose informazioni sulla vita delle nostre comunità. Mi auguro che questo lavoro storiografico possa stimolare le comunità locali a sentirsi maggiormente unite e a non disperdere il grande patrimonio di valori che ci hanno trasmesso le generazioni passate e che noi abbiamo il dovere di conservare e l’arduo compito di continuare a tramandare. Belvedere di Villaga, novembre 2007 10 CAPITOLO PRIMO TESTIMONIANZE PREISTORICHE NEL BASSO VICENTINO E A VILLAGA La storia dell’archeologia del Basso Vicentino si è arricchita negli ultimi anni di una serie di importanti ritrovamenti che hanno contribuito a far piena luce sulla vita degli uomini nella preistoria. 1. LA GROTTA DI S. BERNARDINO Già si sapeva che l’area dei Colli Berici è ricca di siti rupestri abitati sin da epoche remote. Il più antico è certamente la grotta di S. Bernardino a Mossano, ritenuto tra i più importanti d’Europa. In essa sono state condotte, a partire dal 1986, ben sette campagne di scavi – finanziate dalla Provincia di Vicenza – da parte dell’èquipe del prof. Broglio del dipartimento di scienze geologiche e paleontologiche dell’università di Ferrara, che hanno portato a interessanti ritrovamenti e all’acquisizione di preziose informazioni scientifiche. Innanzitutto è stato possibile riconoscere nella sequenza stratigrafica una successione di climi che si sono succeduti nell’era quaternaria: dapprima fresco e umido, poi decisamente freddo, quindi più umido e temperato. Per quanto riguarda i resti paleontologici, sono stati rinvenuti tre denti e una falangetta umani, appartenenti a uomini neanderthaliani; i resti di mammiferi di media e grossa taglia: l’orso delle caverne, l’alce, il cinghiale, la lince, il leopardo, il cervo, lo stambecco, il camoscio, la martora, il castoro, la marmotta. Nell’ultima ricerca sono venuti alla luce un deposito di manufatti, più un centinaio di selci e una cavità con uno strato di ceneri che rappresentano, allo stato attuale delle ricerche, la più antica documentazione dell’accensione di fuochi in un sito preistorico italiano. Sono stati scoperti infatti i resti di due focolari, di forma circolare, caratterizzati da una sovrapposizione di livelli. Uno di essi, dopo l’analisi con il metodo torio-uranio, ha fissato la data di addomesticazione del fuoco in quest’area a 270mila anni fa. Inoltre, i manufatti ritrovati nella parte inferiore del deposito attestano l’esistenza dei metodi di lavorazione Levallois già a partire da 300-250mila anni 11 CAPITOLO PRIMO TESTIMONIANZE PREISTORICHE NEL BASSO VICENTINO E A VILLAGA fa. Per il prof. Peresani si tratta della più antica industria Levallois conosciuta nell’Italia settentrionale. I ritrovamenti hanno poi evidenziato che i gruppi umani che a più riprese hanno frequentato il sito avevano una buona conoscenza del territorio, di cui sfruttavano le risorse in attività quali la caccia, la raccolta di molluschi, la lavorazione della selce. 1 Il materiale ritrovato – ha scritto Leonilo Frison in un suo testo dal titolo “L’età del bronzo”– tuttora conservato presso il Museo Civico di Vicenza, consiste in tipiche lame e microbulini, cuspidi di freccia e martelli di pietra levigata; il che testimonia ancora una volta della rarità di manufatti in bronzo nella nostra zona; fra le ceramiche sono presenti le anse a cornetti e le immancabili anse a cilindro verticale che caratterizzano una successiva frequentazione del sito. Un altro insediamento protostorico, della fase recente dell’età del Bronzo, segnalato da Frison, si trova ancora a Sossano nel cosiddetto “Castellaro dei Dordo”situato sul Monte della Croce, purtroppo devastato da una grande cava di pietra negli anni Sessanta del secolo scorso. 2. I REPERTI DI CA’ BISSARA A POJANA MAGGIORE Altra significativa scoperta archeologica avvenuta negli anni scorsi è l’individuazione nella bassa pianura vicentina (che si pensava una grande palude inospitale) di tracce di un villaggio risalente alla fine del V millennio a. C. in località Ca’ Bissara presso Pojana Maggiore. Tale insediamento, secondo Giancarlo Zaffanella che ha condotto le ricerche assieme da altri studiosi del Centro ricerche ambientali “Athesia”, testimonia la presenza di coloni provenienti dalla costa adriatica. Lo si può riconoscere dalla presenza di oggetti in terracotta, che venivano abitualmente lavorati da coloni e agricoltori provenienti da quest’area e più anticamente dal vicino oriente dove la terracotta era già conosciuta da alcuni millenni. 2 Tra i materiali rinvenuti, va detto che vi sono oggetti estremamente interessanti, testimonianti almeno tre distinte fasi di occupazione: pre-Fiorano, Fiorano e tardo Vasi a bocca quadrata. Sulla base di questi elementi, Zaffanella ipotizza che verso la metà del V millennio a. C. siano giunti nella pianura veneta coloni che trovarono un territorio popolato da cacciatori e raccoglitori nomadi (mesolitici). Il contatto allora stabilito innescò un lungo processo di trasformazione dell’economia di queste popolazioni locali col risultato di un progressivo mutamento delle forme di vita. Da caccciatori e raccoglitori di prodotti spontanei della terra, queste genti impararono l’agricoltura e l’allevamento: in altre parole – sostiene Zaffanella – si realizzò la cosiddetta “rivoluzione”neolitica. 3 3. L’INSEDIAMENTO CAPANNICOLO DI SOSSANO Durante l’ultima guerra mondiale, è stata fatta a Sossano, dai tedeschi, una trincea anticarro e su una parete della fossa è comparsa la sezione di un villaggio con fondi di capanne con tutte le sue buche. Tale insediamento veniva a trovarsi nei pressi del Monticello dove risiede la famiglia Borga. Il materiale fu raccolto dal prof. Perin e successivamente studiato dal prof. Pietro Leonardi, docente di geologia dell’università di Ferrara. L’insediamento di Sossano venne definito come un villaggio di capannicoli neo-eneolitici di cultura remedelliana. 1 Tali notizie sono tratte da un articolo dal titolo: “L’uomo preistorico abitava sui Berici”, pubblicato sul settimanale diocesano “La Voce dei Berici”in data 20 ottobre 1996, a pag. 22 2 G. Zaffanella, Importante scoperta archeologica tra Pojana e Noventa, in “Il Basso Vicentino”. 3 G. Zaffanella, op. cit. 12 4. I RITROVAMENTI A BARBARANO E A VILLAGA Ma nuovi e importanti dati sul popolamento della zona meridionale del Vicentino, dal neolitico agli inizi dell’età del ferro, sono venuti dai recenti ritrovamenti di Sandro Faccin, un appassionato di archeologia residente a Barbarano, che da parecchi anni si dedica, con risultati sorprendenti, alla ricerca di superficie. Dal 1994 ad oggi ha rinvenuto una quantità straordinaria di materiale in selce di lavorazione finissima, che costituisce un fatto raro per l’epoca in questione. “Nel fondo Nardi, vicino al Bagno di Barbarano – spiega Faccin – ho raccolto le testimonianze più antiche di frequentazione umana: si tratta di pugnali, punte di freccia di varia tipologia, elementi di falcetto, bulini, strumenti a ritocco erto e alcune ceramiche attribuibili all’ultima fase della Cultura dei vasi a bocca quadrata (fine del IV – inizi del III millennio a. C.). Inoltre ho rinvenuto numerosissimi elementi di falcetto, tutti accomunati dalla stessa tecnica di scheggiatura e di ritocco. Queste lamefalci dimostrano che il sito era stabile e che l’agricoltura praticata in quest’area di pianura era intensa”. “Nella piana di Villaga ho localizzato un altro sito, in una zona oggi completamente asciutta, perché bonificata in maniera definitiva già dal Cinquecento. La frequentazione umana qui è riferibile alla fine del III millennio a. C. e agli inizi del secondo. L’ampia area diventa, in base ai ritrovamenti di superficie, divisibile in due settori: il primo, ancora Eneolitico, che ho battezzato “Murloniano” (versione berica del Campignano lessineo), localizzabile alle pendici del Monte Murlone e che assomiglia molto alla Cultura della Lagozza (da Lagozza di Besnate presso Varese), mostra una tradizionale lavorazione della selce. Realizzati in selce locale, sono raschiatoi foliati, grattatoi foliati a forma di ogiva, oppure di tartaruga o anche ad ascia, caratterizzati da un ritocco bifacciale, lame raschiatoio frontale lungo e corto, troncature ed elementi di falcetto. La selce impiegata per la realizzazione di tali strumenti possiamo ipotizzare sia stata raccolta presso la collina di Monticello a Ponte di Barbarano, oppure sulle pendici delle alture di Lovolo di Albettone, o ancora allo sbocco 13 CAPITOLO PRIMO TESTIMONIANZE PREISTORICHE NEL BASSO VICENTINO E A VILLAGA della Piana di Villaga, in località Ca’ Melato, oggi Dani. Nel secondo settore della Piana di Villaga ci troviamo di fronte a materiali e forme dell’età del Bronzo. I reperti sono stati rinvenuti in prossimità di un dosso sabbioso, oggi praticamente scomparso. Il fossile guida in questo sito è rappresentato dalla punta a base concava, tipica dell’età del Bronzo. Gli elementi di falcetto vengono ritoccati nelle due facce con ritocco piatto coprente bifacciale con tecnica accurata e precisa. Possiamo attribuire all’età del Bronzo anche due fusaiole e una decina di anse a nastro, di cui quattro con apofisi ad ascia e una cornuta, tutte di impasto grossolano e alcuni cocci pertinenti a tazze carenate di impasto nerastro, sempre prive di decorazioni incise o impresse”. Secondo il prof. Felice Cocco, nella nostra zona scendeva una pista da Vicenza lungo la Riviera verso Sossano, dove, come abbiamo già sottolineato, sorgeva un villaggio di capanne. Anche le stazioni già di epoca preistorica del Brojon a Costozza, di S. Bernardino e di Paina a Mossano, fanno pensare all’esistenza di una importante via di collegamento che passava anche per il territorio collinare di Villaga.6 5. ALTRE TRACCE PREISTORICHE NEL COMUNE DI VILLAGA Allo sbocco della Piana di Villaga, in località Ca’ Melato, oggi proprietà della famiglia Dani, emerge dalla pianura una collinetta simile a tante altre presenti un po’ ovunque, ma che in realtà – sostiene Faccin - rivela al suo interno una formazione rocciosa fino ad ora passata inosservata a quanti hanno scritto e descritto i Colli Berici. Questa collinetta è costituita infatti da scaglia rossa decolorata da azioni idrotermali, risalente al periodo turoniano (oltre 80 milioni di anni fa); si tratta di un calcare compatto che si presenta ben stratificato e ricco di inclusioni di selce variegata. Questo tipo di selce, pur essendo qualitativamente inferiore alla selce proveniente dal Biancone, è invece di buona qualità se paragonata a quella proveniente dalla scaglia rossa. La scoperta che le rocce superficiali più antiche reperibili nell’Area Berica non sono le formazioni di scaglia rossa ma le sottostanti formazioni di scaglia variegata, in campo archeologico ha provocato una piccola rivoluzione. Finora si è sempre detto e scritto che le selci rosse trovate in zona erano originarie di qui mentre le selci variegate erano importate da fuori. Ed invece non è così, sostiene Faccin. Gli uomini preistorici non avevano bisogno di portare o di far portare da fuori le selci variegate perché giacimenti di questa varietà si trovavo anche qui da noi. E Faccin, appunto, ha scoperto la collinetta Dani che garantiva l’approvigionamento. “Questo sito – precisa – ha restituito molti resti di industria litica e particolarmente lo scarto della lavorazione della selce, alcuni nuclei e altri blocchi appena saggiati, definibili dei prenucle”. Sporadici ritrovamenti di superficie sono stati effettuati presso il Bagno di Villaga, a Belvedere, a Quargente e a Toara. Si tratta di manufatti e strumenti in selce difficilmente databili in quanto privi di ceramiche accompagnanti. In località Fogomorto, inoltre, sono stati raccolti numerosi cocci prevalentemente pertinenti a ciotole e a vasi decorati a stralucido. E’ stato anche ritrovato uno splendido amo in bronzo, riferibile all’età media del Ferro (VIIV secolo a. C ). Inoltre, sulla sommità del Monte Tondo, segnalata come insediamento preistorico da don Vittorio Peruzzo – scrive il prof. Broglio 4 – ignoti avevano fatto (negli anni Sessanta del secolo scorso) numerosi scavi abusivi. Grazie ad un contributo finanziario disposto dalla Presidenza dell’Istituto italiano di preistoria e protostoria, l’Istituto ferrarese di paleontologia umana ha organizzato una campagna di ricerche negli anni 1968-69… Una trincea scavata ad ovest della sommità, ha rivelato un terrazzo artificiale il cui riempimento conteneva una ceramica omogenea, della prima età del Bronzo. Una seconda trincea, aperta verso sud, ha messo in luce due terrazzi di probabile costruzione preistorica: i riempimenti contenevano abbondanti cocci, riferibili alla media età del Bronzo (vasi con anse cornute e rostrate). Tra i reperti trovati, si segnala un frammento di vaso a quattro beccucci che testimonia la presenza dell’uomo nell’ultima fase della Cultura dei vasi a bocca quadrata. Sono stati poi rinvenuti resti faunistici che evidenziano sui colli di Villaga e in altre zone dei Berici (Castellon del Brosimo, Monte Crocetta di Arcugnano, Fimon, Fondo Tomellero) la pratica dell’allevamento della capra-pecora, del bue e del maiale. La caccia, già in declino nell’antica Età del Bronzo, era ormai passata in secondo piano, con prevalente interesse per i grandi mammiferi, tra cui spicca il cervo.5 6. UNA CURIOSA NOTIZIA DI GEOLOGIA: A VILLAGA UN ICEBERG DI PIETRA 4 A. Broglio, Monte Tondo, in Rivista di scienze preistoriche, XXIII, 1968, Firenze, pag. 407 L. Fasani, L’età del Bronzo media e recente, in Storia di Vicenza, 1° volume, Accademia Olimpica Vicenza, Neri Pozza Editore, pag. 92-93 5 14 6 F. Cocco, La preistoria nel territorio di Costozza, in Costozza, edito dalla Cassa Rurale e Artigiana di Costozza e Tramonte-Praglia, 1983, pag. 50 15 Manufatti in selce rinvenuti nella piana di Villaga (IV-III millennio a.C.) Amo in bronzo trovato in località Fogomorto (VI-IV secolo a.C.) Manufatti in selce provenienti da Belvedere (fondo Bonomi e Crocifisso) Manufatti in selce rinvenuti nel territorio di Villaga Piana di Villaga 16 17 Frammenti di embrici e coppi affiorati in località Crocefisso a Belvedere. Disegno in cui appaiono alcuni embrici sormontati da coppi; questi erano i materiali che costituivano i tetti delle case romane. Il disegno è tratto dal saggio di Roberto Marchioro: “Periodo Romano” in Monticello Vive, a cura del Comitato per la difesa di Barbarano Vicentino. 18 CAPITOLO SECONDO L’ETA’ ROMANA 1. QUATTRO DATE IMPORTANTI Prima dell’avvento del dominio di Roma, il territorio del Basso Vicentino doveva presentarsi dal punto di vista paesaggistico pressochè intatto; la sparuta popolazione presente era dedita all’allevamento e alla pastorizia, alla caccia e alla raccolta. Pochi dovevano essere gli spazi coltivati che si trovavano per lo più intorno ai villaggi, generalmente di modesta entità, costruiti ai piedi di Colli Berici. Quattro date ci aiutano a ricostruire l’evoluzione politico-economica compiuta da Vicenza e dal suo agro sotto l’influenza della penetrazione romana. Innanzitutto la costruzione dell’antica via Postumia, iniziata nel 148 a. C. dal console Postumio Albino per collegare Genova ad Aquileia, diede l’impulso per dare un assetto e un’organizzazione territoriale ben definiti alle varie comunità e civitates del territorio. Successivamente, nell’anno 89 a. C., Roma emanò la legge Pompeia con la quale estese il diritto latino agli abitanti del territorio tra le Alpi e il Po; con tale legge venne concesso il godimento dei diritti civili, cioè di esercitare il commercio e di contrarre matrimonio secondo la legge romana. Quarant’anni dopo, nel 49 a. C., una seconda legge, promulgata dal tribuno Roscio per volere di Giulio Cesare, estese la cittadinanza romana alla Gallia Cisalpina: Vicenza divenne quindi “municipio romano”. L’ultima data che vogliamo ricordare è l’anno 8 a. C. quando l’imperatore Ottaviano Augusto divise la penisola italiana in undici regioni; il nostro territorio nord- orientale divenne la Decima, chiamata Venetia e Histria, una regione di gran lunga più vasta delle odierne tre Venezie, poiché comprendeva anche l’Istria. Le nostre popolazioni non entrarono mai in conflitto con Roma; anzi, i Veneti si dimostrarono preziosi alleati in più circostanze. Pertanto si può affermare che essi non furono conquistati, ma si lasciarono romanizzare senza traumi, per piccole tappe, accettando l’influsso della civiltà romana. 19 CAPITOLO SECONDO L’ETA’ ROMANA 2. LA CENTURIAZIONE DEL TERRITORIO IPOTESI DI CENTURIAZIONE Ad Augusto dobbiamo anche l’assegnazione dell’agro. Col sopraggiungere dei coloni romani, infatti, si assistette ad un graduale cambiamento del paesaggio naturale con l’affermarsi dei terreni coltivati, grazie anche al dissodamento e al prosciugamento di parte della pianura berico-euganea, a quel tempo caratterizzata dalla presenza di specchi lacustri e di paludi. Tale opera venne poi proseguita dai frati benedettini vari secoli più tardi, nell’Alto Medioevo. Pertanto possiamo affermare che i Romani hanno dato una prima razionale organizzazione al nostro territorio partendo dalla regolamentazione e dalla disciplina del sistema idraulico, favorendo poi, anche attraverso la centuriazione, il sorgere di nuclei abitati.1 Queste opere agrarie, condotte con metodo razionale su vaste aree agricole, non solo costituirono la resurrezione economica di Roma, ma, con la rete viaria, sono le maggiori strutture sulle quali poggia in linea di massima tutto quello che troviamo nei secoli posteriori e che è giunto fino a noi. Diventa importante quindi studiare questa struttura romana – osserva Aldo Benetti – per comprendere meglio sia la topografia che la storia dei nostri paesi.2 Attraverso lo studio delle centuriazioni, sostiene Luciano Bosio, altro grande studioso di questo importante fenomeno, si apre davanti a noi una grande pagina di storia che, con tutte le sue implicazioni e i suoi sviluppi di ordine strategico, politico, sociale ed economico, ancor oggi possiamo ritrovare nel tessuto ambientale che caratterizza il paesaggio veneto, e nella presenza di tanti centri di vita disseminati nella campagna.3 Prima di addentrarci nelle varie ipotesi di centuriazione del nostro territorio bassovicentino, occorre precisare il significato del termine. Per “centuriazione” si intende un sistematico intervento di misurazione e di suddivisione dei terreni dell’agro pubblico al fine della loro assegnazione ai colonizzatori. Il tutto attuato secondo uno schema a reticolato di forma ortogonale, cioè un sistema di coordinate generate da due assi principali, cardini e decumani, orientati sulla base della natura del luogo. L’agro – scrive lo studioso Alessio De Bon nel suo saggio “Romanità del territorio vicentino”, un lavoro storiografico superato in alcune sue parti, ma estremamente documentato e molto leggibile – veniva misurato a spazi regolari chiamati“Centurie”, aventi 700 e pochi metri di lato ciascuna. Le centurie erano a loro volta suddivise in “Iugeri”, ovverosia il tratto di terreno che poteva essere arato da una coppia di buoi in una giornata; questi a loro volta per Actus…Per le misurazioni il geometra si serviva di uno speciale strumento chiamato Groma, di qui il nome di Gromatico al misuratore… Le strade di varia grandezza che attraversavano l’agro centuriato e i fossati ne costituivano naturalmente le linee divisorie. Talvolta venivano posti anche speciali termini in pietra agli incroci dei cardini con i decumani.4 Aldo Benetti, missionario comboniano e studioso di archeologia classica e cristiana, nel 1976 ha ipotizzato l’esistenza di una centuriazione a sud di Vicenza, con riferimento più importante nel centro di Barbarano, compresa tra il fiume Bacchiglione a nord, il territorio municipale di Padova ad est, l’agro centuriato di Este a sud e i Colli Berici ad ovest. Il cardine massimo sarebbe rappresentato da una strada scomparsa che congiungeva Volpara del Monte Santo (Colli Euganei) con Costozza, mentre il decumano massimo congiungerebbe Barbarano con Cervarese.5 Il Comune di Villaga, secondo Benetti, viene attraversato dai cardini ottavo, nono e decimo; dai decumani terzo, sesto e settimo. Più tardi, nel 1983 il Dorigo ha presentato una centuriazione simile a quella del Benetti, con orientazione 0° 30’NO e un’estensione più ridotta, comprendente circa 220 centurie e assai articolata ai piedi dei Colli, mentre risulta notevolmente distanziata dall’ager di Este e dalla centuriazione padovana di Cittadella.6 Più di recente lo studioso Leonillo Frison, anche se ammette che la situazione alquanto differenziata dei terreni e le conseguenti variazioni nell’orientamento dei reticoli rendono assai difficoltoso riconoscere la presenza della centuriazione romana nelle nostre zone, è convinto di aver individuato una centuriazione che ha in Sossano il suo caposaldo. Egli parte dalla constatazione che gli impianti urbani di vari paesi dell’Area Berica (Sossano, Orgiano e Noventa) derivano direttamente dall’età romana. Sossano, in particolare, rivela la sua originaria funzione di“castrum”, cioè di borgo fortificato simile a quello di Este. Frison sostiene che la centuriazione diviene evidente a livello cartografico qualora si adotti una griglia di coordinate basata sui due assi principali, cardine e decumano, incentrata sull’Olmo di Sossano, che costituisce l’umbelicus urbano (luogo centrale) e del territorio. La rotazione di tale griglia a precisi intervalli permette di evidenziare i parallelismi e i reticolati determinati dal sistema stradale e dalla rete idrografica che risultano in diretta connessione con gli andamenti della via della Riviera e gli assi determinati dal crinale dei Berici.7 La presenza e il rilevamento di tracce di centuriazione nel nostro territorio – osserva Alessandra Menegazzi – costituisce un problema a tutt’oggi dibattuto, data la scarsezza del limites (linee di ripartizione della terra) rintracciabili sul terreno, mentre l’incertezza dei dati materiali è determinata dai numerosi interventi di sistemazione idraulica operati nella nostra pianura.8 1 Vedi in proposito il saggio del prof. Michelangelo Muraro “Geografia, storia e miti del Basso Vicentino fino al Palladio”, in Nantopietra, alle radici dell’arte della scultura, ed. 1989/90 2 A. Benetti, Le pievi pagensi del Veneto, Verona 1978, pag. 12 3 L. Bosio, Capire la terra: la centuriazione romana del Veneto, in Misurare la terra: centuriazione e coloni nel mondo romano. Il caso veneto, Modena 1984, pag. 21 4 A. De Bon, Romanità del territorio vicentino, 1938, Vicenza, pag. 7 5 A. Benetti, Barbarano e il suo agro centuriato, in Opuscola I. Raccolta di articoli e di studi storici del Veneto, Verona 1976, pp. 4-11 6 W. Dorigo, Venezia origini. Fondamenti, ipotesi, metodi, Milano, 1983, pag. 64 7 L. Frison, La centuriazione romana nel territorio della Riviera Berica, Provveditorato agli studi di Vicenza, centro di documentazione e formazione. 8 AA.VV, Misurare la terra: centuriazione e coloni nel mondo romano, il caso Veneto, Modena 1984, pagg. 140144 20 21 CAPITOLO SECONDO 3. I REPERTI ARCHEOLOGICI Pochi ma importanti reperti archeologici sono stati rinvenuti nell’Area Berica, soprattutto lungo la fascia pedecollinare, mentre nella zona collinare i ritrovamenti appaiono sporadici e concentrati in particolare nel Comune di Sossano (Monte della Croce e Monte Cistorello). Da ciò si può dedurre, come sostiene De Rossi,9 che le colline beriche non fossero sede di insediamenti in epoca romana, probabilmente perché coperte da boschi e da poveri terreni di pascolo, quindi poco adatte alla sussistenza umana. Ritrovamenti di materiale romano si sono avuti in varie località ai piedi dei Berici: a Costozza, Lumignano, Castegnero, Nanto, Barbarano, Villaga, Sossano, Orgiano e a Lonigo. Nel Comune di Villaga le testimonianze più significative provengono dalla località Oche ( il nucleo abitato che si trova tra lo stabilimento di calce di Piovan e via Crocenera): una trentina d’anni fa, in un terreno prospiciente alla contrada, durante lavori agricoli, a una profondità media di 80 centimetri, vennero alla luce cinque rocchi di colonna scanalati e con i fori centrali per l’incastro. Inoltre, nello stesso terreno, durante successive arature, sono affiorati cocci di laterizi. Ora i cinque rocchi sono conservati nel cortile di una fattoria del luogo.10 Altri ritrovamenti recenti sono stati segnalati in località Fornasette, lungo la Riviera Berica, dove sono stati raccolti frammenti di laterizi e un peso da bilancia in pietra levigata.11 Poi, in località Ponte Alto, in un campo lungo la strada per Belvedere si ha notizia del rinvenimento, negli anni Ottanta, di embrici, mattoni e forse anche di alcune monete, in occasione delle arature. Tali reperti, che sono andati dispersi, sono forse da mettere in relazione con la presenza, segnalata nella zona, di un edificio rustico romano.12 Restando a Belvedere, in località Crocifisso, in un terreno situato nei pressi del canale Leb, è emerso, in seguito ad arature profonde, vario materiale (embrici, coppi, frammenti di vasellame; uno di questi porta impresso il bollo di Quinto Curio, uno dei più antichi fornaciai del Vicentino); il che fa presumere la presenza di un’abitazione romana. Infine riportiamo la notizia, riferita dallo studioso Giarolo nel lontano 1906, del rinvenimento in una zona collinare di Belvedere (probabilmente all’interno delle mura del Castello) di tombe e monete romane, che poi sono andate disperse.13 Il De Rossi aggiunge anche che forse venne scoperto un tratto di stra- L’ETA’ ROMANA da diretta a Sossano.14 L’ipotesi di una strada romana che, provenendo da Vicenza, attraversava il territorio villaghese è verosimile, tuttavia permane l’incertezza sul suo percorso: continuava a costeggiare i colli fino a Sossano, come sembrano indicare l’ubicazione dei centri più antichi e i ritrovamenti archeologici avvenuti tra Barbarano e Sossano, oppure dal colle di S. Pancrazio si dirigeva quasi rettilinea in direzione di Noventa passando per la località Sajanega? 15 Non è escluso che esistessero entrambe le vie, che in ogni caso dovevano attraversare il territorio di Villaga per collegarsi a Sossano o a Campiglia e poi a Noventa Vicentina. Già il De Bon, nel lontano 1938 aveva ipotizzato l’esistenza di una serie di strade vicinali che intersecavano il territorio, precisando che una via saliva costeggiando i colli da sud per Barbarano e Longare. 16 Lo studioso Mazzadi poi riprende questa tesi sostenendo che una via vicinale iniziava da San Tomà di Lonigo e si indirizzava ad Orgiano attraverso Spessa; poi giungeva a Sossano, passava vicino a Belvedere di Toara, per finire nella via Postumia.17 Accanto alle strade, altri elementi significativi sono i cippi gromatici rinvenuti nei bivi di confluenza con strade e valli interne dei colli (a Costozza, Castegnero, Nanto, Sossano, Orgiano, Sarego, Brendola). Uno di questi è stato individuato anche nel Comune di Villaga, e precisamente a Toara, all’interno della proprietà di villa Piovene. Purtroppo il manufatto, di sezione quadrangolare, non riporta iscrizioni latine, ma tutto fa pensare che indichi la presenza di un sistema di divisione agraria riferibile alla pratica della centuriazione. Grazie alle prime vie di comunicazione di cui abbiamo parlato sopra, sorsero i primi nuclei insediativi ai piedi dei Berici, vale a dire i primi “vici”. Da uno studio attento della toponomastica antica, è possibile individuare i modesti vici di Costozza, Castegnero, Sossano, Orgiano, Alonte, che costituivano i primi nuclei urbani già organizzati. Tali vici erano ubicati sui promontori della fascia pedecollinare, in zone soleggiate ed abbastanza protette, in corrispondenza dei naturali corsi d’acqua alimentati dalle copiose sorgenti dei Berici. E’ lecito pensare che i vici facessero capo al pagus di Barbarano, vicus più importante, dove risiedeva il magistrato civile, data la sua notevole importanza religioso-amministrativa che assunse tale nucleo in periodo longobardo e poi carolingio.18 9 G. De Rossi, I Colli Berici in epoca romana, in “Quaderni di archeologia del Veneto”, 1985, pag. 145 10 G. De Rossi, op. cit. pag. 147, nota 21 ; AA.VV, Carta archeologica del Veneto, vol . III, Franco Panini ed., 1992, pag. 57. 11 A. Bruttomesso, Testimonianze preistoriche e romane del territorio di Barbarano, in AA.VV, “Barbarano Vicentino”, vol. 1, La Serenissima, 1999, pag. 164. 12 G. De Rossi, op. cit. pag. 148, nota 23 ; AA. VV. , Carta archeologica del Veneto, pag. 56 13 D. Giarolo, Osservazioni sopra una lapide sepolcrale scoperta presso Lonigo, in “Rivista di scienze storiche”, III, fasc. VIII, Pavia, pp. 3-27. 14 G. De Rossi, op. cit., pag. 147, nota 22. 15 G. De Rossi, op. cit. pag. 146 16 A. De Bon, Romanità del territorio vicentino, pag. 6 17 E. Mazzadi, Lonigo nella storia, vol 1, Amministrazione comunale di Lonigo, 1989, pag. 33 18 Studio per una proposta di vincolo paesaggistico sui Colli Berici, a cura di Italia Nostra, Tip. Rumor,Vicenza, 1975, pag. 26 22 23 Frammento di embrice romano rinvenuto in località Crocifisso a Belvedere con impresso il timbro di fabbrica: Q.C.V.R.I•CF (Quntus Curius Cai Filius: Quinto Curio figlio di Caio). Il mattone appartiene alla fornace di Quinto Curio che sembra sia stata molto attiva nel Vicentino nel primo secolo d.C. Disegno della centuriazione romana di Barbarano, tratto dal testo: “Opuscola I^, di A. Benetti”. 24 Colonne romane venute alla luce in località Oche a Villaga. Cippo situato vicino alla corte di Villa Piovene a Toara. 25 Veduta di Villaga con la Villa Palma Bedeschi posta sulla parte collinare. 26 CAPITOLO TERZO VILLAGA NELL’ETA’ FEUDALE 1. L’ETA’ LONGOBARDA Nel 568 i Longobardi, provenienti dalla Pannonia (l’attuale Ungheria), invasero la X regio, Venetia e Histria (il territorio del Triveneto e dell’Istria) e, seguendo l’itinerario dell’antica via Postumia, raggiunsero in quello stesso anno il cuore del Veneto fino a Verona, cogliendo di sorpresa e impreparati i Bizantini. Sul loro percorso, per cautelarsi, insediarono nei principali centri fortificati dei duchi ai quali furono affidate le migliori “fare”- cioè i corpi di spedizione e le carovane che raggruppavano un certo numero di famiglie imparentate tra loro - a tutela di quei luoghi. Tra i 36 ducati fondati dai Longobardi vi era quello di Vicenza che ben presto si estese anche sui territori che in un primo momento erano rimasti in mano ai Bizantini e, dopo le conquiste di Agilulfo nel 602 e quelle di Grimaldo, venne pressappoco a coincidere con le attuali province di Vicenza e Padova, includendo il Colognese, S. Bonifacio e la valle dell’Alpone, fino all’Adige. L’occupazione longobarda ebbe carattere essenzialmente militare e strategico. Presidi di Longobardi si attestarono soprattutto in corrispondenza delle principali città e di luoghi fortificati. Così gli antichi pagi si trasformarono in sculdasce, centenari o contrade.1 L’avvento dei Longobardi, periodo che va dal 569 al 774, segnò il tramonto della romanità. L’editto di Rotari, del 643, rappresentò in sostanza la codificazione delle consuetudini dei popoli germanici, mitigate dall’influsso cristiano. 2 I due secoli di dominazione longobarda portarono poi ad un periodo di relativa calma. Allo spaventoso abbandono delle terre e alle angherie inferte alle nostre genti nelle numerose scorribande delle orde barbariche, subentrò un’epoca meno instabile e di graduale progresso civile: i nuovi 1 L. Frison, Santi e cavalieri, dominio signorile e fondazioni monastiche nel Basso Vicentino nei secoli VII-XII, Centro ricerche ambientali Athesia, pag. 167 2 A. Biasin, Asigliano nella storia, Giovani Editori, pag. 33 27 CAPITOLO TERZO VILLAGA NELL’ETA’ FEUDALE conquistatori instaurarono quasi subito un proficuo accordo con le istituzioni locali e specialmente con la Chiesa, soprattutto dopo la loro conversione. La benevolenza degli ultimi re longabardi, ormai cattolici, verso la Chiesa favorì indubbiamente l’organizzazione pievana del territorio e l’inserimento dei frati Benedettini. 3 aveva raccomandato ai suoi seguaci di portare una roncola appesa alla cintura, per far capire che i Benedettini erano pronti a lottare contro la natura selvaggia per aprire un sentiero, bonificare una palude e insegnare a coltivare la terra. La loro regola era il motto “Ora et labora”; con la preghiera il monaco invocava Dio e ne riceveva la forza per non scoraggiarsi di fronte alle difficoltà; con il lavoro aiutava il prossimo. Essi, pertanto, portarono anche nel Basso Vicentino quel seme di vita e di civiltà cristiana che era simbolo di rinascita dopo epoche davvero tragiche. Il prosciugamento di molte paludi della nostra area, la costruzione del canale Bisatto, lo svegramento di molte terre incolte sui colli, la progressiva depaganizzazione dei nostri centri, l’istituzione di fondazioni monastiche contribuirono notevolmente al rilanciare l’agricoltura e a risvegliare le abbandonate attività artigianali, dando impulso così alla vita civile ed economica.7 Durante il periodo benedettino hanno origine molti dei paesi dei Berici, i cui toponimi e santi titolari tradiscono ancora la loro origine longobardobenedettina: Villaga (S. Michele Arcangelo), Toara (S. Giorgio), Sossano (S. Giustina), Zovencedo (S. Nicola), Castegnero (S. Giorgio), Lumignano (S. Maiolo), Noventa (S. Vito), Villa del Ferro (S. Martino), Asigliano (S. Martino). 8 I Benedettini poi eressero varie fondazioni monastiche: a Sossano e a Orgiano frati nonantolani facenti capo al duca Anselmo, fattosi benedettino, diedero vita a xenodochi, cioè ospizi monasteriali; ad Albettone esisteva il monastero di S. Felice; a Barbarano erano presenti il priorato di S. Martino, il monastero di S. Donato (a quel tempo ricompreso nel territorio barbaranese), l’ospizio di S. Caterina (posto vicino al Castello, nel versante verso Villaga), il complesso di S. Giovanni in Monte. 2. L’ORGANIZZAZIONE PIEVANA DEL TERRITORIO Le prime comunità cristiane rurali erano organizzate attorno alle rispettive pievi che esercitavano la loro giurisdizione su vaste circoscrizioni territoriali. Il termine “pieve” deriva dalla parola “plebs” che inizialmente significava il popolo (la comunità cristiana); poi fu esteso alla chiesa e al distretto giurisdizionale del pievano (l’arciprete). La pieve pertanto era la chiesa battesimale matrice di tutte le altre chiese minori del territorio, aveva un clero che faceva vita comune sotto la guida di un arciprete, aveva un patrimonio originariamente comune e un’ampia area in cui si trovavano molte cappelle ad essa soggette. 4 Si ritiene perciò che la primitiva organizzazione ecclesiastica del territorio fosse costituita da poche parrocchie con ambiti molto vasti. Tra le pievi del Basso Vicentino (erano quattro: Barbarano, Costozza, Noventa e Lonigo), proprio quella di Barbarano fu probabilmente la più antica e sorse tra il VI e l’VIII secolo divenendo matrice di tutte le altre cappelle del circondario, sotto la guida di un praesbyter. In periodo longobardo è chiara l’organizzazione cristiana rurale: la pieve, con la sua comunità di presbiteri che faceva vita comune, e le cappelle filiali. Se la pieve faceva riferimento all’antico “pagus” (grande villaggio, borgo) romano, nei vari “vici”(piccoli villaggi) disseminati entro la sua circoscrizione, sorsero varie chiese minori, soggette alla pieve fino al suo frazionamento, quando divennero parrocchie autonome.5 4. LA CURTIS DI BARBARANO I Benedettini arrivarono nel territorio della diocesi di Vicenza a partire dall’VIII secolo quando si insediarono a Vicenza fondando le abbazie di S. Vito e S. Salvatore nonché il monastero di S. Felice.6 Essi giunsero in un momento particolarmente oscuro: le invasioni, la fame, le pestilenze, le continue guerre avevano distrutto la vita civile. Nei monaci benedettini la gente riconobbe un punto di appoggio per poter riprendere una vita normale. Il loro fondatore, S. Benedetto da Norcia, Donata ai vescovi di Vicenza nella seconda metà del X secolo dai re Ugo e Lotario di Provenza, e confermata dal privilegio di Corrado II (anno 1026), la “Curtis”di Barbarano comprendeva ben 23 centri, tra cui quelli di Villaga e di Toara. La curtis o curia, che era pertanto una circoscrizione territoriale comprendente varie località, era amministrata dal vescovo di Vicenza che deteneva il potere come uno dei tanti signori feudali a cui l’imperatore aveva affidato tale governo 9; esercitava i diritti giurisdizionali e organizzava la gestione del territorio. 3 E. Reato, Profilo storico della Diocesi di Vicenza, in Storia religiosa del Veneto, La Diocesi di Vicenza, 1994. 4 F. Gasparini, La Pieve: piccola nota storica, testo dattiloscritto, pag. 1. 5 Ibidem, pag 2 6 E. Reato, Profilo storico della Diocesi, pag. 59 7 AA.VV, Studio per una proposta di vincolo paesaggistico sui Colli Berici, a cura di Italia Nostra, Tip. Rumor, Vicenza, 1975, pag. 27 8 Ibidem, pag. 28 9 R. Dal Lago – M. N. Simeone, Barbarano nell’età feudale, in Barbarano Vicentino, a cura di E. Reato, E. Garon, A. Girardi, Amministrazione comunale Barbarano, 1999, pag. 202 3. I BENEDETTINI NEL BASSO VICENTINO 28 29 CAPITOLO TERZO VILLAGA NELL’ETA’ FEUDALE Nella curtis di Barbarano il vescovo di Vicenza, nella seconda metà del secolo X, fa costruire uno dei suoi 19 castelli, che avevano più scopi: innanzitutto dovevano servire a difesa da eventuali minacce esterne (in quel periodo, soprattutto, rappresentate dalle scorrerie degli Ungari), ma in particolare, secondo lo studioso Settia, da esigenze derivate dall’economia, dall’amministrazione e dalla politica interna alla curtis stessa. 10 La sua ubicazione, suggerita dalla conformazione del luogo, era a cavallo del dosso montuoso che divide Barbarano da Villaga, chiamato volgarmente “Castellaro”. L’abitazione ordinaria del vescovo (il suo palazzo) in Barbarano era la casa che è oggi proprietà Carampin. Questa casa, unitamente al castello e ad un rocca vicina, formava un complesso di fortificazioni, di cui rimangono tracce nei sotterranei, ora adibiti a cantine.11 Barbarano ebbe quindi un castello vescovile fra i più ricchi e importanti della nostra diocesi, munito di una possente rocca, dove il vescovo, come abbiamo già detto, aveva la sua fastosa dimora con giurisdizione piena e totale “di mero e misto imperio”, non avendo egli “nec parum, nec socium, nec consortem praeter imperatorem” (nessuno al di sopra, nè suo pari, nè socio, nè uguale all’infuori dell’imperatore). escluse). Era consentito di portare al pascolo le bestie minute (pecore e montoni) previa licenza del vescovo; per ottenere questo permesso, i pastori di Villaga avevano l’obbligo di consegnare sei forme di cacio (formaggio), in segno di riconoscenza. Era proibita la caccia alle lepri, ai fagiani, alle pernici, come pure la pesca nei fossi e nelle paludi, far funzionare mulini, se non si era pagata la relativa tassa. Al vescovo spettavano anche la pelle e un quarto di ogni animale ucciso. Poi vi erano i diritti di mariganza (controllo del territorio con l’utilizzo di “saltari”, cioè guardie armate), di riscossione di dazi e pedaggi e dell’imposta sul macinato, la relativa licenza per il taglio dei boschi, e altri minori. Sui territori coltivati, inoltre, gravavano i livelli e le decime. I terreni allivellati pagavano al Vescovado un fitto annuo in natura dell’ammontare del terzo o del quarto. Sui prodotti delle terre originariamente incolte che venivano trasmesse mediante enfiteusi con l’obbligo del risanamento, gravava la decima. I Codici feudali dell’archivio della Curia vescovile ci tramandano i nomi di più di 80 località sulle quali si esigeva l’onere della decima dominicale, derivante da un diritto inerente al fondo. Tra queste vi sono anche Barbarano e Villaga. 13 In proposito gli studiosi Franchetto e Bressan osservano che, contrariamente al modello dei feudatari laici che davano la terra ai contadini senza che costoro potessero disporre liberamente di essa e per cui erano dei veri e propri servi della gleba, i vescovi concedevano il libero ed ereditario uso, previo il pagamento della decima parte del prodotto, o del quartese. Tale sistema di conduzione, fondato sul libero uso della terra, porterà via via al sorgere della piccola proprietà contadina e verrà accordato dal vescovo anche a chi trasformerà un terreno da incolto (res nullius) in coltura (res novalia). 14 Al vescovo spettava anche il diritto di amministrare la giustizia. Poiché non poteva essere presente in modo costante a Barbarano, si serviva di un viceconte che lo sostituiva durante la sua assenza. Nella Manifestatio vengono definiti i compiti del viceconte il quale giudicava alcuni reati minori, percependo tre lire per ogni intervento. 15 Il vescovo disponeva anche di tre ministeriali, detti anche “comandanti”, cioè delle guardie di finanza che spiccavano le multe a chi era colto in flagranza di reato nelle sue terre, ma con funzioni anche di guardie carcerarie e di ambasciatori. 16 Altra figura che rappresentava l’autorità del vescovo era il suo avvocato che aveva il compito, tra l’altro, di giustiziare i ladroni, impiccare i predoni, tagliare i piedi, cavare gli occhi, troncare le mani. Ordinariamente, riporta il Bortolan, l’avvocato risiedeva a Vicenza e in città giudicava facendosi condurre i malfattori. Per ogni giudizio riscuoteva una tassa, di cui due terzi spettavano 5. LA MANIFESTATIO BARBARANI Una prova ulteriore dell’importanza del luogo si ha anche nei titoli con cui i vescovi vicentini solevano intestare i loro diplomi di concessione e i proclami legali della loro corte, nei quali essi si qualificavano “rex, dux, marchio e comes Barbarani et suarum pertinenciarum” (re, duca, conte e marchese di Barbarano e delle sue pertinenze). Non ci deve meravigliare vedere tra tali titoli anche quello di re, che fu ai vescovi attribuito non già perché esercitassero un vero e proprio potere regio come oggi lo intendiamo, ma perché, secondo quanto ci informa il Bortolan, 12 al titolo erano annessi determinati diritti, riconoscimenti o esenzioni di carattere fiscale, come quella del pagamento della tassa di fodro e altro. I diritti di cui godeva il vescovo su tutto questo territorio sono elencati nella Manifestatio Jurisdictionum Barbarani fatta redigere dal vescovo Bartolomeo da Breganze nel 1268. Si tratta di un “Istromento” rogato dal notaio Giovanni da Marola in Barbarano, estesamente analizzato e commentato da mons. Domenico Bortolan in un opuscolo d’omaggio dedicato al vescovo di Vicenza mons. Giovanni Antonio Farina che il 15 dicembre 1885 compiva il 25° anno di ministero episcopale nella diocesi di Vicenza. Al vescovo spettavano i diritti sull’erbatico (taglio dell’erba e sua raccolta per il bestiame) e il pisonatico (permesso di pascolare gli animali, capre 10 Ibidem, pag. 204 11 E. Marobin, Barbarano nella storia, Mensile “Il Basso Vicentino”. 12 D. Bortolan, Il Vescovo di Vicenza Re di Barbarano nel secolo XIII, Vicenza, Tip. S. Giuseppe, 1893 30 13 E. Mazzadi , Lonigo nella storia, vol.primo, pagg. 112-113. 14 R. Franchetto – C. Bressan, Villa del Ferro dentro la Val Liona, Giovani Editori, 2001, pagg. 73-74 15 R. Dal Lago – M.N. Simeone, Barbarano nell’età feudale, pag. 227 16 Ibidem, pag. 228 31 CAPITOLO TERZO al vescovo, l’altro terzo costituiva il suo onorario. Per questo, l’avvocazia del vescovo era un ricco ufficio, ambito dalle più nobili famiglie. 6. LE INFEUDAZIONI DEL VESCOVO Tra i compiti più importanti del vescovo vi era quello di conferire investiture di feudi. Molti di questi atti di infeudazione sono documentati nei Codici Feudorum, grossi volumi in pergamena conservati nell’Archiivio della Curia di Vicenza. Queste concessioni di feudi - spiegano Dal Lago e Simeone – sono da considerarsi dei livelli, cioè degli affitti.17 La formula di infeudazione era la seguente: “Per diritto di locazione…per la durata di 29 anni e con la possibilità di rinnovo dietro esborso di una somma di denaro… il vescovo investe …di alcuni beni immobili che vengono descritti; il beneficiario gli deve rendere ogni anno dei beni in natura e la decima”. 18 Il vescovo Bartolomeo da Breganze, per esempio, nel 1268 concede un certo numero di terre nelle pertinenze di Villaga a “Conforto delle Pecore campi 2 arativi in Pagnaga: versa un terzo di tutti i raccolti; Giacobino di Pietro Curto di un quarto di terra prativa in Manerba: versa 2 stari di frumento; Guidone di Marcoaldo da Tovara di 1 campo di terra arativa presso il pontesello di Salgaria: paga 4 stari di frumento; Conforto di Girardino Rosso di tre quarti di campo a vigneto in Savonega (Seonega), di uno spiazzo con ulivi in Castelpino presso il comune e la chiesa di Villaga, di una pezza di terra in Polverara (Spolverare): paga un terzo dell’uva, 1 staro e mezzo di frumento e 2 soldi; Nordiglo di Marmontaro di 3 campi in Castelpino: paga 4 stari e mezzo di frumento; Domenico di Caceta di mezzo campo in Pagnaga: paga un terzo di tutti i raccolti; Porcella del quondam (fu) Giacobino di un quarto di campo prativo in Pagnaga: paga 4 soldi; Benvenuto di Zilimiato di 2 pezze di terra arativa di mezzo campo in Pagnaga: paga un terzo di tutti i raccolti; Guidone di Prando, notaio, di una pezza di terra arativa in Sivirone (Siron) e di una in Runca (Ronca): paga 2 stari di frumento; Lembricino quondam Conforto di mezzo campo arativo in Pagnaga e 1 in Runcarso (Roncasso)”.19 7. LE ORIGINI DEL COMUNE DI VILLAGA Nella Curtis di Barbarano, come abbiamo visto, era ricompreso anche il territorio di Villaga inteso come ”regula”, cioè come paese, villaggio. Nel secolo XIII la regula di Villaga si dà un’organizzazione di tipo comunale.20 Il documento più antico che nomina il comune di “Viraga” è del 6 novembre 17 Ibidem, pag. 215 18 Ibidem 19 Ibidem, pagg. 215-216. Tali infeudazioni sono riportate in Feudi 1, cc. 97v – 98v, 141v – 145. 20 Ibidem, pag. 234 32 Vecchio Gonfalone del comune di Villaga, raffigurante il leopardo illeonito, simbolo della casata dei Conti Barbarano. 33 CAPITOLO TERZO VILLAGA NELL’ETA’ FEUDALE 1223 21, ma è possibile che esso esistesse anche prima di questa data. Sappiamo da un documento del 1227 22 che a reggere quella primitiva organizzazione era il decano o degan, che a quel tempo erano due: Pietro Maranello e Wecerio d’Orlando. L’organo più rappresentativo del Comune era la Convicinia (o Vicinia o Visinanza) che nel 1266, il vescovo Bartolomeo da Breganze fa convocare, assieme a quelle di Barbarano e di Mossano, per discutere e far approvare lo statuto dei Saltari (cioè la regolamentazione dell’utilizzo di guardie armate nei boschi). 23 A questo punto occorre precisare la struttura del Comune e i suoi organi rappresentativi premettendo che all’inizio non aveva un’organizzazione ben definita e regolamentata quale oggi noi conosciamo. Inoltre l’attività amministrativa nei Comuni di allora era regolata da norme e da consuetudini tramandate spesso in forma orale e abbastanza simili tra paese e paese. 24 Il Comune rurale fu sostanzialmente un’associazione di coltivatori della terra che aveva il compito di proteggerli e di affrancarli dalle servitù feudali. Vi concorsero piccoli proprietari rimasti liberi – gli allodiali-, piccoli feudatari e coloni. 25 Il decano, eletto dalla Convicinia, cioè l’assemblea generale dei capifamiglia (homines), era il rappresentante legale della Comunità, durava in carica in genere un anno (ma questa durata variava da comune a comune) e non poteva essere rieletto se non dopo un certo intervallo di tempo. Convocava la convicinia per mezzo di un banditore o di un comandador che a voce alta o col suono della campana o battendo delle tavolette o anche, nei piccoli comuni, passando di porta in porta, annunciava l’adunanza per deliberare su questioni importanti per la collettività.26 Al Comune spettavano infatti vari compiti: i principali erano la raccolta delle tasse e il loro versamento alle amministrazioni superiori; la costruzione e il mantenimento in efficienza di opere pubbliche quali strade, ponti, canali; l’amministrazione dei beni, cioè terreni che potevano essere dati in affitto a terzi; la regolamentazione della “saltaria”, cioè la facoltà di tenere in armi delle persone, delle guardie che custodissero i boschi e le terre per impedirvi furti, devastazioni, pascoli e caccia abusivi.27 Il Decano era affiancato da un certo numero di consiglieri, eletti dalla Convicinia generale, che lo sostenevano nell’esercizio amministrativo e da alcuni funzionari: gli estimatori che avevano il compito di accertare i danni arrecati alle proprietà pubbliche e private da persone e animali; inoltre stabilivano il valore delle case, dei campi e degli animali, in vista della redazione degli estimi; i sindaci che controllavano la contabilità del Comune, cioè il suo bilancio. 21 Ibidem pag. 235. Il documento di riferimento si trova in Archivio di Stato di Vicenza, sotto le Corporazioni Religiose Soppresse “S. Felice”, b. 519a n. 30 22 Ibidem, pag. 236. Il documento è in Arch. Stato Vicenza, Corp. Rel. Sopp. S. Tomaso, b. 2594g. 23 Arch. Curia Vescovile, Codice Feudi, 1, c. 108 24 F. Dalla Libera, Pozzolo nel periodo veneziano, in Pozzolo di Villaga, Parrocchia di Santa Lucia, pag. 182 25 E. Mazzadi, Lonigo nella storia, parte prima, pag. 354 26 Ibidem, pag. 355 27 R. Dal Lago, Planecie a Lacu, a cura della Parrocchia di Pianezze, 1999, pagg. 33-34 34 8. IL TRAMONTO DELL’ ETA’ FEUDALE Nel Trecento avvengono una serie di trasformazioni che pongono fine all’epoca feudale nel nostro territorio. Dopo mezzo secolo di dominazione padovana,Vicenza nel 1311 passa sotto la signoria degli Scaligeri di Verona; nel 1387 è sottomessa dai Visconti di Milano; in seguito, nel 1404 entra a far parte della Repubblica di Venezia.28 Villaga, come il rimanente territorio vicentino, segue le sorti della città di Vicenza e subisce l’evoluzione dei rapporti tra città e campagna, che vedono l’affermazione dei Comuni e il declino del potere feudale dei vescovi. Il cambiamento più significativo a cui si assiste nell’area che gravita attorno a Barbarano è l’istituzione della nuova struttura amministrativa del vicariato. Il vescovo di Vicenza continua anche per tutto il XIV secolo a infeudare e a livellare le terre dei suoi vasti possedimenti a Barbarano – osservano Dal Lago e Simeone – 29 ma ormai egli non vi esercita più alcun potere politico, giudiziario, amministrativo. Con gli Scaligeri il territorio vicentino viene diviso in una serie di vicariati che comprendono un certo numero di comuni rurali che tendono a governarsi in base a propri statuti, in un primo tempo semplici regole tramandate oralmente, in seguito codificate e preventivamente approvate da una apposita commissione distrettuale. 9. I TRAVERSO, I GODI E I BARBARANO Nel Trecento appaiono nel territorio di Barbarano nuove famiglie nobili che gradualmente acquistano un ruolo sempre più importante nel possesso dei beni dell’area. Si tratta dei Traverso e dei Godi che ottengono in feudo molte terre, spesso sottratte al controllo della famiglia Barbarano. Varie investiture riguardano possedimenti situati a Villaga: nelle contrade Polverara (Spolverare), Casalfardo, Castelpino, Muslone “sopra la costa del lago” (ci si riferisce alla strada del Paradiso che costeggiava un antico lago che copriva gran parte dell’attuale “campagna”della famiglia Baldisserotto), Grumolo (nell’area collinare tra Villaga e Toara), del Sirone, presso la strada che porta a Sossano.30 28 R. Dal Lago – M.N. Simeone, Barbarano tra Scaligeri e Visconti, in Barbarano Vicentino, primo volume, pag. 331 29 Ibidem 30 R. Dal Lago – M. N. Simeone, Barbarano tra Scaligeri e Visconti, pag. 359 35 CAPITOLO TERZO VILLAGA NELL’ETA’ FEUDALE Della famiglia Godi sono documentate le infeudazioni di terre in varie località di Villaga: Baxaga, Costa Broja, Runcharso (Roncasso), Montegnago (Belvedere) e nella vallata di Pozzolo. I Barbarano Mironi, nobile famiglia di cui si hanno riscontri già nel 1260, nella seconda metà del Duecento e nei primi anni del Trecento erano schierati a fianco del vescovo di Vicenza. Essi controllavano vaste estensioni di terre allodiali e feudali tra Barbarano, Villaga, Belvedere, Toara, S. Donato, Sossano, Colloredo, Campolongo e Nanto, ricomprese nell’antica “curtis”barbaranese.31 Si può quindi affermare che la signoria rurale dei Barbarano ebbe un’origine vescovile che trova fondamento nelle plurisecolari e rinnovate infeudazioni vescovili raccolte nei Libri Feudorum e documentate dalla prof. Bulla. 32 fino a Este, Montagnana ed anco alle montagne di Bologna e Modena, da un’altra viene terminata dai Monti Euganei del padovano, distanti però dieci miglia, e da altre bande viene terminata con i deliziosi colli di Barbarano, Villaga, Toara e Sossano”.34 Toara, secondo la tradizione, deriva dal latino “Tofum”, volgare “tufum”. Ciò indica la cava di “toazio”, cioè di materiale tufaceo, pietra di origine vulcanica, un tempo utilizzata soprattutto per la pavimentazione delle case. Toara è documentata anticamente come “Thovara”, col significato di terra buona. In questa località infatti, già nel Medioevo si producevano vini e olio, poi, a partire dalla seconda metà del ‘500, anche riso. L’antica borgata di Quargente, è citata come “Quarniente” già nell’Inventario dei beni della parrocchia di Toara dell’anno 1444. Secondo lo studioso Alberto Girardi, l’etimo si rifà al numero cardinale “quadraginta” che potrebbe alludere, come accade per altri toponimi propri di fondi rustici, al numero di iugeri, di cui questa località era formata. 35 Gorzon-Quargente: i due termini, secondo Leonilo Frison, si integrano; la forma Gorzon (Gordon) si riferisce a “Guara” , cioè gora (fossato) dalla quale deriva Gaur-d/zon. Il suffisso –te dà il nome a Quargente (Gaur-d-zon-te) che indica l’insediamento, la località sul Gorzon. Alture è il toponimo che contraddistingue la zona tra i corsi d’acqua Seonega, Fossa Nuova e Siron, ai confini con il Comune di Albettone. Si tratta di una vasta distesa di campi che, grazie alle bonifiche realizzate nel Cinquecento, vennero recuperati e resi fertili. Bagno di Villaga, di derivazione latina (da balneum), era riferito originariamente alla presenza di fonti, con abbeveratoi, lavacri, vasche per lavandaie. Anche Villaga aveva il suo bagno, lungo la via un tempo chiamata Scorzona. Nella prima metà del Novecento questo luogo pubblico si chiamava “Stabilimento Bagni di Villaga” e in esso confluivano coloro che venivano a fare il bagno in alcune vasche percorse dall’acqua calda sorgiva a 27-28 gradi di temperatura, anche d’inverno. Ora le piccole cabine sono chiuse e il lungo lavatoio esterno è in disuso, ma l’acqua calda continua a defluire tuttora. Il luogo, oggi completamente abbandonato, meriterebbe di essere recuperato e valorizzato. Nel Medioevo e sino all’Ottocento, tale località era denominata “Fontana Calda”. Siron è un vocabolo già presente nella lingua latina ed era usato particolarmente nel Medioevo (citato in documenti a partire dal XIII se- LA TOPONOMASTICA 10. I TOPONIMI DEI NOSTRI LUOGHI In questo paragrafo vengono presentati alcuni toponimi del territorio di Villaga tratti da vari documenti. In gran parte essi derivano da voci indicanti le proprietà del suolo, le condizioni geografiche, la vegetazione, i mestieri; alcuni provengono da nomi personali, altri, di etimo oscuro, richiederebbero studi più approfonditi. Parecchi nomi delle contrade e località di Villaga sono tipici di varie parti del territorio vicentino e spesso del Veneto in generale. Iniziamo col prendere in considerazione il nome del capoluogo, Villaga. Lo studioso Dante Olivieri, nella sua opera sulla toponomastica veneta 33 considera il nome Villaga (anticamente “Viraga”) come “nome locale derivato da nome di persona latino per mezzo di suffissi”; all’origine del toponimo vi sarebbe dunque la presenza, nella zona, probabilmente come proprietario terriero, di un tal Virius, colono romano, al quale forse si deve il formarsi del primo insediamento umano. Passiamo a Montegnago, nome originario di Belvedere, prima che tale località fosse così ribattezzata dai conti Barbarano che ivi costruirono il castello, poi trasformato in villa. Il toponimo deriva da Castrum Mottaniacus; Motta significa mucchio, altura, sopra la quale venne eretta una fortificazione. In seguito, ai suoi piedi, sorse il villaggio. Belvedere, così chiamato per la bella vista che si gode dal castello. Lo storico p. Francesco Barbarano de Mironi infatti scriveva che “così fu detto dalla bella vista che gode, perché essendo situato sopra un mediocre colle d’altezza per in mezzo d’una campagna, per una parte gode una vista interminata 31 M. G. Bulla Borga, I nobili Barbarano Mironi a Colloredo, Toara e Belvedere nel Cinquecento”, Flli Corradin editori, 2004, pag. 12 32 Ibidem, pag. 24 33 D. Olivieri, Toponomastica veneta, Firenze 1962, pag. 22 34 F. Barbarano Mironi, Storia ecclesiastica di Vicenza, libro 6, pag. 120 35 A. Girardi, L’evoluzione del paesaggio, in Barbarano Vicentino, a cura di E. Reato, E. Garon, A. Girardi, Amministrazione comunale di Barbarano, vol. primo, 1999, pag. 55 nota 47 36 37 CAPITOLO TERZO VILLAGA NELL’ETA’ FEUDALE colo) per indicare i canali di bonifica. Si tratta di un corso d’acqua (chiamato anche Ghebbo, cioè canale, del Sinan o Sirone) che nasce a Barbarano, poi scorre nei territori di Villaga e di Sossano. Albaria era il nome dell’antica strada che portava a Toara (ora via Villa). Deriva da “albarus”, albero riferito al pioppo; nei secoli scorsi infatti lo stradone di Toara era costeggiato da alte “albare”; molti ricordano ancora i platani che erano presenti lungo il ciglio della via, che vennero tagliati verso la fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Stradon è ancora oggi il nome con cui è chiamato il tratto di strada che dalla provinciale Berico-Euganea porta a Toara. Composto di “strada” più il suffisso accrescitivo –one, sta ad indicare un via di comunicazione importante che collegava la pianura alla parte collinare dove si trova Pozzolo e poi la Val Liona. Riveselle indica il sistema collinare che si protende da Toara verso Sossano; il toponimo, già presente nel tardo Medioevo, deriva dal latino “ripa-cella” , cioè piccole rive. Da secoli l’altura appartiene alla famiglia Barbarano-Conti-Piovene che vi coltiva pregiati vigneti. Paluselli è un toponimo già esistente nel Medioevo e riferito ad una estensione di campi tra lo stradone di Toara e le Riveselle. Derivato da palus “, palude, più il suffisso –ellus più l’infisso –c, da cui “palucello”, stava a significare piccole paludi. Si tratta quindi di terreni che vennero bonificati e resi coltivabili dai nobili Barbarano già nel Quattrocento. Roncasso era il nome di una località posta tra la Seonega e il Siron, nelle vicinanze di Alture, ai confini col Comune di Sossano. Il toponimo si riferisce ad un luogo ove il bosco è stato tagliato (dal latino “roncare” = tagliare, estirpare) e messo quindi a coltura. Il vocabolo ha origine nel periodo altomedioevale con la progressiva opera di disboscamento e successiva coltivazione dei terreni. Paradiso è il toponimo attestante la zona al di sotto del Monte Murlone (il Castellaro), che divide Villaga da Barbarano; ancora oggi è presente una torre colombara che in passato dipendeva dal vicino Castello e che serviva da avvistamento. Montesello è un toponimo estinto, che un tempo stava ad indicare una piccola altura sopra la quale in genere si trovava una fattoria o una fortificazione. E’ il caso della modesta collinetta posta lungo lo stradone di Toara, che già nell’Inventario dei beni della parrocchia di Toara, dell’anno 1444, era citata come “in ora Monteselli”, cioè in località Montesello; attorno ad essa si estendeva una vasta tenuta dapprima della famiglia Loschi, poi dei conti Barbarano. Palestina: erano così chiamate le pezze di terra a Quargente, alla confluenza tra il Gordon e la Seonega, attualmente di proprietà delle famiglie Canella e Fontana; il toponimo si spiega col fatto che tali appezzamenti, come la terra promessa degli Ebrei, sino alla fine dell’Ottocento di proprietà del Vescovado, furono a lungo desiderate dalle famiglie del luogo, fino a quando riuscirono nel tempo a riscattarle e a entrarne in possesso. Tanto i paesi di Villaga come quelli di Toara, Belvedere e Pozzolo in passato si presentavano suddivisi in varie vie e contrade, ognuna delle quali aveva un suo nome specifico, a volte desunto da qualche particolare caratteristica del luogo. Dalle vecchie carte topografiche dell’Archivio comunale di Villaga, abbiamo desunto i nomi delle strade comunali (talvolta stravaganti e folcloristici) che ancora oggi sono registrati nella toponomastica di Villaga. Strade che esistono oramai solo sulla carta perché la maggior parte di esse si sono ridotte a semplici cavezagne o “strozi” e di qualcuna si sono perse le tracce. Ecco i nomi di queste strade: Balduina, Bondine, Braggia, Ca’Vecchia, Castagnare, Cerati, Mottoli, dei Mucchi, dei Munari, dei Socchi, dei Terragli, dei Zampogni, del Bosco Montan, del Braio, del Capitello, del Cappelletto, del Carpano, del Cason, del Cereo, del Cimo, del Monte Crò, del Monte Riveselle, del Monte Tondo, del Paradiso, dei Pascoloni, del Prà Rosso, del Troson, della Bocca d’Orno, della Ca’ Larga, della Costa, della Fontana Calda, della Vagina, delle Ca’Vecchie, delle Celle, delle Coste, delle Falde, delle Gualive, delle Laste, delle Oche, delle Riveselle, delle Sabbionare, delle Sengielle, delle Tarche, del Corio, di Costa Brogia, di Pagnaga, delle Marchiorette. Ma se andiamo molto più indietro nel tempo e risaliamo agli Inventari dei beni immobili delle parrocchie di Villaga e di Toara, redatti rispettivamente nel 1492 e nel 1444, scopriamo molti altri nomi di contrade, a volte ancora in latino, che da tempo sono totalmente scomparsi o si sono modificati con passare dei secoli. Probabilmente non tutte sono da considerarsi contrade come le intendiamo noi adesso, cioè degli agglomerati di case. Molti nomi sembrano più delle indicazioni di appezzamenti di terreni o semplici toponimi. Ne riportiamo i nomi: Ca’ Benettella, Campazzi, Frascà, Cesura barbarana, Cesuron (Crosaron), Fransegolaro, Fornasigle (Fornasette), delle Imole, Costa Nogara, Val Longa, Mortarello, Piazzola, Piscina, Crosarola, Campagnola, Vignola, della Savonega (Seonega), Castelpino, Runca (Ronca), Fratte, Cavaione, Croseta, Roncho Dugo, Pezza Mala, Nosedo (Noseo), Fogomorto (ora via Berico-Euganea), 38 39 11. LE ANTICHE CONTRADE CAPITOLO TERZO Pianchi, Persegarola, Nizzon, Casalfardo, Bassega, Lovaria, Naviglio, del Barco, Pontis Bononie (Ponte Bologna), Pulverara (Spolverare), Fontanella, Triboli, Fontana Salgarii (Fontana del Salgan), Pedegambaro, Coleti, Grumolo, Paluselli, Zocatelle, Montexelli (Montesello), Monete, Paltana, Fesesela, Manerbe. Quest’ultimo toponimo, citato per la prima volta nel 1245 nel Libro dei Feudi, secondo lo studioso Pellegrini deriva dalla dea pagana Minerva e potrebbe essere stato legato all’esistenza di un tempietto dedicato a quella divinità. 36 Villaga: gli edifici medioevali di casa Rasia-Dani e di Villa Palma Bedeschi, sede dell’antica Mason dei Templari e dei Cavalieri di Malta. 36 A. Girardi, L’evoluzione del paesaggio, pag. 53, nota 44 40 CAPITOLO QUARTO GLI ORDINI CAVALLERESCHI A VILLAGA Una pagina importante della storia di Villaga spetta agli ordini cavallereschi che lasciarono evidenti testimonianze della loro presenza nel nostro territorio. Grazie a qualificate fonti archivistiche è stato possibile ricostruire le vicende di alcuni di questi ordini: i Templari, i Cavalieri di Malta e del Santo Sepolcro che, a partire dal secolo XII subentrarono progressivamente ai Benedettini nella custodia dei vari ospizi esistenti nel Basso Vicentino. Ma prima di addentrarci nella descrizione delle strutture assistenziali di quel periodo, appare doveroso soffermarsi sull’evoluzione della forma più conosciuta dell’ospitalità medioevale per forestieri, cioè quella benefico-cristiana istituzionalizzata dalla Chiesa e praticata in xenodochia, monasteri e ospizi.1 L’ospitalità dei cristiani si attuò in forme private nei secoli della persecuzione, poi in quelli successivi essi cominciarono a costruire luoghi di accoglienza chiamati “Xenodochia” (dal greco Xenos, “straniero”) per i pellegrini, ma anche per poveri, vecchi, orfani e malati, offrendo loro vitto e alloggio gratuito per qualche giorno. In molti casi gli xenodochia sorgevano dentro o affiancati agli edifici delle sedi vescovili o dei monasteri o lungo le strade di grande comunicazione. La loro diffusione fu determinata in parte anche dall’affermarsi delle regole monastiche orientali di Pacomio e Basilio miranti a promuovere l’ospitalità mettendo in pratica l’idea fondamentale dell’amore per il prossimo che trovava la sua realizzazione proprio nell’assistenza ospitale.2 Nell’VIII e IX secolo, per effetto dei nuovi movimenti religiosi, dell’intensificarsi dei pellegrinaggi a Roma e dell’integrazione dei Longobardi nel regno dei Franchi, vennero fondati parecchi nuovi xenodochia nell’Italia longobarda. In quel periodo la definizione di “xenodochium”, mutuata dalla tarda antichità, fu affiancata sempre più frequentemente da quelle di “hospitale”e “hospitium”. Se in un primo momento xenodochium sembrava più indicare il ricovero per forestieri, mentre hospitale quello per poveri, i due termini divennero presto intercambiabili, finchè il vocabolo di derivazione latina soppiantò quello di 1 H.C. Peyer, Viaggiare nel Medioevo, Editori Laterza, 2005, pag. 125 2 H.C. Peyer, Viaggiare nel Medioevo, pag. 126 41 CAPITOLO QUARTO GLI ORDINI CAVALLERESCHI A VILLAGA origine greca. Così, nella maggior parte dei monasteri si affermò successivamente la distinzione tra hospitale hospitum o nobilium per gli ospiti aristocratici a cavallo, e hospitale pauperum per i poveri e gli ospiti a piedi.3 Negli ospizi benedettini vigeva la regola di S. Benedetto risalente al VI secolo, che prevedeva tutta una serie di norme da seguire per l’ospitalità. In particolare prescriveva l’offerta di un pasto caldo, di solito una minestra di legumi e ortaggi, pane, vino e a volte qualche frutto, e infine un letto, che poteva essere anche condiviso con altri ospiti nei momenti di affollamento.4 Quanto ai pellegrini ammalati, i Benedettini si attenevano alle stesse prescrizioni stabilite per i confratelli infermi; il regolamento teneva conto delle loro condizioni, indicando persino il tipo di locale dove tenerli e il cibo da consumare.5 Negli antichi xenodochia era previsto un grande dormitorio con più letti, sorvegliato notte e giorno dai monaci che chiudevano la porta e nascondevano la chiave perché nessuno potesse lasciare il locale a loro insaputa: una previdente misura, dal momento che i ladri e persino gli assassini, che a decine si travestivano da viandanti sulle vie di pellegrinaggio, spesso approfittavano del sonno degli incauti pellegrini per compiere le loro nefandezze. L’ospitalità, totalmente gratuita, era garantita al massimo per tre giorni, dopo di che gli ospiti erano tenuti ad andarsene oppure a collaborare attivamente alle faccende del monastero: un modo utile ad alleviare l’onere non disprezzabile che gravava sull’economia del convento per ogni persona alloggiata.6 Riprendendo il nostro excursus storico, vi è da osservare che tra il IX e il XII secolo si assistette ad una rinascita dell’ospitalità ecclesiastica con un’ondata di nuove fondazioni localizzate in un primo momento lungo le grandi vie di pellegrinaggio e commerciali dirette a Roma o in Terrasanta, ed estese in seguito a tutta l’Europa occidentale, fino al nuovo declino del XIII secolo. Questa fortuna coincise con l’epoca delle Crociate, dei viaggi commerciali e dei pellegrinaggi, dell’aumento generale della mobilità dei popoli europei.7 Le prime esperienze assistenziali nel territorio vicentino, analizzate dallo studioso Reato, si sviluppano del secondo millennio come iniziative di persone singole, di comunità o di confraternite religiose o corporazioni professionali. A Vicenza, fin dal XII secolo si assiste al moltiplicarsi di fedeli legati alla regola benedettina in qualità di conversi o fratelli laici addetti all’assistenza dei poveri e dei pellegrini; essi vivevano in piccole comunità come “fratres o sorores” o anche come fratres et conversi.8 Da queste originali esperienze caritatevoli nacquero i primi ospedali, che, osserva Reato, non si possono certo paragonare agli ospedali moderni; quelli erano poco più di un ostello dove i bisognosi potevano ricevere per qualche giorno solo le cure più elementari, compatibili con la scienza medica del tempo.9 1. GLI ORDINI RELIGIOSO-CAVALLERESCHI NEL BASSO VICENTINO Nel Vicentino si svilupparono, a partire dal secolo X numerosi insediamenti monastici benedettini. Lungo la via della Riviera Berica i Benedettini eressero attrezzati ospizi, situati in genere nei pressi di preesistenti “mansiones”(luoghi di sosta e ristoro) romane, costituite lungo strade di comunicazione di una certa importanza. Nel nostro territorio, in particolare, si stanziarono a Barbarano erigendo il Priorato di S. Martino, la chiesa di S. Giovanni in Monte e quella di S. Caterina, nei pressi del Castello; quella di S. Remigio a Ponte di Barbarano. A Villaga abbiamo la presenza benedettina a S. Donato (a quel tempo, e fino alla metà del secolo XVI, appartenente alla Curtis di Barbarano) dove nel 1283 sorse un’abbazia retta da una comunità religiosa femminile che seguiva la regola del monachesimo albo patavino.10 Ai numerosi priorati benedettini subentrarono progressivamente, nel corso del secolo XIII, gli ordini religiosocavallereschi, primo fra tutti nel Basso Vicentino quello dei Templari 11, che vantano una presenza significativa a Barbarano dove possedevano molti beni. L’Ordine del Tempio cercò infatti di stabilirsi lungo le grandi vie di comunicazione della nostra regione; strade percorse da viandanti e da pellegrini che si recavano a Roma, ma anche da coloro che erano diretti a Venezia allo scopo di imbarcarsi per Gerusalemme. Come ha già evidenziato lo studioso Giovanni Mantese 12, il territorio a sud di 3 Ibidem, pag. 130 4 M.C. Fuentes, La cucina dei pellegrini, Edizioni Paoline, pag. 184 5 Ibidem, pag. 184 6 Ibidem, pag. 185 7 H.C. Peyer, Viaggiare nel Medioevo, pag. 135 8 E. Reato, Carità e assistenza in sette secoli di storia vicentina, in “La carità a Vicenza, i luoghi e le immagini”, Marsilio, 2002, pag. 3 9 Ibidem, pag. 3 10 Vedasi in proposito l’interessante e ben documentato saggio di Maria Grazia Bulla: “Monachesimo Albo Patavino in S. Donato di Barbarano-Villaga 1283”, edito nel 2006 dai f.lli Corradin. Su S. Donato ricordiamo anche il libro di G. Cichellero, M.P. Procacci, S. Carrettoni, L’eremo di San Donato a Villaga, Noventa Vicentina, Giovani Editori, 1988; inoltre: E. Gleria, L’antico insediamento monastico di San Donato del Covolo, in Pozzolo di Villaga, ambiente, storia e tradizioni di un paese dei Colli Berici, a cura di G. Negretto e F. Dalla Libera, pubblicato nel 2003 dalla Parrocchia di Santa Lucia. 11 I Cavalieri dell’Ordine del Tempio, o Templari, furono un ordine monastico ospedaliero-militare. Sorsero nel 1119, all’inizio come congregazione con regola di Sant’Agostino, per iniziativa di Ugo di Payns che riunì a Gerusalemme, da poco conquistata dai Crociati, un piccolo numero di adepti che si proponevano la difesa in armi dei luoghi santi di Palestina e dei pellegrini che vi affluivano da tutta l’Europa cristiana. Ottenuto il riconoscimento dal re cristiano di Gerusalemme Baldovino, l’Ordine Templare divenne ben presto ricco e potente, diffondendosi in tutta Europa e costituendo una rete capillare di stazioni di assistenza dette “mansioni” (o magioni) lungo le principali e più frequentate vie di comunicazione. Anche nel Veneto esso conobbe una rilevante presenza: Venezia rappresentava infatti, nei secoli XII e XIII, il principale scalo per la Terrasanta ove convenivano i pellegrini del Nord Europa e dell’Italia settentrionale. Numerosi furono gli insediamenti templari presenti nel Vicentino, nel Veronese, nel Padovano e nel Trevigiano. L’Ordine venne poi soppresso da Papa Clemente V nel 1314, indotto a questo grave provvedimento dalle accuse di eresia e di trame esoteriche mosse ai Templari dal re di Francia Filippo il Bello. I beni dell’Ordine vennero confiscati e il patrimonio morale e materiale dei Templari passò ai Giovanniti (Ordine ospedaliero di S. Giovanni). 12 G. Mantese, Memorie storiche della chiesa vicentina, vol.III, Istituto S. Gaetano Vicenza, 1958, pag. 326. 42 43 GLI ORDINI CAVALLERESCHI A VILLAGA Vicenza, e in particolare la Riviera Berica, costituiva una tappa importante di passaggio; pertanto sorsero numerosi luoghi di raccolta e soccorso aperti anche ai poveri, agli indigenti e ai malati. Ancora oggi si possono rinvenire nella nostra area alcune di queste istituzioni: la Mason di Montebello, la Commenda di San Giovanni di Longara, la Commenda di San Silvestro a Villaga, la Mason di Sajanega di Sossano; sono invece scomparsi i priorati di S. Giustina e del Santo Sepolcro di Sossano 13 e la Domus hospitalis di Barbarano. 2. LA COMMENDA DI SAN SILVESTRO DI VILLAGA La Commenda di San Silvestro vista dalla strada comunale. Il complesso della Commenda di San Slvestro vista dall’alto. 44 Sopra l’abitato di Villaga sorge la Commenda di S. Silvestro, oggi villa PalmaBedeschi, che, secondo la tradizione, nel secolo XIII venne fondata dai Templari. Ma non tutti gli storici sono concordi nel sostenere questa tesi. Lo studioso Lorenzo Tacchella, infatti, asserisce che l’origine dell’ospizio di Villaga si deve invece agli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, più noti come Giovanniti. 14 A fare chiarezza sulla fondazione di S. Silvestro è un documento del 1274, tratto dai“Libri feudorum”(Libri dei feudi, cioè indicanti le infeudazioni del vescovo di Vicenza nel territorio vicentino), nel quale vengono citati i cavalieri della Milizia del Tempio (Templari) presenti nella Domus di Villaga.15 Più tardi, dopo il 1312, anno in cui fu soppresso l’ordine dei Templari da papa Clemente V, l’ospizio-ospedale di S. Silvestro passò sotto il controllo dei 13 Un’interessante singolarità spetta a queste due strutture assistenziali presenti un tempo a Sossano: l’essere gli unici due insediamenti dell’Ordine del Santo Sepolcro riscontrati nel Veneto e documentati a partire dal secolo XIII. 14 L. Tacchella, Il Sovrano Militare Ordine di Malta nella storia di Vicenza, Padova,Verona e Brescia, estratto da Studi storici veronesi Luigi Simeoni, 1968-69, pag. 6 n. 3. Quest’Ordine, detto anche Ospitaliero di S. Giovanni di Gerusalemme, di Rodi, di Malta, è tra i più insigni e gloriosi della cristianità. E’ il più antico ordine cavalleresco oggi esistente nel mondo e vanta una storia di quasi 900 anni. Esso fu istituito ufficialmente nel 1113 e approvato dal Pontefice Pasquale II che lo pose, primo fra gli ordini, sotto la protezione della Santa Sede. I suoi aderenti facevano voto di castità, povertà e obbedienza, vestivano un saio e un mantello nero, su cui, più tardi, venne apposta una croce bianca ad otto punte, le quali stavano a simboleggiare le otto beatitudini, indicate da Cristo. Nel 1126 l’ordine ampliò le sue finalità accogliendo, oltre alla dimensione caritatevole-assistenziale, anche l’ideale religioso-militare, poiché ebbe il compito di difendere il Regno Latino di Gerusalemme e proteggere i pellegrini nel loro avventuroso viaggio verso la Terrasanta. Verso il 1310, i Cavalieri di S. Giovanni occuparono militarmente Rodi e vi si stabilirono; pertanto presero anche il nome dell’isola. Più tardi, nel 1522 i Cavalieri di Rodi non riuscirono a respingere l’armata di Solimano II; pertanto, dopo 212 anni furono costretti a lasciare l’isola. Otto anni dopo, nel 1530, l’imperatore Carlo V cedette alla Sovranità Gerosolimitana l’isola di Malta, nella quale l’Ordine vi si stabilì e la mantenne fino al 1789. Da quel tempo i gerosolimitani vennero conosciuti sotto il nome di Cavalieri di Malta. In seguito, nel 1798, il generale Napoleone Bonaparte tolse l’isola ai Cavalieri e confiscò i loro beni. La sede dell’ordine, dopo alterne vicende, venne trasferita a Roma, dove attualmente si trova il Gran Magistero, sotto la diretta protezione dei Pontefici. Lo Stato italiano, in base ad una convenzione, ne ha riconosciuto la sovranità. A Roma, quindi, esiste un secondo piccolo Stato, dopo il Vaticano: quello appunto dei Cavalieri di Malta. L’Ordine ha sedi proprie, con diritto di extraterritorialità, rilascia ai Cavalieri un passaporto, riconosciuto internazionalmente, ha una bandiera e un inno proprio. Queste notizie sono state desunte dal libro di Mario Visentin: La funzione storica, sociale, religiosa della cavalleria e la perenne vitalità dei suoi ideali, Centro di studi storici Cologna Veneta, 1981. 15 Il documento in questione, conservato presso l’archivio della Curia vescovile di Vicenza, viene richiamato dalla prof. Bulla Borga nel volume “Monachesimo Albo patavino in San Donato di Barbarano-Villaga, a pag. 23. 45 GLI ORDINI CAVALLERESCHI A VILLAGA Cavalieri di S. Giovanni, poi di Malta, che lo mantennero fino al 1864, anno in cui entrò in possesso della famiglia Chemin. Col tempo la casa giovannita perse la sua funzione assistenziale per divenire una risorsa territoriale che forniva fondi, i quali, con le offerte dei fedeli, contribuivano a sostenere (assieme al contributo di tante altre Commende) l’armata di S. Giovanni e l’organizzazione di frequenti spedizioni contro i Turchi.16 La Commenda di S. Silvestro, a partire dal XIV secolo, venne governata da un cavaliere Commendatore o Precettore, che gestiva i suoi beni (case e terreni). Essa era autonoma nelle sue funzioni e, con un certo numero di altre, formava un Baliaggio, retto da un Balì. Un gruppo di Balì, poi, di norma, dava vita, a seconda dell’importanza, ad un Priorato o Gran Priorato.17 La Commenda di Villaga, assieme a quella di Longara, faceva parte del Gran Priorato di Lombardia e Venezia. Alla metà di 1400, le precettorie di S. Giovanni di Longara e di Villaga erano rette da Pietro Morosin. Alla sua morte, nel 1466, vennero conferite al veneziano Lodovico di Pietro Marcello.18 Dal Mantese poi apprendiamo che S. Silvestro nel 1490 aveva ancora la “domus”(casa) con le relative proprietà terriere ed era governata dal cavaliere commendatore Bartolomeo Barozzi.19 Le sue proprietà non comprendevano solo le pertinenze di Villaga ma si estendevano anche a Sajanega, in territorio sossanese, dove era presente la Mason appartenuta dapprima ai Templari e passata poi ai Cavalieri di Malta e dipendente successivamente dalla Commenda di S. Silvestro. Nel secolo seguente, in un documento del 1586, un certo frate Leonida dei Loschi investiva della Commenda, attraverso un antico e curioso cerimoniale, Nicola del Benino 20, il quale ne rimase commendatore fino al 1594, quando la affittò a“messer Martino quondam Iseppo Salvadio” con tutti i diritti ad essa legati 21 . In seguito, un altro commendatore, il cavalier fra Giovan Battista Covalle, il 3 novembre 1626 affittò “la suddetta Commenda con tutte le sue entrate conforme agli statuti della Sacra religione Gerosolimitana al molto illustre signor commendatore frà Giulio Palio commendatore di Polla e di Gradisca”.22 In data 1666 esiste un estimo dei beni della Commenda di S. Silvestro, governata dal commendatore frà Mario Verdelli. 23 Da un altro estimo generale del Lo stemma dell’Ordine dei Cavalieri Templari. Lo stemma dipinto dell’Ordine dei Cavalieri di Malta raffigurato nella parete rivolta verso il giardino. 46 16 M. Visentin, La funzione storica, sociale, religiosa della Cavalleria e la perenne vitalità dei suoi ideali, pag. 130. 17 Ibidem. 18 R. Dal Lago – M.N. Simeone, Barbarano nell’età feudale, in Barbarano Vicentino, pag. 292. 19 G. Mantese, Lo storico vicentino P. Francesco da Barbarano, in Odeo Olimpico IX – X, pagg. 51 – 52. 20 R. Dal Lago. M. N. Simeone, Barbarano nell’età feudale, pag. 292. 21 Ibidem (si fa riferimento a un atto del notaio Caltran Caltrani, b. 8936, conservato in Archivio di Stato di Vicenza). 22 Ibidem (altro riferimento ad un atto notarile rogato da Francesco Frescurato, b. 1435, in Archivio di Stato di Vicenza). 23 L. Tacchella, il Sovrano Militare Ordine di Malta, pag. 48. 47 CAPITOLO QUARTO GLI ORDINI CAVALLERESCHI A VILLAGA Comune di Villaga, del 1665 24 risulta che la Commenda possedeva a Villaga: campi 9 arativi, boschivi, piantà con casa; campi 1 arativo detto il campo del Zaffran; campi sette arativi, boschivi, zappativi con casa Commenda di S. Silvestro; campi uno di S. Silvestro; campi tredici a Fogomorto; campi tre in Roncasso; campi cinque in contrà di Pezzamala; campi 3 e due quartieri in contrà di Ronca; campi due in contrà di Crosarola; campi sei in contrà de Roche; campi otto in contrà di Fontana Calda. A Toara: un campo in contrà della Piazza; campi due in contrà del Saltarello; campi trenta arativi e parte prativi in contrà di S. Pietro; campi due in contrà di Campagnola; campi quattro in contrà della Pezza Grande; campi tre in contrà della Vignola; campi uno in contrà del Cengio; campi due in contrà della Paltana. A Belvedere; campi due in contrà del Casamento. Inoltre la Commenda riscuoteva numerosissimi livelli non solo nel Comune di Villaga, ma anche a Barbarano, Mossano, Orgiano, Campiglia, Noventa, Albettone, Asigliano. Agli inizi del XVIII secolo era commendatore di S. Silvestro frà Gio Battista Spinola, conte di Ronco di Genova e marchese di Roccaforte. 25 Apprendiamo poi da un atto rogato dal notaio Gottardo, conservato nell’Archivio di Stato di Vicenza (busta 3005) che Andrea Giacomuzzo, affittuale della Commenda – allora governata dal nobile frà Giobatta Dotto dei Paoli – faceva presente la necessità di intervenire nella Commenda che era bisognosa di restauri, così come la chiesa di S. Silvestro (il tetto del sacro edificio era lesionato); dichiarava anche che “le mura che serano la corte minacciano rovina e vi è bisogno di farvi fare subito un barbacane di piedi quattro sopra terra, mancando delli portoni laterali alla strada pubblica”. Nel 1726 iniziò una lotta processuale tra le contesse Godi e il commendatore di S. Silvestro frà Giovanni Battista Dotto dei Dauli. I motivi di tale dissidio riguardarono i diritti che entrambe le parti rivendicavano sul bosco di “Nosedo” (Noseo). La disputa si protrasse fino al 2 settembre 1729, quando il giudice si espresse definitivamente a favore delle nobili Godi. 26 Nel frattempo la Commenda era stata aggregata a quella di S. Giovanni di Rovigo. Poi, nel 1772, venne nuovamente smembrata e unita (dal punto di vista amministrativo) a quella di S. Giovanni di Longara, su disposizione del Gran maestro fr. Emanuele Pinto. 27 Nel secolo successivo, e precisamente nell’anno 1864, la Commenda, con i suoi beni, venne acquistata dalla famiglia Chemin, poi passò ai Palma e infine alla famiglia Bedeschi, attuale proprietaria. Gli ordini religioso-cavallereschi disponevano di chiese e di cappelle riservate a loro uso. Nelle commende templari e ospedaliere – osserva il Demurger, uno tra i massimi studiosi del fenomeno – la chiesetta è un modesto edificio rettangolare, a navata unica e tre campate, a terminazione rettilinea o absidata. Questo modello è frutto di una deliberata volontà di semplicità e di sobrietà, propria degli ordini influenzati dallo spirito cistercense e più preoccupati di investire negli ospizi-ospedali che nelle chiese.28 Probabilmente anche la cappella di S. Silvestro di Villaga, situata poco lontano dalla Commenda e quindi autonoma, obbediva a queste caratteristiche. Essa era destinata ai bisogni spirituali dei membri dell’ordine e vi officiavano dei frati cappellani. La chiesa viene citata in un documento del 1492 dove si dice che venne fondata in località S. Silvestro, nei pressi di una fontana: “in ora Sancti Silvestri et fontanae apud ecclesiam Sancti Silvestri, apud viam Communis, apud fontanam et gaibum fontanae” 29 (in località di S. Silvestro e della fontana, presso la chiesa di S. Silvestro, presso la Via Comune, presso la fontana e il canale della fontana). Per avere ulteriori notizie della cappella di S. Silvestro dobbiamo attendere l’anno 1664, quando in uno scritto, il curato della parrocchia di Villaga Vincenzo Commi, monaco olivetano, precisa che il commendatore Verdelli ha affittato ad Anzolo Pelizari, per il prezzo di ducati centonovanta, la terra in collina del Monte di Noseo denominata “Teolenda”, su cui sorge la chiesa della Commenda di S. Silvestro; inoltre il curato aggiunge che lui stesso officia la chiesetta con due messe settimanali ricevendo d’elemosina ducati venti all’anno.30 Più di un secolo dopo, nel 1780 il parroco don Giacomo Marconi scrive che nella chiesa di S. Silvestro, “posta al monte 20 pertiche circa discosto dalla parrocchiale, si celebrano messe tre in settimana ed è della Commenda di Malta… Marco Antonio Trenti Padovano ne è il commendatore”.31 Dieci anni dopo, nel 1790 veniamo a sapere che don Domenico Rossetti celebra la messa alla Cappellania di S. Silvestro.32 Nel 1820, in occasione della visita pastorale a Villaga del vescovo Giovanni Maria Peruzzi, il parroco don Antonio Brocardo nella sua relazione puntualizza che la chiesa di S. Silvestro è passata in proprietà del Demanio.33 Era perciò iniziata la parabola discendente di questa chiesa che alcuni anni dopo, nel 1829 risultava sospesa, così come il sottostante oratorio della Beata Vergine Maria (della Neve).34 24 Arch. Stato Vicenza, Estimo Barbarano e le ville del suo vicariato 1665, Polizze, b.329. 25 L. Tacchella, Il Sovrano Militare Ordine di Malta, pag. 49. 26 R. Dal Lago – M.N. Simeone, Barbarano nel periodo veneziano, in Barbarano Vicentino, pagg. 521-522. 27 L. Tacchella, Il Sovrano Militare Ordine di Malta, pag. 49 28 A. Demurger, I cavalieri di Cristo, Collezione storica Garzanti, pagg. 194-195. 29 Arch. Parr. Villaga, Inventario dei beni mobili e immobili della Chiesa di S. Michele di Villaga, anno 1492. 30 Arch. Curia Vescovile Vicenza, Stato delle Chiese, b. 330, f. 92 31 Arch. Curia Vescovile Vicenza Stato delle Chiese, b. 330, foglio sciolto 32 Arch. Curia Vicenza. Stato delle chiese, b. 330, foglio sciolto 33 G. Mantese– E. Reato, La visita pastorale di Giuseppe Maria Peruzzi nella Diocesi di Vicenza, Roma 1972, Ed. Storia e Letteratura, pag. 189 34 Arch. Curia Vicenza, Stato delle Chiese, b. 330, foglio sciolto 48 La chiesa di San Silvestro 49 Località Grumolo, al di sotto della Cà Larga, luogo dove presumibilmente si trovava l’antica Domus di San Giovanni. Nella successiva visita pastorale compiuta nel 1871 dal vescovo mons. Giovanni Antonio Farina, della chiesetta di S. Silvestro non si fa più menzione; ciò sta a significare che la chiesa nel frattempo era caduta in abbandono ed era stata sconsacrata. Fu poi ridotta in abitazione, quindi demolita per far posto ad una moderna villetta. 4. LA DOMUS HOSPITALIS DI BARBARANO A TOARA? Sulla “Domus hospitalis” di Barbarano molto è stato scritto, ma la questione rimane ancora aperta per le posizioni diverse espresse da vari studiosi. Cominciamo dal Mantese, il quale sostiene che a Barbarano i Templari avevano un ospedale, come risulterebbe anche dalle Rationes Decimarum”dell’anno 1297, conservate nell’archivio Vaticano, in cui appare elencata la “domus hospitalis” di Barbarano.35 Egli fa corrispondere tale ospedale alla vecchia chiesa parrocchiale di S. Giovanni in Monte (dagli anni Cinquanta del secolo scorso appartiene al Demanio militare che vi ha insediato una importante stazione del 32° Reggimento trasmissioni). La tesi del Mantese però non viene confermata dagli studiosi Dal Lago e 35 G. Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, vol. III, pag 328. 50 Simeone36 che sottolineano la mancanza di documenti a sostegno di questa ipotesi: Essi, invece, sono più propensi a credere che tale ospedale dei Templari possa essere identificato con quello di S. Silvestro di Villaga; ma avanzano anche un’altra possibilità, vale a dire che poteva trattarsi semplicemente di uno dei tanti ospedali dove trovavano accoglienza i pellegrini o gli infermi, tenuto da un ordine religioso diverso da quello dei Templari e il riferimento è all’ospedale di S. Caterina, posto nei pressi del Castello di Barbarano, sul versante verso Villaga, dove sorgeva anche la chiesa, ed è documentato già a partire dalla fine del XIII secolo.37 Su questa “Domus” hanno preso posizione anche Caruso e Pezzella, 38 esperti di studi di ordini religioso-cavallereschi, osservando che tale ospedale “è stato impropriamente attribuito ai Templari, perchè se le decime del 1297 possono essere abbastanza generiche con la dizione “domus hospitalis de Barbarano”, il fatto che nel sopraccitato documento vi fosse una riunione dei Giovanniti, tra cui il precettore di Barbarano, toglie ogni dubbio – sostengono – sull’appartenenza della domus all’ospedale” che viene quindi attribuito all’Ordine dei Cavalieri Giovanniti, poi di Malta. D’accordo con questa tesi è pure Antonio Diano, il quale puntualizza che la Domus di Barbarano fu giovannita, non templare, ed è insediamento da individuare come sito ai margini dell’abitato, benché ancora sussista qualche ragguardevole problema di identificazione precisa.39 Ma l’argomentazione più incisiva e documentata, anche se più discussa, rimane quella di Lorenzo Tacchella, il quale scrive che “l’ausilio di uno studioso e competente cultore di storia locale, Antonio Verlato, gli ha consentito di poter stabilire che la chiesa e l’ospedale templare e poi giovannita di S. Giovanni di Barbarano erano fondati in località Grumolo, fra Toara e Villaga (nei pressi della località Cà Larga, vicino al “Crosaron”), attualmente nella giurisdizione parrocchiale di Toara, allora pievania di Barbarano.40 A confermarlo è una mappa del 1776 conservata in Archivio di Stato di Vicenza, disegnata da Andrea Sciotto, pubblico perito a Padova, in cui appare la chiesa di S. Giovanni collocata sulle colline sopra Toara, con accanto la didascalia: “vestigge dell’antica chiesa della Comenda”.41 Altri riferimenti che potrebbero portare ulteriori elementi a favore di questa tesi li ritroviamo in due importanti documenti conservati negli archivi delle chiese parrocchiali di Villaga e di Toara. Si tratta degli inventari dei beni mobili e immobili della chiesa di Villaga, redatto nell’anno 1492, e della chiesa di 36 R. Dal Lago – M.N.Simeone, Barbarano nell’età feudale, pag. 291 37 Dal Lago – Simeone, Barbarano nell’età feudale, pag. 291 38 M. Caruso – N. Pezzella, Templari, Giovanniti e Cavalieri del Santo Sepolcro in territorio vicentino, ed. Penne e Papiri, Latina 1997, pag. 10 39 A. Viano, Architettura ecclesiastica medioevale nell’area dei Colli Berici, in fascicolo dal titolo: “Tredicesimo incontro in ricordo di Michelangelo Muraro”, 15 maggio 2004, Comune di Sossano, Centro studi Berici, pag. 23 40 L. Tacchella, Il Sovrano Militare Ordine di Malta nella storia di Vicenza, Padova,Verona e Brescia, estratto da Studi storici veronesi Luigi Simeone, 1968-69, pag. 45 41 Arch. Stato Vicenza, Cart. Corporazioni religiose soppresse, n. 3072 51 Toara, risalente all’anno 1444. Nel primo inventario sono più volte citati i diritti della chiesa di S. Giovanni: “…poi una pezza di terra arativa e zappativi che può essere di circa un campo nelle pertinenze di Villaga, in località di Moti, presso la via Comune, presso i diritti di S. Giovanni”, e ancora:“…presso i diritti della Mansione per due parti presso Marco Antonio, presso la fontana dello scaranto, la cui proprietà è di S. Giovanni”; inoltre: “…presso la via Comune, presso i diritti della Santa Chiesa di S: Giovanni di Barbarano e presso i diritti di S. Giorgio di Toara”.42 Nell’inventario di Toara si legge: “Primo una pezza di terra arativa e piantata a viti e alberi, circa tre campi in dette pertinenze all’inizio del paese, vicino alla via del Comune, vicino Gabriele dei Traversi, presso i diritti di S. Giovanni di Barbarano”; “una pezza di terra arativa e piantata di circa un campo nella contrada di Pranchis, presso la via Comune, presso i diritti di S. Giovanni di Barbarano, presso i diritti di S. Michele di Villaga”; “…poi una pezza di terra arativa di circa mezzo campo nella citata contrada vicino a Lorenzo Leonardi, vicino agli eredi del signor Antonio de Loschi, presso i diritti di S. Giovanni”; “…poi una pezza di terra arativa e piantata di circa sette campi in dette pertinenze in contrada Croce, presso la via Comune, presso la via Consortiva, presso i diritti di S. Giovanni di Barbarano”; “poi un sedime di circa un campo nel paese di Toara, presso la via Comune, presso i diritti di S. Giovanni”; “…poi una pezza di terra arativa e piantata di circa mezzo campo in detta contrada (Molete) presso i diritti di S. Giovanni”.43 Tacchella poi scrive che “entrambe le chiese, l’antica di S. Giovanni e quella di S. Silvestro, posteriore e pur antica anch’essa, erano fondate nel territorio giurisdizionale dell’antica mansione di S. Giovanni di Barbarano” 44 e aggiunge che, dopo la soppressione dei Templari, la residenza del precettore giovannita venne trasferita nella Commenda di S. Silvestro, “sempre in territorio giurisdizionale dell’antica mansione”.45 Inoltre precisa che il nome dell’antica chiesa di S. Giovanni rimarrà legato al titolo della Mansione e della Commenda fino al secolo XVII; successivamente sarà sostituito con quello di S. Silvestro. Tacchella, infine, cita un documento dell’anno 1558 45 concernente le mansioni che versano tributi al clero di Vicenza: tra le varie è riportato “S. Giovanni Gerosolimitano di Villaga” e non di Barbarano; ciò è spiegabile col fatto che attorno alla metà del Cinquecento il territorio collinare situato tra Villaga, Toara e Pozzolo passò sotto la parrocchia di Villaga, tanto è vero che anche S. Donato, a quel tempo, non era più appartenente alla giurisdizione di Barbarano ma dipendeva da Villaga. 42 Arch. Parr. Villaga, Inventario dei beni mobili e immobili appartenenti alla chiesa di San Michele di Villaga, copia manoscritta del 1795 redatta da Antonio Todeschini. 43 Arch. Parr. Toara, Inventario di tutti i beni mobili e immobili spettanti alla chiesa di S. Giorgio di Toara, Copia manoscritta del 1702 44 L. Tacchella, Il Sovrano Militare Ordine di Malta…, pag. 47. 45 Ibidem, pag. 48 45 Tale documento è conservato in Arch. Stato Vicenza, Corporazioni religiose soppresse, B. 3079. 52 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO 1. SOTTO LA SERENISSIMA REPUBBLICA DI VENEZIA La svolta determinante per la storia del nostro territorio avviene nel 1404 con la sottomissione di Vicenza alla Serenissima Repubblica di Venezia. Incominciano allora a giungere anche nei nostri paesi numerosi nobili veneziani con incarichi militari o amministrativi, in qualità di podestà o di rettori. 1 Sempre più numerose sono le famiglie nobili che, con lungimiranza, iniziano ad investire i loro capitali nell’acquisto di proprietà fondiarie. Ottengono a prezzi irrisori quei terreni che le comunità locali (spesso prive di mezzi) non erano in grado di bonificare; altri, come dimostra il Mantese, ricevono dal vescovo di Vicenza l’investitura di terre incolte, offrendosi di dissodarle; altri ancora, infine, acquistano varie proprietà già appartenute a ordini religiosi (Benedettini, Cistercensi…). Gli investimenti nel settore fondiario furono notevoli, al punto che – come sostiene lo studioso Beltrame - il 90 per cento delle campagne nel ‘700 era in mano della nobiltà. 2 Nel Quattrocento il territorio vicentino continuò ad essere organizzato in quindici Vicariati civili (11 maggiori e 4 minori) e due Podesterie, secondo le strutture amministrative già introdotte dagli Scaligeri. Venezia mantenne tale assetto limitandosi a perfezionare le procedure di nomina dei Vicari. Tra gli undici Vicariati maggiori vi era quello di Barbarano; ogni Vicariato aveva sotto la propria giurisdizione un certo numero di Comuni rurali. Villaga, naturalmente, apparteneva al Vicariato di Barbarano. Ogni Comune, in età veneziana, continuò a governarsi in base a propri statuti, in un primo tempo semplici regole tramandate oralmente, in seguito codificate e preventivamente approvate da un’apposita commissione distrettuale. 1 M. Muraro, Geografia, storia e miti del Basso Vicentino fino al Palladio, in Nantopietra, alle radici dell’arte e della scultura, 89-90, pag. 12 2 Ibidem 53 CAPITOLO QUINTO 2. STATUTI DELLE VILLE DI BELVEDERE, POZZOLO, VILLAGA E TOARA A partire dai primi anni del Cinquecento, via via tutti i Comuni del territorio vicentino si dotarono di uno statuto, cioè di un codice scritto di leggi che ne regolava la vita amministrativa. Il 24 agosto 1545 gli homeni (i capifamiglia) delle ville (paesi) di Villaga, Toara, Pozzolo e Belvedere si riunirono in “publica visinanza” e approvarono all’unanimità nove capitoli che costituirono gli Statuti del Comune di Villaga.3 In essi vengono regolamentati l’obbligo di presenza per i consiglieri, le modalità di convocazione della convicinia, le decisioni a maggioranza, le sanzioni ai contravvenenti; si definiscono inoltre i compiti del Consiglio: la ripartizione di colte, la realizzazione degli estimi, l’affitto dei beni comunali, la manutenzione del Siron, dei fossi in generale (pioveghi), delle strade e degli argini. Ma vediamo di conoscere più da vicino i contenuti di tale documento, a partire dal motivo che ha spinto la “Visinanza” ad approvare nuovi statuti. Si premette che quando i funzionari di Venezia o di Vicenza vengono in missione, si rende necessario convocare “la visinanza de li homeni del comun nostro della villa de Villaga, Thoara, Belvedere e Pozzolo” per discutere e deliberare su questioni importanti. I capifamiglia (homeni) hanno quindi il dovere di presenziare a queste riunioni perché altrimenti la loro assenza impedisce di provvedere “alli bisogni nostri e per tal manchamento alchune volte el detto comun (le comunità di Villaga) patisse gravissimi danni et spese”. Pertanto il primo capitolo dello statuto prevede che i deputati homeni che risultassero assenti alle riunioni vengano multati di dieci soldi di moneta vicentina (erano esentati coloro che erano ammalati o si trovavano temporaneamente fuori dal territorio comunale). La multa scendeva a cinque soldi se le visinanze prevedevano all’ordine del giorno argomenti di carattere locale. E se il comandador del Comune, quando passava per la convocazione di porta in porta non trovava nessuno in casa, doveva avvisare dell’adunanza segnando una croce con la calce o un pezzo di carbone. Nel secondo capitolo si stabiliva che tutte le multe raccolte dovevano essere “messe a universal beneficio de tutto il comun nostro”; inoltre il degan e gli stessi consiglieri erano tenuti più degli altri ad osservare gli ordini contenuti negli statuti. In caso di loro inosservanza avrebbero pagato il doppio della pena che “aspettava a ciascun altro contrafaciente”. 4 3 Biblioteca Civica Bertoliana, Archivio Torre – Lib. Provv. VII c. 583 – 587; inoltre tale documento è stato pubblicato in “Statuti delle ville di Belvedere, Pozzolo, Villaga e Toara”, Nozze Marzotto- Conti Barbaran, Vicenza 1886, pagg. 16 (Fondo Gonzati, 325.11) 4 Vedi in proposito il 1° paragrafo dal titolo “Gli Statuti comunali del 1545”, inserito nel capitolo “Pozzolo nel periodo veneziano”, di F. Dalla Libera, contenuto in Pozzolo di Villaga, edito dalla Parrocchia di S. Lucia di Pozzolo. 4 I Colonnelli significavano, nel linguaggio giuridico veneziano, “aggregazione” di carattere amministrativo e geografico. 54 IL PERIODO VENEZIANO Nel terzo capitolo si pone l’attenzione sulla pulizia dei fossati, e in particolare sul Siron, il cui controllo era di competenza del degan o di un suo delegato che doveva verificare gli eventuali lavori dati in appalto; se fosse mancato il controllo, sarebbe scattata una multa di venti soldi. Nel caso in cui i lavori fossero eseguiti direttamente, ciascuno per la sua parte, il degan di Villaga doveva dare disposizioni ai capi de desena (insieme di dieci famiglie) in modo che ognuno curasse la sua porzione di Siron, coinvolgendo anche i degani degli altri tre colonnelli (di Toara, Belvedere e Pozzolo) che a loro volta dovevano far fare tale lavoro ai propri sottoposti, entro tre giorni. In caso di inosservanza di quanto stabilito, il capitolo quarto prevedeva che il degano principale doveva sborsare venti soldi, e così pure gli altri degani. Nel quinto capitolo si decide che le deliberazioni dell’organo comunale dovevano essere “balotate a busoli e balote”, cioè messe ai voti inserendo delle palline colorate in un’urna: un colore doveva indicare i voti favorevoli, un altro colore i voti contrari. La deliberazione era approvata con una maggioranza di palline riferite ai favorevoli. Nel sesto capitolo si stabilisce che coloro che prendono in affitto beni del Comune non hanno diritto ad alcuna agevolazione o sussidio da parte del Comune, mentre nel settimo si invitavano i degani e i consiglieri di sostituire gli stimatori degli estimi che risultassero non disponibili e di multarli. Nell’ottavo capitolo si dispone che quando si riunisce “la visinanza degli homeni nostri”, spetta al degano o al consigliere più anziano del colonnnello di Villaga presiedere l’adunanza e illustrare gli argomenti in discussione“soto pena alli contrafacienti de pagar del suo soldi diece”. Gli statuti si chiudono con le disposizioni ai singoli convocati in visinanza di convenire nel luogo consueto dell’assemblea e di aspettare gli altri per almeno tre ore. Se un consigliere se ne andava prima della scadenza del tempo prestabilito, veniva multato di dieci soldi o di cinque, a seconda dell’importanza dell’adunanza. Gli Statuti, scritti in volgare dal notaio Nicolò da Cornedo, vennero mandati a Vicenza e qui, dopo due anni e quattro mesi, il 29 dicembre 1547, furono approvati dai “deputati ad utilia”: D. Nicolaus de Portis eques, D. Leonardus de Plovenis doctor et eques, D. Hieronymus de Thienis q. d. Joannis eques, D. Hieronymus de Ferramuschis doctor, D. Franciscus de Gualdo, D. Antonius a Vulpe et D. Jacobus de Tridento, alla presenza dei nobili Ioanne Matheo ab Urciis e Camillo de Lugo, cittadini vicentini, e trascritti dal notaio Jacobus Antonius De Bragantis. Si tratta quindi di un documento interessante che ci fa conoscere e apprezzare il senso di responsabilità e l’alto livello del vivere civile dei nostri antenati e che merita di essere pubblicato e letto, come parte integrante della nostra storia locale. 55 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO Perchè spesse volte accade convocar la vicinanza de li homeni del comun nostro della villa de Villaga, Thoara, Belvedere et Pozzolo, et maxime de quelli che hanno officio et sono deputati al proveder sì alli mandati della Illustrissima Signoria nostra di Venetia, et de li soi Magnifici Rettori, Vicarii, Iudici, li Magnifici Deputati, Ufficiali et altri comessi soi, come anchora a molte altre occurrentie nostre quale quotidianamente accadeno nel ditto comun, et perchè de questi tali homeni alcuni sono che quantunque siano citadi ricusano camparere, per la qual absentia et contumacia non si vuol proveder alli bisogni nostri, et per tal mancamento alcune volte el ditto comun patisse gravissimi danni et spese: unde essendo bisogno a tali et altri molti inconvenienti provedere, et quelli per lo advenire a meglior esser del passato per comun beneficio redure, imperhò noi Domenego Ronchin degan principale, et similmente Domenego Lugan, Lorenzo Ferraro, Bartholamio dalle Oche, Zorzo di Polati, Lorenzo Bertuzzo, et Zandonà di Rappi, sindici generali et consiglieri del prefato comun, per meglior observantia delle preditte cose, laudando et confirmando ogni altro antiquissimo et usitato consueto nostro in altre materie et cause osservato, non perhò derogando alli novi infrascritti ordeni et capituli nostri così da ciascheduno per lo advenire inviolabilmente senza alchuna remissione alli contrafacenti ordinato ed osservato, volemo che sia et esser se intenda siccome ne li infrascritti capituli più chiaramente si contiene: Primo che quando venirà alcun mandato a noi per nome della Illustrissima Signoria nostra, overo de soi Magnifici Rettori et altri comessi soi, per il che achada chiamar la vicinanza secondo il consueto per occasion di proveder a quelli, che in tal caso tutti li deputati homeni siano citadi con pena de soldi diece de moneda vesentina, che si debano redure alla vicinanza, dechiarandoli il giorno deputado o per la matina, overo per dapoi disnare secondo la importantia, et tutti quelli et qualunche sarà citado ut supra, et potendo et non volendo, non venirà in tempo, siano et esser se intendano incorsi in la preditta pena de soldi diece reservando perhò sempre la impotentia, che se fusseno amalati, overo che non si attrovasseno sul ditto comun al tempo della citatione: in tutte le altre veramente vicinanze dove non si tratterà mandati apartinenti alla Illustrissima Signoria nostra, come è a meter colte, a far li estimi, affitanzie, piovegi, et d’fogni altra occurentia nostra, che in tale et simil casi che tutti et qualunche deputato sia citato in pena de soldi cinque, et se serano ut supra inobedienti che tutti et qualunche contrafaciente sia et esser se intenda incorso in pena de soldi cinque della predetta moneta: et che quando in comandador de comun andarà a comandar alle case, et che per sorte come spesse volte achade non troverà nessuno in casa, che lui sia obligato soto la preditta pena se contrafarà, a far con calcina overo con carbon, o con qualche altra cosa, una croce suso la porta overo usso de la sua habitazione o casa, aciò che vedendo el segno sapia di esser sta citato, et non si possa per tal causa excusare: 2° Item che tutte le pene et danari che se torranno et saranno tolte, siano messe in colte a universal beneficio de tutto el comun nostro sì di li contrafacienti come de ciascheduno altro del ditto comun, et chel degan insieme con li consiglieri siano et esser debiano esecutori de tutti li ordeni ed capituli nostri in osservarli et farli ad altri del nostro comun osservare soto pena alli prefati degan et consiglieri de pagar per ciascadun de lori el dopio del suo che expetteria al alchuno altro contrafaciente pagare, come et a scoder le pene et dinari da li inobedienti: 3° Item che quando se comanderà la vicinanza per causa de far over affittar, el Siron secondo el consueto, sel se affitterà, chel degan overo uno per suo nome qual sia persona intelligente debba andar a vederlo sel sarà ben fatto, avanti che li mercenarii siano satisfati: et sel non serà ben fatto fargelo fare, soto pena al degan de pagar soldi vinti sel contrafarà del suo, da esser spesi a beneficio comun ut supra: 4° Item sel se farà per compartita, quando sarà tempo de farlo, chel degan principale del colonello de Villaga sia obligato far comandamento a tutti li capi de desena sottoposti al suo colonello che debano fare et far fare a chadauno sotoposto alla sua desena la sua portione et parte del ditto Siron, et poi far comandamento alli altri degani de Thoara, Belvedere, et de Pozzolo che similmente debano far etfar fare in termine de tre giorni, et passati che serano li giorni tri, che tutti quelli che non haverano fatto la sua parte, che siano et esser se intendano incorsi in la pena de soldi diese per cadauno contrafaciente et che in tal caso non siano reservate alchune excusatione ne de infirmitade ne de altre cause, et quelli che non potrano, debano trovar chi faccia la sua parte per lori et pagarli, acciò chel particolar benefficio non deroge al generale, et chel comodo de uno non sia incomodo a molti, et sel degan principale mancherà de quanto è ordinato che lui deba pagar del suo soldi vinti, et così li altri degani et capi de desena de li sopra nominati colonelli de Thoara, Belvedere et Pozzolo, non procurerano et farano che lo soi capi de desena faciano et faciano fare alli soi homeni sotoposti alle sue desene le sue portione, che quelli che mancherano videlicet o degan, overo capo de desena, sia et esser se intenda incorso in la preditta pena de soldi vinti, passato che sarà il preditto termine de giorni tre, et così chadauno altro inobediente: 5° Item che per lo advenire tutte le occurentie che achaderano sul ditto comun pur che non sia fatto overo mandato della Illustrissima Signoria nostra, overo de li soi Magnifici Rettori, overo de la magnifica Città di Vicenza, overo de li Magnifici Deputà, si debano balotar a bussoli et balote, et che la maggior parte sempre delle balote siano vincitrice, et vincer debano: in tutte veramente le occurentie della Illustrissima Signoria nostra, non se deba altramente ballotare: ma che con ogni maggior prestezza nostra, si come semo obligati si deba immediate obedir, et simelmente si deba far nelle occurentie delli soi Magnifici Rettori, et altri soi comessi: 6° Item che tutti quelli che torano beni del comun nostro a fitto non 56 57 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO debiano ne non possino haver alcun ristoro dal ditto comun, ma integralmente pagar lo integro fitto, siccome lo havevano levato al publico incanto, ma debbano advertir de farsi bon mercato, et non per causa de nocer ad altri, far male a se medemi: 7° Item che quando fusseno citadi, li stimadori deputati a far li estimi del ditto comun, et chel ge manchasse uno o dui e più stimadori, per il che non si potesse far lo estimo, che in tal caso il degan et conseglieri del comun, debano elezerne de li altri al suplimento de la sufficiente summa, et tuor la pena a quelli che non fusseno venuti, riservando sempre la importantia per legitima causa ut supra declaratum fuit et est: 8° Item che quando si congregerà la vicinanza de li homeni nostri, congregata che serà, el degan overo el più vechio consegliero del primario colonello nostro de Villaga sia et esser deba obligato di proponer la causa de ditta congregatione alli altri congregati homeni, soto pena alli contrafacienti de pagar del suo soldi diece de la predetta moneta ut supra: 9° Item che ogni volta che se comanderà la vicinanza che tutti et qualunche citado deba redurse al loco solito et consueto, et ivi star di continuo per spacio de hore tre expettando li altri, et se ben el venirà uno e più delli deputati homeni, et che se partirà o partiranno avanti il prenominato tempo et spacio, che non se intendano esser venuti, et torli la pena ut supra ordinatum fuit et est de soldi diese sel serà mandato apertinente alle occurentie della Illustrissima Signoria nostra, overo de soi Magnifici Rettori ut supra, et altre occurentie nostre che non sia mandato della Illustrissima Signoria, ma altre particularitade nostre, come spesse volte accade, debano pagar solum soldi cinque ut supra dictum est et questo senza alchuna remissione. 1545 adì luni 24 Agosto, in publica visinanza sono stati laudati et comprobati tutti li soprascritti ordeni et capituli, nessuno contradicente et in defe de ciò, de comission del soprascritto degan et consiliarii, presente messer Lodovigo Buso cittadin de Vicenza, et Zambaptista Calderaro da Vicenza mi ho sottoscritto: “E mi Nicolò da Cornedo nodaro del ditto comun”. Marchioretto et Giulio Albanese del numero delli sette consiglieri del comun di Villagha et suoi colonelli attestiamo et facciamo amplissima fede, qualmente questo nostro Comune si ritrova diviso in tre colonnati il primo de quali si è Villagha, la quale dà la denominazione al Comun chiamato di Villagha, et in questo nostro Comun abbiamo tre chiese distinte, le quali sono tutte tre parrocchiali, nominate di S. Michiele di Villagha, S. Giorgio di Toara et S. ta Lucia di Pozzolo, che tali appunto sono chiamati li colonnati distinti, et queste sono governate da proprii parrochi o rettori, et noi altri facciamo tutte le funzioni che ci aspettano ad utile et beneficio del nostro Comun nel sopradetto colonnato di Villagha, nel quale abbiamo la nostra casa chiamata del Comun, per ridurci ad ogni beneplacito e bisogno di questa”. Il Comune, alla metà del ‘500, era formato dai quattro colonnelli di Villaga, Toara, Pozzolo e Belvedere, ognuno con una propria visinanza presieduta da un proprio degan, ma si riunivano insieme in un’unica assemblea sotto la presidenza del degan principale, quello di Villaga. 5 Più tardi, nella seconda metà del Seicento, e precisamente nel 1665, il Comune di Villaga venne diviso nei tre colonnati di Villaga, Toara e Pozzolo, (sparì quindi il colonnato di Belvedere, previsto invece negli statuti del 1545) coincidenti con le tre parrocchie. In proposito abbiamo una dichiarazione scritta dei sette consiglieri di Villaga, datata 1 giugno 1665, che sottoscrivono quanto segue: “Noi Zuanne Mambrin degan, Zuanne dei Mani, Antonio Grandi, Mattio CARICHE COMUNALI 1545-1721 Anno 1545 Domenico Ronchin Degan Domenego Lugan, Lorenzo Ferraro, Bortolamio dalle Oche, Zorzi Polati, Lorenzo Bertuzzo, Zandonà Rappo, Consiglieri Anno 1581 Pasqualin Bugarini Degan Gasparo Bugarin, Francesco Gobbo, Francesco Veronese, Iseppo Borinato, Michiel Muraro, Michiel Pollato, Bortolo Di Grandi Consiglieri Anno 1665 Zuanne Mambrin Degan Antonio de Grandi, Zuanne Mani, Mattio Marchioretto, Giulio Albanese Consiglieri Anno 1700 Anzolo Mambrin Degan Zuanne Guarato, Marco Vinante, Bernardo Muraro, Pelegrin Breganzato, Iseppo Donaello, Pietro Bertuzzo Consiglieri Anno 1716 Gaetan Mambrin Degan Bellin Bellini sindico Francesco Veronese, Antonio Zanini, Bernardin Danieli, Paulo Faccio, Batta Bettio Consiglieri Anno 1721 Gaetan Mambrin Degan 5 F. Dalla Libera, Pozzolo nel periodo veneziano, pag. 185 58 59 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO Bernardin Danieli Sindico Paulo Rappo, Bellin Bellini, Pelegrin Fatore, Mattio Pasquale, Zuanne De Grandi, Domenico Bertuzzo Consiglieri l’atto di nascita del Consorzio, resta comunque una tappa importante nella storia della bonifica delle nostre terre. Essa infatti andava ad inserirsi in un progetto di più ampio respiro che comprendeva la vasta plaga di terre basse e acquitrinose che giace ai confini delle province di Verona, Padova, Vicenza, dai Berici agli Euganei, all’Adige”. 11 La sistemazione pressochè definitiva delle campagne del Basso Vicentino culminò con il “piano generale” del 30 giugno 1563, volto a disciplinare tutta la rete idrografica della zona, creando un ordinato sistema di canali: “d’ora in poi – scriveva Michelangelo Muraro – il Bisatto, la Liona, l’Alonte, il Gorzon non creeranno più i disagi di un tempo. E d’ora in poi, notevolissimo è, di conseguenza, l’impulso dato alle attività agricole”. 12 A conclusione di questa illustrazione sulle opere di bonifica attuate nel Cinquecento, è bene ricordare le disposizioni del Magistrato sopra i Beni Inculti, il quale “volendo dar regola alle acque, dichiara e comanda che tutte le acque che entrano nel Bacchiglione (in realtà si trattava del canale Bisatto, derivazione del Bacchiglione) da Barbaran in zoso, che sono la Bandizza, Nina, Liona, Ronego, Siron, Alonte e altre acque vive che a beneffitio della navigation da Este a Battaglia, e sia congiunta la fossa Bandizza con altre particolarità qui descritte…” 13 Nei secoli successivi vennero realizzati una serie di manufatti in punti strategici, allo scopo di migliorare lo scolo delle acque; nel Comune di Villaga gli interventi riguardarono: il ponte Frasca, le Porte e il ponte sulla Seonega, il ponte sul Gorzon a Quargente, il ponte e la chiavica sul Fiumicello, il ponte Bologna-Siron in zona Baracca a Fogomorto, il soprapassaggio del fosso Alture, il sottopassaggio della Fossa Nuova, il ponte Conte Conti per Toara, il ponte Alto, sulla strada da Belvedere per Sossano.14 3. LA BONIFICA DELLE CAMPAGNE Nei primi decenni del Cinquecento la politica veneziana si orientò sempre più verso la terraferma, finalmente pacificata dopo la sanguinosa guerra di Cambrai. La Serenissima incamerò estese proprietà confiscate alle famiglie che avevano parteggiato per gli imperiali; ad approfittarne furono i patrizi che acquisirono vasti possedimenti. 6 Nel frattempo si facevano sempre più pressanti le suppliche dei vari centri dell’area berico-euganea affinchè la Serenissima avviasse un piano organico e razionale di bonifica: infatti vi erano ancora zone che risultavano incolte e paludose. 7 Il governo veneziano, pertanto, istituì il 10 ottobre 1556 la Magistratura sopra i Beni Inculti e già l’anno successivo diede inizio ad una vasta opera di bonifica denominata “Retratto di Lozzo”, che, oltre ad alcune località del Veronese e del Padovano, interessò anche numerose località del Basso Vicentino fra le quali Noventa, Pojana Maggiore, Sossano, Orgiano, Campiglia, Albettone, S. Germano e Grancona. 8 Intanto, l’anno precedente, un gruppo di 26 grandi proprietari, tra cui i nobili Giulio Barbaran, Montano Barbarano, Vincenzo Godi, Vincenzo Nievo, Zuane Loschi avevano sottoscritto un accordo convinti che, con poca spesa, si potevano ridurre a coltura e fertilità in questo territorio circa cinquemila campi “quali si trovano palludosi et occupati dall’acque, situati et posti sotto le pertinenze del vicariato di Orgiano et Barbarano nelli lochi parte di S. German, Villa del Ferro, Campo Longo, Orgiano, Zossano, Campiglia, L’Agugiaro, Villaga, per li quali lochi discende et scorre l’acqua della Liona”. 9 Costoro si proponevano di far scavare il greto della Liona per far defluire maggiormente le acque, che nei periodi piovosi ristagnavano nelle campagne. Chiedevano pertanto la delega di poter agire a nome dell’autorità pubblica, soprattutto in materia di tassazione. “Per questo motivo – puntualizza Reginaldo Dal Lago – ci sentiamo di poter dire che in quel 17 febbraio 1555 (giorno in cui venne deciso lo scavo della Liona per dar scolo alle acque) prendeva avvio il Consorzio Liona-Frassenella che in un primo momento si sarebbe interessato alla cura dell’alveo e degli argini del Liona e che, in un secondo momento, si sarebbe preso carico anche delle acque stagnanti da far confluire nel Frassenella" 10 E aggiunge che “l’iniziativa dei nostri 26 concittadini, al di là che possa essere considerata o meno 6 M. Muraro, Geografia, storia e miti del Basso vicentino fino al Palladio, pag. 13 7 Ibidem 8 Ibidem 9 R. Dal Lago., Guardiani delle acque, Consorzio di bonifica Riviera Berica, Centro Studi Berici, pag. 15 10 Ibidem, pag. 16 60 4. I NOBILI BARBARANO A TOARA E A BELVEDERE Nella prima metà del Cinquecento, la famiglia Barbarano, il cui nome deriva dall’origine barbaranese del casato, arrivò a possedere più di ottocento campi in pianura, concentrati fra Toara, Belvedere, Villaga e Colloredo. I conti Barbarano, dapprima Montano III, poi i figli Giovanni e Carlo, successivamente i nipoti Giulio e Montano IV, si adoperarono per bonificare vari terreni e si specializzarono nella coltivazione delle vite e dell’ulivo in collina, mentre in pianura diedero spazio alle risaie. “Dal cospicuo patrimonio agrario – osserva la studiosa prof.ssa Maria Grazia Bulla Borga – non derivò alcuna egemonia politica (da parte dei Barbarano) sul territorio, nel quale vi erano altre importanti famiglie, tra cui Dolfin, Priuli e Balbi 11 Ibidem 12 M. Muraro, Geografia, storia e miti del Basso Vicentino, pag. 13 13 Biblioteca Civica Bertoliana, Catastico IV, Acque, Legge 44 n. 1 c. 245 14 R. Dal Lago, Guardiani delle acque, pag. 25 61 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO patrizi veneti; Loschi, Ferramosca, Godi e Pigafetta nobili vicentini; Broia, Mainente e Caliari agrari senza titoli”. 15 Montano III, vissuto fra la metà del Quattrocento e il 1525, fu particolarmente legato al castello di Belvedere, dalla cui torre si poteva dominare la pianura circostante e controllare le vaste proprietà della famiglia. Alla sua morte la stirpe dei Barbarano Mironi si divise in due rami, quello di Colloredo e Toara e quello di Belvedere. Più tardi, nel 1583, con la divisione dei beni fra Flavio e Druso, figli dello studioso e scrittore Giulio, anche i beni di Toara e di Colloredo furono separati. 5. IL CASTELLO TRASFORMATO IN PALAZZO E L’EREZIONE DELLA VILLA A TOARA Nella seconda metà del Cinquecento, dopo che Montano IV, nel 1552 fu insignito dal doge col titolo di “Conte di Belvedere”, avvenne la trasformazione del castello di Belvedere in una residenza signorile, certamente più adatta alle mutate esigenze dei tempi. Secondo gli studiosi Canova e Mantese16, tale evento si sarebbe verificato intorno al 1570; più che una data (1569) riportata sul maestoso portale del viale d’ingresso, questa ipotesi trova fondamento sul fatto che si riconduce proprio in quel periodo la presenza a Toara di Domenico Groppino, capomastro-architetto di scuola palladiana, chiamato dai Barbarano per la ricostruzione della cappella gentilizia di Belvedere. Fu Montano IV, nel 1588, per sua volontà testamentaria, a ordinare che la ristrutturazione del castello, secondo il modello del Groppino, fosse portata termine. Pertanto – puntualizza la prof. Bulla - nel 1588 la trasformazione del Castello in villa non era ancora stata compiuta.17 Poiché Montano, alla sua morte, aveva lasciato molti debiti, i lavori a Belvedere ripresero qualche decennio dopo, tra il 1610 e il 1620, e si conclusero nell’arco del Seicento. 18 Ancora oggi si ammirano le mura di recinzione del serraglio pentagonale del Castello: 2920 metri di mura che cingono ben 157 campi vicentini, cioè oltre 60 ettari di terreno. L’erezione di questo vasto recinto murato aveva anche lo scopo di sfuggire all’onere della decima e del quartese, diritti ecclesiastici che gravavano sulle terre dei contadini e dei grandi proprietari terrieri. Anche Flavio Barbarano, verso la fine del Cinquecento fece recintare con mura un esteso vigneto, al termine dello stradone che porta a Toara, e fece erigere lo stupendo portale che immette nel brolo recintato. 19 Ma soprattutto trasformò la corte rurale in villa: lo stemma sulla porta bugnata e centinata d’ingresso riporta incisa la data 1590 e vi si legge: “FLAVIUS BARBARANUS JULII FI”. Villa Piovene a Toara vista dall’alto. 15 M. G. Bulla Borga, I nobili Barbarano Mironi a Colloredo, Toara e Belvedere nel Cinquecento. Richiami medievali e spirito rinascimentale, F.lli Corradini editori, 2004, pag. 10 16 A. Canova – G. Mantese, I castelli medievali del Vicentino, Accademia Olimpica, pag. 47 17 M. G. Bulla Borga, op. cit. , pag. 43 18 Ibidem 19 Ibidem, pag. 44 Il Castello di Belvedere con la torre merlata. 62 63 CAPITOLO QUINTO Foto di Villa Piovene nei primi anni del ‘900. IL PERIODO VENEZIANO Antico stemma dei Conti Barbarano incastonato sopra la porta di ingresso di casa Piovene a Cà Larga, forse anteriore al ‘600, secondo la prof. Bulla. Nel corso del Seicento venne meno la discendenza maschile nella famiglia di Toara e si consolidò la dinastia Conti-Barbarano, il cui ultimo discendente, Giulio, morì nel 1927. Il Castello di Belvedere nel 1836 venne venduto da Francesco Barbarano e subì poi vari passaggi di proprietà. 6. IL RAPIMENTO DEL FIGLIO DEL CONTE BARBARANO Verso la fine del ‘500 e nella prima metà del Seicento, la situazione dell’ordine pubblico era estremamente tesa e caratterizzata da fenomeni criminosi provenienti dalla pericolosa commistione tra faida aristocratica e banditismo rurale.20 I nobili facevano valere oltremisura i loro privilegi ed avevano a disposizione i “Bravi”e i “banditi”che, spesso impunemente, erano responsabili di violenze e sopraffazioni. Questi vivevano al soldo dei potenti ed erano una logica espressione di un potere malvagio che voleva prescindere dalla legalità. Tali individui avevano una specie di divisa, segnalata da un berrettino di velluto in testa, bavero al collo, giubbone di tela, spada, pugnale, gambe coperte da maglia, la celata agganciata ad un uncino della cintura; giuravano fedeltà al potente che li pagava, ma pronti a tradire se altri offrivano di più. Gli attacchi alle persone isolate che giravano di notte erano cosa naturale e frequentissima: borsaioli e pugnalatori spuntavano improvvisamente operando 20 C. Povolo, L’intrigo dell’onore, Cierre Edizioni, pag. 413 64 con destrezza e senza scrupoli; incamminarsi per le campagne di notte significava quindi sfidare il destino.21 Nel Basso Vicentino era diffuso il banditismo nobiliare che aveva connessioni con i conflitti sorti tra le diverse consorterie per la gestione e il controllo del territorio.22 Già nel 1581 i padri di Sant’Elena di Venezia ricorsero al Collegio di Vicenza per lamentare le violenze e le sopraffazioni commesse dal nobile Scipione Godi di Villaga contro il padre Gabriele da Padova, a quel tempo curato della parrocchia di Villaga. I monaci olivetani di Sant’Elena godevano infatti del diritto di patronato sulla chiesa di Villaga e possedevano alcuni beni di cui il Godi voleva impadronirsi. La supplica, dopo aver narrato il fatto, concludeva: “…non è lecito nè conveniente che noi procuratori del monastero preditto di questa città dobbiamo comparer a Vicenza, et conoscendo anco chiaramente che se esso delinquente fosse giudicato in detta città de Vicenza, respetto al parentado et favori che egli ha in essa, non poteressimo conseguir la debita giustitia…”. 23 Ma un fatto ben più grave accadde l’11 settembre 1609, quando la banda del conte Zuanne Branzo, che riuniva più di 60-70 persone, rapiva nella sua villa di Toara il giovane conte Giulio Barbarano, chiedendo poi per la sua liberazione 21 L.Piva, Nella terra dei Dogi – Vita del popolo veneto nei secoli XVI – XVII, Ed Del Noce, 1993, pag. 296-299. 22 C. Povolo, L’intrigo dell’onore, pag. 413 23 Ibidem, pagg. 55 – 56.Vedi anche Arch. Stato Venezia, Collegio, Risposte di fuori, filza 335, 3 settembre 1581 65 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO 7. CESARE BARBARANO PRIGIONIERO A BELVEDERE Portale Bugnato che immette all’interno delle mura del Castello, costruito attorno all’anno 1569. un ingente riscatto. Il fatto – osserva lo studioso Povolo – forse mai avvenuto in precedenza nel Vicentino, impressionò molto la città di Vicenza. 24 Ma in seguito arrivò la vendetta dei Barbarano e delle famiglie loro collegate. I Barbarano, infatti, colpiti nell’onore e desiderosi di vendicarsi dell’offesa subita, diedero la caccia al Branzo e alla sua banda e lo inseguirono fin nelle campagne del Cremonese, in Lombardia, finchè lo catturarono e lo giustiziarono nel dicembre 1609. 25 Antico stemma dei Conti Barbarano collocato sopra il portale di ingresso alla corte del Castello di Belvedere, datato tra il 1569 e il 1588. E passiamo ad un altro fatto molto grave accaduto all’interno della famiglia dei Barbarano di Belvedere. Da un interessante lavoro storiografico dello studioso Giambattista Zanazzo, dal titolo “Bravi e signorotti in Vicenza e nel Vicentino nei secoli XVI e XVII 26 , veniamo a conoscere un fatto molto grave e deplorevole, documentato nelle “Lettere dei Rettori ai Capi del Consiglio dei Dieci”, conservate presso l’Archivio di Stato di Venezia. Zanazzo riporta che nell’ottobre 1634 il conte Francesco Barbarano, diciottenne, figlio del conte Giulio Cesare, si presenta al Podestà Andrea Bragadin per denunciargli che il padre stava rinchiuso da quattro anni “in un’oscura prigione in sua casa, nella villa di Belvedere postovi a viva forza dalli co. Giobatta, Montan, Camillo et Carlo pur suoi figli maggiori, trattandolo con termini di istraordinaria inumanità con divulgatione che fosse incorso in pazzia, et mi fece istanza di farlo restituire in libertà…”. Il Podestà lo ascolta attentamente, promettendogli di occuparsene con la massima diligenza e prudenza. Fa subito delle indagini ed accerta che la voce della supposta pazzia era stata diffusa esclusivamente dai figli. Il conte Francesco, dopo pochi giorni, ritorna ad insistere calorosamente ed il Podestà, commosso ed anche convinto che vi fosse sotto qualche cosa di losco, manda a Belvedere di Villaga un pubblico ministero con l’ordine espresso di liberare il padre, che “fu trovato fuori della prigione che s’era stata apperta in quei giorni dalli figliuoli, essendo pervenute alle orecchie loro le istanze del fratello minore presso la giustizia”. Il conte Giulio Cesare prega il ministro, che gli aveva mostrato il decreto di liberazione, di riferire al Podestà il suo estremo stato di debolezza che, per il momento, gli impediva di recarsi da lui, ma lo assicurasse che l’avrebbe fatto quanto prima. Siccome i figli, com’è facile comprendere, cercavano di ostacolare al padre, con futili pretesti, il ritorno in città, il Podestà – su richiesta anche del conte Francesco – vi spedì un altro ministro con una carrozza che condusse il conte Giulio Cesare a Vicenza nel convento di S. Biasio dei Minori Osservanti, “nel qual loco per ancora dimora”. Recatosi il conte Giulio, parecchie volte, a conferire con il Podestà “in tempo di notte per non essere veduto nelle miserie che gli prova venir a parlarmi”, ebbe modo non solo di narrargli le iniquità commesse dai figli snaturati, ma anche di fargli conoscere “in tutti li ragionamenti con gran costanza d’esser di mente sano”. Mortagli la moglie nell’anno 1628, rimasto “coll’aggravio di molti figli, fu assalito da infermità, che lo trattenne in letto per il corso d’otto mesi”. Mentre stava per lasciare la città – racconta Zanazzo - per trascorrere la convalescenza nella villa di Belvedere, fu assalito in casa da due persone armate, “di casa del conte Giacomo Bissaro suo genero”, e privato di tutto il denaro che teneva. 24 C. Povolo, Processo contro Paolo Orgiano, in Studi Storici, rivista trimestrale dell’Istituto Gramsci, 1988, aprile-giugno, pag. 358-359 25 C. Povolo, L’intrigo dell’onore, pag. 414-415 26 G.B. Zanazzo, Bravi e signorotti in Vicenza e nel Vicentino nei secoli XVI e XVII, in Odeo Olimpico, VIII (1969-1970), pagg. 200 - 202 66 67 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO In seguito il conte Giobatta ed altri fratelli gli “esportarono dalla villa biave diverse, et molti mobili di valore. Ricuperata la pristina salute, un giorno, accompagnato da un servitore e da un soldato (cioè da un bravo), si portò a Padova, ove manteneva i figli agli studi con ogni comodità “di vivere, di casa, di servitio et di Precettore”. Ma fu accolto “con termine irriverente” e se ne partì disgustato. Scoppiata la peste in Padova, i figli si rifugiarono nella villa paterna, ma l’offeso genitore non volle ospitarli e li mandò “a ricoverarsi nelle stanze del custode”. Questi allora – con esclusione del minore conte Francesco - con la complicità e con la partecipazione del conte Giulio Barbarano, “loro parente, nemico del padre” e del dott. Giobatta Barbarano, pur “avversario per occasione di litte”, adunato uno stuolo di gente, s’introdussero notte tempo nella dimora del padre, lo afferrarono violentemente, s’appropriarono di tutto il denaro, lo rinchiusero in una camera per due giorni con continue guardie, “nel qual tempo fecero otturare due finestre in una camera a volto nella colombara lasciandovi un solo foro picolo in altezza tale, che non vi si poteva arivare, et in esso loco lo posero serrato con porta rinforzata di doppie tole, e di due cadenazzi, ove è stato per il corso di quattro anni e giorni 14, havendo continuamente divulgato li suoi figliuoli maggiori, che era divenuto pazzo”. Nè le figliuole, nè altri, cui si era rivolto per essere liberato “per via della giustizia”, vollero interessarsi in suo favore, “in riguardo dei figli”. Nella lunga prigionia di oltre quattro anni non gli somministrarono “se non debolissimamente il vivere, dandogli pane e vino pessimo: il pane era appena buono per cibo de cani”. Fu colpito a più riprese da malattie e i figli, benché insistentemente pregati, “gli hanno negato la confessione e la Comunione”. Hanno persino tentato di mandarlo al Creatore, conniventi altre persone, con pollo avvelenato. La sua forte fibra lo salvò dalla morte, ma gli caddero tutti i capelli del capo e i peli della barba e del corpo. A questo povero vecchio di 58 anni, tutto “coperto di broze, col crucio d’altri sponzelli”, non vennero mai “somministrati drappi, né camise da murarsi”. “E’ uscito – scrive sempre il Podestà – di quelle miserie in abito mendico, che muove ogn’uno a compassione…”. Poco dopo la sua carcerazione, la serva di casa, Margherita Bolza, chiese d’esser “soddisfatta di suoi salari”. Ma i figli, con l’aiuto d’altri sicari, le tagliarono i capelli e “levatile in capo le vesti ardirono percuoterla con una padella nelle parti posteriori, maltrattandola ancora con altri detestandi modi, et poi la cacciarono di casa senza alcun pagamento. Tutti questi diabolici trattamenti del padre – continua il Podestà – e della predetta Margherita vengono raffermati dal conte Francesco e dalla medesima donna, soggiungendo il conte Francesco che, prima per la sua tenera età, non ha potuto ardire di venire alla giustizia, ma haverne fatta istanza a diverse persone e specialmente alli Degan della Villa, nè alcuno à voluto adoperarsi per timore di essi suoi fratelli…”. I Rettori di Vicenza (che erano due nobili veneti, un Podestà e un Capitano che, alla fine del loro mandato presentavano al Doge e al Senato, una sintetica relazione del loro operato e dei fatti più significativi dei quali erano stati testimoni) il 31 dicembre 1634 inviano ai Capi del Consiglio dei Dieci la relazione di questi crimini inauditi e vi allegano anche l’esposto del conte Giulio Cesare in cui, tra l’altro, scrive che l’8 ottobre 1630, in Belvedere, fu circondato “da una numerosa setta di crudelissimi sicari tutti armati” che rabbiosamente lo bastonarono, lo rinchiusero “in una fortissima torre esistente nel casamento, ove con barbara tirannide mi hanno tenuto continuamente sin al 28 ottobre dell’anno presente. Quanti siano stati i patimenti che ho sofferto in questo tempo, di privazione di luce, di fame, di sete, di freddo, di caldo, e di mill’altre maniere d’infernali tormenti, non lo so esprimere…”. Accenna anche alla dilapidazione delle sue sostanze fatta dai figli e supplica i Capi che, date le minacce di questi snaturati e dei loro complici, il processo venga istituito e celebrato dai Rettori con la Corte Pretoria. I Capi, non solo accolgono la preghiera del conte, ma anche decidono di mandare a Vicenza, per una rigorosa inchiesta, un Avogadore.27 68 8. L’ECONOMIA Nel Cinquecento, dopo la guerra di Cambrai, iniziò un lungo periodo di pace e di buon governo da parte della Repubblica Veneta. Anche l’economia ne trasse benefici, tanto è vero che si intensificarono i commerci e di conseguenza la circolazione della moneta cominciò ad avere un ruolo sempre più importante anche per i territori di campagna ove era ancora presente il baratto. La moneta utilizzata in quel periodo era il Ducato che equivaleva a troni o Lire Venete 6 e 4 soldi o marchetti. Fiorirono l’artigianato e le arti con apposite fraglie e relativi statuti: sorsero industrie seriche a Barbarano e a Lonigo, vennero riattivati i mulini ad acqua sia per il frumento che per il riso (a Mossano ve ne erano 12, a Barbarano 15, di cui due per il riso; a Calto di Pozzolo una decina, poi a Pederiva di Grancona, ad Alonte, a Fimon, a Brendola), si diffuse l’estrazione della pietra da taglio a Nanto e a Costozza, così come le attività estrattive di ferro, ligniti e torba in Val Liona.28 L’agricoltura, nel Cinquecento, continuava comunque ad essere il cardine dell’economia vicentina. Le colture di gran lunga prevalenti erano quelle ceralicole: il frumento, innanzitutto, poi il miglio, il panico, l’orzo e il sorgo. Quest’ultimo non era il granoturco, che doveva ancora giungere in Europa, ma la saggina, un tempo molto coltivata in tutto il Vicentino: dai semi si ricavava un farina che i più poveri usavano per fare la polenta, mentre con le infiorescenze si costruivano scope.29 27 G. B. Zanazzo, op. cit. pagg. 200 - 202 28 AA.VV. Studio per una proposta di vincolo paesaggistico sui Colli Berici, a cura di Italia Nostra, Tip. Rumor, Vicenza, 1975, pag. 30 29 AA.VV. I lavori dei contadini, Banca Popolare di Vicenza, pag. 45 69 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO Anche il riso conosceva un nuovo sviluppo, dovuto anche alla presenza di terre paludose e di abbondanza di acqua. A partire infatti dalla seconda metà del 1500 varie zone del Basso Vicentino furono adibite a risicoltura: a Barbarano, Toara, Sossano, Campiglia dei Berici, Grancona, Lonigo, Alonte, Orgiano. Molte aziende nobiliari, invogliate dai forti rialzi che subì il prodotto verso la fine di quel secolo, decisero di compiere ingenti investimenti per avviare nei propri possedimenti la coltivazione del riso. Delle 35 risaie esistenti nel Basso Vicentino, nel periodo 1594-95, osserva Girardi, ben 9 risultavano intestate al patriziato veneziano. 30 Nel territorio tra Barbarano e Villaga vi era un’ampia risaia a sud del Castellaro, di proprietà di Cesare Nievo, comprendente anche una porzione del territorio di Villaga, che veniva rifornita d’acqua da una sorgente posta ai piedi della collina, e dal Bagno di Barbarano. Anche a Toara vi erano parecchi campi coltivati a riso dalla nobile famiglia Barbarano, e si trovavano tra lo stradone, via Salgan e le mura del castello di Belvedere. Un’altra zona coltivata a riso era in località Alture, solcata da vari corsi d’acqua. Nel 1572, infatti, Antonio Manente aveva inoltrato al magistrato ai Beni Inculti di Venezia una supplica per ottenere l’acqua del Siron, del Tro, della Fontana Calda di Villaga (il Bagno) e della Seonega allo scopo di trasformare parecchi suoi campi in risaia. 31 Nel ‘500 vennero poi potenziate le coltivazioni della vite: già in quel tempo erano decantati i vini dei Berici. Andrea Scoto, in particolare, nel suo “Itinerario d’Italia”, esaltava i vini di Barbarano, Costozza e Lonigo; visitando il territorio a sud di Vicenza annotava: “… per la strada della Riviera, tra il fiume e i monti, vedrai Barbarano vicariato, le cui colline, incurvandosi e ricevendo il sole, dal fitto meriggio ti daranno vini che ne beverebbe l’Imperatore…”. 32 Anche le colline di Toara hanno una tradizione plurisecolare nella produzione di ottimi vini, soprattutto per l’impegno dei Barbarano, fino a giungere ai Piovene Porto Godi. risalenti al 1554, un po’ alla volta si diffuse anche nella provincia di Vicenza. 34 Il granoturco, poiché appariva ai contadini simile alle piante della saggina, venne anch’esso definito sorgo ma con l’aggiunta dell’aggettivo turco, che serviva da un lato a distinguere la nuova pianta venuta dall’America dalla vecchia saggina e dall’altro anche a sottolinearne la provenienza da un paese straniero (dato che la parola “turco” nel Cinquecento aveva il significato di “straniero”). 35 Poi, nel Settecento, con la progressiva scomparsa della coltura della saggina, sostituita dal mais, questo perde col tempo l’appellativo turco e viene designato semplicemente come sorgo.36 Il mais rappresentò una profonda trasformazione nel sistema e nel paesaggio agrario: dai vecchi metodi agricoli basati sulla tradizionale alternanza biennale (maggese-frumento), o triennale (maggese-frumento-coltura minore) si passò gradualmente a un sistema a rotazione continua mais-frumento, nel quale il primo veniva a svolgere la funzione di pianta di rinnovo; il cambiamento del paesaggio agricolo, prodotto da tale avvicendamento, finiva così per cancellare definitivamente il maggese. 37 Immesso nel ciclo delle rotazioni e coltivato dapprima nei poderi di grandi dimensioni, per essere commercializzato, ma presto seminato anche in appezzamenti meno estesi, il granoturco diveniva nel Sei-Settecento il cereale più familiare ai contadini della repubblica veneta. 38 Il suo larghissimo consumo portò a una vera e propria “rivoluzione alimentare”, a un’alterazione profonda nel modo di alimentarsi della popolazione rurale, sino a divenire nell’800 l’unico e quasi esclusivo nutrimento per tante famiglie povere. 10. DALL’ABBONDANZA ALLA CARESTIA Verso la fine del ‘500 comincia a diffondersi anche la nuova coltivazione del mais. La Repubblica Veneta, esperta in commerci, per prima, ne aveva intuito l’importanza: “il mais – scrive Messedaglia – dovette bene apparire…come un promettente cereale, per il consumo locale e interno, a Venezia e nelle non eccessivamente ricche province di terraferma, possedute dalla Serenissima, nelle quali, non di rado, imperversavano le carestie”. 33 Il mais, dopo le prime coltivazioni nel Polesine e nel Basso Veronese, Nei primi decenni del Seicento il quieto vivere delle popolazioni del Basso Vicentino, e più in generale del Veneto, venne meno poiché iniziò una lunga serie di anni difficili, caratterizzati da carestie e culminati con la terribile epidemia di peste. Dagli inizi del secolo e fino al 1630, anno in cui infierì spietatamente la peste, si susseguirono alternativamente anni contrassegnati da lunghe e forti piovosità, con conseguenti allagamenti e distruzione delle messi, ad anni caratterizzati da desolanti siccità con raccolti quasi nulli o del tutto insufficienti. 39 Ma il peggio doveva ancora venire. Tra il 1628 e il 1629 una tremenda carestia aveva ridotto allo stremo la popolazione, le devastazioni e le ruberie dei vari eserciti francesci, spagnoli e imperiali, che percorrevano le nostre contrade impegnati in un’inutile guerra; ed infine l’epidemia di peste, negli anni ’30 e 30 A. Girardi, L’evoluzione del paesaggio, in Barbarano Vicentino, vol. 1°, pag. 94 31 Ibidem, pag. 96 32 A. Costacurta – S. Cancellier, I vitigni dei Berici, Camera di Commercio di Vicenza, 1999, pagg. 10-11 33 L. Messedaglia, Notizie storiche sul mais, In Quaderno Mensile – Istituto Federale di Credito,Venezia, 1924, pag. 75 34 AA.VV. I lavori dei contadini, pag. 161 35 Ibidem, pagg. 78 - 79 36 Ibidem, pag. 79 37 A. Girardi, L’evoluzione del paesaggio, pag. 92 38 M. Bellabarba – G. Mometto, Dalla Convicinia al Comune. Bolzano Vicentino nei secoli XV – XIX, pag. 72 39 A. Biasin, Asigliano nella storia, Giovani Editori, pag. 65 9. L’AVVENTO DEL MAIS 70 71 CAPITOLO QUINTO ’31 compirono l’immane tragedia. 40 Le province più devastate dal contagio furono quelle di Verona, Vicenza e Padova. Anche nel nostro Comune i morti furono molti, in seguito alla tremenda epidemia. Il registro dei morti di quell’epoca non riporta le cause della morte, tuttavia il numero dei decessi fu decisamente più elevato rispetto agli anni precedenti. Sappiamo dallo storico Pasqualigo che a Pojana Maggiore i morti furono 689, quasi due terzi della popolazione allora esistente; a Vicenza morirono oltre 15mila persone, mille a Lonigo, 574 a Noventa, quasi duemila a Cologna veneta, 1402 a Montagnana, oltre 20mila a Padova. 41 Il podestà Andrea Bragadin, nella relazione del 1635, usava parole fosche per descrivere la desolata situazione di un territorio la cui popolazione era stata decimata: “…per la perdita di essa gente le campagne restano in gran parte incolte, oltrechè li lavoratori e gli affittuali, che sono in ristretto numero, afflitti dalla povertà non possono sostenere nella dovuta maniera il peso della coltivazione, la quale nei tempi correnti è dispendiosissima, eccedendo l’aggravio delle spese la summa delle entrate, onde li padroni interessati con grosse sovventioni date a lavoratori convengono sofferire il colpo di perdite rilevanti et annihilandosi gl’affittuali per le ragioni narrate pochi si vogliono sottoponere ad affittanze, se non con il callo del terzo o più, dimodochè li padroni, gl’affittuali et li lavoratori sono costituiti quasi tutti in miseria”. 42 IL PERIODO VENEZIANO Il pastore Pietro Lunardi con un bambino che tiene in braccio un agnello, sulla strada per l’altopiano di Asiago. 11. I PASTORI Un’attività economica che nel Seicento aveva una sua rilevanza nel nostro territorio era la pastorizia. Da una nota delle pecore che si trovavano nel Comune di Villaga nell’anno 164443 riscontriamo la presenza di ben dieci pastori che in totale possedevano 1042 pecore: - Mattio Violin - Alessandro Borinato - Marco di Ghirardi - Marco di Ghirardi importa da C. Montan e da fratelli Barbarani - Batta dalle Poche - Lazaro Pertene - Zamaria Asta - Antonio Gianesin - Batta di Ghirardi - Pietro Pagiaro - Menego Gianesin pecore quaranta pecore cento pecore centotredici pecore centocinquanta pecore novantaquattro pecore centoventi pecore novantasette pecore novanta pecore cinquantatre pecore ottantasei pecore novantanove 40 A. Biasin, Asigliano nella storia, pagg. 67 - 68 41 Ibidem, pagg. 70 - 71 42 M. Bellabarba – G. Mometto, Dalla Convicinia al Comune, pag. 38; inoltre da Relazioni dei Rettori veneti in terraferma, VII, Milano, Giuffrè 1976, pag. 359 72 Scena di vita pastorale con in primo piano il pastore Pietro Lunardi. 73 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO Dai registri della parrocchia di Villaga veniamo a conoscere il nome e la provenienza di altri pastori che si stabilirono a Villaga nella seconda metà del Seicento e nel Settecento: Lunardi (Foza), Sambugaro (Gallio), Cherubino (Gallio), Rossi (Asiago), Tomaso dalla Mezza Valle, Sartori (Gallio), Baù (Gallio), Marinelo (Enego), Dei Grandi (Foza), Dei Ceschi (Foza). Dell’Ottocento ricordiamo Pagliaro Pietro e Munari Domenico, entrambi originari di Gallio. Un tempo erano in tanti a praticare questo mestiere. A maggio partivano col loro gregge diretti verso l’Altopiano di Asiago, attraversando i Colli Berici e quindi nell’Alto Vicentino. Poi, verso la fine di settembre, facevano ritorno in pianura. Questo migrare dei pastori con il loro bestiame costituiva la pratica della transumanza. Ma c’era anche il fenomeno inverso, dei pastori dell’Altopiano dei Sette Comuni che in inverno portavano in pianura a pascolare le loro pecore montane. E qui si innesca il difficile rapporto con l’agricoltura di pianura. Il passaggio e lo stazionamento degli ovini rappresentava di frequente un fatto capace di sconvolgere gli equilibri economici, spesso già precari, dei territori di pianura – osserva il prof. Wanter Panciera. L’area bassovicentina fu tra l’altro attraversata, tra il XVI e il XVII secolo, da importanti mutamenti nello sfruttamento del suolo e nella struttura della proprietà. Il restringersi dell’incolto, l’usurpazione da parte dei privati dei beni di proprietà comunale, la massiccia estensione dell’arativo, la diffusione della grande proprietà, specialmente nobiliare, contribuirono a rendere sempre meno tollerata la presenza delle pecore.44 Il trasferimento delle pecore dalla montagna alla pianura e viceversa costituiva un potenziale pericolo per la lentezza del passaggio, connessa all’ovvia necessità di nutrire gli armenti. Non esistendo alcuna regolamentazione specifica sullo spostamento, nè dei percorsi ufficialmente adibiti allo scopo, il controllo doveva risultare molto difficile, e neppure le recinzioni riuscivano ad evitare gli sconfinamenti delle pecore.45 L’irruzione nei campi seminati o nelle piante giovani, il calpestio sui campi appena arati, i danneggiamenti agli argini di fiumi, fossi e canali o alle siepi erano certamente eventi abbastanza frequenti.46 La prima metà dell’Ottocento, con la crisi delle manifatture laniere, segnò il declino dell’allevamento ovino nel Veneto. Ciò non significò l’abbandono della pratica della transumanza, che ebbe modo di prosperare almeno fino allo scoppio della prima guerra mondiale, quando gli eventi bellici sconvolsero l’altopiano.47 Con la Grande Guerra, molte famiglie montane dovettero abbandonare le loro abitazioni e i loro pascoli per cercare rifugio in pianura, iniziando così a diffondere forme di allevamento a carattere maggiormente stanziale. Poi, lentamente, ma inesorabilmente, questa antica attività si trovò infine a scontrarsi con la modernizzazione delle strutture economiche, soprattutto nel secondo dopoguerra. L’industrializzazione in pianura, lo sviluppo della rete dei trasporti, la nascita dell’economia del turismo e un sempre maggior consumo di carne bovina, ha reso sempre più problematica la sopravvivenza stessa della pastorizia, almeno nell’Italia Settentrionale.48 Quella dei pochissimi pastori che sono rimasti oggi è un’altra civiltà, che cammina ancora con le gambe degli uomini, non delle macchine, ma per questo destinata, purtoppo, a scomparire. 43 Arch. Stato Vicenza, Estimo, b. 1384, 27 v 44 W. Panciera, I pastori dell’Altopiano: transumanza e pensionatico, in Storia dell’Altopiano dei Sette Comuni, Neri Pozza Editore, pag. 421 45 Ibidem, pag. 439 46 Ibidem, pag. 440 47 Ibidem, pagg. 444-445 74 12. GLI ESTIMI Uno dei compiti più impegnativi e delicati che spettavano ai Comuni, nei secoli scorsi, era quello dell’estimo, cioè della stima dei beni in possesso dei singoli cittadini, allo scopo di applicare le tasse relative. Negli estimi generali del 1544-1564 e del 1665 vengono riportate notizie limitate ai beni dei Territoriali e dei Nobili Veneti del posto, in quanto essi soltanto, a quel tempo, erano considerati soggetti fiscali. In genere, quindi, erano le proprietà fondiarie (agricole) che venivano tassate, mentre le abitazioni quasi non rivestivano un reddito, essendo ritenute parte integrante della conduzione dei campi. Il registro più antico, dal quale si possono ricavare preziose informazioni sul territorio di Villaga, è il “Balanzon dell’estimo di Barbarano e delle sue ville”, risalente al 1544 e consultabile presso l’Archivio di Stato di Vicenza. Dalla lettura (non semplice) delle pagine di questo documento, vediamo che la maggior parte delle terre apparteneva a poche famiglie, e specialmente ai conti Barbarano a Toara e Belvedere, ai nobili Godi, Loschi, Molini e Nievo a Villaga; una parte non disprezzabile apparteneva poi alle congregazioni religiose quali le monache benedettine di S. Caterina e quelle di Ognissanti di Vicenza, o alla Commenda di San Silvestro, dei Cavalieri di Malta. I beni dei conti Barbarano a Toara A Toara, il conte Carlo Barbarano, nel 1544 possedeva, oltre alla casa dominicale (che sarà poi trasformata in villa verso la fine del ‘500), sei case e centinaia di campi. Riportiamo il testo del catasto con la descrizione dei beni:49 “una casa dominicale con colombara, due teze de copo de cassi 19, con corte, orto, brolo de circa 20 campi, quasi tutti in monte, piantà de vide e arbori e frutari in Tovara;…item (poi) una caseta con teza de cassi 5 in Tovara con poco di terra piantà con 5 morari; item un’altra casa de copo da lavoratori, con muraglia, ara e mezo campo, in Tovara apresso la giesa (chiesa); item un’altra caseta de copo 48 Ibidem, pag. 448 49 Arch. Stato Vicenza, Estimo Balanzon del Vicariato di Barbarano, b. 16, ff. 66r e v, 67r e v 75 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO con orticello apresso la giesa; item una casa cupata con teza de cassi 4 con ara, orto e con un’altra caseta de copo in dette pertinenze; item una casa con teza de cassi 2 de copo, ara, orto e brolo piantà de morari in contrà della Fontanella; item una casa de copo con teza de cassi 4 con altra caseta de copo sul monte in contrà Casa Larga (Cà Larga), con ara, orto e brolo”. I Barbarano avevano terreni in varie contrade: del Cengio, della Croce, Casare, Salgan, Tribolo, Paltana, Casamenti, Piscina, Pianca, Quagli, Fontana, Fornasigle, Palusello,Vignola, Cà Rossa, Campagnola, Savonega, della Costa, del Bosco; inoltre disponevano di“50 campi a Roncasso, vicino al Ponte delle Botti, in pertinenze di Vilaga, e campi 25 paludosi in deto loco con casa de pagia”. Vent’anni dopo, nel 1564, Alessandro, figlio di Carlo, dichiarò il possesso di una casa con sala grande, murà e cupà, con guarda camera, con canipa (cantina), con la scala di pietra rivolta verso il cortile (parti tuttora presenti nella villa dei Piovene).50 I beni del Comune di Villaga I beni dei conti Barbarano a Belvedere e a Villaga Anche il Comune di Villaga disponeva di alcuni beni:54 “campi cinque e mezo prà paludivi in contrada Fogomorto del valore di ducati 27 e mezzo; campi cinque de prà in contrada del Fasan; campi dieci di bosco a Pozolo di Vilaga in contrà di Calto; una camara con camin senza solaro, murà, cupà, messa in Viraga nella contrà delle Piazza”. I piccoli proprietari Pochi erano i piccoli proprietari che possedevano modesti appezzamenti. Fra questi troviamo Battista Brusolaro da Villaga che dichiarava al catasto“una caseta da copo, un casoto de pagia e un pezo di terra in monte sopra Vilaga piantà de vide e arbori”.55 Poi una nota del 1564 ci segnala la costruzione da parte del Brusolaro di “una camara murà, cupà senza solaro, atacata alla casa vecchia, con una sezonta da copo, posta nella contrà della giesa” (chiesa).56 I fratelli Dominigo e Mathio (Domenico e Matteo) in Villaga possedevano “una casa da copo con teza da pagia e casi quatro, ara e orto in contrà Noseo; campi quattro di terra in monte piantà de vide e arbori con morari 15; mezo quartiero di terra zapata con 23 piedi di ulivi (23 piante); campi tre e mezo boschivi e vegri in sul monte de Vilaga”.57 Gli eredi di Giovanni Barbarano, figlio di Montano III, dichiararono di essere in possesso di svariati beni, che la prof. Maria Grazia Bulla Borga ha così sintetizzato: “quarantacinque beni immobili situati al Roncasso, in territorio sia di Villaga che di Sossano; altri trenta beni immobili in Villaga, località Fogomorto; il Castello di Belvedere con il Serraglio, altre sette case e appezzamenti vari sempre a Belvedere e una casa con oltre cento campi in Sajanega”.51 Ma vediamo di conoscere meglio questi beni descritti nell’estimo:52 “…una casa dominicale con colombara e teza con corte e orto, con campi 110 intorno, tra arativi e brolo e orti, campi bassi mezo paludivi, parte piantà de vide e arbori e parte no, in Belvedere, chiamata el castello”. Una casa di copo con teza, cassi sei, ara, orto, in contrada S.Tibaldo con campi 130; una caseta da copo con ara in contrà della Crose; un’altra caseta da copo in contrà della Piazza a Belvedere; un’altra casa con teza, cassi cinque da copo, per lavoratori con ara, orto anch’essa in contrà della Piazza a Belvedere; un’altra casetta con una teza di cassi due e mezzo ancora in contrà Piazza; un’altra caseta con mureta con orto, presso la chiesa; poi due case con cassi nove con due teze da copo, una vicina all’altra, con ara, orto e brolo in contrada Crocifisso, si affitta per ducati dieci, ha valore di ducati dosento (200); alle soprascritte case vi sono campi 29. Nel catasto sono poi annotati miglioramenti apportati nell’anno 1564 al Castello e in “una sua casa con colombara, murà e solarà, e ad un’altra casa contigua alla detta colombara di cassi due di teza murà, cupà e canipa (cantina), con colombara in Belvedere presso la strada al Capitello” (presumibilmente l’attuale casa Castagna).53 1. Conte Licurgo Losco 2. Angela Montagnana Regaù 3. Paulo Mattiello 4. Conte Guido Bissari 5. Conti Gabriel e frat. Porti 6. Conte Giulio Barbaran 7. Conte Alessandro Trenti 8. Conte Francesco Garzadore 9. Vincenzo e Emilio Arnaldi 50 Ibidem, b. 16, f. 67v 51 M. G. Bulla Borga, I nobili Barbarano Mironi, pag. 40 52 Arch. Stato Vicenza, Estimo b. 16, ff. 73-74 53 Ibidem 54 Arch. Stato Vicenza, Estimo, b. 16, 513r/183 55 Arch. Stato Vicenza, Estimo, b. 16, f. 500/170 56 Ibidem 57 Ibidem 58 Arch. Stato Vicenza, Estimo b. 329, f. 876 e seguenti 76 L’Estimo dell’anno 1665 Nel successivo registro dell’estimo del 1665 vediamo definirsi meglio le proprietà. Riportiamo l’Estimo con i proprietari e le relative polizze che indicavano le valutazioni dei terreni.58 577.17 Ducati 61.10 14. 3.4 45.6 58.5.1 5.237.10.1 88.16 349.15.5 419.5.7 77 CAPITOLO QUINTO 10. Conte Lodovico Barbaran 11. Attilio Capasanta 12. Conte Barbaran Barbarani 13. Conte Giacomo Velo 14. Conte Orazio e fratelli Godi 15. Pio Ospital di S. Marcello 16. Rev. Monastero d’Ogni Santi 17. Zuanne e fratelli Pellizzari 18. Pietro Redetti 19. Paolo e frat. Librati 20. Franco Bonicello 21. Gio. Maria di Zanini 22. Agostin Frescurato 23. Alvise Losco 24. Franco Bertuzzo 25. Vicenzo Pizzo 26. Pietro Godi 27. Maddalena e Luca Donzello 28. Marin Dei Marchi 29. Mattio Di Signori 30. Lazaro Bertuzzo 31. Gio. Domenico Frescurato 32. Giacomo Carampin 33. Gio. Andrea Cavazzola 34. Girardo Rosa 35. Ghirardo Frescurato 36. Gio Batta Trevisan 37. Gasparin Giacomello 38. Girardo Zanini 39. Girardo Mistrorigo 40. Lodovico Vanetto 41. Cristoforo Brunello 42. Bernardo Fanin 43. Bortolo Cappa 44. Gio Maria Scarenzin 45. Andrea Di Bianchi 46. Gasparo Limonato 47. Franco Fiorini 48. Conte Camillo Barbaran 49. Alfonso Godi 50. Isabella Danieli 51. Pellegrin Fattore IL PERIODO VENEZIANO 1137.16 171.12 188.14.5 104.2 2003.7.7 136.13 462.10.2 162.9.10 1502.2.5 11.17.6 53.2 341.0.2 5.17 123.8.1 15.6 69.6.3 711.2.2 29.16.3 4.5 34 7.15.3 63.15.10 469.15.9 224.10.108 17.8.12 10.7.32 33.13.6 56.8.5 26.19.5 111.15.35 62.18.8 33.13.26 55.2.11 20.15 22.12.5 58.6.6 17.17.2 81.2 600.3.5 262.11 169.8 6.1.2 52. Batta Ronzan 53. N.H. Montan e frat. Barbaran 54. Bortolo Frescurato 55. N.H. Niccolò Marcello e Niccolò Magno 56. N.H. Cesare Ferramosca 57. N.H. Ferigo Dolfin 58. N.H. Andrea Soranzo 59. N.H. Pietro Molin 60. Conte Giobatta Barbaran 61. Monastero di Santa Caterina 62. Chiesa parrocchiale di Villaga 63. Vicenzo Taverna 64. Chiesa Beni Commenda di Villaga 61.7.8 3367.14 20.9.4 703.10 2293.17.8 2079.18 165.02 1772.15 2612.15.5 507.17 297.5.5 3 546.6.6 Dal riscontro dei dati, osserviamo che la maggior parte del territorio di Villaga apparteneva a una decina di famiglie: al conte Giulio Barbarano (maggior possidente), ai nobili Montano e fratelli Barbarano, a Giobatta Barbarano, al conte Orazio e fratelli Godi, al conte Lodovico Barbarano, a Pietro Redetti, ai nobili Cesare Ferramosca, Ferigo Dolfin, Pietro Molin. L’Estimo comunale del 1703 Prima di passare ad analizzare l’estimo comunale del 1703, vediamo di definire le caratteristiche delle abitazioni dei nostri paesi. Con l’estimo del 1703 anche le case, come i campi, vengono considerate fonte di reddito e pertanto vengono tassate. Al computo del reddito e della relativa tassazione erano chiamati gli “estimatori”del comune che rilevavano sul posto gli elementi utili alla classificazione degli edifici. Innanzitutto l’architettura del fabbricato: se murata (in muratura), cupata (col tetto in coppi), solarata (con il solaio in legno); il numero delle camere, il tetto (se di paglia o in cotto); gli annessi rustici, se c’erano: la caneva, la stalla, la teza (il fienile) col numero di cassi (era il nome che si dava ad una delle parti in cui era suddiviso il fienile, generalmente tra pilastro e pilastro), il portico, il pollaio, il porcile, la “sezonta” (dal dialetto sezonta=aggiunta, in genere una tettoia), i casoni di paglia con il serraglio. Poi si verificava se vi erano: il “cortivo”(il cortile), l’ara (l’aia), la “muragia”(il muro di cinta), il forno, che quasi ogni famiglia possedeva; infine l’aspetto agrario: l’orto e gli “arbori” (alberi) attorno casa, e in particolare i morari (gelsi) annotati per numero, poiché producevano reddito.59 Il valore medio di questo tipo di abitazioni, con un po’ d’orto, era di 36-40 ducati, che aumentava a 50-60 se la casa aveva anche il fienile e l’aia. Per case 59 R. Franchetto, C. Bressan, Villa del Ferro dentro la Val Liona, Giovani Editori, 2001, pag. 137 78 79 Fattoria Montesello a Belvedere. Casa Mazzucco a Quargente. Casa Cichellero (un tempo Cà Vaienta) a Belvedere. Casa Gianesini a Quargente. Il portico è datato 1704. 80 81 CAPITOLO QUINTO di queste caratteristiche, date in affitto, si pagavano dai 6 ai 12 troni, a cui andava sempre aggiunta un’onoranza consistente in un paio di galline o di pollastri. Se proprietari erano chiese o conventi, l’affitto o il livello veniva corrisposto, a volte, in natura, cioè in staia di miglio e di sorgo o di frumento.60 Catalogazione a parte meritava il casone 61, tipica costruzione veneta frequente nelle nostre campagne fino a pochi decenni fa, composto di solito da un’unica stanza, costruita “con mattoni legati a calce o con terreno cretoso, un tetto di paglia e di canne lacustri, appuntito e sostenuto con un intreccio di pertiche; un pavimento in terra nuda, con qualche pietra per battervi la legna da rompere con la mannaia”.62 “Pur essendo poverissime – osserva lo studioso di storia veneta Ivone Cacciavillani – erano pur sempre “costruzioni” e come tali erano regolarmente censite negli estimi agrari, accanto alla “casa” e alla “teza”; ma per le case si devono intendere (negli estimi veneti) i tuguri …perché quelle che noi oggi definiamo “case” erano negli estimi censite come “casa granda de muro”.63 Per quanto riguarda il valore di stima dei casoni, esso si aggirava mediamente sui 14 ducati, mentre l’affitto era fissato sui tre ducati.64 Essi erano abitati presumibilmente dalla manodopera bracciantile, certamente molto più povera della famiglia contadina che risiedeva nelle case da lavoratori. Ben più consistenti infatti erano le abitazioni dei coloni, cioè le “case da lavorador”, come vengono chiamate negli estimi. Di proprietà di famiglie nobili, erano sempre in muratura, con solaio e tetto in coppi. A volte avevano la cantina e il portico, mentre il forno era sempre presente. Incorporata poteva esserci la sezonta, anch’essa in muratura. Staccate vi erano le tezze da più cassi, tutt’attorno la corte, l’aia, l’orto, il brolo, dove predominavano i gelsi. La stima di queste abitazioni variava dai 90 ai 150 ducati.65 IL PERIODO VENEZIANO Antico forno di Casa Panarotto. L’8 dicembre 1700 si riunisce la General vicinia nella casa comunale di Villaga per la revisione dell’estimo del 1660, non più rinnovato “causa molti reclami de particolari soggetti al medesimo estimo, e così molti riconosciuti meritevoli di applicazione”.66 Per far ciò vengono scelti due notai: Zuanne Franceschini e Gio. Antonio Carampino. Poi si passa all’elezione di tre estimatori, uno per il colonnato di Villaga, uno per Toara e Belvedere, un altro per il colonnato di Pozzolo, con l’assistenza di due consiglieri. Dopo la votazione, 45 balle vengono contate nel Il pozzo Bellan a Belvedere, già documentato nel ‘600. 60 N. Sborgia, Paesaggio agrario e regime fondiario, in Costozza, Cassa Rurale e Artigiana di Costozza e Tramonte- Praglia, 1983, pag. 497 61 Secondo P. Tieto, I casoni veneti, Padova, Panda 1981, pag. 45, il termine “casone” è una derivazione accrescitiva della parola casa, colta nel suo senso etimologico più popolare di abitazione di campagna, di capanna; si tratta perciò di un’edilizia povera, realizzata utilizzando le risorse locali: paglia e canne lacustri. 62 R. Ferrarese, Cavarzere attraverso i tempi, Vigorovea, La grafica, 1973, pag. 104 63 I. Cacciavillani, Le leggi veneziane sul territorio 1471 – 1789, Signum edizioni, 1984, pag. 87 64 N. Sborgia, op. cit. pag. 497 65 Ibidem 66 Arch. Stato Vicenza, Estimo b. 1384, f. 3 e seguenti 82 Casa Tapparo ora Giacomuzzo in via Longhe a Toara. 83 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO bozzolo bianco (i voti favorevoli) e 10 nel bozzolo rosso (i voti contrari). I nomi degli estimatori risultano essere: per Villaga Andrea Giacomuzzo; per Toara e Belvedere Giobatta Bechello; per Pozzolo Lorenzo Bettio. Dopo tre anni di lavoro, nel 1703 l’estimo viene rivisto e approvato dall’organo comunale. Vediamo di conoscerne i contenuti.67 Bernardo Danielli disponeva di “un sedime con casa murà, cupà con cassi due di teda e stalla, con forno e sua porzion di canevaro; campi 5 e mezzo di terra arativa, con vide e arbori e due morari, in contrà delle Quarniente”. Più tardi, nel 1736, nel catasto viene riportata la nota dell’acquisto di “7 campi e mezzo arativi da Antonio Cavalon”, sempre in contrà Quargente. Mattio Pasquale aveva “un cason coperto di pagia in contrà delle Quarniente con campi uno e quarti due e mezzo”. Zuanne Guerrato godeva di “una casa murà, cupà, solarà con camere, caneva, teza, stalla, portichetto, forno e punaro con corte, parte sarà da muro, compresa la casa che era di Ghirardo di Zanini, in contrà delle Quarniente, con mezo campo di brolo dietro la casa apresso la strada comunale e il Gordon. Anno 1708: cresce per una camera e teda fabbricata di novo. Poi 5 campi di terra arativa in contrà appo il Gordon; anno 1720: ampliati la caneva e il granaro”. Antonio Guerrato fruiva di “una casa murà, cupà di due camere fatte da novo, un cortivo parte sarà da muro con frutari in contrà delle Quarniente, vicino a Zuanne suo zio”. Gli eredi di Vicenzo Guerrato possedevano: “una casa murà, cupà, solarà, con caneva, forno, ara, orto e campi 3 arativi presso il Gordon in contrà delle Quarniente”. Nicolò Pagello disponeva di “tre quarti di terra arativa piantà de vide e arbori sopra li quali vi è un cason coperto di paglia in contrà delle Quarniente presso il ghebbo (canale) del Gordon”. A Quargente vi era anche un campo posseduto dalla Fraglia di Agugliaro; anche l’Ordine del Santo Sepolcro di Sossano deteneva due campetti a Quargente. Zuanne e Pietro Di Mani disponevano di“una casa murà, cupà, solarà con diverse camere, con teza, stalla e portico, ara, canevaro in Belvedere, vicino alle proprietà dei nobili Barbarano; poi campi 6 di terra arativa in Belvedere in contrà della Fratta e del Bosco, compreso il campo che tengono a livello (in affitto), et era del conte Gio. Barbarano”. Dominico Mazaron possedeva “una casa murata, cupata, solarata con camere 3, compresa la bottega, forno e orto, mezo campo di terra arativa con piante giovani, frutari e due morari; poi due campi e mezo terra arativa piantà in contrà delle Quarniente”. Antonio Trivisan, livellario dei nobili Barbarano, aveva “una casa murata, cupata, solarata, forno con sezonta (barchessa) coperta di paglia, ara, orto e canevaro in Belvedere in contrà del Pozzo del Bellan”. Colonnato di Villaga I proprietari di beni (case e terre) erano: Mattio da Soghe, Batta Marangon, Nicolò Contin, Lodovico Tomasi, Antonio Donaello, Pelegrin Fattore, Andrea Gaspari, Carlo Rapo, Antonio Bettio, Zuanne Rapo, Mattio Capa, Mattio de Signori, Pelegrin Breganzato, Orazio Chierego, Lodovico Di Grandi, Piero Pollo, Marco Di Grandi, Zuanne Fattore, Bortolo Fiorin, Prospero Simonato, Pietro Speroto, fra’ Bortolomio Trevisan, Domenico Maran, Francesco Gatton e gli eredi di Zuanne Mambrin. Vediamo che cosa possedevano gli ultimi quattro proprietari dell’elenco. “Fra’ Bortolamio Trevisan, eremita, possiede e riconosce dal comun di Villaga li beni: un campo in circa di terra montuosa, era vegra, in Toara in contrà detta del Cengio de Bechetto d’ove lì ha fabbricato una celletta et li consilieri in occasione anco della vicinia la concessero licenza di fabricar a svegrar alla terra e piantarla e pagherà ogni anno da S. Martin lire una di denaro”. Domenico Maran possiede “una casa di due stanze picciole coperte da copo con cason coperto di pagia, forno coperto di pietra, con pocco d’ara in contrà di Nizzon”. Francesco Gatton possiede “una casa murà, cupà, solarà, forno, ara con un moraro e canevaro in Villaga in contrà della Cà Rossa; campi uno circa di terra arativa, zapativa, piantà de vide e arbori appresso a detta casa”. Gli eredi di Zuanne Mambrin possiedono “campi tre di terra arativa, zapativa in contrà Cà Rossa; un sedime con casa murà, cupà, solarà, stala, tedeta, ara, forno in contrà di Noseo con campi uno quarti due di terra arativa piantà di vide et arbori e morari; poi campi 4 terra arativa, zapativa, piantà de vide e arbori e montuosa, sempre in contrà Noseo, presso la stada comunale a due lati, lo scaranto, detti Mambrini”. Colonnato Belvedere- Toara A Belvedere e Quargente i proprietari erano: Michiele Pomaro, Dominico Pomaro, Bastian Zambonin, Mattio Pasquale, Bernardo Danielli (Danieli), Zuanne Guerrato (Guarato), Antonio Guerrato, Vicenzo Guerrato, Ghirardo Zanini, Benetto Casaro, Bortolo Pollari, eredi Bernardo Zonato, eredi Bortolo Garbin, Zuanne e Pietro Di Mani (De Mani), Dominico Mazaron (Mazzaron), Antonio Trivisan, Nicolò Pagello, Nicolò Frizzo, Girolamo Polatto. A Toara i possidenti erano: Antonio Di Grandi, Dominico di Grandi, Silvestro Di Grandi, Stefano Di Grandi, Zuanne Di Grandi, Giacomo Rapo, Batta 67 Ibidem 84 85 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO Bertuzzo, Piero Bertuzzo, Lazaro Bertuzzo, Paolo Faccio, Antonio Giacomuzzo, Francesco Priante, Andrea Muraro, Paolo Zago, Dominico Vaneto, Sebastian Vaneto, Anzolo Vaneto, Antonio Di Mani, Gregorio Zanonato, Martin Di Marchi (De Marchi). Gli eredi di Antonio Di Grandi possiedono “una casa murà, cupà, solarà, di camere 3 in contrà della Chiesa con corticella (piccola corte), orto e un moraro che era della chiesa”. Giacomo Rapo dichiara “una casa murà, cupà, solarà con pozolo (poggiolo) e muraglia, ara, brolo con poche vide e poco terreno montuoso in Toara in contrà della Piazza, confinante a due parti col conte Alessandro Barbaran”. Paolo Faccio possiede “una casa murà, cupà di 2 camere con un solaro, forno, ara, orto in contrà della Zonata a Toara; poi campi 1 di terra piantà de vide e arbori presso la casa “Il Prà” del signor conte Barbaran; campi 1 e un quarto di terra in contrà della Longa; poi altri 3 campi di terra prativa sempre in contrà della Longa”. Nel 1791 Faccio Giobatta dichiara al catasto “una casa fabbricata da novo con due camere terrene e due superiori”. Antonio Giacomuzzo dispone di “una casa murà, cupà, solarà, forno e ara, con terra arativa piantà de vide e arbori e zapativa con un moraro in Toara appo (presso) il trozo che va al monte, vicino alla chiesa di Toara; poi campi 2 e mezzo di terra arativa e boschiva in contrà della Vignola detta la Guastura; 1 campo di terra montuosa in contrà delle Valeselle (Riveselle), vicino al conte Barbaran”. Martin fu Domenico Di Marchi possiede “una casa murà, cupà, solarà, caneva, portico, teza, stala, forno, ara, orto in contrà della Costa di Tarche, sopra Toara; poi 3 campi di terra montuosa alle Tarche; poi 4 campi vegri sassosi e parte inutili in contrà della Vignola e del Cengio; poi 4 campi di terra arativa con alcuni olivari in contrà della Riva; poi 3 campi di terra vegra e inutile sotto casa; ancora 9 campi di terra arativa vide e arbori in contrà Tarche; campi 2 arativa nominati San Pierolo, confinanti con proprietà del conte Alessandro Barbaran; poi campi 1 e un quarto di terra prativa alle Tarche nominata La Pilla”. piantati a vite e alberi in contrà Salgan detti li Quagli; 16 campi arativi e di viti nominati le Paltane lungo la strada dell’Albaria (lo stradone); 30 campi prativi detti il Prà Grande, sui quali la chiesa di Toara riscuote la metà del fieno; una casa di lavoratori in contrà di Caovilla con un campo di terra, orto e prato; 10 di terra arativa e viti detti Verlati vicino alla strada comunale e alla fontana Piscina; 34 di terra arativa e viti in contrà del Montesello; 50 di terra arativa, viti e alberi detti L’Albaria, presso la strada Regia (l’attuale strada provinciale Berico-Euganea) e l’Albaria; 10 arativi a Ponte Alto detti li Gordoni; 3 e mezzo arativi e viti detti le Faustine in contrà Longhe; 8 tra contrà Costa e Riveselle; 30 di terra boschiva, vegra e inutile chiamata il Borgo Grande, tra Boccadorno e Riveselle; 50 arativi e boschivi sopra il monte alla Ca’ Larga; altri 16 montuosi e boschivi sopra Toara; altri 11 boschivi detti le Soldane; 8 di terra montuosa boschiva con olivari, viti e alberi in contrà di Grumolo, sotto la Ca’ larga, appo li monti di Comun, compresa parte de prativi, ove era una casa distrutta; 100 prativi, sassosi, parte inutili sopra Toara, sopra li Scorzoni”. I nobili Ferramosca alle Alture possedevano 150 campi prativi-pascolivi; poi una casa di lavoratori con stalla, teza, portico, vicino alla Seonega; altri 16 campi arativi, prativi con casa di lavoratori alle Alture; altri 6 campi arativi a Quargente. I conti Giobatta e Francesco Barbarano erano proprietari di: “40 campi con casa di lavoratori, arativi e viti presso il Crocefisso di Belvedere; 42 campi arativi e viti in contrà del Crocifisso presso la strada Regia; 4 campi arativi in contrà del Casamento; 60 campi arativi e prativi con casa di lavoratori in contrà di Sant’Ubaldo (nei pressi dell’ex casello ferroviario di Belvedere); 14 campi di viti e alberi detti La Valle vicino alla Seonega; 36 prativi a Fogomorto detti le Vescovà; ancora 6 campi a Fogomorto detti le Paluselle; 95 arativi con viti e arbori, con casa di lavoratori, teza, portico, caneva e corte in contrà di Roncasso detti la Possessione di Roncasso; 2 campi e mezzo prativi con morari in Villaga detti il “Prà Longo”. Al conte Montano Barbarano e ai nipoti appartenevano i seguenti beni: “una casa di lavoratori con cassi 5 di teza con camere 2, ara, orto in Belvedere, dentro il Serraglio; una casa da lavoratori con colombara e teza da boaria, disgiunta da detta casa, presso la strada che va dal Castello e dalla chiesa al Crocifisso; una casa murata, cupata, in contrà del Pozzo di Bellan con corte e orticello; una casa da brazente (braccianti), murà, cupà, con cortesella, orto, abitata da Iseppo Todaro con campi 2 di terra vicino ai campi di Zuanne Di Mani; altra casa da brazente era abitata da Antonio Roeto in Belvedere con campi 2; una caseta murata, cupata in Belvedere, abitata da Girolamo Venturin con un campo di terra; altra caseta murata, cupata in contrà del Casamento con ara e ortesello con mezo campo; una casa murata, cupata, solarata con portico, ara e mezo campo di terra arativa, abitata dal Priante Marangon; caseta de brazente 1 camera con teza vicino a Zuanne De Mani; un’altra caseta di 2 camere abitata da Albino Muraro; un’altra casa Le proprietà nobiliari e delle congregazioni religiose Agli inizi dell’Ottocento la famiglia con maggiori beni risultava casa Conti Barbarano di Toara.68 Bernardin Conti Barbarano dichiarava di possedere un lungo elenco di proprietà: “63 campi di risara e prativi presso la Seonega e la campagna di Salgan; 17 campi prativi e in parte a risara in Ronca e Frasca; 14 campi parte risara detti li Paluselli; 13 campi di terra arativa li Broli; 8 campi e mezzo di terra arativa detti li Scorzoni; 4 campi di terra arativa attorno alla villa; 10 campi arativi in contrà Pilla detti le Barbarane; 52 campi di terra arativa presso la Seonega, ove è fabbricata la casa con la pilla da riso, vi è la risara e la fossa detta il Salgan; 21 campi arativi 68 Arch. Stato Vicenza, Estimo b. 1384 86 87 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO murà, cupà, con poca terra, contigua a detta casa verso il pozzo di Bellan; diverse case con stanze diverse e cadenti in Belvedere, in contrà della Piazza ove è presente l’immagine della Beata Vergine e di S. Iseppo, una di queste abitata da Bastian Orlando; un’altra casa in Belvedere in contrà della Piazza di camere 3 compresa la bottega del fabbro e un quartiere di terra arativa; un cason di camere 2 con muraglia coperta di paglia con quartiere di terra arativa; un cason di paglia con orto e campi 2 e mezzo in contrà della Frascà; 4 campi di terra arativa e viti in contrà della Frascà; campi due arativi in contrà Caneva o Armelinaro; campi 3 in contrà Frasca sopra i quali vi è un cason di paglia con forno; campi 5 di terra arativa in contrà delle Strette dentro ai quali passa il Condusello che va nella Seonega; campi 16 di terra arativa in contrà Ponte Alto del Gordon detti il Tereto; 4 arativi in contrà Canova; campi 7 arativi erano beni “Marcelli”, (cioè dell’ospedale di S. Marcello di Vicenza che accoglieva i bambini orfani e abbandonati); campi 8 arativi e viti in contrà del Ponte di Bologna; 30 campi arativi e viti nominati la Campagnola dell’Albaria, presso la strada comune che va a Sossano; 31 campi detti le Frascà, il Vegron e l’Armelinaro, presso la strada della Seonega; 22 campi con casa sopra murà, cupà, con camere, teza, stalla, corte, al Ponte di Bologna”. I nobili Vicenzo e Antonio Molin erano possessori di :”98 campi di terra prativa, paludosa e risara al Ponte Bologna detti la Risara del Fasan; 32 campi arativi e prativi con casa di lavoratori in contrà della Volta del Fiume e Roncasso, presso la strada Regia; 50 campi di terra arativa, viti e arbori con casa sopra di lavoratori in contrà della Volta del Fiume; 5 campi con casa dei lavoratori detti li Casamenti in contrà del Poigo; 52 campi di terra paludosa, risara detta la Risara del Trò”. “Zorzi Zorzi, in luogo dei nobili Redetti, avevano 102 campi di terra arativa, prativa, viti e alberi e parte vacua con casa di lavoratori con camere, stalle, teze e colombara e corte in contrà del Ponte di Bologna, nominati la Possession della Colombara Quadra; campi 28 in contrà Fogomorto, presso il Ghebbo del Siron; una casa di lavoratori con camere, granai e stalle, in contrà Ronca con 6 campi; casa murata, solarata e forno con campi 2 in contrà Costa Broglia; 30 campi in contrà Ronca detti le Polverare”. Domenico Carampin e fratelli disponevano di “casa murara, cupata, solarata, diverse stanze con stalle e colombara Tonda con corte e orto e campo 1 terra prativa detto la Colombara Tonda, presso la strada Comune; 60 campi in contrà Colombara con casa e teza tra Belvedere e contrà Oche; 16 campi in contrà delle Malerbe”. Gli eredi di Leonardo Loschi e fratelli potevano contare su “una casa murà, cupà con stalla e colombara con campi 7 arativi in contrà di Pagnaga a Villaga; 15 campi detti il Prà di Pagnaga; 19 di terra arativa con piante giovani ancora a Pagnaga; una casa murà, cupà e solarà sopra campi 7 detti il Paradiso”. Il conte Massimiliano Godi possedeva a Villaga“una casa di molte camere, barchesse, granai, teze, stalle e colombara su campi 15 di terra arativa e viti nominati “il Casermon” (l’attuale fattoria di Gervasio Bruttomesso); due case, una in contrà della Chiesa chiamata il Fransegolaro; 14 campi a Pagnaga detti le Malerbe; 6 campi a Caovilla; una casa in contrà Fontana Calda; 35 campi a Fontana Calda detti le Mandolare; altri 37 nella stessa contrada; 8 di terra paludosa vicino risara; la possessione di 45 campi con casa in contrà del Ponte di Bologna detta il Barco; la possessione di 65 campi presso la strada comunale; campi 7 in Costa Broglia; campi 8 in contrà Ronca; campi 6 con casa da lavoratori in contrà delle Oche; altra casa murà e cupà in Prior di Vagina, poi altri terreni qua e là di pochi campi”. La Commenda di S. Silvestro era in possesso di “una casa dominicale con il commando per la boaria fabbricata sopra campi 7 arativi, zapativi piantà de vide e arbori chiamati il Braglio in contrà della Mason; poi 3 campi piantati a vide in Noseo; 1 campo e mezo di terra arativa nominata il Zaffrano; campi 2 di terra arativa montuosa con olivari in contrà detta Ca’ Brunona; 1 campo con olivari in contrà S. Silvestro; 1 campo prativo in contrà Fontana Calda; 12 campi di terra arativa in contrà Ronca; 4 campi di terra arativa in contrà Canova; 12 campi arativi presso Fogomorto e altri piccoli appezzamenti sparsi in varie contrade; poi una casa murata, cupata di diverse stanze con una corte (Mason di Sotto) situata sopra 4 campi prativi piantà de vide, arbori e frutari; campi 10 prativi in contrada Pagnaga; altra casa murata, cupata, solarata posta in contrà del Prior di Vagina con 1 campo e mezzo di terra e vide”. Le Reverende Madri di Santa Caterina di Vicenza erano proprietarie di “una casa murata, solarata, cupata, tede, stalle, portico con la boaria in contrà Oche (l’attuale villa Bruttomesso Armando e Mario); campi 28 in contrà Oche; una casa murata, cupata con camere, granai e stalle in contrà S. Donato; campi 8 detti Val di Casa; campi 3 sopra Val del Carbon; campi 16 boschivi con castagnare e carpani detti la Babboina”. Alle Reverende Madri di Ognissanti di Vicenza appartenevano “una casa murata, cupata, solarata in contrà del Capitello, con un campo di terra brolina presso la strada comune; 4 campi le Albare; 7 sotto il Braglio e sopra la strada Comunale; 2 presso la chiesa di Villaga detti il Tarabuso; 2 a Ronca, altri 2 alle Polverare, altri 2 in contrà Pilla; poi campi vari alle Imole, a Fogomorto al Prà Sacolin (15 campi); poi 4 campi al Noseo con olivari; una casa murata, cupata, solarata con campi 1 in contrà della chiesa di Villaga”. Anche il Principe di Venezia, cioè il Doge, aveva una piccola proprietà di 5 campi e un quarto in contrà della Vagina, confinanti con quelli delle Madri di Ognissanti. 88 89 CAPITOLO QUINTO 13. GLI ATTI NOTARILI I TESTAMENTI Il primo testamento che riportiamo è quello redatto dal nobile Godo Godi nella sua casa in contrà S. Faustino a Vicenza in data 25 luglio 1404.69 Questo atto ci interessa perché il testatore, tra le sue disposizioni, lascia alcune somme di denaro ad alcune chiese, tra cui quella di S. Michele Arcangelo di Villaga “per le riparazioni” di cui avessero bisogno. Ai figli maschi: Giudone, Marco e Silvestro lascia un notevole patrimonio fatto di case e terreni, molti dei quali ricompresi nel territorio di Villaga, che ora elenchiamo. A Guidone toccano le clausure di Castelpino e della Croseta di Villaga, tre quartieri di terra in contrà Ronca, due campi di terra prativa in contrà Roncarso (Roncasso), un campo prativo in contrà Fontana Calda. A Marco alcuni beni presenti a Pozzolo, in contrada Cogombola, la possessione di Belvedere e di S. Tebaldo di Toara, sei campi e mezzo in contrà delle Fratte a Belvedere, due campi in contrà Frascà, la clausura di Vaghina (Vagina)con olivari, nei pressi della Croce Nera. A Silvestro vanno la casa in contrà Cavaione a Villaga, una clausura in contrà Basge, sempre a Villaga, un’altra clausura con bosco e olivi in contrà Nosedo (Noseo), una terza clausura di Baxega, ancora a Villaga; quattro campi di terra in contrà delle Fratte; infine tre campi in contrà del Sirone (Siron). Per capire come era fatto un atto testamentario riportiamo per intero quello di don Giovanni Zanini, parroco di Toara, il quale, nel 1697, giacente a letto ammalato, detta le sue ultime volontà al notaio Francesco Zannonato.70 “In Christi Nomine Amen. Anno Domini 1697 – Inditione quinta, giorno di venere 29 del mese di marzo, in Toara, Distretto di Vicenza, in casa dell’ infrascritto Molto Rev. Testatore, presenti il Molto Rev. Sig. Don Giovanni Maitonio, parroco di Campolongo, il Molto Rev. Sig. Don Melchioro Trivisan habitante in Belvedere, il sig. Alessandro Pompei habitante in Sossano, Silvestro Di Grande, Andrea Muraro, Anzolo Bedin, Francesco Bedin, figliolo del suddetto Anzolo habitanti al presente in Toara testimoni rogati. Non essendo cosa più certa della morte, e incerta l’ora di quella: a ciò considerando il molto Rev.sig. Don Giovanni Zanini paroco di Toara, giacente in letto, infermo nel corpo ma per l’Iddio grazia sano di mente, d’intelletto, chiara loquella, di ottima memoria, ne volendo partirsi di questo suolo, senza ordinar le cose sue, e disponer della sua poca facoltà, come segue. Che perciò ha fatto chiamare me infrascritto nodaro, acciò scrivi questo suo ultimo testamento, l’ultima volontà, da esser dopo la lui morte il tutto inviolabilmente osservata e eseguito. IL PERIODO VENEZIANO Et prima di tutte le cose raccomanda l’anima sua al Sommo e Onnipotente Iddio, e alla gloriosa sua sempre Madre Vergine Maria, e a tutta la Corte Celestiale, chiedendo umil perdono de suoi trascorsi, pregando S.D.M compiacersi collocarvi l’Anima sua in loco di salute. Ordina che seguita la sua morte, il suo corpo sia sepolto nella chiesa di Toara con quelle esequie e funerale confacente al suo stato, e conforme parerà all’infrascritti suoi commissari, con sette sacerdoti almeno. Interrogato per termine del mio uffizio, se vuol lasciar alcuna cosa per l’amor di Dio, a chiese, ospitali, o altri luoghi pii, e principalmente al pio Ospedale di San Marcello di Vicenza, ha risposto che, seguita la sua morte, vuole le sii fatto celebrare li quattro offizi di messe, che ordina la chiesa, cioè terzo, settimo, trentesimo, il capo d’anno, con quelli sacerdoti che pareranno alli suoi commissari. Le due pianete, che si ritrova, una della Madonna e l’altra Pavonazza, le quali esso sig. don Giovanni ha fatte fare col suo proprio danaro, e le cossan lire cento e venti, se quelli che havevanno la custodia della chiesa o li governatori delle Fraglie le volessero, le siino date, con obligo che le faccino celebrare messe numero ottanta e non volendole, una di esse le sii messa addosso a lui, e l’altra sii data alli RR. PP. Cappuzzini da Montagnana, con l’obligo che le celebrino messe n° 40. Lascia a Mari Antonio figliolo de Silvestro di Grande le due pezzatelle di terra de un campo e mezo in circa fra tutte due, poste in pertinenze di Toara, in contrà di Capovilla, acquistate per detto testatore col suo proprio danaro, e ciò per la fedel servitù prestatali dal sudetto Silvestro padre di detto Mari Antonio. Dichiara essere creditore di Zuanne Di Grande ducati sedici, delli quali gliene lascia ducati quattro per amor di Dio, e li altri ducati dodici li lascia al sig. Francesco figliolo del sig. Alessandro Pompei. A Silvestro Di Grande li lascia stara quattro formento, item stara tre sorgo turco, che li deve Grigolo Salamon. Un mestello vino col suo caratello. Il danaro che si ritrova havere in cassa, che consiste in ducati cento in circa, de quali ne lascia ducati venti al sig. Alessandro Pompei, e ducati dieci al molto Rev. Sig. Don Giovanni Maitonio, che le celebri tante messe, e il rimanente dovrà servire per pagar gravezze et altri che occorreranno. Più lascia al sudetto sig. Alessandro Pompei la tavola tonda, la cassa di nogara che sono nel salon, due secchi e il secchiello da man. A Lucrezia Bruna sua serva le lascia un sacco di formento, un mestello vino con il carattello, un caldirolo di rame, una schiavina usada, e due linzoli, uno nuovo e uno usado, e una cadena de fogo. Alla chiesa di Toara, sine al parroco, che pro tempore serà lì lascia certa pocca terra, da esso acquistata per troni ottanta, posta in pertinenze di Toara sudetta, di sopra dalla chiesa, con obligo di celebrarli o farli celebrare perpetuamente messe tre all’anno. Alli suoi più prossimi e più poveri parenti li lascia ducati otto e un paro lincioli, e se trovasse sopra di ciò contese e cavillazione, non habbiano cosa alcuna, ma siano di detti danari e lincioli fatte celebrar tante messe nella chiesa di Toara per l’anima di detto testatore. 69 Arch. Stato Vicenza, S. Giovanni di Longara e S. Silvestro di Villaga, b. 3068 70 Arch. Parr. Toara, Testamento don Giovanni Zanini, notaio Francesco Zannonato 90 91 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO A Andrea Muraro detto Comin, le lascia due careghe e una tavola di nogara. A Malgarita di Grande le lascia una cassa di pezzo a fiore e una schiavina usada. A Lucrezia figliola di Mattio Barugola le lascia un lenzuolo et una cadena de foco. A Lucia figliola di Battista Tamisari le lascia un linzolo nuovo. Il rimanente di quelle poche massarie e mobili che non fossero nominati nella presente disposizione e testamento, adempite che saranno le cose sopra espresse, dichiara che siino divise dette massarie per metà fra Anzolo suo fratello e li figlioli del quondam Francesco pur suo altro fratello del detto testatore pacificamente e senza contese, pregando li infrascritti suoi commissari contentarsi haver la bontà di dividerli le sudette robbe, acciò il tutto si esegua con amorevolezza. Lascia suoi commissari il molto rev. Sig. Don Giovanni Maitonio, paroco in Campolongo, e il sig. Alessandro Pompei, quali habbiano l’autorità e la sopraintendenza di far che resti con tutta pontualità adempito quanto si ha espresso e ordinato nel presente testamento, pregandoli per carità contentarsi ricever questo incommodo. Et questo vuole che sii il suo ultimo testamento e ultima volontà, e che vagli per tutte quelle vie, modi e condizioni, che valer può e per amor di Dio. Dalli rogiti di me Francesco Zannonato nodaro publico di Sossano”. Altro interessante testamento è quello del conte Girolamo Barbarano che era morto il 24 febbraio 1719 nella dimora signorile del Castello di Belvedere. Il notaio Gottardi scrive che73 “il conte Girolamo, essendo aggravato di impetuoso, volle riferire le sottoscritte cose al sig. arciprete Giobatta Pilani. L’arciprete riferisce che il nobile Girolamo, essendo aggravato, li disse che se il male le havesse dato un poco di respiro, aveva mandato a chiamare me perché dovesse scrivere il suo testamento, ma che se il male si fosse incalzato, e che dovesse morire, raccomandava di riferir ad un notaio le sue volontà nella forma infrascritta e disse: Voglio che seguendo la mia morte il mio corpo sia sepolto nella sepoltura di Belvedere con quella decenza propria al mio stato, con quelli religiosi si possano avere, con il settimo e trigesimo, e capo d’anno con più messe possibili, che sia avvisato subito il nob. Conte Montan, mio zio, che paga di far celebrare le messe e tutto quello spenderà sii rimborsato sopra la sua porzione de animali bovini, che Bortolo Morseloso sa quali sono e che lo prego esso signor arciprete di venir notta e pregare detto zio di voler mandar al santo perdon d’avisi per l’anima mia. Poi disse: Intendo che tutti drappi, veste e linzoli e tella e altro siino per Maria Loga, non le sii molestata cosa alcuna. Poi disse: So che mio fratello conte Giulio ha molte ricevute di Morseloso, che gliele debba restituire come bonifico con tutto quello ha da avere, e che sii lo stesso solevato per tutte le piazarie e altri impegni presi per la nostra casa, essendo stato in tutte le mie congiunture, assai molto affettuosissimo. Più che sii sodisfato il sig. Giobatta Di Grandi mio cappellano di quanto deve perchè ne ha bisogno. Più il gastaldo non ha scritto, ma il sudetto sig. Giobatta cappellano sa il tutto. Più disse al medesimo sig. arciprete: Voi sapete quello havete d’havere, parlatene col sudetto zio conte Montan e i miei fratelli che sarete sodisfatto. Li prego voler sodisfare tutti i miei creditori che mi hanno assistito ne miei bisogni per sollievo dell’anima mia e per riputazione della nostra casa. E suggerito dal sudetto arciprete se volesse chiamare testimoni che havrebbero sentito a comandare le cose sudette, esso sospirando rispose: O Dio, mi dole sì fortemente la testa. Sono cristiani, crederanno a voi. E questo è quanto disse l’arciprete Pilani che doveva riferire a me notaio, in scarico della propria coscienza giurando esser le verità che ha espresso” (il conte Girolamo). Altro testamento è quello di Zuanne De Grandi che il 12 settembre 1716, sul Monte Nizon di Villaga, giacente a letto infermo, ma sano di mente, dispone di lasciare i suoi beni alla moglie. Chiede poi che alla morte del coniuge i beni rimasti vadano alla veneranda Fraglia del SS.mo Rosario della chiesa di Villaga, con l’obbligo dei massari deella confraternita di far celebrare sei messe di Requiem “per una volta tanto tra tutti e due”.71 Passiamo al testamento dettato il 12 agosto 1717 da Orazio Chierego, giacente a letto infermo a causa di una “cascata d’una mandolara, ma per grazia di Dio sano di mente, chiara loquella e ottima volontà...” il quale lascia un legato ad Antonia Fattore: “ per raggion di legato lascio all’infrascritto mio erede che dopo la mia morte sia fatto quelle esequie e funeralli più propri con sei sacerdoti alla sepoltura, sei al settimo, e sei al capo d’anno, e nel termine d’anni due dopo la sua morte le sia fatto celebrar 100 messe di requiem per l’anima sua e per i suoi antecessori e sua moglie. Più le lascia l’obbligo di sodisfar tutti li suoi oblighi, della Fraglia venerabile di Villaga, come ad altri suoi creditori, e dovrà lavorar il suo loco seminarlo e bruscarlo e corrisponderle la metà dell’entrata per il suo sostentamento persino che vivrà”.72 71 Arch. Stato Vicenza, Fondo notai, Gottardo Gottardi, b. 3005, 12 settembre 1716 72 Ibidem, 12 agosto 1717 92 Dieci anni dopo, il 29 luglio 1729, è il parroco don Giobatta Pilani a far testamento74, alla presenza del conte Gio Barbarano, dell’eremita fra’ Bortolamio Trevisan, di Antonio Di Grandi, di Paolo Faccio, di Antonio Giacomuzzo e di Ippolito Burinato (quest’ultimo di Pozzolo), poiché il 73 Ibidem, 24 febbraio 1719 74 Ibidem, 29 luglio 1729 93 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO reverendo è giacente a letto infermo del corpo ma sano di mente. Don Pilani dispone che vengano celebrate messe 200 nel termine di due anni dopo la sua morte, poi altre sei messe all’anno per tutto il tempo che vivrà il suo erede. Poi nomina suo erede il nipote Iseppo a cui mette a disposizione un capitale di ducati 400. Cinque anni dopo, il 21 maggio 1721, altro rinnovo di livello nella Casa del Comune.78 “Sin dall’anno 1641 11 agosto fu investito Pasquale Albanese in loco (al posto di) di Michiel Pomaro di una pezza di terra per la qual pagano stata due di formento da S. Felice; tale obbligo poi con l’assenso del sig. Pietro Redetti (nell’anno) 1676, che è poi passata con l’obbligazione alla persona di Pietro Guaratto quondam (del fu) Vicenzo nell’anno 1716, che però nel progresso del tempo nel pagar detto formento alli esattori sempre patiscono “strutti” per la qualità del formento stesso e poi nel stabilimento de conti al medesimo non lo bonifica se non al più vil prezzo asserendo che fu della più inferior condizione onde d’incomodo a detti debitori e conseguentemente di poco utile al Comune; perciò li sottoscritti consiglieri, riflettendo alle cose suddette, hanno deliberato che invece di più pagar detto fromento habbi da pagar in denaro a raggion de lire tre e soldi 10 per stara al tempo del Santo Martino di cadaun anno con la stessa obbligazione come nell’antecedente istrumento, restando inoltre obbligato esso Guarato a fondi descritti nel medesimo con ogni dove de beni con eredi”. Ancora nella casa del Comune a Villaga, il 5 aprile 1724 avviene l’affittanza di una casa del Comune al parroco di allora, il padre olivetano Placido Saffi 79 : “li sottoscritti governatori del Comun di Villaga hanno dato e conceduto all’ill.mo padre arciprete di detto loco la casa, cioè camera e canevaro di raggione del Comune in via del Condutore. L’arciprete si impegna a pagare al Comune lire 20 annue per l’affitto a San Martino”. Ancora, l’8 gennaio 1729, al Castello di Belvedere, in casa del nobile Francesco Barbarano, “Paolo Faccio prende a livello per lire 34 una casa in Belvedere poi una pezza di terra arativa, piantà de vide et arbori de campi due incirca situata nella contrà delle Longhe”. 80 Anche le confraternite locali affittavano i terreni in loro possesso. E’quello che accade l’11 novembre 1717 a Toara, quando i massari Bortolamio Muraro e Bernardino Danieli della venerabile Fraglia del S.mo Rosario affittano “due pezze di terra con olivi, poste in contrà sopra Toara, poi un’altra pezza di terra con olivi in contrà della Bussola a Mattio De Grandi per lire quattro e mezza a S. Martino, liberi da ogni gravezza”.81 Il 15 febbraio 1738 è il parroco di Toara, don Giobatta Pilani a prendere in affitto una casetta appartenente alla contessa Isabetta Bissari Barbaran:82 “…premendo al reverendo Giobatta Pilani ridar a perfezione la fabrica di detta chiesa parrocchiale intrapresa dal suo zelo e carità, e a maggior comodo di quegli abitanti e desiderando in tale occasione di essere investito dell’infrascritta casetta, che s’atrova in pessimo stato e poco terra di raggione dell’eredità del sig. Conte Girolamo Barbarano e che la signora contessa Isabetta Bissari, erede infrascritta…conoscendo I CONTRATTI DI LIVELLO Molti terreni erano dati a livello (in affitto) dai grandi proprietari fondiari con l’obbligo del pagamento di un canone annuo e di coltivarli con migliorie. L’affitto annuo che il conduttore doveva pagare al locatore (colui che affittava) consisteva nel 6 per cento (ma anche nel 4) del valore del capitale. Il rinnovo dei livelli doveva avvenire entro il decimo anno, passato il quale si perdeva il diritto di poter godere ancora di quei terreni. Vediamo qualcuno di questi contratti. Nell’anno 1647 “Camilla, relita (vedova) di Federico Godi, anche in nome del figliolo Zampiero, livella una sua pezza di terra arativa, zappativa, piantà de vide e arbori, di campi tre posta nelle pertinenze di Villaga in contrà della Crose Bianca, nominata Costa Brogia, ad Antonio di Zanini, abitante a Villaga, per la cifra di ducati 14 all’anno da versare una parte (la metà) alla festa di S. Cristoforo e l’altra metà a S. Martino”.75 Sempre in quell’anno, nel Castello di Belvedere “il conte Giulio Cesare Barbarano cede a livello una casa con caneva, botega da forno, teda posta a Belvedere a Spagnolo Zamaria”. 76 In quest’altro documento notarile, datato domenica 18 ottobre 1716, gli amministratori del Comune di Villaga decidono di rinnovare il livello a Batta e Antonio Da Soghe.77 “In casa del Comun di Villaga, presenti Antonio Bettio e Giacomo Fachin testimoni, in vigor dell’istromento (dell’anno)1676 4 ottobre, notaio il sig. Giacomo Carampino, fu investito dal Comun di Villaga Francesco Da Soghe dell’infrascritti beni a livello con obligo al detto Da Soghe di pagare stare nove e mezzo; che però gli infrascritti consiglieri, riflettendo al pregiudizio che ne produce esso istromento sì al Comun come alli livellari a causa dei prezzi che nel stabilimento dei conti con signor esatori viene sempre in avantagio dei medesimi…perciò hanno risolto li egregi sig. Bellin Bellini, sindico, Francesco Veronese, Antonio Zanini, Bernardin Danieli, Paulo Faccio, Batta Bettio consilieri e Gaetano Mambrin (degan)…ridurre esso livello al mettodo delle tariffe calcolando la stima che fu stabilita nel preaccennato istrumento 1676, che sono ducati 80 non compreso le muraglie, coppi e travi … in virtù del presente istrumento di rinovazione di livello restano investiti li Batta e Antonio fratelli, figlioli del suddetto Francesco Da Soghe, qui presenti e accettanti per loro stessi et eredi successori loro a migliorare e non peggiorare…”. 75 Arch. Stato Vicenza, Fondo Notai, Fabri Girolamo, b. 1915 76 Ibidem 77 Arch. Stato Vicenza, Fondo notai, Gottardi, b. 3005, 18 ottobre 1716 94 78 Ibidem, 21 maggio 1721 79 Ibidem, b. 3005, 5 aprile 1724 80 Ibidem, 8 gennaio 1729 81 Ibidem, 11 novembre 1717 82 Arch. Parr. Toara, Istromento 15 febbraio 1738 95 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO cosa utile all’eredità livellar la casa medesima che la sua riparazione ricercherebbe,…situata in facia alla chiesa con l’impegno di megliorarla, con l’obligo della manutenzione. Il prezzo di tale livello perpetuo viene fissato in troni 596 per la casa murata, cupata posta davanti alla chiesa, confina a mezzodì parte Francesco Priante, parte la strada consortiva; a mattina altra casa di ragione della contessa; a tramontana la via comune mediante la fontana corente; a sera eredi ill.mo Conte Alessandro Barbaran”. La casetta venne poi venduta nel 1817 da Bernardino Conti Barbarano all’allora parroco don Pietro Castelli, per mezzo del sig. Antonio Caldonazzo, amministratore della famiglia Conti. tutti per la manutenzione e conservazione di tale affrancazione sotto solenne obbligazione…” . Il successivo “istrumento”, del 21 novembre 1643,87 ci presenta una permutazione di terre, cioè un cambio tra Francesco Bragion e Bortolamio Bertuzzo. “Bragion ha dato e permutato con il suddetto Bortolamio una sua pezza di terra arativa zappativa piantà de vide e arbori, posta nelle pertinenze di Belvedere, confinante con il sig. conte Zuane Barbarano a matina, la strada comunale a tramontana, a mezodì la strada comunale, a sera con Gasparo Cosaro. In cambio Bortolamio ha dato al suddetto Francesco una sua pezza di terra prativa posta nelle pertinenze di Sossano mezza e l’altra mezza sopra il Comun di Villaga nelle pertinenze di Toara in contrà della Seriola”. L’ACQUISTO Vediamo ora un atto di acquisto di un terreno da parte di Giobatta Spigarolo, avvenuto il 7 novembre 1744 in contrà S. Silvestro di Villaga, presenti Bortolamio Montan e Valerio Girelo. “Batta di Girardi vende a Giobatta Spigarolo una pezza di terra arativa piantà de vide e arbori di campi dieci posta in contrà di Pagnaga, appresso le proprietà dei Godi, per la somma di ducati 100 con l'obbligo di dover pagare al Magnifico sig. Marcantonio Marzari ducati 30 ogni anno , come appare da suo livello, e stare quatordese de formento al Vescovado di Vicenza”.83 L’AFFRANCAZIONE A partire dal Seicento, accanto all’odiato rinnovo dei livelli, prende piede l’affrancazione, la liberazione, cioè, da essi dietro esborso di denaro, accumulato dopo tante privazioni, o con permutazione d’equivalente superficie agraria.84 Se l’investito voleva liberarsi dell’affitto e diventare proprietario del terreno, doveva versare una somma pari a venti volte il canone annuo (di affitto).85 Relativamente all’estinzione dei livelli abbiamo il seguente atto notarile risalente all’anno 1643, in cui il livello viene affrancato solo in parte: 86 “Batta Fachin ha confessato aver avuto e recepito da Mattio Dalla Pozza ducati 65 in tanti buoni denari spendibili, e usuali avanti la stipulazione del presente istrumento; e questi confessa d’averli avuti e recepiti et abonconto (in acconto) del capitale de un annuo affitto de ducati 6 qual è venuto pagare ogni anno il suddetto Mattio sotto li 22 del mese di marzo 1643… …sopra liberarlo e affrancando il suddetto Mattio di tal aggravio cioè per il suo capitale restando suo livellario solamente de troni nove soldi 16 renunciando ad ogni futura speranza di doverli ricevere promettendo di mantenere e difendere il suddetto Mattio da tutti e contro 83 Arch. Stato Vicenza, Fondo Notai, Gottardi, b. 3005, 7 novembre 1744 84 G. Franchetto – C. Bressan, Villa del Ferro dentro la Val Liona, pag. 115 85 F. Dalla Libera, Pozzolo nel periodo veneziano, pag. 193 86 Arch. Stato Vicenza, Fondo Notai, Fabri Girolamo, b. 1915, 26 aprile 1643 96 LE LITI I notai erano chiamati anche a dirimere questioni private e liti che scoppiavano di frequente nel nostro territorio comunale. Il rev. Don Domenico Nogarola, “nodaro di autorità riconosciuto”, mette per iscritto che “l’anno 1608, 17 marzo, nella canonica di Villaga …erano già alcuni mesi che era in atto una lite tra Pellegrin Carlo di Zovencedo e Vicenzo Lando abitante a Villaga, suo nipote, il quale domandava che da esso M. Pelegrin suo barba come già suo tutore et commissario li fosse resi conto et ragione dell’amministrazione per lui fatta delli beni e facultà lasciate dal quondam (fu) Santin Lando, padre di Vicenzo, e questo per lo spazio di anni sei nel qual tempo esso Vicenzo ritrovandosi in età minore, è stato in casa del sopradetto M. Pelegrin suo barba insieme con la sorella”. Il parroco di Villaga padre Michelangelo Molino e il notaio Nogarola dapprima hanno eletto tre giudici arbitri della lite, poi hanno messo d’accordo i due contendenti alle seguenti condizioni: “M. Vicenzo fa libera e perpetua quietazione a M. Pelegrin suo barba di ogni et qualunque raggione e presentione. Pelegrin fa a suo nipote l’esborsazione (oblazione) di ducati duecento”.88 Negli atti notarili si denunciavano anche eventuali danni arrecati ai campi presi a livello dalle avversità atmosferiche. E’ il caso di Zuane Guarato: “l’11marzo 1716 davanti ai testimoni Vangelina De Santi e Zuane Fongaro di Belvedere, colonnato di Villaga, esposero essersi conferiti ad istanza di Zuane Guarato sopra la campagna che esso Guarato tiene ad affitto dalla signora contessa Paolina Barbarano, situata in Belvedere in contrà del Crocifisso confinante con la Seonega, e ciò esposero haver considerato esservi nella detta campagna il danno causato dalle acque l’anno passato 1715 di campi quatordeci andati vodi, e campi quatro circa seminati e haver havuto 87 Ibidem, 21 novembre 1643 88 Arch. Stato Vicenza, Fondo Notai, Nogarola Domenico, 17 marzo 1608 97 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO mezo racolto; tanto attestano con loro giuramento per la cognificione (constatazione)89 delle revisioni et cossì alla presenza delli sottoscritti testimoni giurò in mano di me nodaro cossì esser e haver fatto e considerato la terra suddetta ne haver preso prove alcuno tostandosi che sanino per loro fatiche le mercedi troni 3 soldi 2 per cadauno”. A volte il notaio veniva chiamato per verificare i confini di terre; in questo caso sono i due parroci di Villaga e di Toara che conducono un sopralluogo per chiarire quanto segue: “L’anno 15 marzo 1710 in Villaga, presenti i sig. Francesco Cavalon e Giacomo Rappo come testimoni, convengono amichevolmente e di comune consenso i reverendi Antonio Maria Camin, parroco di Villaga, e Giobatta Pilani, parroco di Toara per fare un sopralluogo con due comuni amici uno per parte (Marco De Grandi e Lazaro Bertuzzo) pratici più di ogni altro in paese, per riconoscer i confini delle pezze di Toara sopra le quali il parroco di Villaga riscuote le decime per le ragion del suo catastico, e a tal effetto hanno li suddetti parrochi pregato me (notaio Gottardi) di volermi portare sopra luogo per scrivere con fedeltà ciò che si potrà ricavare dalla ricognizione che si andrà facendo di pezza in pezza. Ci siamo portati sopra una pezza di terra chiamata il Tribolo sopra la quale riscuote la decima il parroco di Toara. Poi in contrada le Seoneghe, poi al Ghebo del Salgan, in contrada Pezza Gagliarda, nella Possessione di Gregorio Zanonato posta tra Belvedere, la Seonega e il Gordon…”. 90 Altre volte il notaio mette per iscritto dichiarazioni di cittadini che rivendicano, in questo caso, l’appartenenza della chiesa di S. Donato alla parrocchia di Villaga:91 “ 26 maggio 1724. Paulo Rappo, abitante in contrà S. Donato, di 51 anni, e Marco Di Grandi, nativo di detto loco, d’anni 74, poi Angelo Mambrin di anni 50, sostengono che è verità più che infalibile che sempre per il passato li parochi di questa chiesa di Villaga sono andati con le rogazioni nella chiesa di S. Donato sopra il monte…perciò si può arguire che detta chiesa di S. Donato e certe celle dei romiti sotto là, spettano alla parrocchia di Villaga…poi si dice che nel giorno di S. Bovo in S. Donato si fa solennità, esservi stati li parrochi di Villaga a cantar la messa solenne, e in spetie il revdo p. Angelo Maria da Camin che fu parroco, dove vi fece anco un discorso”. A volte le liti finivano per coinvolgere l’intero territorio comunale, come nel caso della raccolta delle contribuzioni (tributi), che vede contrapporsi da una parte Villaga e Pozzolo, dall’altra Toara e Belvedere.92 “In Christi nomine Amen. Anno 1749 il giorno di mercoledì 22 del mese di gennaio in casa del Comun di Villaga, Distretto Vicenza, si è riunita la general Convicinia con l'assistenza del Vicario di Barbarano e la presenza di Maran Vinante, Bortolo Veronese, Santo Da Soghe, Giacomo Burinato consiglieri di Villaga e Pozzolo, e non di Toara e Belvedere essendo questi in continue agitazioni e dissidi …stimandosi unico rimedio che si produca la pace e quiete il divider il Comune medesimo in tre Colonelli” (aggregazioni, località). Messa ai voti, la deliberazione viene accolta con 69 voti favorevoli e quattro contrari. 89 Arch. Stato Vicenza, Fondo Notai, Gottardi, b. 3005, 11 marzo 1716 90 Ibidem, 15 marzo 1710 91 Ibidem, 26 marzo 1724 92 Arch. Stato Vicenza, Fondo Notai, Donaello Marco, b. 13012, 22 gennaio 1749 98 IL CONTRATTO DI NOZZE O DI DOTE La dote, abolita nel nostro ordinamento con la riforma del diritto di famiglia del 1975, era una convenzione matrimoniale composta da un insieme di beni che la moglie donava al marito per sostenete il peso del matrimonio. Essa comportava una perpetua destinazione dei beni della moglie ai bisogni della famiglia; pur rimanendo gli stessi in proprietà della moglie, il marito ne acquisiva solamente i frutti senza poterli sperperare, sotto pena di perdita della loro amministrazione. La dote è un’istituzione antichissima: i primi documenti in cui se ne fa cenno risalgono all’XI° secolo, dove la dote era tramandata da madre in figlia. Altri beni, pari alla metà del patrimonio del marito, erano concessi dal marito alla moglie, la quale ne entrava in possesso soltanto dopo aver consumato il matrimonio.93 Anche a Villaga il contratto della dote diventa consuetudine. Ma vediamo da quali beni era composta la dote. Innanzitutto dal vestiario e dalla biancheria, i cui elementi essenziali erano la schiavina (una coperta da letto di lana ruvida), i linzuli (lenzuola) di canevo (canapa) o stoppa (derivata dalla pettinatura del lino e della canapa) nuovi o vecchi, le forette (federe), le camìse (camicie), le cottole (sottane), le traverse (grembiuli), mentre i tessuti più diffusi erano di canevo e di stoppa, poi di bombasin (tela grossa), di filisello (filato di seta), di lino e di lana.94 Una parte importante avevano anche i mobili (letto, credenza, sedie, tavolo), gli oggetti della casa (pignatte, sessole, secchi, rami, tamisi), gli attrezzi da lavoro (badili, rastrelli, versori, forche, ecc.), persino gli animali (vacche, buoi, animali da cortile). Passiamo a vedere alcune “carte de dotte”, a cominciare da quella di Germano Albanese e di Zuana sua consorte, stilata dal notaio Fabri il 30 settembre 1673:95 Un letto di pena, una schiavina vecchia, sette pironi, 7 guchiari (cucchiai), una sesola, un panaro, un menestro forà, uan tovagia (tovaglia), sette tovalioli usadi, una cadena da fogo, una piana da gratare, una gratta casola, un nezolo di pezo vecchio, un nezolo di un mestello, un mestello da lisia, una tavola de pezzo, un nizolo di canevo novo, una litiera de nogara, un caliero di rame picolo, un cortelazo vechio, una zappa, sette camise da dona vechie, un fazoleto da testa, un grombiule vechio, una 93 R. Lembo, Pane, amore e dote, in Sossano Notizie 94 M. Biscaro, La dote a Lisiera, in AA.VV. Lisiera. Storia e cultura di una comunità veneta, ed. Parrocchia Lisiera, Tomo 1, 1981, pag. 746 95 Arch. Stato Vicenza, Fondo Notai, Fabri, b. 1915, 30 settembre 1673 99 CAPITOLO QUINTO IL PERIODO VENEZIANO meza lana vechia, tre nizoli vechi, una camicia da dona nova, un ninzolo vechio. Il tutto per un valore di dote di 179 ducati. Sempre in quell’anno, l’11 giugno 1673, Laura, figliola di Francesco Beluso, maritata con Horatio Carlan, riceve in dote: 96 “Un ninzolo di canevo e uno usato, una casa depenta, un paro de ninzoli di canevo novi, una camiscia di canevo nova da dona, otto camiscie da bagnare di canevo e stopa, braza nuove di tella da facoliti, una tenzolana rossa nova, un guarnelo di canevo turchin con caso e maneghe de fileselo, un guarnelo con busto di rasa, un grombiule di renso, un grombiule di canevo, un altro gurnelo, una traversa di bende, una tenzolana naranzeta, un facoleto di bambaso, una camiscia di canevo bagnata, una veletta bianca, un paro scofoni e scarpe, doi pacoletti da collo, una meza lana verde, un carro, una vaca negra, una vaca bianca, un versoro, un paro de manteli da usare, un paro de sechi vechi, una stiavina, un caliero, un tinazo di fero, un tinazo, una botte de castegnara, un vezolo di mezzo caro, un vezolo di doi mesteli, un vezolo vecchio di doi mestelli.” Passiamo alla “dotte di Cattarina Mazaron, moglie di Pietro Guarato, fatta stimare l’11 novembre 1717 a Toara e donata dal padre Domenico Mazaron:97 - un grembiulle fornido disegno - due fazoleti da sera diversi usadi - tre grembiulli bianchi diversi - fazzoletti da spalle diversi n. 12 - aghi d’argento diversi n. 14 e 3 dorati - pevosini d’oro n. 24 - un fillo… - due cendaline, una rosa, un’altra turchina - un paio calzeti rossi - un fazolo da testa drappello fornido de merli a cappa - una cassa nogara - una veste meza lana usada fornida passaman antico - letto con i suoi fornimenti - una schiavina lana - lenzoli 6 stopa e canevo forniti con zane merli e groppi diversi - camise di drappello nuove n. 6 - camise drappello usate n. 2 fornide de corde - camise de canevo nove n. 8 - una veste filesello nel canevo con busto e maneghe e petorina - un abito banelon cioè busso e maneghe e petorina - un busso e maneghe banelon turchin con veste filesello - un busso senza maneghe filesello rigà con veste rigadina di lino - un busso e maneghe filesello a fiori rosso e turchino con veste - un busso e maneghe filesello a fiori turchin con veste filesello usato - un busso e maneghe mezofogia con veste meza lana - un busso a maneghe a fiori - una veste bombasina turchina - un busso a maneghe meza taglia nova con veste meza lana nova - una corpeta pano rosso fornida d’oro falso e camisola pano rosso - una cottola a ochielli e una da cusire e una usada, in tutto - due grembiulli, cinque da cusire e uno seta lino - un fazzolo da testa fornido disegno E arriviamo al secolo scorso e Cichellero Prisco consegna alla costituita dai seguenti oggetti:98 Armadio Letto di pena Trapunta e coperta lana Coperte n. 2 Lenzuola n. 8 Intimele n. 16 Accompagnamento camera Piumini Camicie n. 12 Camicie da notte n. 4 Camicie colore n. 4 Asciugamani n. 9 Mutande n. 6 Mutande colorate n. 6 Sottoveste n. 8 Flanele lana n. 2 Flanele cotone n. 4 Grembiuli n. 3 Vestaglie nuove n. 3 Paltò n. 2 Abiti inverno n. 2 96 Arch. Stato Vicenza, Fondo Notai, Fabri, b. 1915, 11 giugno 1673 97 Arch. Stato Vicenza, Fondo Notai, Gottardi, b. 3005, 11 novembre 1717 100 lire 135 lire 24 lire 70 lire 55 lire 13 lire 52 lire 28 lire 34:10 lire 34 lire 20 lire 34 lire 18:10 lire 16 lire 16 lire 15 lire 20 lire 26 lire 24 lire 18 lire 8 lire 10 lire 5 lire 12 lire 12:10 lire 6:6 lire 52 lire 6 lire 2:10 lire 2:15 lire 10 lire 24 lire 9 Totale lire 855:11 Il tutto fu consegnato a Piero, lo sposo in conto di dotte della predetta Cattarina sua sposa. precisamente al 28 novembre 1934, quando figlia Sira , sposata con Faccio Alcide, la dote L. 300 L. 160 L. 125 L. 100 L. 220 L. 70 L. 150 L. 42 L. 90 L. 39 L. 25 L. 36 L. 27 L. 25 L. 30 L. 34 L. 24 L. 36 L. 145 L. 188 L. 100 98 Documento di dote di proprietà di Faccio Bonifacio 101 CAPITOLO QUINTO Soprabito n. 1 Vestito bianco Vestaglie lana n. 3 Calze de lana n. 5 Calze cotone n. 6 Calze fine n. 3 Velo nero Velo bianco Sciarpa de lana Fazzoletti n. 36 Guanti, borsa, capello Traverse n. 2 Vestiti usi n. 2 Mutande use n. 2 Camicie use n. 2 Scarpe nuove nere e bianche Scarpe vecchie e zurli Sottana a quadri Sottana e blusa lana Catenella d’oro Orecchini un paio Totale L. 100 L. 70 L. 50 L. 50 L. 30 L. 10 L. 40 L. 17 L. 25 L. 28 L. 30 L. 16 L. 10 L. 4 L. 6 L. 43 L. 33 L. 17 L. 35 L. 60 L. 10 L. 2650 102 CAPITOLO SESTO LA PARROCCHIA DI VILLAGA 1. LE NOTIZIE PIU’ ANTICHE La chiesa parrocchiale di Villaga era un’antica cappella della vicina pieve di Barbarano. Il nome del patrono, San Michele Arcangelo, farebbe pensare a un’origine longobarda. Il culto dell’Arcangelo armato infatti ebbe larga diffusione nel nostro territorio già nell’alto Medioevo. Nell’anno 663, i Longobardi avevano sconfitto i Saraceni e ne attribuirono il merito a S. Michele, il quale divenne il patrono del loro sentimento cavalleresco. Da allora si diffuse la devozione all’Arcangelo al quale sono state dedicate molte chiese anche nel Vicentino E’ possibile quindi che il paese di Villaga sia sorto in epoca longobarda, quando Vicenza divenne sede di uno dei 36 ducati del regno longobardo. Il riferimento più antico che abbiamo sull’esistenza della parrocchia di Villaga è un documento del 1187, conservato in Archivio di Anno 1930: la Chiesa con la vecchia canonica, poi abbattuta e Stato a Vicenza sotto il fondo S. ricostruita nel 1936. Felice (b. 528 b, perg. 47), in cui l’arciprete di Barbarano, poiché aveva in atto una disputa con i frati benedettini, nominò il presbitero Arnaldo da Villaga procuratore nella lite fra il Capitolo di Barbarano e l’abate di S. Felice di Vicenza. Questo proverebbe che a quell’epoca Villaga disponeva già di un sacerdote stabile. 103 CAPITOLO SESTO Le “Rationes Decimarum” (1297 – 1303) pagate a papa Bonifacio VIII attestano che S. Michele Arcangelo, già allora, era chiesa parrocchiale retta dal presbitero Artuxius (Artusio). 1 Il Maccà poi riporta un documento del 1367 2 nel quale si descrive una certa pezza di terra posta nelle pertinenze di Villaga e si dice che era situata “ apud jura Sancti Michaelis de Viraga” (presso i diritti di San Michele di Villaga). Riferisce anche di alcuni presbiteri, titolari del beneficio parrocchiale nel XV secolo; nell’anno 1424: “Collatio presbiteri Johannis de Montefalco pro Ecclesia Sancti Michaelis de Viraga pro morte presbiteri Alexandri de Parma olim rectoris dicte ecclesie” 3 (Il contributo del sacerdote Giovanni di Montefalco a favore della chiesa di S. Michele di Villaga a causa della morte del sacerdote Alessandro di Parma un tempo rettore di detta chiesa); nell’anno 1425 scrive: “Collatio presbiteri Jacobi de Ferraria pro Ecclesia Sancti Michaelis de Viraga per absentiam presbiteri Johannis de Montefalco” 4 (Il contributo del sacerdote Jacopo di Ferrara a favore della chiesa di S. Michele di Villaga, vacante per l’assenza del sacerdote Giovanni di Montefalco); e ancora nell’anno 1428: “Collatio presbiteri Nicolai de Drivesto pro ecclesia Sancti Michaelis de Viraga … qua vacat propter absentiam presbiteri Jacobi de Ferraria olim ispius ecclesie ultimi rectoris” 5 (Il contributo del sacerdote Nicolò di Drivasto a favore della chiesa di S. Michele di Villaga… che è vacante per l’assenza del presbitero Jacopo di Ferrara un tempo egli stesso ultimo rettore); riferito allo stesso anno cita il presbitero “Andree de noctiano”.6 Infine, puntualizza che nel 1466 era rettore di Villaga il presbitero “Jacobo de monte de marchia”.7 L’Inventario dei beni della chiesa dell’anno 1492 Le prime notizie riguardanti lo stato patrimoniale della chiesa di Villaga sono contenute nell’Inventario dei beni mobili e immobili redatto nel 1492 8. Il documento venne stilato dall’allora parroco - rettore di Villaga, Bartolomeo di Barbarano, con il Decano e alcuni capifamiglia, riuniti in pubblica convicinia, in esecuzione degli ordini del vescovo. Fu poi presentato in Episcopato dallo stesso parroco, da Bartolomeo Clementi, vicedecano, da Francesco Pochini, Blasio Zanetti, Antonio Iuliani e Domenico Giacobini, tutti di Villaga. I Beni mobili della soprascritta chiesa sono: Primo un calice d’argento con patena del valore di ducati dieci; 1 G. Mantese, Vicenza Sacra, in Odeo Olimpico III, 1943. 2 G. Maccà, Storia del territorio vicentino, tomo IV, pag. 343. 3 G. Maccà, ibidem, pag. 344. 4 Ibidem. 5 Ibidem. 6 Ibidem. 7 Ibidem, pag. 345 8 Inventarium bonorum mobilium et immobilium ecclesiae Sancti Michaelis de Viraga, conservato presso l’archivio parrocchiale di Villaga (copia manoscritta del notaio Antonio Todeschini anno 1795). 104 LA PARROCCHIA DI VILLAGA Poi un messale bombicino del valore di un ducato; Poi una pianeta di sindone con camice, stola, manipolo, amito; Poi un libro per i battesimi; Poi una tovaglia nuova; Poi un messale vecchio; Poi nove tavole; Poi due tovaglie vecchie; Poi una veste a mezza vita. Beni della Caminata (Canonica) Primo un lettuccio consumato; Poi una catena per il fuoco; Poi una lucerna; Poi un tinazzo antico per il vino. Beni immobili della soprascritta chiesa Primo una casa cupata, (cioè con i coppi), murata, cum tegete murato, (con coperto murato), ara (aia), et orto, posita in dicta villa (posta in detto paese di Villaga) in ora Ecclesie (nel luogo vicino alla chiesa), apud viam Communis (presso la via Comune), apud jura Ecclesie Sancte Marie de Barbarano (presso i diritti della chiesa di Santa Maria di Barbarano), in qua habitat Rector dicte Ecclesie (nella quale abita il rettore di detta chiesa). Si tratta quindi dell’abitazione del parroco. Poi un quartiere di terra all’incirca, con una piccola “teza” di paglia in dette pertinenze e contrada, presso la soprascritta casa, presso i diritti della chiesa di S. Maria di Barbarano ed è tenuta dagli eredi di Marco Guidone di Villaga. Poi una pezza di terra, che può essere di circa un campo in dette pertinenze, nella contrada della Fontana, presso lo Scaranto della fontana, presso gli eredi di Silvestro del Buso, presso i diritti di San Fermo di Lonigo, e presso Nicolò Cerdone, corrispondendo la terza parte e la decima. Poi una pezza di terra arativa, che può essere di circa quattro campi in dette pertinenze, nella contrada della Fontana Calda, presso la via Comune, presso gli eredi di Cristoforo di Godi e presso i diritti degli eredi di Domenico Ronchino, corrispondendo la terza parte e la decima. Poi una pezza di terra, arativa e piantata, che può essere di circa un campo e mezzo in dette pertinenze, nella contrada di Ronco Dugo, presso Giovanni Domenico del Neno per due parti, presso la via comune e presso Nicolò Cerdone, pagando uno staro di frumento per l’affitto e la decima. Poi una pezza di terra, arativa e piantata, di circa un campo e mezzo in dette pertinenze, nella contrada della Pezzamala, presso i diritti di Donato Zamboni, 105 CAPITOLO SESTO LA PARROCCHIA DI VILLAGA di Bartolomeo Clementi e di Bartolomeo detto Piemontese, pagando la terza parte e la decima. Poi una pezza di terra arativa e piantata, che può essere di circa quattro campi in dette pertinenze in contrada Savonica (Seonega) , presso il canale Savonica, presso i diritti della Mansione, presso la via consortiva e forse presso altri; il rettore soprascritto della chiesa è tenuto a celebrare ogni mese una messa per l’anima della signora Francesca, moglie di Jacopo Longo di Villaga. Poi una pezza di terra zappativa con olivi, che può essere di circa un quartiere in dette pertinenze, in contrada del “Nosedo” (Noseo) presso la via comune, presso gli eredi di Guidone di Godi, pagando la terza parte e la decima. Poi una pezza di terra arativa, che può essere di circa due campi in dette pertinenze, nella contrada di Ronco Dugo, presso il canale Seonega, presso Cristoforo di Barbarano (il conte Cristoforo Barbarano, proprietario del castello di Belvedere), presso gli eredi di Silvestro di Buso e di Carlo “de Belvederio” (di Belvedere), pagando la terza parte e la decima. Poi una pezza di terra arativa, che può essere di circa cinque quartieri in dette pertinenze, nella contrada di Fogomorto, presso i diritti di San Donato, presso Nicolò Cerdone e presso Cristoforo di Barbarano. Poi una pezza di terra arativa e piantata, che può essere di circa un campo in contrada di Belvedere, presso la via comune, presso Andrea di Barbarano, presso Cristoforo di Barbarano, presso Rolando di Paolo, pagando la terza parte e la decima. Poi una pezza di terra, arativa e piantata, che può essere di circa due campi nelle pertinenze di Belvedere, nella contrada della Fratta (l’attuale via Conti Barbarano che proseguiva lungo il corso della Seonega ) presso Cristoforo Zampetti, per due parti, presso Giovanni Antonio di Michele di Belvedere, presso la via consortiva, pagando la terza parte e la decima. Poi due sedimi con case murate con due teze, una murata e cupata, l’altra murata e con paglia, aia, orto e circa due campi nelle pertinenze di Belvedere, presso la via comune da due parti, presso Cristoforo di Barbarano, presso la chiesa di sant’Antonio di Belvedere, pagando venti soldi, due polli e la decima su tutto il raccolto. Poi un sedime con casa murata e cupata con piccola tezza murata e cupata, aia, orto, che può essere di tre campi, posta in Villa Toarie (nel paese di Toara), nella contrada “Trium”, presso la via comune, presso Cristoforo di Barbarano e da altre parti, corrispondendo di affitto venti soldi e la decima. Poi un sedime con casa murata e cupata, aia e orto, che può essere di un quartiero posto nel paese di Toara, presso la via comune, presso Cristoforo di Barbarano, presso i diritti di San Giorgio di Toara, pagando una spalla di porco, due polli e la decima. Poi una pezza di terra prativa, che può essere di circa due campi in dette pertinenze, in contrada Forasesie (?), presso i diritti di San Giorgio di Toara, pres- so Cristoforo di Barbarano, presso “Gaibun fornaxilie” (il canale Fornasile), da due parti, e presso Andrea di Barbarano da due parti. Poi una pezza di terra, che può essere di circa un campo, nelle pertinenze di Toara, in contrada “Persegarola”, presso gli eredi del signor Antonio de Loschi, presso Cristoforo di Barbarano; tali pezze sono tenute dagli eredi di Vaneto di Toara e da Vincenzo Alberini di Barbarano, pagando tre libbre e due polli. Poi una pezza arativa e zappativa, che può essere di un campo, nelle pertinenze di Villaga, in contrada di “Motis” (Motta), presso la via comune, presso i diritti di San Giovanni di Barbarano, presso gli eredi di Silvestro del Buso e di Guidone de Godi, pagando la terza parte e la decima. Poi un sedime con casa murata, cupata, aia e orto, che può essere di circa un quartiere, posto nel paese di Villaga, in contrada “Mediavilla” (Mezzavilla), presso Cristoforo di Godi, presso lo Scaranto e presso la via comune di Villaga; per la qual casa il rettore soprascritto della chiesa è tenuto a celebrare in qualunque mese una messa per l’anima di Nicolò Taiarino. Poi una pezza di terra zappativa con sette piedi di olivi, che può essere di circa un campo e mezzo in dette pertinenze, in contrada di Nizon, presso gli eredi del Buso, presso i diritti della Mansione, presso gli eredi di Paolo di Belvedere, e forse presso altri, pagando sei soldi e la decima. 106 Da notare che alcune pezze sono state tralasciate perché ripetevano toponimi di contrade e nomi di persone già noti. Passiamo all’elenco delle terre soggette a decime 9 e quartesi 10 di cui riportiamo soltanto i più interessanti. Primo spetta e appartiene alla chiesa di San Michele di Villaga tutto il quartese di Roncasii (Roncasso) nelle pertinenze di Villaga, presso Sjronem magnum (il Siron grande), presso i diritti del Comune “de Celsano” (di Sossano). Poi spetta e appartiene a detta chiesa metà del quartese di “Quarnientis” (Quargente) in Belvedere in contrà di Quarnientis presso la via comune, da due parti, presso “Gaibun Gordoni” (il canale Gordon) , presso il Siron grande. Poi spetta e appartiene a questa chiesa la decima di una pezza di terra, parte prativa e parte arativa, che può essere di circa trenta campi in dette pertinenze, in contrada Fontana Calda e Poigo, presso il canale Navilii (Naviglio), presso la via comune, presso gli eredi di Cristoforo di Godi; la proprietà è di detti eredi, pagando la decima a detta chiesa. Poi un sedime con casa murata e cupata, aia e orto, terra arativa piantata che può essere di circa due campi in contrada Casalfardi, presso i diritti della 9 Ricordiamo che la decima, secondo l’antica legislazione ebraica, era la decima parte del raccolto che il contadino era tenuto a offrire alla tribù sacerdotale dei Leviti; analogo tributo che nel mondo romano i coltivatori dell’agro pubblico dovevano allo Stato e che nel Medioevo era dovuto alla Chiesa (definizione tratta dal Dizionario Garzanti 2003) 10 Il quartese era la quarta parte della decima. 107 CAPITOLO SESTO LA PARROCCHIA DI VILLAGA Mansione da due parti, presso Marco Antonio Zoga, presso lo Scaranto della fontana; la proprietà è di S. Giovanni, pagando la decima a detta chiesa. Poi una pezza di terra, arativa e parte zappativa, che può essere di circa sei campi in contrada San Silvestro, e Fontana, presso la chiesa di San Silvestro, presso la via comune presso la fontana e il corso d’acqua della fontana, presso Nicolò Cerdone, pagando la decima a detta chiesa. Poi una pezza di terra, piantata e arativa, che può essere di un campo in dette pertinenze, in contrada San Silvestro, presso lo Scaranto, presso i diritti della Mansione; proprietaria è la soprascritta mansione, pagando la decima a detta chiesa. Poi un sedime con casa murata e piccola teza di paglia, aia, orto e terra arativa che può essere di circa due campi in dette pertinenze, in contrada Noseo, presso la via comune da due parti, presso il nobile uomo Battista di Barbarano, presso lo Scaranto, presso Alberto di Godi; la proprietà è degli eredi di Cristoforo di Godi che corrispondono la decima a detta chiesa. Poi una pezza di terra, arativa e piantata, che può essere di tre campi in dette pertinenze, in contrada di Bondanis (Bondine), presso la via comune da due parti, presso i diritti della Chiesa Maggiore di Vicenza, presso gli eredi di Guidone di Godi; la proprietà è degli eredi di Cristoforo di Godi che corrispondono la decima a detta chiesa. Poi un sedime con casa murata e cupata, aia, orto e terra arativa piantata, che può essere di due campi all’inizio del paese (di Villaga) presso la via comune, presso Andrea di Barbarano, presso i diritti di Santa Maria del Duomo; la proprietà è di Ludovico de Traversi ed è tenuto da Matteo Ianuense che corrisponde la decima per metà. Poi un sedime con casa murata e piccola teza murata, aia e orto, che può essere di circa tre campi nella località predetta, presso la via comune da due parti, presso Battista di Barbarano; la proprietà è del soprascritto Battista che corrisponde la decima a detta chiesa. Poi una pezza di terra, arativa e piantata, che può essere di cinque quartieri in contrada “Pontis Bononie” (Ponte Bologna), presso la via comune da due parti e presso Ludovico de Traversi; la proprietà è del soprascritto Ludovico che corrisponde la decima. Poi una pezza, arativa e piantata, che può essere di due campi in contrada delle Oche, presso la via comune, presso i diritti della Mansione, presso gli eredi Melchiorre di Godi, presso Giovanni Domenico del Neno; la proprietà è di Nicolò Cerdone di Barbarano che paga la decima. Poi una pezza di terra, arativa e piantata, che può essere di un campo e mezzo in contrada della Vagina, presso la via comune, presso i diritti della Santa Chiesa San Giovanni di Barbarano e presso i diritti di San Giorgio di Toara, la proprietà è di Battista di Barbarano che corrisponde la decima. Poi una pezza di terra, arativa e piantata, di due campi nelle pertinenze di Belvedere in contrada “Frazucane”, presso i diritti dell’Episcopato da due parti, presso Jacopo Carlo, presso la via consortiva; la proprietà è di Marco di Belvedere che corrisponde la decima. Poi una pezza di terra, zappativa con olivi, di tre quartieri in contrada di “Pedegambaro”, presso Ludovico di Traversi, presso la via comune, presso gli eredi del signor Francesco de Loschi; la proprietà è di Carlo di Belvedere che corrisponde la decima. Poi tre pezze di terra in detta contrada appartengono a Bernardo di Belvedere che corrisponde la decima. Poi una pezza di terra piantata, di cinque quartieri, nella contrada di San Donato, presso i diritti di San Donato di Villaga, della cui proprietà è la soprascritta chiesa di San Donato che corrisponde la decima. Come si vede, il patromonio della chiesa consisteva soprattutto in beni immobili, cioè alcune case e appezzamenti situati in varie contrade. Molti erano dati in affitto con la corresponsione annuale di una certa quantità di prodotti, più spesso nella misura di un quarto o un terzo del raccolto, oppure la consegna di staia o stara (unità di misura che corrispondeva a 27 litri circa) di frumento, sorgo, biada. Talora invece è imposto il versamento di libre (una libra o lira valeva 20 soldi, un soldo 12 denari, chiamati anche piccoli), soldi, denari. Ma vi erano anche le regalie: una gallina, due polli, una spalla di porco, ecc. Inoltre si doveva corrispondere la decima. Anno 1954: visita pastorale alla parrocchia di Villaga del Vescovo Zinato. 108 109 CAPITOLO SESTO 3. LE VISITE PASTORALI Fonti attendibili e preziose da cui ricavare notizie riguardanti la chiesa e la vita dei nostri paesi sono certamente le relazioni delle visite pastorali compiute dai Vescovi alle nostre parrocchie. Dopo il Concilio di Trento, infatti, si consolidò l’usanza delle visite pastorali dei vescovi nelle parrocchie della loro diocesi. Pertanto la consultazione dei libri delle Visitationes ci ha permesso di conoscere lo stato delle nostre chiese, degli arredi, la situazione religiosa e morale delle nostre comunità, i comportamenti dei presbiteri che si sono avvicendati in quegli anni alla guida delle parrocchie. La visita del 1530 La prima visita vescovile documentata alla chiesa di S. Michele di Villaga avviene nel 1530 durante l’episcopato di mons. Nicola Rodolfi. In quel periodo era rettore delle chiese di Villaga e di Pozzolo (fino al 1564 la chiesa di Pozzolo dipese da quella di Villaga) il presbitero Hieronimo de Bollis. Il 6 ottobre 1530 l’Arcidiacono Pietro Alessandro, vicario generale, con l’episcopo suffraganeo Michele Jorba, si reca a Villaga. La relazione 11 dice: “Visitò la chiesa parrocchiale di S. Michele di Villaga della diocesi di Vicenza, la collazione del quale spetta al Rev.mo Vescovo e della quale è rettore titolare il presbitero Jeronimo de Bollis, che risiede. In questa chiesa c’è un altare del Santissimo Corpo di Cristo, il quale sacramento è collocato in un tabernacolo ligneo; nel quale vi sono i sacramenti, sotto chiave, con il suo lume mantenuto dal Comune; c’è un fonte battesimale con la sua chiave, c’è anche il paramento feriale con calice argenteo, messale e il libro dei sacramenti in papiro e, poiché è conveniente, ci sono dei corporali pulitissimi e similmente tovaglie e salviette. Poiché la chiesa è antica, abbisogna di riparazione del tetto, la qual cosa promise, a nome del Comune, un certo “Domenico di Antonio Marchei Sapiens” del Comune, ed esattore, essendo stato dato al Vicario Signore predetto il tempo di due mesi; entro Natale ci sia una pisside 12 d’argento da mettere nel tabernacolo di legno ed è necessario che sia chiusa l’entrata del cimitero con un graticcio (cancello), perché non sia preda degli animali; le quali cose promise saranno fatte a nome del Comune e poiché due finestre di detta chiesa sono senza ferri, attraverso le quali la chiesa fu spogliata e la campana minore fu rotta, si esortò a riparare, altrimenti si ordina di togliere le messe e di non seppellire in cimitero. Gli uomini di questo luogo, come riferisce il predetto presbitero, vivono cattolicamente, non sono blasfemi, nè sopravvive tra loro l’antica superstizione, e sono tutti confermati e comunicati; le anime sono 200. Il beneficio ha un valore di ducati 60”. 11 Arch. Parr. Barbarano, Prebenda, Decima, Documenti e liti, b. 5, fascicolo D, fogli 56r-57v. 12 La pisside è un oggetto sacro a forma di coppa con coperchio nel quale sono contenute le ostie consacrate. 110 LA PARROCCHIA DI VILLAGA Più tardi, nel 1542, avendo rinunciato Hieronimo de Bollis alla reggenza delle due parrocchie, viene nominato rettore Benedictius de Bollis al quale viene affidato il beneficio parrocchiale di entrambe le chiese. Il documento nominato: “Collatio Ecclesiae sub vocabolo Sancti Michaelis de Viraga una cum Ecclesia Sancta Luciae de Pozzolo in personam D. Benedicti de Bollis” 13 si sofferma sull’investitura di Benedetto de Bollis: “…Noi (il dottore e rev. Roberto de Monti e il vescovo don Nicola Rodolfi) volendo fare speciale grazia a te, in considerazione dei tuoi predetti meriti, detta chiesa parrocchiale di S. Michele insieme alla chiesa di S. Lucia di Pozzolo, insieme con ogni giurisdizione dichiarata e sua pertinenza, diamo e assegnamo dando l’investitura a te che ti sei costituito davanti a noi, inginocchiato e che chiedi umilmente e che ricevi pure l’imposizione del berretto sul tuo capo… poiché tu sarai obbediente al Rev. Cardinale vescovo vicentino e fedele ai suoi successori e a noi e obbedirai ai dovuti ordini dei nostri successori e niente di ciò che appartiene alle predette chiese alienerai ma manterrai i diritti di ciascuna e difenderai con giuramento quanto potrai i santi Evangeli”. Ma due anni dopo, nel 1544, in seguito ad una nuova visita pastorale alla chiesa di Villaga, il vicario generale Roberto de Monti constata che il rettore Benedictus de Bollis non vi risiede. Vi dimora al suo posto il vecchio presbitero Hieronimus de Bollis, talmente cagionevole di salute che raramente riesce a celebrare la messa. La relazione della visita pastorale 14 riporta quanto segue: “Il 15 ottobre 1544 Roberto de Monti visita la chiesa parrocchiale di Villaga che è cappella della pieve di S. Maria di Barbarano, la cui collazione spetta al rev. Vescovo vicentino e il valore è di ottanta ducati e il cui rettore è Benedictus de Bollis, chierico borgomense che non risiede; al suo posto vi è il presbitero Hieronimus de Bollis che è infermo e in cattive condizioni di salute al punto che raramente celebra la messa, a detta degli uomini del luogo e non è in grado di confessare gli infermi. Pertanto si rende necessario provvedere alla nomina di un sacerdote idoneo per la parrocchia”. Il Vicario conclude la sua visita ordinando la sospensione “a divinis” del rettore. Nel 1561 altra visita pastorale 15 del Vicario generale che “visitò la chiesa, la cui collazione spetta all’Ordinario ed è del valore di ducati centoventi pro officio al rettore dei frati di Sant’Elena, disse l’infrascritto signor cappellano”. 13 Arch. Parr. Barbarano, Prebenda, Decima, Documenti e liti, b. 5, fascicolo B, ff. 39-41. 14 Arch. Parr. Barbarano, Prebenda, decima, documenti e liti, busta 5, fascicolo D, ff. 60-61-62 15 Arch. Parr. Barbarano, Prebenda, decima, documenti e liti, busta 5, fascicolo B, ff. 43-44-45-46 111 CAPITOLO SESTO I frati olivetani alla guida della parrocchia La storia della chiesa di Villaga è segnata dalla presenza dei monaci Olivetani del monastero di S. Elena di Venezia per più di due secoli. Dal 1560, infatti, papa Pio IV, con bolla pontificia del 31 marzo di quell’anno, aveva tolto al vescovo di Vicenza la giurisdizione della chiesa di Villaga per affidarla all’abate del monastero di Sant’Elena a cui spettava il beneficio parrocchiale. Gli Olivetani costituivano una famiglia del grande ordine benedettino, fondata nel 1313 a Monte Oliveto Maggiore dal Beato Bernardo Tolomei. L’approvazione definitiva di tale congregazione e la facoltà di fondare nuovi monasteri furono concesse da papa Clemente IV nel 1344. Nel territorio delle Repubblica di Venezia gli Olivetani eressero dodici monasteri, tra cui si distingueva quello di S. Elena a Venezia. A questo monastero vennero poi affidate le parrocchie di Orgiano e di Villaga per motivi che rimangono ignoti. Per oltre duecento anni, quindi, potè usufruire della presenza e del ministero dei monaci olivetani i quali, ritenendosi esenti da ogni giurisdizione vescovile, per un certo periodo di tempo (dal 1723 al 1769) non accolsero le visite pastorali dei vescovi di Vicenza. La chiesa di Villaga dipese dal monastero di Sant’Elena fino al 1770, anno in cui il Senato della Repubblica Veneta sospese i monaci olivetani dall’esercizio della cura parrocchiale, facendo quindi ritornare Villaga alla responsabilità dei sacerdoti diocesani vicentini.16 Ritornando alla visita pastorale del 1561, il Vicario visita il Santissimo Sacramento che trovò in vaso ligneo riposto in un arredo nel muro. Serve questa chiesa il signor presbitero Francesco da Colonia, a cui spetta un salario di ducati dodici, 12 stari di frumento e mezzo plaustro di vino, annualmente.Vide il fonte battesimale ben tenuto, con scodella di rame che ordinò fosse elevata e coperta con vetro. La chiesa era abbastanza pulita, ben tenuta e ornata con quattro altari ben muniti di tovaglie e altro necessario. Vide un calice con la coppa argentea e una patena d’argento, poi due paramenti non molto buoni, tre pianete, una di damasco, un’altra di seta rossa e un’altra di panno vivido e ordinò di verificarle perché fossero in ordine per le festività di Natale. Comandò poi di fare un’altra pianeta dignitosa per i giorni festivi con i suoi finimenti. Il presbitero Francesco da Colonia disse di avere circa 70 anime da comunione e che era presente in parrocchia uno che contrasse matrimonio in grave proibizione, che non volle assolvere. Il Vicario interrogò Antonio di Domenico di Villaga, decano, e Pietro Ferrario di questo luogo, sulla persona e le qualità del presbitero e sulla sua cura. Risposero che quel presbitero era un buon sacerdote e provvedeva bene alla LA PARROCCHIA DI VILLAGA cura delle anime e dava soddisfazione agli uomini di detta villa (paese); osservavano poi che aveva in canonica una massaia d’età tra i 40 e i 50 anni, non sospetta e che non dà scandalo. Infine, il Vicario ordinò di riparare il tetto nei locali in cui pioveva e di recintare il cimitero perchè non entrassero gli animali. L’anno successivo, nel 1562, il chierico Alessandro Beraldo, a nome del nobile Andrea Marcello, venne investito del beneficio parrocchiale di Villaga per volere di Simone de Preti, canonico di Pesaro, vicario generale del cardinale Giulio Feltrio della Rovere. 17 La visita del vescovo Michele Priuli Nel 1583, il vescovo Michele Priuli, continuando la sua visita pastorale, giunse alla chiesa parrocchiale di Villaga; gli venne incontro il reverendo Maurizio, della Congregazione di Monte Oliveto, che lo accolse sotto il baldacchino e lo condusse verso la chiesa in processione. Entratovi, il vescovo fece l’adorazione della croce e inginocchiato pregò davanti al SS.mo Sacramento; poi, rivolto al popolo, tenne un sermone. Fatta la confessione generale, concesse ed elargì misericordiosamente l’assoluzione e l’indulgenza di quaranta giorni. 18 Visitò il Santissimo Sacramento, riposto sopra l’altare maggiore in un tabernacolo ligneo. Passò in rassegna i vari arredi sacri e diede disposizioni sulla conservazione dei vasi ordinando di far riparare la patena e di rinnovare il messale romano. Il giorno seguente, il vescovo ritornò alla chiesa di Villaga e visitò di nuovo l’altare maggiore intitolato a S. Michele, di marmo e non consacrato, e ordinò di far dipingere una nuova pala d’altare. Visitò l’altare a lato del S. Rosario, marmoreo non consacrato; dispose che fossero rinnovati i candelabri. Visitò l’altare dell’altro lato, dedicato alla Gloriosa Vergine Maria, marmoreo non consacrato; ordinò di provvedere a un nuovo quadro d’altare, di chiudere i fori dietro l’altare e di fornirlo di nuovi candelabri. Nel 1623 il Vicario Benedetto Romano si recò presso la chiesa di S. Michele di Villaga, il cui curato era Giovanni Francesco Fasdio, monaco della congregazione olivetana. 19 Fatta l’orazione davanti al Santissimo Sacramento, il Vicario iniziò la visita ispezionando l’altare maggiore sopra il quale era deposto il SS. Sacramento in un vaso d’argento posto in un tabernacolo ligneo indorato ben tenuto e custodito; visitò poi l’altare del Santo Spirito e, in seguito, quello della Beata Vergine del Rosario, abbastanza ornato, e ordinò di rinnovare gli angeli.Vide il fonte battesimale ben custodito, osservò tutta la chiesa e ordinò di sostituire i vetri delle finestre e di risistemare il tetto. 17 Arch. Parr. Barbarano, Prebenda, decima, documenti e liti, busta 5, fascicolo D, ff. 45-48 18 Arch. Curia Vesc. Vicenza, Visitationes, b.4 / 0556 19 Arch. Curia Vicenza, Stato delle Chiese, Barbarano b. 19/A 16 La Diocesi di Vicenza, 1998, Villaga, pag. 552 112 113 CAPITOLO SESTO LA PARROCCHIA DI VILLAGA Vide il cimitero e invitò a riparare il muro di cinta. Questa chiesa – si legge nel documento – ha la confraternita denominata del SS. Sacramento che è governata dai suoi custodi che annualmente sono rinnovati, secondo le leggi canoniche. due altari: quello del Rosario e quello dedicato a S. Antonio da Padova; in esso vi era custodita la reliquia del santo ed era presente una “schola sub titulo S. Antonii” (confraternita sotto il titolo di S. Antonio), formata da tredici confratelli, che provvedeva al mantenimento dell’altare, che più tardi, nel 1822, venne dedicato a S. Giuseppe. Il presule visitò poi il fonte battesimale, posto nella parte sinistra in un’edicola costruita appositamente; osservò l’immagine di S. Giovanni Battista collocata sopra il sacrario. Si soffermò successivamente in sacrestia per visionare le suppellettili sacre che trovò abbastanza in ordine e diede disposizioni per l’acquisto di un messale per le nuove messe dei santi. Quindi lodò l’operato del parroco e dei suoi cooperatori in merito all’insegnamento della dottrina cristiana. La visita del 1645 Nel 1645, e precisamente il 21 maggio, avvenne una nuova visita pastorale alla chiesa di Villaga da parte del Vicario generale Giuseppe Zaghio. 20 Dopo l’orazione, il prelato visitò il Santissimo Sacramento posto in una pisside d’argento abbastanza decente, collocata in un tabernacolo ligneo sull’altare maggiore e ordinò di porre, in cima al tabernacolo, una croce o un crocifisso. Visitò il fonte battesimale, vide i vasetti degli olii per i battezzati e ordinò di conservarli in una cassettina di cuoio. Visitò gli olii santi, custoditi in un contenitore dorato posto in una finestrella del coro presso l’altare; ordinò che fosse foderata e chiusa con una porticina munita di chiave. Vide un piccolo vaso d’argento, utilizzato per il sacramento dell’estrema unzione, e ordinò di sistemarlo in una urna di cuoio. Vide poi un piccolo vaso d’argento con cui si porta la comunione agli infermi e ordinò di apporvi un cerchio intorno per impedire che ne uscissero frammenti. Esiste in detta chiesa al confraternita del Santissimo Sacramento con capitoli non ancora approvati; ordinò pertanto di rinnovarli e di farli approvare dall’ordinario. Esiste poi la confraternita del Santo Rosario con Bolla dell’indulgenza che il Vicario riconobbe e approvò, per grazia dell’arcidiacono Trissino e di Francesco Bonelli, canonico vicentino. Interrogato il parroco Paolino Raimondo, monaco olivetano, così rispose: “Sono stato posto qui come curato dall’abate di Sant’Elena di Venezia sotto la giurisdizione della quale è questa chiesa. Ho un salario d’entrata e l’obbligo però di corrispondere al monastero quello che è stato accordato; ma non intendo dargli cosa alcuna avendo appena di che vivere. Ho la mia facoltà della cura sottoscritta dalla Vostra Reverendissima”. La visita del 1790 Il 29 agosto 1790 il vescovo Marco Zaguri venne in visita alla parrocchia di Villaga.21 Entrato in chiesa si accostò all’altare del SS.mo Sacramento e constatò che l’eucarestia era conservata in un nuovo ciborio di marmo elaborato con eleganza e grazia, dentro una pisside argentea. L’altare maggiore, costruito in quegli anni ed impreziosito dallo splendido marmo di Carrara, incontrò il favore del vescovo che lo apprezzò. Passò poi in rassegna gli altri Le visite nell’800 Nell’800 la parrocchia di Villaga venne visitata dai vescovi: Giuseppe Maria Peruzzi nel 1820, da Giovanni Antonio Farina nel 1871 e da Antonio Feruglio nel 1899. Nel 1820 la parrocchia di Villaga contava su 405 abitanti e 91 famiglie; le anime da comunione erano 295, i cresimandi “pochi – precisa il parroco don Antonio Broccardo – perché nel 1814 avevano ricevuto il sacramento della cresima 109 ragazzi”. 22 Nella relazione al vescovo il parroco, in merito al beneficio parrocchiale, dichiara: “non ho il dovere di rendere conto perché pago pensione ben gravosa al demanio sopra questo beneficio di ducati spicci 60; vi sono legati per messe e funzioni; niente si riscuote per funzioni e le messe a soldi trenta”. 23 Interpellato sulla vita religiosa e morale, il parroco puntualizza:“Predico a questo mio popolo ogni festa, insegno la dottrina, assisto i moribondi, non pratico alcuno, vesto da prete, ubbidisco e pubblico tutti gli ordini che spedisce la cancelleria”. Il cappellano era don Clemente Chiumenti, da Monte di Malo, di anni 52, che il parroco giudica “sacerdote di pietà, di dottrina, di semplicità ecclesiastica, interviene alla dottrina, studia la teologia”. 24 In riferimento ai fedeli, don Brocardo precisa che i non confessi sono otto e che in generale i suoi popolani sono poco amanti della loro chiesa. Quanto ai libri proibiti, egli afferma che pochi sanno leggere.25 Nella successiva visita del 1871 gli abitanti della parrocchia erano 557 mentre le famiglie risultavano 125; le anime da comunione 386, i cresimandi 23. Il parroco era don Giacomo Valente, coadiuvato dal cappellano Paolo Simionati. I servizi della vita religiosa erano regolari; il catechismo era svolto nei pomerig- 22 G. Mantese- E. Reato, La visita pastorale di Giuseppe Maria Peruzzi nella diocesi di Vicenza, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1972, pag. 189 23 Ibidem 24 Ibidem, pag. 190 25 Ibidem 20 Arch. Curia Vesc. Vicenza, Visitationes, b. 8 / 0560 21 Arch. Curia Vicenza, Visitationes, b. 20/572 114 115 CAPITOLO SESTO gi delle giornate festive. Era attiva in parrocchia la congregazione dell’Immacolato Cuore di Maria, affiliato a quella dei Carmini di Vicenza. In merito ai fedeli, il parroco osservava che vi erano una ventina di non comunicati a Pasqua e due coniugati che non coabitavano. 26 Nella visita del 15 agosto 1899, gli abitanti erano saliti a 920, di cui 515 ammessi alla comunione. Sulle rendite della parrocchia, il parroco don Giuseppe Faccin dichiara: “Lo stato attivo del beneficio si forma dai terreni che costituiscono il beneficio stesso e dalla decima dovuta al beneficio medesimo. Dai campi divisi da diversi appezzamenti ricevo L. 1162, dalla decima L. 500 circa che ora si paga in denaro, per cui il totale si può calcolare di L. 1600. Le passività per tasse governative ammontano a L. 500 e più, di guisa che il reddito è presso a poco L. 1000 annue. Sul beneficio gravita anche l’onere di S. Messe dodici all’anno, che furono sempre celebrate”. 27 L’entrata annua delle questue e delle elemosine ammontava a L. 45 circa. I fabbricieri a quel tempo erano: Maccà Gaetano, Dal Toso Mosè e Conti Giovanni. Sulla fabbriceria il parroco precisa che “non ha nè crediti nè debiti; a seconda delle rendite tutte incerte, si spende. Le fonti di rendita sono le questue e le offerte della popolazione”. 28 In merito alla vita religiosa e morale, la predicazione e istruzione religiosa ai fanciulli e agli adulti è tenuta dal parroco nel pomeriggio delle domeniche. 29 “Il vescovo Feruglio – annota don Faccin – nell’occasione della visita pastorale cresima 94 fanciulli di Villaga. Lode a Dio che trovò (e sono parole sue) i fanciulli e le fanciulle molto ben istruiti nel catechismo e la chiesa ben tenuta per pulizia e addobbamenti”. 30 LA PARROCCHIA DI VILLAGA La Chiesa parrocchiale di Villaga dedicata a San Michele Arcangelo, costruita nella seconda metà del ‘700. La visita del 1915 Il 13 settembre 1915 venne in visita pastorale alla parrocchia di S. Michele Arcangelo il vescovo Ferdinando Rodolfi, accolto dal parroco don Domenico Ferronato. Alcuni giorni dopo la visita, il vescovo fece recapitare al parroco la seguente lettera: 31 “Abbiamo compiuto la sacra visita pastorale alla parrocchia di Villaga…e con grande conforto del nostro cuore, manifestiamo la compiacenza di avervi trovato una popolazione dalla fede profonda e sinceramente professata, devota alla chiesa ed al suo parroco. La devota accoglienza preparataci, la frequenza ai santi sacramenti e l’attenzione prestata alla nostra parola, ci assicurano che questo popolo vorrà costantemente dar prova della sua fedeltà alla nostra santa religione. 26 G. A. Cisotto, La visita pastorale di Giovanni Antonio farina nella diocesi di Vicenza, Ed. Storia e letteratura, pagg. 394-395 27 La visita pastorale di Antonio Feruglio nella diocesi di Vicenza, Roma 1985, pagg. 375-376 28 Ibidem 29 Ibidem 30 Arch. Parr. Villaga, Registro Cresimati a. 1899 31 Arch. Parr. Villaga, fascicolo Visita pastorale Rodolfi 116 Particolare del portale di ingresso della Chiesa sormontato da una lapide indicante l’anno di erezione della Chiesa. 117 CAPITOLO SESTO LA PARROCCHIA DI VILLAGA I ricordi da noi dati prima di accomiatarci, li ripetiamo qui, nel desiderio che essi formino la costante tradizione della parrocchia: si faccia ogni sacrificio perché tutti i figlioli possano frequentare con esattezza e profitto le loro scuole della Dottrina Cristiana, e diano il buon esempio gli adulti assistendo ogni festa alla spiegazione del catechismo; fra tutti poi si conservi sempre il precetto della carità di N. S. Gesù Cristo, e scenderanno copiose le benedizioni del Signore, come noi di cuore, sul parroco e sui fedeli invochiamo”. di Villaga per esaminare e rllevare molte fatture occorrenti e necessarie ad ultimazione della sua Chiesa parochiale titolatta di S. Michele Arcangelo sogietta al Ius Patronato del Serenissimo Principe…ho rilevato quanto segue. Primo. Ritrovandosi la sudetta chiesa nel suo interno ridotta, e stabilità, con elegante proporzione, e suficientemente ornata, ma mancante di faciata servendo alla stessa la faciata vechia, la quale alquanto più bassa della nova chiesa viene tenuta malamente difesa da tavole di legno è però esposta à danni et alle intemperie, ad eseguire adunque la stessa nella sua totalità in ordine al mio dissegno rileva la spesa…L 5270. Secondo. Per il soffitto interno della chiesa eseguito a finto volto di arelle, o cantinelle disobligato dal coperto, con sue cadene al sustentamento di detto soffitto; il tutto liscio con le sue lunette alle finestre…risulta la spesa di materiali e fatture…in ducati corenti n° 550: sono L. 3410”.35 Nel terzo punto, Fontana proponeva di non restaurare il vecchio campanile, poiché era cadente, ma di “farlo novo dirimpetto alla chiesa a parte mattina ”.36 4. LA CHIESA ATTUALE L’attuale chiesa venne eretta nel 1764, anno in cui risale la licenza concessa dalla Curia vescovile di Vicenza al “M. Rev. P. d. Cesare Finozzi di benedire la chiesa nuovamente rifabbricata”.32 La nuova chiesa era sorta sul luogo della cadente vecchia parrocchiale, che esisteva da diversi secoli. Al padre Finozzi va quindi il merito di aver portato a buon fine la costruzione della nuova parrocchiale. A conferma di ciò è una lettera inviata al vescovo Antonio Marino Priuli al quale comunicava la “lieta nuova di havere ultimato la fabrica di questa parochiale, ne altro vi manca al total suo compimento, che il Coro, quale a Dio piacendo si farà a miglior stagione”.33 In realtà, alla nuova chiesa, oltre al Coro mancavano la facciata e il soffitto interno. Più tardi, nel 1794, il Comune di Villaga inviò una supplica al Doge di Venezia in cui si chiedevano sussidi per completare i lavori: “Serenissimo Principe, altre volte il povero Comune di Villaga…accorse ai piedi dell’adorato suo principe per ottenere soccorso alla Fabbrica della propria chiesa intitolata di S. Michele Arcangelo annessa al venerando Monastero di S. Elena in Isola, e perciò soggetta al Iuspatronato Reggio della Serenità Vostra, ch’era resa cadente, ed ottenne le caritatevoli assistenze, che risultano dalli due favorevoli decreti 18 gienaro 1763 e dal 15 settembre 1764; col mezo delle quali unindosi anche tuti quei aiuti, che tanto in publico, che in privato ha potuto prestare detto Comune, sortì allo stesso di veder innalzato il nuovo tempio d’Iddio. Mancano in presente a total compimento dell’opera… tanto necessaria à quella popolazione varie fature raccolte nel fabisogno 24 maggio 1794 dal pubblico perito ed ingegnere Giacomo Fontana, che si rasegna, non tanto ocorrenti all’abbellimento, chè indispensabili alla conservazione di quanto si è operato fin ora”.34 All’ing. Giacomo Fontana venne affidato il compito – da parte dell’allora parroco don Antonio Brocardo – di condurre i lavori di completamento della chiesa. Egli preparò il disegno della nuova facciata e relazionò sul fabbisogno necessario. In un suo scritto del 24 maggio 1794 egli riporta quanto segue: “Richiamato io sottoscritto Proto Murer e Pubblico Perito ingegner dalli sig.ri Pietro Veronese q.m Bortolo e Batta Mazaron q.m Domenico attuali Governatori del Comun 32 Arch. Curia Vicenza, Diversorum, b. 18 33 Arch. Curia Vicenza, Stato delle Chiese, b. 330 34 Arch. Parr. Villaga, Fascicolo: Per il Reverendo paroco di S. Michiel di Villaga, anno 1790… foglio sciolto 118 Statua acroteriale raffigurante San Michele Arcangelo, posta sopra il timpano della facciata della Chiesa. 35 M. Saccardo, Notizie d’arte, anno 1981, pagg. 511-512 36 Ibidem, pag. 511 119 CAPITOLO SESTO Il suo consiglio verrà recepito verso la metà dell’800, quando il parroco don Vito Canale provvide alla costruzione del nuovo campanile. Intanto si attuarono i lavori di erezione della nuova facciata, di restauro del vecchio campanile e delle mura del cimitero, che stava attorno alla chiesa, ai quali concorse anche il Comune di Villaga con lire 372 erogate dall’esattore del Comune Gaetano Trulla.37 Nel 1797 tali lavori furono terminati. Il Maccà, in proposito, scrive: “La chiesa parrocchiale di Villaga…fu ultimamente riedificata in assai più bella forma con tre altari. L’altar maggiore ha un vago tabernacolo di marmo carrarese…Presentemente viene uficiata da un rettore e da un cappellano".38 Un secolo dopo, nel 1899, don Faccin scriveva: “Si sa che il soffitto della chiesa e il campanile furono fatti dal parroco don Vito Canale morto il 7 agosto 1846; che il pavimento della chiesa, chiamato Terrazzo, e le tre campane furono fatte da don Giacomo Valente. Gli altari sono tre: nel mezzo l’altare del coro con un ricco tabernacolo di marmo di Carrara e a destra della chiesa vi è l’altare dedicato a S. Giuseppe; a sinistra di chi entra nella chiesa vi è l’altare dedicato alla Madonna del Rosario. Questo è privilegiato perché vi è eretta canonicamente la Confraternita del Santo Rosario”. 39 LA PARROCCHIA DI VILLAGA 5. DESCRIZIONE DELLA CHIESA La facciata La chiesa, che è tra le più armoniose del Vicentino, presenta una facciata rivolta ad oriente, caratterizzata da quattro lesene che terminano con capitelli di stile corinzio; la parte superiore è contraddistinta da un ampio frontone sopra il quale sono collocate tre statue acroteriali della fine del Settecento, il cui autore è il valente scultore Giovanni Bendazzoli. Esse raffigurano: al centro S. Michele Arcangelo che impugna la lancia e con essa trafigge una figura demoniaca; sulla destra S. Giovanni evangelista, riconoscibile dal calice che regge in mano; sulla destra S.Caterina da Siena che indossa la veste domenicana. Le tre statue, secondo lo studioso Mario Saccardo, 40 risalLa pala di Cristoforo Menarola raffigurante San gono allo stesso anno dell’erezione della Michele Arcangelo con in primo piano i Santi facciata (1797) ed esteticamente vanno Caterina da Siena e San Giovanni evangelista. considerate di buona fattura. Il portale è sormontato da un piccolo timpano entro il quale è scolpito il busto del Padre Eterno che regge con la mano sinistra il globo, mentre l’altra mano è sollevata in atteggiamento benedicente. Al centro della facciata è presente una lapide di forma rettangolare che riporta la seguente iscrizione: DOM / DIVOQUE MICHAELI ARCHANGELO / COELESTIS MILITIAE PRINCIPI / DICATUM / ANNO MDCCXCVII; la lapide ricorda l’anno di conclusione dei lavori di edificazione della nuova facciata (1797). L’ altare Maggiore Chiesa parrocchiale di Villaga: il presbiterio con l’altare maggiore e sullo sfondo la pala di San Michele Arcangelo. 37 Arch. Parr. Villaga, Fascicolo: Per il Reverendo paroco…, foglio sciolto 38 G. Maccà, Storia del territorio vicentino, tomo IV, pag. 341 39 Arch. Curia Vicenza, Stato delle chiese, b. 330, Notizie prima della visita pastorale Feruglio 120 Nell’interno, ad un'unica navata, vi sono tre altari. L’altare maggiore, in marmo bianco e rosso di Carrara, dedicato a S. Michele Arcangelo, è composto da un paliotto rettangolare delimitato lateralmente da due pilastrini con specchiature in marmo, mentre al centro è presente un motivo decorativo incorniciato da marmo bianco. Sopra la mensa poggiano due gradini che fungono da basamento per il tabernacolo a tempietto che si conclude con una cupola ad ele- 40 M. Saccardo, Opere d’arte nella parrocchiale di Villaga, in Realtà Vicentina, marzo 2003, pag. 39 121 CAPITOLO SESTO LA PARROCCHIA DI VILLAGA menti sovrapposti, abbellita da una statuetta in marmo bianco raffigurante il Cristo benedicente. Questo altare era già presente nel 1790, quando il 29 agosto, il vescovo Zaguri fece visita alla chiesa (nella relazione pastorale si legge…“recenter eleganterque extructum”, cioè costruito di recente e in forma elegante).41 La Pala di S. Michele Arcangelo Dietro l’altare si ammira la pala centinata raffigurante S. Michele Arcangelo vestito da soldato e dotato di grandi ali, contornato da un nugolo di nubi e cherubini, che trafigge con una lancia il demonio. In basso, a sinistra, appare S. Caterina da Siena in piedi su un piedistallo, vestita nel consueto abito domenicano, che regge un giglio e un crocifisso. Alla sua destra vi è S. Giovanni evangelista, anch’egli sul piedistallo, vestito con una tunica e un mantello, che regge un calice e un libro chiuso. In mezzo ai due santi si apre un paesaggio con valle e monti (secondo Antonio Verlato, si tratta proprio dell’ambiente di Villaga), con nubi sovrastanti. L’opera è datata e firmata: “Cristofano Manarola fecce 1693”. Questo dipinto – osserva Katia Perana - 42 è forse il più antico finora conosciuto di Cristoforo Menarola (Bassano del Grappa, 1657 – Vicenza, 1731), pittore apprezzabile e molto prolifico, cresciuto presso la bottega di Giovanni Battista Volpato…Nel quadro di Villaga, molte caratteristiche fisionomiche dei volti dei santi, le ali di S. Michele e le teste dei cherubini sono derivate dall’insegnamento di Volpato e si confrontano, in particolare, col le sue opere feltrine. Manarola elabora le figure seguendo modalità semplici e lineari, stendendo colori vibranti nelle vesti e marcando i volti con toni cupi, venati da accenti di rosa. Il dipinto è stato restaurato nel 2003 da Raffaello Peotta ed è ritornato alla originaria nitidezza di colori. L’altare della Madonna del Rosario Altare della Madonna del Rosario. Nella parete sinistra della navata si trova l’altare dedicato alla Madonna del Rosario, eretto nel 1770, come riferito dalla lapide appostavi: DOM / AT.Q.B.V. PATRONA ROSARII / CVRANTE BART. VERONESE D.D. / ANNO MDCCLXX. L’iscrizione fa riferimento ad un certo Bartolomeo Veronese, che a quel tempo era il massaro della confraternita del Rosario, che istituì l’altare e poi lo curò nel corso degli anni. L’altare è costituito da un paliotto rettangolare delimitato ai lati da due volute, sopra il quale è colStatua di Sant’Anna. 41 Arch. Curia Vicenza, Visitationes, b. 20/0572 42 K. Perana, Una pala di Cristoforo Menarola raffigurante S. Michele Arcangelo, Catalogo Beni Culturali -Voce dei Berici, pag. 21 122 Grande dipinto raffigurante l’Ultima Cena. 123 CAPITOLO SESTO LA PARROCCHIA DI VILLAGA locato il tabernacolo; vi è poi il dossale con arco centinato al centro e una coppia di colonne in marmo rosso alle estremità. Nella nicchia si trovava fino al 1940 una statua della Beata Vergine, rivestita di indumenti. “La statua – è annotato in un inventario parrocchiale - 43 venne sostituita nel 1940 con una bella statua in legno, fattura Ortisei, donata dalla famiglia Piovan di Villaga”. La scultura raffigura laVergine che tiene il Bambino Gesù in braccio e nella mano destra stringe il Rosario. Il Bambino alza la mano destra in segno di benedizione. altare – precisa lo studioso Saccardo – ne esisteva un altro, dedicato a S. Antonio da Padova, che aveva una pala dello Spirito Santo ed era fornito della statua di S. Antonio, ora inserita in una nicchia nella parete sinistra della chiesa. 44 Ed aggiunge che questo altare appare l’insieme di vari elementi barocchi non bene armonizzati tra loro (probabilmente provenienti dal vecchio altare di S. Antonio), con l’innesto di altri elementi lapidei e marmorei.45 Nella nicchia è presente la statua di S. Giuseppe, in legno intagliato e dipinto, di bottega veneta, risalente all’inizio dell’800. Il santo è ritratto con una veste blu coperta da un manto rosso, con i capelli lunghi, la barba folta e marcate sopracciglia. L’altare di S. Giuseppe Sulla parete destra, di fronte a quello della Madonna, si erge l’altare di S. Giuseppe, datato 1822, in pietra e marmo, con paliotto rettangolare decorato a specchiature rosse e grigie. Il dossale evidenzia una nicchia centinata al centro, affiancata da due piccole colonne in marmo rosso di Asiago. Prima di questo Gli affreschi del soffitto Il soffitto della navata è adornato da quattro dipinti murali ottocenteschi, in buono stato di conservazione, che rappresentano, partendo dal fondo della chiesa: l’annunciazione, l’incoronazione della Vergine, l’adorazione dei Magi, la Fede; tutti e quattro gli affreschi sembrano appartenere allo stesso autore, Giuseppe Pupin, pittore scledense, molto attivo nella nostra zona nella seconda metà dell’Ottocento. Il dipinto dell’Ultima Cena Altare di San Giuseppe. Sopra la bussola d’ingresso è collocata una grande tela raffigurante l’Ultima Cena. Nella visita pastorale del vescovo Onisto, nel 1976, il dipinto venne assegnato ad Alessandro Maganza e datato al 1580 circa. Tuttavia l’attribuzione al Maganza è controversa. Il quadro non veniva citato nell’inventario parrocchiale del 1937, pertanto è stato acquisito in tempi abbastanza recenti. Dell’opera pittorica dà notizia don Ezio Aste, quando nel 1969 si procedette al suo restauro. Il dipinto raffigura una grande tavola imbandita attorno alla quale siedono gli apostoli e al centro sta il Cristo con le braccia allargate mentre parla ai commensali. Completano l’interno della chiesa due acquasantiere a fusto in marmo rosso di Asiago, di bottega veneta, datate alla fine del Settecento; un’acquasantiera a muro in marmo rosso della metà dell’800; la statua in legno intagliato e dipinto di S. Anna, custodita in una nicchia sulla parete sinistra della chiesa; una Via Crucis in terracotta dipinta, di ambito vicentino, risalente al primo Novecento; l’insieme di due stalli del presbiterio in legno intagliato, di bottega veneta, di fine ‘700. In sacrestia merita una menzione lo splendido mobile in legno intarsiato 43 Arch. Parr. Villaga, Inventario e registro dello stato patrimoniale della chiesa di S. Michele Arcangelo in Villaga dal 31 dicembre 1929 al 15 maggio 1937 44 M. Saccardo, Opere d’arte nella parrocchiale di Villaga, pag. 39 45 Ibidem 124 125 CAPITOLO SESTO LA PARROCCHIA DI VILLAGA sul quale sono presenti quattro formelle lignee raffiguranti i santi Michele Arcangelo, Anna, Giuseppe e Antonio da Padova. Il manufatto, che denota la mano di un qualificato intagliatore, risale alla seconda metà del ‘700. Tra gli oggetti più significativi appartenenti alla chiesa segnaliamo: due reliquiari in argento sbalzato, della seconda metà del ‘700; una pisside in argento sbalzato degli inizi del ‘700; una croce astile in ottone bulinato, del ‘600; un ostensorio raggiato, in argento, degli inizi dell’800; una pianeta a manipolo con decorazione, della prima metà del ‘700; un’altra pianeta con stola e busta ricamati con motivi floreali, di fine ‘700; una terza pianeta in velluto di seta nera broccato, della metà del ‘700; gli stendardi di S. Luigi Gonzaga, della Madonna Incoronata e del Sacro Cuore di Gesù. Il campanile Davanti alla facciata della chiesa si apre il sagrato, recinto da una ringhiera in ferro; al centro, in asse con la porta maggiore sono disposti tre gradini affiancati da due alti piedistalli sopra i quali sono posti due angeli barocchi, restaurati da qualche anno, e probabilmente appartenuti alla vecchia chiesa. Di fianco alla chiesa, sulla parte destra, si eleva il campanile, alto 27 metri, fatto costruire tra il 1835 e il 1847 dal parroco don Vito Canale. Le prime tre campane, fuse dalla ditta Cavadini di Verona, furono sistemate nella cella campanaria nell’anno 1850; 46 più tardi, nel 1946, se ne aggiunsero altre due, fornite dalla ditta Colbacchini di Padova. Alla quinta campana, per volere di don Tito Meneguzzo, fu apposta la dicitura: “Milites crudeli ac maximo bello 1940-1945, composito B. Mariae V: ad Nives grati, Regina pacis, ora pro nobis”.47 Il sacro bronzo venne quindi dedicato alla Madonna della Neve per le grazie ricevute durante il secondo conflitto mondiale. Il campanile della Chiesa parrocchiale. 46 Arch. Parr. Villaga, Inventario e registro dello stato patrimoniale della chiesa di S. Michele Arcangelo in Villaga 47 Arch. Parr. Villaga, foglio volante datato 30 novembre 1945 126 6. LA CANONICA Verso la fine del ‘700, oltre ai lavori di costruzione della nuova chiesa, si dovette affrontare anche il problema della sistemazione della canonica che si trovava in preoccupante stato di degrado. Un certo Batta Dalla Rosa, muratore, il 16 dicembre 1789 dichiarava per iscritto quanto segue: “Atesto io sottoscritto con mio giuramento che la canonica di Villaga è in precipizio e, se in breve non vengono fatti li coperti cadono giù, sichè io consiglio il parocho a slogiare, a ritirarsi in altra casa se non volle restare sotto le rovine”.48 Poiché la parrocchia di Villaga, fin dal 1560, per decreto del Pontefice PioIV, era passata sotto il controllo dei padri Olivetani del monastero di Sant’Elena in Isola di Venezia, questi ultimi chiesero al Comune di Villaga di concorrere alle spese per il restauro della canonica. Il 20 dicembre 1789, nella Casa del Comune, si riunì la generale Vicinia del solo Colonnato di Villaga, presieduta da Francesco Gastaldello, degan. Erano presenti: Giacomo Mazzaron, Antonio Mazzaron, Francesco Dalla Rosa, Francesco Borinato, Santo Dalla Libera, Bernardin Rossi, Francesco da Soghe, Zuanne Maran, Antonio Fattore, Sebastian Dal Toso, Michiel Beggio, Pace Cappa, Domenico Cappa, Antonio Donatello, Alessandro Orso, Zuanne Soster, Francesco Troncon, Zuanne Rappo, Carlo Bellin, Nicolò Mattiello, Zuanne Rossetto, Pietro Garbugio, Giacomo Zanin, Agostin Montan, Domenico Riello, Francesco Roetta, Antonio Rodda, Batta Borinato, Mattio Panizzolo, Bortolo Brunello, Basilico Fattore, Leopoldo Mambrin, Santo Cappa, Iseppo Gottardo, Batta Dalla Rosa, Mattio di Signori, Francesco Fattore e Domenico Garbugio. Dopo il suono della campana fu esposto quanto segue: “ Professano il reverendo Monastero di S. Elena in Isola di Venezia e il rev.o arciprete di questa chiesa parrochiale (don Antonio Brocardo), che a questo Comun sia incombente il restauro della canonica abitata dal sig. arciprete; ma non avendo mai il Comun concorso a spesa alcuna di restauri nella canonica; che furono sempre fatti da detto Monastero Iuspatronato del beneficio parrocchiale, da cui ritrae annualmente ducati sessanta correnti, credono li nostri Governatori col sentimento anche delli difensori del Comun di non dover accordare di corrispondere somma alcuna per restauri. Per proceder però con ogni possibile cautela, li Governatori medesimi assoggettano alli nostri voti il presente affare e perciò vi propongono di opporsi alla pretesa dei restauri nella canonica.. Il che mandata alla votazione nel bossolo bianco che dice di sì per la opposizione dei restauri trovassi: voti 40; nel bossolo rosso che dice no: voti 0”. 49 48 Arch. Parr. Villaga, Fascicolo: Per il Reverendo paroco…, foglio volante n. 6 49 Arch. Parr. Villaga, Fascicolo: Per il Reverendo paroco…, due fogli sparsi 127 CAPITOLO SESTO LA PARROCCHIA DI VILLAGA Pertanto la General Vicinia si espresse all’unanimità per non contribuire al restauro della canonica, sostenuta anche da una dichiarazione del vecchio parroco, l’abate Giuseppe Finozzi, datata 16 febbraio 1789, il quale osservò che “quando cadette il coperto di tutto il granaro e sfondato altresì il pavimento con rovina tottale di tutto il fromento, e fracassato altresì due botti di vino… La suddetta rovina fu rilevante ed il Rev.do Monastero di S. Elena diede ordine a me, che lo riparassi, e quando dovetti pagarlo non potei ottenere che soli ducati sessanta, dico 60, sebene la spesa fosse stata di 120, altro non ha voluto somministrarmi, ma il Comun niente affatto ha concorso per il sopraddetto restauro”. 50 L’anno seguente, nel 1790, la canonica venne visitata dal Procuratore del monastero di S. Elena; poi si giunse ad un accordo tra quest’ultimo e l’arciprete di Villaga. Il Monastero si impegnava a non richiedere più il canone annuo di 60 ducati per gli anni necessari a rifondere la spesa a carico della parrocchia che doveva pertanto provvedere alla ristrutturazione della canonica. Il documento, sottoscritto il 17 aprile 1790, riporta: 51 “1- Visitata nello scorso marzo 1790 la Canonica di Villaga… e riconosciuta la necessità d’un pronto restauro della suddetta canonica et adiacenze, accorda il R.mo Abate l’attual Cellerario e Procuratore, e tutto il Capitolo dei R.R. Monaci Olivetani di Sant’Elena di Venezia, di rinonciare, ed anzi ipso facto cede e rinoncia al R. Antonio Brocardo arciprete di Villaga la pensione di ducati sessanta correnti che esso Arciprete paga annnualmente al suddetto Venerando Monastero, perché sia impiegata nel restauro della canonica ed adiacenze della medesima e ciò per il corso di soli tanti anni, quanti si ricercaranno per compier l’opera de necessari, convenienti restauri. 2 - Il suddetto Arciprete d. Antonio Brocardo si obbliga ed assume l’impegno di far seguire li restauri, come sopra con tutta la integrità e fedeltà e con la dovuta economia e di tenere il più esatto registro di tutto lo speso per rassegnare il registro e le Polizze al Venerando Monastero ad ogni richiesta. 3 - Poiché lo stato rovinoso della canonica ed adiacenze può ricercare la pronta spesa in una sol volta di somma assai maggiore di ducati sessanta, perciò si obbliga il Venerando Monastero nel caso della morte (che Dio nol voglia) del detto Arciprete Antonio Brocardo, o nel caso di rinoncia al beneficio, ed in altri accidenti di tal genere, a rimborsare gli eredi dello stesso arciprete ovvero lo stesso d. Antonio Brocardo delle spese incontrate oltre la somma delle scadute pensioni, e rilevate dalla presentazione delle polizze e de'’giornalieri, fedeli registri”. La scrittura privata si chiude con le firme dei rappresentanti del Monastero Olivetano e del parroco di Villaga Brocardo; ma vi è poi una nota a fianco che dice testualmente: “Intendendo tanto il Procuratore Abate quanto il 1° punto che non abbino d’essere fatte cose voluttuose per la canonica e sue adiacenze, e senza niuno accrescimento di nuova fabrica, ma restringersi al puro necessario”. Verrebbe da dire: A buon intenditor poche parole! La canonica venne quindi restaurata dalla parrocchia ed ospitò i parroci di Villaga fino al 1936, anno in cui venne edificato un nuovo edificio per ordine dell’amministrazione demaniale, a mezzo del Genio Civile di Vicenza. Occorre precisare che nell’anno 1817 le proprietà parrocchiali dei monaci olivetani vennero indemaniate e quindi anche i fabbricati (chiesa e canonica) furono riconosciuti di proprietà del Regio Demanio, rimanendo usufruttuario il parroco pro tempore. In base a questa posizione giuridica, il parroco don Tito Meneguzzo, dopo il suo ingresso in parrocchia nel 1934, avendo constatata l’urgenza di provvedere alla riparazione e generale sistemazione della canonica che trovava cadente, malsana e insufficiente negli spazi, rivolse urgente reclamo al Regio Demanio che, nel 1935, intervenne con lavori di consolidamento della struttura; poi, nel 1936 il parroco riuscì a ottenere la completa demolizione del fabbricato e la sua ricostruzione per una spesa di L. 52.000, concesse dal Ministero dei lavori pubblici. 7. IL CIMITERO Nell’Alto Medioevo, con il sorgere e l’organizzarsi delle diocesi e delle varie parrocchie, la sepoltura accanto alla chiesa fu sempre ritenuta un ambito privilegio. “Indubbiamente la sepoltura accanto alla chiesa parrocchiale – osserva lo studioso Pendin – 52 era il fatto più comune perché in questo modo i fedeli ogni domenica, recandosi alle cerimonie liturgiche, avevano la possibilità di sostare accanto ai loro cari, pregare per loro, invocare per la loro intercessione la protezione di Dio sulle proprie famiglie”. Già nel tardo Medioevo, quindi, sorsero attorno alle chiese di Villaga, di Toara e di Belvedere i cimiteri, testimoniati nei libri canonici dei morti e nelle visite pastorali dei vescovi che si soffermavano in questi luoghi per impartire l’assoluzione alle anime dei defunti. I cimiteri rimasero quasi ovunque attorno alle chiese fino al 1806, anno in cui venne promulgato l’editto napoleonico di Saint Cloud che imponeva di trasportare tutti i luoghi di sepoltura fuori dai centri abitati. A Villaga non ci fu bisogno dell’entrata in vigore di questo provvedimento. Dieci anni prima, infatti, nel 1796, era già stato costruito il nuovo cimitero, dove si trova attualmente, lungo la strada collinare che conduce al Castello e poi a Barbarano. Il 7 febbraio di quell’anno il parroco don Brocardo aveva benedetto il nuovo camposanto; tra le prime salme inumate nel nuovo cimitero vi fu 52 G. Pendin, Cronache d’altri tempi, in Castegnero, dalle origini ai nostri giorni, Amministrazione comunale di Castegnero, pag. 107 53 Arch. Parr. Villaga, Libro dei morti 1760-1827 50 Ibidem, foglio sparso 51 Ibidem, foglio sparso 128 129 CAPITOLO SESTO quella di Angela, di anni 45, moglie di Giobatta Mazzaron.53 Cento anni dopo, nel 1895, il cimitero fu rinnovato in modo significativo. Don Faccin scrive in proposito: “Franchin Domenico fu il primo sepolto dopo il radicale restauro fatto nel cimitero appartenente a Villaga. Questo restauro consistè nel rendere atto il terreno al seppellimento, passando tutto il terreno alla profondità delle sepolture ed espurgandolo dai sassi e dai cengi a forza di mine e di leve, massi che impedivano a tanti luoghi il seppellimento. Superato questo lavoro faticoso, si mise a livello il terreno, si formarono i viali fiancati di profili di pietra e tutto gratuitamente per opera dei parrocchiani di Villaga eccitati ed incoraggiati e diretti da parroco. Il Comune contribuì nella posa dei profili di pietra e della ghiaia, condizione stabilita dal parroco prima di assumersi tale impegno”. 54 Del cimitero di Toara abbiamo una nota del parroco don Pietro Castelli il quale riporta che 55 “nel 1810, per ordine pubblico fu ingrandito questo cimitero e fu benedetto l’11 aprile 1811 dall’arciprete vicario foraneo di Barbarano don Bortolo Rasia Dani”. Tale affermazione ci fa capire che il cimitero già da tempo si trovava nell’area attuale, quindi fuori dall’abitato. Per il cimitero di Belvedere, invece, si dovette attendere l’anno 1965, quando, dopo accese discussioni in Consiglio comunale, si giunse alla decisione di farlo erigere a sud del paese, nel terreno di Crivellaro Virginio. 8. CRONOLOGIA DEI PARROCI DI VILLAGA NEL CORSO DEI SECOLI 1297 1420 1424 1425 1428 1428 1466 1492 1522 1529 1530-1542 1542 1562 1564 1581 1584 1587 1588 Artuxius (Artusio) Alessandro di Parma Giovanni di Montefalco Jacopo di Ferrara Nicolò da Drivasto Andrea de Noctiano Jacopo di Monte di Marchia Bartolomeo di Barbarano Hieronimo da Bergamo Benedictus de Bollis Hieronimus de Bollis Bendictus de Bollis (seconda investitura) Alessandro Baraldo Bernardin Restello Gabriele da Padova Michiele da Padova Gabriele Garro da Padova Cornelio Catto da Rovigo 54 Arch. Parr. Villaga, Registro dei morti, 1880- 1910 55 Arch. Parr. Toara, Libro dei nati, dei matrimoni e dei morti, 1798-1831 130 LA PARROCCHIA DI VILLAGA 1608 1623 1637 1645 1646 1679-1697 1698-1711 1711-1712 1712-1720 1720-1723 1723-1756 1756-1769 1769-1770 1770-1787 1787-1828 1728-1834 1834-1847 1848-1875 1875-1878 1878-1879 1879-1909 1909-1911 1911-1934 1934-1946 1946-1980 1980-1984 1984-1991 1991-1993 1993-1997 1997-2006 Dal 1-10-2006 Michelangelo Molino Giovanni Francesco Fasdio Cristoforo Pezze Paolino Raimondo Vincenzo Commi Carlo Dionisi Antonio Maria Camin Mattia Crivelli Valeriano Monica Anselmo Moles Placido Saffi Cesare Finozzi Giovanni Mauro Giacomo Marconi Antonio Brocardo Lodovico Gallo Vito Canale Giacomo Valente Cristiano Valente Giacomo Marchiori Giuseppe Faccin Luciano Dal Pozzolo Domenico Ferronato Tito Meneguzzo Ezio Aste Bruno Burato Diego Carretta Lorenzo Bizzotto Antonio Dovigo/Giulio Perini Giancarlo Pianezzola Valerio Vestrini 9. IL BENEFICIO PARROCCHIALE Abbiamo già visto, a proposito dell’Inventario dei beni immobili della chiesa di Villaga redatto dal parroco Bartolomeo da Barbarano, che una parte consistente delle entrate del beneficio parrocchiale derivava dai livelli (affitti di terre), dalle decime e dai quartesi. Le decime erano classificate in: dominicali o feudali; ecclesiastiche o sacramentali o anche spirituali.56 56 Sull’argomento delle decime, vedi il saggio molto ben documentato del prof. Flavio Dalla Libera “Il beneficio parrocchiale di Pozzolo”, pagg. 105-145 in “Pozzolo di Villaga”, a cura di G. Negretto e F. Dalla Libera, edito nel 2003 dalla Parrocchia di S. Lucia di Pozzolo. 131 CAPITOLO SESTO LA PARROCCHIA DI VILLAGA Le decime dominicali “vengono considerate oneri di diritto privato dovute a persona laica o ecclesiastica o ad enti per ragioni di dominio, cioè di terra ceduta in godimento dietro il pagamento del decimo dei prodotti…Gravavano su determinati fondi, costituivano veri e propri diritti reali, e potevano competere a chiunque, anche ad enti ecclesiastici, non come tali, ma come antichi proprietari e concedenti.”.57 “Le decime ecclesiastiche o sacramentali invece vengono considerate oneri di diritto pubblico dovute dai fedeli ad enti ecclesiastici, al vescovo o al parroco in corrispettivo dell’amministrazione dei sacramenti e, in genere, delle funzioni del culto”.58 Esse “si definiscono reali o prediali se gravano sui prodotti di un fondo, sanguinali se ricadono sui prodotti degli animali, personali se gravano sui prodotti dell’attività umana”.59 L’istituto delle decime, codificato nel Codex juris canonici, ebbe per lungo tempo tacito riconoscimento dalle autorità civili, ma fu soprattutto in seguito alla Riforma protestante e alla Rivoluzione francese che subì profonde modificazioni, fino a scomparire del tutto in molti paesi.60 “In Italia, la legge 14 luglio 1887 n.4728 soppresse le decime sacramentali, mentre permise la sopravvivenza di quelle dominicali, ammettendone la conversione in danaro e il riscatto con pagamento una tantum”.61 Il quartese “andava sempre a beneficio del clero ed era di solito la quarta parte della decima stessa. Si trattava di un istituto forse derivante dall’avvenuta suddivisione delle decime dominicali vescovili in quattro parti, delle quali tre restavano al vescovo, anche per l’aiuto ai poveri e la manutenzione della chiesa vescovile, mentre la quarta parte spettava al clero per il proprio sostentamento”.62 La decima di Barbarano, Pozzolo e Villaga si fondava, dunque, su titolo di ragione civile e procurava entrate cospicue all’arciprete di Barbarano che ne era il detentore, in forza della posizione dominante che la sede esercitava sul territorio. Sono quindi giustificabili le liti e le spese sostenute in diverse cause come quella del “Parocco et Commun di Pozzolo contro Arciprete e Communità di Barbaran”; controversia dovuta alla riscossione delle decime e del quartese nell’ambito di Pozzolo, che si protrasse dal 1717 al 1730. Ma sono anche i parroci di Barbarano e Villaga a rivendicare nei confronti dei privati il diritto ad esigere, per le rispettive quote, le decime sopra beni situati nei Comuni di Barbarano, Villaga e Toara (anno 1821). Sul piano concreto le decimazioni consistevano nella raccolta di prodotti della terra, costituiti in gran parte da frumento, ma c’erano pure il sorgo, l’uva e perfino dei capponi. Di queste rendite si doveva presentare polizza al fisco,e più precisamente alla commissione incaricata di ripartire gli oneri fiscali diretti, chiamati in terra veneta “gravezze”. La ripartizione delle gravezze avveniva in base agli estimi. La decima di Barbarano, Pozzolo e Villaga Venendo allo specifico delle nostre parrocchie, esisteva la decima di Barbarano, Pozzolo e Villaga che derivava da un’investitura feudale da parte del vescovo e non aveva nulla a che fare con le “decime sacramentali”, i tributi cioè dei fedeli corrisposti ai sacerdoti per l’assistenza spirituale. Era una decima dominicale che trovava il suo fondamento su una ragione di diritto privato, mentre le decime sacramentali – come abbiamo visto nella definizione sopra – erano fondate sul diritto pubblico ecclesiastico, secondo il quale chi compie funzioni di culto ha diritto ad avere da coloro che ne beneficiano una ricompensa per il suo sostentamento. 57 E. Pegoraro, C’era una volta il livello, la decima e il quartese, Roma, Confederazione Italiana Agricoltori, 1996, pagg. 70-71 58 E. Pegoraro, op. cit., pagg. 25 e 71 59 Enciclopedia Europea Garzanti, vol. II, pag. 1068 60 Enciclopedia Europea Garzanti, vol. II, pag. 1068 61 Decima, in Enciclopedia Cattolica, vol. IV, pag. 1269, citata in E. Pegoraro, C’era una volta il livello…, pag. 73 62 E. Pegoraro, C’era una volta il livello, pag. 25 132 IL CATASTICO DELLA DECIMA DEL 1817 Alla Prebenda parrocchiale di Villaga spettavano le decime come previsto dal Catastico del 1817, redatto dal parroco Antonio Brocardo.63 In tale documento risultano gravati dalla decima 67 appezzamenti di varia grandezza, per un totale di 196 campi, appartenenti a 20 ditte. I proprietari tenuti a pagare il cespito erano: Conti Barbarano di Toara, Mazaron Giovanni, Zuccato Pietro, Breganzato, De Signori Matteo, De Rossi Bernardin, Trulla Cesare, Chiumenti, Trulla Francesco, Carampin, Maron, Maran Natale, Maran Batta, Maran Antonio, Rasia Dani,Veronese Antonio, Pitta Giovanni, Cappellari, Bellotto e il Demanio. I BENI DELLA PARROCCHIA NEGLI ESTIMI E NEL CATASTICO Nell’estimo dell’anno 1665 64 in cui sono riportate le polizze del Comune di Villaga, la parrocchia di S. Michele Arcangelo risultava essere in possesso dei seguenti beni: casa, teza e terra con 8 campi arativi in contrà Chiesa; campi 1 chiamato il Fossan in contrà del Ponte di Bologna; campi 2 in contrà di Fogomorto; campi 1 in contrà del Ronco Dugo; campi 1 arativo senza piante detto il Fangallo; campi 3 arativi detti la Rognosa; campi 5 arativi chiamati Fontana Maggiore a Campo Tondo; campi 2 arativi chiamati i Salgarelli in contrà de Ronchi(Ronca); 2 campi in contrà della Pilla; campi 1 in contrà di Vegani; campi 1 in contrà del Monte. 63 Arch. Parr. Villaga, Catastico delle decime anno 1817 64 Arch. Stato Vicenza, Estimo b. 329 Polizze del Comune di Villaga 133 CAPITOLO SESTO LA PARROCCHIA DI VILLAGA In sintesi, la parrocchia possedeva una casa con teza (la canonica) e 27 campi sparsi nel territorio di Villaga. Nell’estimo successivo del 1703 65 non si registrano sostanziali differenze: i campi di proprietà della parrocchia sono 29, due in più rispetto alla precedente denuncia. Ricordiamo che dal 1560 al 1770 furono i padri Olivetani del monastero di Sant’Elena in Isola di Venezia a godere il frutto del beneficio. Poi, il 5 maggio 1770 il Senato di Venezia, con suo decreto, sospese ai monaci l’esercizio delle funzioni parrocchiali e accordò il godimento dei beni (i 29 campi e la canonica) ai sacerdoti secolari della diocesi di Vicenza, primo dei quali fu Giovanni Mauro, con l’obbligo di pagare il canone annuo di 60 ducati al suddetto monastero. Passiamo al 1829, quando l’allora parroco don Lodovico Gallo redige un catastico dei beni della parrocchia, 66 con l’assistenza di uomini esperti dei decimanti anteriori e dei catastici vecchi. Nel documento, in premessa, si dichiara che “tutti i campi della chiesa pagano decima al beneficio, eccetto due campi delle Pezze male che pagano a Barbarano; così fu praticato sempre; e così sta scritto nelle denunzie registrate all’estimo di Conferenza del 1666 esistenti nell’Archivio di Vicenza”. Segue l’elenco dei terreni: 3 detti le Imole siti in contrà Oche; 1 Fontana Maggiore al Cason; 1 e mezzo Campazzo in contrà Campazzi; 1 Frascà in contrà Frascà; 1 Campo del Paltare o Focomorto in contrà Fogomorto; 1 campo e un quarto Prà Fogomorto in contrà Fogomorto; tre quarti Trevisan in contrà Pezzamala; 2 Salgarelli di sotto e di sopra in contrà Ronca; 4 Rognosi in contrà Fontana Calda; 1 e un quarto Prion in contrà Cengia; tre quarti Giardin in contrà S. Silvestro; mezzo Rivette in contrà Chiesa; 1 Vaginetta in contrà Vagina; 2 Pila in contrà Pila; 7 Pezzemale in contrà Pezzamala; 1 Ronco Dugo in contrà Ronco Dugo; 2 Nizzon Gualive in contrà Nizzon; mezzo Monte Tondo in contrà Collesello o Monte Tondo; un quarto Pigiavento in contrà Pigiavento. Tali terreni vennero poi indemaniati prima del 1870, annota il parroco don Ferronato in un questionario compilato nel 1929, e aggiunge che “per alcuni fu restituito alla Fabbriceria il capitale ricavato; un appezzamento fu ricuperato e la chiesa ne gode il reddito”. 67 I LIVELLI E I LEGATI 65 Arch. Stato Vicenza, Estimo, b. 1384 66 Arch. Parr. Villaga, Catastico anno 1828 67 Arch. Parr. Villaga, Inventario e registro dello stato patrimoniale della chiesa di S. Michele in Villaga. 134 I livelli erano una forma di contratto agrario molto antica, vigente già nel Medioevo e molto simile all’enfiteusi.68 Essi prevedevano cessioni, a medio o a lungo termine, o in perpetuo, di terreni con l’obbligo di pagare per essi un canone annuo e di coltivarli con migliorie. In genere erano i grandi proprietari che, approfittando di chi era sprovvisto di un pezzo di terra e aveva necessità di trarre sostentamento da essa, concedevano le terre in affitto.69 Anche la parrocchia di Villaga, disponendo di terreni, li dava in affitto, cioè a livello. I livelli più antichi che conosciamo risalgono al Seicento e al Settecento. Ne citiamo alcuni: livello Chierego, originato dal testamento di donna Sabina in Chierego, in data 16 ottobre 1657, cui seguì concordato (18 maggio 1821) garantito da antico possesso e marca livellaria. Nel 1937 risultava debitore Angelo Chemin Palma.70 Altro livello era quello che pagavano i fratelli Mambrin Michele e Giobatta (lire venete 9 e soldi 2) all’altare dello Spirito Santo, ora all’altare del Santissimo Sacramento, lasciato da Michele Rossetto, come da testamento del 3 marzo 1760, ripristinato con la scrittura del 21 novembre 1803. Nel 1845 passò a Marco Pozza, poi nel 1861 a Graziotto Angelo, quindi a Graziotto Anna e nel 1895 a Simionati Eugenio e poi alle sorelle Simionati Sabina e Maria. 71 Un terzo livello che si rifà agli inizi del ‘700 è quello un tempo intestato a Mattio Dei Signori, in base al suo testamento del 6 novembre 1709. Il canone annuale – scriveva don Meneguzzo - era suddiviso tra Tognetti Luigi, Mattiello Celeste, Visintin Giuseppe, Loro Giobbe e Loro Mosè.72 I legati, invece, erano lasciti di fedeli, anche risalenti a un passato lontano, assegnati prevalentemente alla celebrazione di messe in suffragio dei defunti, oppure all’adempimento di spese per il culto – acquisto di cera o di olio per la lampada del Santissimo Sacramento – o anche destinati in beneficio del parroco pro tempore o della fabbriceria, o anche per scopi caritativi.73 Agli inizi del ‘900 i legati della parrocchia erano intestati a: Chemin Giobatta Palma, Da Soghe Giuseppe, Fiorin Lucia vedova Donello Alberto, Loro Maddalena, Loro Sante, Mattiello Celeste, Tognetti Luigi. Esisteva poi il legato Faccin, riferito al parroco don Giuseppe Faccin che alla sua morte (anno 1909) aveva lasciato in godimento al parroco pro tempore una casa con annesso orto, dato in affitto al campanaro-sacrista Bellucco Giuseppe. Il parroco pro tempore aveva l’onere di far celebrare due messe mensili alla memoria del defunto sacerdote Faccin.74 68 A. Lazzaretto Zanolo, Vescovo clero parrocchia, Neri Pozza Editore, 1993, pag. 142 69 R. Franchetto-C. Bressan, Villa del Ferro dentro la Val Liona, 2001, Giovani Editori, pag. 112 70 Arch. Parr. Villaga, Inventario e registro dello stato patrimoniale della chiesa…, anno 1937, cap. 3: Livelli e legati. 71 Arch. Parr. Villaga, Registro Livelli Villaga 72 Arch. Parr. Villaga, Inventario e registro dello stato patrimoniale della chiesa di S. Michele… 73 A. Lazzaretto Zanolo, Vescovo clero parrocchia, Neri Pozza ed., pag. 152 74 Arch. Parr. Villaga, foglio sciolto 135 CAPITOLO SESTO LA PARROCCHIA DI VILLAGA Dopo la morte di don Vito Canale nel 1847, in attesa del nuovo parroco, venne chiamato a reggere temporaneamente la parrocchia di Villaga don Lodovico Gallo, a quel tempo arciprete di Barbarano. Egli compilò un prospetto della situazione del beneficio parrocchiale 75 che qui riportiamo. 19 Per coltura campi a mezzadria £ 680,97 20 Per raccolta olive £ 50 21 Mappe obbligate £ 13,80 22 Retribuzione alla Fabbriceria per vino e ostie £ 16,09 23 Cereale e due pranzi di consuetudine £ 75 Totale passività £ 1236,83 Risultanza nitida (bilancio attivo) di £ 903,40 Elementi di rendita 10. LA FABBRICERIA A- Prodotto di 29 campi e tre quarti a mezzadria La Fabbriceria era l’organo che provvedeva all’amministrazione della parte del patrimonio di una chiesa destinato alla conservazione e manutenzione della fabbrica (cioè al mantenimento in buona efficienza della chiesa) e alle spese per il culto. Aveva le stesse funzioni che oggi ricopre il Consiglio per gli affari economici. 76 L’Istituto della Fabbriceria venne fondato nel 1807 ed operò per oltre cent’anni, fino al 1938, quando fu soppresso con un regio decreto. Prima dell’istituzione della Fabbriceria erano i Massari, nominati dal Consiglio di Vicinia, ad occuparsi dell’amministrazione del patrimonio di una parrocchia. Fu con la legislazione napoleonica che venne introdotto il nuovo organismo che dipendeva direttamente dal nuovo Ministero del Culto, previsto dal codice napoleonico.77 Le funzioni e le attribuzioni affidate ai fabbriceri (letteralmente: fabbricanti di cera) non erano molto diverse da quelle esercitate dai Massari; mutavano però a seconda dei tempi e delle necessità ed erano sempre sottoposte, per la loro esecutività, alla previa approvazione del Consiglio comunale. L’ambito di competenza toccava, in genere, tutti gli aspetti della vita parrocchiale: dalla elezione o nomina del sacrestano, dell’organista, all’apertura delle gare d’appalto per i lavori relativi alla chiesa e alle strutture parrocchiali, come pure la raccolta di fondi (questue, cerche, sovvenzioni) o al pagamento di opere compiute dalle varie imprese e perfino l’accensione di mutui, l’acquisto di cera e di suppellettili liturgiche. Inoltre, a partire dalla fine dell’800, i tre fabbriceri si occupavano anche di conservare e tutelare oggetti e arredi sacri.78 La Fabbriceria cominciò a funzionare anche nelle tre parrocchie del Comune di Villaga, dopo il 1807. Il 4 giugno 1827 si riunì la Deputazione comunale (formata da Francesco Barbaran,Vicenzo Bettio e Paolo Veronese) nella residenza di Villaga per ufficializzare il rinnovo delle cariche dei fabbriceri che sarebbero rimasti in carica per un quinquennio.79 Alla seduta erano presenti i parroci: don Antonio Brocardo per Villaga, Marcantonio Zanella per Pozzolo, Pietro Castelli per Toara; poi i fabbriceri scaduti nel mandato e i nuovi. STATO ATTIVO E PASSIVO DEL BENEFICIO PARROCCHIALE NEL 1847 1 Frumento 2 Sorgo 3 Vino nero 4 Vino bianco 5 Minuti 6 Fascine di viti potate 7 Fieno artificiale Staie 100 a £ 4,14 Staie 60 a £ 3,87 Mastelle 26 a £ 21,52 Mastelle 6 a £ 15,80 Staie 4 a £ 3,23 n° 800 a £ 3,44 % Carri 1 a £ 40 al carro Totale = £ 414 = £ 232,20 = £ 552,50 = £ 94,80 = £ 12,92 = £ 27,52 = £ 40 £ 1343,94 B- Prodotto Decime e quartesi 8 Frumento 9 Sorgo 10 Vino nero 11 Vino bianco 12 Minuti 13 Avena 14 Olive Staie 60 a £ 4,14 Staie 40 a £ 3,84 Mastelle 10 a £ 21,52 Mastelle 4 a £ 15,80 Staie 6 a £ 3,23 Staie 4 a £ 1,68 Staie 2 a £ 4 Totale C- Prodotto Livelli Attivi 15 Livelli attivi in genere 16 Livelli in soldo Totale Attività = £ 248,40 = £ 154,80 = £ 215,20 = £ 63,20 = £ 19,38 = £ 6,72 =£8 £ 715,70 £ 49,29 £ 7,20 Totale £ 56,49 £ 2140,23 Elementi di spesa 17 Prediali e Consorzio 18 Al sig. Angelo Chemin per Regio Demanio 75 Arch. Parr. Villaga, busta Beneficio parrocchiale, foglio sciolto 136 £ 196,19 £ 218,78 76 A. Cogo, Il Novecento a Sossano, Giovani Editori, 2001, pag. 40 77 Don M. Rossi, Fontaniva nella storia, Parrocchia di Fontaniva, 1993, pag. 528 78 Ibidem, pag. 531 79 Arch. Parr. Villaga, Protocollo verbale d’istallazione delle tre fabbricerie di Villaga, Toara e Pozzolo 137 CAPITOLO SESTO Le fabbricerie vennero così formate: - per la parrocchia di Villaga Bellin Giovanni (tesoriere), Maran Battista e Mazzaron Giovanni; - per la parrocchia di Toara Barato Dominico (tesoriere), Faccio Gio. Battista, Faccio Paolo; - per la parrocchia di Pozzolo Bettio Angelo (tesoriere), Crivellaro Gio. Maria, Gianello Stefano. Nel verbale della seduta si legge “…la Deputazione comunale dichiara ai vecchi fabbricieri che sono sciolti dalle loro incombenze ritenendoli però responsabili della loro gestione sino a questo momento, incaricandoli d’erigere sollecitamente un esatto inventario delle carte, libri, titolo ed istromenti di qualunque sorte, nonché degli arredi sacri, suppellettili, cere, danari, ori, od argenti, e così pure di tutti gli effetti, niuno eccettuato, d’appartenenza della chiesa di Villaga, di Toara e di Pozzolo, ritenendoli responsabili in caso d’omissione di qualcheduno d’essi, consegnando il tutto alla nuova fabbriceria. (…) Parimenti la Deputazione, in unione agli intervenuti, dichiara ai nuovi fabbricieri, ed ai confermati, che vengano ammessi e formalmente istallati nell’esercizio delle loro funzioni, inculcando loro e richiamandoli all’esatta osservanza del manuale de fabricieri, nonché le successive disposizioni emanate dall’autorità superiore di produrre i loro repertori ogni trimestre al Registro, altrimenti la multa alla quale anderebbero soggetti starà al personale loro carico, e non mai a peso delle rendite della chiesa; d’esser zelanti e premurosi nel disimpegno de loro incumbenti, di non lasciare trascorere il corrente anno per la rinnovazione presso l’ufficio Registro delle ipoteche, dei livelli e legati medesimi sotto la personale loro responsabilità, (…) di non permetter che alcuno si tratenga danaro di qualunque sorta, ma che invece appena fatta la questua sia in chiesa che fuori, la somma debba riporsi nelle apposite casselle, che i generi debbano essere venduti mediante asta pubblica, che il danaro delle casselle non possa essere estratto che coll’intervento del Rev.do Parroco, e di tutti tre li fabbricieri mediante l’erezione d’apposito processo verbale, tenendo a tale oggetto presso li fabbricieri e reverendi parrochi chiavi diverse l’un dall’altra e tutto ciò per non dar motivo di sospetti di frode, che scemerebbe la generosità dei fedeli, passando tosto il ricavato al cassiere il quale non potrà provvedere ne far pagamenti senonchè dietro l’ordine in iscritto degli altri fabbricieri, e sempre col riportare la quietanza e la specifica degli effetti acquistati; di dover a tempo debito rassegnare alla Deputazione un esatto Preventivo e Consuntivo di tutte le rendite e spese dell’anno senza ometterne alcuna, altrimenti non osservando quanto sopra, nonché le disposizioni vigenti, sarà in dovere della Deputazione il portare le proprie lagnanze all’Autorità superiore…”. Anno 1945: Don Tito Meneguzzo con i bambini della Cresima. Anno 1959: Suor Adelia e Suor Rosetta con i bambini dell’asilo parrocchiale. 138 139 Bambini della Prima Comunione con le Suore di Villaga. Bambini dell’asilo di Villaga nella seconda metà degli anni ‘50. Anni ‘60: Don Ezio Aste con i bambini della Prima Comunione. 140 CAPITOLO SETTIMO LA PARROCCHIA DI TOARA 1. LE ORIGINI L’origine del luogo, anticamente chiamato “Tovara”, si rifà quasi certamente all’epoca longobarda: il santo titolare della parrocchia, San Giorgio, fa pensare a una cappella sorta nell’ambito dell’antica pieve di Barbarano, evolutasi poi in chiesa parrocchiale. Il documento più antico che nomina la chiesa di Toara, reperito dal Codice dei Feudi dallo storico Gaetano Maccà, è datato 10 ottobre 1288 e cita “…in Tovara Chiesa Parrocchiale di San Giorgio di Toara. 141 CAPITOLO SETTIMO LA PARROCCHIA DI TOARA una pecia terre in palusello… apud jura Ecclesie Sancti Georgii” 1 (in Toara…una pezza di terra in località Palusello… presso i diritti della chiesa di San Giorgio). In un altro documento rinvenuto nell’Archivio Vaticano, riferito alle decime pagate dalle istituzioni ecclesiastiche negli anni 1297 – 1303 2 (le Rationes Decimarum) viene richiamato un certo “Ubertus clericus et Rector Ecclesiae S. Georgii de Thovara”, cioè Uberto era chierico e rettore che officiava a quel tempo la chiesa di S. Giorgio di Toara. Beni immobili di detta chiesa 2. L’INVENTARIO DEI BENI DELLA CHIESA Nell’archivio parrocchiale abbiamo rinvenuto un inventario delle proprietà della chiesa di San Giorgio di Toara redatto il 14 luglio 1444, quando era rettore della parrocchia il prete Ruzerio di Napoli. Tale rilevazione era stata richiesta a tutte le parrocchie della diocesi dapprima dal vescovo Giovanni de Castiglione e poi dal suo successore Francesco Malipiero per conoscere lo stato patrimoniale delle chiese. Si trattava del “beneficio”, cioè della dotazione patrimoniale annessa al culto, cioè dei beni di proprietà di una chiesa che venivano messi a disposizione del parroco che li amministrava in usufrutto, in cambio della cura d’anime. Del documento riportiamo la prima parte, con la traduzione del testo dal latino, poi ne proponiamo una sintesi. “Inventario di tutti i beni mobili e immobili spettanti alla chiesa di san Giorgio di Toara, fatto dall’onesto sacerdote Ruzerio di Napoli rettore della soprascritta chiesa e da certi uomini del citato paese, tra i più anziani ed esperti, eletti nella Convicinia, e giurati in esecuzione degli ordini del reverendissimo Signor Vescovo e prodotto presso la sua Cancelleria tramite il signor Ruzerio e Giovanni Rigetti, Vano Salomone e Paolo Mani, tutti agenti per il citato paese, nel nome del suo Comune e degli uomini del citato paese e della citata chiesa, nel millequattrocentoquarantaquattro, indizione settima, nel giorno di martedì quattordici del mese di luglio. Beni mobili della detta chiesa Primo un calice d’argento dorato del valore di ducati sei. Poi un paramento fulgido di ducati quattro. Poi un messale con un altro libro di ducati dieci. Primo una pezza di terra arativa e piantata a viti e alberi, circa tre campi, nelle pertinenze all’inizio del paese, presso la via comune, presso Gabriele dei Traversi, presso i diritti di San Giovanni di Barbarano e presso un certo Cristoforo di Montano. Berto Iaconi la tiene pagando la terza parte e metà dell’uva e la decima. Poi una pezza di terra arativa, prativa e a vigna e alberi, circa quattro campi, nella contrada di Sesella, presso la via comune, presso la via consortiva, presso quelli di Plegaseti. Il soprascritto Berto la tiene pagando un terzo e la decima e venticinque soldi l’anno. Poi una pezza di terra arativa e a vigna di circa cinque campi in contrada di Palusello, presso gli eredi del signor Antonio De Loschi, presso Cristoforo del fu Montano in due parti. Giovanni Rigeti tiene pagando un terzo e la decima. Poi un pezzo di terra arativa e piantata di circa un campo nella contrada di Pranchis, presso la via comune, presso i diritti di S. Giovanni di Barbarano e presso i diritti di S. Michele di Villaga. Bartolomeo Bertucci la tiene pagando un terzo e la decima. Poi un pezzo di terra a vigna con olivari, circa tre campi, all’inizio del paese, presso la via comune, da due parti, presso Bartolomeo Botarini e paga la terza parte e la decima. Poi una pezza di terra arativa e prativa, circa tre campi, in contrada di Peagnis, vicino Gaibo Fornasigle, vicino la via comune, vicino Bartolomeo da Soga e corrisponde due stari e mezzo di frumento e la decima. Poi una pezza di terra prativa e boschiva, circa un campo e mezzo, nella contrada di Vignola vicino agli eredi del signor Antonio De Loschi, da due parti, presso Scipione dei Godi e corrisponde due polli. Poi una pezza di terra arativa di circa mezzo campo nella citata contrada, vicino a Lorenzo Leonardi, vicino agli eredi del signor Antonio de Loschi, presso i diritti di S. Giovanni e paga un quarto e la decima. Poi una pezza di terra arativa e piantata di circa tre quarti nella citata contrada presso la via comune, vicino Lorenzo Leonardi, vicino a Cristoforo del fu Montano e paga la quarta parte e la decima. Poi una pezza di terra a vigna e boschiva di circa quattro campi in contrada della Fontana, vicino alla strada comune, da due parti, vicino a Lorenzo Leonardi. Poi una pezza di terra prativa di circa due campi nella contrada di Pranchi, presso la via comune, presso i diritti di S. Giovanni di Barbarano, presso il Ghebo Fornasigle. Poi una pezza di terra paludosa, di circa un campo in contrada Paluselli, presso Paolo Miani, presso gli eredi del signor Antonio de Loschi, presso 1 G. Maccà, Storia del territorio vicentino, Tomo IV, Caldogno 1813, pag. 334. 2 G. Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, vol. II, pag. 438 142 143 CAPITOLO SETTIMO LA PARROCCHIA DI TOARA Cristoforo Montani. Poi una pezza di terra arativa e piantata di circa un campo in contrada Montesello, presso la via comune, da due parti, presso Cristoforo Montano. Berto Iaconi tiene pagando un quarto e la decima. Poi una pezza con olivi, circa mezzo campo, in contrada Corzano, presso Cristoforo Montani, presso la via comune. Iacobo Uguzione tiene pagando un terzo e la decima. Poi una pezza di terra arativa e a piantata di circa un campo in contrada Salgari, presso Cristoforo Montani, presso i diritti di S. Giovanni. Poi un sedime con una casa coperta di paglia e terra con olivi di circa un campo, in detta località, all’inizio del paese, presso i diritti della chiesa di S. Michele di Villaga, presso i diritti della chiesa di S. Giorgio di Toara, e presso la via. Vano Salomoni tiene corrispondendo un terzo e una libbra e soldi dieci. ...Poi un sedime di circa un campo nel paese di Toara, presso la via comune, presso i diritti di S. Giovanni, presso quelli di Plegafeti; lo tiene gli eredi del sig. Antonio Nicolò de Loschi. ...Poi una pezza di terra arativa e piantata di circa un campo in contrà Fontanelle, presso i diritti di S. Giorgio di Toara, presso Cristoforo Montani, presso gli eredi del sig. Antonio de Loschi e della sig.ra Beatrice moglie un tempo di Matteo Pietro. Nota che detta pezza di terra, dopo la morte della signora Beatrice tornò alla chiesa col legato di Matteo Pietro”. dusse il testamento di Gerardo Ognibene di Belvedere, scritto da Tomaso di Vincenzo di Barbarano, notaio pubblico nel 1453, indizione prima, nel giorno di lunedì 9 del mese di aprile per il quale Gerardo lasciava per testamento all’infrascritta chiesa una pezza di terra. Poi due campi di terra arativa e piantata a viti posti nelle pertinenze di Belvedere, in contrada di Pezza Gavarda, presso Cristoforo Montano, presso la via Comune”. Il documento continua citando numerose altre pezze di terra poste in varie contrade tra cui: Belvere (Belvedere), Zocatelle, Croce, Fontanelle, Moceri, Tribulo, Monede, Paltana. Riporta inoltre i nomi di alcuni grandi proprietari terrieri dell’epoca: i Loschi, i Godi, i Miani, i Botarini, i Barbarano (il riferimento è a Cristoforo Montano, della famiglia Barbarano de Mironi, padrone del castello di Belvedere e signore su molte terre della zona). Piuttosto povera di beni mobili, la chiesa di Toara poteva invece contare sul possesso di ben 63 campi e mezzo, anche se, due secoli più tardi, a metà Seicento, il suo patrimonio andrà di molto riducendosi. C’è da osservare poi che metà delle rendite provenienti dai prodotti dei campi andavano al vescovo, mentre l’altra metà spettava al parroco per il suo mantenimento e per la chiesa. Allegato all’inventario dei beni della parrocchia, vi è riportato anche un testamento con una donazione di terra alla chiesa di Toara. Ne riportiamo il testo in sintesi: “Nell’anno 1554, indizione seconda, nel giorno di lunedì 25 aprile, nella Curia episcopale di Vicenza e nella Sala Grande, alla presenza di Antonio Magisteri Martini de Rugo e Silvestro suo figlio, al cospetto del venerabile dottore signor Francesco Mauroceno, arcidiacono della chiesa di Vicenza e vicario del reverendissimo signor vescovo di Vicenza, comparve Paolo Mani di Belvedere nelle pertinenze di Toara, distretto di Vicenza e diocesi, e pro- 3. LE VISITE PASTORALI Le relazioni pastorali, in merito alle visite compiute dai vescovi o dai loro vicari, risultano interessanti perché ci aiutano a conoscere le trasformazioni avvenute negli edifici e negli arredi delle chiese e alcuni aspetti della presenza viva, quotidiana dei nostri pastori d’anime. Tra le varie visite pastorali succedutesi a Toara, mi soffermo su quelle più significative, ad iniziare da quella del vescovo Michele Priuli avvenuta nel settembre 1583. 3 Visita Pastorale del Vescovo Mons. Zinato alla Parrocchia di Toara nel 1963. La visita del 1583 Il Vescovo, avvicinandosi alla chiesa, trova ad accoglierlo il rettore, il rev. Camillo de Grandi, che gli va incontro, lo riceve sotto il baldacchino e lo conduce alla chiesa in processione. Il vescovo, appena entrato, adora la croce e, inginocchiato, prega davanti al Santissimo Sacramento. Tiene quindi un ser3 Arch. Curia Vicenza, Visitationes, b. 4/0556, Toara 144 145 CAPITOLO SETTIMO LA PARROCCHIA DI TOARA mone al popolo e fatta la confessione generale, dà l’assoluzione e l’indulgenza per quaranta giorni a tutti i presenti, poi celebra la messa, benedice il cimitero con l’acqua lustrale, assolve le anime dei defunti e conferma il sacramento della cresima ad alcuni fedeli. La chiesa non dispone di una sacrestia. Il vescovo passa in rassegna i paramenti e gli arredi sacri: due calici, una patena, un messale romano riformato, pianete, camici, stole, manipoli e piviale. Ordina di provvedere all’ombrello, alle lanterne e al confessionale per le donne; poi di indorare il calice e la patena, di comperare un altro messale romano, di tenere tre corporali decenti per il calice, e due buste, una bianca e una violacea. Successivamente controlla i libri dei battezzati e dei matrimoni e ordina che ne siano tenuti altri due, uno per i morti e uno per i cresimati. Constata poi che è presente la società (confraternita) del Santissimo Sacramento che non ha alcun introito e ha oltre cinquanta confratelli che versano un marchetto ciascuno ogni mese con cui provvedono a mantenere accesi i ceri e ad altre cose necessarie per gli altari. Raccomanda di eleggere il massaro ogni anno e di redigere i conti alla presenza del rettore. Visita il Santissimo Sacramento posto sopra l’altare maggiore in un tabernacolo ligneo collocato su una lapide che ordina sia tolta; dispone inoltre di fare un nuovo tabernacolo ligneo dorato e foderato di seta e un vaso dorato per conservare un così grande Sacramento. In seguito visita la custodia degli olii santi conservati in vasi di stagno riposti in una cassetta collocata in un foro del muro vicino all’altare; ordina di foderare il foro di seta; osserva l’olio santo per l’estrema unzione degli infermi: ordina di rinnovare il vasetto e di chiuderlo in una borsa di seta. Poi visita il sacro fonte battesimale provvisto di ciborio ligneo coperto di tela che dispone di rinnovare. Ritorna all’altare maggiore intitolato a S. Giorgio, di marmo non consacrato: ordina di far dipingere una pala, di tenere sopra di esso quattro candelabri di oricalco e di far aprire una finestra a lato dell’altare. Visita l’altare che guarda verso la canonica dedicato ai santi Paolo e Rocco, che è di marmo non consacrato; dispone di tenere su di esso dei candelabri decenti. Quindi visita l’altare della Santa Croce, di marmo e consacrato; ordina di far dipingere una nuova pala d’altare e di chiudere il cancello. Il Comune fornisce l’olio per la lampada del Santissimo Sacramento con una spesa di sessantasette troni all’anno. Il vescovo ordina di rinnovare l’immagine di S. Pietro e la pila dell’acqua benedetta; dispone inoltre di mettere i vetri alle finestre e nell’occhio della chiesa; di fare la sacrestia a lato della porta, di riparare il muro del cimitero e di fare una nuova porta lignea che si possa chiudere. Il rettore è Camillo de Grandi e in parrocchia vi sono 160 anime da comunione e in totale sono 300. Il vescovo si reca in visita anche alla chiesa di S. Antonio a Belvedere che ha un altare di marmo consunto; pertanto ordina di far dipingere una pala, di chiudere i fori e di sistemare le finestre nella cappella. Essa ha due calici, una patena, un messale romano riformato, due candelabri, tre pianete con i loro fornimenti; ha altri due altari a lato non consacrati che ordina siano tolti; ha il cimitero che il vescovo benedice e assolve le anime dei defunti; dispone pure di togliere l’altare, di recintare il camposanto e di riparare il muro di cinta. Il vescovo si porta alla chiesetta del Crocefisso, di proprietà dei conti Barbarano. Essa ha un altare ligneo che ordina di togliere e di costruire un altare murato con mensa di marmo e di rinnovare il SS. Crocifisso per poter celebrare in questo luogo; inoltre dispone di fare una casula e togliere la pila benedetta dalla piccola sacrestia per collocarla nella cappella. La visita del 1645 Il 21 maggio 1645 il vicario generale Giuseppe Zaghio è in visita pastorale alla parrocchia di Toara.4 Entrato in chiesa, visita il SS. Sacramento posto sull’altare maggiore nel tabernacolo e in una pisside decente; tuttavia ordina di foderare il tabernacolo e di dorare le sue chiavi.Visita poi il battistero che giudica dimesso ma tollerabile; dispone comunque che detta pila sia provveduta di un coperchio e che alla sera il sacrario sia chiuso a chiave e protetto da un cancello. Inoltre ordina di procurare un conopeo (drappo di seta) per coprire il ciborio. Visita gli olii santi posti in una cassettina situata in sacrestia (costruita in seguito alle disposizioni del vescovo Michele Priuli); per la loro custodia ordina di fare una piccola nicchia nel coro a fianco della sacrestia, la quale deve essere foderata e sulla sua porticina scritto “Olii santi”. Vede il confessionale nel coro che proibisce per le confessioni delle donne; pertanto dà disposizioni perché si faccia un altro confessionale per le donne. Si porta poi di fronte all’altare maggiore che ha una mensa antica e ordina di provvedere ad una nuova pietra da inserire, in modo che non si stacchi e che sia un po’ più elevata. Esiste qui la confraternita del SS.mo Sacramento con i suoi capitoli che ordina di rinnovare e poi di approvare. Visita l’altare della Santa Croce e ordina che sia provvisto di una nuova pietra, di una tabella sacra e di una croce. Si sofferma poi davanti all’altare della Beata Vergine del S. Rosario che ha un portatile antico (pietra sacra); il prelato dà disposizioni perché sia inserita una nuova mensa altrimenti l’altare verrà sospeso. E’ presente la confraternita del Rosario con bolle delle indulgenze vidimate dall’ordinario; tuttavia il vescovo comanda che il regolamento della confraternita venga rinnovato e approvato. Visita la sacrestia e ordina di provvedere ad un lavello per il lavaggio delle mani, di un inginocchiatoio e di una borsa nera. Interrogati gli anziani del luogo sulla vita e sul comportamento del rettore, essi 4 Arch. Curia Vicenza, Visitationes, b. 8/0560, Toara 146 147 CAPITOLO SETTIMO LA PARROCCHIA DI TOARA rispondono esprimendo un giudizio positivo sul parroco che è Francesco Danieli. Chiamato in causa dal vicario disse:“Ho avuto questo beneficio al concorso e ho la mia bolla, con data 3 dicembre 1635; è di collazione dell’ordinario. Ricevo d’entrata appena cento ducati sopra i quali si pagano le gravezze ordinarie. Per quanto riguarda le riparazioni della chiesa non so a chi competano. So che il Comune mantiene la lampada del Santissimo. Le anime da comunione sono 180 e in tutto 300 circa. Sotto questa cura vi è la chiesa di Belvedere e un capitello, entrambi dei conti Barbarano. Ho un solo inconfesso, concubinario pubblico che attualmente ha mandato via la concubina”. Nel 1820, all’arrivo del vescovo Peruzzi,6 la parrocchia di Toara contava su 440 abitanti e da 103 famiglie; le anime da comunione erano 294, i cresimandi 17. Il presule verifica la vita religiosa e morale della parrocchia dove vengono segnalati normali servizi di culto e di assistenza agli infermi; inoltre è impartito l’insegnamento religioso agli adulti con spiegazione festiva del Vangelo e del catechismo. Il giudizio del vescovo sul parroco don Pietro Castelli è nettamente positivo e favorevole anche nei riguardi del cappellano don Giovanni Cichellero, il quale riceve dal parroco uno stipendio annuo di 35 ducati. Sul comportamento dei fedeli, il parroco osserva che non vi è nessuno scandalo di rilievo, se si eccettuano due “non comunicati”a Pasqua e qualche caso di bestemmia e una coppia di sposi separata. Tra le disposizioni vescovili: porre i veli e le sante immagini ai confessionali; chiudere il sacrario con un coperchio e un cancello; provvedere l’oratorio di S. Antonio di un baldacchino per le processioni. Il Vicario, proseguendo nella sua visita, si portò alla chiesa di S. Antonio a Belvedere, che ha un unico altare (e non più tre come era stato rilevato nella visita pastorale del 1583), il campanile e il cimitero ed è costruita da molto tempo.Visitò l’altare che ha la pala della Beata Vergine e altri santi, senza alcuna immagine di S. Antonio, e un pietra sacra antica. Comandò di provvedere ad un nuovo portatile inserito nell’altare e di sostituire la pala d’altare della Vergine con un dipinto raffigurante il santo titolare della chiesa (S. Antonio abate). Visitò la sacrestia e ordinò che il calice fosse dorato e di provvedere ad una patena d’argento e ad un nuovo messale, poiché quello in dotazione era oramai troppo antico. Dispose anche due nuove pianete, una nera e un’altra viola, e dei corporali. Vide il campanile e ordinò di porre sulla sommità una croce. Visitò il cimitero nel quale comandò che fosse eretta una croce e di tagliare le piante colà esistenti. Il Vicario passò in visita anche al capitello del Crocifisso posto sulla pubblica via. Ha un altare con un’immagine del Crocifisso che gode di grande devozione, poi una mensa antica. Ma questo capitello è troppo piccolo e ha il frontespizio con cancello di legno. Il Vicario lo dichiarò sospeso. Quarant’anni dopo, il 15 maggio 1685, il vescovo Giovanni Battista Rubini si reca in visita pastorale alla chiesa di Toara.5 La parrocchiale, dalla relazione redatta per l’occasione, non risulta in condizioni molto diverse dalla visita precedente. Le visite dell’800 Nell’Ottocento sono segnalate tre visite pastorali compiute nel 1820 dal vescovo Giuseppe Maria Peruzzi, nel 1871 da Giovanni Antonio Farina e nel 1899 da Antonio Feruglio. 5 Arch. Curia Vicenza, Visitationes, b. 11/0563, Toara 148 Nella successiva visita del 1871,7 la popolazione era salita a 644 abitanti con 124 famiglie; le anime da comunione erano 439, i cresimandi 27. Dal 1846 era parroco don Antonio Pagani, mentre il cappellano era don Pietro Marchesini. Il vescovo Farina ha parole d’elogio per il cappellano che“è di buona condotta ed assiste con zelo alla cura dell’anime”. Il parroco riferisce al vescovo le seguenti osservazioni sui fedeli: circa 15 i fedeli non comunicati a Pasqua; tra i vizi segnala la bestemmia, qualche piccolo furto e la disonestà in vari giovani. I decreti dispositivi del vescovo erano: porre le lettere sulle ampolle degli olii sacri; il lavello in sacrestia; le appendici al messale nell’oratorio di Belvedere. Il 14 agosto 1899 è il vescovo Feruglio a recarsi a Toara in visita alla parrocchia.8 La popolazione ammonta a 820 abitanti, di cui 580 ammessi alla comunione; i cresimati erano 145. Il parroco don Agostino Ancetti, nella relazione presentata al vescovo, dichiara che “la rendita di questo beneficio è di L. 1428,64 (oltre la casa canonica che si può valutare in L. 150). Tale rendita è costituita da: fondi che, affittati, danno L. 342,45; terzi e decime (commutati) L. 950,75; livelli L. 118,95; legati L. 16,49. Gli oneri riguardavano tasse pubbliche pagate nel 1898 di L. 395,84; sulla canonica L. 20 per una ufficiatura funebre; sui fondi L. 7 per singole messe; sui legati L. 14,49 per singole messe; più la spesa della ceriola, vino, ostie ed il pranzo del giorno del titolare, per un totale di circa L. 60”. L’entrata annua delle questue ed elemosine è di circa L. 70. I fabbricieri erano: Cichellero Stefano, Marangon Domenico e Miglioranza Edoardo. “Questa fabbriceria – precisa il parroco – non ha altra rendita che le 6 G. Mantese, E. Reato (a cura di), La visita pastorale di Giuseppe Maria Peruzzi nella diocesi di Vicenza (18191825), Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1972, pag. 199-200 7 G. A Cisotto, La visita pastorale di Giovanni Antonio Farina nella diocesi di Vicenza (1864-1871) Edizioni di storia e letteratura, Roma 1977, pagg. 396-397 8 G. Nardello, La visita pastorale di Antonio Feruglio, nella diocesi di Vicenza (1895-1909), Roma, 1985, pagg. 373-374 149 CAPITOLO SETTIMO LA PARROCCHIA DI TOARA spontanee offerte dei fedeli, che oscillano tra le 300 e le 500 lire, con cui si provvede ai bisogni correnti”. Per quanto concerne la vita religiosa, il parroco si sofferma sulla predicazione e istruzione religiosa degli adulti a cui si propone la spiegazione del Vangelo; poi sulla dottrina cristiana rivolta ai fanciulli che è tenuta dallo stesso parroco nel pomeriggio delle domeniche. Il vescovo, dopo aver visitato le chiese, dispone che nella parrocchiale sia sostituita la pietra sacra dell’altare della Beata Vergine del Rosario, mentre nell’oratorio di Belvedere ordina di rinnovare un muro laterale, porre il pavimento, togliere la cornice dell’altare, collocare la croce sulla facciata. mezzana fonduta da Franco Sandri di Lonigo.” 9 In seguito, nel 1861, “poiché il campanile era cadente, si venne perciò alla decisione, essendo parroco don Antonio Pagani, di costruire una nuova torre. Il disegno e il progetto sono dell’ing. Zimello per la somma di lire autriache 2165,73. Le fondazioni furono eseguite su palafitta. L'altezza complessiva è di metri 27”.10 Verso la fine dell’800 vennero attuati altri lavori nella chiesa. Il parroco don Agostino Ancetti scrive che “fin dal 1899, dovendosi procedere al ristauro del soffitto di questa chiesa nella occasione della S.Visita pastorale, alcune pie persone della parrocchia vollero che nel medaglione del medesimo fosse a loro spese dipinta l’immagine del SS.mo Redentore”. 11 La chiesa venne poi decorata nel 1933 da un certo Evaristo di Sossano per una spesa di L. 2230; furono anche collocate nuove vetrate e lampade all’interno del tempio sacro per un’ulteriore spesa di L. 1717. 4. LA NUOVA CHIESA Agli inizi del Settecento, sotto il rettorato di don Giobatta Pilani, venne eretta la nuova chiesa sulle rovine della precedente di origine medioevale. La facciata reca la data del 1720. Fu restaurata poi nel 1821 da don Pietro Castelli che aveva già fatto innalzare anche un piccolo campanile addossato alla chiesa. “Nell’anno 1811 – annota don Castelli – si spezzò la campana grande; allora si fece fondere tutte le campane dal sig. Colbachini di Angarano; il giorno 25 aprile 1812 ha suonato la campana nuova”. Più tardi, “nell’anno 1823 si spezzò la campana piccola. L’anno 1824, 30 maggio, - precisa don Castelli - hanno fatto rifare di cotto la guglia sopra l’ottangolo del campanile; poi il 20 ottobre ha incominciato a suonare la campana Facciata della Chiesa Parrocchiale. 150 5. IL BENEFICIO PARROCCHIALE La chiesa e il Beneficio nel 1664 e nel 1747 Il 4 aprile 1664 il parroco don Gaspare Bassadelli annotava le seguenti entrate del beneficio: “formento della decima: stara 50; delli campi della chiesa che tengono a livello di parte li signori Barbarani da Toara e pagano delle cinque parti due alla chiesa, comprese le decime di questi: stara 40; fava e altri legumi: stara 15; minuti: stara 50; vino botte: 4; fieno: casse 2; affitti e legati con obbligo di messe: troni 95; polli para (paia) 5; galline para 1”.12 Il parroco don Gio. Battista Pilani riportava in data 31 agosto 1747 che“la chiesa non è consacrata, ha due altari, uno del SS.mo Sacramento dedicato a S. Giorgio, l’altro a Maria Santissima del Rosario. A questo altare v’è istituita la Scuola (confraternita) del Santissimo Rosario”. Possiede i seguenti legati: - da Bortolamio De Grandi lire 75 e 16 soldi con obbligo di messe 21; - da Dominico Vaneto legato una quarta e mezza di formento con obbligo di messe due; - da don Gio. Battista Pilani legato di Anna Bertuzzo troni 20 con obbligo di messe 20; - da eredi di Michele Pomaro mezza staia di formento con obbligo di messe 3; - da Bortolamio Trivisan legato di Rosa De Grandi lire 3 con obbligo di messe 2; 9 Arch. Parr. Toara, Libro dei nati, dei matrimoni e dei morti (1798-1831) 10 Arch. Parr. Toara, Libro cronistorico 11 Arch. Parr. Toara, Registro nati anno 1901 12 Arch. Curia Vicenza, Stato delle Chiese, b. 307, due fogli sparsi 151 CAPITOLO SETTIMO - da Batta Bertuzzo mezza quarta di formento; - da eredi Polati troni 5 con obbligo di celebrare messe 5. Aggiungeva poi che “ il beneficio ha d’entrata ducati duecento circa , consiste in campi trentotto e decime come nel catastico 1544; due legati, l’uno di staia 1 e mezzo frumento sopra la casa della Fontana, paga l’ill.ma Contessa Elisabetta Bissari Barbaran; l’altro della signora Contessa Giulia Barbarana successa a Benedetto Salamon. Il beneficio ha d’aggravio: tinazze ad uso di caneva settantacinque e soldi diciotto; di Clero troni ventiquattro più o meno all’anno, e poi il lavoro di detti campi trentotto con colte di lavoranza, troni quaranta circa nella riscossione delle decime”. 13 La relazione del parroco Tommaselli Il 18 aprile 1770 l’allora parroco don Matteo Tommaselli stendeva queste note sullo stato della chiesa: “questa chiesa parrocchiale è stata eretta sotto l’invocazione di San Giorgio martire: è stata benedetta e si fa l’officio alli 23 aprile. Altari n° 3: il primo è quello del SS.mo Sacramento… non ha obblighi nè altri legati pii, è privilegiato ogni giorno per li morti. Il secondo altare è intitolato alla Santa Croce, neppure questo ha scuola nè legati pii. Il terzo è sotto l’invocazione del SS.mo Rosario e in questo v’è Scuola del SS.mo Rosario ed ha obbligo di messe n° 28. Non vi sono altre indulgenze se non quelle che si trovano nel libretto con il quale si recita le litanie chiamato del S. mo Rosario, e queste sono nel tempo della Quaresima. In questa chiesa vi sono due reliquie, una della S. Croce e l’altra di S. Giorgio Martire, tutte e due con le sue autentiche. In questa chiesa sono io d. Matteo Tommaselli e fui provvisto per concorso il giorno settimo del mese d’ottobre 1759, come appare dalle mie bolle. In questa mia parrocchia vi è solamente il sig. don Girolamo Danieli sacerdote confessore che assiste alla parrocchia e celebra la Santa Messa nella chiesa delli Nobili Barbarani (a Belvedere). Vi sono li seguenti oratorii, ne quali si celebra la Santa Messa, cioè l’oratorio del Conte Pietro Conti, nominato S. Giuseppe; l’altro oratorio del Conte Marco Barbarano, nominato S. Antonio abate; altro del Conte Francesco Barbarano, nominato il Crocefisso. Circa la Dottrina Cristiana non vi è Scuola per mancanza di operai, viene insegnata da maestri e maestre nel miglior modo possibile; vi sono alcune classi: gli operai sono tra uomini e femmine circa n: 20, li filioli n° 100 e le figliole n° 90. In questa parrocchia non vi si trova altri abusi, se non quello di non santificare le feste nel tempo dell’estate. LA PARROCCHIA DI TOARA In questa cura vi sono Anime da communione n° 288, in tutte 395”.14 Il parroco passa poi in un altro foglio ad elencare i beni della chiesa: “Campi n° 7 arativi e piantati in Contrà di Fuoco Morto; campi n° 1 e un quarto arativo e piantà in Contrà di Campagnola per la qual terra il parroco è tenuto celebrare annualmente messe n° 6; campi n° 2 montuosi vegri”. Poi è la volta del livelli: “Dal nob. Conte Marco Barbarano, del castello di Belvedere riscuoto troni otto e un paro de polli; dal medesimo Conte Marco riscuoto formento stara due e un paro polli; da Maria relitta (vedova) del quondam (fu) Domenico Donin riscuoto troni 10 e un pollo; da Cattarina relitta(vedova) del quondam Domenico Bertuzzo troni 1 e 4 marchetti; dal Conte Pietro Barbarano troni 7, formento 6 stare e due para di polli; dalla Fraglia del SS.mo Rosario troni 2 e una gallina. Tra stabili, decime e livelli la soprascritta chiesa ha d’entrata un anno con l’altro ducati 180, aggravati però dalli qui infrascritti aggavii: per farmi condurre a casa l’entrata, cioè le decime: lire 26 Al Serenissimo Principe di decime annuali pago: lire 117 Et anco parte de resti vecchi della chiesa: lire 20 Al Reverendissimo Clero decime annuali: lire 32 Per l’affitto di casa all’ill.mo Pietro Conti Barbaran: lire 104 Per la Ceriolla spendo ogni anno: lire 31 Mantengo una serva e sfamo persone quattro”.15 Don Tommaselli stila poi l’Inventario dei beni mobili della chiesa: - un calice d’ottone con coppa d’argento - un ostensorio inargentato - una pisside d’argento - una pisside d’argento e il pedestale d’ottone per gli infermi - un turibolo con navicella d’argento - un turibolo d’ottone con sua navicella - una reliquia della S. Croce con reliquiario inargentato - una reliquia di S. Giorgio con reliquiario in legno dorato - sette camisi - tre cingoli - cinque corporali 14 Arch. Curia Vicenza, Stato delle Chiese, b. 307 Toara 15 Ibidem 13 Arch. Parr. Toara, Beneficio, due fogli volanti 152 153 CAPITOLO SETTIMO - una cotta - un piviale di seta a fiori con sua continenza - una continenza a fiori per portare la S.ma Comunione agli infermi - una pianeta nera - una pianeta verde - una pianeta viola - due pianete rosse - cinque pianete bianche - due berrette a croce - una scatola da ostia - due rituali - un tamizetto da particole - un secchiello con il suo aspersorio d’ottone - una sottocoppa di stagno - sei tabelle per altari - tre campanelli - due chiavi per serare il tabernacolo - tre vasetti per il Battistero d’argento - una coppetta di rame per battezzare inargentata - un vasetto d’argento per gli infermi - tre vasi da olii santi con sua cassetta di stagno - un ferro da particole - un libro dei matrimoni, battezzati e defunti - un libro da cresimati - due messali da vivo - tre messali da morto - quattro lampade d’ottone - trentotto purificatori - quattro coperte per gli altari - quattordici candelieri d’ottone - sei candelieri di legno inargentati - sei cuscini d’altare - sei crocefissi d’ottone - un crocefisso inargentato e un altro di stagno per il S.mo Sacramento - nove tovaglie - due penelli, uno di S. Giorgio e l’altro del SS. Rosario - una ombrella per portare la S. Comunione agli infermi - un espositorio per l’esposizione del Venerabile - un baldacchino di seta con quattro aste inargentate - quattro patene all’altare della S. Croce - quattro patene all’altare del S. Rosario - nove tovaglie all’altare del S. Rosario.16 16 Ibidem 154 LA PARROCCHIA DI TOARA Le relazioni di don Pietro Castelli Dal 1798 reggeva la parrocchia don Pietro Castelli, il quale, il 26 settembre 1804, in risposta ai quesiti vescovili scriveva che: “Lo stato materiale della chiesa è sufficientemente in buon essere ma abbisogna della facciata; la casa parrocchiale è molto ristretta, non essendo questa sufficiente al bisogno del parroco”. Segnala la presenza di un religioso, don Gio. Batta Danieli “il quale presentemente è occupato in una cappellania nella parrocchia di Sossano e ha 32 anni”. Poi aggiunge che “nella parrocchia v’è una sola cappellania del nobile conte Francesco Barbarano (oratorio di S. Antonio abate a Belvedere), e il sacerdote che la cura è don Pellegrin Breganzato della parrocchia di Villaga; il suo dovere è di celebrare la santa messa quattro giorni alla settimana”.17 In un’altra relazione dell’anno 1818, 18 riportava: “Io, Pietro Castelli, di anni 64, da 20 anni dimoro in Toara come parroco. Il cappellano è don Giovanni Cichellero, nativo delle valli dei Signori in età d’anni 32; da un anno e mezzo dimora in questa parrocchia ed è maestro pubblico; vi è poi don Bortolo Bettarini di anni 55 presente in parrocchia da cinque mesi con l’impiego di predicatore quaresimale. Vi sono poi don Giobatta Danieli, nativo di Toara, di anni 46, che dimora a Sossano con l’impiego di maestro di scuola pubblica, poi il rev. Don Giovanni Faccio, nativo di Toara, di anni 41, dimora nella città di Vicenza in S. Marco dove celebra la S. Messa. Gli uomini ammessi alla comunione sono 134, i figlioli inferiori non atti alla comunione sono 72, le donne ammesse alla comunione sono 149, le figliole inferiori 60, per un totale di 415 anime”. Per quanto concerne il beneficio parrocchiale, don Pietro Castelli stilava nel 1808 lo stato attivo e passivo del beneficio della chiesa: 19 Attivo Prodotto dei beni lavorati a mezzadria 1- Formento stara quindici valutato allo staro lire tre centesimi otto imposta 2- Sorgo stara tredici quarte tre a troni due centesimi quattro 3- Mosto mastelli sette valutato lire dieci centesimi venticinque 4- Canapo da lavorare lire sessanta valutato centesimi venticinque alla lira 5- Vezza (vino) stara tre valutata lire due centesimi quattro 6- Legna valutata 7- Legati in soldo 17 Arch. Curia Vicenza, Stato delle Chiese, b. 307 18 Ibidem 19 Arch. Parr. Toara, Beneficio, due fogli sparsi 155 lire 46.20 lire 28.6 lire 71.75 lire 15 lire 6.12 lire 7.66 lire 28.65 CAPITOLO SETTIMO Prodotto in decime 1- Formento a misura vicentina stara 90 valutato come sopra 2- Sorgo stara quaranta valutato come sopra 3- Mosto mastelli diciassette valutato come sopra 4- Vena (avena) stara quindici valutata lire una centesimi ventisette 5- Fava stara tre valutata lire due centesimi quattro 6- Canapo da lavorare lire venti valutato come sopra 7- Vezza (vino) stara due valutata come sopra 8- Fieno carri due valutato lire venticinque centesimi cinquantaquattro al carro 9- Cesaroni (ciliege) stara uno valutati lire due centesimi quattro 10- Olive stara sette valutate lire quattro Proventi di stola Totale delle vendite Passivo 1- Carichi prediali e sovrimposte locali 2- Affitto di casa ad uso canonica 3- Per Consorzio Liona 4- Per gravezze al Clero di Vicenza 5- Per raccoglier le Decime 6- Per legati di messe n.12 Totale dei controscritti pesi e spese Rimane la vendita liquida LA PARROCCHIA DI TOARA lire 276.30 lire 81.86 lire 173.96 lire 19.1 lire 6.14 lire 5.11 lire 4.9 lire 51.16 lire 2.4 lire 20.46 lire 11.15 lire 854.72 quasi infruttuosa, in Toara contrada di Capovilla, affittasi come sopra verbalmente coll’annua corrispondenza di lire italiane 11; - Dal Rev. Sig. D. Giovanni Cichellero, affittuario di campi due montuosi, e quasi infruttuosi, affittati verbalmente come sopra, coll’annua corrispondenza di lire 7.25; - Dal nob. Sig. conte Barnardino Conti Barbarano, affittuario della metà del fieno di campi quattro, quarti tre, posti in Toara, in contrada delli Casamenti, che deve pagare annualmente a questa chiesa la metà del fieno; affittato verbalmente come sopra, coll’annua corrispondenza di lire 74.50”. Il Padre Maccà , agli inizi dell’800 così descriveva la chiesa: “è posta in piano a piedi del monte, e dedicata a S. Giorgio martire. E’ filiale della pieve di Barbarano, ove nel sabato santo il rettore di Toara si porta a benedire il cero. Ha tre altari. Il maggiore ha un bel tabernacolo di marmo carrarese ornato di alcune picciole statue del marmo stesso. La tavola (pala) di questo altare e quella dell’altare della Croce sono di Giacomo Ciesa vicentino.Viene uficiata da un rettore eletto dal vescovo di Vicenza, e da un cappellano”.20 Le note di don Pietro Costalunga lire 236.78 lire 53.20 lire 10.23 lire 6.14 lire 35.81 lire 12.28 lire 354.44 lire 500.28 Il 28 agosto 1839, il parroco don Pietro Costalunga annotava che “la chiesa parrocchiale riscuote annue austriache lire 264.73 dalla cassa Comunale, delle quali 217.14 vengono erogate in sussidio al curato. Col tenue rimanente e colla carità dei fedeli unicamente viene mantenuta la chiesa”. E aggiungeva che le rendite del beneficio ammontavano a lire austriache 1444.96, mentre le passività risultavano essere di lire 531.13.21 I legati della parrocchia Pertanto don Pietro Castelli certificava con suo giuramento che il prodotto annuo del beneficio, depurato in un quinquennio, risultava di annue lire italiane cinquecento e centesimi ventotto; il tutto controfirmato dai tre fabbricieri Grandi, Veronese e Faccio. In un registro delle attività e passività del beneficio datato 1823, conservato nell’archivio parrocchiale, don Castelli elenca anche i beni (terreni) dati in affitto con la relativa rendita: - “Da Francesco Marcato affittuario di campi sette posti in contrada di Fogomorto, e campi uno in contrada di Campagnola, verbalmente, senza scrittura, per anni tre, che avranno il suo termine il giorno 11 novembre 1825, coll’annua corrispondenza di lire italiane 218, pagabili ogni anno a S. Martino; - Da Giovanni Maria Gaino affittuario di campi due, quarti uno, montuosa e 156 I legati presenti in parrocchia erano i seguenti: 1) Legato Conti Barbaran (anno 1846) che consisteva nel dono da parte della nobile famiglia della casa canonica in cambio di una solenne officiatura il 3 giugno di ogni anno, in ricordo di Bernardin Conti. 2) Legato Zanulardi Girolamo: nel più antico registro dei legati della parrocchia, a pag. 51 e seguenti, compilato da don Pietro Castelli, si trova che già dal 1798 per campi uno e un quarto in contrà Campagnola venivano celebrate ogni anno numero sei messe per il sig. Girolamo Zalunardi e moglie. “Da questo fondo affittato - ha dichiarato don Giuseppe Zarantoniello nel 1946 – ho riscosso nel 1945 lire 2200.22 20 G. Maccà, Storia del territorio vicentino, Caldogno 1813, tomo IV, pag.334 21 Arch. Parr. Toara, Beneficio, foglio sparso 22 Arch. Parr. Toara, Beneficio, foglio sparso 157 LA PARROCCHIA DI TOARA 3) Legato Cracco Carlo: in origine era di frumento staia due e un pollo per l’utilizzo di un po’ di terra alla Fratta (vicino a Belvedere), poi commutato in denaro nel 1880 come i livelli. 4) Legato Girolamo Guarato paga ogni anno lire tre per le quali si deve celebrare tre messe. 5) Legato Bernardino Danieli e fratelli: pagano annue lire 12 per le quali ogni anno si devono celebrare 12 messe. 6) Legato Domenico Trevisan paga tre lire annue per tre messe.23 6. IL RECENTE RESTAURO DELLA CHIESA Interno della Chiesa Parrocchiale di San Giorgio:il presbiterio con gli altari (il maggiore al centro, la deposizione della Santa Croce a destra, della Madonna del Rosario a sinistra). Nel 2004, sotto la supervisione dell’arch. Emilio Alberti, progettista e direttore dei lavori, si è provveduto a un primo stralcio di opere che hanno riguardato innanzitutto il rifacimento del coperto del sacro edificio che stava rischiando il crollo. Con la sostituzione della struttura lignea, in particolare nelle travature e delle capriate, si è quindi sistemato il tetto. Le parti architettoniche modanate nella facciata sono state restaurate, mentre le parti ad intonaco hanno subito un’accurata revisione. Le pareti laterali hanno riacquistato salubrità e nitidezza nel colore. Il campanile è stato interessato da un necessario “maquillage”con la pulitura e il consolidamento delle murature, il recupero delle parti architettoniche e del coperto. Si è poi passati al secondo stralcio di lavori riferiti all’interno dell’edificio, che appariva in pessimo stato di conservazione: l’umidità, la mancanza di interventi manutentivi, il degrado determinato da cattive condizioni d’uso, le infiltrazioni d’acqua e le coloriture improprie avevano danneggiato gravemente la struttura. Sono stati eseguiti interventi di restauro conservativo delle superfici interne, in particolare del soffitto, con il consolidamento delle parti sane attraverso l’uso di resine, fili d’acciaio, stoppa e gesso per unire le crepe. Le pareti sono state interessate dalla rimozione delle parti incompatibili e dal recupero delle superfici originarie. Si è proceduto alla raschiatura delle coloriture improprie, al consolidamento degli intonaci, al loro rifacimento in luogo delle lastre marmoree che sono state rimosse. La pavimentazione, in pietra di Chiampo risalente al 1883, è stata oggetto di un intervento di restauro conservativo; anche gli elementi lapidei sono stati curati secondo una sequenza di interventi che hanno previsto azioni di consolidamento, di rimozione dei depositi incompatibili, stuccatura e protezione superficiale. Le vetrate artistiche, in vetro antico legato a piombo, sono state sapientemente ripulite; inoltre, per garantire la stabilità dei vetri, si è provveduto alla sostituzione dei telai. Ma il lavoro più impegnativo ha riguardato il recupero dei tre altari barocchi, in mediocre stato di conservazione. Per oltre un mese un gruppo di studen- L’altare maggiore con la pala di San Giorgio. 23 Ibidem 158 159 CAPITOLO SETTIMO ti della scuola di restauro Engim Leone XIII si è dedicato al restauro dello splendido altare maggiore dedicato a S. Giorgio, titolare della chiesa, in cui spicca un elegante tabernacolo in marmo carrarese, ornato di piccole statue. Il lavoro è stato completato con il ripristino dei due artistici stucchi laterali e di alcuni decori variegati che da tempo erano scomparsi sotto strati di colore e che ora impreziosiscono il presbiterio. Pure i due altari laterali, dedicati alla Beata Vergine del Rosario e alla Deposizione dalla Santa Croce, hanno riacquistato nitidezza di forme e di colori. Non sono state trascurate poi le opere pittoriche contenute nella chiesa: due di esse, L’Ascensione di Gesù e Dio Padre incoronato da angeli, di datazione ottocentesca, sono state restaurate da Raffaello Peotta; altre due tele del pittore vicentino Giacomo Ciesa fanno bella mostra di sé, una sull’altare maggiore (S. Giorgio che uccide i drago) e l’altra sull’altare della Santa Croce. Il sacro edificio è stato messo in sicurezza e reso più funzionale con la sostituzione degli infissi (nuovo portale, restauro dei vecchi confessionali) e il rifacimento degli impianti di riscaldamento, elettrico, di illuminazione e di diffusione sonora. È stato pertanto condotto un intervento radicale, che ha comunque mantenuto ed esaltato le caratteristiche di questa pregevole chiesa risalente ai primi anni del Settecento, ricostruita su una precedente cappella sorta nel contesto dell’antica pieve di Barbarano. 7. LA CANONICA DI TOARA Anche la canonica di Toara ha una lunga storia alle spalle, che merita di essere conosciuta. Da un documento conservato in Curia vescovile, denominato “Supplicationes Rev. Francesco Danieles Rector Thovara”24 dell’anno 1636 veniamo a sapere che il parroco don Francesco Danieli denunciava la situazione precaria in cui si trovava al canonica: “Essendo io Francesco Danieli stato destinato dall’ill.mo R. Mons. Arcivescovo Stella, vescovo di Vicenza, al governo della chiesa di S. Giorgio di Toara… ho trovato una casa che dai miei antecessori è stata abitata, ma con grandissima incuria… una caminata (canonica) tanto angusta che è necessaria un’abitazione per il rettore”. Pertanto supplica che venga costruita una nuova fabbrica e di ciò ha discusso con il conte Giulio Barbarano, “qual essendo ha stabilito di concedermi subito e ai miei successori una sua casa murata, cupata, solarata, con ara, forno, teza. Essa si trova attaccata presso quella della chiesa in contrà della Fontana”. Il parroco si confronta con Giacomo Montan e Zuane Prizaro, massari della confraternita del SS. Sacramento, unita a quella del S. Rosario, perché “con dei publici denari si vorebbe provedere a tale emergenza impegnando 250 ducati nell’acquisto della casa di accrescimento della caminata”. LA PARROCCHIA DI TOARA Nel libro cronistorico di Toara don Giovanni Zarantoniello riporta che la canonica esistente venne rifatta dal conte Giulio Barbarano proprio nel 1636 e consegnata al rettore pro tempore di Toara. Un secolo più tardi, nel 1769, il parroco Matteo Tommaselli scrive che “essendo la cannonica tutta quasi inabitabile perché quasi cadente…senza cuccina, senza forno, senza orto, senza ara, senza teza, e senza sottoterra…m’è convenuto prendere d’affitto una casa dalli N. Sig. Pietro e Girolamo fratelli Conti Barbaran,con l’esborso annuale di lire 104”. 25 Passiamo all’800, quando scoppia il conflitto tra il parroco (don Antonio Costalunga) e la famiglia Conti Barbaran per la proprietà della canonica. Ma andiamo con ordine nel raccontare i fatti, a partire dal 1839, quando don Costalunga scrive al vescovo informandolo della necessità di provvedere al restauro urgente della canonica; sollecita il Consiglio comunale perché si faccia carico dei lavori, convinto che la canonica non sia di proprietà dei Conti-Barbarano. I suoi sforzi per ottenere il restauro della canonica cadono però nel vuoto, poiché il Consiglio comunale non prende provvedimenti in merito. Successivamente, in una lettera inviata alla Curia vescovile l’8 luglio 1844 26 afferma perentorio: “Questa casa non è di assoluta proprietà dei nob. Conti. In epoca trascorsa (saran circa 100 anni) si dovette ampliare la chiesa: lo si fece col togliere al parroco la massima parte della canonica. La nob. Famiglia Conti di allora imprese di fornire ai parrochi pro tempore quanto era necessario; ed aggiunse al piccolo avanzo di casa vecchia niente più di quanto mancava dopo la praticata demolizione; e il lavoro fu praticato in buona parte sopra fondo comunale, e usato il muro della casa vecchia per la costruzione della nuova aggiunta, di modo che ne risultò una casa sola, e indivisibile: anzi non è ben chiaro e deciso qual porzione sia stata costruita di aggiunta. Viene affermato che il Comune cedette alcuni diritti suoi comunali al nob. Conti. Certamente parecchi grandi gelsi ei possede piantati sopra fondo comunale. Fin d’allora fu istituito un canone di venete L. 104 sopra questa casa a carico dei parrochi, il quale però appena pareggia la terza parte del merito, se tutto, quanto esso pretende, è di assoluta sua proprietà. Nessun parroco questa casa la prese in affitto: fu abitata costantemente dai parrochi succedentisi: non fu mai un giorno solo, dacchè sussiste, in possesso Conti, nemmeno in tempo di vacanza: e senza questa casa è tolta affatto l’abitazione anche per un parroco, il quale in canonica fosse solo. Da tutto ciò apparisce e la giustizia della causa e l’urgenza d’un esame sopra luogo verificato da un’apposita imparzial Commissione, e l’intervento del Comune, di chè il sottoscritto supplica istantemente in mezzo alle continue molestie, che gl’impediscono pur anche il tranquillo esercizio del suo ministero”. La vicenda finisce nelle aule dei tribunali e alla fine soccombe il parroco, il 25 T. Cevese-R. Pellizzaro, Toara, La Serenissima, 1999, pag. 86 26 Arch. Curia Vicenza, Stato delle Chiese, b. 307 24 Arch. Curia Vicenza, Stato delle Chiese, b. 307 160 161 CAPITOLO SETTIMO LA PARROCCHIA DI TOARA quale riceve addirittura l’ingiunzione di sfratto da parte del conte Marzio. Il parroco, in data 18 ottobre 1845, scrive una lettera accorata alla Curia vesco-vile 27 denunciando che “senza preavviso nè uffiziale nè privato, giovedì 16 corrente capitò in casa il Cursor pretoriale per effettuare lo sgombero della canonica, ed eran pronti gli artefici per murare, per asportare ecc. Mi furono esibiti gli atti relativi. Nella descrizione dei locali da sgombrare trovai non precisate le stanze costituenti la casa che il nob. Conti pretende sua, a differenza delle stanze costituenti la porzione di casa di ragione del Beneficio; ma espresso semplicemente una casa. Io opposi che sono pronto a sgombrare e rassegnare quanto mi apparisce chiaro non ledere la proprietà comunale e del Beneficio; ma ho sostenuto che in punto della canonica propriamente detta, che è una casa unica ed indivisibile, io non isgombro locale alcuno, perché alcuno non ne è precisato. Il nob. Conti comparso personalmente non volle eccezioni di sorte alcuna: ordinò che di presente si desse mano all’esecuzione. Le stanze le precisava esso verbalmente. Io insistetti sulla negativa. Chiamò indicatori, da cui nulla fu rilevato di certo. Volea pure l’esecuzione immediata. Si addussero ragioni, si interposero mediazioni di tutte le persone presenti, ch’erano più di dieci. Tutto fu nulla. Io arbitrai finalmente colla massima umiliazione, di cui mi saran testimoni tutti gli astanti, di un convegno con riconoscimento del suo diritto e contribuzione al suo beneplacito (inteso per me, senza pregiudizio) purchè mi venga assicurata l’abitazione…”. Il dissidio si risolse l’anno dopo, nel 1846, quando il parroco don Costalunga se ne andò dalla parrocchia e il conte Marzio Conti Barbaran, il 24 settembre,“con carta privata” donò la canonica al nuovo rettore, don Antonio Pagani. Più tardi, nel 1851, i nipoti Pietro e Ascanio confermarono legalmente la donazione dello zio Marzio al parroco locale pro tempore nel modo e nelle condizioni indicate nel contratto fatto presso la Pretura di Barbarano il 12 settembre di quell’anno. In tale documento 28 “i nobili Pietro e Ascanio Conti Barbaran donano, cedono e perpetuamente alienano al parroco pro tempore della chiesa di S. Giorgio di Toara d. Antonio Pagani che per se e i suoi successori in perpetuo accetta ed acquista: una casa con orto ed adiacenze in Toara in contrada della Piazza… I nobili Conti si riservano però l’uso e godimento dei gelsi fino a che vivranno, esistenti nella corte annessa a detta casa. La detta donazione viene fatta sotto condizione e non altrimenti che il parroco pro tempore di Toara debba ogni anno in perpetuo a tutte sue spese far celebrare nella chiesa parrocchiale di Toara nel giorno 3 giugno anniversario della morte del nob. Bernardino Conti (padre di Marzio) in suffragio dei defunti della nobile famiglia Conti Barbarano un ufficio di requiem con messa solenne cantata coll’intervento di 8 sacerdoti”. Quasi cento anni dopo, don Giovanni Zarantoniello, precisa che 29 “nel 1920 il parroco di allora (don Pietro Vigolo) chiedeva che, data l’impossibilità, fosse ridotto il numero dei sacerdoti e la Curia concedeva la riduzione a soli 3 sacerdoti, parroco compreso, ad quinquennium; in questo senso si regolarono poi i parroci. Nel 1928 questa annuale ufficiatura venne trasportata al 29 gennaio”. 8. LA CHIESA DI S. ANTONIO ABATE DI BELVEDERE La chiesa di S. Antonio abate in Belvedere venne eretta nel 1444 dal nobile Montano II Barbarano, proprietario del vicino castello, come testimonia una lapide murata nella sacrestia, dietro l’altare. La cappella gentilizia venne visitata nel 1583 dal vescovo Michele Priuli: Dalla relazione pastorale è emerso che “ha un altare di marmo consunto; il vescovo ordina di far dipingere una pala e di rinnovate le finestre; la chiesa dispone di due calici, patena e messale romano riformato, poi due candelabri e tre pianete con finimenti: Ha altri due altari marmorei ai lati dell’aula, non consacrati, che ordinò fossero tolti. Fuori della chiesa vi è il cimitero nel quale è presente un altare che il vescovo ordinò di togliere, poi diede disposizioni perché fosse riparato il muro di cinta”.30 L’oratorio fu riedificato pochi anni dopo, nel 1588, da un altro Montano (quarto) che, appena iniziati i lavori, venne colpito da una febbre perniciosa e morì nel giugno di quell’anno. Ma egli, qualche giorno prima di spirare, dettò le sue ultime volontà; fece quindi testamento e tra le sue disposizioni vi era anche che la chiesa fosse terminata e poi mantenuta. Egli ordinò infatti “che la chiesa e casa per esso magnifico testador principiate nella villa di Belvedere secondo il modello del Groppino siano continuate e finite in modo che nella prima domenica del mese di settembre prossimo futuro possi (la Lapidi con iscrizioni che ricordano la riedificazione della Chiesa nel 1588 e la visita pastorale del 1736 del Vescovo Suarez. 29 Arch. Parr. Toara, foglio volante 30 Arch. Curia Vicenza, Visitationes, b. 4/0556 27 Ibidem 28 Arch. Parr. Toara 162 163 LA PARROCCHIA DI TOARA chiesa) esser consacrata et in quella dire la prima messa, spendendoli tutto quello che farà bisogno et serà necessario giusta l’ordine et modo per esso magnifico signor testadore dato et principiato. Et questo sia fatto senza alcuna dillatione et che ancho imediate consecrata che serà essa chiesa si debba trovar un capellano di bona vita al quale sia assignato per salario ducati 50 all’anno…con obbligo al detto capellano che ogni giorno debba dire messa per l’anima di esso testador”.31 Nel testamento si fa riferimento a Domenico Groppino, capomastro-architetto di scuola palladiana, chiamato dai Barbarano per l’esecuzione di alcuni lavori, tra cui la chiesa che venne effettivamente completata nel 1588. Ne è testimonianza l’iscrizione lapidea conservata in sacrestia in cui si legge: “TEMPLUM HOC AEDIFICATUM ANNO MCCCCXLIIII MONTANUS BARBARANUS IOANNIS FILIUS REAEDIFICANDUM CURAVIT ET IACTIS FUNDAMENTIS INCIDIT IN FEBRI PERFICI LEGAVIT ET OBIIT ANNO 1588”. (Questo tempio venne edificato nell’anno 1444. Montano Barbarano figlio di Giovanni curò la sua riedificazione e gettate le fondamenta, si ammalò di febbre, ordinò che fosse compiuto e morì nell’anno 1588). Più tardi, nel 1613, l’interno della chiesa fu pavimentato ad opera di Camillo Barbarano, come asserisce un’iscrizione posta sul pavimento, appena entrati in chiesa. Il 21 maggio 1645 il vicario generale Giuseppe Zaghio visitò la chiesa 32 affidata alla cura della parrocchiale di Toara. Ha un unico altare, un campanile e il cimitero.Visitò l’altare che ha la pala della Beata Vergine e altri santi, senza altra immagine di S. Antonio, e un portatile33 antico consacrato. Il vicario ordinò di provvederlo di una nuova pietra sacra da inserire nella mensa in modo che non si stacchi e che risulti un po’più elevata; ciò doveva essere fatto in breve tempo, pena la sospensione dell’altare. Ordinò anche di far dipingere una immagine del santo titolare della chiesa (S. Antonio) e che la mensa fosse coperta con una tela cerata e fornita di tabella. Vide poi il pavimento divelto a causa delle sepolture; ordinò che fosse sistemato. Visitò la sacrestia e ordinò che il calice fosse dorato, che si provvedesse ad una patena d’argento e ad un nuovo messale; inoltre ordinò di tenere dei corporali e di fare una pianeta nera, un’altra violacea e un’altra ancora bianca da custodire in due armadi. Vide il campanile, sulla cui punta ordinò fosse apposta la croce. Visitò il cimitero nel quale comandò che fosse apposta una croce e che fossero tagliate le piante. La Chiesa di S. Antonio Abate di Belvedere vista dal portale del Castello. 31 G. Mantese, Lo storico vicentino P. Francesco da Barbarano, in Odeo Olimpico, IX-X, 1970-71, pag. 42 32 Arch. Curia Vicenza, Visitationes, b. 8/0560, Toara 33 Il portatile è la parte centrale dell’altare, la mensa o pietra sacra. 164 165 CAPITOLO SETTIMO LA PARROCCHIA DI TOARA La predetta chiesa è dotata di un cappellano e vi è una casa per l’abitazione di lui con due campi vicini e due altri fuori, che il volgo dice in campagna. Nel 1664, il parroco di Toara Gasparo Bassadelli, annotava che “la chiesa di S. Antonio abate è juspatronato dei conti Barbarano del Castello di Belvedere, i quali pagano il sacerdote et lo elegono ad libitu, secolare; come secolare ne ha giurisdizione di cura d’anime”. 34 Nel secolo successivo, precisamente nel 1736, avvenne un nuovo e radicale restauro della chiesa documentato da un’iscizione lapidea murata sulla facciata che dice: “COLLABENS TEMPLUM…AERE SUO REPARAVIT AUXIT ORNAVIT FRANCISCUS BARBARANUS PATRICIUS VENETUS CAMILLI FILIUS A.D. MDCCXXXVI". Poiché si trovava in pessime condizioni, il patrizio veneto Francesco Barbarano di Camillo, l’anno 1736, riparò, aumentò e ornò la chiesa dotandola di paramenti, vasi sacri e dipinti. Sulla facciata un’altra lapide ricorda che, con il permesso del vescovo di Vicenza Sebastiano Venier, il vescovo di Feltre Pietro Mario Trevisan dei marchesi Suarez celebrò i divini misteri e cresimò nei giorni 10-11 e 14 ottobre 1736. Agli inizi dell’800 il padre Maccà scriveva che “ha una mansionaria uficia- ta da un cappellano con debito di messe nella domenica, e in tre giorni per settimana.” 35 Nel 1854 viene collocata nella chiesa la nuova Via Crucis composta da 14 oleografie su cartone, di bottega veneta. Il parroco don Antonio Pagani delegava un padre del convento di S. Pancrazio per la santa visitazione.36 Una nota del 20 aprile 1861, scritta da don Antonio Pagani, ci informa che l’oratorio di S. Antonio abate “ è di pertinenza del sig. Federico Frigo di Vicenza. Eravi un tempo l’onere di S. Messa quotidiana, poi fu ridotto a due messe alla settimana; ma fin dal 1836 fu venduto con tutte le proprietà immobili dal conte Barbarano, ora famiglia estinta, al nominato Frigo senza neppur nominare il legato messe e quindi da quell’epoca fu totalmente abbandonato il legato messe, né si rinvennero documenti per l’attivazione. Esso è in pessimo stato”.37 Alla fine dell’800 il parroco don Agostino Ancetti riporta che “l’oratorio è in grave deperimento, anche se è provveduto sufficientemente per la celebrazione della S. Messa”. 38 Ricorda poi che gode il privilegio di due annue indulgenze plenarie, concesse dal SS. Pio VI con Breve dell’11 gennaio 1780, una fissata nel giorno 17 gennaio, l’altra “ad libitum episcopi”. “Tale Breve – precisa don Ancetti – assicurano i vecchi, esisteva un tempo in quell’oratorio, ma andò consunto dall’umidità del muro a cui era appeso; i vescovi di Vicenza, per applicare la seconda indulgenza, si basarono volta per volta sul decreto del vescovo antecessore”.39 Nell’anno 1900 il parroco don Agostino Ancetti, col concorso di tutta la popolazione di Belvedere e Quargente procedette al restauro generale dell’oratorio “oramai quasi diroccato perché abbandonato dagli antichi proprietari. Tale ristauro fu pure dedicato al SS Redentore”.40 Belvedere cominciò a muovere i suoi primi passi indipendentemente dalla matrice Toara quando, nel 1943, divenne curazia per decreto del vescovo appena giunto a Vicenza, mons. Carlo Zinato. Ma è da ricordare che già nel 1914 il vescovo Rodolfi aveva concesso la celebrazione della messa domenicale nella chiesa di Belvedere, per alleviare in tal modo le scomodità di quei cristiani, lontani dalla parrocchiale di Toara. Poi, con decreto del 25 novembre 1953, il vescovo Zinato elevava a parrocchia la curazia di Belvedere e, nel successivo gennaio 1954, ne nominava il parroco nella persona di don Giosuè Billo, che dal 1945 era curato della stessa comunità. La Chiesa e il Campanile visti dalla strada che sale al Castello. 35 G. Maccà, Storia del territorio vicentino, tomo IV, pag. 336 36 Arch. Curia Vicenza, Stato delle Chiese, b. 307 37 Ibidem 38 Ibidem 39 Ibidem 40 Arch. Parr. Toara, Registro nati Toara, all’anno 1901 34 Arch. Curia Vicenza, Stato delle Chiese, b. 307 166 167 CAPITOLO SETTIMO LA PARROCCHIA DI TOARA GLI ULTIMI INTERVENTI nuovi arredi liturgici: altare, sede, ambone e fonte, in questa sede previsti con linee stilistiche essenziali realizzati in pietra di Vicenza e legno. Tutti gli elementi hanno carattere austero e in particolare l’altare che assume la configurazione di “tavolo” (70x170x95), così da consentire la visibilità del prezioso paliotto seicentesco”. Completano gli interventi, l’illuminazione interna, che meritava di essere migliorata proprio dal punto di vista della qualità della luce artificiale, e l’impianto di diffusione sonora. Infine, per quanto concerne le finiture interne, le pareti sono state ridipinte Una formella della Via Crucis: crocifissione di Cristo. con pittura a calce nelle tonalità che si armonizzino con le preesistenze architettoniche e artistiche di antica e nuova collocazione (via Crucis). La pavimentazione esistente (realizzata sopra quella originaria elevando tutta l’aula di un gradino) necessitava di un intervento di manutenzione straordinaria che ha previsto la pulitura in profondità delle superfici, la stuccatura dell’intera aula e la successiva lucidatura finale. Negli anni scorsi sono stati compiuti importanti interventi migliorativi della struttura. “Sono lavori - ha osservato l’allora parroco don Giancarlo Pianezzola - che ci permettono di esaltare le bellezze artistiche della chiesa, di recuperare spazi, attualmente molto ristretti, e di rendere maggiormente significative le celebrazioni della comunità. Pertanto sono stati realizzati lavori di manutenzione straordinaria degli interni e di adeguamento liturgico; in particolare hanno riguardato gli impianti di illuminazione e di diffusione sonora, la tinteggiatura, la risistemazione del presbiterio, degli arredi sacri e del portale”. Il tutto è stato illustrato da Virginio Sanson - dell’Ufficio beni culturali della diocesi - e dall’architetto Barbara Zattra - progettista e direttore dei lavori - nel corso di una conferenza, ed inaugurato domenica 8 agosto 2004 con una S. Messa serale. “La chiesa – puntualizza l’arch. Zattra - presentava soffitto piano con quattro travi lignee a ricordo delle antiche catene delle capriate, fronti interni dipinti di bianco (ad eccezione di un affresco-sinopia rimasto lungo il fronte meridionale), area presbiteriale elevata rispetto all’aula in seguito alla realizzazione della pedana con moquette rossa che produceva un gradino artificioso in corrispondenza delle porte di accesso all’antica sacrestia. La soluzione progettuale proposta ha previsto la rimozione dell’attuale “pedana” che individua l’area presbiteriale, il successivo recupero dei gradini dell’altare cinquecentesco in modo da ripristinarne la configurazione originaria. Giustapposta al gradino inferiore, verso l’assemblea, è stata collocata una predella che sarà la base del nuovo altare. A destra dell’altare, in prossimità dell’assemblea è collocato l’ambone, elevato rispetto all’aula, così da porsi come “stabile ed elevata tribuna” da cui proclamare la parola di Dio. A sinistra dell’altare è posta la nuova sede del celebrante (non più frapposta e in asse fra altare e custodia eucaristica). A completamento del riordino dell’attuale area presbiteriale è stata spostata la consolle dell’organo lungo il fronte meridionale della chiesa eliminando così l’attuale barriera fisica fra aula e presbiterio e permettendo al coro di porsi sia nelle prime file dell’assemblea sia intorno all’ambone. E’ stata poi ridotta la profondità della bussola d’ingresso, che dà una maggiore ariosità alla chiesa. Lungo il percorso principale, laddove già esiste un decoro del pavimento, viene collocato il fonte battesimale, “che deve essere posto al di fuori del presbiterio”. Tale collocazione è frutto di una serie di valutazioni e prove che hanno dimostrato non esserci altre alternative, funzionali e liturgicamente corrette, per la sistemazione del fonte, considerate le piccole dimensioni di questa cappella – chiesa, particolarmente compromessa da interventi che hanno stravolto la configurazione artistica e architettonica dell’ambiente stesso . L’intervento di adeguamento acquista maggiore significato con l’inserimento dei 168 LA NUOVA VIA CRUCIS Grazie all’abilità artistica dello scultore Luciano De Marchi e al dono fatto alla comunità da Maria Zorzan Una formella della Via Crucis: flagellazione di Cristo. (una parrocchiana di Belvedere familiarmente conosciuta come “Mari”), la quattrocentesca chiesetta di Sant’Antonio abate, antico e grazioso oratorio dei conti Barbarano, da qualche anno dispone di una notevole opera che si compone di 15 formelle in pietra bianca di Vicenza che raccontano altrettanti momenti della vita di Gesù, dalla nascita alla resurrezione. 169 CAPITOLO SETTIMO “Il salire alla chiesetta per pregare e celebrare – ha scritto il parroco don Giancarlo Pianezzola nel libretto di presentazione dell’opera 41 – diventa ora anche un invito a contemplare la bellezza di Dio riflessa nella nuova Via Crucis. Una Via Crucis che ci aiuta, guidati dalla Spirito, ad entrare non solo nel Tempio, ma nel cuore di Dio, nell’intimità del suo amore rivelato nel Figlio Gesù, il Cristo. E non unicamente nel momento tragico della sua Passione, ma sin dalla sua nascita sino alla Risurrezione”. Nelle 15 stazioni dell’opera, l’orizzonte della sofferenza, che contraddistingue la passione, si distende per tutta la vita del Signore, dalla nascita alla vittoria sulla morte, stemperandosi dapprima nella semplicità e umiltà della nascita a Betlemme e nella guarigione del cieco, intensificandosi poi, progressivamente, negli episodi della lavanda dei piedi, la preghiera nell’orto, il disconoscimento di Pietro, l’atteggiamento indifferente di Pilato, la flagellazione, fino ai momenti tradizionali, dolorosissimi, del cammino verso il Golgota: l’incontro con le pie donne, l’aiuto del Cireneo, la crocifissione. Poi, prima che si compia l’estremo sacrificio, ecco due scene che illuminano la figura di Gesù e di Maria: il perdono del ladrone buono e il dolore per la sorte del figlio. Quindi la morte e la successiva deposizione del corpo di Gesù nel sepolcro, con l’episodio conclusivo della gloria del Cristo risorto. “Il tutto con le figure ridotte all’essenziale - ha osservato mons. Nonis nel libretto -, con una soavità solo spirituale che addolcisce la greve mole dei corpi. Fa parlante il silenzio (come nella scena del processo, in cui Gesù appare già caricato del patibolo), senza attenuare la violenza della scena in cui il Cristo viene inchiodato, e raggiunge anzi grande dolorosa dolcezza nel colloquio del condannato con le donne incontrate sulla via, o nella Deposizione che prelude alla sepoltura. Se dovessi ridurre a due parole questa commovente opera del nostro artista (Luciano de Marchi) – osserva mons. Nonis – direi “spiritualità”,“umanità”: che sono poi non solo le caratteristiche essenziali dell’Uomo-Dio, ma anche le connotazioni inconfondibili dell’arte popolare e nobile di Luciano De Marchi”. La caratteristica Via Crucis di Belvedere merita una visita attenta per la sua intrinseca bellezza; è un itinerario di arte e di fede dove l’animazione degli sguardi e degli atteggiamenti scolpiti racconta, con un linguaggio universale, i momenti più significativi della storia più grande, che è anche intimamente la nostra, del Dio che si fa uomo, muore e risorge per dare un senso alla nostra vita. L’antico altare della Chiesa di Belvedere con la pala di S. Antonio Abate e in primo piano il nuovo altare e l’ambone. 9. DESCRIZIONE DELLA CHIESA ATTUALE La chiesa di S. Antonio abate, con pianta disposta ad oriente, presenta una facciata dalle linee molto semplici: due paraste angolari, con base e capitelli tuscanici in pietra, sorreggono il frontone triangolare sormontato da una croce. Al centro vi è l’elegante portale con un bel timpano arcuato, in pietra tenera di S. Germano. Sulla parete sinistra, di fianco all’abside è inglobato il bel campanile a quattro monofore, di cui una accecata, terminante con cuspide a pigna, in cotto. Nella cella cam- 41 Comunità cristiana di Sant’Antonio Abate in Belvedere, “Via Crucis”, edito dalla Parrocchia di Belvedere, anno 2004 170 Interno della Chiesa. 171 CAPITOLO SETTIMO LA PARROCCHIA DI TOARA panaria sono sistemate sei campane. La più antica venne fusa nel 1455, poi, due secoli dopo, nel 1656, poiché si era lesionata, fu fatta rifondere da Camillo Barbarano. Una seconda campana, con la scritta: “Venite adoremus: Venite fili audite me: A peste fame et bello libera nos Domine”, di proprietà di Angelo Chemin Palma, ed opera di Pietro Colbachini di Bassano, venne donata alla chiesa nel 1871. Altre due Il vecchio Tabernacolo custodito nell’antica Sacrestia. campane vennero acquistate nel 1924 dalla ditta Luigi Corradini di Verona. Una campana ha la seguente dedicazione: “Laudo Deum plebem – voco – congrego clerum”, mentre l’altra riporta:“A fulgore et tempestate libera nos Domine 1924”. Le ultime due campane, della ditta Fagan Adone di Vicenza, furono fatte collocare nel campanile da don Giuseppe Giacomello nel 1983. Una è dedicata a Maria Immacolata, mentre l’altra ricorda l’Anno Santo della riconciliazione. All’interno della chiesa, ad un’unica navata, spicca l’elegante altare in pietra gialla, addossato alla parete, che così descrive il cultore d’arte Antonio Verlato:42 “quattro colonne corinzie scanalate, poggianti su alti piedistalli, sostengono una armoniosa trabeazione, con leggero timpano nel comparto centrale. Gli scomparti di risulta sono tutti affrescati. L’Annunciazione appare sul primo registro: a sinistra l’Angelo annunziante con il giglio in mano, in vesti rinascimentali; a destra la Vergine in atto orante, a braccia aperte. Molto sciolti e luminosi sono i paesaggi che appaiono nei due riquadri (l’ambiente è quello dei Berici). Affresco presente sul soffitto ligneo dell’antica Sacrestia. Nel secondo registro, entro cartigli, sono raffigurate in monocromo due scene dell’Antico Testamento. Sulla fascia che collega i capitelli sono dipinti alcuni festoni di foglie e frutta, secondo la moda rinascimentale. Al centro del timpano sta il Padre Eterno. Due vittorie alate incorniciano la pala nell’intercolunnio centrale. Convince l’attribuzione dello studioso Zorzi al pittore Anselmo Canera di Verona, che negli anni precedenti aveva operato nel palazzo palladiano di città di Montano IV. Al centro sta una pala centinata (olio su tela cm 173 X 324), degli inizi del Seicento, rappresentante S. Antonio abate, dal volto corrucciato, in piedi con un libro tra le mani; a destra S. Antonio da Padova in ginocchio, con il bianco giglio posato a terra, con la mano destra al petto e l’altra appoggiata al sacro legno, volge lo sguardo al Cristo posto sull’alta croce. Stupendo è il Cristo morto, disposto obliquamente, con perizoma bianco svolazzante, così pure l’angelo ad ali spiegate, che occupa la parte superiore della composizione, mentre sostiene amorevolmente la croce in un pietoso abbraccio. In alto, tra nuvolaglie, scende un raggio di fredda luce. L’impostazione e la resa pittorica hanno forti richiami maffeiani, anche se non si esclude l’intervento di qualche artista della bottega dei Maganza. La pala è stato restaurata negli anni Novanta da Raffaello Peotta”. Ai lati dell’altare vi sono due eleganti porte laterali a due battenti (con dipinti putti alati) che immettono nella retrostante sacrestia. In questo piccolo vano è conservato il tabernacolo in pietra bianca scolpita risalente alla prima metà del Settecento. Sul soffitto della sacrestia sono presenti tre dipinti ad olio raffiguranti due angeli e la Trinità. Sulla parete destra della chiesa è dipinta una sinopia raffigurante una Madonna in trono tra i santi Rocco e Sebastiano, entro un’elegante cornice della fine del ‘500, racchiusa in una edicola ad elaborate volute. L’affresco, secondo Verlato,43 richiama i modi di Giovan Battista Maganza, detto il Magagnò (1513-1586), grande amico di Montano IV. Decorati con affreschi e con tele di pregio erano pure gli altri fronti interni, purtroppo distrutti o perduti dapprima in seguito all’abbandono e all’incuria, poi ad interventi di abbellimento e ristrutturazione effettuati negli anni ’40 e ’60 del secolo scorso. Tali interventi hanno comportato la sostituzione della copertura lignea a capriate a vista con una nuova struttura in laterocemento con soffitto piano e copertura a due falde, la demolizione della decorazione ad affresco posta lungo lo sviluppo della copertura, la rimozione delle balaustre, il rifacimento completo delle superfici interne e del pavimento (realizzato con una palladiana collocata sopra l’antica pavimentazione e la tomba dei conti Barbarano). 42 A. Verlato, S. Antonio Abate di Belvedere, in mensile Il Basso Vicentino, giugno 1996, pagg. 68-69 43 A. Verlato, S. Antonio Abate di Belvedere, pag. 69 172 La parrocchia di Belvedere, eretta nel 1953; lo stato d’anime del ‘54 Con decreto del 25 novembre 1953, il vescovo Zinato elevava a parrocchia la curazia di Belvedere, e nel successivo gennaio 1954 ne nominava il parroco nella persona di don Giosuè Billo, che da oltre otto anni era curato della stessa comunità. Riportiamo lo stato d’anime della parrocchia di Belvedere redatto nell’anno 1954 da don Billo, indicante i 156 capifamiglia, il numero dei componenti dei nuclei familiari e il luogo di residenza. Aldegheri Vittorio (5), Quargente; Barbaro Giuseppe (4) Alture; Cocco Primo (4) Belvedere; Cocco Federico (7) Belvedere; Campedel Remo (4) Belvedere; De Mani Romano (2) Belvedere; De Mani Augusta (3) Belvedere; De Mani Bonfiglio (2) Belvedere; Faccio Isidoro (3) Quargente; Fracasso Ettore (8) Belvedere; Fracasso Lino (3) Belvedere; Ghirardello Eugenio (1) Quargente; Menegon Cirillo (2) Belvedere; Bicciato Alessandro (3) Belvedere; De Mani Albino (4) Belvedere; De Mani Antonio (7) Belvedere; De Mani Tullio (11) Belvedere; De Marchi Angelo (6) Belvedere; Manzin Alessandro (2) Belvedere; Zorzan Giuseppe (6) Belvedere; Zorzan Beniamino (2) Belvedere; Toniolo Valentino (3) Belvedere; Priante Giuseppe (3) 173 CAPITOLO SETTIMO LA PARROCCHIA DI TOARA Belvedere; Omenetto Emilio (5) Belvedere; Muraro Igino (1) Belvedere; Pozza Ernesto (4) Belvedere; Bellin Baldassarre (6) Quargente; Bellin Giovanni (3) Quargente; Spinello Antonio (7) Quargente; Mercante Giovanni (8) Quargente; Guarato Luigi (2) Quargente; Ranzolin Mario (5) Alture; Ranzolin Pietro (7) Alture; Mazzucco Girolamo (10) Alture; Pieropan Valentino (4) Quargente; Cichellero Giuseppe (7) Quargente; Danieli Felice (8) Quargente; Zanconi Pietro (6) Quargente; De Grandi Luigi (5) Quargente; Mazzaron Angelo (8) Belvedere; De Marchi Marsilio (6) Belvedere; Marchioro Giuseppe (4) Belvedere; Fornasioero Angela (3) Belvedere; Miatton Nicodemo (5) Belvedere; De Mani Virginio (5) Quargente; Bulla Angelo (2) Belvedere; Bellini Cesare (2) Belvedere; De Marchi Giuseppe (3) Belvedere; Pozza Domenico (13) Quargente; Ghirardello Attilio (7) Quargente; Rovea Adolfo (7) Quargente; Pieropan Augusto (3) Quargente; Danieli Giovanni (3) Quargente; Aldegheri Arcangelo (7) Quargente; Dal Cero Luigi (2) Quargente; Fontana Domenico (6) Alture; Fontana Giovanni (3) Alture; Faccio Giovanni (4) Quargente; Faccio Lino (4) Quargente; Fontana Primo (2) Alture; Ferrari Maria (8) Quargente; Ferrari Giuseppe (2) Quargente; Ferrari Clorindo (4) Quargente; Guglielmi Giovanni (2) Belvedere; Guarato Erminio (5) Quargente; Groppo Giulio (7) Belvedere; Gianesini Domenico (8) Quargente; Guarato Giorgio (14) Quargente; Guarato Ederio (3) Quargente; Guarato Antonio (10) Quargente; Groppo Luigi (12) Belvedere; Groppo Armando (3) Belvedere; Gambin Pietro (4) Belvedere, Munari Nicolò (4) Belvedere; Manzin Vittorio (6) Quargente; Manzin Renato (4) Belvedere; Montesello Ortensio (6) Crocefisso; Montesello Cirillo (3) Crocefisso; Melato Sante (5) Crocefisso; Melato Antonio (5) Crocefisso; Mazzaron Silvio (4) Belvedere; Mazzaron Pietro (5) Belvedere; Marangon Matteo (5) Quargente; Marangon Mario (3) Quargente; Menegon Lorenzo (6) Belvedere; Miglioranza Giulio (5) Belvedere; Maistrello Egidio (6) Quargente; Mazzaron Giulio (6) Belvedere; Mazzaron Agostino (3) Belvedere; Mazzucco Giovanni (6) Quargente; Miglioranza Pasquale (6) Belvedere; Miglioranza Sergio (3) Belvedere; Miglioranza Pietro (5) Belvedere; Modenese Lodovico (5) Belvedere; Miglioranza Giulio (7) Belvedere; Mazzaron Andrea (9) Belvedere; Manzin Sante (5) Belvedere; Oliviero Caterino (5) Belvedere; Savoia Valentino (5) Belvedere; Schiarante Antonio (3) Belvedere; Sartori Vetusto (7) Alture; Sartori Girmo (5) Alture; Sartori Danilo (3) Alture; Schiavon Gastone (4) Belvedere; Soldà Giuseppe (5) Belvedere; Venturini Attilio (5) Fogomorto; Venturini Benvenuto (5) Fogomorto; Venturini Arrigo (4) Fogomorto; Visentin Guido (4) Belvedere; Visentin Adolfo (6) Belvedere; Varotto Angelo (3) Belvedere; Zen Davide (7) Quargente; Zanconi Antonio (5) Quargente, Zorzetto Silvio (2) Quargente; Cortivo Anselmo (7) Belvedere; Dal Toso Guido (6) Belvedere; Danieli Antonio (5) Quargente; Danieli Luigi (8) Quargente; Danieli Innocente (4) Quargente; Danieli Pacifico (5) Quargente; De Marchi Sabino (4) Belvedere; De Mani Emilio (4) Belvedere; De Mani Massimiliano (6) Belvedere; De Mani Giuseppe (2) Belvedere; De Mani Augusto (2) Belvedere; Bastianello Lucia vedova Canella (13) Belvedere; Canella Bortolo (3) Belvedere; Canella Tullio (3) Belvedere; Canella Antonio (2) Belvedere; Peretti Annibale (6) Belvedere; Cichellero Antonio (5) Ponte Seonega; Cichellero Giorgio (7) Belvedere; Cichellero Amedeo (3) Belvedere; Crivellaro Virginio (8) Belvedere; Canella Alfonso (4) Belvedere; Crivellaro Adelchi (5) Belvedere; Trevisan Domenico (2) Belvedere; Carlan Ermenegildo (4) Quargente; Bigardi Arturo (5) Crocefisso; Bigardi Oscar (3) Crocefisso; Toniolo Tullio (9) Belvedere; Lavezzo Pasquale (3) Quargente; Lavezzo Augusto (5) Quargente; Cappa Giobatta (5) Belvedere; Cappa Silvio (2) Belvedere; Cappa Giuseppe (6) Belvedere; De Mani Pietro (9) Belvedere; Paina Augusto (4) Belvedere; Gaspari Ferruccio (5) Fogomorto; Munari Domenico (5) Fogomorto; Manzin Angelo (2) Belvedere; Zandonà Antonio (3) Ponte Seonega; Zandonà Gaetano (2) Ponte Seonega; Zambonin Pietro (4) Quargente; Valdesolo Luigi (2) Belvedere; Venturini Valentino (6) Belvedere. 174 10. ELENCO DEI PARROCI DELLA PARROCCHIA DI TOARA Anno 1297 Anno 1427 Anno 1444 Anno 1583 Anno 1607 Anno 1632 Anno 1635 Anno 1657 Anno 1668 Anno 1700 Anno 1759 Anno 1798 Anno 1836 Anno 1837 Anno 1846 Anno 1880 Anno 1916 Anno 1919 Anno 1938 Anno 1942 Anno 1947 Anno 1960 Anno 1993 Ubertus Clericus (Uberto chierico) Giacomo Giovanni di Monteviale Ruggero di Napoli Camillo De Grandi Benedetto Salamoni Giovanni Vezari Francesco Danieli Gasparo Bassadelli Giovanni Zanini Gio. Battista Pilani Matteo Tommaselli Pietro Castelli Giovanni Sammartin Pietro Costalunga Antonio Pagani Agostino Ancetti Luciano Gregori Pietro Vigolo Giacomo Golo Giovanni Zarantoniello Ernesto Bicego Attilio Lupatin Antonio Dovigo e Giulio Perini Prima Comunione a Belvedere. Anno 1997 Giuseppe Negretto 175 CAPITOLO SETTIMO I PARROCI DELLA PARROCCHIA DI BELVEDERE Anno 1953 Anno 1982 Anno 1997 Anno 2006 Giosuè Billo Giuseppe Giacomello Giancarlo Pianezzola Valerio Vestrini Anno 1940: bambini dell’asilo di Belvedere con il parroco Don Giacomo Golo e la maestra Maria Mazzaron. Anni ‘60: Don Giosuè Billo benedice i trattori. 176 CAPITOLO OTTAVO LE CONFRATERNITE E LE PIE UNIONI Un’attenzione particolare nella storia delle nostre comunità cristiane meritano le confraternite religiose che furono attive a Villaga e a Toara già nella seconda metà del Cinquecento e nei primi decenni del 1600. Nate come associazioni riformistiche della vita cristiana, in forte decadimento nel secolo XV, esse divennero un aspetto importante della religiosità popolare post-tridentina. I loro aderenti si riunivano in associazioni per vivere più intensamente la vita cristiana, curando la devozione verso il Cristo, la Vergine o qualche santo. Chiamate anche “Società”o “Scuole”o “Fraglie”, avevano una propria organizzazione, regolata da uno statuto, con finalità di culto, pietà e di carità. Possedevano inoltre beni mobili e immobili provenienti da donazioni o lasciti testamentari di qualche devoto o benefattore. Detti beni erano amministrati dal “massaro”della confraternita che veniva eletto ogni anno dai soci e ai quali doveva rendere conto del suo “maneggio” (operato). Il massaro doveva poi riscuotere dai soci del proprio sodalizio una quota associativa annuale che, assieme ai soldi raccolti nelle cassette per l’elemosina poste in chiesa, costituiva il patrimonio dei beni mobili che la confraternita in genere usava soprattutto per mantenere un proprio altare. 1 Pertanto, uno degli scopi principali dei confratelli era quello di rendere il più decoroso possibile l’altare a cui la confraternita era legata. Le offerte raccolte servivano per i bisogni dell’altare, per la celebrazione di messe e per compiere opere di carità: ciò specialmente nel tardo Seicento e nel Settecento, quando le entrate delle varie confraternite aumentarono notevolmente in seguito ad offerte libere e lasciti testamentari, a cui venivano legati particolari obblighi di celebrazioni in suffragio dell’anima dell’offerente. Ecco allora le fraglie riscuotere sempre più numerosi affitti e livelli e possedere talvolta anche ter- 1 M. Nicoletta Simeone, Le confraternite religiose, in “Nanto S. Maria Annunziata, una chiesa tra ieri e oggi”, edito dalla parrocchia di Nanto e dalla Pro loco, anno 1997, pag. 63. 177 CAPITOLO OTTAVO LE CONFRATERNITE E LE PIE UNIONI reni, case e altri beni di vario genere, ricevuti in dono, col trascorrere del tempo, da persone devote.2 Queste associazioni, quindi, assunsero una notevole importanza anche nella vita sociale poiché regolavano la vita dei soci e chi vi aderiva godeva di vantaggi, non solo spirituali, ma anche materiali come prestiti in denaro, assistenza e beneficenza, cura degli ammalati, ed altro ancora. Le confraternite furono poi soppresse in epoca napoleonica con la confisca dei relativi beni che confluirono nell’erario pubblico. Ripresero a vivere durante il periodo della restaurazione e continuarono ad operare fino alla metà del secolo scorso. del quondam Agnolo da Velo, a sera li benni della Commenda di San Silvestro di Villaga, a tramontana la via Comune, et altri fossi salvo. … Il qual fitto dovrà esser riscosso dalli Massari di detta Confraternita il Santo Martino subito seguita la morte di detta Madona Sabina, e poi così successive d’anno in anno, con obligo alli Massari, che pro tempore sarano al Governo di detta Confraternita di far celebrare ogni anno sei messe di requiem (in suffragio di Madona Sabina) dopo il giorno di Santa Lucia del mese di dicembre di quel tempo”.3 Più tardi, in una scrittura del 1685, Orazio Chierego da Villaga è costretto a cedere a Mattio dei Signori una pezza di terra posta in Contrà della Commenda in modo da poter far fronte a una serie di debitori, tra cui la veneranda fraglia del Santissimo Sacramento alla quale doveva versare centouno troni.4 Nel 1897 il parroco don Giuseppe Faccin fa erigere nuovamente la confraternita del Santo Rosario il cui statuto viene approvato il 26 settembre. Articolato in cinque norme, il documento disciplina l’organizzazione del sodalizio religioso precisando quanto segue: 5 1° Ogni ascritto deve recitare almeno una volta la settimana l’intiero Rosario, e non sotto pena di peccato, ma sotto pena di perdere le sante indulgenze quando non lo recita. Questa recita però può esser fatta anche in tre volte, recitando in tre giorni diversi la terza parte del Santo Rosario, cioè meditando la prima volta i cinque misteri gaudiosi, la seconda i cinque dolorosi e la terza i cinque gloriosi per compiere così ogni settimana l’intiero Rosario. 2° Ogni ascritto che paga cinque centesimi al mese, ossia 60 centesimi all’anno, oltre il merito della elemosina, che verrà impiegata per l’abbigliamento dell’altare privilegiato della Madonna del Santo Rosario, avrà il vantaggio che alla sua morte gli verranno celebrate gratuitamente allo stesso altare privilegiato due sante messe in suffragio dell’anima sua. Se poi coloro che pagano i 60 centesimi all’anno rimanessero in debito alla loro morte, le due sante messe non verranno lor celebrate se prima dalla famiglia non viene estinto per intiero il lor debito. 3° Ogni confratello avrà la sua corona benedetta dal Direttore della congregazione e procurerà di portarla sempre con sè per guadagnare anche con questo tante indulgenze. 4° Sarà bene inoltre che ogni ascritto formi l’intenzione ogni mattina di acquistare tutte le indulgenze che può in quel giorno e quando muore un qualche confratello e consorella cerchi di accompagnarlo alla sua ultima dimora e di applicare il primo Rosario che recita in suffragio dell’anima sua. 5° Finalmente ogni ascritto cerchi di mostrare la sua devozione a Maria coll’accostarsi almeno nelle feste principali della Madonna ai santi Sacramenti, e per non privarsi di tanti tesori d’indulgenze e per aver così un pegno sicuro della sua eterna salute: Qui elucidant me, vitam aeternam habebunt, ecc”. 1. LE CONFRATERNITE DI VILLAGA Il riferimento più antico attestante la presenza delle confraternite a Villaga è contenuto nella relazione della visita pastorale del vescovo Michele Priuli avvenuta nel 1583 (Visitationes, b. 4/0556). In essa si legge che “extat societas S.mi Sacramenti que nullus habet introitus et confratres sunt centum et vigintiquinque” (E’ presente la confraternita del Santissimo Sacramento che non ha alcuna entrata e i confratelli sono centoventicinque). Proprio in quell’anno il vescovo Priuli, nel sinodo della Chiesa vicentina, si era occupato delle confraternite laicali, rivendicando il diritto di approvazione degli statuti per ogni nuova istituzione e di convalida per gli istituti preesistenti, condannando ogni forma di abuso riguardante la spartizione di beni e raccomandando che, quando sopravanzavano, venissero distribuiti di preferenza tra i soci più poveri della confraternita o fossero destinati ad opere di beneficenza. Chiedeva inoltre che venissero allontanati tutti gli indegni e che l’ammissione di nuovi soci non avvenisse senza un sufficiente periodo di prova. Inoltre tale ammissione doveva essere fatta in presenza dei responsabili (i massari) e del parroco della chiesa locale (E. Reato, La vita religiosa dei fedeli, in “Una terra, un fiume, una comunità”, Tezze sul Brenta, pag. 165). In una successiva visita del Vicario generale Giuseppe Zaghio, avvenuta nell’anno 1645, è riportato che a quel tempo erano già attive a Villaga le fraglie del Santissimo Sacramento e del Santo Rosario (Visitationes, b. 8 / 0560). Merita attenzione poi un altro documento che risale al 1657 ed è la donazione di un livello alla fraglia del Santissimo Sacramento da parte di una certa Madona Sabina. Essa “fa libera donazione alla Confraternita del Santissimo Sacramento eretta nella chiesa di San Michiel di Villaga con affitto de troni dieci, marchesi dieci all’anno; che il suo capitale è di troni cento e settanta quattro marchesi otto che pagava da San Martin il quondam Domenego quondam Horatio Chierego, et al presente li suoi eredi fondati sopra una caseta murata cupata e solarata con forno, et campo uno e mezo de terra contigua alla detta casa, piantà de vide, et arbori posta nelle pertinenze di Villaga in contrà della Mason apresso li benni delle Reverende Madri d’Ognisanti di Vicenza a mattina, a mezzodì li beni erano 2 G. Pendin, Castegnero, dalle origini ai nostri giorni, a cura dell’Amministrazione comunale di Castegnero, 1985, pagg. 97-98. 178 3 Arch. Parr. Villaga, copia documento notarile, pag. 3 4 Arch. Parr. Villaga, documento notarile, pag. 3 5 Arch. Curia Vicenza, Stato delle Chiese, Villaga, b. 330 179 CAPITOLO OTTAVO 2. LE CONFRATERNITE DI TOARA La notizia più antica dell’esistenza di confraternite a Toara è contenuta nella relazione della visita pastorale compiuta dal vescovo Michele Priuli nel 1583. In essa viene riportato che esiste la società (confraternita) del Santissimo Sacramento che comprende oltre cinquanta confratelli i quali versano un marchetto ciascuno mensilmente per il mantenimento dell’altare maggiore. In uno scritto del parroco don Matteo Tommaselli, dell’anno1747 veniamo a sapere che la Scuola del Santissimo Rosario “ è stata canonicamente eretta per facoltà del Padre Priore di Santa Corona di Vicenza, come appare da istrumento rogato nell’anno 1607 primo ottobre dal rev.do Domenico Nogarola, Rettore della parrocchiale di S. Nicolò di Zovencedo, nodaro di autorità riconosciuto”.6 Nell’anno 1636 vengono citate le confraternita del SS. Sacramento e del S. Rosario, governate dai massari Giacomo Montan e Zuanne Prizaro, nel documento “Supplicationes Rev. Dom. Francesco Danielli Rectoris Thovaria”. 7 Nell’anno 1643 Madona Maria di Pietro Pedrina, moglie di Giacomo Montan, all’età di 60 anni, fa testamento e lascia alla Confraternita della Beata Vergine del SS. Rosario due ducati con l’obbligo per i governatori della fraglia di far celebrare sei messe dopo la sua morte, tanto per lei che per il marito Giacomo. 8 Nel 1721 i massari Bernardin Danieli e Mattio Di Grandi, rappresentanti la fraglia del SS. Sacramento, in seguito a votazione dei confratelli (33 voti a favore e 10 contrari), investono Francesco Bedon di un livello perpetuo riguardante una “casa murà, cupà, solarà, con ara, orto e forno, canevaro e circa mezzo campo di terra arativa piantà de vide, arbori e morari, in Toara, in contrà de Caovilla… per lire 36 e soldi 13 in due rate, metà da S. Cristoforo e metà da S. Martin, e in più, al reverendo parroco lire due e una gallina, ai suoi debiti tempi, e questi liberi da ogni gravezza”. 9 In un altro documento del 1728, Antonio De Grandi lascia per testamento alcuni suoi beni (un casone e quattro campi e un quarto) alla fraglia del SS. Rosario che li mette poi all’asta (ballotazzione) e li assegna a livello (in affitto) a Bortolamio De Grandi. Molto interessante risulta la lettura di questo atto.10 “In nomine Iesu divini, amen. Li 20 del mese di genaro dell’anno 1728 in Toara distretto di Vicenza. La patrona veneranda Fraglia del S.S. Sacramento e del S.S. Rosario eretta nella chiesa parrocchiale di S. Giorgio di Toara, in vigor del testamento fatto dal quondam domino Antonio de Grandi quondam Zuanne li 25 genaro 1725 nodaro Domino Zuanne Padovan all’hora abitante in questa parocchia e presentemente nella villa dell’Agugliaro, di un casone e campi quattro quarti uno tavole settantadue, a mezo infrascritti ed inerendo essa 6 Arch. Curia Vicenza, Stato delle Chiese, Toara, b. 307 7 Arch. Curia Vicenza, Stato delle Chiese, Toara, b. 307 8 Arch. Stato Vicenza, Fondo notarile, Fabri Girolamo, b. 1915, ff. 5-6 9 Arch. Stato Vicenza, Fondo notarile, Angelo Gottardo, b. 3005 10 Arch. Stato Vicenza, Corporazioni religiose soppresse, S. Rosario Toara, b. 809 180 Altare della Madonna del Rosario mantenuto dalla confraternita del SS. Rosario di Toara. L’antico gonfalone di San Giorgio della parrocchia di Toara. 181 CAPITOLO OTTAVO LE CONFRATERNITE E LE PIE UNIONI fraglia a venerabili decreti dell’eccellentissimo senato, perciò li domini Gio.Battista Mazaron e Antonio Giacomuzzo onorandi massari di detta veneranda, faceva chiamar in due giorni festivi alla messa parochiale dal reverendo parocho tutti li confratelli per deliberar di esso casone e terra, come chiunque volesse mettersi alla ballotazzione per averli a livello laonde vaticinato il venerando capitolo de confratelli preso parte di livellar detto casone, e terra con il pro’ de cinque per cento e di dar facoltà a sopradetti massari di far scritture, stime, perticazioni et ogn’altra cosa si ricerca per far un livello di quatro concorrenti a detto livello: cioè Bortolamio De Grandi quondam Lodovico, Domenico Trevisan quondam Antonio, Antonio Giacomuzzo quondam Zuanne, Silvestro De Grandi quondam Silvestro con pluvalidità di voti han prescelto il detto Bortolamio De Grandi, come appare da anottazione di scrittura registrata 29 decembre 1726 con la presenza del reverendo signor don Domenico Bellini, e signor Zuanne Selatto testimoni rogatti da esso capitolo; per detta ballotazzione e sottoscritti in detta scrittura custodita tra gli altri registri di detta veneranda fraglia, e della quale apporre tutte le cose infrascritte. Pertando non essendo hora mai seguitto alcuna scrittura né pubblica né privata di detto livello tra li oltrascritti massari, e detto Bortolamio De Grandi, ora con la presente scrittura… si dichiara come li domini Gio. Battista Mazaron et Antonio Giacomuzzo onorandi massari della veneranda Fraglia del S.S. Sacramento e Santissimo Rosario, eretta nella chiesa parochiale di Toara in virtù della facoltà impartitali dal radunato capitolo de fratelli, e ballotazzione come appare da scrittura sopradetta 29 decembre 1726 custodita ne registri d’essa Fraglia, hano solennemente concesso a livello al predetto Bortolamio De Grandi quondam Lodovico che parimente per lui stesso, et eredi stipula et essi beni a livello accetta trasferendoli detti locatori nel coautore il giorno presente tutte le ragioni, azioni, onori, servitù, ingressi, et egressi à quelli spettanti e con obligo di dovuta diffesa e manutenzione in caso di contesa da tutti e contro tutti in qualunque istanza à tutte spese d’essa veneranda Fraglia, e specialmente sollevarlo da ogni molestia a causa di gravezza o campatici per il tempo passato, dando a livello a migliorare e non peggiorare a detto conduttore essi beni, quelli sempre riconoscere debba da detta veneranda fraglia come padrona e proprietaria col patto sempre di prelazione in ogni caso, segna li beni campi due quarti tre e mezzo, tavole quarantadue in villa di Toara in contrà di Campagnola confinano a mattina con beni di S. Giorgio di Toara, a mezzogiorno eredi d’Alessio di Grande et anco gli illustrissimi signori Conti Porti Barbarani, a tramontana il Ghebo chiamato Gordone, e forse a. (altro), et un cason e forno sopra detta terra…Item campi uno, quarti uno e mezo e tavole venti e mezzo in pertinenze di Sossano in contrà di Campagnola detti Moregette… stimato il tutto dalli messer Domenico Di Grandi e Francesco Orlandi detto Carletto eletti da sopradetti massari, e da Grandi conduttore, come appare da stima posta in atti del sopradetto Stefano Zenatto nodaro, il valor della quale terra essendo a lire millecentosessantasei, soldi otto, denari undici, et il cason lire trecento e cinquanta, che unito fanno lire 1516.8.11. Per affitto a livello per recognicion de frutti annuali prende obligo esso Bortolamio de Grandi pagare annualmente troni sessantacinque soldi sedici denari cinque, a raggion de cinque per cento, così pattuito in due eguali rate, la prima da San Cristofaro, e la seconda da San Martin, liberi da qualunque spesa, e gravezza posta, e da improventi pubblica o privata etiam de mandato domini…”. 182 Nel 1747 il parroco Matteo Tommaselli scrive che la fraglia del SS.mo Rosario, retta dal massaro Domenico Mazzaron, non ha la bolla di indulgenza perpetua e non ha i capitoli per il buon governo (cioè non è regolata da uno statuto). I confratelli sono circa cento e pagano 13 soldi all’anno nel giorno del 2 febbraio, solennità della Seriola. Ogni confratello che muore ha diritto alla celebrazione di quattro messe di suffragio. La confraternita si mantiene anche con le elemosine che si raccolgono in chiesa nella prima domenica di ogni mese e nelle solennità della Madonna; inoltre beneficia di tre stare di frumento come offerta dei campi. Inoltre possiede i seguenti legati: da Bartolomio De Grandi lire 75 e 16 soldi con l’obbligo di messe 21; da Domenico Vanetto legato di una quarta e mezza di frumento con obbligo di messe due; da don Giobatta Pilani, legato di Anna Bertuzzo, troni venti con obbligo di messe due; da eredi di Michele Pomaro mezzo staio di frumento con obbligo di messe tre; da Bartolomio Trevisan legato di Rosa De Grandi lire tre con obbligo di messe due; da Batta Bertuzzo mezza quarta di frumento; da eredi Polati troni cinque con obbligo di celebrare messe cinque.11 Più tardi, nel 1760, riporta in una nota l’elenco delle messe dei legati delle due confraternite esistenti:12 Messe dei legati del SS.mo Sacramento Per il legato spettante ad Angelo Guarato messe n. 3; per il legato degli eredi De Grandi messe 3; per il legato di Domenico Trevisan messe 3; per il legato di Girolamo Danieli messe 12; per il legato di Girolamo Zalunardi e sua moglie messe 6; per il legato di Zuanne Facchin messe 6. Messe dei legati del SS.mo Rosario Per il legato di Antonio de Grandi messe 21; per Gio. e Maria Zago messe 2; per eredi Pomarolo messe 3; per Rosa De Grandi messe 2. Dal Libro “Scossi e spese anni 1776-1806”13 veniamo a conoscere il nome dei massari che si succedettero alla guida della confraternita del S. Rosario tra il 1776 e il 1797: 11 Arch. Curia Vicenza, Stato delle Chiese, Toara, b. 307 12 Ibidem 13 Arch. Stato Vicenza, Corporazioni religiose soppresse, Fraglia S. Rosario di Toara, Libro scossi e spesi anni 1776/1806, b. 809 183 CAPITOLO OTTAVO anno 1776: anno 1777: anno 1778: anni 1779-1780-1781: anno 1782: anno 1783: anno 1784: anni 1785-1786: anni 1787-1791: anni 1792-1793: anni 1794-1795: anni 1796-1797: Paolo Faccio Francesco Trivisan Paolo Faccio Francesco Trivisan Carlo Di Grandi Francesco Trivisan Paolo Faccio Francesco Trivisan Giuseppe Trivisan Angelo Guerrato (Guarato) Mattio Guerrato (Guarato) Giobatta Faccio. In questo fascicolo14 troviamo anche il resoconto economico del sodalizio nel periodo dal 1780 al 1797. - Carlo Faccio fu massaro per l’anno 1780 ed ha riscosso lire 272.3 soldi, mentre ha speso lire 255.8; pertanto ha consegnato in cassa lire 16.15; - Franco Trevisan successe come massaro per l’anno 1781 ed ha incassato lire 275.19, mentre ha speso lire 207.16; quindi ha consegnato in saldo lire 68.3; - Carlo Di Grandi fu massaro per l’anno 1782 ed ha riscosso lire 374.3, a fronte di spese per 298.10; pertanto ha avanzato lire 75.13; - Francesco Trevisan è subentrato come massaro nell’anno 1783 ed ha riscosso lire 230.6, mentre ha pagato lire 150.12; pertanto il saldo positivo è di lire 79.14; - Paolo Faccio fu eletto massaro per l’anno 1784; ha incassato lire 423.4 ed ha speso lire 359.5; pertanto ha consegnato in cassa lire 63.19; - Francesco Trevisan successe come massaro per l’anno 1785 ed ha riscosso lire 307.11, mentre ha speso lire 300.10; quindi ha avanzato lire 7.1; - lo stesso fu confermato anche per l’anno 1786: ha riscosso lire 416.4 ed ha speso lire 397.1; quindi ha consegnato lire 19.3; - Giuseppe Trevisan gli subentrò per gli anni 1787-88-89-90: ha incassato lire 1.065.19 ed ha speso lire 1.082.4; pertanto ha speso più dell’incassato; - Angelo Guerrato (Guarato) è succeduto come massaro negli anni 1792-93 ed ha riscosso lire 512.10, mentre ha speso lire 388.4; pertanto ha consegnato in cassa lire 124.6; - Mattio Guerrato (Guarato) subentrò negli anni 1794 e 1795 (fino a giugno) ed ha incassato lire 581.13, mentre ha speso lire 476.11; quindi ha consegnato lire 105.2; - Giobatta Faccio fu eletto massaro dal giugno 1795 al giugno 1797: ha riscosso lire 988.18, mentre ha speso lire 841.15 con una rimanenza in cassa di lire 97.3. Stendardo della Confraternita del SS. Sacramento di Belvedere dell’anno 1946. 14 Ibidem 184 185 CAPITOLO OTTAVO LE CONFRATERNITE E LE PIE UNIONI Più tardi, nel 1820, quando il vescovo Peruzzi compì la sua visita pastorale a Toara, - nel frattempo erano state soppresse da oltre un decennio tutte le corporazioni religiose, sia quelle di vita comune, sia quelle laicali, fuorché quella del S.S. Sacramento - si trovò di fronte ad una sorpresa inaspettata: la confraternita del S. Rosario era più viva e vegeta che mai; quindi, caso rarissimo in diocesi, era sfuggita alla soppressione napoleonica e aveva continuato la sua attività in parrocchia. 15 LA RICOSTITUZIONE DELLA CONFRATERNITA DEL SS. SACRAMENTO Se la Confraternita del Rosario godeva di buona salute, quella del S.S. Sacramento aveva conosciuto una crisi che l’aveva portata quasi a cessare il suo impegno religioso. Pertanto occorreva rilanciarla per darle nuovo impulso religioso. Così, il 20 ottobre 1840 la Deputazione comunale di Villaga approvava la regolare istituzione della Confraternita del SS. Sacramento,16 come richiesto dal parroco, don Antonio Costalunga, il quale, qualche mese dopo, il 14 gennaio 1841, chiedeva al Vescovo mons. Giuseppe Cappellari l’approvazione di istituire la Confraternita.17 Il cancelliere vescovile rispondeva che “questa Curia vescovile approvando in ogni sua parte il disciplinare propostogli dichiara dal lato ecclesiastico regolare e legittima l’istituzione della Confraternita del SS. Sacramento…permettendosi che da questo giorno in poi ne venga fatta a beneplacito la solenne apertura”.18 Tale confraternita viene poi riformata nell’anno 1881 da don Agostino Ancetti. Nella seduta dell’8 dicembre 1882 si procedette al rinnovo delle cariche. Dalla votazione risultarono eletti: De Marchi Antonio come Priore; Crivellaro Angelo e Marangon Antonio vicepriori; Toniolo Sante Cancelliere; il parroco don Ancetti Cassiere; Giacometti Gianbattista e Mazzucco Pietro Reggenti; De Marchi Giovanni e Danieli Bernardo Vice Reggenti; Cichellero Stefano Bidello; Miglioranza Edoardo Bidello d’Onore; seguirono i nomi di otto Consiglieri, di sei membri adibiti al trasporto del Baldacchino durante le processioni; infine vennero eletti Zen Antonio, col compito di portare lo Stendardo, e Scavazza Vittorio per il Crocefisso.19 Stendardo del Sacro Cuore di Toara. Stendardo dei Terziari Francescani. Stendardi delle Associazione di Azione Cattolica di Toara. 15 E. Reato, La visita pastorale di Giuseppe Maria Peruzzi nella diocesi di Vicenza (1819-1825), Roma, 1972, Edizioni di storia e letteratura, pag. LXXXVIII 16 Arch. Curia Vicenza. Stato delle Chiese, Toara, b. 307 17 Ibidem 18 Ibidem 19 Arch. Parr. Toara, Busta Confraternite 186 187 CAPITOLO OTTAVO 3. LE PIE UNIONI Nella seconda metà dell’Ottocento abbiamo l’inizio di nuove forme di aggregazione di fedeli, cioè di pie unioni o congregazioni la cui esistenza, ancora precaria sotto la dominazione austriaca, acquista crescente sviluppo nei primi decenni dell’unità nazionale grazie all’affermazione del principio della libertà di associazione.20 A Villaga sorsero tra il 1871 e il 1877 due congregazioni: dell’Immacolata di Maria e del Carmine, che promuoveva il culto della Madonna; del Sacro Cuore di Gesù, che si impegnava nell’organizzazione di riti e preghiere il primo venerdì del mese e curava la solenne celebrazione della festa liturgica del Sacro Cuore.21 Più tardi, nel 1897, per impulso del parroco don Giuseppe Faccin, venne istituita anche la congregazione del Santo Rosario, mentre agli inizi del ‘900 nacquero due nuove aggregazioni religiose: la congregazione della Dottrina Cristiana e quella del Terz’Ordine Francescano.22 A Toara, alla fine dell’Ottocento erano attive la Congregazione del Sacro Cuore, con 108 aderenti, e la pia unione della Santa Famiglia con 43 iscritti, mentre nei primi anni del ‘900 sorsero la congregazione di S. Luigi, per gli adolescenti (i giovanetti, col camice, la cappa celeste e il giglio in mano, accompagnavano le processioni davanti ai cappati del SS. Sacramento), la congregazione della Dottrina Cristiana, il sodalizio Madonna della Buona Morte (eretto da papa Pio X nel 1908, si occupava in particolare di organizzare i riti delle esequie), la congregazione delle Figlie di Maria (una quarantina di ragazze e giovani iscritte) che si impegnavano in uno stile di vita riservato e devoto.23 Nel 1912 venne canonicamente eretto il Terz’Ordine francescano, che già esisteva nella parrocchia di Toara con dei terziari isolati. Ebbe, per opera di parroci Agostino Ancetti e Pietro Vigolo, grande sviluppo, tanto da annoverare quasi un centinaio di iscritti. Il suo massimo splendore lo manifestò nel 1932 con 19 vestizioni fatte dal p. Francescantonio Zarantoniello, allora guardiano di S. Pancrazio. La congregazione festeggiava con grande solennità la festa di S. Francesco esponendo il proprio stendardo che veniva portato in processione. Mensilmente, la seconda domenica del mese, teneva la sua conferenza, dopo le funzioni. Tale congregazione ha avuto l’onore di dare una quindicina di religiosi al servizio del Signore.24 20 AA.VV, Una terra, un fiume, una comunità, a cura di E. Reato, Parrocchia di Tezze sul Brenta, 1990, p. 174 21 Arch. Curia Vicenza, Stato delle Chiese, Villaga, b. 330 22 Arch. Parr. Villaga, Fascicolo Visita pastorale Rodolfi, 1915, Notizie generali 23 Arch. Parr. Toara, Fascicolo Visita pastorale Rodolfi, 1915. 24 Arch. Parr. Toara. Busta Confraternite 188 CAPITOLO NONO LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA I parroci funzionari Nelle parrocchie di campagna il parroco assommò durante il periodo veneziano e poi sotto la dominazione austriaca, la duplice veste di pastore delle anime e di rappresentante dello stato; era infatti ufficiale di anagrafe, con l’obbligo della tenuta dei registri parrocchiali, che fungevano anche da anagrafe statale. Era stato il Concilio tridentino a rendere obbligatoria l’istituzione dei cosiddetti registri canonici, cioè dei libri dei battezzati, dei matrimoni e dei morti, ai quali, più tardi, si aggiunsero quelli dei cresimati e dello stato d’anime, vale a dire la descrizione sistematica e aggiornata di tutti i nuclei familiari della parrocchia. Un’altra funzione particolarmente importante del parroco era quella di farsi portavoce delle leggi della Repubblica Veneta, le quali, oltre che venire promulgate dall’araldo sulla scala del palazzo Ducale e sul “gobbo” del Rialto, di solito venivano lette nella “messa grande” dal parroco e la lettura ne veniva spesso ripetuta a scadenze fisse, per imprimerla nella mente della gente (generalmente analfabeta); l’obbligo di lettura in chiesa era di volta in volta ribadito nella singola legge, la cui promulgazione (stampata sul foglio recante nel frontespizio il leone “in moeca”) era detta volgarmente “moeca”. 1 Nel Veneto, tra i secoli XVII e XIX i parroci hanno quindi il compito di scrivere e di custodire i dati e gli eventi essenziali dei singoli e dei loro familiari. Il diverso carattere dei registri utilizzati sino al 1815 e di quelli successivamente introdotti dal governo asburgico – osserva Filiberto Agostini – appare dalla qualità e quantità delle informazioni contenute. Nei primi, scritti in forma di diario e cronaca, l’accento è posto sul conferimento di un sacramento a un parrocchiano, sul riconoscimento della personalità giuridica nella chiesa, sulla finalità del governo pastorale. Negli altri, l’intento fondamentale è la registrazione di un evento demografico avente valore civile. Secondo le nuove 1 I. Cacciavillani, Corso di storia della Chiesa veneta, Signum 1990, pag. 98 189 CAPITOLO NONO LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA norme statali, in campo amministrativo, introdotte dopo il 1815, i registri dell’anagrafe sono tabellari standardizzati, già suddivisi colonna per colonna. Al parroco spetta solo di riempire gli spazi predisposti. In questa operazione non è più il pastore d’anime che trascrive il compimento di un atto relativo al suo ministero, ma un impiegato dello stato civile che soggiace alla legislazione statale. 2 Solo a partire dal 1866, dopo l’annessione del Veneto, in base alla legge del Regno d’Italia del 31 dicembre 1964, fu istituito in ogni comune l’ufficio delle anagrafi, del tutto indipendente da quello parrocchiale. 3 1. I REGISTRI PARROCCHIALI Una fonte importante per la storia moderna è costituita dai registri parrocchiali, cioè dai libri nei quali i parroci registravano in ordine cronologico, anno per anno, le nascite, i battesimi, le cresime, i matrimoni dei loro parrocchiani. In Italia questi registri si cominciarono a tenere con regolarità dopo il Concilio di Trento (1563), perché la Chiesa cattolica voleva attuare un maggiore controllo sui fedeli. Tali registri parrocchiali permettono agli studiosi di raccogliere preziose informazioni riguardanti la popolazione di una determinata zona (rapporto natalità-mortalità, cause di mortalità, età media della popolazione, mobilità, condizione professionale delle persone, discendenza, ecc.) e quindi costituiscono una significativa risorsa per ricostruire la storia e le condizioni di vita di una determinata epoca. La serie dei registri canonici della parrocchia di Villaga si apre con il Libro dei battezzati che comincia nell’anno 1564; viene poi il Libro dei matrimoni che inizia nel 1567, mentre il libro dei morti prende avvio soltanto nel 1646 (questi registri sono conservati nell’archivio della Curia Vescovile, nel Seminario di Vicenza, nella busta 168/1334). Nell’archivio della parrocchia di Villaga, i registri iniziano dal 1678 (i battezzati), dal 1679 (i morti), dal 1698 (i matrimoni). Libro dei morti della parrocchia di Villaga del 1679. 2 F. Agostini, Anagrafi parrocchiali e popolazione nel Veneto tra XVII e XIX secolo, Istituto per le ricerche di storia locale e religiosa, Vicenza, 1989, pagg. 8-9 3 A. Gambasin , Anagrafi parrocchiali: fonti per la storia della popolazione, in Anagrafi parrocchiali e popolazione nel Veneto tra XVII e XIX, pag. 16 190 Libro dei battezzati, dei matrimoni e dei morti della parrocchia di Toara dall’anno 1700. Libro dei matrimoni e registro dei nati della parrocchia di Villaga. 191 Pagine interne del registro dei matrimoni della parrocchia di Toara della prima metà del ‘700. Manifesto della Repubblica Veneta emanato dal Podestà Antonio Soranzo nell’anno 1768 in cui si danno disposizioni ai parroci sulla registrazione dei nati nelle parrocchie. 192 193 CAPITOLO NONO LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA I registri della parrocchia di Toara prendono avvio dall’anno 1606: il Libro dei morti dal 29 luglio 1606; il Libro dei battezzati dal 17 giugno 1607, mentre quello dei matrimoni inizia il 29 gennaio 1657 (anche questi registri sono conservati nell’archivio della Curia). Nell’archivio parrocchiale di Toara, la serie dei registri comincia dall’anno 1700, sia per i nati che per i morti. Nel 1780, il parroco scrive: “ n. 400 persone formano la mia parrocchia, 270 da comunione”, 6 Nell’anno 1790 don Broccardo riferisce di 394 anime presenti, di cui 278 di comunione; nel 1804 le anime risultano essere 405, nel 1813 425, mentre nell’anno 1816 ammontano a 423 unità. Nel 1839 il parroco don Vito Canale riporta il dato di 500 anime, pertanto si coglie un incremento della popolazione, confermato trent’anni dopo, nel 1871 con 557 anime , di cui 386 di comunione. Sono poi gli ultimi decenni dell’Ottocento a registrare un consistente aumento della popolazione che nel 1899 si attesta sulle 920 unità.7 2. LA POPOLAZIONE DI VILLAGA Il dato più remoto che possediamo sulla popolazione del Comune di Villaga risale al 1557 ed è ricavato dal più antico censimento di Vicenza e del territorio, denominato “Descrittione delle anime della città di Vicenza et borghi da fattione et inutili fatta di ordine delli Clarissimi meser Gerolamo Minio e meser Giulio Gabriel Rettore di Vicenza per esecuzione di lettere del Carissimo meser Thomaso Contarini degnissimo Provveditor generale di Terraferma”.4 Secondo questa relazione, il territorio di Villaga nel 1557 aveva 1081 abitanti, di cui 414 anime da fattione e 667 Inutili, un dato davvero allarmante che ci fa capire la triste condizione in cui viveva gran parte della popolazione. Del secolo successivo, il Seicento, possiamo citare una “Descrizione delle anime del 1663”, relativa alla parrocchia di Villaga, dalla quale emergono i seguenti dati: Uomini 87, Donne 79, Putti 67, Putte 71, per un totale di 304 persone. I Capifamiglia di Villaga nell’anno 1700 Da una Vicinia convocata il giorno di mercoledì 8 dicembre 17005 veniamo a conoscere il nome dei 52 capifamiglia di Villaga: Zuanne Guerrato, Marco Vinante, Bernardo Muraro, Pelegrin Breganzato, Iseppo Donzello, Pietro Bertuzzo, Anzolo Mambrin, Zamaria Marin, Mattio Gianello, Paolo Muraro, Zuanne Favron, Paolo Zago, Antonio Rosa, Paolo Veronese, Camillo Martinello, Zamaria Frezerin, Francesco da Soghe, Battista Rappo, Zuanne Donaello, Zuan Giacomo q. Gabriele, Zuanne Rappo, Battista Rappo q. Paolo, Francesco Donaello, Zuanne Giacomuzzo q. Antonio, Mattio Roveratto, Agostin Guerrato, Francesco Lavarda, Girolamo Andrean, Domenico Maran, Gasparo Trevisan, Giacinto Todesco, Giulio Muraro, Domenico Piovan, Battista Bertuzzo, Antonio Evangelista, Niccolò Bertuzzo, Gasparo Di Grandi, Domenico Di Grandi, Bortolamio Muraro, Zuanne Galvan, Stefano Di Grande, Pietro Pollo, Marc’Antonio Di Berti, Mattio Martarello, Nicolò Contin, Bortolamio Festa, Zuanne Roetto, Giulio Trivisan, Vicenzo Roetto, Bastian Tagliaferro, Domenico Rizzo, Pietro Sandro, Francesco Veronese. 4 Tale documento, conservato in Biblioteca Bertoliana, n. 3472 Fondo Gonzati, è stato riprodotto da Giovanni Mantese nelle Memorie storiche della Chiesa Vicentina, vol. III, parte seconda, pagg. 1076-1083; i dati riferiti a Villaga si trovano a pag. 1083 5 Arch. Stato Vicenza, Estimo, b. 1384, 3 v, 3 r. 194 Stato d’anime della parrocchia di S. Michele di Villaga per l’anno 1828 Nel 1828 il parroco don Antonio Brocardo, alla bella età di 84 anni, stilò il seguente Stato d’anime 8 che comprendeva 105 famiglie suddivise per contrade di appartenenza. Contrada della Chiesa parrocchiale: Brocardo don Antonio, Roetta Giovanni, Rossetto Domenico, Veronese Pietro, Veronese Paolo, Brunello Andrea, Brunello Bartolomeo, Sigolla Antonio, Martarello Lucia vedova Godi, Sartori Antonio, Sbettego Gio.Battista, Polo Gio.Battista, Crivellaro Felicita vedova Volpe, Polo Bortolo, De Santi Attanasio, Zorzan Gaspare, Ballestrin Michele, Agostani Giacomo, Rossetto Antonio, Dalla Rosa Angelo. Contrà del Prà Lungo: Dalla Bontà Gio.Battista, Mainenti Antonio, Giara Domenico, Borotto Marco. Contrà del Paradiso: Pomperle Domenica vedova Marini, Lovato Sante. Contrà del Castello: Dalla Libera Antonio, Tagliaferro Sante, Rossi Cristiano, Simionati Angelo, Tagliaferro Giovanni, Troncon Angelo, Gotardo Matteo, De Rossi Bernardino, Tommasi Lodovico. Contrà di Noseo: Bellin Giovanni, Beggio Giacomo, Mambrin Michele, Mambrin Gio.Battista, Da Soghe Giacoma vedova Damian, Bonato Gio.Battista, Capa Domenico. Contrà di S. Donato: Gaspari Giacomo, Crivellaro Sante, Montagna Antonio. Contrà della Commenda: Bellotto Domenico,Veronese Giuseppe, Toniollo Francesco, Pironato Sante, De Signori Matteo, Garbuglio Domenico, Rossetto Giovanni. Contrà della Ca’ Rossa: Dalla Rosa Marco, Conti Natale, Muraro Lorenzo, Passuello Maria, Maran Gio.Battista, Polo Pietro, Chiumenti don Clemente, Naletto Francesco, Rossetto Natale, Gastaldello Giovanni. 6 Archivio Curia Vescovile Vicenza, Stato delle Chiese, Villaga. B. 330, foglio sparso 7 I dati demografici riportati sono ricavati da fogli sparsi in b. 330 Villaga 8 Arch. Parr. Villaga, Stato d’anime anno 1828 195 CAPITOLO NONO LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA Contrà di Ca’ Scorzona: Boari del sig. Tassi: Trova Pietro; Tognetto Giuseppe; Boari del sig. Giara al bagno: Massaro Antonio. Contrà del Poigo: Boari di Pozza: Peruzzi Angelo; boari del sig. Lovo: Barbiero Gio.Battista. Contrà della Colombara: Gastaldo di Balestrin. Pasqualin Angelo; boari di Balestrin: Trova Antonio, Costantini Antonio. Contrà del Barco e del Siron: Boari del sig. Liara: Barison Giuseppe, Mazaron Giovanni; boari del sig. Mazzaron: Tamburin Tommaso; altri boari di Mazzaron: Miola Giovanni, Bettini Giovanni, Leonardi Luigi; vedelari di Mazzaron: Polo Angelo. Contrà di Roncasso e Fornasette: boari del sig. Breganzato: Pavan Domenico, Cracco Angelo, Garbuglio Giacomo, Silvani Innocente. Contrà delle Oche: Coradin Angelo, Trulla Francesco, boari del sig. Trulla: Diello Bortolo, Zanconaro Giuseppe; boari del sig. Loro: Rizzi Giovanni, Rossetto Antonio, Zeggiato Giovanni, Salvadore Bortolo, Maran Natale, Maran Antonio. Contrà di Ronca e Pilla: Piccolo Giovanni, boari del sig. Chiumenti: Montan Marco; Dinello Rosa vedova Framarin, Falda Angelo, Contiero Paolo, Petenon Angelo, Baretta Domenico, Gastaldello Giammaria, Possia Giuseppe, Rappo Angela vedova Donatello, Donatello Antonio, Montecchio Francesco; vedelaro del sig. Trulla: Soldin Luigi; Rasia Dani Antonio. Camini Leopoldo villico, Cantarello Sante villico, Crivellaro Luigi villico, Crivellaro Angelo villico, Cracco Sebastiano villico, Crivellaro Bellino villico, Battarotto Pietro villico, Cacciavillani Giacomo villico, Dianin Luigi possidente, De Rossi Giovanni possidente, De Santi Antonio villico, Dresseno Giuseppe villico, Dal Toso Sante villico, Dalcetto Giobatta villico, Dalla Pozza Sante villico, Dalla Rosa Mario villico, Danieli Giacomo villico, Dalla Rosa Maria villica, Bizzo Bortolo villico, Badin Ambrogio villico, Crivellaro Antonio villico, Fattore Giuseppe villico, Faccin Luigi villico, Falda Giovanni pillotto, Fioraso Lorenzo affittuario, Faggionato Giuseppe villico, Falda Anselmo villico, Fattore Maria villica, Falda Luigi crivellatore, Faggion Pietro barbiere, Fabris Antonio villico, Gottardo Giovanni villico, Garbuggio Gio.Antonio villico, Garbuglio Pietro villico, Girardi Luigi villico, Gatto Angelo villico, Giacobini Giuseppe villico, Gomiero Antonio villico, Giacchin Girolamo villico, Lunardi Antonio possidente, Mazzucco Giosuè villico, Mambrin Luigi Michele villico, Menegatti Leonardo villico, Muraro Eliseo villico, Muraro Luigi villico, Marzari Luigi villico, Massaro Giovanni bovaio, Montecchio Domenico villico, Merlo Gaspare possidente, Muraro Pietro possidente, Montagna Angelo villico, Mazzaron Gio. Clemente possidente, Minchi Giuseppe mezzadro, Mottin Giobatta segretario comunale, Mazzaron Antonio villico, Mambrin Luigi villico, Mambrin Fiore donna di casa, Montagna Angelo villico, Marzari Giuseppe bifolco, Maccà Gaetano villico, Marchesin Giobatta villico, Magro Giobatta villico, Longo Santo gastaldo, Ogniben Ognibeni villico, Maraffon Luigi bifolco, Beccaro Vicenzo affittuario, Beccaro Giuseppe (non indicato), Bruzzo Angelo affittuario, Crestan Luigi villico bifolco, Valente Giacomo parroco, Veronese Giobatta possidente, Veronese Bortolo possidente, Veronese Pietro possidente, Veronese Angelo villico,Volpe Giobatta villico,Visentin Luigi villico, Camparin Giovanni villico, Fabbris Cristiano fittanziere, Rasia Dani Bortolo possidente, Ronco Luigi villico, Righetto Giovanni pizzicagnolo, Rossetto Francesco villico, Tognetti Stefano villico, Rossetto Matteo villico, Rossetto Simeone villico, Pirocca Giovanni villico, Sigolla Pantaleone villico, Sigolla Francesco calzolaio, Spagnolo Domenico villico, Siviero Valentino agente di campagna, Maggiorato Angelo bifolco, Segala Giacinto villico, Simionati Prospero villico, Sbettego Lodovico barbiere, Possia Vicenzo villico, Cozza Giovanni affittuale, Gasparin Dionisio villico, Cangin Angelo villico, Padrin Franco villico, Panzarotto Antonio bifolco, Ficagna Luigi villico, Munari Domenico possidente, Bellin Pietro affittuario, Canton Valentino villico, Anzolin Tommaso barbiere, Tognolo Pietro bovaio, Zanetti Ferdinando villico, Zordan Francesco villico, Zanetti Vicenzo villico, Zanolo Antonio villico, Zanetti Giuseppe villico, Gomiero Caterina villica, Scuccato Amedeo bovaio, Rodolfi Giovanni villico, Tonello Angelo villico, Tognetti Luigi villico, Tognetti Luigia villica, Tognetti Giuseppe falegname, Tagliaferro Luigi villico, Dresseno Girardi Angela villica, Toninello Bernardo bovaio, Tuzza Giuseppe villico, Magliaro Pietro pastore, Trevisan Stato d’anime dell’anno 1875 In questo Stato d’anime, 9 redatto dal parroco Giacomo Valente, sono annotati 164 capifamiglia con le relative condizioni (professioni): Andriolo Domenico villico (contadino), Ambrosi Girolamo fittanziere, Borotto Francesco industriale, Bulla Antonio villico, Bottazzi Luigi fabbro, Bottazzi Giuseppe gastaldo, Bonamigo Pietro bovaio, Benatello Giuseppe bovaio, Bressan Giovanni fittanziere, Brun Sante villico, Brunello Andrea villico, Brunello Francesco villico, Brunello Bortolo villico, Bellin Dante, possidente, Bellin Giobatta possidente, Bellin Giovanni (non indicato), Bellin Antonio villico, Brunello Massimiliano villico, Borinato Giovanni possidente, Grassello Giacomo (non indicato), Battagello Pietro mezzadro, Callido Lorenzo muratore, Carampin Sante sensale, Cappa Giobatta villico, Cracco Francesco villico, Conti Francesco possidente, Costiero Angelo bovaio, Canale Vito calzolaio, Costantini Giacomo villico, Casarin Giacomo villico, Corradin Giovanni villico, 9 Arch. Parr. Villaga, Stato d’anime anno 1875 196 197 CAPITOLO NONO Giuseppe villico, Tagliaferro Giovanni villico, Trivellin Giobatta falegname, Battarello Paolo villico, Anoardi Antonio villico, Borin Sante villico, Pozza Napoleone villico, Rizzo Gaetano (non indicato), Vigolo Eugenio affittuale, Grandi Pietro villico, Bulla Antonio villico. Le famiglie più antiche Riportiamo l’elenco delle famiglie più antiche, presenti ancor oggi a Villaga, ricavato dalla consultazione dei registri parrocchiali: Metà Seicento: Dal Toso, Giacomuzzo, Guarato, Lunardi, Mambrin, Mazzaron; La famiglia di Faggionato Andrea Natale fotografata nell’anno 1916. foto di gruppo degli abitanti di via Fogomorto. Anni ‘50: uomini di Villaga fotografati sulla scalinata di ingresso alle Scuole Elementari. 198 Famiglia di Faggionato Giuseppe fotografata nell’anno 1944. 199 LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA Settecento: Bellin, Bonamigo, Crivellaro, Gambin, Gianesin, Lavezzo, Loro, Mattiello, Miglioranza, Paina, Sigolla, Sinigaglia, Tognetti, Visentin, Zorzan (Franoi). Ottocento: Barbieri, Battagello, Biasiolo, Cracco, De Santi, Ferrari, Ghiotto, Maccà, Munari, Padrin, Pozza, Toninello, Vigolo. 3. LA POPOLAZIONE DI TOARA La prima registrazione della popolazione della parrocchia di Toara risale alla ”Descrizione delle anime del 1663” che riporta quanto segue: Uomini 98, Donne 105, Putti 79, Putte 64, per un totale di 346 persone. Più di un secolo dopo, nel 1770, il parroco don Matteo Tommaselli riporta che le anime da comunione sono 288, quelle di non comunione 107, per un totale di 395 anime; nel 1780 le anime da comunione risultano 285, di non comunione 141, per un totale di 426 persone (in dieci anni, quindi, gli abitanti erano aumentati di una trentina di unità); nel 1790 le anime da comunione sono 297, di non comunione 128, in tutto 425 (in quei dieci anni, invece, la popolazione era diminuita di una unità). Nel 1806 il parroco don Pietro Castelli in una nota scrive che le anime in parrocchia sono 375, di cui 285 da comunione e 90 da non comunione. Colpisce questo dato, poiché, rispetto al 1790, registriamo un calo evidente della popolazione (- 60 unità); sette anni dopo, nel 1813, si passa a 395 abitanti; pertanto la popolazione riprende a crescere di una ventina di unità. Il trend positivo viene confermato cinque anni dopo, quando nel 1818 la popolazione sale a 415 unità (134 uomini ammessi alla comunione, 72 i figlioli inferiori; 149 le donne ammesse alla comunione, 60 le figliole inferiori). 10 Dalla metà dell’Ottocento in avanti si assiste ad un deciso incremento della popolazione. Nel 1871 il parroco don Antonio Pagani annota che le famiglie sono 124, le anime 644, di cui 439 di comunione. In poco più di 50 anni, quindi, la popolazione di Toara era aumentata di circa 230 unità. Alla fine del secolo, nel 1899, la popolazione era arrivata a 828 unità, con un altro aumento consistente, tanto che, rispetto agli inizi dell’Ottocento, il numero degli abitanti era raddoppiato. 11 Massaro Virginia in Bottazzi con i cinque figli. Stato d’anime della parrocchia di Toara dell’anno 1842 Lo Stato d’anime più antico conservato nell’archivio storico della parrocchia di Toara risale al 1842 e venne compilato dal parroco don Antonio Costalunga. Riportiamo l’elenco dei capifamiglia di allora: Alberti Alberto, Brunello Pasquale, Bracesco Giobatta, Begio Francesco, Bresciani Giobatta, Busato La famiglia di Mattiello Silvio con la moglie, a destra, e gli otto figli, fotografata nel 1956. 200 10 Arch. Curia Vescovile Vicenza, Stato delle Chiese, Toara, b. 307: i dati demografici riportati sono ricavati da fogli sparsi. 11 Ibidem 201 CAPITOLO NONO LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA Lorenzo, Baratto Lucia, Bozza Giacomo, Bubola Teresa vedova, Bellucco Angelo, Bellucco Girolamo, Battistella Giovanni, Battistella Alessandro, Busato Sante, Badin Girolamo, Carogaro Angelo, Costiero Antonio, Casaro Giuseppe, Crivellaro Pietro, Conti nob. Marzio, Cichellero don Giovanni, Cichellero Francesco, Costalunga don Antonio, Cracco Paolo, Corà Giovanni, Cestaio Francesco, Cremonese Giovanni, Danieli Michelangelo, De Grandis Giovanni, Dalla Libera Ambrogio, De Grandi Angela, Di Mani Antonio, Di Mani Domenico, De Marchi Bortolo, De Marchi Giovanni, De Marchi Angelo, De Marchi Antonio, De Nato Antonio, De Lunghi Domenico, Dovigo Giacomo, Faccio Paolo, Faccio Giorgio, Folletto Antonio, Faccin Francesco, Ferrari Giovanni, Furlan Giovanni, Ferrari Lorenzo, Giara Domenico, Gallo Domenico, Giacometti Giovanni, Giacometti Matteo, Gaino Gio Maria, Lovato Vincenzo, Lovato Osvaldo, Marcato Francesco, Mancin Bortolo, Mancin Antonio, Marangoni Antonio, Muraro Girolamo, Marangon Bortola vedova, Miglioranza Cipriano, Miglioranza Giuseppe, Maran Domenico, Miola Giovanni, Mazzaron Giovanni, Mastavello Nicola, Mazzucco Angelo, Mazzucco Luca, Mazzucco Francesco, Montan Angelo, Marin Giuseppe, Novello Giovanni, Rovea Bernardo, Mattiello Giacomo, Mercurio Sante, Manfrin Giobatta, Priante Giuseppe, Piran Giovanni, Pirocco Angelo, Ponzin Pietro, Prevato Angelo, Pilani Antonio, , Priante Antonio, Paliotto Francesco, Pozza Antonio, Piran Antonio, Rezzadore Angelo, Ramazzotto Angelo, Rossetto Catterina, Rigon Andrea, Rigon Giacomo, Salomon Angelo, Salomon Antonio, Sbetego Giobatta, Svizzero Antonio, Spagnolo Angelo, Scavazza Giovanni, Scarmelotto Angelo, Santinello Bortolo, Scarato Giuseppe, Tognetti Giovanni, Toffanin Tommaso, Toniollo Elena vedova, Trevisan Antonio, Tremendo Giuseppe, Trevisan Pietro vedovo, Trevisan Sante, Trevisan Teresa vedova, Volpe Gaetano, Veronese Giacinto, Volpe Giobatta, Vezzù Antonio, Zorzi Domenico, Zanolli Antonio, Zanin Antonio, Zaia Pietro. e Scalzotto Cirillo con 11; Cichellero Stefano, Cingano Marco, De Marchi Sabina, Marangon Domenico, Pravato Angelo e Battaglia Domenico con 10; Brigo Agostino, Carlotto Antonio, Cusin Luigi, De Marchi Angelo, Ferrari Giovanni, Furlan Giuseppe, Girardi Telesforo e Guarato Domenico con 9 membri. Stato d’anime del 1899 Facciamo un salto di oltre 50 anni e andiamo a vedere la situazione anagrafica della parrocchia alla fine dell’Ottocento. In occasione della visita pastorale del vescovo Antonio Feruglio, il parroco don Agostino Ancetti elaborò il seguente Stato d’anime 12 che comprendeva 137 famiglie per un totale di 828 persone, di cui 614 di comunione. Le famiglie più numerose risultavano essere quelle di: Giacometti Gaetano con ben 20 componenti, poi Bruschetto Giovanni e Scavazza Bortolo con 15, Pagliarusco Giuseppe con 13; Conti Barbarano Giulio, Ferrari Luigi fu Luigi, Ghirardello Luigi, Guarato Giuseppe, Mazzucco Pietro fu Bortolo con 12; De Marchi Antonio, Ferrari Giovanni fu Bortolo, Pasquale Carlo Ancetti d. Agostino, Albarello (manca il nome), Alvezzola Attilio, Ba Sante, Bellin Antonio, Bellucco Antonio, Dongiovanni Giovanni, Bellin Giuseppe, Bracesco Ignazio, Brigo Agostino, Brugnolo Antonio, Bressan Girolamo, Bressan Luigi, Bruschetto Giovanni, Bulla Angelo, Botegal Domenico, Carlotto Antonio, Cengiarotti Cesare, Cichellero Prisco, Cichellero Giovanni, Cichellero Stefano, Cingano Marco, Conti Barbaran Giulio, Cracco Carlo fu Luigi, Cracco Carlo fu Francesco, Cocco Federico, Crivellaro Pietro, Crivellaro Luigi, Cusin Luigi, Danieli Luigi fu Michelangelo, Danieli Luigi fu Bernardino, Danieli Pietro, De Mani Antonio, De Mani Pietro, De Marchi Angelo, De Marchi Antonio, De Marchi Giovanni, De Marchi Sabino, Faccio Paolino, Faccio Angelo, Faccio Luigi, Faccio Paolo, Faedo Bortolo, Ferrari Giovanni, Ferrari Luigi fu Luigi, Ferrari Luigi fu Giovanni, Ferrari Giovanni fu.., Furlan Giuseppe, Fortolan Teodosio, Forasi Germano, Falda Probo, Gaino Luigi, Gaino Giovanni, Garbuglio Francesco, Ghirardello Eugenio, Ghirardello Luigi, Giacometti Gaetano, Giacomuzzo Carolina, Giacomuzzo Pellegrino, Gianesini Bortolo, Girardi Giacinto, Girardi Telesforo, Groppo Giobattista, Guarato Giuseppe, Guarato Eugenio, Guarato Pietro, Guarato Fiorindo, Guarato Giovanni, Guarato Domenico, Guarato Leonzio, Gaspari Antonio, Ghirardello Maria, Giarolo Francesco, Girullo Leonzio, Gozzo Antonio, Manzin Angelo, Maran Leonzio, Marangon Domenico, Marangon Pietro, Marcolungo Fedele, Marodin Francesco, Mazzaron Giuseppe, Mazzaron Angelo, Mazzucco Giovanni, Mazzucco Pietro fu Bortolo, Mazzucco Pietro fu Giovanni, Mazzucco Giuseppe, Miglioranza Edoardo, Miglioranza Giulio, Mizzon Pietro, Montorio Angelo, Montorio Giovanni, Montecchio Antonio, Montecchio Francesco, Montecchio Luigi, Merlugo Antonio, Nanti Orsola, Pasquale Carlo, Pasquale Antonio, Pellizzari Ferdinando, Pravato Angelo, Pravato Eustachio, Priante Antonio, Priante Domenico, Priante Luigi, Pagliarusco Giuseppe, Portinari Giacinto, Ranzolin Antonio, Rinaldini Gio. Battista, Rancan Angelo, Salomon Luigi, Scalzotto Cirillo, Scalzotto Gervasio, Scavazza Agostino, Scavazza Bortolo, Segala Serafino, Spagnolo Giorgio, Signorata Natale, Salomon Maria, Maggiorato Federico, Tosetto Giuseppe, Toniolo Pietro, Toffanin Giuseppe, Toffanin Natalina, Trevisan Luigi, Trevisan Giuseppe, Tubaldo Antonio, Vanini Valentino, Visentin Antonio, Visentin Pietro, Valdesolo Anna, Zen Angelo, Zen Antonio, Battaglia Domenico, Pieropan Valentino, Ognibene Ogniben, Manzin Luigi. 12 Arch. Parr. Toara, Stato d’anime anno 1899 202 203 CAPITOLO NONO LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA Stato d’anime della parrocchia nell’anno 1938, distribuito per contrade Nell’anno 1938, pochi mesi prima di morire, don Pietro Vigolo predisponeva lo Stato d’anime elencando tutte le famiglie (ben 226), i numeri civici e le contrade di residenza. 13 Toniolo Tullio, Toniolo Valentino,Varotto Angelo,Veronese Angelo,Visentin Teresa vedova De Mani, Zorzan Beniamino, Zorzan Giuseppe, Zorzetto Giustina vedova Miglioranza. Quargente: Albanese Ernesto, Aldegheri Arcangelo, Aldegheri Federico, Aldegheri Vittorio, Bellin Baldassare, Bellin Giuseppe, Bellin Silvio fu Angelo, Bellin Silvio fu Carlo, Bisson Giuseppe, Bonamigo Luigia vedova Cichellero, Brognoligo Elisa vedova Guarato, Caon Caterino, Capovilla Rachele vedova Zorzetto, Cichellero Giuseppe, Dalla Libera Lucia, Danieli Agostino, Danieli Luigi, Ferrari Antonio, Ferrari Giuseppe, Ferrari Maria vedova Danieli, Fontana Martino, Fortunato Eugenia vedova Ghirardello, Ghirardello Anna vedova Spaliviero, Ghirardello Maria, Gianesini Bortolo, Gianesini Domenico, Guarato Erminio, Guarato Felice, Guarato Giorgio, Guarato Antonio, Guarato Luigi, Guglielmi Bortolo, Lavezzo Augusto, Lavezzo Pasquale, Lincetto Guerrino, Manzin Angelo, Manzin Vittorio, Marangon Matteo, Marcante Amalia vedova Faccio, Mazzucco Giovanni, Montecchio Antonio, Pieropan Augusto, Pozza Domenico, Pozza Maria vedova Mazzucco, Pozza Rodolfo, Zambonin Pietro, Zanconi Antonio, Zanconi Lorenzo, Zanconi Pietro, Zen Antonio. Alture: Mazzucco Girolamo, Mazzucco Pietro, Ranzolin Gaetano, Ranzolin Antonio, Sartori Vetusto. Crocifisso: Bellin Umberto, Melato Sante, Montesello Ortensio. Ponte Alto: Dal Toso Bernardo, Ferrian Antonio, Girardi Angelo, Pasquale Filippo, Pasquale Giovanni, Silvestri Angelo. Fogomorto: Venturini Attilio, Venturini Benvenuto, Venturini Luigi, Venturini Valentino, Zucchi Senofonte. S. Ubaldo: Cremonese Silvestro, Peruffo Tullio, Ramaro Antonio. Ca’ Vajenta: Cichellero Antonio, Orsato Ottaviano. Frascà: Cappa Giobattista, Cappa Giuseppe, Cappa Silvio, Cichellero Michele Montesello: Carezzoli Emilio. Longhe: Bonato Angelo, Pieropan Valentino, Zen Anna vedova Trevisan. Riveselle: Bolcato Pietro, Bruschetta Angela, De Marchi Orsola, Ferrari Angelo, Ferraro Giuseppe. Toara: Alvezzola Attilio, Alvezzola Cesare, Alvezzola Girolamo, Battaglia Adele, Battaglia Marcello, Battaglia Tullio, Bolcato Olindo, Cichellero Antonio fu Stefano, Cichellero Girolamo, Cichellero Matteo, Cichellero Michele, Cichellero Prisco, Cichellero Stefano, De Marchi Agostino fu Antonio, De Marchi Agostino fu Girolamo, De Marchi Angelo fu Felice, De Marchi Antonio, De Marchi Felice, Falda Rosa vedova Cacciavillani, Ferrari Tiziano, Ferrari Valentino, Fracasso Giovanni, Furlan Antonio, Gaino Luigi, Gaino Pietro Angelo, Gassa Vittorio, Giacometti Monica vedova Pagliarusco, Giacomuzzo Gino, Giacomuzzo Giuseppina, Manzin Silvio, Marcolongo Achille, Marcolongo Davide, Marcolongo Ernesto, Mazzucco Antonia vedova Giacometti, Mazzucco Beatrice, Mazzucco Matteo, Modenese Vittorio, Montecchio Felice, Moro Maria vedova Circello, Negri Caterina vedova Modenese, Negrin Giuseppe, Pagliarusco Augusto, Pagliarusco Giuseppe, Priante Agostino, Priante Alessandro, Priante Luigi, Romano Mario, Scavazza Giovanni, Spagnolo Giorgio, Tombolan Angelo, Toniolo Matilde vedova Giacometti, Trevisan Antonio, Trevisan Teresa vedova De Marchi,Valisa Luigia vedova Ferrari. Belvedere: Baston Antonio, Baston Guerrino, Bellin Giuseppina vedova Cortivo, Bellini Cesare, Bicciato Alessandro, Bressan Guerrino, Bressan Pasquale, Bressan Pietro, Campedel Remo, Cengiarotti Giobatta, Coco Federico, Cortivo Anselmo, Crivellaro Adelchi, Crivellaro Virginio, Dal Cero Luigi, Danieli Felice, Danieli Giovanbattista, De Mani Antonio, De Mani Augusto, De Mani Massimiliano, De Mani Ottaviano, De Mani Pietro, De Mani Tullio, De Mani Romano, De Mani Virginio, De Marchi Angelo, De Marchi Anna, De Marchi Giuseppe, De Marchi Marsilio, De Marchi Sabino, Forasi Germano, Fracasso Ettore, Groppo Giulio, Groppo Luigi, Manzin Alessandro, Manzin Sante, Marangoni Guerrino, Marangoni Luigi, Marcante Giuseppe, Marcante Giacomo, Marcante Giovanni, Marcolongo Angela vedova De Marchi, Mazzaron Andrea, Mazzaron Giovanni, Mazzaron Massimiliano, Mazzaron Silvio, Menegon Lorenzo, Merlugo Maria vedova Valdesolo, Mietto Agostino, Miglioranza Giulio, Miglioranza Pasquale, Miglioranza Virginia vedova Groppo, Modenese Lodovico, Montecchio Angela vedova Toniolo, Montecchio Teresa, Montesin Gelinda vedova Scalco, Omenetto Emilio, Pegoraro Eugenio, Pegoraro Giordano, Priante Amalia vedova De Grandi, Razzini Antonia vedova Merlugo, Soldà Caterina, Soldà Elena vedova Muraro, Soldà Giuseppe, Tognon Celestina vedova Varotto, Toniolo Sante, 13 Arch. Parr. Toara, Stato d’anime anno 1938 204 205 LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA Salgan: Gassa Luigi, Sinigaglia Antonio. Sanpieri: Trevisan Agostino, Trevisan Giuseppe, Trevisan Silvio. Olivari: Bolcato Domenico, Bolcato Giuseppe. Pila: Bolcato Giulio, Falda Probo. Albaria: Schiarante Alessandro, Schiarante Antonio, Schiavon Gastone. 4. COME ERAVAMO: LA VITA CHE NASCE Donne di Toara negli anni ‘40. Anno 1963: la maestra Emma Cichellero fotografata con il parroco Don Attilio, il sindaco Mario Munari e alcuni parrocchiani di Toara. “La nascita di un bambino – scrive Serena Vivian, commentando gli interessanti lavori prodotti dall’università adulti-anziani di Marostica di questo anno14 - era avvolta da un’aura di mistero e la futura madre era spesso costretta a continuare i consueti lavori nei campi fino al momento delle doglie. Malgrado la grande povertà, le condizioni sanitarie precarie e l’alta mortalità, l’arrivo di un nuovo bimbo era vissuto un tempo come una benedizione, anche quando in famiglia c’erano già numerosi figli da sfamare (da sei a dieci era la norma). Per tutta la gravidanza, la donna doveva attenersi a strani comportamenti dettati da tabù e da vecchie credenze pagane: non poteva ad esempio passare sotto una scala o un filo teso perché portava male, oppure non doveva indossare collane, altrimenti il bambino alla nascita poteva soffocare. La futura madre non poteva uscire di casa se pioveva e doveva sempre portare un fazzoletto in testa, non doveva mai pesarsi o guardare immagini brutte o paurose e qualsiasi suo desiderio in fatto di cibi o di frutta fuori stagione doveva essere accontentato per non far comparire delle “voje”al neonato. Con metodi altrettanto poco empirici si tentava di indovinare il sesso del nascituro. Così, ad esempio, se la pancia della mamma era “a punta” si trattava di un maschio, se arrotondata di una femmina, se la madre aveva cambiato i lineamenti del viso in peggio si pronosticava un maschio, se in meglio una femmina, da qui il detto “mamma bea na putea”. Anche la nascita, che un tempo avveniva per lo più in casa, era immersa nel mistero: si allontanavano i bambini raccontando che sarebbe arrivata la cicogna con un fratellino, ma anche i maschi e soprattutto i mariti venivano tenuti a debita distanza. La gestante era assistita dall’ostetrica e da tante altre donne e solo quando il parto presentava delle difficoltà si chiamava il medico condotto. Verso il 1960 il taglio cesareo era considerato ancora come un intervento di alta chirurgia e veniva eseguito in pochissimi ospedali, mentre vi erano ancora donne che morivano di parto. Carro allegorico dei coscritti della classe 1922 di Belvedere. 14 S. Vivian, Nascere e morire ieri e oggi, da “Il Giornale di Vicenza”, 9 gennaio 2007, pag. 29 206 207 CAPITOLO NONO LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA A quel punto non c’erano nemmeno le incubatrici e per mantenere in vita i bambini nati prematuri spesso li si metteva dentro una scatola da scarpe con del cotone. Al padre spettava invece il compito di scegliere il nome del figlio, scelta per modo di dire, dato che al primogenito veniva dato il nome del nonno o di qualche santo specialmente Antonio, Giovanni, Giuseppe e Maria. Anche per questa ragione nell’anagrafe parrocchiale i nomi e cognomi erano poco diversificati e per far fronte ai frequenti casi di omonimia si aggiungevano dei soprannomi. Il battesimo doveva avvenire obbligatoriamente entro otto giorni dalla nascita e la madre non partecipava alla cerimonia in chiesa perché era considerata impura. Per quaranta giorni dal parto, la donna non poteva dormire col marito nè prendere freddo, non poteva uscire di casa nè di sera nè di mattina presto per non prendere “l’acquasso”ossia la rugiada, che era ritenuta pericolosa. Per quanto riguarda i primi mesi di vita, i bambini venivano fasciati con un panno di tessuto rigido per far crescere dritte le gambe fino a quasi un anno e dovevano quindi rimanere fermi a letto per molto tempo, finché la madre non finiva i suoi lavori nei campi”. va immortalato con le foto, che sarebbero state inserite in un bellissimo e costoso album ricordo. Il centro dell’attenzione era sempre la sposa, vestita di lungo dagli anni Sessanta in poi, con un abito bianco dai tenui colori. All’uscita si lanciava il riso in segno di abbondanza e le campane suonavano a festa. Di quel giorno si ricorda inoltre il pranzo, preparato in casa con animali ingrassati e un cuoco che arrivava con tutto il necessario. …Si arrivava infine ad un po’ di pace per gli sposi dopo una giornata convulsa. La donna spesso non sapeva nulla del rapporto fisico che l’aspettava, in quanto le era stato vietato anche di assistere al parto degli animali. Qualche piccola informazione incompleta l’aveva ricevuta dalla madre il giorno prima. Avere una casa propria, oggi esigenza indispensabile per sposarsi, negli anni Cinquanta per molti era un sogno. Un tempo bastava anche la propria camera, mentre tutto il resto era in comune. Composta da rudi mobili, oltre dai letti, dal lavandino con il catino in ceramica o in ferro smaltato, c’erano l’“armaron” dei vestiti e il “comò” della donna. Non mancava mai l’oggetto più prezioso, la dote, trasportata in un baule in modo solenne su un carro trainato da un cavallo o da altri animali prima del matrimonio. Non mancava però un tocco squisitamente femminile quale le tendine ricamate sulle finestre. I fiori coltivati sul davanzale e segni religiosi di un piccolo acquasantiere e di un quadro con una oleografia della Madonna. Qualche coppia più fortunata poteva avere anche una cucina propria, con il focolare e il paiolo per la polenta sistemato su un treppiede; una piccola credenza con gli alimenti, della quale la donna teneva le chiavi nelle tasche del grembiule; una vetrinetta con gli oggetti più belli e le cartoline infilate lungo la cornice dei vetri; un acquaio di marmo con i secchi e la “cazza” per bere, il tavolo, le sedie impagliate e gli oggetti di cucina (tagliapane, macinino per il caffè, pesta sale, ecc.). il gabinetto era il più delle volte all’aperto e le possibilità per lavarsi erano gli stessi oggetti che servivano per il bucato. Persino l’ombrello era un lusso da usare alla domenica. Per i giorni feriali bastava un sacco di juta sulla testa. Il più delle volte la cucina era in comune e, quando numerosi erano i membri della famiglia, le donne mangiavano in piedi o sedute sul focolare. Inserirsi in questa nuova comunità era per la sposa iniziare una nuova vita, che richiedeva grande sacrificio e disponibilità totale, servizio non solo al marito ma a tutti i membri della famiglia. Soprattutto era indispensabile l’ubbidienza alla suocera, che voleva essere chiamata mamma, ma che era preoccupata solo di non “perdere il minestro”, cioè il potere. Rimaneva come unico luogo di intimità la camera da letto, che in breve tempo si era arricchita di una “cuna”. Con l’aggiungersi dei figli aumentava in essa l’affollamento e non era raro il caso di bambini piccoli messi a dormire nei cassetti del comò o nel granaio”. Il matrimonio “Le nozze – scrive mons. Giuseppe Dal Ferro15- sono un ricordo indelebile, carico di emozioni anche dopo molti anni, momento di vero protagonismo, anche per i poveri, in una società piatta e uniforme. Ad esprimere il momento magico erano i vestiti, l’affluenza popolare, il pranzo a sazietà. La giornata iniziava con la vestizione della sposa, in bianco solo dagli anni Sessanta in poi. Ad essa erano presenti la mamma, le cugine giovani e le amiche del cuore, le quali regalavano alla sposa qualcosa di vecchio da indossare perché portava fortuna. Le amiche erano onorate di infilarle le calze perché si sarebbero sposate entro l’anno. Il vestito, dapprima cucito in casa e poi dalla sarta , subiva in quel momento gli ultimi aggiustamenti. Era in alcuni casi presente la parrucchiera per i ritocchi finali. Lo sposo non doveva conoscere il vestito della sposa. Seguiva poi il corteo verso la chiesa, a piedi o in carrozza trainata da cavalli o in automobile prestata da amici prima e di lusso noleggiata poi. Lungo il percorso non mancavano gli scherzi: sbarramenti di pali reticolati, posti di blocco, pietre e cose simili. Il tutto era riservato soprattutto al percorso dello sposo. A volte invece si creavano archi di rami e fiori sotto cui gli sposi dovevano passare, magari con la richiesta di pedaggio. La cerimonia in chiesa era stata pensata ed organizzata come un “sogno”che si realizzava: addobbi di fiori, corsia rossa, musica struggente. E tutto veni- 15 G. Dal Ferro, La metamorfosi del matrimonio, da “Il Giornale di Vicenza”, 22 marzo 2007, pag. 31 208 209 CAPITOLO NONO LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA La morte “Per quanto riguarda il momento della morte, - racconta Serena Vivian 16 - è emerso che in passato avveniva quasi sempre in casa, nel proprio letto, assistiti dai famigliari e dal sacerdote. Allora il dolore era mitigato da un forte senso di fatalità e sia la morte che la malattia venivano accettate come volontà divina. Il morto veniva vegliato giorno e notte da tutta la famiglia, assistito anche da rituali semipagani, come l’accortezza di aprire le finestre perché l’anima volasse via, oppure di coprire gli specchi perché non venisse riflessa l’immagine dei presenti. In un’epoca in cui si era purtroppo abituati alle morti infantili e soprattutto all’esperienza di guerre cariche di lutti e sofferenze, nemmeno i bambini venivano allontanati, dovevano anzi imparare fin da subito che la morte è l’ultima naturale tappa della vita. Quando moriva qualcuno, tutta la comunità veniva subito informata: il sagrestano suonava infatti le “campane da morto”e in base ai rintocchi si capiva se era un uomo (due colpi) di una donna (tre) o di un bambino (quattro). Udendo la campana, tutti si facevano il segno della croce e recitavano una preghiera. Anche un tempo venivano esposte le epigrafi, ma queste erano di dimensioni diverse a seconda della zona e dell’importanza del morto, spesso scritte a mano e senza foto. Dopo tre o quattro giorni si celebrava il funerale: a seconda della persona deceduta c’erano le celebrazioni di prima, di seconda e di terza classe. I parenti esternavano il dolore per il caro estinto portando il lutto anche per molto tempo: le donne in particolare si vestivano di nero per un anno e per altri sei mesi il mezzo lutto, ossia con abiti di tinte scure; alcune vedove indossavano addirittura il lutto per tutta la vita. Gli uomini portavano invece una fascia nera sulla manica sinistra o un bottone nero sull’occhiello della giacca. 5. VILLAGA: NATI, MORTI E MATRIMONI A PARTIRE DAL 1679 FINO AL 1900 Anno 1679 1680 1681 1682 1683 1684 1685 Nati 8 12 21 12 12 17 13 Morti 17 13 24 14 13 19 10 Saldo -9 -1 -3 -2 -1 -2 +3 Matrimoni 1686 1687 1688 1689 1690 1691 1692 1693 1694 1695 1696 1697 1698 1699 1700 1701 1702 1703 1704 1705 1706 1707 1708 1709 1710 1711 1712 1713 1714 1715 1716 1717 1718 1719 1720 1721 1722 1723 1724 1725 1726 1727 20 23 24 19 18 19 11 15 15 20 13 14 10 21 14 18 11 15 17 18 10 20 18 24 12 19 27 25 14 11 20 24 12 12 12 14 16 20 10 14 22 9 11 31 32 14 24 25 32 40 15 23 18 20 9 19 12 6 7 5 17 10 10 13 19 13 17 9 14 26 12 10 20 32 17 10 14 5 14 11 19 23 16 5 +9 -8 -8 +5 -6 -6 - 21 - 25 0 -3 -5 -6 +1 +2 +2 + 12 +4 + 10 0 +8 0 +7 -1 +11 -5 + 10 + 13 -1 +2 +1 0 - 12 -5 +2 +2 +9 +2 +9 -9 -9 +6 +4 16 S.Vivian, La morte? Solo l’ultima tappa naturale della vita”, da “Il Giornale di Vicenza, 9 gennaio 2007, pag. 29 210 211 7 5 1 1 6 5 5 8 4 8 3 4 3 5 3 5 3 4 4 4 4 0 4 7 7 0 5 3 2 4 CAPITOLO NONO 1728 1729 1730 1731 1732 1733 1734 1735 1736 1737 1738 1739 1740 1741 1742 1743 1744 1745 1746 1747 1748 1749 1750 1751 1752 1753 1754 1755 1756 1757 1758 1759 1760 1761 1762 1763 1764 1765 1766 1767 1768 1769 18 14 +4 11 19 -8 8 13 -5 15 16 -1 22 17 +5 13 3 + 10 9 14 -5 23 9 + 14 8 5 +3 15 8 +7 10 6 +4 19 18 +1 18 12 +6 9 10 -1 15 17 -2 22 18 +4 15 22 -7 15 13 +2 14 16 -2 23 15 +8 4 2 -4 19 19 0 21 18 +3 18 16 +2 18 manca registrazione morti 15 “ “ 27 “ “ manca la registrazione dei nati e dei morti 16 20 -4 14 18 -4 10 31 - 21 18 19 -1 6 28 - 22 11 18 -7 18 21 -3 17 14 +3 7 16 -9 10 15 -5 15 18 -3 17 13 +4 17 12 +5 12 15 -3 212 LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA 3 2 4 3 7 4 1 3 2 3 3 2 5 5 4 5 4 5 9 3 6 4 4 5 3 2 1 1 2 1 4 4 2 4 4 1 1 3 1 8 2 5 1770 1771 1772 1773 1774 1775 1776 1777 1778 1779 1780 1781 1782 1783 1784 1785 1786 1787 1788 1789 1790 1791 1792 1793 1794 1795 1796 1797 1798 1799 1800 1801 1802 1803 1804 1805 1806 1807 1808 1809 1810 1811 12 12 19 10 19 18 14 22 20 17 22 20 10 18 24 15 24 17 14 17 16 17 18 11 22 15 15 21 10 19 20 16 15 11 18 21 17 22 21 21 19 23 19 10 16 15 15 24 6 19 15 13 12 15 19 21 15 8 27 20 11 18 10 15 16 10 24 27 20 27 6 16 18 21 26 15 22 16 9 12 16 21 22 22 -7 +2 +3 -5 +4 -6 +8 +3 +5 +4 + 10 +5 -9 -3 +9 +7 -3 -3 +3 -1 +6 +2 +2 +1 -2 - 12 -5 -6 +4 +3 +2 -5 - 11 -4 -4 +5 +8 + 10 +2 0 -3 +1 213 4 7 4 4 1 2 4 4 4 4 4 4 1 4 3 5 3 6 2 3 1 5 4 8 2 4 4 4 7 5 6 3 1 6 3 4 3 6 5 5 3 2 CAPITOLO NONO 1812 1813 1814 1815 1816 1817 1818 1819 1820 1821 1822 1823 1824 1825 1826 1827 1828 1829 1830 1831 1832 1833 1834 1835 1836 1837 1838 1839 1840 1841 1842 1843 1844 1845 1846 1847 1848 1849 1850 1851 1852 1853 22 19 23 16 15 20 17 22 27 11 27 12 39 23 19 23 14 20 14 18 15 18 16 13 24 16 25 22 18 27 18 27 26 21 26 23 25 19 2 26 27 22 17 11 23 11 20 28 11 24 23 31 18 21 22 17 14 21 19 29 10 20 28 16 17 19 19 9 22 9 12 17 22 20 27 14 22 23 25 30 31 18 28 19 LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA +5 +8 0 +5 -5 -8 +6 -2 +4 - 20 +9 -9 + 17 +6 +5 +2 -5 -9 +4 -2 - 13 +2 -1 -6 +5 +7 +3 + 13 +6 + 10 -4 +7 -1 +7 +4 0 0 - 11 - 10 +8 -1 +3 214 1 3 2 4 2 7 6 7 3 5 6 0 2 4 1 3 2 3 1 4 2 6 3 7 6 7 4 5 4 3 4 2 2 5 5 3 2 6 4 12 5 7 1854 1855 1856 1857 1858 1859 1860 1861 1862 1863 1864 1865 1866 1867 1868 1869 1870 1871 1872 1873 1874 1875 1876 1877 1878 1879 1880 1881 1882 1883 1884 1885 1886 1887 1888 1889 1890 1891 1892 1893 1894 1895 16 21 14 23 19 24 19 20 20 23 14 20 13 14 18 20 19 20 22 19 24 16 18 20 20 26 16 20 27 26 21 29 20 32 25 33 20 28 22 23 26 25 16 23 29 27 12 6 18 13 25 24 15 28 14 19 19 13 10 11 9 14 12 14 14 11 9 8 12 16 16 8 7 18 11 8 25 10 16 12 23 12 9 11 0 -2 - 15 -4 +7 + 18 +1 +7 -5 -1 -1 -8 -1 -5 -1 +7 +9 +9 + 13 +5 + 12 +2 +4 +9 + 11 +8 +4 +4 + 11 + 18 + 14 + 11 +9 + 24 0 + 23 +4 + 16 -1 + 11 + 17 + 14 215 3 0 0 6 5 5 2 5 4 1 4 8 1 7 3 4 2 7 8 4 4 4 1 3 6 2 1 3 3 5 6 4 1 5 4 1 5 3 7 7 4 8 CAPITOLO NONO 1896 1897 1898 1899 1900 24 25 21 24 28 16 11 17 8 18 +8 + 14 +4 + 16 + 10 5 2 1 7 9 Le nascite a Villaga La prima nascita in assoluto riportata nei registri parrocchiali di Villaga (nel Liber baptezatorum dell’anno 1564 conservato in Curia vescovile nella busta 168/1334) è quella di una bambina: il parroco don Bernardin Restello annota che “il 28 setembre fu batizata Diamate, filiola di Scipion Godi, compare il sig. Desideri Losco, comare la sig. Ceschina, nugier del sig. Andrea”. Purtroppo nascere nei secoli scorsi era un’impresa: altissima infatti era la mortalità infantile (soprattutto nel primo anno di vita) dovuta alle condizioni di miseria e di povertà, alle pessime condizioni igieniche, alla carente e cattiva alimentazione, all’insalubrità delle abitazioni, molto spesso veri e propri tuguri. “La povertà di alimentazione e la gestazione incontrollata – spiega Paolo Pellegrino - nel suo saggio contenuto nel volume di storia veneta: Anagrafi parrocchiali e popolazione nel Veneto tra XVII e XIX secolo,a cura di Filiberto Agostini, edito dall’Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa di Vicenza nell’anno 1989, pagg. 170-171 – debilitavano in partenza il nascituro che, se riusciva a venire alla luce vivo, aveva moltissime probabilità di non superare la prima settimana di vita. Anche le condizioni in cui avveniva il parto erano precarie, se spessissimo avveniva la morte per spasmo di origine traumatica. Né si possono escludere le infezioni come quella tetanica, provocata da insufficiente igiene della levatrice assistente il parto. Sia i medici che i parroci, trascrivendo le cause di morte di questi piccoli esseri, davano diagnosi sbrigative, come appunto spasmo o morte naturale. Infatti era proprio una morte secondo natura – osserva Pellegrino – cioè normale in una società abituata ad una elevata natalità infantile. Se il bambino riusciva a superare i primi 30-40 giorni di vita, altri pericoli ostacolavano la sua esistenza. In primo luogo le affezioni intestinali, prodotte spessissimo da vermi, decimavano per soffocamento un’altra parte di nati. Dopo lo svezzamento, evidentemente abbandonati e incontrollati, nutriti con cibi e bevande infette, indeboliti dalla sottoalimentazione, i fanciulli erano facilmente esposti ad ogni tipo di pericolo. Durante l’adolescenza erano ancora soggetti a infezioni intestinali, a malattie esantematiche, oppure capitava loro, durante il gioco, di annegare nei fossati o nei canali. Potevano anche acquisire malattie croniche che portavano con sè molti anni, fino a quando non subentrava una complicazione o una ulteriore malattia che conduceva prematuramente alla morte”. 216 Anno 1956: matrimonio Dani-Candiago a Villaga. Anni ‘50: matrimonio Faccio Paolo e Faccio Norvelia a Toara. I matrimoni Il primo matrimonio documentato nei registri canonici risale al 7 ottobre 1567: “Giandominico del sig. Giulio Godi fu sposato a Lucia figliola del mastro Gasparo la Barbera per mano di me d. Bernardin Restello, presenti Gironimo Magoni e Mattio Padoan”. 217 CAPITOLO NONO LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA Le carestie e le epidemie cause di alta mortalità Anni ‘50: matrimonio a Toara. Un altro parroco, don Cornelio, riporta che “adì 28 zugno 1589 fu contratato matrimonio tra Iseppo figliolo di Troilo Zuliani da Villaga e Benvegnù (Benvenuta), figliola di Cattarina Cumina da Villaga, fatte le presolite denontie in giorni festivi e non essendo comparso alcuno impedimento, fu celebrato il matrimonio da me don Cornelio, curato di S. Michele, alla presenza delli infrascritti testimoni Michiel Bassano e Silvestro Lionato”(Libro dei matromoni 1567-1598 in Archivio della Curia, b. 168/1334). Dall’osservazione dei matrimoni celebrati nei vari anni, si ricava che i mesi in cui si celebravano più frequentemente le nozze erano febbraio e novembre. Ciò era dovuto ad esigenze sociali, economiche e religiose. “Sulla scelta della data del matrimonio influivano gli usi e le tradizioni – osserva Chiara Cossetti nel testo “Anagrafi parrocchiali e popolazione del Veneto tra XVII e XIX secolo”, a pag. 106 – alcuni giorni erano ritenuti infausti e c’era il divieto da parte della Chiesa di celebrare solennemente il matrimonio durante l’Avvento e la Quaresima. Inoltre, i contadini preferivano evitare le nozze nei mesi di più intensa attività agricola: giugno e luglio per la mietitura e la trebbiatura e ottobre per la vendemmia e la raccolta del granoturco. Anche l’età media di matrimonio era condizionata da fattori sociali ed economici”. Analizzando i dati riportati nel prospetto, possiamo individuare i periodi e gli anni in cui, a causa delle carestie e delle malattie, si riscontrava un’alta mortalità tra la popolazione. Occorre premettere innanzitutto che la disponibilità alimentare è il fattore determinante dello sviluppo della popolazione. All’interno di un’economia di sussistenza, come quella della società rurale di un tempo, il cibo era il fattore limitante della crescita demografica di un paese. Bastava infatti il fallimento di un’annata agraria perché si presentasse lo spettro della fame e della carestia. Spesso poi le carestie venivano accompagnate dalle epidemie che decimavano una popolazione già indebolita dalla fame. A ridurre il numero della popolazione contribuivano anche le guerre che portavano carestia, fame, epidemie.17 I vuoti che si aprivano nella popolazione, dopo guerre ed epidemie, portavano ad una maggiore disponibilità di terra e ad una maggiore offerta di lavoro. Iniziava allora una fase positiva in cui miglioravano le condizioni economiche, c’erano più soldi e sposarsi diventava più facile, e poi arrivavano i figli. Tuttavia, possiamo affermare che il Seicento e il Settecento furono secoli di ristagno demografico, in cui si alternavano gli anni con saldo negativo, agli anni con saldo positivo della popolazione, ma sostanzialmente non si assisteva a un cambiamento delle condizioni socio-economiche della nostra gente. E veniamo ai periodi più difficili vissuti dalle popolazioni, ad iniziare dagli anni sul finire del Seicento, quando dalla primavera del 1692 cominciò una serie di stagioni straordinariamente cattive, con primavere ed estati molto fredde che rovinarono i raccolti di cereali e ritardarono le vendemmie in tutta Europa. Ciò provocò in tutto il Veneto una gravissima carestia che fece aumentare di molto il prezzo dei cereali. 18 Il 1692 e il 1693 sono gli anni che registrano a Villaga, ma anche in tanti altri Comuni, il più alto numero di decessi della seconda metà del Seicento (32 nel 1692, 40 nel 1693, su una popolazione di circa 300 unità). Di questi, più della metà è costituito da bambini in tenerissima età. Purtroppo nei registri parrocchiali di quell’epoca non sono riportati i motivi delle morti, ma probabilmente le ragioni sono riconducibili a un’epidemia di febbre petecchiale (tifo) o di vaiolo oppure alla mancanza di latte delle madri a causa della denutrizione o della cattiva alimentazione. 19 Il 1699 è un anno tristissimo per alcune famiglie di Villaga che avevano bambini piccoli: sui 19 decessi registrati, ben sedici riguardano bimbi sotto i cinque anni: 20 17 B. Lorenzo, La popolazione di Tezze sul Brenta “, in AA.VV.“Una terra, un fiume, una comunità”, Parrocchia di Tezze sul Brenta, 1990, pag. 61 18 B. Lorenzo, La popolazione…, pag. 63 19 Ibidem, pag. 64 20 Arch. Parr. Villaga, Liber mortuorum, 1679-1759 218 219 CAPITOLO NONO LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA - Zorzetto Pasqua e Menega, di giorni 8, figlie di Mattio, muoiono il 10 gennaio 1699; - Angiola, figlia di Franco Di Grandi, di giorni 2, muore il 2 marzo; - Zuanne, figlio di Ghirardo Di Grandi, di un mese, muore il 20 aprile; - Angiola, figlia di Zuanne Galvan, di anni 5, muore il 13 maggio dopo lunga infermità; - Giambatta, figlio di Francesco Veronese, nato questa mattina alle 5, muore dopo un quarto d’ora (25 maggio); - Cattarina, figlia di Pietro Polo, di mesi 18, dopo 20 giorni di infermità, volò al cielo (5 giugno); - Giobatta, figlio di Zuanne Zanè, di giorni 7 (28 luglio); - Ottavia, figlia di Zuanne Trivisan, 5 anni (9 agosto); - Cattarina, figliola di Domenico Volpato, di anni 3 (23 agosto); - Francesco, figlio di Batta Vinante, di anni 3 e mezzo (11 settembre); - Antonia, figlia di Bortolo Artuso, di anni due e mezzo (16 settembre); - Lucia, figlia di Francesco Piovan, di 11 mesi (19 ottobre); - Domenico, figlio di Francesco Muraro, di un anno (28 ottobre); - Girolamo, figlio di Francesco Di Grandi, di giorni 2 (20 ottobre); - Giovanni, figlio di Francesco Di Grandi, di giorni 3 (21 ottobre). Le piogge continuarono a cadere sino alla tarda primavera dell’anno successivo, provocando raccolti disastrosi e un deciso aumento dei prezzi del frumento e del mais. Nel 1774 sono registrati a Villaga dal parroco don Giacomo Marconi cinque casi di vaiolo che colpiscono bambini molto piccoli. Intensa mortalità si registra poi a Villaga nel 1775 (24 morti), nel 1786 (27 morti, di cui parecchie dovute al vaiolo), nel triennio 1795-97 (74 decessi). Il vaiolo imperversa anche negli altri centri, soprattutto in Barbarano, in cui, nell’autunno del 1796, compie una vera e propria strage (55 morti da settembre a dicembre).23 I primi anni dell’800 vedono un movimento naturale quasi costantemente caratterizzato da saldi positivi della popolazione. Tuttavia, la breve ripresa demografica viene arrestata negli anni 1816-17 da una grave crisi di sussistenza. Le annotazioni del Tornieri, il cronista di quel periodo, ci segnalano una situazione davvero allarmante: la miseria e la mancanza di cibo erano tali che si verificarono parecchi casi di morti per fame.24 Inoltre si diffuse una grave epidemia di tifo petecchiale che colpì anche a Villaga, dove i morti nel 1817 furono 28. Il numero dei decessi a Villaga continuò ad essere elevato fino al 1821, quando perirono 31 persone, parecchie delle quali adulte e anziane. Il Povolo spiega che erano soprattutto la denutrizione e la cattiva alimentazione, che periodicamente comparivano in seguito soprattutto alla scarsità di mais, ad innescare la terribile spirale della morte. 25 Ed il Lampertico, altro studioso della società vicentina dell’Ottocento, scriveva, a ragione, che era la miseria a generare le malattie. 26 I primi due decenni del Settecento vedono il ristabilirsi di condizioni abbastanza favorevoli che portano ad un leggero aumento della popolazione, anche se l’anno 1717 viene ricordato a Villaga per la morte di ben 32 persone. Gli anni 1724 –25 registrano un forte aumento dei decessi dovuti ancora una volta al vaiolo e al tifo. Un altro periodo molto duro per la popolazione è quello riferito agli anni dal 1758 al 1764, nei quali si verifica in tutto il Veneto un’alta mortalità. Le malattie che procurarono un gran numero di decessi anche a Villaga furono polmoniti, pleutiri infettive e acute e pleuriti reumatiche, che i parroci annotavano sotto il nome di male infiammatorio. Il clima – scrive lo studioso Povolo 21 – fu uno dei fattori responsabili di un diffuso stato morboso che portò nel Veneto ad una recrudescenza della morte. Il 1758, dopo un mese di intenso freddo, portò con sè piogge dirotte e straripamenti di fiumi. Il Toaldo…osservava come il 1758 ebbe ben 145 giorni di pioggia. In tutta la terraferma dovette diffondersi un diffuso stato influenzale, che nell’autunno predisponeva le persone ad essere attaccate da forme virulente di pleuriti. A Villaga le morti furono 31. Nel 1760 si assiste ad un altro lungo periodo di piogge che provoca ancora un elevato numero di decessi (a Villaga 28). Con gli anni ’70 del secolo il clima manifestò un deciso peggioramento. Il 1770 fu un anno piovosissimo al punto che il cronista Tornieri scriveva che “la semina, i sorghi, l’uve, tutta va male e si vede manifesto un castigo di Dio”. 22 21 C. Povolo, Tra epidemie e crisi di sussistenza, in Costozza, Cassa Rurale e Artigiana di Costozza e Tramonte Praglia, anno 1983, pag. 589 22 C. Povolo, op. cit. pag. 597 220 Drammi familiari Dal registro “Liber mortuorum” 1679/1759 conservato nell’archivio parrocchiale di Villaga, veniamo a conoscere varie tragedie familiari. In casa Giorio, nel giro di tre anni, dal 1679 al 1682 muoiono i figli Domenico, di 22 giorni, Lucia, di anni 14 e il padre, Angelo, di anni 44. Nel 1691, a distanza di qualche giorno, muoiono Battista Paganotto, di anni due, e la madre, di anni 34. Nello stesso anno, nell’arco di tre mesi, muoiono i coniugi Paolo e Lorenza Fattore, e la figlia Maria Maddalena, di anni 1, senza l’indicazione dei motivi. Il 23 giugno 1692 muore Giacomo Polo, di anni 3; il 5 giugno era deceduta la madre Pasqua e l’anno precedente, il 28 settembre, era mancato il figlio Domenico, di anni 5. Paolo Fattore, di anni 36, e il fratello Domenico, di anni 24, muoiono di vaio- 23 Ibidem, pag. 603 24 A. Tornieri, Memorie, manoscritto, alla data 19 giugno 1817 25 C. Povolo, op. cit. pag. 607 26 D. Lampertico, Studi e notizie sull’economia agraria dei distretti di Vicenza, Lonigo e Barbarano, pag. 333 221 CAPITOLO NONO LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA lo rispettivamente il 4 e il 5 marzo 1693. Bortolo Giacomuzzo muore nel 1693 alla bella età di 80 anni: è la persona che ha vissuto più a lungo negli ultimi vent’anni del Seicento a Villaga. Il 7 e l’8 marzo 1696 cessano di vivere le due gemelle Maria e Angela, di pochi giorni, figlie di Antonio Gerino; il 14 febbraio era morto il fratellino Antonio, di anni 2. Il 13 marzo 1694 muore di febbre maligna Domenica Guarato; otto giorno dopo muore anche il marito Domenico, anch’egli colpito dalla febbre. Il 17 settembre 1697, all’età di 56 anni, muore il parroco don Carlo Dionisi. Nel 1699 scompaiono i seguenti bambini: Pasqua e Menega Zorzetto, di giorni otto, figlie di Matteo, muoiono il 10 gennaio; Angiola, figlia di Franco Di Grandi, di giorni due, muore il 2 marzo; Zuanne, figlio di Ghirardo Di Grandi, di un mese, muore il 20 aprile; Angiola, figlia di Zuanne Galvan, di anni 5, muore il 13 maggio dopo lunga infermità. Giambatta, figlio di Francesco Veronese, nato questa mattina, 25 maggio, alle 5, muore dopo un quarto d’ora; il 6 giugno “Caterina, figlia di Pietro Polo, di mesi 18, dopo 20 giorni di infermità volò al cielo e fu sepolta in questo cemeterio con l’assistenza di me, don Antonio Camin”; Giobatta, figlio di Zuanne Zamè, di giorni 7, muore il 28 luglio; Ottavia, figlia di Zuanne Trevisan, di 5 anni, muore il 9 agosto; Caterina, figliola di Domenico Volpato, di anni 3, muore il 23 agosto; Francesco, figlio di Giobatta Vinante, di anni 3 e mezzo, muore l’11 settembre; Antonia, figlia di Bortolo Artuso, di anni 2 e mezzo, muore il 16 settembre; Lucia, figlia di Francesco Piovan, di mesi 11 muore il 19 ottobre; Domenico, figlio di Francesco Muraro, di un anno, muore il 18 ottobre; Girolamo, figlio di Francesco Di Grandi, di giorni 2, è stato sepolto il 20 ottobre; Giovanni, figlio di Francesco Di Grandi, all’età di giorni 3, muore il 21 ottobre. Il 10 gennaio 1701, all’eta di 80 anni, scompare Zuanne Mambrin, degano del Comune di Villaga per molti anni, che viene sepolto “in questa chiesa nell’ara dei confratelli del Santissimo Sacramento”, annota don Antonio Camin. Bortola, moglie di Francesco Di Grandi, muore di parto il 2 marzo 1701 dando alla luce una bambina che viene chiamata Bortola, in memoria della madre; purtroppo la neonata poi muore alcuni mesi dopo, il 13 ottobre. Nel 1708, tra il 9 marzo e il 5 maggio, muoiono i figli Zuanne e Valentina Frizzarin e la madre Lucia. Il 2 maggio 1711 muore il parroco Antonio Maria Camin che viene sepolto in chiesa, “davanti all’altare di S. Antonio”. Nel 1713 avvengono 26 morti, di cui 11 prima del compimento di un anno di vita e cinque sotto i dieci anni. Nel 1716, al nobile Alfonso Godi muore la figlia Camilla, di giorni 8, che “viene sepolta in chiesa sulla parte sinistra della porta maggiore, vicino al muro”. Nel 1722, muore alla incredibile età, per quegli anni, di 93 anni Mattio De Signori. Vent’anni dopo, nel 1742, nel breve periodo di due mesi, muoiono tre figli della famiglia Buson: Domenica (8 anni), Pasquale (10 anni) e Antonia di 15 anni. Nel 1745, in pochi giorni, tra settembre e ottobre, cessano di vivere i tre figli di Liberale Giacomuzzo: Vincenzo e Andrea, gemelli, di giorni 8, e Michele, di anni 3. Nel 1750, tra febbraio e aprile, muoiono dapprima il figlio Francesco, di anni 4, poi il padre Domenico Albero e la madre Caterina. Nell’anno 1756 la sventura colpisce tre gemellini appena nati: Vincenzo, Marcellino e Lorenzo, dopo aver ricevuto il sacramento del battesimo dal nuovo parroco, il monaco olivetano don Cesare Finozzi, in poche ore muiono di “marmelosi”. Nel 1774, 27 anche la parrocchia deve piangere un suo sacerdote: il cappellano don Pellegrino Breganzato, prete “d’esemplari e religiosi costumi, d’anni 30, muore per un ristagno alla testa” (emorragia cerebrale). Nel 1775 muoiono a distanza di poche ore i gemelli di Gaetano Mambrin: Michele Angelo, di giorni 5, e Vittoria, di giorni 6. Cinque anni dopo muore Fiora, moglie di Gaetano, all’età di 42 anni; nel 1787 muore il figlio maggiore di Gaetano, Angelo, all’età di 19 anni. Tra il 1791 e il 1793 muoiono 3 figli di Leopoldo Mambrin: Maria, di 9 giorni, Maria (nata circa un anno dopo la prima Maria) di giorni 11, Elisabetta, di giorni 3. Quattro anni dopo morirà anche Eugenio, di anni 2. Nell’anno 1800 cesserà di vivere la moglie di Leopoldo, Maria, di anni 40. Nel 1795 è la famiglia di Domenico Mazzaron ad essere colpita da due lutti: muoiono Maria, di 5 mesi, e Giobatta di un anno e mezzo. Morti accidentali o violente Non poche erano in passato le morti accidentali, dovute soprattutto alla caduta dagli alberi, per annegamento, o per azioni incaute durante i lavori nei campi o nelle case. Ma ci furono anche parecchie morti violente, per mano assassina, procurate da armi da fuoco (l’archibugio). Nelle società contadine a volte le risse e le rapine avevano un tragico epilogo. Inoltre la penuria alimentare provocava un aumento di mendicanti e questuanti che percorrevano le campagne alla ricerca di cibo. A volte tra costoro prendeva il sopravvento la dispe-razione che li portava a compiere gesti inconsulti. C’era poi il fenomeno del brigantaggio che si manifestava in furti e rapine. Cominciamo da Isabetta Liotta, di anni 40, che muore il 10 febbraio 1650, in seguito a caduta da lettiera. Il 16 novembre 1650, Carola, di anni 60, moglie di Andrea Tabacco, viene uccisa con un’archibugiata (colpo di fucile). Stessa sorte tocca a Francesco Fruscalzo, il quale, il 12 agosto 1652 viene ferito mortalmente sopra d’un ballo (probabilmente durante una festa paesana). Il 27 maggio 1655 è la volta di Piero Muraro, d’anni 40, “sbiro de corte”, ucciso da archibugiata. 27 Arch. Parr. Villaga, Liber Mortuorum 1760-1827 222 223 CAPITOLO NONO LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA Il 16 luglio del 1656 è Cattarina, moglie di Batta di Bruni a essere ammazzata con un’archibugiata. Il 4 giugno 1668 muore Lorenzo Dal Negro, d’anni 50, in seguito alla caduta di un masso, probabilmente mentre stava lavorando in collina. Altra disgrazia accade il 12 giugno 1669, quando Andrea, di anni tre, figliolo del sig. Festa, muore sotto le macerie della sua casa “cascata all’improvviso”. Nel 1671 è Sebastiano Chiomin, di anni 24, ad essere ferito mortalmente da archibugiata.28 Nei registri canonici dei morti conservati nella parrocchia di Villaga abbiamo riscontrato i seguenti casi. Nell’anno 1691 Giulio Montan, di mesi 4, fu incautamente soffocato nel letto. Il 4 marzo 1692 Maria Marcone, di anni 5, perde la vita cadendo in un pozzo. Giovanni Marcone, padre di Maria, di anni 48, muore due settimane dopo, il 19 marzo, per il dolore della perdita della figlia. Bartolomeo Rossetti, di anni 36, muore di puntura il 22 gennaio 1693. Zuanne Maccagnin, di anni 24, colpito da un pilone della pila del conte Alessandro Barbarano, muore dissanguato il 3 aprile 1716. Orazio Chierico, di anni 68, muore in seguito a caduta da una mandolara il 15 agosto 1717. Francesco De Carli viene ucciso da schioppettata all’una di notte, il 5 giugno 1735, lungo la strada di Pagnaga.29 L’8 agosto 1769 Cristiano Zorzetti, di anni 44, è ferito mortalmente da una archibugiata. Il 25 aprile 1772 Domenico Mazaron di Belvedere viene ferito mortalmente da archibugiata a Belvedere. Nello stesso anno avviene il suicidio di Gioachino Velo che si taglia la gola. Nel 1789, Angelo Mambrin, di anni 33, muore per una caduta da “ceresara”(ciliegio). Francesco Gastaldello, di anni 46, ferito da una coltellata al petto e da altre contusioni alla testa, nei confini tra Toara e Villaga, fu trovato morto il 17 aprile 1796. Antonio Cusin, di anni 33, muore per ferita d’arma contundente al cranio nel 1799. Il 13 luglio 1800, un soldato che andava questuando arrivò alla casa di Boaria, in Roncasso, infermo da qualche giorno, si coricò sulla paglia e morì; aveva una divisa francese. Pochi giorni dopo, il 24 luglio, Nicola Stoiciche, d’anni 28, camparo di casa Sangiantofetti (l’attuale villa Rigon a Ponte di Barbarano), alla casetta delle Fornasette, sotto Villaga, muore per ferita da schioppo nel petto. Nel 1804, Domenico, di Antonio Guarato, di anni 34, muore suicida “appiccato ad un oraro”. Nel 1805, Bortolo, figlio di Domenico Veronese, di anni 34, muore affogato nella contrà di Ronca. Nel 1813, Domenico, figlio di Antonio Lunardi, di anni 2, annega in una fossa davanti casa. Nel 1816 Stefano Marcati, un bimbo di un anno, cade nel fuoco e finisce bruciato in casa propria. Nel 1819, Carlo Roda, di anni 13, annega nello Scaranto di Barbarano e viene ritrovato al Poigo in un fosso. Due anni dopo, nel 1821, Teresa Farinon, di anni 20, muore annegata in un fosso in contrà Oche.30 Passiamo all’anno 1861 31 quando viene trovato morto Sante Buretta, di anni 20, per una archibugiata in contrà Fogomorto. Nell’anno 1882, un neonato, figlio di Domenica Fauro e Antonio Primolano, pastori erranti del Comune di Lamon di Belluno, nasce il 13 novembre e muore sulla terra ai Zocchi, di proprietà del sig. Conte Miari. Nel 1885 muore Giuseppe Bellin, di anni 2, annegato accidentalmente in una pozzanghera vicino a casa. Nel luglio 1897, annota don Faccin32, accade “un caso orribile. Alla sera del sabato 3 luglio, Eugenio Simionati, di anni 38, era in cima alla scala per compiere il pagliaio, aveva calato l’angan da lui appuntato la mattina e poi appoggiato al pagliaio colla punta in su… l’infelice perdette l’equilibrio e cadde proprio sulla punta” con le conseguenze che possiamo immaginare. Nel 1885 a Villaga successe un fatto che fece molto discutere. Il 25 agosto Occofer Francesco, il dottore del paese, di anni 64, morì “rifiutando i conforti religiosi dopo sette giorni di insulto apoplettico (attacco cardiaco) – scrive il parroco don Faccin. 33 Il parroco rifiutò di accompagnarlo alla chiesa e dargli sepoltura ecclesiastica. L’autorità civile, adunata la Giunta municipale, si oppose, chiamò il parroco il quale espose non esser questo un suo arbitrio ma una legge della Chiesa che punisce della privazione di sepoltura ecclesiastica tutti coloro che muoiono senza dare (potendo) alcun segno di ravvedimento e questo era il caso perché quantunque assalito di apoplessia, pure sapeva quel che si faceva e borbottava e rifiutò a chiare parole il prete assistente e il crocifisso con orrore. Era della setta massonica – rivela don Faccin – lo avea manifestato al parroco quando era sano. Allora il medico Adelchi Carampin, alla presenza della Giunta municipale, attestò che dal momento in cui fu colto dall’insulto apoplettico perdette le sue 28 Tutti questi casi di morti accidentali e violente sono trascritti nel registro dei Battesimi, dei Matrimoni e dei Morti, dall’anno 1646 all’anno 1678, redatto dal parroco don Vincenzo Commi, e conservato nell’archivio della Curia Vescovile, b. 168/1334 29 Arch. Parr. Villaga, Libro dei morti, 1678/1759 30 Arch. Parr. Villaga, Libro dei morti, 1760/1827 31 Arch. Parr. Villaga, Libro dei morti, 1828/1879 32 Arch. Parr. Villaga, Libro dei morti, 1880/1908 33 Ibidem 224 Una sepoltura contestata 225 CAPITOLO NONO facoltà intellettuali, così da non poter più ritenerlo responsabile di qualsiasi sua azione. Allora il parroco rispose che quantunque egli sia di opinione diversa, tuttavia la sua testimonianza (secondo il mondo) non è superiore a quella del medico in fatto di malattia, e che però, se il medico curante facesse in iscritto una tal testimonianza, egli con questa avrebbe fatto ricorso al suo superiore, il Vescovo, e starebbe alla sua decisione, lasciando però loro tutta la responsabilità. Il parroco telegrafò al Vescovo di Vicenza che rispose: “Se il medico dichiara aberrazione mentale sì; se no, no!”. E perciò fu seppellito come gli altri, accompagnato dal parroco solo, banda di Barbarano, autorità del municipio e persone civili colle torce di Barbarano. TOARA 6. NATI, MORTI E MATRIMONI Periodo dal 1700 al 1725 Anno 1700 1701 1702 1703 1704 1705 1706 1707 1708 1709 1710 1711 1712 1713 1714 1715 1716 1717 1718 1719 1720 1721 1722 Nati 9 14 11 13 19 13 11 15 24 15 15 14 17 17 13 19 11 14 10 15 21 13 15 Morti 11 10 25 10 19 10 8 13 14 17 19 25 15 16 17 12 16 25 20 9 11 17 7 Saldo -2 +4 - 14 +3 0 +3 +3 +2 + 10 -2 -4 - 11 +2 +1 -4 +7 -5 - 11 - 10 +6 + 10 -4 +8 226 Matrimoni 1 3 8 6 0 0 1 1 2 5 3 1 3 4 3 4 3 3 5 5 5 5 2 LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA 1723 1724 1725 18 21 19 11 12 20 +7 +9 -1 5 5 1 - 15 +8 -3 +1 +5 -1 -4 -1 +1 +1 -9 +8 + 12 -3 +1 -2 +2 +7 +6 +3 -8 -9 -5 +4 + 15 -2 - 10 +3 -2 +2 -3 -3 +8 +1 -5 -8 3 8 5 4 2 2 3 3 4 5 5 3 5 4 3 9 5 4 5 3 2 3 5 3 5 6 0 3 2 2 3 6 4 4 2 7 Periodo dal 1760 al 1800 1760 1761 1762 1763 1764 1765 1766 1767 1768 1769 1770 1771 1772 1773 1774 1775 1776 1777 1778 1779 1780 1781 1782 1783 1784 1785 1786 1787 1788 1789 1790 1791 1792 1793 1794 1795 20 20 13 18 23 16 17 18 22 20 14 28 29 16 28 26 21 26 21 25 17 23 21 19 26 22 21 15 12 15 17 11 21 17 14 15 35 12 16 17 18 17 21 19 21 19 23 20 17 19 27 28 19 19 15 22 25 32 26 15 11 24 31 12 14 13 20 14 13 16 19 23 227 CAPITOLO NONO 1796 1797 1798 1799 1800 11 16 6 14 13 22 20 14 13 17 LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA - 11 -4 -8 +1 -4 5 2 1 3 3 -2 +1 - 10 +2 -1 +2 +7 +7 -2 +5 +3 +5 +2 0 + 12 0 + 10 +6 +2 -4 -2 +4 0 +9 +6 - 36 +1 +8 +1 +8 +1 3 4 6 5 5 3 1 5 1 3 2 3 8 8 6 3 2 4 2 6 3 11 4 1 5 6 5 7 4 6 3 Periodo dal 1830 al 1860 1830 1831 1832 1833 1834 1835 1836 1837 1838 1839 1840 1841 1842 1843 1844 1845 1846 1847 1848 1849 1850 1851 1852 1853 1854 1855 1856 1857 1858 1859 1860 11 18 12 17 15 16 26 19 16 22 20 26 19 15 28 21 24 20 25 20 23 20 22 22 20 17 16 16 23 21 12 13 17 22 15 16 14 19 12 18 17 17 21 17 15 16 21 14 14 23 24 25 16 22 13 14 53 15 8 22 13 11 Le nascite a Toara Nel libro più antico dei battezzati, che documenta le nascite a partire dal 1607 (tale registro è conservato nell’archivio della Curia di Vicenza nella busta 159), i primi due neonati registrati sono: “17 giugno: Geronimo, figliolo di Bastian Di Mani e di Agnese sua legitima moglie, fu batezato da me, Benedetto Salamoni, rettore di questa chiesa parochiale; il compadre (compare, padrino) fu Batta Di Grandi, la comadre (comare, madrina) Lucretia figlia di Zuane Di Mani, tutti habitanti sotto Thoara”. “6 luglio: Camillo Mironi, figliolo del nobile sig. Conte Giulio Cesare Barbarano e della nobile signora Isabetta Barbarana sua legitima moglie, fu batezato da me sudetto; il compadre fu il nob. Sig. Conte Horatio Capra, la comadre la sig.ra Leonora moglie del sig. Alvise Loschi”. Purtroppo la percentuale dei neonati che morivano nei primi giorni di vita era altissima, così come le morti per parto delle madri. Vediamone qualche esempio. Il parroco don Pietro Costalunga annota nell’anno 1841:34 “Un feto femminile figlio di Ambrogio Dalla Libera e della fu Maria Casella nacque oggi 20 ottobre alle ore sette antimeridiane, due ore circa dopo la morte della madre. Al momento del battesimo il bambino non era ancora nato e si giudicò poter essere vivo. Non fu imposto nome perché all’istante del battesimo non si conosceva il sesso. Estratto dal seno della madre morta, fu trovato pur morto. Fu battezzato dalla levatrice Anna Bozza”. “Un feto femminile di Valentino Zorzi e Antonia Marangon nacque ieri 2 dicembre alle ore 8. Fu battezzato dalla levatrice privatamente, appena nato, stante pericolo di morte che poco appresso seguì, senza nome nè padrini”. Un cenno meritano anche i figli illegittimi o non riconosciuti che, seppur rappresentavano casi limitati, erano presenti anche nel nostro Comune. Nei registri vengono annotati come “figli di incogniti”. Tra questi, però, occorre distinguere gli esposti, cioè i bambini di cui si ignoravano entrambi i genitori, dagli illegittimi, cioè i neonati di cui veniva registrato solo il nome della madre. Purtroppo molti di essi finivano quasi sempre alla casa degli esposti di Vicenza (orfanatrofio). Pochi erano coloro che venivano accolti in una nuova famiglia. Nel 1658, ad esempio, il parroco Gasparo Bassadelli scrive che “il 14 luglio Marco, di padre e madre incogniti, fu battezzato da me Gasparo Bassadelli, rettore di Toara. Compadre fu Paulo Palmino da Toara, comadre Mattia, moglie di Giroto Guarato”. 35 Ciò accadeva perché nel XVII secolo una madre nubile, assieme alla fama (cioè la reputazione) perdeva anche la possibilità di sposarsi successivamente. Per questo motivo e per le difficoltà cui andava incontro la donna nell’allevare un figlio da 34 Arch. Parr. Toara, Registro dei nati, morti e matrimoni dal 1834 al 1908 35 Arch. Curia Vescovile Vicenza, Libro Battesimi Toara 1607/1661, b. 159 228 229 CAPITOLO NONO LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA sola - spiega Povolo nel saggio: Dal versante dell’illegittimità. Per una ricerca sulla storia della famiglia: infanticidio ed esposizione d’infante nel Veneto nell’età moderna, in Crimini, giustizia e società veneta in età moderna, a cura di L. Berlinguer e F. Colao, Milano 1989, pag. 112 – sceglieva di abbandonarlo. Il timore della vergogna era più forte del vincolo di sangue e di affetto e se non era tale da condurre all’infanticidio, esso spingeva però a nascondere il frutto del peccato. Anche la miseria però poteva avere un peso importante nella decisione di abbandonare un figlio. Analizzando le nascite avvenute a Toara nel Seicento si può affermare che la natalità, nella sua distribuzione mensile, registrava una impennata nei mesi primaverili; pertanto i mesi di aprile e maggio sembrano essere stati preferiti dalla popolazione per dare alla luce le proprie creature, mentre nei mesi invernali (soprattutto novembre e dicembre), il numero delle nascite diminuisce sensibilmente. Ciò è spiegabile, tenendo conto che in un’economia di sussistenza, l’apporto che la donna dava all’uomo, nella maggior parte delle famiglie, era indispensabile e il rallentamento che il lavoro dei campi subiva nei mesi invernali e di inizio primavera permetteva alla donna di condurre in porto la gravidanza senza che ciò incidesse, se non in misura lieve, sul bilancio familiare. 36 Mentre nel periodo della raccolta, che cadeva, per la maggior parte dei prodotti della campagna veneta, nei mesi tardo estivi e autunnali, la donna era impegnata nei lavori dei campi accanto al marito e ciò la sconsigliava di affrontare tale periodo dell’anno in uno stato di gravidanza avanzata.37 Analizzando il grafico delle nascite si colgono i seguenti dati: dal periodo che va dal 1700 al 1725, i nati (396) superano i morti (389) di appena sette unità. Nel periodo dal 1760 al 1800 invece prevalgono i morti (798) sui nati (767) con un saldo negativo di 31 unità. Nel periodo che va dal 1830 al 1860, torna a prevalere il saldo positivo (+ 54) con 602 nati e 557 morti. Domenego Padoan di anni 1 e mesi 6; Margareta Spigarolo di mesi 8; Bono da Nanto, di anni 80, Zuane Spiandan di anni 12; Giustina Montan di giorni 15; Lorenzo Zago di mesi 10; Maria Madalena Bellini di giorni 8; Santo Mazaron di anni 56. Dall’elenco dei decessi di quegli anni possiamo ricostruire i nomi delle famiglie presenti a Toara e a Belvedere agli inizi del Seicento. Famiglia Manzin Alessandro e Pasquale Antonia di Belvedere. Le morti Il registro dei morti si apre nel giorno 29 luglio 1606 con la seguente annotazione del parroco don Salamoni: “Giacoma, figlia di Batta Dal Lago, è passata a meglior vita, confessata et sepulta nel cemeterio di S. Georgio di Thoara de ani quatordeci incirca”; 38 il 31 luglio è Agustin, figlio di Isepo Di Mani, a passar a miglior vita e ad essere sepolto nel cimitero di Belvedere, all’età di mesi dieci; in quell’anno moriranno altre quindici persone: Domenico Di Grande, di anni 47; Nicolò Pollato, di anni 40; Marieta Oceato di anni 1; Margareta Zangrande di mesi 9; Zuane Zanini di anni 1; Cattarina Spiandan, di mesi 11; Domenego Spiandan di anni 24; 36 C. Povolo, Tra epidemie e crisi di sussistenza, in Costozza, a cura di E. Reato, edito da Cassa Rurale e Artigiana di Costozza e Tramonte-Praglia, 1983, pag. 623 37 L. Brunello, La stagionalità delle componenti naturali dell’evoluzione demografica, in “Una terra, un fiume, una comunità”, Parrocchia di Tezze sul Brenta, 1990, pag. 84 38 Arch. Curia Vescovile, Registro dei morti, 1607/1670 230 Anno 1925: la famiglia De Mani di Belvedere fotografata in un giornale locale. 231 LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA Toara: Borinato, Zago, Bertuzo, Dal Lago, Da Soghe, Fachino, Pollato, Marchioro, Spiandan, Di Grandi, Zenato, Salamon, Dalla Fontana, Garbin, Montan, Cogato, Salamoni, Grillo, Zangrande, Bondinato, Gropello, Zorzetto, Capelato, Catuzo, Capelaro, Grumolo, D’Agustin, Mazzaggio, Barugola, Risaro, Bragion, Bigolo, Volpato, Chiemento, Di Marchi (De Marchi), Cestaro, Palmin, Padoan, Rufin, Marangoni, Scarenzi, Guglielmo, Reppele, Zannini. Belvedere: Vaccaro, Di Mani (De Mani), Di Grandi, Pollato, Zen, Pomaro, Carraciero, De Caliari, Cararo, Bugarin, Tonin, Pomarolo, Vaneto, Scarienti, Oceato, Piton, Zago, Guerato (Guarato), Malloffo, Falco, Fabro, Fachin, Segala, Rigato, Casaro, Crivellaro, Calzolaro, Mazaron, Frizoto, Camin, Palmino,Veronese, Muraro, Marteloso, Albanese, Putin, Bertolaso. Le famiglie più antiche Famiglia di Venturini Luigi con le spose dei figli e i nipoti. Venturini Luigi nella sua casa di Fogomorto. Pertanto i nuclei familiari più antichi, ancora oggi presenti nel territorio, sono: a Toara i De Marchi (Domenego Di Marchi e la moglie Madona Giacoma, morti rispettivamente nel 1640 e nel 1660; Martin Di Marchi, morto nel 1665) e poi i Priante (Giacomo Priante, nato nel 1663 e morto nel 1713, poi i figli Francesco e Giovanni), i Faccio (Pietro, il primo nominato nel 1660, poi il figlio Paolo che nell’anno 1700 sposa Santa Muraro) i Giacomuzzo (Benedetto Gabriele, nato nel 1648 e morto nel 1726, e il fratello Antonio); a Belvedere i De Mani (vi erano ben cinque famiglie: Bastian, Isepo, Bortolamio, Giacomo e Zuane Di Mani), i Mazzaron (Santo Mazaron, morto nel 1606 all’età di 56 anni), i Guarato (Germano Guarato muore nel 1618 all’età di 60 anni; poi Zuane Guarato e la moglie Cattarina, morti rispettivamente nel 1635 e nel 1638, poi Giroto e Mattia Guarato), gli Zen (Gasparo Zen), mentre i Danieli di Quargente li troviamo nominati per la prima volta nel 1658 (Vicenzo Danieli è padrino del neonato Marco, di padre e madre incogniti, battezzato il 14 luglio da Gasparo Bassadelli; poi nel 1671 compare Zuane Danieli, morto all’età di 44 anni). Nel Settecento appaiono le famiglie Ferrari (Domenico, figlio di Zuane, nel 1778 sposa Ballestrin Angela); Mazzucco ( Giacomo e Mattio), Miglioranza (Antonio sposa nel 1761 Tognato Viviana, poi i fratelli Francesco, che nel 1774 sposa Da Soghe Maria Maddalena, e Stefano, che nel 1780 sposa Grezo Maria), Manzin (Domenico muore nel 1783 all’età di 62 anni, poi il figlio Biagio). Nell’Ottocento sono presenti le famiglie: Marangon (i coniugi Angelo e Bisello Angela, ai quali nel 1816 muore il figlio Santo, di 40 giorni); Pagliarusco (Pietro), Cichellero (Matteo e Maria, provenienti da Valli del Pasubio, che ebbero nove figli: Francesco, Maria, Angelo, Luigi, Carlo, Lucia, Giorgio, Stefano, Giovanni), Crivellaro (Valentino), Faedo (i fratelli Michele e Pietro), Falda (Anselmo), Ferron (Guerrino), Groppo (Gio. Battista), Gianesin (famiglia di pastori presenti a Villaga già del Seicento, poi trasferiti a Grancona e stabilitisi successivamente a Quargente),Visentin (Pietro), Muraro (Girolamo e Angela). Ritratto di famiglia di Venturini Benvenuto con la moglie Maria e i figli. 232 233 Cichellero Giuseppe, a destra, con il padre Giuseppe. I coniugi Cichellero fotografati nel 1966 di fronte al capitello di Quargente che fecero costruire nel 1945. I fratelli Gianesini Mario e Claudio nel cortile della loro casa in via Quargente. 234 Famiglia di Pagliarusco Augusto ed Erica. Anno 1912: Pagliarusco Augusto in divisa militare. Faccio Alcide fotografato nel 1926 in divisa militare. Demetrio Guarato 235 Miglioranza Edoardo e la moglie Augusta. Famiglia De Marchi Felice e Ghirardello Carolina con i figli. Bambini delle famiglie Mattiello e Munari in vacanza al mare. La grande famiglia di Mazzucco Bortolo e Ghirardello Maria; si notano anche Padre Ippolito e tre Suore. 236 237 LE ANAGRAFI PARROCCHIALI DI VILLAGA E TOARA Drammi familiari E iniziamo dalla famiglia di Paolo Faccio, che nel giro di due anni, dal 1703 al 1705 vede morire ben tre figli: Marco, di anni sei, Maria di anni 7 e Domenica di mesi sette. Ancora più tragica la storia della famiglia Zanini che nell’arco di 12 anni scompare: il padre Ghirardo deve assistere alla morte nel 1701 di Paolina, di anni 5 e Antonio di anni 2; poi nel 1703 è la volta di Maria, di pochi mesi, e della moglie Francesca, di 25 anni; nel 1710 morirà l’ultima figlia Maria, di anni 9, e nel 1713 si spegne lo stesso Ghirardo, all’età di 40 anni. Anche la famiglia di Bernardino Danieli, tra il 1722 e il 1726 viene colpita duramente nei suoi affetti: il 21 marzo 1722 muore Francesco, all’età di 3 anni, annegato accidentalmente; nell’agosto 1725 muoiono Cattarina di anni 10, Anzola di mesi 15 e Francesco di mesi 2; l’anno dopo è la volta di Francesco Antonio di mesi 7. Più tardi, tra il 1759 e il 1760, è Mattio Giacomuzzo a dover sopportare la perdita della moglie Lucia, di anni 27, e dei figli Marco, di 6 ore, e Giacomo di 4 anni. Nel 1763 a Girolamo Muraro vengono a mancare tre figli: Cattarina, di 5 anni, Lucia di 8 e Angelo di 11; poi nel 1767 muore la figlia Giustina, di 11 anni, e nel 1770 la moglie Domenica, di 42 anni. Passiamo a due famiglie dei De Marchi. Tra il 1767 e il 1768 i coniugi Giobatta e Paola De Marchi perdono tre figli: Cattarina, di mesi 11, Giuseppe di anni 8, e Lucia di mesi 5. Lutti anche in casa di Zuane e Santa De Marchi, i quali devono rassegnarsi alla perdita di tre figli, tra il 1769 e il 1770: Francesco, di due anni, Domenico, di un anno, Francesco di 15 giorni. In quegli anni anche la famiglia di Angelo Guarato è duramente provata dalla perdita di tre figli: nel 1767 Domenica, di giorni 9, nel 1768 Domenica, di giorni 15, nel 1772 Maria, di anni 8. Due anni dopo, nel 1774, muore anche la moglie di Angelo, Stella, di anni 40. Ancora lutti in casa Faccio: a Pietro vengono a mancare nel 1782 i gemelli Bortolo e Bortola, nati da 8 giorni; due anni dopo un altro maschio, Bortolo, di pochi giorni, poi nel 1791 la moglie Cattarina di anni 40. Nel 1791 è Biasio Manzin a piangere la morte del figlio Domenico, di mesi 5, poi nel 1793 la scomparsa di un neonato, nato morto, e del figlio Valentino di anni 12. Tra il 1826 e il 1839 muoiono quattro figli di Angelo Mazzucco e Lucia Trivelin: Maria, di giorni 20, Domenico di giorni 2, Maria Luigia, di mesi 5, Rosa, di anni 15. Nel 1836, il 2 luglio, accade una tragedia in casa di Faccio Paolo e Bacchin Teresa: il figlioletto Angelo, di due anni, è accidentalmente annegato nel Gordon, vicino a casa. Tra il 1850 e il 1857 Antonio Marangon e la moglie Anna Maria Guarato devono piangere la morte di quattro figli: Domenico Santo, di 3 mesi, Gaetano, di anni 2, Pietro, di mesi 7, Giovanni, di anni 8. Tra il 1865 e il 1869 muoiono prematuramente tre figli di Luigi Guarato e Scalzotto Santa: Agostino, appena nato, Ferdinando, di giorni 4, Luigi di giorni 8. Matrimonio di Danieli Luigi con Frison Franca. Enrica e Dario De Mani fotografati all’interno del Castello di Belvedere. Padre Fortunato Danieli. 238 239 CAPITOLO NONO Una neonata abbandonata Dal registro dei battezzati dal 1816 al 1851, apprendiamo dell’abbandono di una neonata lasciata sui gradini della chiesa di Toara. Il 19 gennaio 1828 il parroco don Pietro Castelli riporta che “la mattina si è presentato a me Domenico Baratto, domiciliato in Toara, portando una bambina appena nata. Il Baratto ha detto che sortendo di casa in questo mattino alle ore 6 per andare alla chiesa a suonare l’Ave Maria del giorno, essendo esso il campanaro, ha trovato sopra l’ultimo scalino della scalinata della chiesa la sopraddetta bambina, involta in due stracci di tela bianche tutti lordi, legati con una cordella bianca, senza alcun biglietto scritto. Io sottoscritto parroco ho battezzato la bambina e vi ho posto il nome di Maria, poi l’ho fatta consegnare a Maria, moglie di Matteo, domiciliata in Toara, onde la riscaldi e la nutrisca; nella notte poi del giorno medesimo la bambina Maria morì”. Nei registri troviamo annotate anche due fatti tragici. Nel 1858 nella tenuta dei Cengiarotti, a Belvedere, muore Angela, di 2 anni, annegata nel fosso vicino alla risaia Palucci. Più tardi, nel 1890, Luigi Groppo, di anni 56, si suicida con il revolver nella propria stanza. 240 CAPITOLO DECIMO L’OTTOCENTO 1. LE DESCRIZIONI DI VILLAGA E TOARA DEL MACCA’ A introdurci nella storia dell’Ottocento e a presentarci la situazione del territorio di Villaga agli inizi di quel secolo è il padre Gaetano Maccà che scrive: “Villaga è distante da Vicenza tredici miglia, e solo un miglio da Barbarano. Forma comune con Toara e Pozzolo. Anticamente era unita con Barbarano insieme con Mossano come dissi parlando di Mossano stesso. Il suo distretto consiste in monte, colli, colline, e piano. Il piano però supera il monte. Le fanno corona i seguenti villaggi, co’ quali confina: Barbarano, Toara, Pozzolo e Albeton. L’aria è sana, eccettuati i siti contigui alle risaie, delle quali vi sono cento campi nel luogo chiamato Roncasso. Il territorio è assai fertile, e quivi pure distinguesi il formento per la sua bianchezza. Tra le sue uve sono pregiate le Moscate, e Marzemine, colle quali si fanno ottimi vini. Vi sono pure frutti di ogni spezie. Nella contrada della Pila evvi una cava di pietra tenera che trà al cenerin, la quale in durezza supera le altre di tal genere. Scorre per questa villa (località) un piccolo rivo detto volgarmente lo Scaranto, che formasi sopra i monti, e si scarica nel Sinan (Siron), altro picciolo fiume che passa per quivi. Questo comincia in Barbarano, e da Villaga passa a Campiglia. Un altro picciolo rivo v’è, ch’esce di sotto il monte di questa villa e gira una pila di riso situata ivi vicino. Le famiglie di Villaga, secondo l’ultimo computo veneto, sono 96, le anime in tutte 388”.1 “Toara forma un solo comune con Villaga e Pozzolo. E’ lontana da Vicenza miglia quindici, e da Barbarano tre circa. Questa villa, considerata come parrocchia separata dalle altre due di Villaga e Pozzolo, è posta parte in monte, e parte in piano, il piano però è assai più esteso del monte. All’intorno confina con Villaga, Pozzolo e Sossano. Gode il vantaggio di alcune sorgenti di acqua perfetta. La sua aria non è molto salubre per causa 1 G. Maccà, Storia del territorio vicentino, Caldogno 1813, tomo IV, pp. 339-340 241 CAPITOLO DECIMO L’OTTOCENTO delle risaie, delle quali in questa villa vi sono campi 57 ma sono impiegati soltanto campi 40 all’anno per mancanza d’acqua, ed appartengono alla nobile famiglia Conti Vicentina. Il suo territorio è fertilissimo, e specialmente distinguesi per la bianchezza de formenti, così pure per la bontà delle uve, colle quali si fanno ottimi vini. Tra le sue contrade è notabile quella chiamata Belvedere distante dalla parrocchiale circa un miglio. Qui v’è nella sommità d’una collina un palazzo della nob. Famiglia Barbarani patrizia veneta compreso dentro un circuito di una estesa muraglia che abbraccia tra collina e terreno piano campi cento e cinquanta. (…) Le famiglie di questa villa secondo l’ultimo computo veneto sono 94, le anime in tutte 373”.2 Quel periodo viene ricordato per alcuni aspetti negativi: la forte imposizione fiscale, in particolare la tassa sul macinato che colpiva soprattutto i contadini, stremati da anni di requisizioni, distruzioni, violenze dei vari eserciti; la coscrizione obbligatoria dei giovani nei singoli comuni. Si manifestò pertanto – osserva Gianni Cisotto – una reazione antifrancese dovuta sia alle forti tasse che all’obbligo di leva. 4 Tale profondo malcontento sfociò in una serie di agitazioni che interessarono varie località del Vicentino, ma che furono stroncate dai francesi in modo spietato con molte fucilazioni. Nel novembre 1813, in seguito alla sconfitta di Napoleone a Lipsia, gli Austriaci ripresero il controllo della nostra regione e imposero una seconda dominazione, sancita dal congresso di Vienna del 1815. 2. LA CADUTA DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA E IL PERIODO NAPOLEONICO 3. NEL 1848 FAMIGLIE E COMUNITA’ DEPREDATE Il Settecento si chiuse con la scomparsa della Repubblica Serenissima di Venezia, sconfitta e occupata dall’esercito napoleonico. Nel 1797, infatti, verso la fine di aprile, i francesi, conquistate le città di Bergamo e Brescia, poi sconfitti gli austriaci ad Arcole, assediarono la città di Verona che insorse e resistette coraggiosamente all’avanzare delle truppe napoleoniche. Un’eroica resistenza che si concluse tragicamente, con l’occupazione della città e con un bagno di sangue ricordato come le “Pasque veronesi”. Anche le altre città venete capitolarono una dopo l’altra (Vicenza cade il 26 aprile). Venezia è l’ultima e si consegna a Napoleone il 13 maggio, in seguito alla decisione del Maggior Consiglio. Per sancire l’occupazione, i francesi fanno abbattere i leoni di S. Marco e al loro posto innalzano gli alberi della libertà. Anche a Lonigo (sede di podesteria, ad Orgiano e a Barbarano (sede di Vicariato) - puntualizza Antonio Verlato – 3 viene abbattuto il leone marciano ed al suo posto innalzato l’albero della libertà. A Barbarano, verso la sera del 1° maggio, avviene lo scempio dell’atterramento del leone dalla colonna e la sua distruzione. Presso tale colonna venivano lette le sentenze pubbliche del vicario nei giorni di mercato (mercoledì), dopo aver suonato la trombetta e alla presenza della guardia schiavona. Il 23 maggio, poi, l’arciprete don Bortolo Rasia Dani, alla presenza della Municipalità provvisoria, cantò il Te Deum in chiesa e benedì il nuovo vessillo repubblicano bianco, rosso e blu. Anche a Villaga venne piantato nella piazza antistante la chiesa l’albero della libertà, simbolo della dominazione francese che durò pochi mesi, fino al gennaio 1798, quando, in seguito al Trattato di Campoformio, l’Austria entrò in possesso del regno Lombardo-Veneto. I francesi poi ritorneranno padroni delle nostre terre nel 1806 e vi rimarranno fino al 1815. 2 Ibidem, pagg .331-332-333 3 A. Verlato, Gli ultimi giorni della Serenissima, dal mensile “Il Basso Vicentino”. 242 Il 1848 viene ricordato come l’anno delle rivoluzioni in Europa e della prima guerra d’indipendenza che purtroppo ebbe un esito negativo per l’esercito piemontese e per le sorti della nostra regione. Il 10 giugno la città di Vicenza si arrese di fronte alla superiorità delle forze austriache. A partire da quel momento, cominciarono gli spostamenti e il ritiro delle truppe: “tra i più colpiti in quella infelice esperienza – racconta Emilio Garon – fu il territorio di Barbarano, che in pochi giorni venne invaso e devastato da soldati dell’una e dell’altra fazione, tanto da ridurre in miseria gente già povera. Il flagello cominciò l’8 giugno, quando il capitano Devent delle truppe austriache passò alla requisizione; nella relazione manoscritta della Deputazione comunale di Barbarano sugli avvenimenti di quei giorni si legge: “Il comando ordinò di far approntare senza fallo quanto occorreva al bisogno di 4500 uomini e rispettiva cavalleria in pane, vino, carni, legna e biade che passavano al Ponte di Barbarano. Ma invece di giungere 4500 uomini, cominciarono le truppe ad arrivare fino ad invadere questo Comune e i Comuni di Villaga, Sossano, Nanto e Castegnero e il numero oltrepassava quello di 30mila soldati con cavalli e relativo materiale di guerra. Essi occuparono le abitazioni servendosi di quello che trovavano”. Possiamo immaginare in un territorio che contava allora qualche migliaio di abitanti quale devastazione provocò un’invasione di oltre 30mila soldati. “Ma la tragedia per gli abitanti continuò anche nei giorni successivi – osserva Garon – Firmata la pace, infatti, arrivarono le truppe pontificie in ritirata per raggiungere il Po e portarsi quindi nello Stato della Chiesa. La cronaca ci descrive la situazione: Le truppe pontificie, sprovvedute di tutto, dopo l’ultima battaglia di Vicenza, capitarono improvvisamente presso quegli abitanti per passare la notte e dianzi proseguire per il loro destino”. 5 Il territorio e la gente di Barbarano e dei dintorni uscirono distrutti da questi episodi. 4 A. Cisotto, Il Governo vicentino in età napoleonica, in Il Vicentino tra rivoluzione giacobina ed età napoleonica, Vicenza 1989, pag. 111 5 E. Garon, Il Risorgimento a Barbarano: Austriaci e Pontifici, i soldati invasori lasciavano il segno, in Comune e Comunità, Periodico del Comune di Barbarano Vicentino, Dicembre 1995, pag. 2. 243 CAPITOLO DECIMO L’OTTOCENTO Gli anni dal 1859 al 1866 Essa dà frumento e vino al proprietario; mais al conduttore; legna all’uno e all’altro; e pochissimo foraggio al bestiame, che pur dovrebbe arare e concimare quel terreno tanto depauperato”. 9 Villaga, comune prettamente agricolo, soffriva per un’agricoltura che rimaneva arretrata nei mezzi e nei metodi, legata alla manualità e completamente mancante di meccanizzazione. Si preparavano le terre a mano, si seminava a mano, si raccoglieva a mano; tutto si faceva a mano. Gli animali dovevano essere rispettati per la produzione del latte e per la carne. L’aratura, con l’uso di rudimentali aratri di legno trainati da buoi o cavalli, era insoddisfacente poiché la terra veniva rimossa soltanto in superficie e non dava che 5-6 quintali di frumento al campo e 12-13 di mais in stagioni favorevoli. Quanto all’alimentazione, la polenta era sempre il piatto base sulla povera tavola dell’800, costava poco e riempiva lo stomaco.10 In questa situazione, il peso delle malattie endemiche, come abbiamo visto, fu rilevantissimo. Indubbiamente – osserva Povolo – il rapporto tra condizioni ambientali sfavorevoli ed epidemie era assai stretto e fu forse tale da impedire alla popolazione della zona (il discorso era riferito al distretto di Barbarano, di cui Villaga faceva parte) di progredire e di svilupparsi nonché di innescare quei meccanismi atti ad avviare un nuovo processo economico.11 Purtroppo tale situazione precaria perdurò per tutto l’800 e soltanto dopo la seconda guerra mondiale le cose cominciarono a cambiare nel nostro territorio. Nell’anno 1859 si combattè la seconda guerra d’indipendenza che vide la vittoria dell’esercito franco-piemontese su quello austriaco. Tuttavia l’armistizio di Villafranca provocò in tutto il Veneto una grande delusione, poiché la nostra regione rimaneva ancora sotto il dominio degli Asburgo. Il controllo degli austriaci sul nostro territorio si fece ancor più pressante. Il disagio economico già notevole aumentò per i nuovi tributi a cui città e paesi furono sottoposti dall’onere di provvedere al totale mantenimento delle truppe austriache che, anziché diminuire dopo la fine della guerra, continuarono a crescere di numero con l’arrivo di una grande armata di occupazione, ripartita in tutto il territorio.6 Fu necessario attendere l’anno 1866 (in cui ebbe luogo la terza guerra d’indipendenza che vide la vittoria prussiana sugli austriaci) per l’annessione del Veneto al nuovo regno d’Italia. Il 12 e il 13 luglio di quell’anno, infatti, le autorità politiche e amministrative austriache abbandonavano Vicenza; qualche mese dopo, il 20 e 21 ottobre, un plebiscito sanciva la volontà dei Veneti di far parte del Regno d’Italia. 7 Anche Villaga fu chiamata alle urne e i suoi abitanti accorsero a deporre la loro scheda con il “sì” che in tutta la provincia furono 85.869, mentre i “no” risultarono soltanto 5. 4. L’ECONOMIA NELL’OTTOCENTO Il difficile scolo delle acque nella nostra zona La vita economica nella prima metà del secolo continuò ad essere difficile, non solo per la repressione degli Austriaci, ma anche per le ristrettezze finanziarie, per la limitata produzione, per mancanza di libertà a livello di iniziative individuali. Durante quei decenni l’agricoltura ristagnava. Permanevano le antiche vocazioni colturali: i terreni arativi e i vigneti prevalevano largamente su ogni altra coltivazione, in uno schema di coltura mista, grano-vite, mais, che si riproduceva praticamente in ogni appezzamento piccolo o grande; scarsa era poi la presenza del foraggio.8 Il Berengo, in un suo studio, parla addirittura di declino dell’agricoltura veneta nella prima metà dell’800. Egli scrive che “Tutta o quasi tutta la campagna veneta è tenuta a coltura mista; il campo, cioè, è segnato da filari di alberi, cui si avvincono le viti, mentre gli spazi intermedi (larghi dai 25 ai 40 metri) sono arati e, quasi sempre, coltivati a cereali. La campagna si modella così fedelmente, nel suo stesso aspetto esterno, sul regime di produzione che le condizioni sociali del paese impongono. Il Lampertico rilevava poi i problemi di deflusso delle acque nel nostro territorio, sostenendo che nel distretto di Barbarano la parte pianeggiante della campagna delle località di Barbarano, Villaga, Toara, Campolongo, Sossano “chiusa a ponente e mezzogiorno dall’alveo elevato del fiume Liona, dai colli e dai terreni alti agli altri lati, si trova male disposta per uno scolo pronto e naturale. In particolare, la porzione di levante della campagna, cioè quella di Barbarano, Toara e Villaga, esclusa dai benefici apportati dallo scolo Frassenella e dai suoi confluenti e ricevendo per di più le acque dei monti in aggiunta alle proprie, è paludosa e di difficile coltivazione. Le sue acque di scolo fluiscono negli alvei Gorzone (Gordon), Seonega e nel Sirone, al quale si riuniscono i precedenti e che termina nel fiume Liona, portando le acque dei terreni bassi nell’alveo di scolo dei terreni alti, termine assurdo idraulico di fatali conseguenze. In aggiunta a tanto danno, le acque di piena di Liona, non trovando un pronto efflusso in Bisatto per la elevazione di questo, si scaricano copiosamente nel Sirone e quindi negli altri alvei e nella campagna suddetta, dove inondando copiosamente e dove rendendo 6 E. Mazzadi, Lonigo nella storia, vol. III, Amm. Com. Lonigo, 1989, pag. 237 7 G. A. Cisotto, Barbarano Vicentino: società, politica, economia, in Barbarano Vicentino, vol. II, pag. 699 8 E. Mazzadi, op. cit., vol. III, pag. 133 9 M. Berengo, L’agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica all’Unità, Milano, 1963, pag. 230 10 R. Franchetto – C. Bressan, Villa del Ferro dentro la Val Liona, Giovani Editori, 2001, pag. 146 11 C. Povolo, Tra epidemie e crisi di sussistenza, in Costozza, a cura di E. Reato, 1983, pag. 627 244 245 CAPITOLO DECIMO difficile ed incerta la coltivazione. Fino ad ora i tentativi di miglioramento dei terreni suddetti non diedero risultati riflessibili, ma giova sperare che le cure dei proprietari, più attive e intelligenti di quelle dei loro autori, valgano a rinvenire quei reali vantaggi che possono essere ottenuti, modificando il sistema di scolo”. 12 Le attività lavorative Dallo Stato d’anime della parrocchia di Villaga dell’anno 1875 veniamo a conoscere le professioni degli abitanti di Villaga. 13 Dei 164 capifamiglia, ben 103 erano villici, cioè contadini; altri 7 erano bovai, 3 gastaldi, 2 mezzadri, un pastore, un pilotto (era addetto alla pilatura del riso), un crivellatore (aveva il compito di selezionare le migliori sementi, quelle cioè destinate alla semina), un sensale (era il mediatore e si occupava della vendita di prodotti agricoli e di bestiame), 9 affittuari e 15 possidenti, cioè proprietari di beni terrieri e case. Pertanto l’attività nettamente prevalente era rivolta all’agricoltura che impiegava quasi il 90 per cento della popolazione. Vi erano poi alcuni artigiani: due falegnami, due calzolai, un fabbro, un muratore, tre barbieri: poi nel settore del commercio: un pizzicagnolo, mentre nell’industria si contava un solo imprenditore. Rimanevano poi il segretario comunale, il parroco e quattro questuanti, che vivevano di elemosina. Nella seconda metà dell’800 anche nel territorio di Villaga prevaleva la conduzione diretta della terra: molti contadini possedevano pochi campi che coltivavano per ricavare i prodotti necessari all’autoconsumo. Vi erano poi i contadini livellari , che lavoravano terreni di proprietà di imprenditori latifondisti o di enti religiosi in cambio del pagamento di un canone annuo. Altre due categorie di lavoratori della terra erano quelle dei salariati fissi e dei salariati avventizi, pagati a giornata e in base alle prestazioni fornite. Il Lampertico si sofferma a descrivere tali categorie di operai agricoli che divide in due classi: “quella degli addetti stabilmente ad un podere e quella dei lavoratori avventizi. La prima poi si suddivide in due sezioni che comprendono, l’una gli operai salariati che sono quelli che hanno abitazione gratuita e mercede non soggetta a diminuzioni per causa di disgrazie elementari, di malattia di chi la riceve o di altre eventualità; l’altra gli operai obbligati la cui retribuzione è proporzionata al lavoro fornito e non godono del beneficio dell’abitazione gratuita”. 14 I braccianti fissi non hanno un lavoro ben definito, ma devono soddisfare tutti i bisogni delle coltivazioni “sicchè volta a volta li vediamo occupati nel lavoro della terra propriamente detto, nella potatura, nella manipolazione dei prodotti, ecc”. La mietitura del frumento. La trebbiatura in una contrada delle nostre campagne. 12 D. Lampertico, Studi e notizie sull’economia agraria di Vicenza, Lonigo e Barbarano, Roma 1882, p. 164. 13 Arch. Parr. Villaga, Stato d’anime anno 1875 14 D. Lampertico, Studi e notizie…, pag. 286 246 247 L’OTTOCENTO Essi pagano l’affitto della casa e del terreno che vi è annesso e “si obbligano a prestare la loro opera al padrone ogni qual volta questo ne li richieda a prezzi fissati prima. D’onde i primi si dicono operai salariati, i secondi obbligati”. 15 Il bracciante riceve giornalmente 50 centesimi, mentre nei giorni della zappatura del formentone e della falciatura delle erbe, nei quali riceve centesimi 65, e nei giorni della mietitura che gli fruttano lire 1.25. Gli si concedono poi da zappare al terzo da uno a tre campi di granturco a seconda del numero dei membri della sua famiglia e le solite compartecipazioni nella produzione del grano e nell’allevamento dei bachi.16 Per quanto riguarda gli operai avventizi, il loro numero “è commisurato ai bisogni dell’andamento ordinario dell’azienda, sicchè nei momenti di furia dei lavori, l’imprenditore è costretto a ricercare degli aiuti in gente estranea. Ciò si verifica generalmente per la zappatura del granturco e del grano (ove questo sia seminato in linee), per la mondatura del riso, per lo sfalcio dei fieni, per la sfrondatura dei gelsi, per la mietitura, come pure per i trafossamenti e gli sterri che si fanno nell’inverno. I lavoratori a cui in tali occasioni si ricorre, o si trovano in questo stesso territorio fra i coltivatori di piccole tenute, o vengono a frotte da altri paesi o province”. 17 Un’altra categoria di lavoratori che merita attenzione è quella dei “bovai”, che la nostra gente chiamava “boari”. Il Lampertico così li descrive: “Governano i buoi, li guidano al pascolo e nei viaggi, fanno la pulizia delle stalle, ne esportano il letame, seminano, conducono l’aratro, caricano tutti i generi pel trasporto, adempiono a tutti gli uffici che hanno relazione col governo e col lavoro degli animali. Quando non sieno occupati nella stalla, o quando siavi urgenza di lavori, devono prestarsi a questi. Ciò avviene specialmente nella mietitura, durante la quale ricevono però un aumento di paga. Dormono nella stalla, per cui il padrone fornisce loro il letto coi relativi accessori. Le loro famiglie abitano gratuitamente in una casa della fattoria e hanno a loro libera disposizione un piccolo tratto di terreno ortivo”. Lo studioso precisa poi che nel distretto di Barbarano “si dà al bovaio casa, orto, letto nella stalla, legna, 50 lire; più, 24 staia di granturco, 1 staio di fagiuoli e gli si concede la zappatura di un campo di granturco e tutto il prodotto di un altro campo, a sua scelta della stessa pianta… Qualche volta i bovai allevano alla parte un maiale e un certo numero di pollami forniti dal padrone; più spesso però hanno in loro proprietà libera tanto il maiale che i pollami”. 18 Donna con il “bigolo“ trasporta due secchi pieni d’acqua. 15 Ibidem, pag. 292 16 Ibidem, pag. 294 17 D. Lampertico, op. cit. pag. 295 18 Ibidem, pag. 290 Scena di vita contadina in una fattoria. 248 249 CAPITOLO DECIMO L’OTTOCENTO 5. LA PROPRIETA’ FONDIARIA Dal catastico generale di tutti i beni soggetti al pagamento della decima nel Comune di Villaga, risalente all’anno 1884 conservato nell’archivio parrocchiale di Barbarano, siamo in grado di ricavare preziose informazioni sulla distribuzione della proprietà terriera nella seconda metà dell’800. I grandi proprietari terrieri erano cinque: Angelo Chemin Palma, la contessa Brasco Regina Chinotto, Negrelli Domenico, la famiglia Conti Barbarano, il conte Ravignani Giobatta. Angelo Chemin Palma poteva disporre di oltre trecento campi, sparsi in varie zone del territorio: in contrà Ronca, alle Oche (qui aveva acquistato la campagna del monastero di S. Caterina di Vicenza), a Fogomorto, in contrà Ronco Dugo, Crocenera, Cà Scorzona. La contessa Brasco Chinotto, che viveva nel Castello di Barbarano, possedeva più di un centinaio di campi a Villaga (Fontana Calda, Poigo, Colombara, Costa Brogia, del Barco, Paradiso). Negrelli Domenico disponeva di una tenuta di 115 campi in contrà della Colombara Quadra, nominata la campagna della Colombara Quadra (tra il Siron e le Fornasette). La famiglia Conti Barbarano possedeva vaste proprietà soprattutto a Toara, documentate nell’estimo ottocentesco. Le proprietà dei conti Barbarano a Belvedere, a partire dal 1836 erano passate in varie mani; nel catastico, alla data 1880, risultavano appartenenti al conte Giobatta Ravignani di Verona che le aveva acquistate dalla famiglia Frigo di Vicenza. Passiamo alle medie proprietà: Novello Luigi annoverava una ottantina di campi che facevano parte della campagna Vajenta, situata a Belvedere, tra la Seonega e il Crocefisso; in quest’ultimo luogo, Giovanni Battista Groppo e fratelli detenevano dieci pezze di terra, per un totale di 48 campi, oltre alla proprietà della chiesetta del Crocifisso; il nobile Felice Meggiari aveva 35 campi a Pagnaga e al Roncasso; la famiglia Zorzi poteva contare su una quarantina di campi posti in contrà Ronca, alle Oche e a Pagnaga; i Da Soghe a Villaga contavano su 45 campi; i fratelli Mazzaron di Villaga 31 campi. Vi erano poi tante piccole e piccolissime proprietà. A Villaga: Veronese Giobatta (7 campi), Carampin Giobatta (2 campi), Lunardi (12 campi), Ferretto (8 campi), Loro (5 campi), Aldighieri Antonio (12 campi), Rasia Dani(13 campi), Franceschi (6 campi), Conti Antonio (4 campi), Chiementi (8 campi), Rossi (1 campo), i fratelli Munari a Fogomorto (7 campi). A Quargente la proprietà era frazionatissima: Lunardi (2 campi), Mazzucco (2 campi), Guarato Anna Maria (6 campi), Guarato Antonio (1 campo), Guarato Fiorindo (1 campo e mezzo), Guarato Girolamo (4 campi), Mancin Bortolo (1 campo), Giacomuzzo Giovanni (1 campo e mezzo), Tonato (1 campo), Dal Ben Gaspare (mezzo campo), Faccio Paolo (mezzo campo), Piron Antonio e Maria (3 campi e mezzo), Cichellero eredi di don Giovanni (5 campi), Azzolin Rosa, Angela 250 Un casone in aperta campagna tra Villaga e Barbarano. e Domenica (1 campo), Bachin Teresa (3 campi), Degan fratelli (2 campi), Danieli eredi di Michelangelo (12 campi), Zanon (12 campi). A Belvedere: Miglioranza Cipriano (24 campi), Toffanin (2 campi) Trevisan detto Fadiga (1 campo e mezzo), Mazzaron Maddalena, Anna, Angelo (3 campi), Pravato (1 campo), Pizzi (12 campi). Le case rurali Lo stato delle abitazioni incideva in misura considerevole sulla salute: la maggior parte erano mal riscaldate e prive di servizi igienici; l’inchiesta agraria condotta attorno al 1880 da una commissione sulle condizioni della popolazione rurale definiva lo stato delle abitazioni “miserabile”. 19 Le case erano anche sporche: la causa era dovuta al fatto che spesso i lavori campestri occupavano la donna per lungo tempo e la tenevano lontana dalla cura della casa. Per difendersi dal freddo nelle lunghe serate invernali, era diffusa l’abitudine del “filò” nelle stalle, riscaldate dal calore degli animali, per raccontare “fole”, chiacchierare, ricamare e rammendare abiti. Benchè fossero più calde delle case, le stalle erano un permanente focolaio d’infezione, sia per la promiscuità con le bestie, sia per l’affollamento di persone. 20 19 E. Morpurgo, Le condizioni dei contadini nel Veneto, in Atti della Giunta per l’inchiesta agraria, Roma 1882, tomo I, pag. 146 20 C. Cossetti, Anagrafi parrocchiali e popolazione nel Veneto tra XVII e XIX secolo, a cura di F. Agostini, Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa, Vicenza, 1989, pag. 105. 251 CAPITOLO DECIMO L’OTTOCENTO “Quelle dei braccianti – scriveva Lampertico - o constano di un solo piano oltre il terreno, o del solo pianterreno. Nelle prime il piano terreno comprende una cucina e una stanza, il superiore due stanze. Qualcheduna ha un piccolo portico: ma tale appendice riscontrasi più spesso nelle case di piccoli coltivatori che non di veri braccianti, alle quali è unita anche una stalletta e un fienile. In assai peggiore condizione sono le case che hanno solo il pianterreno: è assai dubbio – precisa Lampertico – se a queste possasi applicare il nome di case: sono miseri tuguri in cui una famiglia risolve il triste problema di dormire, apprestare il cibo, conservare le sue masserizie in uno spazio di pochi metri quadrati, non sempre tramezzato e diviso da tavolati. Sovente di granaio si manca, servendo di granaio una delle stanze ove dormono uno o più individui… il pavimento del pianterreno o manca affatto o è costituito da mattoni o dalle tavole stesse dell’impalcatura. La scala, rarissime volte esterna, è o in pietra o di legno, ma non a pioli”. 21 Di latrine (gabinetti) non si parla nemmeno in nessuna delle nostre abitazioni rurali. 22 Don Giovanni Sammartin che morì l’8 agosto. Nel registro parrocchiale è riportato: 24 …muore il rev. Don Giovanni Sammartin, parroco di Toara, all’età di 68 anni per colera munito dei SS. Sacramenti della penitenza, eucarestia ed estrema unzione, nonché della benedizione pontificia ed ultima assistenza; viene seppellito sollecitamente nel cimitero comunale”. La successiva epidemia del 1855 risultò molto più grave per il nostro territorio: i morti a Villaga furono quattro, a Toara ben 22. Riportiamo l’elenco delle vittime del morbo a Toara: 25 Trevisan Angela, anni 50; Cestaro Pietro, anni 50; Faccio Piero, anni 48; Cestaro Francesco, anni 20; Mizzon Benvenuto, anni 14; De Marchi Giovanni, anni 50; Valentini Santa anni 79; Pagliarusco Piero, anni 32; Montan Rosa, anni 45; Pasqualotto Maddalena, anni 50; De Marchi Santa, anni 65; Andriolo Giovanni, anni 31; Di Mani Domenico, anni 70; Zonato Teobaldo, anni 70; Fochesato Maria, anni 42; Svizzero Antonio, anni 60; Pozza Teresa, anni 64; Casarin Antonio, anni 63; De Grandi Giovanni, anni 50; Tapparo Antonio, anni 33; Graziotto Marco, anni 40; Mizzon Francesco, anni 48. 6. SALUTE E MALATTIE La pellagra Anche l’Ottocento è un secolo funesto per le gravi epidemie che colpirono le popolazioni rurali: non è più la peste seicentesca a fare stragi, ma malattie come il tifo, il colera, la pellagra. Tra le cause del diffondersi dei contagi relativi alle malattie mortali, incidevano soprattutto la scarsa igiene, le abitazioni malsane, la povera e modesta alimentazione. Sono state le condizioni sociali e ambientali – sottolinea Garon – che hanno favorito in passato lo sviluppo delle malattie epidemiche. 23 Il colera Nel secolo scorso furono quattro le grandi epidemie di colera che colpirono il Veneto negli anni 1835-37, 1849, 1855,1886. Anche Villaga e Toara furono contagiate dal morbo; a Toara, in particolare le vittime furono numerose. La malattia, causata da un bacillo chiamato Vibrio cholerae, si rendeva manifesta con diarrea e vomito continui; ciò provocava disidratazione, ispessimento del sangue, trombosi vascolari, collasso. Veicoli della malattia erano l’acqua inquinata, gli alimenti crudi non bolliti, le mosche. Durante la prima epidemia del 1835-37, Villaga fu risparmiata dal morbo, mentre a Toara si registrarono due casi mortali di colera, tra cui il parroco, 21 D. Lampertico, op. cit. pag. 335 22 Ibidem, pag. 336 23 E. Garon, la popolazione di Barbarano, in Barbarano Vicentino, vol. II, pag. 558 252 La malattia sociale per eccellenza era la pellagra che nell’800 colpì gli individui più miseri che vivevano in campagna. La malattia, che fu per più di un secolo una grande piaga sociale, cominciò ad affacciarsi timidamente alla metà del Settecento, poi si manifestò in modo più evidente durante le guerre napoleoniche che, causando miseria e carestia, indussero il contadino a preferire la coltivazione del mais che rendeva più del frumento. “Nel secolo successivo (l’Ottocento) – scrive lo studioso Luigi Piva - 26 gli affitti ai proprietari dei fondi si potevano pagare solo con frumento e con varie regalie pregiate come uova, polli, oche, che spesso, in valore venale, superavano l’importo di quanto si doveva dare in grano. Il fittavolo, allora, che era capace di fare i suoi conti anche senza penna, cominciò a coltivare tanta terra a frumento per poter dare la parte dovuta al padrone e il resto, se voleva vivere, lo destinava alla coltura del mais, che è alimento non completo in ordine alla sufficienza alimentare: “riempie ma non nutre”. Così la pellagra diventa compagna inseparabile delle masse contadine. La buona resa del mais soppiantò le altre “polente” che nei secoli precedenti costituivano la principale alimentazione del contadino: si produssero, così, sempre meno miglio, segala, fave, ghiande, castagne, panico, ceci, lenticchie e fagioli. Un campo di granoturco, se ben coltivato e assecondato da condizioni climatiche appena sufficienti, offriva una resa cinque volte superiore a quella del frumento e ciò era per il contadino una gran cosa, che lo illuse di aver risolto il problema della sua alimentazione per sempre. Mais, dunque, e polenta!”. 24 Arch. Parr. Toara, Registro civile dei morti, 1816-1855 25 Ibidem 26 L. Piva, Voci e immagini dell’800, Ed Del Noce, 1995, pagg. 117-118 253 CAPITOLO DECIMO L’OTTOCENTO Per quanto riguarda gli sviluppi della malattia, i sintomi erano l’eritema cutaneo, le turbe gastrointestinali, i disturbi nervosi e psichici; con l’andar del tempo, poi, potevano insorgere crampi, tetania, depressione psichica e vere forme demenziali con delirio. Nei casi più gravi la malattia portava alla morte. Anche a Villaga i malati di pellagra nel corso dell’800 furono molti, parecchi dei quali ebbero un’esistenza travagliata che si concluse con la morte. Nei registri parrocchiali di Villaga e di Toara sono riportati i decessi per pellagra; tuttavia ve n’erano certamente molti altri espressi in modi diversi, ma sempre riferibili a questa malattia: febbre gastrica, diarrea, infiammazione intestinale, mal di pelle, delirio. Il parroco di Villaga, don Faccin, nel 1890, nel riportare un caso di pellagra, preferì non indicare il nome del malato, e così descrisse il decesso: “persona anziana morì di pelagra: da molto tempo aveva perduto il cervello, ricevette perciò sub conditione gli ultimi conforti religiosi”. 27 Il fenomeno perdurò anche nei primi due decenni del Novecento, per estinguersi dopo la prima guerra mondiale, grazie ad un’alimentazione più variata. Le varie patologie mortali Le malattie polmonari Molto diffuse erano le malattie respiratorie, in particolare quelle polmonari come la tubercolosi, chiamata anche tisi. Agente causale della malattia era il bacillo di Koch, dal nome del suo scopritore che nel marzo 1882, adottando un particolare metodo di colorazione istologica, lo osservò al microscopio come un bastoncello simile per caratteri morfologici a quello della lebbra con il quale sarebbe filogeneticamente apparentato. 28 Contrariamente all’opinione popolare, la tubercolosi non è una malattia ereditaria ma acquisita. L’infezione avviene per via aerogena attraverso l’inalazione di goccioline di saliva o di muco cariche di bacilli emesse con la tosse e gli starnuti, o di pulviscolo atmosferico inquinato da bacilli provenienti da escreato (catarro).29 Nell’800 la tubercolosi è causa di molti decessi a Villaga. Nelle anagrafi parrocchiali di Villaga e di Toara il termine“tubercolosi”non è quasi mai citato. Nel SeiSettecento a volte è indicata col nome di “scrofola”. Nei registri dell’800 si incontrano invece suoi sinonimi che denotano forme diverse o stadi più o meno avanzati della malattia quali: tisi polmonare, miliare, consunzione, malattia polmonare, mal di petto, infiammazione di petto.30 27 Arch. Parr. Villaga, Libro dei morti, 1870/1908 28 G. Cosmacini, Le spade di Damocle, paure e malattie nella storia, Editori Laterza, , pagg. 152-153 29 G. Badio, Cona, vicenda demografica dal 1780 al 1870, in Anagrafi parrocchiali e popolazione nel Veneto… a cura di F. Agostini, pag. 61 30 Ibidem 254 Dai registri civili dei morti delle parrocchie di Villaga e di Toara abbiamo desunto le seguenti patologie di morte negli anni 1816-1817: Anno 1816: Villaga morti 20 sette neonati morti di spasmo nei primi giorni di vita; un neonato immaturo; un neonato nato morto; due per colpo apoplettico; due per malattia putrida reumatica; due per male cronico; uno per polmonia; uno per idrotorace; due per febbre continua; uno per morte accidentale nel fuoco; uno per congestione ai polmoni; uno per malattia catarrale cronica; Toara morti 27 Due per infiammazioni; sei per convulsioni; uno per discresia; 2 per vermi, uno per protorace; due per tosse convulsiva; due per affezioni di stomaco; uno per morte repentina; due per febbre continua; uno per paratonite; uno per malattia cronica; uno per linfatica concrezione; uno per affezione da spasmo; quattro per pertosse. Anno 1817: Villaga: 28 morti Nove neonati per spasmo; due bambini per febbre verminosa; cinque bambini per febbre continua; tra i giovani e gli adulti: uno per febbre reumatica; uno per stasi alla testa; uno per tetano; uno per pellagra; uno per anasarca, uno per febbre perniciosa; due per convulsioni; uno per febbre nervosa; uno per affezione ipocondriaca; uno per malattia di flusso; uno per idrotorace. Toara: morti 20 Uno per tifo; uno per scorbuto; uno per colpo apoplettico; due per diarrea; uno per spasmo; due per febbre verminosa; sei per febbre continua; uno per febbre gastrica; due per pertosse; uno per asma; uno per malattia cronica; uno per febbre reumatica. Anno 1848: Villaga: 26 morti Undici neonati per spasmo; quattro bambini sotto i cinque anni per febbre verminosa; quattro adulti per apoplessia; due per catarro polmonare; due per meningite; uno per marasmo senile; uno per encefalite. L’influenza Verso la fine dell’800 apparve una nuova malattia, per fortuna non mortale, che così descrive il parroco don Agostino Ancetti: “Nel corrente anno 1890 tutte le parti del mondo furono colpite dalla malattia detta dell’influenza. Era una febbre sui generis; veniva curata con un purgante e chinino; la miglior medicina però era ritenuta il sudore. I più in pochi giorni guarivano; altri (come lo scrivente) ne sentirono gli effetti per più mesi ed alcuni non sono ancora perfettamente risanati. Vittime in questa parrocchia non ve n’ebbero. In altre ve n’ebbero alcune o di persone già avanzate in età, o per complicazione di altre malattie, specie di petto, o per trascurata convalescenza. Moltissimi furono dovunque gli effetti, e si diede il caso di intiere 255 CAPITOLO DECIMO L’OTTOCENTO famiglie, anche numerose, che tenevano contemporaneamente il letto. Il Santo Pontefice Leone XIII° attesa l’universalità del male, dispensò dal digiuno e dal magro; questa dispensa nella nostra diocesi entrò in vigore il giorno delle ceneri, 19 febbraio, ed ebbe fine il giorno dell’ottava di Pasqua”. 31 nell’articolo “Un passo indietro: ricordo dei medici condotti”, da Realtà Vicentina, luglio 2005- era sorta appunto per curare le persone prive di sostentamento. Più tardi, con l’istituzione degli enti previdenziali, il Servizio sanitario si estese a tutte le persone facenti parte della condotta, che di solito coincideva con il territorio comunale”. La vigilanza igienica e la profilassi delle malattie trasmissibili spettavano ai Comuni e il sindaco era la massima autorità sanitaria. I medici condotti, così come le ostetriche e i veterinari, dovevano superare un concorso pubblico, poi venivano nominati e assunti come dipendenti dal Consiglio comunale. Ricevevano quindi lo stipendio dai Comuni e una indennità, a titolo di rimborso spese, per l’uso del proprio mezzo di trasporto per le visite. La figura del medico condotto è rimasta nella mente e nei cuori di tante persone anziane anche a Villaga. Molti sono infatti coloro che non hanno dimenticato, in particolare, il dott. Carlotto Antonio, che esercitò la professione per quarant’anni, dal 1926 al 1966. Di lui si ricorda il suo prodigarsi ad alleviare le sofferenze di chi aveva bisogno di cure, la sua passione, la sua dedizione, il suo essere sempre disponibile ad accorrere al capezzale degli ammalati, la sua professionalità e competenza nell’affrontare e risolvere positivamente i malanni dei suoi pazienti, la sua umanità e sensibilità che gli procurarono una generale riconoscenza. L’Amministrazione comunale di Villaga, nel 2003, gli ha intitolato una via del paese di Belvedere. Le grandi malattie vinte col vaccino Soltanto con la scoperta dei vaccini e degli antibiotici, si riuscì a debellare le terribili malattie del Settecento e dell’Ottocento. L’introduzione dell’obbligo dei vaccini è legato alla diffusione in Europa della vaccinazione contro il vaiolo. Fin dall’inizio del ‘700 si era tentato, in diversi paesi europei, di limitare il flagello del vaiolo inoculando nei bambini (quasi sempre orfani, ospitati negli orfanatrofi) il pus derivante dalle pustole di altri bambini che avevano contratto la malattia in modo benigno, secondo una modalità piuttosto empirica. A Verona, nel 1769, avvenne il primo esperimento documentato di questo tipo. Ma la procedura era particolarmente complicata e pericolosa, perciò ebbe una modesta diffusione. Questa situazione fu cambiata completamente da Jenner, che nel 1796 sperimentò per la prima volta la sua nuova tecnica di vaccinazione contro il vaiolo, che colpiva soprattutto i bambini sotto i cinque anni e che era responsabile di circa un terzo della mortalità totale infantile nel Settecento. Si apriva così per la prima volta nella storia dell’umanità, la possibilità di trovare un rimedio collettivo tecnicamente efficace per contrastare la terribile malattia. L’introduzione della vaccinazione suscitò, però, anche forti resistenze nelle popolazioni soggette. Allora, lo stato italiano, per superare queste opposizioni, estese l’obbligo della vaccinazione a tutta la popolazione, allo scopo di tutelare al salute pubblica. Poi, in Italia diventarono obbligatorie le vaccinazioni contro la difterite (1939), la poliomielite (1966), il tetano (1968) e l’epatite B (1991), mentre l’obbligo di vaccinare contro il vaiolo tutti i nuovi nati (la malattia era stata debellata) venne sospeso nel 1977 e abolito nel 1981. I medici condotti Verso la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900, erano i Comuni i responsabili della sanità pubblica. Per assicurare in ogni Comune l’assistenza medica, ostetrica e veterinaria, fu introdotta una legge apposita nel 1907, modificata e sostituita in seguito dal Testo unico sulle leggi sanitarie del 1934. Tale legge prevedeva l’obbligo da parte dei comuni di nominare un medico, un’ostetrica e un veterinario condotti. “Essi avevano l’obbligo di prestare la loro opera gratuitamente, in favore delle persone indigenti iscritte in un apposito elenco. La condotta – spiega Massimiliano Lago 31 Arch. Parr. Toara, Registro dei nati, dei morti, dei matrimoni, 1834-1908 256 7. LA SCUOLA NELL’OTTOCENTO Durante l’età napoleonica, e precisamente a partire dal 1808, in seguito al “Piano d’istruzione generale”, i Comuni ebbero l’obbligo di istituire le scuole elementari. La frequenza non era ancora obbligatoria, ma i maestri dovevano segnalare le assenze. Nelle classi fu introdotto l’uso della “tavola nera”, cioè la lavagna. L’articolo uno dei programmi riportava che “nella prima s’insegna il leggere, lo scrivere correttamente, le due prime operazioni dell’aritmetica ed il catechismo. Nella seconda s’insegnano la pronuncia, l’ortografia, la calligrafia più esattamente, la moltiplicazione, la divisione degli intieri e dei rotti, la regola del tre col calcolo anche decimale, il ragguaglio delle vecchie colle nuove misure, il catechismo e le regole della civiltà”. 32 Il governo austriaco, nel 1818, emanò il Regolamento organico per le scuole elementari, che prevedeva la divisione delle scuole in minori, maggiori e tecniche. In ogni Comune ci doveva essere una scuola minore e là, dove i fanciulli di età fra i sei e i dodici anni fossero stati meno di 50, il parroco li avrebbe dovuti riunire ed istruire.33 32 A. Morello, La scuola nel Vicentino tra Sette e Ottocento, in Il Governo vicentino in età napoleonica,Vicenza 1989, pag. 170 33 Ibidem, pag. 171 257 CAPITOLO DECIMO Nei piccoli paesi la scuola minore era limitata alle prime sole due classi, con l’insegnamento dei primi rudimenti dell’aritmetica, del leggere e dello scrivere. Le scuole minori poi dipendevano dalle Amministrazioni comunali, che dovevano pertanto finanziarle, provvedendo anche al compenso dei maestri, che spettava alle casse comunali. 34 Il primo maestro pubblico di cui abbiamo notizia è don Giuseppe Cavion, che nel 1816 insegnava nella scuola di Villaga. 35 Altro maestro pubblico, segnalato nel 1818, è don Giovanni Cichellero, nativo delle Valli dei Signori. 36 Nel 1871 a Toara vi era una scuola per i maschi retta dal maestro pubblico don Pietro Marchesini, mentre a Villaga la scuola elementare era gestita dal cappellano, don Luigi Simionati. Nel 1878 le scuole elementari nel Comune erano tre: a Villaga, a Toara e a Pozzolo. Nel frattempo, era stata promulgata la legge Casati del 1859, che era un vero e proprio atto costitutivo della scuola e che ne definì anche l’ossatura fino alla riforma Gentile del 1923. 37 Nel 1877 poi venne introdotta la legge Coppino che intendeva assicurare un’istruzione gratuita, obbligatoria e laica; inoltre prevedeva tre anni di insegnamento gratuito per tutti i bambini dai sei ai nove anni. 38 In seguito, verso la fine del secolo, nel 1894, furono promulgati i nuovi programmi del governo Crispi che puntavano ad un ruolo più incisivo della scuola nell’educazione (a tal proposito venne introdotto il lavoro manuale sotto forma di “esercitazione di lavoro educativo”). Alla fine dei vari corsi, veniva rilasciato agli alunni, dopo aver sostenuto gli esami, un certificato di idoneità che conteneva la valutazione numerica delle prove d’esame. Purtroppo la frequenza alle classi elementari era piuttosto bassa. Ciò era dovuto soprattutto al fatto che i bambini venivano utilizzati nei vari lavori rurali, nelle faccende di casa e nella custodia dei numerosi fratellini, essendo spesso la madre impegnata in attività agricole. Nelle famiglie molto povere poi, anche il costo dei libri, del materiale scolastico e di un abbigliamento decoroso, potevano costituire un freno nel mandare a scuola i figli. Poi, un graduale miglioramento economico generale, la consapevolezza che un minimo grado di istruzione era ormai indispensabile anche per la salvaguardia dei propri diritti, fece aumentare anno dopo anno il numero degli alunni che frequentavano le scuole. E’ stata questa una delle principali conquiste del Novecento. 34 Ibidem 35 Arch. Curia Vescovile, Stato delle Chiese, Toara, b. 307 36 Ibidem 37 Storia illustrata della scuola italiana dall’unità d’Italia alla fine del ventesimo secolo, Direzione didattica di Albignasego editrice, pag. 13 38 Ibidem, pag. 15 258 CAPITOLO UNDICESIMO IL FASCISMO E LA SECONDA GUERRA MONDIALE RACCONTATI DALLE MAESTRE In questo capitolo abbiamo voluto riportare i fatti piccoli e grandi che accaddero nell’epoca fascista e durante la seconda guerra mondiale, colti nelle annotazioni delle insegnanti delle scuole elementari del Comune di Villaga. Nel Giornale della classe infatti le maestre trascrivevano non solo informazioni sull’andamento disciplinare e didattico della scolaresca, ma anche osservazioni su tutto quello che caratterizzava la vita della scuola o che la influenzava dall’esterno, come la potente propaganda fascista, tesa a dare della scuola un’immagine di ordine e di efficienza, quasi di esempio per l’intera società civile. Numerose furono infatti le disposizioni di ispirazione nazionalistica e quelle legate alla volontà di celebrare e onorare i caduti per la patria e per il fascismo. L’istituzione dei parchi e dei Viali della rimembranza ne è forse l’esempio più significativo. Ogni scuola avrebbe dovuto essere protagonista della creazione di detti parchi o viali i cui alberi, in seguito, furono dedicati alla memoria dei caduti nella prima guerra mondiale o delle vittime fasciste. Pertanto, periodicamente, le scolaresche partecipavano agli incontri commemorativi più importanti 1 . Alle tradizionali feste, ricorrenze, commemorazioni civili – festa degli alberi, festa della doppia Croce, del 4 novembre… - a cui tutti gli alunni erano chiamati a intervenire, si aggiunse l’appuntamento del sabato fascista. Nel 1926, con legge n. 2247 del 3 aprile, venne infatti istituita l’Opera nazionale Balilla, un’organizzazione autonoma creata dal fascismo allo scopo di assistere ed educare i ragazzi e i giovani. Gli obiettivi dell’organizzazione erano molteplici e, tra essi, assunsero una posizione assai rilevante l’istruzione pre-militare e quella ginnico-sportiva, intesa a promuovere l’irrobustimento fisico della gioventù. 2 Gli iscritti all’organizzazione erano maschi e femmine di età compresa tra i 6 e i 18 anni e, a seconda del sesso e dell’età, erano suddivisi in specifici corpi o reparti: Figli e Figlie della Lupa (dai 6 agli 8 anni), Balilla e Piccole Italiane (dagli 8 ai 14 anni), Avanguardisti e Giovani Italiane (dai 14 ai 18 anni). 1 Sull’argomento vedi “Storia illustrata della scuola italiana dall’unità d’Italia alla fine del XX secolo”, Direzione didattica di Albignasego Editrice e Linea ags edizioni, pag. 42. 2 Op. cit., pag. 43. 259 CAPITOLO UNDICESIMO IL FASCISMO E LA SECONDA GUERRA MONDIALE RACCONTATI DALLE MAESTRE La scuola, volente o nolente, fu investita in pieno dalle iniziative dell’Opera nazionale Balilla a tal punto che il tesseramento degli alunni avveniva tramite la scuola stessa, non senza preoccupazioni da parte degli insegnanti. Costoro, spesso per dimostrare la capacità di convincimento a far aderire i propri allievi all’ONB, erano costretti a tirar fuori di tasca propria il denaro per acquistare le tessere di coloro che non volevano iscriversi al fascismo 3. Questo impegno da parte dei docenti derivava anche dal fatto che gli stessi erano costretti a relazionare sulle tessere sottoscritte; pertanto venivano giudicati sul loro operato. Gli insegnanti dovevano inoltre intrattenere le scolaresche sulle imprese del fascismo, dedicando vari momenti durante la settimana al resoconto di quanto avveniva in Italia e all’estero e a celebrare i personaggi più in vista del fascismo. Poi si arrivò agli anni Quaranta e anche la scuola si trovò direttamente coinvolta nel clima del secondo conflitto mondiale. Fin da subito, anche per espresso invito del ministro dell’Educazione Nazionale, la scuola dovette sostenere idealmente lo sforzo della nazione per il raggiungimento della vittoria finale. Agli insegnanti veniva chiesto, tra l’altro, di informare gli alunni e le famiglie sull’andamento delle vicende belliche, ma soprattutto di contribuire allo straordinario sforzo economico in atto nel Paese per sopperire alla mancanza di manodopera in campo agricolo, nonchè di aiutare moralmente, ma anche in modo concreto, i soldati al fronte. Iniziative come “la giornata del fiocco di lana”, che aveva lo scopo di raccogliere lana con cui confezionare indumenti per i combattenti, la coltivazione degli “orti di guerra” o la raccolta di ferro e altri materiali, trovarono la piena adesione delle scuole e degli insegnanti. Questi ultimi si fecero carico anche di aiutare le famiglie nella corrispondenza con i familiari al fronte.4 Nelle scuole della provincia di Vicenza vennero preparate dai docenti migliaia di lettere per conto delle famiglie, così come molte furono quelle scritte e spedite dalle scolaresche ai combattenti. Ma i giorni più difficili dovevano ancora arrivare. Dopo l’8 settembre 1943, infatti, ebbero inizio le incursioni aeree degli alleati che furono molto intense e devastanti. Il territorio di Villaga, posto in una situazione geografica importante, poiché vi transitavano due tratte ferroviarie (la linea LegnagoGrisignano di Zocco e quella che collegava Noventa a Vicenza) divenne bersaglio dei raid di “Pippo”, l’aereo alleato che per mesi e mesi sorvolò i cieli del Basso Vicentino sganciando bombe, scaricando raffiche di mitraglia o inseguendo i convogli ferroviari per bloccarli. Negli anni scolastici 1943/44 e 1944/45 le lezioni furono interrotte a più riprese a causa dei bombardamenti e dell’occupazione degli edifici scolastici da parte delle truppe tedesche in ritirata. Si fece lezione in luoghi improvvisati, ma solo pochi alunni erano presenti, dati i rischi degli spostamenti in quel periodo. La scuola di Villaga venne occupata dal comando tedesco e così le maestre dovettero trovare un locale in contrà Oche dove poter continuare l’attività scolastica. Poi, nell’aprile del ’45 si giunse all’epilogo della guerra. Si chiudeva così, anche per la scuola, un’epoca durata più di vent’anni, che ha lasciato un segno profondo nella storia del secolo scorso. 1. Le annotazioni riportate di seguito dalle insegnanti sono tratte dai Giornali della classe del periodo dal 1928 al 1945 conservati nell’archivio storico del Comune di Villaga. Anno 1928 “25 settembre: solenne inaugurazione dell’apertura delle scuole a Villaga. Martedì 25 settembre ebbe luogo la cerimonia religiosa e civile d’apertura delle scuole al capoluogo di Villaga. Partiti da Toara alle ore 7 con la bandiera e cantando inni patriottici, si arrivò a Villaga, davanti alla chiesa parrocchiale. Vennero riuniti dal capo i Balilla delle sei scuole e con le bandiere ed il gagliardetto entrarono in chiesa, dove già avevano preso posto le autorità. Seguirono alunne ed alunni con le rispettive insegnanti. Al Vangelo il R.° parroco rivolse agli scolari delle parole d’occasione ed alle insegnanti un consiglio da padre. Finita la S. Messa venne cantato il “Veni Creator” e poi la S. Benedizione. Usciti di chiesa l’insegnante di Villaga (Dani Matilde) rivolse il ringraziamento alle autorità ed ai pochi padri presenti e poi fece un appropriato discorso; a lei tenne dietro un bambino di Belvedere con altre brevi parole. Sfilarono prima i Balilla e poi tutti gli altri alunni e dopo avere salutato romanamente, ciascuna insegnante ritornò alla propria sede”. (Edelinda Campesato, maestra di Toara) “22 ottobre: oggi a Toara successe una grave disgrazia. Un alunno restò sepolto sotto la sabbia, nella cava e venne estratto cadavere. 24 ottobre: questa mattina grande impressione per i funerali del ragazzo vittima del lavoro; al suo passaggio feci uscire gli alunni della scuola e uno abbassò la bandiera. Ricordai la bontà e la diligenza del defunto”. (Edelinda Campesato) “4 novembre: oggi abbiamo fatto una bella festicciola. A Villaga sono venuti gli alunni delle frazioni di Belvedere e Toara. Siamo andati tutti in chiesa con le bandiere delle scuole e con quella dei Balilla. I Balilla facevano bella figura perché avevano la loro divisa. Abbiamo ascoltato la S. Messa, poi siamo andati al cimitero a mettere fiori e ghirlande sulle tombe dei soldati morti in guerra. Ritornati, ci siamo tutti fermati in piazza ove il signor Podestà ha fatto un discorso”. (Elisa Munari, maestra di Villaga) 3 Op. cit., pag. 51 4 Op. cit., pag. 64 260 261 IL FASCISMO E LA SECONDA GUERRA MONDIALE RACCONTATI DALLE MAESTRE “13 dicembre: Festa degli alberi. Noi insegnanti del Comune, con tutti gli alunni, ci siamo recati a Pozzolo. I Balilla avevano la loro divisa, tutte le scuole la loro bandiera. Salendo i monti, i nostri alunni si sono divertiti cantando canzoni della patria. Abbiamo fatto recitare quattro poesie e impiantato alloro, pesco e pero. Una insegnante ha fatto una lezione riguardante l’utilità delle piante. La fine fu rallegrata con una buona colazione. (Elisa Munari) Anno 1929 “28 ottobre: Ieri ci siamo recati nella frazione di Belvedere per l’inaugurazione della nuova scuola. I Balilla furono in divisa con la bandiera della scuola. Il Podestà ha fatto un discorso ricordando tutte le opere fasciste; un fanciullo ha ringraziato tutte le autorità per l’opera compiuta in quella frazione. L’edificio è veramente bello, con vasto cortile, posto in luogo adattissimo perché non disturbato”. (Elisa Munari) Anni ‘20: scolaresca di Belvedere. Anno 1930 “8 gennaio: abbiamo fatto una passeggiata con molti scolari: siamo andati a S. Pancrazio a vedere il presepio. Era bellissimo! Gli alunni hanno ammirato le belle montagne che, coperte di neve, sembravano lontane lontane, le belle statue e le tante pecorine. Hanno cantato, recitato poesie e ricevuto la santa benedizione da un frate francescano. Si sono divertiti a correre su e giù per il viale e hanno veduto lontani paesi, il treno che sbuffando partiva dalla stazione; hanno gridato: evviva i passeggeri”. (Elisa Munari) Anno 1939: bambini dell’asilo infantile di Belvedere. “25 gennaio: la neve, oh la neve, che novità per tutti! Che sorpresa! Intanto per due giorni la scuola rimane chiusa perché è impossibile la venuta degli alunni. La neve scende lenta e silenziosa; il freddo si fa intenso. Non si ricorda una così abbondante nevicata. Intanto i nostri alunni si divertono a casa. Non badano al freddo, prendono le passere, fanno palle di neve”. (Elisa Munari) “5 febbraio: quanta neve c’è ancora! Quanto ghiaccio per le strade. Vengono pochi alunni alla scuola; ve ne sono molti che abitano lontano. Per quanto faccio, per quanto raccomando, vi sono molti posti vuoti nella scuola. I pochi alunni presenti si applicano poco perché hanno freddo, non potendo riscaldare bene l’aula”. (Elisa Munari) Anno 1931 “28 ottobre: Ieri parlai a lungo agli alunni di 3^ e di 4^ riuniti di S. E. Benito Mussolini, della guerra, del dopoguerra, del periodo socialista e dei primi fasci di Anno 1950: bambini dell’asilo di Belvedere con la maestra Maria Mazzaron. 262 263 IL FASCISMO E LA SECONDA GUERRA MONDIALE RACCONTATI DALLE MAESTRE combattimento e della marcia su Roma. Feci notare agli alunni i grandi vantaggi apportati dal Fascismo; gli alunni inneggiarono poi al Re e al Duce e cantarono gli inni d’occasione. Questa mattina condussi tutti gli alunni a rendere omaggio al monumento ai caduti”. (Matilde Dani maestra di Villaga) Anno 1952: bambini dell’asilo infantile di Belvedere. “14 novembre: Questa mattina in piazza c’erano molti disoccupati venuti a chiedere lavoro o pane. Cogliendo questa occasione, parlai ai miei alunni della grande miseria, quindi del dovere che abbiamo di aiutare nel limite del possibile chi ne ha bisogno; parlai della società di previdenza, della necessità di assicurare il nostro avvenire, di avere un aiuto nei momenti di bisogno”. (Matilde Dani) “26 novembre: in questi giorni ho iniziato il tesseramento degli alunni dei Balilla. Ho fatto scrivere dagli alunni a tutti i genitori una lettera esortandoli a compiere questo loro dovere. Alcuni dei più restii li ho avvicinati di persona. La maggioranza s’è tesserata”. (Matilde Dani) “24 dicembre: con il concorso degli alunni abbiamo fatto il presepio nella scuola e questa mattina abbiamo festeggiato il S. Natale. I fanciulli hanno assistito la S. Messa e poi davanti al presepio hanno recitato le poesie ed eseguito dei canti pastorali”. (Matilde Dani) Anno 1954: bambini dell’asilo infatile di Belvedere. Anno 1932 “10 gennaio: ieri vi fu la Befana Fascista. Intervennero le autorità del paese e molti cittadini. Furono invitati i Balilla e gli alunni poveri coi loro genitori. Il signor Segretario Comunale spiegò il significato di questa cerimonia. Una bambina, a nome dei beneficati, ringraziò il signor Podestà e il Comitato per l’interessamento e per l’opera prestata. Ai poveri venne dato un pacco vestiario, e degli aranci a tutti, anche ai Balilla”. (Matilde Dani) “15 febbraio: da una settimana non si fa scuola causa la neve prima e il freddo di questi giorni; alcuni alunni sono anche malati”. (Matilde Dani) “23 febbraio: ieri nel cortile delle scuole venne piantato l’albero in memoria di Arnaldo Mussolini (fratello di Benito, morto nel 1931). Intervennero tutte le autorità, le associazioni fasciste, la scolaresca con i Balilla e le Piccole Italiane in divisa”. (Matilde Dani) Anno 1960: bambini dell’asilo di Villaga. 264 265 IL FASCISMO E LA SECONDA GUERRA MONDIALE RACCONTATI DALLE MAESTRE “23 marzo: si commemora nelle scuole l’annuale della fondazione dei fasci di combattimento. Feci risaltare l’opera e la figura del Duce e i vantaggi di questa nuova istituzione in tempi in cui regnava il comunismo”. (Matilde Dani) “3 maggio: abbiamo fatto la festa degli alberi. Nel cortile delle scuole di Belvedere, alla presenza di tutti gli alunni del Comune, vennero piantati alcuni alberi da frutto e da ornamento. Un’insegnante spiegò il significato della festa perché il governo vuole che in tutte le scuole sia celebrata; fece conoscere agli alunni il dovere che hanno di rispettare le piante e di rimboschire l’Italia. Furono recitate alcune poesie e cantati inni patriottici”. (Matilde Dani) Bambini dell’asilo di Toara nel 1930 con la maestra Emma Cichellero. “7 giugno: parlai agli alunni dell’attentato al Duce. Abbiamo con una preghiera ringraziato Iddio per avergli anche questa volta salvato la vita; abbiamo cantato Giovinezza ed esposto la bandiera in segno di giubilo. Ho poi fatto eseguire un compito scritto sulle impressioni che ha prodotto questo fatto. Hanno descritto l’episodio, hanno espresso anche la gioia provata perché l’attentato venne sventato, ma nessuno espresse l’impressione provata, come avevo sperato”. (Matilde Dani) Anno 1935: bambini dell’asilo infantile di Toara. “5 dicembre: ieri venne celebrata la Giornata del Balilla, delle Piccole Italiane, degli Avanguardisti, dei Giovani Fascisti e Fascisti. Dopo aver ascoltato la S. Messa, si radunarono in un’aula delle scuole. I Balilla recitarono una poesia d’occasione ed eseguirono dei canti patriottici; una Piccola Italiana offrì un mazzo di fiori al Presidente. La maestra Arzenton, di Toara, pronunciò un vibrante discorso rievocando la nobile figura del Balilla genovese. In corteo ci recammo a deporre i fiori sul monumento ai caduti”. (Matilde Dani) Anno 1933 “3 novembre: nel 15° anniversario della vittoria parlai agli alunni dell’ultima guerra, dei sacrifici sostenuti dai nostri soldati, del ricordo che dobbiamo avere dei caduti, del rispetto ai mutilati e combattenti. Dettai e spiegai la prima strofa del Piave. Prima di uscire dall’aula fecero il saluto alla bandiera. In questo giorno gli alunni parteciparono alla cerimonia che venne fatta in paese. Assistettero alla S. Messa ed al Te Deum, indi si recarono a rendere omaggio e a portare fiori al monumento ai caduti. Un combattente lesse il bollettino della vittoria e i fanciulli cantarono il Piave”. (Matilde Dani) Anno 1949: bambini di Toara fotografati con la statua della Madonna Pellegrina. 266 267 IL FASCISMO E LA SECONDA GUERRA MONDIALE RACCONTATI DALLE MAESTRE Anno 1934 “28 aprile: Oggi venne celebrata la festa del Fiore. Nell’aula delle scuole il dottor Antonio Carlotto parlò della tubercolosi che fa strage tra i popoli; ci fece conoscere come la scienza abbia sempre indagato e lottato con ottimi risultati. Ora il governo dà il suo appoggio indicendo questa giornata in cui si chiama la carità a concorrere in questa opera tanto benefica. Le Piccole Italiane, durante la giornata, vendettero il materiale mandato dal Comitato provinciale; anche nella scuola fu ampiamente spiegato con apposite lezioni l’importanza della campagna antitubercolare, dei grandi vantaggi avuti dopo l’istituzione dei tubercolosari”. (Matilde Dani) Anno 1952 “24 maggio: oggi, alla presenza delle autorità e di alcuni fascisti e degli avanguardisti, venne svolto il saggio ginnico. C’erano 60 Piccole Italiane e 42 Balilla. Gli esercizi vennero eseguiti assai bene con precisione e simultaneità. Gli alunni cantarono poi alcuni inni patriottici”. (Matilde Dani) Anno 1935 “30 marzo: questa sera tutti gli iscritti al fascio sono invitati nella piazza di via Roma per salutare i giovani nati nel 1911 che sono chiamati alle armi. Alle ore 7 si darà l’addio ai buoni e bravi soldati che forse dovranno difendere energicamente la patria”. (Elisa Munari) Anni ‘50: bambini dell’asilo di Toara con il parroco Don Ernesto Bicego. “27 maggio: ancora pochi giorni e poi è finito anche l’anno scolastico 1935. Si trema per la guerra, si prega per la pace; domani 28 si chiude l’anno di nostra S. Redenzione a Lourdes. In quel luogo si prega per il miracolo della pace fra le nazioni”. (Elisa Munari) Anno 1936 “5 maggio: siamo in grande aspettativa per il segnale dell’adunata generale in cui parlerà il Duce per annunciare l’occupazione di Addis Abeba da parte delle nostre truppe”. “6 maggio: Ieri sera ci siamo riuniti a Villaga con la maggior parte degli alunni per la grandiosa adunata. Le parole del Duce sono state ascoltate in religioso silenzio interrotto soltanto dalle entusiastiche ovazioni per l’annuncio della grande vittoria delle armi italiane e della fine della guerra. Oggi ho ricordato agli alunni la memorabile occupazione di Addis Abeba; insieme abbiamo adornato la classe di bandierine tricolori ed abbiamo finito la lezione con i canti patriottici e col saluto al re, al Duce e ai nostri vittoriosi soldati”. (Lucinda Testa, maestra di Belvedere) Bambini dell’asilo di Toara nel 1965. 268 269 IL FASCISMO E LA SECONDA GUERRA MONDIALE RACCONTATI DALLE MAESTRE “5 giugno: questa mattina si è svolta la cerimonia di chiusura dell’anno scolastico. Dopo aver assistito alla S. Messa e cantato il Te Deum, alunni e insegnanti si sono riuniti alle scuole di Toara per cantare gli inni patriottici ed indirizzare con grande entusiasmo il saluto al Re e al Duce. Sono stati letti i nomi dei promossi, poi si è chiusa la cerimonia con canti patriottici”. (Lucinda Testa) “27 ottobre: nella scuola quest’anno c’è la Radio rurale offerta dal fascio locale”. “28 ottobre: si assistette tutti in divisa alla cerimonia locale. Dalla Casa del fascio, dove venne fatto l’appello dei caduti vicentini della rivoluzione fascista, si venne in corteo in chiesa dove si assistette alla S. Messa”. (Matilde Dani) Anni ‘50: scolaresca di Villaga. “11 novembre: la cerimonia per il genetliaco di sua Maestà fu tenuto per le scuole di Toara e Belvedere nella chiesa parrocchiale di Toara. Le scolaresche, accompagnate dalle insegnanti, assistettero alla S. Messa ed al Te Deum; fu pronunciato dal rev. Parroco un discorso d’occasione in cui invitava tutti i presenti ad esprimere la loro riconoscenza al sovrano comportandosi da degni cittadini d’Italia. Dinanzi alle scuole furono cantate la Marcia reale e Giovinezza e poi si fece il saluto al Re”. (Lucinda Testa) I bambini Ferrari Alberto e Bruno. Anno 1937 “23 marzo: il viaggio del Duce in Libia fu seguito ed ampiamente illustrato agli alunni. Si è udito anche per radio il discorso fatto a Tripoli. Seguendo il Duce nel suo viaggio si è con questa occasione studiato la Libia e le altre colonie italiane”. “5 maggio: oggi anniversario dell’entrata delle nostre truppe ad Addis Abeba; abbiamo udito il discorso che il Duce fece in quell’occasione”. “9 maggio: assistemmo alla cerimonia dell’annuale della proclamazione dell’Impero”. “24 maggio: nella scuola si parlò ampiamente dell’ultima guerra e dell’eroismo dei nostri soldati. Si cantarono inni patriottici”. (Matilde Dani) Anno 1938 “30 maggio: ieri vi è stata la cerimonia del battesimo del gagliardetto scolastico che si è effettuata a Vicenza nel Piazzale della Vittoria alla presenza di S. E. il Vescovo e il Ministro dell’esercito. Ho accompagnato il gagliardetto con il padrino, il sig. Scavazza di Toara e l’alfiere Balilla Bruno Pagliarusco. “7 giugno: oggi la lezione è stata sospesa a Toara. E’ morto quasi improvvisamente il nostro parroco (don Pietro Vigolo) e stamane si sono celebrate le esequie. Tutta la scolaresca ha partecipato al funerale assieme a quelle di Villaga e Belvedere, con le rispettive maestre e i gagliardetti abbrunati. La mesta cerimonia è stata lunga e i partecipanti hanno reso con il cuore l’ultimo omaggio al sant’uomo che tutta la sua vita aveva speso per il bene spirituale e materiale dei suoi fedeli”. (Teresa Arzenton di Toara) Anni ‘50: scolaresca di Villaga. 270 271 CAPITOLO UNDICESIMO IL FASCISMO E LA SECONDA GUERRA MONDIALE RACCONTATI DALLE MAESTRE “4 novembre: qui a Villaga venne celebrata una commovente festicciola. Ebbe luogo la benedizione dell’altare nella cappella dei caduti posta sul cimitero. Là venne celebrata la prima messa in onore dei caduti in guerra. Autorità, insegnanti, alunni con bandiere e in divisa vi parteciparono. Furono cantati inni sacri e patriottici”. (Elisa Munari) Anno 1939 “11 febbraio: il giorno 10 febbraio si ebbe notizia della morte di Papa Pio XI°. Allora il mio pensiero e quello dei miei alunni volò nella grande capitale con molta mestizia. Poi parlai di lui, della sua grande bontà paterna e del suo grande amore per l’Italia e per il mondo intero essendo egli padre buono di tutto il mondo”. (Elisa Munari) “13 gennaio: stamane la scolaresca ha partecipato ad una messa di suffragio per l’alpino Bissol Luigi, caduto sul fronte greco-albanese. Gli alunni, col loro ordine ed il loro silenzio, hanno dimostrato di comprendere l’austera solennità del momento ed hanno partecipato con le autorità e col popolo intervenuto al commosso tributo di affetto e di riconoscenza verso il glorioso caduto”. (Teresa Arzenton) “13 maggio: il generale Gambara, comandante delle truppe volontarie di Spagna, rispose con affettuose e gentili espressioni ai nostri Balilla di quarta che in occasione della fine della guerra in Spagna gli hanno mandato le loro più vive felicitazioni. La lettera del generale è stata pubblicata anche sul giornale “Vedetta fascista”. “25 maggio: ieri, nel Comune di Villaga, dinanzi alle autorità locali, gli alunni hanno eseguito il saggio ginnico. Ciascuna insegnante presentò la sua squadra e l’esercizio obbligatorio o facoltativo. Sono stata molto contenta dell’esecuzione dei miei scolari: hanno marciato perfettamente inquadrati e hanno fatto l’esercizio con simultaneità. Il segretario del fascio distribuì poi ai piccoli ginnasti i confetti”. (Leonilde Fantinucci di Belvedere) “20 gennaio: abbiamo spedito alla Direttrice una relazione di quanto si è fatto riguardo al momento attuale di guerra. Seguiamo giorno per giorno gli avvenimenti, leggendo dal giornale i fatti di eroismo più salienti e più commoventi, invitando gli alunni a concorrere nel loro possibile alla vittoria”. (Matilde Dani) Anno 1940 “16 ottobre: gli scolari delle scuole di Belvedere e di Toara si sono riuniti con le insegnanti nella chiesa di Toara per la cerimonia di apertura dell’anno scolastico 1940/41. Il rev. Parroco ha tenuto un discorso d’occasione esortando gli alunni a far meglio degli anni scorsi per dare tutta la loro giovane attività al servizio della patria che si trova in momenti eccezionali. I fanciulli sono stati invitati poi alle scuole dove hanno cantato gli inni della patria”. (Lucinda Testa) “30 dicembre: giorni or sono due mie alunne espressero il desiderio di scrivere ai soldati combattenti in Albania e, a nome di tutti i compagni, inviarono due letterine. Stamane mi sono corse incontro mostrandomi una busta e, felici, mi dissero che i soldati avevano risposto: la lettera dei nostri valorosi combattenti è piena di ardente patriottismo. Ora i miei scolari hanno voluto riscrivere e il giorno di capodanno faranno tutti la S. Comunione per essi”. (Teresa Arzenton) Anno 1941 “7 gennaio: anche quest’anno venne fatta la Befana Fascista.Vennero distribuiti 100 pacchi a figli di famiglie povere”. (Matilde Dani) 272 “13 gennaio: sono in classe con pochi alunni perché gli altri sono andati all’ufficiatura del primo caduto di Belvedere. Ai presenti faccio scrivere una letterina per la mamma del caduto, scelgo la migliore e gliela spedisco”. (Leonilde Fantinucci) “13 marzo: stamane gli alunni di terza hanno scritto ai soldati combattenti sul fronte greco-albanese: ognuno ha scritto la sua letterina, breve e semplice, ma traboccante di affetto e di entusiasmo. Chissà che le parole di questi piccoli, e le loro fervide preghiere, portino un po’ di gioia ai nostri valorosi soldati”. (Teresa Arzenton) “21 marzo: oggi abbiamo spedito quattro pacchi ai soldati combattenti in Grecia. Ogni pacco conteneva fogli e buste da lettera, sigarette, caramelle e un fior di pesco. Gli alunni hanno risposto con entusiasmo ed amore a questa iniziativa”. (Leonilde Fantinucci) “25 marzo: abbiamo mandato al Battaglione Alpini Vicenza un pacco per Pasqua contenente dolci, sigarette ecc. Gli alunni si sono prestati con molto entusiasmo a portare i loro piccoli doni. La scuola di Belvedere vuole ricordare continuamente questi generosi fratelli che combattono per dare grandezza e potenza alla patria”. (Lucinda Testa) “25 marzo: oggi il Segretario del fascio di Villaga ha mandato 2 chili di caramelle per gli alunni che sono stati beneficiati con la refezione scolastica. Il dono è stato fatto agli alunni di Toara per desiderio della contessa Virginia Maggioni che per la refezione ha fatto generose offerte. Gli alunni scriveranno alla gentile signora una lettera di ringraziamento”. (Teresa Arzenton) 273 CAPITOLO UNDICESIMO IL FASCISMO E LA SECONDA GUERRA MONDIALE RACCONTATI DALLE MAESTRE “29 marzo: con gli alunni mi sono recata a Pozzolo, dove sono convenute tutte le scolaresche di Villaga, per la festa degli alberi. Gli scolari hanno cantato gli inni della patria e recitato poesie; la festa si è svolta nella rievocazione di Arnaldo Mussolini, dei nostri gloriosi caduti e col pensiero riconoscente ai prodi soldati”. (Teresa Arzenton) ta della lana; ho autorizzato due o tre Piccole Italiane a fare il giro per le varie contrade per raccogliere quanto verrà offerto; poi ogni insegnante terrà nota del peso della lana e degli stracci raccolti”. (Lucinda Testa) “10 aprile: in occasione delle feste pasquali abbiamo spedito a tutti i soldati gli auguri. Abbiamo raccolto delle offerte e spedito a nome degli alunni n. 15 pacchi ai militari che si trovano in Albania”. (Matilde Dani) “11 aprile: gli alunni hanno confezionato bandierine tricolori per mandare a salutare i soldati partenti per il fronte e che passano in treno nel vicino passaggio a livello di Belvedere. I soldati sono stati molto contenti della dimostrazione di simpatia e di solidarietà ed hanno risposto con entusiasmo al nostro saluto”. (Lucinda Testa) “15 aprile: la riconquista della Cirenaica riempie di entusiasmo i miei scolari che seguono col cuore le azioni di guerra dei nostri soldati”. (Teresa Arzenton) “6 maggio: spedisco oggi, a nome degli alunni, il terzo pacco ai soldati di Toara: contiene, come gli altri, caramelle, cioccolato, un piccolo dolce, carta da lettere e sigarette”. (Teresa Arzenton) “10 maggio: ieri, giornata dell’esercito e dell’Impero, ho rievocato agli scolari la vittoriosa conquista dell’Etiopia del 1935/36 e la difesa eroica che i nostri soldati compiono oggi, combattendo col valore più grande contro l’Inghilterra”. (Teresa Arzenton) “27 maggio: oggi ho spedito i due primi pacchi per i soldati. Ne abbiamo confezionati 5 ai 5 soldati combattenti che ancora non sono rientrati in patria dalla partenza. Ognuno supera il peso di un chilo. Si sono potuti fare 5 pacchi perché l’anno scorso i bachi da seta furono tenuti appositamente per i soldati e poi con le offerte fatte durante l’anno dagli scolari. Abbiamo comperato per ognuno anche un libro: un profilo di un soldato vicentino caduto sul fronte occidentale”. (Gemma Pedrina di Toara) “17 novembre: il giorno 18 novembre, giornata del Fiocco di Lana, si farà la raccolta della preziosa materia per trasformarla poi in caldi indumenti per i soldati. Gli alunni si sono offerti con entusiasmo di andare per le famiglie a fare la raccol- 274 “15 dicembre: gli alunni, tutti indistintamente, hanno voluto preparare una letterina d’augurio per i soldati; ognuno ha cercato di esprimere la propria ammirazione ed il fraterno affetto verso i nostri bravi soldati. Abbiamo scritto anche a nome del Fascio di Villaga a tutti i richiamati o in servizio di leva del paese di Belvedere”. (Lucinda Testa) “18 dicembre: il Natale ci trova un’altra volta in armi, al nostro posto di dovere. Ho fatto scrivere agli scolari parecchie lettere di augurio ai soldati lontani. Un augurio vasto e commovente che abbraccia tutti i nostri combattenti”. (Maria Oliviero di Villaga) Anno 1942 “22 gennaio: arriva qualche lettera di risposta dei soldati che hanno ricevuto gli auguri dagli alunni di Belvedere. Tutti si dimostrano molto riconoscenti per il gentile pensiero e desiderosi di ricevere ancora notizie. Questi bravi giovani comunicano una grande fede ed entusiasmo per la difficile impresa in cui sono impegnati. Gli alunni si sono presi a cuore questa corrispondenza e spontaneamente rispondono con vero sentimento”, (Lucinda Testa) “11 febbraio: la conciliazione fra lo Stato e la Chiesa avvenuta per volontà del Papa Pio XI e di Benito Mussolini è un evento importante. Abbiamo fatto la celebrazione in classe, ricordando il fatto storico sul quaderno della Patria”. (Maria Oliviero) “22 dicembre: prima delle vacanze gli alunni hanno scritto una lettera a tutti i soldati. Ai combattenti della Russia, a nome del Fascio e delle scuole, fu spedito anche un pacco”. (Matilde Dani) Anno 1943 “3 aprile: anche nella scuola si respira l’atmosfera di ansia e di aspettazione che anima le famiglie di questo paese. Di giorno in giorno arriveranno i reduci della Russia; tra i bambini qualcuno attende qualche parente”. (Libera Furlan di Villaga) 275 CAPITOLO UNDICESIMO IL FASCISMO E LA SECONDA GUERRA MONDIALE RACCONTATI DALLE MAESTRE Anno 1944 “9 ottobre: inizio l’insegnamento nelle classi terza e quarta a me affidate con l’orario al pomeriggio dalle ore 13 alle ore 17. Le lezioni vengono impartite in una stanza provvisoria poiché le scuole di Belvedere sono occupate dai soldati”. (Giovanni Resina di Belvedere) “1 aprile: l’azione dei bombardieri si è intensificata; rumore frequente, più nervosismo ed assenteismo dalla scuola. Si prevede che tale situazione non possa continuare per molto ancora. Quale sarà il prossimo avvenire? I fatti bellici dimostrano che gli eventi precipiteranno”. (Libera Furlan) “10 novembre: il primo giorno di lezione fu il 6 novembre. Non fu possibile iniziare prima per mancanza di locale. L’aula unica è una cucina e dista dal centro del paese Km 2. A causa di tale distanza e per il timore di mitragliamenti aerei ci sono pochi frequentanti. Le classi vengono alternate. Gli iscritti della Scuola del lavoro sono 43 e i frequentanti 12. (Matilde Dani) “2 aprile: si sono riprese le lezioni; la frequenza lascia sempre molto desiderare per la paura dei mitragliamenti. Anche quelli che frequentano, quando passano gli aerei, si agitano e sono presi da gran timore”. (Matilde Dani) “19 aprile: E’ impossibile continuare la scuola! Le truppe tedesche sono in ritirata; tutto è sconvolgimento, tutto è disordine. Attendiamo”. (Libera Furlan) “13 novembre: da pochi giorni abbiamo iniziato le lezioni in Villaga. Il nostro edificio è stato occupato dalle truppe tedesche ed ora ci troviamo in una stanza di una casa di campagna, in località Oche. Non è l’ambiente più adatto per la sua umidità e per la sua posizione esposta ai colpi dei bombardieri che tentano di colpire la vicina linea ferroviaria”. (Libera Furlan) “25 aprile: nessun alunno si presenta a scuola; il fronte si avvicina. Alcuni sfollano perché temono che qui si faccia resistenza. C’è qualche preparativo e grande movimento di truppe tedesche”. (Matilde Dani) “20 novembre: siamo sprovviste di tavola nera. Sono adoperate tutte dalle truppe tedesche per la scuola degli allievi ufficiali. Più volte mi sono interessata personalmente per ottenerne una. Mi rispondevano che siamo in guerra, che ci sono cose che interessano più della scuola di Villaga”. (Matilde Dani) “5 maggio: passata è la tempesta. La scuola non l’abbiamo ancora ricominciata. Gli Americani sono giunti improvvisamente nei nostri paesi alle spalle dei tedeschi, i quali furono nell’impossibilità di opporre qualunque resistenza. Dobbiamo ringraziare Iddio con sconfinata riconoscenza e ciò vorrò farlo comprendere ai miei alunni appena potrò”. (Libera Furlan) “1 dicembre: siamo state invitate a raccogliere offerte per i profughi e i sinistrati della Provincia, rivolgendoci anche presso le famiglie più facoltose. Tutti hanno risposto generosamente e questo mi ha fatto tanto piacere perché dimostra che, fra tanto odio di partito, il popolo ha il cuore buono e sente pietà per chi soffre”. (Matilde Dani) “10 maggio: torniamo a riprendere le lezioni dopo il passaggio della guerra che, grazie a Dio in questa zona non ha avuto conseguenze dannose. Molto panico e nulla più”. (Matilde Dani) Anno 1945 “1 marzo: i bombardieri ci visitano continuamente; i bambini sono distratti e mentre seggono sui banchi corrono con la fantasia a ciò che potrà succedere non molto lontano. Parecchie mamme non mandano più i loro figli a scuola e hanno ragione”. (Libera Furlan) “15 maggio: riprendiamo le lezioni dopo la risoluzione della guerra, e sembra quasi un sogno di ritrovarci a scuola tutti sani, per grazia di Dio, dopo quelle giornate burrascose. I fanciulli hanno da raccontare le proprie esperienze e molto difficile riesce il richiamo della loro mente alla vita scolastica”. (Matilde Dani) “2 marzo: la frequenza è sempre oscillante ed il profitto, che anche da questa dipende, è molto scarso. Il pericolo per le incursioni è abbastanza grave anche qui a Belvedere, perciò non posso insistere presso le famiglie perchè mandino i piccoli, specialmente quelli che stanno nella borgata un po’ discosta denominata Quargente”. (Lucinda Testa) 276 277 Fine anni ‘50: le maestre Dani e Munari premiate in occasione del’addio alla professione di insegnanti. Scolaresca di Villaga Soldati di Villaga della Seconda Guerra Mondiale. 278 CAPITOLO DODICESIMO TESTIMONIANZE 1. LE 98 PRIMAVERE DI UMBERTA DE MARCHI, VEDOVA TOGNETTI Umberta De Marchi, vedova Tognetti, classe 1909, con i suoi 98 anni portati magnificamente, è la persona più longeva abitante nel nostro Comune. E’ quindi la memoria storica del paese, grazie anche ad una lucidità ancora intatta. Nata a Toara il 16 maggio 1909 da Giovanni e Anna, frequentò l’asilo infantile assieme alla sorella Maria, che poi in età adulta si fece suora. Andò poi alla scuola elementare ed ebbe come maestra la zia Edelinda Campesato, figura carismatica che insegnò per 35 anni a Toara. A quel tempo, siamo negli anni della grande guerra, era parroco don Agostino Ancetti, oramai molto anziano, che era coadiouvato da un giovane cappellano di nome Giuseppe Sgarbossa. “Berta” ricorda che andava a lezione di canto in chiesa; Toara infatti aveva una grande tradizione nel canto liturgico grazie anche all’attenzione dei parroci che sostenevano tale iniziativa. Poi, subentrò alla guida della parroc- Umberta De Marchi fotografata vicino all’altare della chia, a partire dal 1919, don Pietro Chiesa di Villaga. 279 CAPITOLO DODICESIMO TESTIMONIANZE Vigolo, di cui Berta ricorda il carattere allegro, scherzoso, gioviale. Allora i ragazzi erano molto uniti tra loro, giocavano nella piazza, nelle piccole corti delle case e amavano fare passeggiate sul monte sopra Toara e verso le Riveselle. I punti di riferimento erano il bar di Giuseppe Pagliarusco, dove gli adulti e gli anziani giocavano a bocce, e il lavatoio pubblico dove le donne lavavano la biancheria; c’era anche un piccolo lavatoio in cui i bambini si divertivano a giocare con l’acqua. Berta rammenta con piacere le contessine Amalia e Antonietta a cui era molto affezionata, il conte Giulio Conti Barbaran, molto generoso e disponibile verso tutti. Allora la vita economica del paese di Toara gravitava sulla villa e quasi tutti gli uomini erano al servizio del conte. Tra la gente si respirava il clima di una grande famiglia e i conti hanno sempre operato con molto rispetto e benevolenza conquistandosi la stima dell’intero paese. Il 29 dicembre 1934 Berta ha sposato Rino Tognetti, di professione falegname, ed è andata ad abitare a Villaga, vicino alla Commenda di S. Silvestro. Sin da giovanissima imparò l’arte della sarta: per lei cucire, ricamare, confezionare abiti era una vera e propria passione; nella sua casa aveva attivato un laboratorio di sartoria in cui lavoravano varie giovani per luogo. Poi, all’età di 47 anni ha conosciuto un momento molto difficile: una grave malattia ai reni, durante il periodo della seconda guerra mondiale, rischiò di portarla alla morte. Operata d’urgenza, le fu asportato un rene e fu la sua salvezza. Consapevole di aver ricevuto una grazia, pensò di far voto alla Madonna delle Neve che l’avrebbe sempre servita. Da allora si occupa dell’oratorio posto nei pressi della chiesa e prega ogni giorno la Madonna recitando il Rosario. Attualmente trascorre serenamente le sue giornate lavorando a ferri, a uncinetto e con la macchina da cucire; inoltre dedica le sue attenzioni al giardino e ai fiori che rendono bella la sua casa, nella quale vive con il figlio Gianni e la nuora Gabriella. Gervasio Bruttomesso, nato a Villaga il 25 dicembre 1920, è attualmente l’ultimo testimone nel Comune di Villaga della tragica epopea della guerra sul Don e della ritirata dalla Russia. Nel novembre 1940, Gervasio venne arruolato nel Battaglione Val Leogra, della Divisione Julia, 9° reggimento, e mandato a combattere in Albania. Passato come rinforzo al 14° Battaglione Val Sella, venne inserito in una squadra di pronto intervento che aveva il compito di resistere al ripiegamento del fronte greco. Colpito da una affezione epatica, nel giugno 1941 fece ritorno temporaneamente in Italia dove fu curato nell’ospedale di Riccione Qui ricevette la visita del duce, Benito Mussolini, che passò a salutare i soldati convalescenti che vi erano ospitati. Dopo essere rientrato al Corpo, a Gorizia, aggregato al 9° Reggimento Alpini, nell’agosto del ’42 partì per il fronte russo. Arrivò in Russia con un interminabile viaggio in tradotta, compiuto attraverso l’Austria, l’Ungheria, la Polonia, per giungere a Kiev e a Jsjum. Poi altri 250 chilomentri di marcia, a piedi, fino al Don dove arriva alla metà di settembre. Qui il Corpo d’armata alpino aveva ricevuto il compito di presidiare la fascia compresa tra Nowopo Kalitwa e Pawlowsk, nella parte sinistra dello schieramento dell’Armir. Il 6 ottobre i Gervasio Bruttomesso all’eta di vent’anni. Sovietici sferrarono un violento attacco ma vennero respinti. Le penne nere si accinsero quindi a rafforzare il loro schieramento realizzando una fitta rete di trincee, caposaldi, camminamenti, posti di osservazione e baracche, anche in vista di passare l’inverno sulle rive del Don. In seguito, l’11 dicembre iniziò il grande attacco delel truppe russe. Quattro giorni dopo, il 15 dicembre, l’83^ compagnia cannoni, di cui fa parte Gervasio Bruttomesso, venne trasferita come gruppo di pronto intervento a Selenij Jar, vicino a Rossosch. Qui, ricorda Gervasio, ingaggiammo una durissima battaglia campale con attacchi e contrattacchi, incursioni e attraversamenti del fiume Don ghiacciato, che durò più di un mese. Fu uno scontro terribile, con l’uso anche dei cannoni, che provocò migliaia di morti, tra cui i due fratelli Maccà di Ponte di Mossano. Uno di questi, con la slitta lo portammo fuori dal campo, orribilmente schiacciato dai carri russi. A seguito dello sfondamento del fronte a nord e a sud, nel gennaio 1943 le truppe italiane cominciarono a ritirarsi dalla sacca del Don. Per lo sbandamento provocato dagli incessanti attacchi dei Russi, Gervasio perse contatto con la sua compagnia. Dopo alcuni giorni, vagando qua e là, riuscì a inserirsi nel Battaglione Vicenza. Gervasio ha ancora impresso nella memoria quel terribile inverno trascorso tra i combattimenti, gli stenti per la fame e i rigori del freddo. Egli racconta che “una sera mi sono tolto gli scarponi; avevo i piedi congelati che si erano gonfiati e così non sono più riuscito a calzarli. Ho dovuto fasciarmi i piedi con pezzi di coperta e così ho camminato per una quarantina di giorni. Un mio commilitone 280 281 2. GERVASIO BRUTTOMESSO, L’ULTIMO REDUCE DELLA CAMPAGNA DI RUSSIA CAPITOLO DODICESIMO TESTIMONIANZE e compaesano, Luigi Tognetti, un giorno mi ha portato sulle spalle per qualche chilometro perché, per il dolore ai piedi, non riuscivo più a camminare. Una sera, stanchi morti, abbiamo sfondato la porta di un’isba; dentro abbiamo trovato una quarantina di donne e bambini. Ci hanno cucinato un pollo che avevamo preso in un villaggio vicino. Tutti i villaggi erano occupati solo da donne e bambini e vi regnava un’enorme povertà; da mangiare c’erano solo patate e semi di girasole”. Un giorno del gennaio 1943, durante uno scontro a fuoco con i sovietivi, Gervasio e alcuni suoi compagni, rifugiatisi in un’isba, vengono attaccati a colpi di mitragliatrice: “una pallottola mi colpisce al ventre, ma si tratta di una strisciata superficiale, senza neppure il bisogno di essere disinfettata. Avevo in tasca una forchetta che ha deviato il colpo, il rebbio di mezzo si è rotto ma mi ha salvato la vita. Quella forchetta ora si trova conservata in un quadretto “per grazia ricevuta”, all’interno della chiesetta della Madonna della Neve a Villaga, a cui sono molto devoto”. Bruttomesso ricorda poi la lunga marcia di trecento chilometri per uscire dall’accerchiamento di Nicolajewka e dalla sacca del Don; l’estenuante cammino verso Karlov e la strada del ritorno con la tradotta. dei corrieri, la ferratura anche più solida doveva essere sostituita per l’inevitabile usura e per“incidenti di percorso”, quali il distacco di qualche ferro o qualche danno allo zoccolo o all’”ongia”dell’animale. 1 Il Lavoro di maniscalco venne proseguito dal figlio Oreste il quale, col fratello, aprì verso la fine degli anni ’50 una bottega artigianale nei pressi di Belvedere dove, oltre al tradizionale lavoro di ferrare gli animali, si mise a forgiare il ferro e a produrre attrezzi di vario genere. Divenne quindi “favaro”, ritenuto in passato un mestiere indispensabile e molto considerato in una società dove tutto si faceva a mano. Oreste si distinse nel suo lavoro per ingegnosità, al punto da brevettare un sarchiatore a carriola da utilizzare per il frumento, le barbabietole, le carote, e per altre coltivazioni, che riscosse molto successo. Nel brevetto si legge che “si realizza un attrezzo agricolo atto a ripulire dalle erbe dannose la terra intermedia e a rigettare la terra a ridosso delle piantine stesse”. Oggi Oreste è un tranquillo pensionato, il quale conserva ancora, al pianoterra della sua abitazione, gli attrezzi del mestiere: l’incudine sul quale forgiava il ferro, una lunga serie di tenaglie che servivano a tenere il pezzo di ferro da lavorare, i martelli, le mazze, la fucina dove veniva riscaldato il ferro, le forbici, fino alle saldatrici e ai motori elettrici che, col progresso tecnologico hanno compensato lo sforzo muscolare del fabbro, un lavoro nobile e antico quanto l’uomo. 3. I FERRARI, UNA FAMIGLIA DI MANISCALCHI E DI FABBRI I Ferrari di Toara, di professione maniscalchi, erano conosciuti in tutto il Comune di Villaga. Fu Tiziano (classe 1895) a imparare l’arte del “feracavai” e a lavorare nell’azienda di Pasquale Piovan e poi del figlio Gino, che a quel tempo utilizzavano gli animali da tiro per il trasporto del materiale indispensabile per fare la calce. Tiziano, all’età di vent’anni, venne chiamato alle armi e combattè nella prima guerra mondiale sul Carso, nella provincia di Gorizia. Negli anni Venti trovò impiego nella ditta Piovan, alla fornace, dove aveva bottega e si occupava di ferrare il bestiame. I maniscalchi, si può dire, a quel tempo svolgevano la stessa funzione dei “meccanici” attuali, solo che al posto del motore delle macchine e dei camion, si trovavano a lavorare sugli animali “da tiro” o “da trasporto”: I fratelli Ferrari Oreste e Giuseppe. cavalli di varie razze, dai muli ai “musi”, dai bò (buoi) alle vacche. E con le strade di campagna, che si dovevano percorrere tra buche, sassi e polvere, dopo qualche mese, per le bestie da tiro o 4. ELETTRA MIGLIORANZA: MEMORIA STORICA DI BELVEDERE Elettra Miglioranza, classe 1921, da sempre vive a Belvedere, perciò ha assistito ai fatti più significativi che hanno contraddistinto la vita della comunità a partire dagli anni venti. Il suo ricordo più lontano nel tempo è legato alla venuta delle nuove campane, che ebbe luogo il 20 dicembre 1924. Le campane, volute da don Pietro Vigolo, giunsero dalla stazione di Sossano portate su un carro trainato da alcuni buoi e da un asinello, tutto bardato a festa, di Sante De Marchi. I bronzi, provenienti da Verona, nel giro di pochi giorni vennero collocati nella cella campanaria e cominciarono a suonare a distesa il 4 gennaio 1925, quando furono benedette nel corso di una solenne e molto partecipata celebrazione. Altro ricordo impresso nella sua lucida memoria è l’inaugurazione della nuova scuola elementare, avvenuto nell’ottobre 1929. Fu un fatto davvero importante per la piccola comunità di Belvedere che, finalmente poteva contare su un edificio in grado di accogliere i tanti fanciulli che a quel tempo frequentavano la scuola pubblica. Centri della vita economica a quel tempo era la tenuta del Castello e la grande fattoria della famiglia Cengiarotti, dove lavoravano parecchi braccianti del paese. 1 E. Borsatto, La lavorazione dei metalli (I maniscalchi), in Mestieri e saperi fra città e territorio, Banca Popolare Vicentina, Neri Pozza editore, 1999, pag. 372 282 283 Primi anni del ‘900: la strada che porta alla chiesa e all’interno delle mura del Castello di Belvedere. CAPITOLO DODICESIMO I riferimenti della vita sociale erano invece rappresentati dalle osterie: Elettra ne ricorda due: quella di Campedel Remo, poi rilevata da Graziosa Corrà che la trasformò in trattoria; quella di Crivellaro Adelchi. Erano poi presenti in paese tre negozi di generi alimentari i cui titolari erano: Menegon Emma, Brognara Augusta e Miglioranza Giulio. Elettra, sin da giovanissima, profuse le sue migliori energie al servizio della parrocchia e della chiesa di Belvedere. Si dedicò infatti all’insegnamento della dottrina cristiana, alla divulgazione della “buona stampa”, all’animazione dei gruppi di Azione Cattolica che negli anni Quaranta avevano cominciato a muovere i primi passi. Assistette poi all’erezione della curazia Anni ‘40: le sorelle Elettra e Vanda. nel 1943 e alla venuta del primo curato, don Ciro Ellero, poi alla fine del ’45 giunse don Giosuè Billo che profuse le sue energie nell’abbellimento della chiesa e nella creazione di nuove strutture quali la canonica e l’asilo infantile. Elettra ricorda anche la gioia dei parrocchiani di Belvedere all’annuncio del decreto di costituzione della nuova parrocchia ad opera del vescovo Zinato, nel novembre 1953. Don Giosuè guidò la parrocchia di Belvedere per 35 anni, fino al 1980, ed ebbe sempre al suo fianco Elettra che lo sostenne in tante iniziative, assieme al sagrestano Gino“Ciavin”(Muraro) e a tanti altri che concorsero a far crescere moralmente e spiritualmente la comunità. Ancor oggi Elettra è sulla breccia, più attiva che mai, ancora desiderosa di rendersi utile per il bene della parrocchia e dei suoi fedeli. Anni ‘40: veduta della piazza di Belvedere con al centro il vecchio olmo sotto il quale vi era una panchina in pietra. 286 CAPITOLO TREDICESIMO EDIFICI RELIGIOSI E ARTISTICI 1. CAPPELLA MADONNA DELLA NEVE Nei pressi di Villaga sorge un piccolo sacello dedicato alla Madonna della Neve, che secondo il Maccà rappresentata un’antica cappella del Monastero di Ognissanti delle monache Umiliate. Lo storico, parlando di Villaga scrive: “Trovasi pure in questa villa un piccolo oratorio dedicato alla Madonna della Neve delle monache di Ognissanti di Vicenza, posto poco distante dalla medesima parrocchiale”1. Probabilmente alla cappella era collegata una costruzione assai nobile, che costituiva il centro amministrativo delle proprietà del convento di Ognissanti che a Villaga possedeva terreni e case. L’origine non è nota: il titolo è comunque abbastanza antico e frequente in cappelle o chiese edificate nel corso del XV-XVI secolo. La notizia più antica riferita alla chiesetta è la visita pastorale del vescovo Michele Priuli (Archivio della Curia di Vicenza,Visitationes, b. 4 / 0556), il quale, il 1° ottobre 1583, dopo aver visitato la chiesa parrocchiale, si recò anche al sacello dedicato alla Madonna della Neve che aveva un unico altare marmoreo non consacrato. Ordinò di fornirlo di candelabri decenti da collocare nell’altare che conservava l’antica immagine della Madonna; poi prescrisse di fornire la chiesetta di una stola, un calice, una pianeta e un messale riformato. Più tardi, nel 1645, il Vicario generale Giuseppe Zaghio visitò la chiesetta (Visitationes, b. 8 / 0560) intitolata alla Beata Vergine Maria e ordinò che la mensa dell’altare fosse coperta con una tela cerata e nella parte superiore fosse posto un piedistallo. Ordinò pure di apporre sopra il frontespizio del sacello una croce e nell’oculo e nelle finestre delle grate di protezione. In una successiva visita del 1790, il vescovo Marco Zaguri sospese l’altare, ordinando che fosse provvisto di una nuova pietra sacra (Visitationes, b. 20/0572). La chiesetta, agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso, si trovava in precario stato di conservazione. 1 G. Maccà, Storia del territorio vicentino, tomo IV, pag. 345 287 CAPITOLO TREDICESIMO EDIFICI RELIGIOSI E ARTISTICI Il nuovo parroco don Tito Meneguzzo si prese a cuore le sorti del cadente oratorio e lo fece restaurare nel 1935 con l’aggiunta del pronao. Da allora, ogni anno, il 5 agosto la comunità cristiana di Villaga si raccoglie attorno alla chiesetta per rinnovare i voti fatti nel 1935 ( per invocare la pioggia ) e nel 1944 ( per chiedere la protezione dei soldati villaghesi e della popolazione dagli orrori della guerra). In tempi più recenti, nel 1987, l’oratorio è stato restaurato grazie all’intervento di numerosi parrocchiani e degli alpini, e al contributo dell’Amministrazione comunale che ha permesso anche la sistemazione del vicino piazzale. Oggi il piccolo sacello presenta un vano rettangolare con tetto a capanna preceduto da un grazioso portico, caratterizzato da quattro colonne che sostengono un ben proporzionato frontone triangolare nel quale è collocata una lapide che reca la dedicazione alla “B. Mariae V. ad Nives”.2 A occuparsi amorevolmente della chiesetta è “ Berta”Tognetti, una arzilla ultranovantenne molto legata alla Madonna della Neve a cui è riconoscente per le grazie ricevute coloso che, secondo la tradizione, precedette la fondazione della grande basilica di Santa Maria Maggiore di Roma. Narra infatti una leggenda popolare che, durante il pontificato di Papa Liberio, un nobile senza prole e molto ricco, un certo Giovanni, pregò la Madonna di indicargli il modo di onorarla. La notte precedente il 5 agosto 352, mentre il caldo estivo opprimeva Roma, Maria apparve al devoto patrizio e gli disse di far erigere un santuario sul luogo ove al mattino seguente sarebbe caduta la neve. Anche il papa Liberio ebbe la medesima visione. E quando al mattino si vide biancheggiare di neve l’Esquilino, il papa, insieme con il clero e il popolo, si recò in processione sul luogo del miracolo e vi tracciò le linee di quella basilica che dapprima fu chiamata Liberiana, poi S. Maria al Presepio, a motivo della mangiatoia, culla di Gesù, che vi conserva, ed infine S. Maria Maggiore, la più grande e più importante delle basiliche dedicate alla Madonna. Grazie alla divulgazione orale del fatto, la devozione alla Madonna della Neve si diffuse in ogni angolo del mondo cristiano raggiungendo sia le grandi città che le località più sperdute. E, in forza della venerazione del culto della Madonna, sorsero cappelle, chiese, santuari che richiamano il miracoloso avvenimento. IL CULTO DELLA MADONNA DELLA NEVE 2. VILLA BARBARAN, CONTI, PIOVENE PORTO GODI L’oratorio di Villaga è dedicato alla Madonna della Neve, una titolazione presente in altri centri del nostro territorio (a Campiglia dei Berici, a Lumignano, a Villa di Fimon, ad Altavilla, a Spessa di Cologna Veneta) e collegata a un evento mira- Situata nel cuore di Toara, piccolo borgo di 250 anime, villa Barbaran Conti Piovene Porto Godi è uno splendido complesso architettonico che ha mantenuto nel tempo la sua vocazione originaria di villa di campagna, perfetta- Chiesetta della Madonna della Neve. Villa Piovene Porto Godi a Toara. 2 G. - N. Garzaro, Santa Maria ad Nives del Pavarano in Campiglia dei Berici, Parrocchia di Campiglia, 2004, pag. 27 288 289 CAPITOLO TREDICESIMO EDIFICI RELIGIOSI E ARTISTICI mente inserita nel territorio e funzionale al lavoro dei campi. Il Cevese scrive che “la sua posizione, lontana dalle strade di traffico, l’ha preservata fino ad oggi dagli insulti dell’uomo moderno e anche le lunghe praterie – che corrono tra l’altura del castello di Belvedere e il colle che si spinge fino ad Orgiano – hanno la bellezza che è della natura ancora intatta”.3 “La villa – osserva Verlato - , assieme alla semplice chiesa e al compatto borgo di Toara, costituisce un quadro di invidiabile bellezza, tipica dell’ambiente dei Berici, anche se sconsiderati interventi (una cervellotica piazza e recenti alterazioni edilizie) hanno portato un tocco di presunta modernità”.4 Il complesso fu edificato verso la fine del Cinquecento da Flavio Barbarano che trasformò il vecchio edificio rurale in palazzo, circondò di mura il brolo e costruì nel 1602 il maestoso portale bugnato che ancora oggi accoglie chi arriva in paese dallo stradone dell’Albaria. Posta nel lato a nord della corte, la villa si eleva su tre livelli e presenta una facciata impreziosita da un’ampia scalinata e da una porta di accesso con profili a bugna, sopra la quale spicca lo stemma nobiliare dei conti Barbarano. Ai lati del portale si aprono simmetricamente le sei finestre del piano nobile, rettangolari, trabeate e con fregio pulvinato. In corrispondenza con le finestre del primo piano si trovano al secondo e nel sottotetto altrettante finestre rettangolari, con cornice modanata, e quadrate, con cornice piatta”.5 Purtroppo la villa ha subito gravi manomissioni nell’Ottocento, segnalate dal Cevese; pertanto è stata in parte alterata la primitiva fisionomia cinquecentesca, di cui comunque rimangono elementi architettonici significativi. All’interno, sono degni di nota l’originale pavimento del salone d’entrata, la sala centrale e l’ultimo vano a sinistra, altissimo e coperto da volta, che, secondo il Cevese, faceva parte di una torre, poi inclusa nella costruzione cinquecentesca.6 Ciò è avvalorato dall’analisi delle mappe rinvenute nell’Archivio di Stato di Venezia che documentano la situazione della villa prima e dopo la ristrutturazione e l’ampliamento del nucleo primitivo. Il complesso di fabbricati, disposto a “U”, oltre alla villa, si articola in due barchesse, quella di destra più elaborata, con travature in legno, probabilmente del Seicento, collegata a rustici che delimitano la corte; quella di sinistra con un lungo portico a colonne tuscaniche che si affaccia sulla strada ed è affiancato dalla cappella gentilizia di cui parleremo in seguito. Degno di nota è poi il giardino, un tempo famoso per la presenza di una ricca cedraia (ora non più esistente), posta sul lato sinistro e protetta da un’alta mura. Attualmente la villa è sede dell’azienda agricola “Piovene Porto Godi Alessandro”, di proprietà dei fratelli Tommaso e Marioantonio Piovene. 3 R. Cevese, Ville della provincia di Vicenza, Milano 1971, pag. 546 4 A. Verlato, Villa Piovene Porto Godi in località Toara di Villaga, in Villaga: in cerca del tempo perduto, Gruppo culturale Villaga, 1990, pag. 6 5 AA.VV, Ville venete: la provincia di Vicenza, Istituto regionale ville venete, Marsilio, 2005, pag. 586 6 R. Cevese, Ville della provincia di Vicenza, pag. 546 290 3. ORATORIO DI SAN GIORGIO L’oratorio dedicato a San Giorgio, patrono della parrocchia di Toara, è un piccolo sacello che appartiene al complesso di villa Piovene Porto Godi a Toara . Nel 1701 venne eretta la cappella gentilizia intitolata a San Giuseppe, come segnala lo storico Gaetano Maccà 7. Più tardi, nel 1839, il parroco don Antonio Oratorio di San Giorgio di Toara. Costalunga scriveva in una nota8 che l’oratorio di S. Giuseppe, di proprietà del nob. Marzio Conti Barbarano, è dal medesimo decentemente provveduto. Tale giudizio veniva confermato nel 1861 dal parroco don Antonio Pagani, il quale osservava che tale oratorio è sufficientemente provveduto.9 Alla fine dell’Ottocento, e precisamente nel 1899, un altro parroco, don Agostino Ancetti, nella relazione per l’imminente visita pastorale del vescovo Feruglio, scriveva che l’oratorio di S. Giuseppe, di proprietà del conte Giulio Conti Barbarano, è in buono stato e bene provveduto di arredi sacri per la S. Messa.10 7 G. Maccà, Storia del territorio vicentino, tomo IV, pag. 335 8 Arch, Curia Vicenza, Stato delle Chiese, Toara b. 307 9 Ibidem 10 Ibidem 291 CAPITOLO TREDICESIMO Poi , agli inizi del Novecento, la chiesetta venne intitolata a San Giorgio, ( il santo che, secondo la leggenda, nel terzo secolo dopo Cristo uccise il drago che terrorizzava la Libia e si lasciava placare solo da sacrifici umani) e officiata dal parroco di Toara che celebrava la messa almeno una volta alla settimana . Nella facciata, prospiciente alla strada, si apre il semplice portale inquadrato da una cornice in pietra e sormontato da una finestra ottagonale e da un timpano. Sulla cornice della porta d’ingresso è impressa l’epigrafe: A .DNI M DCCI XXV OCTBIS ( “Anno del Signore 1701 25 ottobre”, riferito alla data di erezione della cappella ). Nell’interno, ad un’unica navata, si osserva un altare in pietra sul quale è posto un vetusto tabernacolo di legno che regge un bel crocefisso e due oggetti contenenti piccole reliquie. Sulla parete sinistra è appesa una tela piuttosto deteriorata raffigurante il martirio di San Sebastiano. Altri due dipinti, fino a qualche tempo fa, ornavano le pareti, ma sono stati portati all’interno della villa per il timore di eventuali furti. Completano l’arredo dell’oratorio due file di banchi che permettono ai fedeli di seguire in modo più comodo le celebrazioni (ora piuttosto rare). Sulla sinistra, da una porta si accede alla piccola sacrestia in cui è conservato un mobile utilizzato per contenere gli abiti talari. All’esterno, sul tetto, spicca il campaniletto a vela, con due piccole campane, collocato sulla parte sinistra dell’edificio. Infine, sul retro dell’oratorio appare un fregio, che un tempo riportava lo stemma della famiglia Barbarano, ora non più visibile. La chiesetta è stata restaurata di recente nella parte esterna e ritinteggiata. 4. VILLA PALMA BEDESCHI Sopra l’abitato di Villaga sorge una nobile costruzione risalente alla fine del Settecento: si tratta di villa Palma Bedeschi, più nota come la Commenda di S. Silvestro, di cui abbiamo parlato diffusamente a proposito degli ordini religioso-cavallereschi presenti nella nostra zona nel Medioevo (Templari e Cavalieri di Malta in particolare). L’artistico edificio, risalente al 1790, a cui si sono aggiunti interventi ottocenteschi, insiste su strutture più antiche, della fine del XIII secolo, utilizzate come ospizio per l’accoglienza e la cura di pellegrini, infermi e persone povere. Attualmente è di proprietà del dott. Guido Bedeschi che, assieme alla compianta signora Eugenia Palma, riscattò la Commenda da un degrado che sembrava irreversibile, tanto da costituire uno degli esempi di restauro più ragguardevoli dell’Area Berica – ha osservato Verlato in un suo scritto.11 Il complesso si sviluppa in due corpi adiacenti che racchiudono una piccola corte su cui si affaccia, sul lato nord, un portico, mentre nel lato a sud è EDIFICI RELIGIOSI E ARTISTICI Villa Palma Bedeschi. presente un piccolo edificio oggi adibito a deposito.12 Il prospetto orientale della villa è caratterizzato da un’ampia terrazza balaustrata rivolta verso la strada, da una porta al piano terra, da un balcone balaustrato al piano superiore, sopra il quale si eleva un piccolo frontone triangolare. Nel lato nord si osserva una torretta cilindrica coronata da una merlatura, alla cui destra si apre un portale sormontato dallo stemma rovesciato dei Templari.13 All’interno è degno di nota il portico con due colonne tuscaniche che sostengono un lungo architrave ligneo, che un tempo era adibito a sala da ospizio. Sulla facciata meridionale dell’edificio, che guarda verso il giardino, è dipinto lo stemma dei Cavalieri di Malta raffigurato da una croce di pace ad otto punte. Un antico acquedotto in cotto, proveniente dalle sorgenti di S. Donato, riforniva di acqua l’antica mansione, mentre ora è utilizzato per le fontane del giardino.14 Davanti alla villa, dall’altro lato della strada, si erge un edificio rustico costruito attorno alla metà dell’Ottocento. Il complesso era poi collegato alla chiesa di S. Silvestro, che si trovava discosta circa duecento metri dal complesso di edifici che un tempo rappresentavano la “Domus hospitalis”. 11 Villa Palma Tedeschi, detta la Commenda a Villaga, in Villaga: in cerca del tempo perduto, Gruppo culturale Villaga, 1990, pag. 4 12 Villa Commenda dei Templari, dei Gerosolimitani, dei Cavalieri di Malta, Chemin, Palma Bedeschi, in Ville venete, la provincia di Vicenza, Istituto regionale delle ville venete- Marsilio, 2005, pag. 629 13 Ibidem 14 A. Verlato, Villa Palma Bedeschi…, pag. 5 292 293 CAPITOLO TREDICESIMO 5. VILLA BARBARANO DETTA IL CASTELLO La villa cinquecentesca, un tempo dei conti Barbarano, detta il Castello15, si trova sulla sommità di una modesta altura alle pendici meridionali dei Colli Berici, nel paesino di Belvedere. L’antico edificio è al centro di una vasta proprietà costituita da 59 ettari di terreno, di cui oramai più della metà coltivati a vigneto, circondati da antiche mura in pietra. Il complesso architettonico si sviluppa attorno ad una corte con aia ed ha una forma ad elle. E’ costituito dalla villa padronale e da annessi rustici.16 Villa Barbarano detta il Castello di Belvedere. Purtroppo il Castello subì nell’aprile 1945 gravi danni in seguito ad un incendio appiccato dai tedeschi in fuga. La sua ricostruzione, intrapresa negli anni successivi, ha profondamente alterato l’assetto degli edifici, come denunciato a suo tempo dal Cevese17, il quale ha precisato che EDIFICI RELIGIOSI E ARTISTICI nè la facciata verso la valle, nè i due lati sul cortile hanno mantenuto la loro fisionomia originaria. Il prospetto principale della villa è rivolto verso l’esterno della corte: vi si accede da una scalinata a doppia rampa, con balaustre in pietra, che porta alla loggia di ingresso chiusa da vetrate e sostenuta da pilastri dorici scanalati, frutto della ricostruzione della fine degli anni Quaranta del secolo scorso, che ha alterato la facciata.18 Fra la nobile dimora e il rustico ad est, si eleva una torre merlata, sorta per scopi militari, ma che poi probabilmente è stata trasformata in torre colombara.19 All’interno, il salone ad oriente del cortile risulta molto basso; il Cevese lo spiega col fatto che esso fu ridotto in altezza per creare maggior spazio al granaio.20 In fondo al salone, poi si raggiungono due sale che non sono state danneggiate dalle fiamme: questi vani conservano ancora dei fastosi stucchi, attribuiti dallo Zorzi a Lorenzo Rubini. Completano i fabbricati gli annessi rustici che si compongono di un’abitazione rurale e di due grandi corpi di fabbrica a forma di elle, uno dei quali con grande barchessa, e che sono serviti, nel corso degli anni, come ricovero per gli animali, come cantine e depositi per le attrezzature agricole.21 La costruzione della villa risale alla seconda metà del Cinquecento, probabilmente a partire dal 1569, data incisa nel maestoso portale di ingresso al viale che porta al Castello. Sconosciuto è invece l’architetto della villa. Cevese ipotizza un collaboratore del Palladio, vale a dire Domenico Groppino che ebbe un ruolo importante anche nella vicina chiesa di S. Antonio abate, un tempo oratorio del Castello; oppure non esclude possa trattarsi di un intervento di Giandomenico Scamozzi. 22 Ora il Castello racchiude i retaggi di storia minore, cioè vissuta dalla gente del luogo, dedita ancora oggi all’agricoltura. I muri del corpo principale e della barchessa sono ricoperti quasi del tutto da foglie di viti americane, che pare vogliano suggellare col verde persino il fulcro del sito, avvolto – nelle belle stagioni – dal verde dei vigneti e degli ippocastani che fiancheggiano il viale. 23 Sino agli anni ’60 del secolo scorso, il Castello era dimora di famiglie, invece ora è adibito esclusivamente ad azienda vitivinicola (ne è proprietaria la “Tenuta Castello di Belvedere”). 15 Tale denominazione viene attribuita al fatto che la villa è posta sulle fondamenta di un antico castello o torre fortificata, risalente al XIII secolo; per saperne di più consigliamo il saggio di Giorgio Cichellero,Villa Barbarano Castello di Belvedere, contenuto nell’opuscolo “Villaga: in cerca del tempo perduto”, edito dal Gruppo culturale Villaga; altra opera molto documentata è il volume di Maria Grazia Bulla Borga, I nobili Barbarano Mironi a Colloredo, Toara e Belvedere nel Cinquecento”, F.lli Corradin editori. 16 Tesi di laurea: “Villa Barbarano detta Il Castello, a Villaga”, di Luca Favaretto e Laura Tescaro, 1998, pag. 2 17 R. Cevese, Ville della provincia di Vicenza, pag. 545 18 Villa Barbarano, Vianello, Siva, Tenuta Castello di Belvedere, in Ville venete: la provincia di Vicenza, pag. 628 19 Ibidem 20 R. Cevese, Ville della provincia di Vicenza, pag. 545 21 Tesi di laurea: Villa Barbarano detta Il Castello a Villaga, pag. 105 22 R. Cevese, Ville della provincia di Vicenza, pag. 546 23 G. A Bertoli, Il Castello di Belvedere, in rivista “Veneto ieri, oggi, domani”n. 39. 294 295 CAPITOLO TREDICESIMO 6. CASA BARBIERI Percorrendo la strada da Villaga verso Toara per via Salgan, duecento metri dopo casa Gasparini, il tracciato compie una curva ad angolo retto. Sulla destra si imbocca una carrareccia che, in leggera pendenza, raggiunge l’abitazione EDIFICI RELIGIOSI E ARTISTICI stemma di contea, scolpito in pietra, della nobile famiglia di Toara. Nel 1920 l’edificio venne venduto a Luigi Brognara, fittavolo del tempo, e da questi è poi passato alla nipote Lina. La costruzione non ha subito alcuna ristrutturazione; possiede ancora un impianto elettrico in cavi di cotone; l’impianto idraulico serve solamente la stalla. La casa è dotata di un grande camino, attualmente usato per tutte le necessità della famiglia. Vi è poi il cucinone, come una volta, il secchiaio, la vetusta madia, le sedie impagliate e il tavolone in noce. A fianco dell’abitazione si erge la stalla con un ampio portico sulla soglia del quale sta un cane nero, come quelli che un tempo custodivano le greggi. Fuori, il cortile, affollato di animali domestici che razzolano qua e là, e contraddistinto dalla presenza di gelsi secolari. Questo incontaminato “paradiso agreste”, poggiato sull’unghia del colle, incute rispetto al visitatore ma al tempo stesso lo affascina e mantiene le dovute distanze dalla civiltà, continuando l’antica funzione di sorvegliare la pianura sottostante.24 7. FATTORIA ZONIN Casa Barbieri, detta la Casa Rossa. rurale di Mario Barbieri, denominata la “casa rossa”. Secondo alcuni riferimenti storici, nel XII secolo, nel luogo qui indicato, sorgeva una torre di avvistamento in quanto, nelle giornate serene e limpide, si domina gran parte della pianura berico-euganea. Sui resti di tale costruzione sorse in un secondo tempo una casa colonica che ospitava braccianti agricoli. Alcuni anni or sono, durante lavori di sistemazione di una parete è stato rinvenuto un documento di sequestro, datato 1814: ciò fa pensare che il fabbricato sia passato attraverso varie proprietà. E’ quasi certo che l’edificio e le terre circostanti, dal 1814, siano entrate in possesso dei signori del luogo, i conti Piovene (a quel tempo BarbaranoConti) e ciò è confermato dal fatto che sulla della famiglia Conti Barbarano posto facciata della casa è collocato proprio lo Stemma sulla facciata di Casa Barbieri. Lungo lo stradone che conduce a Toara, si osserva, alla sommità di una modesta altura denominata “il Montesello”, un grande edificio ristrutturato, un tempo appartenuto ai nobili Barbarano. Sulla facciata dell’antica fattoria è collocata un’iscrizione che chiarisce la sua origine: “Franciscus et Drusus fratres de Barbaranis ob comoditatem Antica fattoria dei Conti Barbarano, ora Zonin. agricola a fundamentis erexerunt MDCLXXVII” (anno 1677). La casa colonica sorse quindi per far fronte alle esigenze agricole della “possessione”, cioè di una proprietà con oltre 140 campi attorno. La tradizione popolare racconta che anticamente questa costruzione abbia ospitato un convento, che poi andò in rovina, e venne in seguito ricostruita dai Barbarano. Sulla parete est dell’edificio è posto lo stemma nobiliare della famiglia Conti-Barbarano, risalente alla metà del Settecento. 24 Le notizie storiche su questa costruzione sono tratte da un dattiloscritto del prof. Antonio Pozza, appassionato di storia locale 296 297 CAPITOLO TREDICESIMO Stemma della famiglia Conti Barbarano posto sulla parete est del fabbricato. Antico pozzo della fattoria Zonin. Nel secolo scorso vivevano in questa ampia casa-fattoria quattro famiglie che lavoravano i terreni per conto dei proprietari. L’edificio è stato completamente ristrutturato ed oggi è di proprietà della famiglia Zonin. EDIFICI RELIGIOSI E ARTISTICI risultato infatti che i muri furono eretti agli inizi del Quattrocento, mentre il portico in legno e la loggia vennero edificati un secolo più tardi. Più precisamente, analisi dendrocronologiche delle travi portanti del solaio inferiore hanno dato una datazione del legno al 1506, per cui lo studioso Kubelik ha dedotto che la carpenteria fu montata fra il 1506 e il 1509.25 La casa, a pianta rettangolare, si eleva su tre livelli e presenta muri perimetrali molto spessi. La facciata è contraddistinta, al piano terra, da un portico diviso da una colonna con capitello a ovuli, scalpellato. Nella parte superiore si aprono due logge sovrapposte con un piedritto in legno. Il prof. Cevese osserva che il profilo di questa villa non si articola, come nei contemporanei edifici gotici, in una torre a fianco di un corpo orizzontale, ma si caratterizza in una cubatura altissima e stretta che richiama le torri colombare del Quattrocento.26 Purtroppo negli anni ’40 del secolo scorso l’edificio venne spogliato dei suoi elementi scultorei più significativi; la mancata manutenzione ha poi portato ad un progressivo degrado che sta mettendo a rischio la sopravvivenza di questo splendido esempio di architettura minore che merita la più attenta considerazione. 8. VILLA RASIA DANI 9. LA COLOMBARA DEL PARADISO La casa più antica nel Comune di Villaga è certamente villa Rasia Dani, ora Lunardi, che sorge nei pressi del sacello della Madonna della Neve, a un centinaio di metri dalla chiesa parrocchiale. E’ considerata una delle strutture architettoniche più singolari e antiche del Vicentino: dallo studio condotto sulla muratura della parte destra dell’edificio è Lungo via Paradiso, ai piedi del Monte Murlone, più comunemente chiamato Castellaro, si eleva un’antica torre colombara di cui però manca una documentazione storica. La tipologia di questa costruzione, chiamata la colombara del Paradiso, dal toponimo del luogo, deriva dalle antiche torri di difesa che le famiglie nobili nel La colombara Paradiso. La quattrocentesca Villa Rasia Dani. 25 Villa Rasia Dani, Lunardi, in Ville venete: la provincia di Vicenza, Istituto regionale ville venete-Marsilio, pag. 589 26 R. Cevese, Ville della provincia di Vicenza, pag. 545 298 299 CAPITOLO TREDICESIMO EDIFICI RELIGIOSI E ARTISTICI Medioevo innalzavano a protezione della propria dimora e del territorio circostante. Essa è stata ben descritta dal compianto Antonio Verlato il quale osservava che “le sue fondamenta strombate, insistenti su una base affiorante di scaglia cretacica, chiaramente risalenti al periodo gotico, sostengono le alte pareti, come nell’analogo esempio di casa Rasia Dani. Alcune finestre disimmetriche scandiscono i tre piani dell’alta torre, evidente riuso ad abitazione, probabilmente avvenuto verso la fine del ‘600. A tale periodo infatti – sostiene Verlato – potrebbe essere datato l’edificio contiguo, costruito appunto di servizio alla torre. Sormonta il tetto un singolare pinnacolo in pietra, con croce in ferro. A lato si trova una barchessa con stalla, tipica del periodo ottocentesco. Come altre simili costruzioni, un tempo alquanto numerose nella nostra zona, ancor oggi testimonia la sua antica matrice di torre di difesa. Non è da escludere infatti che sia stata luogo di avvistamento, a difesa del sovrastante castello vescovile, soprattutto per la sua posizione dominante verso la strada di accesso a Villaga, che proviene dalla località Oche. Già della famiglia Baldisserotto, attualmente è di proprietà di Renzo Faggionato”.27 Verlato concludeva auspicando uno studio più particolareggiato dell’intero complesso che potrebbe riservare interessanti scoperte per una datazione più sicura. 10. IL PORTICO DI CASA BRUTTOMESSO I portici di Casa Bruttomesso Gervasio. Tra gli edifici architettonici di maggior pregio nel nostro Comune si segnala il porticato di casa Bruttomesso , situato all’ingresso del paese di Villaga. Due pilastri finemente sagomati e risalenti alla seconda metà del secolo XV sono posti all’entrata del vialetto di accesso all’edificio di ascendenza quattrocentesca, già di proprietà dei Cavalieri di Malta (presenti a Villaga a partire dal Duecento), in seguito della famiglia Porto Godi e ora di Bruttomesso Gervasio. Nel cortile è pure conservato un profilo in pietra con scolpito lo stemma, oramai irriconoscibile, dei cavalieri Templari raffigurato da una croce. Secondo un’antica credenza, riportata anche in uno scritto di don Tito Meneguzzo e conservato nell’archivio parrocchiale di Villaga, l’edificio fu anche sede di un monastero femminile appartenente alle monache di Araceli di Vicenza. Tale notizia però non trova conferma nei documenti sinora consultati. 11. VILLA BRUTTOMESSO I pilastri quattrocenteschi del portico di Casa Bruttomesso Gervasio. Villa Bruttomesso è un’antica abitazione signorile dei 1500, situata in via Fornace, un tempo località Oche, nei pressi dello stabilimento “Villaga Calce”. Acquistata agli inizi del Novecento dalla famiglia Zorzi, attualmente è di proprietà dei fratelli Armando e Mario Bruttomesso che la utilizzano come azienda agricola. 27 A. Verlato, La Torre colombara del Paradiso a Villaga, in “Villaga: in cerca del tempo perduto”, pagg. 5-6 300 301 CAPITOLO TREDICESIMO EDIFICI RELIGIOSI E ARTISTICI 12. VILLA CASTAGNA La villa fattoria della famiglia Castagna si trova a Belvedere, lungo la via che dalla chiesa conduce alla strada provinciale Berico-Euganea, un tempo chiamata Strada Regia. L’edificio, orientato a sud, a pianta rettangolare, si articola su due piani; il prospetto principale (la facciata) rivolto verso la corte, presenta una parte centrale caratterizzata da un portale rettangolare al piano terra, sormontato da una porta finestra con poggiolo, retto da mensole in pietra. Al di sopra si eleva un frontone triangolare con al centro un foro a losanga, elemento architettonico insolito nella nostra provincia, poiché si riscontra soltanto nella villa Caldogno-Nordera di Caldogno, attribuita al Palladio. Villa Bruttomesso in ristrutturazione. L’edificio, a pianta quadrata, si articola su due piani più un sottotetto, con il prospetto principale rivolto verso la campagna. La facciata è caratterizzata da un portale centinato al piano terra, sopra il quale è posto un balcone balaustrato in pietra con una porta centinata. Affianca la costruzione un annesso rustico che, verso la strada, evidenzia un arco, ora tamponato, con piedritti in pietra di Nanto e archivolto in mattoni, e, addossato a nord, un corpo più corto con portico ad arcate a tutto sesto.28 Interessanti poi le cantine, costruite a volto, dove è presente un pilastro in cui sono incise una data: 1568, e due lettere: A. B. Purtroppo la villa, nel 1993, ha subito seri danni, a causa di un incendio; pertanto è stata oggetto di un accurato intervento di restauro ben riuscito, che le ha restituito parte della sua originaria bellezza. Villa Castagna fotografata nel 1991 prima dell’ampliamento del fabbricato. Le due ali della facciata hanno ognuna due assi di finestre rettangolari disposte simmetricamente, sopra le quali, per tutta la lunghezza dell’edificio, appare in rilievo una cornice a dentelli, che orna anche il timpano. 28 Villa Bruttomesso, in Ville venete: la provincia di Vicenza, pag. 670 302 303 CAPITOLO TREDICESIMO EDIFICI RELIGIOSI E ARTISTICI 13. STATUE ARTISTICHE: LE MADONNE DI VIA SALGAN NICCHIA DELLA MADONNA CON BAMBINO Sulla parete di un vecchio fabbricato rurale, appartenente alla famiglia Piovene, agli inzi di via Salgan a Toara, si apre una elaborata nicchia che accoglie l’artistica immagine della Madonna col Bambino. Non si sa quando la nicchia fu realizzata. I più vecchi della contrada dicono di averla sempre vista. Certamente fu la nobile famiglia Conti Barbarano a farla edificare. Molto bella, anche se bisognosa di restauro, appare la scultura in pietra che vi è contenuta. Si tratta di un’antica Madonna con Bambino, ritenuta di indubbio valore artistico; colpiscono infatti l’espressione dei volti e l’andamento delle vesti, molto curato, opera di un valente scultore, forse del Cinquecento. A quel tempo, infatti, erano attivi nel Basso Vicentino e, in particolare nella zona di Barbarano, noti lapicidi (artisti della pietra) che hanno lasciato varie testimonianze artistiche. Sotto la nicchia si trova una lapide che riporta la seguente invocazione: “O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che a Voi ricorriamo”. Ingresso di Villa Castagna. All’interno, sono degni di nota una scala in pietra, che porta al piano superiore, e uno splendido pavimento a palladiana in una sala al piano terra. La villa, sino a pochi anni fa, come si nota nella foto, era affiancata a sinistra da un rustico, ora trasformato in abitazione. Staccati dalla casa padronale vi sono poi un lungo portico con stalla e fienile, di epoca settecentesca, e l’antica torre colombara, di origini tardo medioevali. La villa, probabilmente costruita anch’essa nel Settecento su una precedente casa fattoria, era uno dei vari beni posseduti dai nobili Barbarano, proprietari del Castello. In una carta topografica del catasto austriaco, datata 1835, conservata nell’Archivio di Stato di Vicenza, la villa viene denominata “Il Palazzino dei Barbarano”. Essa venne acquistata nella seconda metà dell’Ottocento da Lorenzo Cengiarotti e dal figlio Cesare, poi dal 1958 è divenuta proprietà di Achille Castagna. 304 305 CAPITOLO TREDICESIMO LA VERGINE IMMACOLATA DI CASA FALDA Poco dopo il capitello della famiglia Priante, in via Salgan, si scorge sulla parete di casa Falda, rivolta verso la strada, una nicchia che custodisce la statua dell’Immacolata Concezione. La Vergine viene raffigurata secondo l’immagine della Genesi (primo libro della Bibbia), come la Donna, Regina del mondo, che schiaccia la testa del serpente ingannatore posto ai suoi piedi. Anche se la statua non è ancora stata oggetto di studi specifici, sembra essere di pregevole fattura e risalire probabilmente al Sei-Settecento. L’immagine di casa Falda denota raffinate particolarità artistiche e si caratterizza per la soavità del viso della Vergine, sul cui capo è presente una corona di stelle, e per il portamento molto elegante delle vesti. 306 FONTI D’ARCHIVIO Archivio Curia Vescovile Vicenza Stato delle Chiese, Villaga, b. 330 Stato delle Chiese, Toara, b. 307 Stato delle Chiese, Barbarano, b. 19/A Visitationes: Michele Priuli 4/0556 Bragadino 8/0560 Rubini 11/0563 Zaguri 20/0572 Libri Canonici S. Michele Arcangelo Villaga, b. 168: Liber baptezatorum 1564-1584 Libro dei battezzati, dei morti e dei matrimoni 1646-1678 Libri Canonici S. Giorgio Toara, b. 159: Registro dei battesimi 1607-1661 Registro dei morti 1607-1670 Registro dei battesimi e dei morti 1661-1686 Registro dei matrimoni 1657-1686 Archivio di Stato di Vicenza Arch. Notarile, notaio Domenico Nogarola b. 10031 Arch. Notarile, notaio Girolamo Fabri, b. 1915 Arch. Notarile, notaio Angelo Gottardo, b. 3005 Arch. Notarile, notaio Marco Donaello, b. 13012 Estimi, Balanzon del Vicariato di Barbarano, anni 1544-1564, b. 16 307 FONTI D’ARCHIVIO Estimi, Barbarano e le ville del Vicariato 1665, Polizze, b. 329 Estimi, Comune di Villaga, anno 1703, b. 1384 Corporazioni Religiose Soppresse, Commenda di S. Giovanni di Longara e S. Silvestro di Villaga, b. 3072 Cartografia; b. 3079 e b. 3094 Corporazioni Religiose Soppresse, Scuola del S. Rosario Toara, b. 809 Archivio Parrocchiale di Barbarano Vicentino Prebenda, Decima, Documenti e liti, b. 5, fascicoli B, C, D Catastico generale Decime, anno 1884 Archivio Biblioteca Civica Bertoliana Statuti delle Ville di Belvedere, Pozzolo,Villaga e Toara (24 agosto 1545), nozze Marzotto-Conti Barbarano, Vicenza, Reale Stamperia G. Burato, 1886 Catastico IV, Acque Legge 44 n.1 Archivio Parrocchiale di Villaga Registri Canonici dal 1678 al 1910 Inventario dei beni mobili e immobili della chiesa del 1492 Beneficio parrocchiale Registro Livelli Villaga Inventario e registro dello stato patrimoniale della chiesa di S. Michele Arcangelo dal 31 dicembre 1929 al 15 maggio 1937 Fascicolo: Per il Reverendo paroco di S. Michiel di Villaga, anno 1790 Catastico delle Decime anno 1817 Catastico anno 1828 Archivio Parrocchiale di Toara Registri Canonici dall’anno 1700 al 1901 Inventario dei beni mobili e immobili della chiesa dell’anno 1444 Beneficio parrocchiale Busta Confraternite Libro Cronistorico Archivio Comune di Villaga Registri scuole elementari anni scolastici dal 1928 al 1945 308 309 RINGRAZIAMENTI Stampato con il patrocinio del Comune di Villaga RINGRAZIAMENTI PER LA CONCESSIONE DELLE FOTOGRAFIE: Biasiolo Giovanni Biasiolo Maurizio Biblioteca comunale Barbarano Vicentino Biblioteca comunale Mossano Boscardin Pietro. Bottazzi Silvana Famiglia Bruschetta Bruttomesso Gervasio Cichellero Giuseppe Dani Pierina Danieli Pacifico De Mani Enrica De Marchi Dario Faccin Sandro Faccio Bonifacio Faggionato Gianni Ferrari Bruno Ferrari Gianni Giacomuzzo Luigi Groppo Virginia Lunardi Agostino Lunardi Lorenzo - Bezzolato Annamaria Marchioro Roberto Mattiello Francesco Melato Pierina Miglioranza Elettra Miglioranza Vanda Modenese Gianna Munari Marilisa Omenetto Pietro Pagliarusco Mario Panarotto Mariano Piovene Porto Godi Tommaso Venturini Fabio Vigolo Leriano Si ringraziano per il contributo le aziende: Piovene Porto Godi - via Villa, Toara Agriturismo Belvedere - via Crocenera, Villaga 310