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«Il ricorso col quale si contesta la mancata comunicazione di avvio del procedimento
rischia di essere inammissibile se non si allegano le circostanze che si intendono
sottoporre all’amministrazione»
(Consiglio di Stato, sez. III, 21/01/2015, n. 203)
comunicazione avvio procedimento – non annullabilità – vizi formali
Poiché l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento
amministrativo, espressione degli strumenti partecipativi di cui si
giovano i privati nel contesto dell’azione procedimentale, disciplinato ai
sensi dell’art. 7 della legge 241/90, è strumentale ad esigenze di
conoscenza effettiva da parte del cittadino nella cui sfera giuridica l’atto
conclusivo è destinato a dispiegare effetti, in modo che egli sia in grado
d’influire sul contenuto del provvedimento, si è frequentemente
rilevato (sulla base del disposto ex art. 21 octies della legge 241/1990) che
l’omissione di tale formalità non vizia il procedimento nelle ipotesi in
cui il contenuto di quest’ultimo sia interamente vincolato, nonché tutte
le volte in cui la conoscenza aliunde intervenuta, sì da ritenere già
raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione (v., da
ultimo Cons. Stato, III, n. 3048/2013 e giurisprudenza ivi richiamata).
Ne consegue che, ove il privato si limiti a contestare la mancata
comunicazione di avvio del procedimento, senza essere in grado di
allegare le circostanze che intendeva sottoporre all’amministrazione per
contestare detto vincolo, il motivo con cui si lamenta la mancata
comunicazione è inammissibile, e quindi non potendosi procedere nel
merito, il ricorrente non beneficerà dell’inversione dell’onere della
prova che la disposizione succitata pone in capo all’amministrazione
resistente, la quale in questi casi è chiamata dimostrare che, anche
laddove fosse avvenuta la comunicazione, il contenuto del dispositivo
non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
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REPUBBLICA ITALIANA
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6377 del 2014, proposto da:
Torino Trasporti s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avv. Antonella Capria, Teodora Marocco e Antonio
Lirosi, con domicilio eletto presso Antonio Lirosi in Roma, Via delle Quattro
Fontane, n.20;
contro
Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Torino, Autorita' per la Vigilanza sui
Contratti Pubblici di Lavori Servizi e Forniture, Anac - Autorità Nazionale
Anticorruzione in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e
difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei
Portoghesi, n.12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA SEZIONE III° n. 06685/2014,
Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno,
dell’ U.T.G. - Prefettura di Torino, dell’ Autorita' per la Vigilanza sui Contratti
Pubblici di Lavori Servizi e Forniture e di Anac - Autorità Nazionale
Anticorruzione;
Viste le memorie difensive;
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Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 novembre 2014 il Cons. Roberto
Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Lirosi e dello Stato Barbieri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. - La società Torino Trasporti s.r.l. aveva impugnato davanti al Tar per il Lazio,
sede di Roma, chiedendone l’annullamento, l’informativa interdittiva prefettizia
antimafia del 18 giugno 2013 e la conseguente annotazione sul casellario
informatico da parte dell’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture di cui alla nota prot. R13-1723 del 18 luglio successivo.
La ricorrente esponeva di avere appreso, a seguito di accesso agli atti impugnati e
a quelli del relativo procedimento, che la pregiudizievole nota prefettizia, richiesta
all’UTC di Torino dalla società Lyon Turin Ferroviaire, era stata adottata a seguito
della sottoscrizione del Protocollo di legalità da parte della Torino Trasporti
nell’ambito dei lavori per la realizzazione della tratta ferroviaria Torino-Lione e
che essa era basata sul rapporto di affinità e sulle cointeressenza economiche
correnti tra il sig. Pasquale Colazzo, legale rappresentante della società, e il sig.
Urbano Zucco, soggetto già raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in
carcere del 31 maggio 2011 e da sentenza di condanna per reati inerenti
l’associazione di stampo mafioso e il trasferimento fraudolento di valori, del 2
ottobre 2012 emessa dal GUP del Tribunale di Torino.
A tale sentenza di condanna si è accompagnata la misura della confisca delle quote
(già precedentemente sequestrate in via preventiva il 6 giugno 2011) pari al 50%
del capitale sociale della società “Immobiliare 4 Colonne” s.r.l. appartenenti allo
Zucco, mentre l’altra metà del capitale sociale apparteneva, all’epoca in cui sono
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stati emessi gli atti impugnati, al sig. Pasquale Colazzo; quest’ultimo era stato
amministratore unico della società sino al 29 settembre 2011.
La società ricorrente censurava i provvedimenti impugnati per i seguenti motivi:
-violazione degli articoli 84 e 91 d.lgs. n. 159\2011, eccesso d potere per
travisamento dei fatti, difetto d’istruttoria e violazione del principio di
ragionevolezza e proporzionalità: si sosteneva che il semplice rapporto di affinità
tra il legale rappresentante della società ricorrente e lo Zucco non poteva
giustificare l’adozione degli atti gravati, non rientrando tra le situazioni
automaticamente ostative di cui all’art. 67 del citato decreto legislativo;
- erronea ricostruzione dei fatti operata dal Prefetto in relazione alle vicende
societarie della “Immobiliare 4 Colonne” s.r.l., in quanto non risponderebbe a
verità che le quote societarie e la gestione della stessa erano state assunte dal
Colazzo e dai suoi familiari all’indomani dell’arresto dello Zucco, posto che la
parte di capitale sociale riconducibile a quest’ultimo, sequestrata in via preventiva,
era stata affidata ad un amministratore giudiziario e non vi era prova del
perpetuarsi del controllo della società immobiliare in questione da parte
dell’arrestato;
- non vi sarebbe stato rapporto d’affari fra la ricorrente Torino Trasporti s.r.l. e la
Immobiliare 4 Colonne s.r.l., né frequentazione del sig. Urbano Zucco con il sig.
Colazzo e con i suoi familiari; la confisca delle quote societarie della società
immobiliare a carico dello Zucco sarebbe avvenuta non già in quanto corpo di
reato, bensì solo in quanto esse facevano parte del patrimonio del condannato per
reato di associazione mafiosa e costituivano posta sproporzionata rispetto ai
redditi dichiarati dallo Zucco;
-illegittimità derivata della annotazione della società ricorrente nel casellario
informatico dell’AVCP;
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-violazione dell’art. 7 L. 241\1990 e dell’obbligo di comunicare l’avvio del
procedimento di iscrizione nel casellario informatico dell’AVCP.
Si costituivano in giudizio la Prefettura – UTC di Torino e l’AVCP chiedendo il
rigetto del ricorso.
Il Tar riteneva il ricorso infondato.
Quanto ai primi tre motivi d’impugnazione, trattati congiuntamente, con i quali la
Torino Trasporti s.r.l. assumeva che era errata la ricostruzione fattuale su cui è
basata la pregiudizievole nota interdittiva prefettizia del 18 giugno 2013, secondo
la quale, oltre a rapporti di affinità tra un soggetto condannato per associazione di
stampo mafioso, sussisterebbero cointeressenze economiche tra questi, il legale
rappresentante dell’odierna ricorrente ed i figli di quest’ultimo, il Tar rilevava che
nelle informative dei Carabinieri di Torino del 6.12.2013 e del Nucleo Polizia
Tributaria di Torino del 9.12.2013, emergeva che il centro di comuni interessi
economici tra i soggetti in questione era effettivamente costituito dalla società
“Immobiliare 4 Colonne” s.r.l., costituita nel 2003 dal sig. Pasquale Colazzo e dal
sig. Urbano Zucco, entrambi amministratori sino al 29 settembre 2011, data
successiva a quella in cui il sig. Zucco veniva tatto in arresto (31 maggio 2011).
Pertanto, se era vero che il rapporto di parentela e di frequentazione
dell'amministratore della società ricorrente con un soggetto appartenente alla
criminalità organizzata non poteva costituire, da solo, un presupposto sufficiente
per la emissione di un provvedimento interdittivo, esistevano anche ulteriori
elementi necessari all’emissione di tale interdittiva, anche di natura indiziaria, quali
il carattere plurimo e stabile di dette frequentazioni e la loro connessione con le
vicende dell'impresa, che deponevano nel senso di un'attività sintomaticamente
connessa a logiche e a interessi malavitosi.
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Conseguentemente veniva respinto anche il quarto motivo dedotto, in quanto la
riscontrata legittimità dell’informativa impugnata escludeva in radice l’illegittimità
derivata della annotazione nel casellario informativo tenuto dall’Autorità di
vigilanza.
Né il Tar riteneva condivisibile la censura per cui sarebbe stato violato l’obbligo di
comunicare l’avvio del procedimento.
L’annotazione impugnata era stata inserita nel casellario ai sensi dell’art. 8, co. II,
lettera dd) del DPR n. 207\2010, trattandosi di una iscrizione effettuata
dall'Autorità perché ritenuta utile ai fini della tenuta del casellario.
Per il Tar l’AVCP non aveva altra scelta che procedere a tale annotazione, in
quanto essa si palesava utile, in quanto consentiva alle stazioni appaltanti, tramite
la pubblicità-notizia di cui alla norma citata, di conoscere le connessioni con la
criminalità organizzata dell’impresa in questione.
La mancanza di comunicazione di avvio del procedimento non inficiava la
legittimità dell’iscrizione, ai sensi dell’art. 21 octies, co. II della legge. 241/1990
attesa la natura vincolata del provvedimento.
D’altronde, l'amministrazione aveva dimostrato in giudizio che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Le spese del giudizio venivano compensate.
2. - Nell’atto di appello la società deduce l’erroneità della sentenza insistendo nel
fatto che:
- né la società Torino Trasporti, né la società Quattro Colonne hanno mai
compiuto attività illecite o sono state coinvolte nel processo del sig. Zucco, né
indagate o i beni sequestrati. Peraltro, per le quote della società intestate al sig.
Zucco, la sentenza della Corte di appello di Torino, che pure ha confermato la
condanna dello Zucco, ha comunque revocato la confisca.
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In sintesi la soc. Quattro Colonne non è stata mai strumento di reato o strumento
di condotte illecite ma solo componente del patrimoni personale dello Zucco;
-erroneamente, travisando le emergenze fattuali, la informativa ha ritenuto che le
quote societarie e la gestione della soc. Quattro Colonne sono state acquisite dalla
famiglia Colazzo dopo l’arresto dello Zucco e il sequestro delle quote sociali e che
la stessa società sia stata di fatto controllata dallo Zucco nonostante la formale
gestione della famiglia Colazzo. Al contrario, le quote societarie della società
Quattro Colonne sono state sequestrate da parte della magistratura ed affidate ad
un amministratore giudiziario; peraltro lo Zucco era in carcere e non avrebbe
potuto esercitare il controllo sulla gestione della società;
-erroneamente il Tar ha ritenuto che la soc. Quattro Colonne fosse il centro di
comuni interessi economici tra i soggetti in questione non risultando in alcun
modo, anche nel documento redatto dalla G.d.F. in data 9 dic. 2013, successivo
alla interdittiva, alcun concreto elemento da cui evincere interessi comuni diversi
dalla gestione della soc. Quattro Colonne e tanto meno che fosse in atto un
tentativo di infiltrazione del sig. Zucco nelle attività della Torino Trasporti. La
stessa G.d.F. non ha rilevato alcuna specifica attività illecita in quanto questa dà
atto di come, nelle more del sequestro delle quote del sig. Zucco e della successiva
confisca, l’amministrazione della società sia stata comunque svolta nel rispetto
delle direttive dell’amministratore giudiziario;
- nel documento suddetto si descrivono attività e interessi criminosi del sig. Zucco
che, al di fuori della Quattro Colonne, nulla hanno a che vedere con la Torino
Trasporti;
- nelle telefonate intercettate tra Zucco e Colazzo non vi è alcun riferimento al
settore di interesse della Torino Trasporti, il che conferma come le attività di
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quest’ultima erano del tutto estranee alle attività dello Zucco, né emergevano in
alcun modo attività di carattere malavitoso;
-il rapporto di parentela e di compartecipazione societaria rappresentavano solo
elementi di valutazione in un quadro complessivo al fine di svolgere un giudizio
prognostico attendibile, ma nel caso di specie non esisterebbero elementi effettivi,
attuali e concreti da cui possa desumersi la sussistenza di un rischio di infiltrazione
mafiosa se non il rapporto di parentela;
-in alcun modo la famiglia Colazzo è stata interessata alle vicende della famiglia
Zucco;
-in ordine al mancato avvio del procedimento ex art.7 della legge n.241 del 1990
relativo alla annotazione da parte della AVCP la ricorrente richiama la sentenza
della A.P. n.8 del 2012 rilevando che l’art. 27 co.2 lett. t del dPR n.34 del 2000
citato nella sentenza è stato trasfuso nell’art.8 co.2 lett. dd del dPR 207/2010 ai
sensi del quale è stata effettuata la iscrizione nel casellario informatico a carico ella
società;
- assume che la comunicazione dell’esclusione da parte della stazione appaltante
non poteva costituire equipollente dell’avviso di avvio del procedimento di
annotazione nel casellario informatico, in relazione al quale andava assicurata la
partecipazione dell’interessato.
Si sono costituiti in appello l’ANAC, già Autorità per la Vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture ed il Ministero dell’Interno depositando una
ampia memoria difensiva e insistendo per il rigetto dell’appello.
In vista della udienza di trattazione la società appellante ha depositato una
ulteriore memoria difensiva.
Alla udienza del 27 novembre 2014 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la
decisione.
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3. - La Sezione ritiene opportuno richiamare preliminarmente alcuni principi di
carattere generale in materia di interdittive antomafia, più volte fatti propri dalla
giurisprudenza della Sezione che ha osservato:
- che l'interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a
colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti
contrattuali con la pubblica amministrazione;
- che tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può
essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo
della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
- che, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della
soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del
contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve
necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e
certi sull'esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e
quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta
da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del
pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale
della criminalità organizzata;
- che, anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici
elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o
possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano
l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la pubblica amministrazione, non è
necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per
dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o
mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore
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sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad
eventi verificatisi a distanza di tempo;
- che di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione, il mero
rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata
(non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa),
ma occorre che l’informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela)
anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili
collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato i
pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti;
-che, infine, gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente dovendosi
piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale
possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della
criminalità organizzata.
4. - Calando tali principi al caso che occupa l’appello non merita accoglimento e la
sentenza del Tar deve essere confermata.
Va premesso che il signor Colazzo Pasquale, comproprietario insieme ai figli della
Torino Trasporti s.r.l., dal 30.3.2009 detiene il 50% della proprietà della
Immobiliare Quattro Colonne con sede a Torino, viale Falchera 11/a, costituita
sin dal 2003 dallo stesso Colazzo e dal signor Zucco Urbano che ne possedeva le
restanti quote e risultava essere presidente del consiglio di amministrazione e
consigliere, mentre il signor Colazzo era consigliere. Tale struttura gestionale è
rimasta immutata fino al 29.9.2011, data in cui gli stessi soggetti cessavano dalle
rispettive cariche venendo modificata la forma amministrativa della società, con
un amministratore unico, carica che veniva ricoperta dal sig. Colazzo Antonio
(figlio di Colazzo Pasquale) che assumeva la titolarità dei poteri di
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amministrazione e rappresentanza della Immobiliare Quattro Colonne prima in
capo al sig. Zucco Urbano.
Va evidenziato che dalla documentazione in atti emerge la comunanza di interessi
economici tra la famiglia Colazzo, a cui è riconducibile la società appellante, e la
famiglia Zucco, cui appartiene il signor Zucco Urbano, condannato in primo
grado alla pena di anni 6 e mesi 8 di reclusione per delitto associativo di stampo
mafioso (ex art. 416 bis, co.1,3,4,5,c.p.) e per trasferimento fraudolento di valori
(art.81 cp, 110, art.12 quinquies del d.l. 306/1992), condanna confermata in
appello.
La sentenza penale ha ordinato la confisca delle quote detenute dallo stesso Zucco
della Immobiliare Quattro Colonne s.r.l., già sottoposte a sequestro preventivo
con decreto del GIP del Tribunale di Torino e delle quote di Valle Cervino srl e
Immobilcanavese s.r.l., detenute da Zucco per il tramite di Immobiliare Quattro
Colonne s.r.l..
Dagli atti processuali emerge il ruolo di preminenza rivestito dal sig. Urbano
Zucco nell’ambito della organizzazione criminale, attestata dalla partecipazione ai
momenti più rilevanti della consorteria ed il ruolo della famiglia degli Zucco che
“manovrano molto denaro e costituiscono una fonte sicura di introiti per la organizzazione
criminale”.
Significativo è il fatto che in data 25.7.2007, all’interno degli uffici delle imprese
riconducibili alla famiglia Zucco, situate a Torino, viale Falchera 11/a e 13, tra le
quali la Immobiliare Quattro Colonne, si è tenuta una riunione tra esponenti del
“locale” nel corso della quale è stata conferita una “dote”, ossia un avanzamento di
carriera ad un affiliato.
Pasquale Colazzo, titolare insieme ai figli della società appellante è marito della
signora Giulia Zucco, zia di Zucco Urbano e sorella del deceduto Giuseppe
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Zucco, nato a Locri il 9.3.1933, padre di Urbano e pluripregiudicato, tra altri, per
reati associativi in materia di armi e stupefacenti, già indagato nell’ambito della
indagine “Minotauro” per il delitto di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis,
co.1,2,3,4,5,c.p.), per il ruolo apicale assunto nel “locale” di Natile di Careri (RC) a
Torino.
Sul ruolo della società Immobiliare Quattro Colonne deve osservarsi che nella
ordinanza di applicazione delle misure di custodia cautelare n.619107/9689/28 del
31.5.2011 della Sezione GIP del Tribunale di Torino e nelle informative delle
Forze dell’ordine è emerso che la stessa società è comproprietaria di quote della
Immobilcanavese
s.r.l.
insieme
alla
Canavesana
Costruzioni
(anch’essa
riconducibile agli Zucco) con interessi per la realizzazione di un complesso
residenziale nel Comune di Rivarolo Canavese, sciolto ai sensi dell’art. 143 del
TUEL, per infiltrazione della criminalità organizzata di stampo mafioso. In tali
indagini risultavano acquisite numerose intercettazioni telefoniche di esponenti
della ‘ndrangheta che si coordinavano tra di loro al fine di suddividersi gli incarichi
per la costruzione di un complesso residenziale.
Contrariamente a quanto sostenuto nell’atto di appello, da quanto sopra emerge
un rapporto di concreta cointeressenza economica e di gestione di affari, di rilievo
non certo formale, corroborato da legami di parentela, tra gli appartenenti alla
famiglia Colazzo ed in specie Colazzo Pasquale e Antonio, e Zucco Umberto,
quest’ultimo sicuramente rientrante nell’orbita di sodalizi criminali. Sussistono
quindi indicatori tipici di rischio di possibili infiltrazioni mafiose in relazione alla
comune utilità economica perseguita, rafforzata dal vincolo di sangue, resa
evidente dalla stabilizzazione in un assetto societario implicante relazioni
interpersonali costanti e disponibilità reciproca nella gestione della società Quattro
Colonne.
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Pertanto, se il ruolo dei comproprietari della società appellante non assurge a
rilevanza penale, né risultano indagati il sig. Colazzo Pasquale ed i suoi figli, non
può escludersi, nella prospettiva di anticipazione della difesa sociale rispetto alla
criminalità organizzata in cui si muove la interdittiva antimafia, in rapporto alle
relazioni familiari ed agli interessi economici che hanno accomunato e tuttora
accomunano i Colazzo agli Zucco e per l’appartenenza di Zucco Urbano al
crimine organizzato, un pericolo di infiltrazione o di possibile condizionamento
nella società Torino Trasporti, tanto più se si tiene conto del settore di attività in
cui la stessa società opera, che è quello della raccolta, trasporto, recupero,
trattamento e smaltimento di rifiuti per conto terzi, settore, come noto,
particolarmente permeabile a infiltrazioni della criminalità come da ultimo sancito
dalla legge 6.11.2012 n.190.
L’interdittiva pertanto è supportata da un quadro indiziario persuasivo che regge
alle censure avanzate dalla appellante e la sentenza del Tar in parte qua deve essere
confermata.
5. - Nell’ultimo motivo di appello la società appellante reitera la censura già
respinta dal primo giudice di violazione dell’art.7 della legge 241 del 1990 e
dell’art.8 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010 n.207.
Il Tar rilevava che la l’AVCP non aveva altra scelta che procedere all’annotazione,
in quanto essa si palesava “utile”, in quanto consentiva alle stazioni appaltanti,
tramite la pubblicità-notizia della annotazione, di conoscere le connessioni con la
criminalità organizzata dell’impresa in questione.
Con l’effetto, secondo il Tar, che la mancanza di comunicazione di avvio del
procedimento non inficiava la legittimità dell’iscrizione, ai sensi dell’art. 21 octies
co. II della l. 241/1990.
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Di contro, la appellante richiama quanto affermato da questo Consiglio di Stato
nella sentenza della A.P. n.8/2012 secondo la quale le garanzie partecipative
relative al procedimento di iscrizione nel casellario informatico sono sempre
dovute salvo ad ammettere equipollenti quando la segnalazione da parte della
stazione appaltante e la conseguente iscrizione si configurino come un atto
dovuto. Ciò in relazione alle conseguenze rilevanti che derivano al soggetto da tale
iscrizione e l’indubbio interesse del medesimo all’esattezza delle iscrizioni. Nel
caso, non vi sarebbero stati atti equipollenti alla comunicazione di avvio del
procedimento.
Poiché poi la Autorità ha proceduto alla iscrizione previa valutazione di “utilità
della notizia” (art. 27 co.2 lett. t), al di là di una valutazione automatica andava
comunque garantita la partecipazione della impresa interessata al procedimento.
In sintesi, per l’appellante, coerentemente a quanto sostenuto dalla A.P. nella
sentenza n.8/2012, era necessario garantire la partecipazione della società
ricorrente al procedimento di iscrizione nel casellario informatico.
5.1. -Anche tale censura tuttavia non può trovare favorevole esame.
Deve al riguardo considerarsi che ai sensi del citato art.8 co.2 lett. dd) del d.PR
n.207/2010 vanno iscritte nel casellario informatico “tutte le altre notizie riguardanti le
imprese che, anche indipendentemente dall’esecuzione dei lavori, sono dalla Autorità ritenute utili
ai fini della tenuta del casellario..”.
L’Autorità, sulla base di tale disposizione è tenuta ad acquisire e comunicare tutte
le notizie ed i dati utili per una piena e completa trasparenza nel mercato degli
appalti e tra le notizie utili va sicuramente ascritta l’informativa antimafia resa dalla
Prefettura di Torino, attesa la indubbia importanza che la notizia riveste per la
corretta gestione del casellario e per la piena tutela degli interessi pubblici sottesi
alla disciplina dei contratti; che si tratti di una annotazione doverosa e obbligatoria
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non vi può essere dubbio, né l’Autorità al riguardo poteva arrogarsi alcun tipo di
valutazione discrezionale nell’an o nel quomodo nella annotazione della notizia
trattandosi di una informazione essenziale al fine di rendere edotte le stazioni
appaltanti dell’esistenza di divieti a contrarre con la pubblica amministrazione
derivanti dalla normativa antimafia di cui al d.lgs. n.159/11.
Del resto, come affermato più volte da questo Consiglio di Stato in relazione a
vizi non invalidanti attinenti alla partecipazione al procedimento amministrativo,
poiché l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, ai
sensi dell’art. 7 della legge 241/90, è strumentale ad esigenze di conoscenza
effettiva e, conseguentemente, di partecipazione all’azione amministrativa da parte
del cittadino nella cui sfera giuridica l’atto conclusivo è destinato ad incidere, in
modo che egli sia in grado d’influire sul contenuto del provvedimento, si è
frequentemente rilevato che l’omissione di tale formalità non vizia il
procedimento nelle ipotesi in cui il contenuto di quest’ultimo sia interamente
vincolato, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, sì
da ritenere già raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione (v.,
da ultimo Cons. Stato, III, n.3048/2013 e giurisprudenza ivi richiamata).
Corollario di tale impostazione è che ove il privato si limiti a contestare la mancata
comunicazione di avvio del procedimento, senza essere in grado di allegare le
circostanze che intendeva sottoporre all’amministrazione per contestare detto
vincolo, il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione è inammissibile.
Nel caso in esame dalle argomentazioni formulate dalla appellante società non si
evince alcun elemento utile che, posto all’attenzione dell’Autorità, avrebbe potuto
determinare un diverso contenuto dell’annotazione nel casellario informatico che
si ribadisce rappresenta per l’Autorità un atto dovuto.
Pertanto anche tale motivo deve essere respinto.
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6. - Conclusivamente l’appello non merita accoglimento e la sentenza del Tar deve
essere confermata.
7. - Attesa la peculiarità della vicenda, spese ed onorari del grado possono essere
compensati.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2014 con
l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore
Dante D'Alessio, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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Consiglio di Stato_sez.III_203-2015_D`Auce A