Valentina Notari - Psicologa
Luigina Loporcaro – Ostetrica
AUSL di Modena, Distretto 4
Consultorio Familiare di Sassuolo
✕ 24
settembre 2015
«…voglio ringraziarti per avermi accolta con
umanità e professionalità quel sabato mattina
e ora come ora non importa per me se
allatterò ancora un giorno oppure sei mesi di
più,
per me quello che conta è averti trovata lì…»
LA SOLITUDINE NEL PUERPERIO
“… dopo la nascita del bambino, generalmente i padri restano a casa dal lavoro per
una o due settimane, ma in seguito la madre deve affidarsi alle proprie risorse durante
la giornata. Se ha dei parenti che abitano nei dintorni , questi potranno aiutarla,
altrimenti potrà contare solo sull’aiuto occasionale di amici o vicini di casa…”
(Brafman, 1984, p.155)
5* raccomandazione:
Si raccomanda l’allattamento al seno esclusivo fino al sesto mese compiuto.
Alle madri dovrebbe essere garantito sostegno all’allattamento.
12* raccomandazione:
IL Sostegno psicologico viene raccomandato a tutte in particolare alle donne
ad alto rischio di manifestare la depressione post-partum.
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…L’osservazione del cappello…
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… un elefante da digerire…
Il corpo che
cambia …
L’esperienza
del parto …
Il tempo nuovo
col bambino …
I familiari …
LA DONNA
Le fatiche del
quotidiano …
Le relazioni
che si
trasformano …
La ferita ed
un corpo
nuovo …
Gli altri figli …
La tristezza
che si insinua
…
«…L’essenziale è invisibile
agli occhi…»
Antoine de Saint Exuperi – IL PICCOLO
PRINCIPE-
Prendersi cura della puerpera significa
mettere in pratica la maieutica ostetrica
andando a ricercare l’elefante da digerire.
Gli strumenti per poter affrontare tale
«pachiderma» non è detto che siano
sempre in possesso dell’ostetrica, certo
ha la possibilità di attivare i percorsi di
rete al fine di facilitare la digestione.
Decide qual è il modello assistenziale adatto
alla sua professionalità e alle sue competenze
Se si ferma al cappello accompagna la
puerpera nel percorso di risoluzione clinica del
problema.
Se coglie l’elefante avvia un percorso di presa
in carico e cura della puerpera nella sua
complessità attivando le figure professionali più
specifiche.
Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro,
ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
(Tolstoj)
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Nella nostra cultura la maternità è rappresentata in una dimensione
idealizzata, che vede la donna come la figura centrale nella vita del
bambino.
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Il desiderio di maternità compare piuttosto presto nello sviluppo, ovvero
quando la bambina gioca “alla famiglia” (Pines, 1982)
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“un conto è desiderare un bambino e un conto è essere incinta e aspettare
un bambino, è una condizione da cui non puoi tornare indietro … l’idea di
passare la vita a cambiare pannolini mi spaventa …. Sono andata su
Internet …” (Anna, I colloquio)
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la gravidanza è un periodo di transizione, in cui si verificano profondi
cambiamenti fisici e psicologici, che possono portare la donna ad una
maturazione della propria identità materna oppure a possibili
disorganizzazioni mentali (Amanniti, Gallese, 2014).
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L’assunzione della funzione genitoriale non coincide con la nascita del
bambino, ma rientra nel processo evolutivo del ciclo di vita.
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Nello specifico la genitorialità è frutto di un percorso di coppia ed è indice
di maturità. (Simonelli et al. 2007; Lawrence et al. 2008).
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Fattori biologici, psichici, relazionali e legato al contesto psicosociale
possono modificare il decorso della gravidanza e il suo vissuto (Graziottin,
2005)
SUPPORTO
SOCIALE
RELAZIONE
CON IL
PARTNER
STORIA
EVOLUTIVA
PERSONALITA’
GENITORIALITA
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LAVORO
CARATTERISTICH
E DEL
BAMBINO
SVILUPPO DEL
BAMBINO
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Assenza di rete familiare e/o grave multiproblematicità del
nucleo familiare
Conflittualità di coppia
Assenza del partner
Vissuto di incertezza nel proseguire la gravidanza, quando
ricondotto esclusivamente ad un disagio psicologico
Procreazione assistita
Depressione o ansia patologica in gravidanza
Baby blues dopo il parto
Già in carico presso un altro servizio territoriale o privato
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Storia psichiatrica pregressa
Precedenti gravidanze a rischio
Parti traumatici (oggettivamente e soggettivamente)
Gravidanza attuale con disturbi fisici che alterino il vissuto
della donna
Presenza di svariati accessi al Pronto Soccorso nel corso della
gravidanza (somatizzazioni)
Accessi multipli e non appropriati presso il servizio
Gravidanza non cercata e/o non desiderata
Eventi traumatici recenti (lutti, aborti ripetuti, mef,
licenziamenti …)
Disagio rilevato nel corso della consulenza per l’allattamento
e il puerperio
(linee guida 2011/2012; NICE 2014).
35 ingressi
4 primo accesso 2014
28 in gravidanza
7 puerperio
3 Mef
Età media 33 anni
31 italiane
4 straniere
5 seguite dal CSM
3 seguite da Psichiatra privato
Motivazione della richiesta: soffre di attacchi di
panico
´ Giovanna ha 37 anni, è originaria della Calabria,
vive a Sassuolo da 15 anni. Si è trasferita perché
non riusciva a stare lontana dai suoi genitori.
´ Qui ha conosciuto suo marito. E’ sposata da 10
anni
´ A 20 anni ha avuto il primo attacco di panico
´ Da circa 12 è seguita privatamente da uno
psichiatra
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La prima gravidanza è stata voluta ed è stata seguita
privatamente.
Alla notizia Giovanna ha smesso di assumere il
farmaco perché:1) a causa delle nausee, che sono
durate per buona parte della gravidanza, non riusciva
a trattenere niente 2) temeva che il farmaco potesse
fare male al bambino
Interrompe i contatti con lo psichiatra e si affida al
ginecologo il quale le prescrive un farmaco in gocce.
Giovanna vive bene la gravidanza, durante l’attesa si è
dedicata a ricamare i lenzuolini e a predisporre lo
spazio che avrebbe accolto il figlio.
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Al momento del parto viene accompagnata in ospedale dal marito.
Dopo circa 8 di travaglio, Giovanna non è ancora sufficientemente
dilatata. È esausta e ha paura, fatica a sostenere la solitudine tanto che
non permette al marito di allontanarsi neanche per brevi periodi.
Giovanna viene dilatata manualmente “non mi sentivo più io … ero
distrutta dal dolore … non capivo quello che mi dicevano … volevo solo
che finisse tutto …”
Giovanna quando descrive quel momento abbassa il tono della voce, la
descrizione è vivida e quello che dice viene sottolineato dal gesto del
braccio che imita la manovra della dilatazione. Emerge tutta la sofferenza
e il sentimento di solitudine che ha vissuto e alla fine riesce a dire “mi
sono sentita violentata”.
Una volta tornata in stanza aveva il figlio accanto e la madre era rimasta a
farle assistenza. “ero sfinita e non riuscivo a gioire guardando mio figlio.
Quando piangeva mi dicevano di attaccarlo al seno ma io non lo volevo
neanche vedere … è brutto dirlo … non voglio più rivivere una cosa così”
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nelle sedute emergerà, inoltre che al momento dell’apertura della cartella non
aveva parlato dei suoi disturbi, ne che assumeva un farmaco “avevo paura ed ero
inesperta … tutti mi dicevano che il farmaco dovevo sospenderlo …”
Dato il quadro, in accordo con la ginecologa, proponiamo a Giovanna il protocollo
delle dimissioni protette, e le proponiamo il parto in analgesia
Giovanna accetta ma dimentica di prendere l’appuntamento al Policlinico per il
corso, in terapia emerge che non è convinta di andare a partorire a Modena
perché non conosce l’Ospedale “ sa ci ho pensato al fatto che ho dimenticato … ho
pensato che lì avrei partorito senza dolore, ma non conoscevo nessuno, qui non
avrei avuto l’anestesia ma mi sento a casa, qui ci siete tutti voi … qui mi sento
abbracciata e so che se ho bisogno voi siete qui … poi mi sono piaciute le
dottoresse quando sono andata ad aprire la cartella …”
Riconosce le differenze fra la prima e la seconda gravidanza, si sente diversa e
pensa che riuscirà a gestire il parto.
Il parto è andato bene, ma dopo circa 15 giorni il bambino è stato ricoverato per
uno scarso accrescimento
Nonostante la preoccupazione e alcuni momenti di sconforto Giovanna sente di
avere le risorse per gestire la situazione
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Motivazione della richiesta: la ginecologa durante la
visita di controllo nel puerperio riscontra una
instabilità emotiva, Eva piange spesso
Ha 29 anni, la sua famiglia è di origine umbra e per
motivi di lavoro dei genitori si è trasferita la prima
volta all’età di 3 anni e la seconda all’età di 11.
È sempre stata una bambina disciplinata e ubbidiente.
Qui ha conosciuto il compagno con il quale ha una
relazione stabile da 5 anni e convivono da 3.
Al momento dell’invio il bambino ha tre mesi
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Al termine della gravidanza Eva non vede l’ora di partorire, la
pancia le pesa e vuole riprendere la sua forma fisica
I primi giorni dell’allattamento sono stati faticosi e dolorosi, il
bambino fatica ad attaccarsi
Lei prova così tanto dolore che, nonostante i sensi di colpa, decide
di interrompere l’allattamento “se tornassi indietro lo rifarei, anche
se non è bello da dire… ma per me era uno strazio”
Emerge un vissuto di solitudine di fronte al sentimento di
inadeguatezza
Il senso di colpa la porta ad essere sempre presente col bambino e a
doverlo intrattenere con miliardi di attività “anche stendere è
diventato una specie di teatrino, mh che bello fare il pagliaccio con
i panni e con le mollette … altrimenti lui piange …”
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Eva vede il bambino come “una sorta di esserino che non capisce e che mi
guarda con uno sguardo quasi ebete, non vedo l’ora che mangi da solo e
che parli, così almeno saprò come spiegargli le cose …”
Pian piano accede alla consapevolezza che se lei è tranquilla e si fida delle
sue intuizioni sul bambino, lui mangia senza problemi. Il bambino non ha
mai avuto problemi di accrescimento, e lentamente lei acquisisce fiducia
e riesce a gestire questi momenti.
“come mai la scelta di un figlio proprio in questo momento?” … nella
prima fase della terapia “ perché stiamo insieme da tanto tempo, io ho 29
anni e non volevo fare un figlio troppo in là negli anni, poi all’inizio l’idea
non mi sembrava così male … però adesso non so”
Proseguendo con la terapia emergrà che “ perché adesso non c’erano più
scuse, prima o per la casa o per il lavoro, c’era sempre un problema ma
adesso non ne avevamo più … forse avrei potuto tirare ancora un paio
d’anni ma poi…”
Eva riconosce che quindi dietro all’esigenza di essere sempre presente e di
dover costantemente intrattenere il bambino deriva dal senso di colpa
perché una parte di lei non lo ha voluto,e che la fa sentire una madre
inadeguata
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dopo circa 5 mesi di terapia emerge l’ambivalenza nei
confronti del compagno, infatti, riconosce che le da una
mano ma dall’altra è arrabbiata perchè “a lui infondo non è
cambiato nulla”
Alla fine dell’ultima seduta mi dirà che il compagno ha
iniziato a parlare dell’idea di un secondo figlio e la sola
idea la terrorizza “veglio ricominciare a vivere e a
riprendere il mio lavoro”
Inoltre emerge una profonda solitudine perché “ tutti mi
dicono che non mi devo lamentare perché ho un figlio
bellissimo, ho un lavoro, etc.. Lo so che c’è chi sta peggio di
me” le dico che mi sembra si senta sminuita, Eva mi guarda
con gli occhi pieni di lacrime “mi sento a metà fra il non
visto e il non capito”
Il lavoro di equipe
´ La costruzione della rete fra i diversi servizi
territoriali
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GRAZIE PER L’ATTENZIONE!
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Lawrence, E., Rothman, A., Cobb, R., Rothman,
M., Bradbury, T., (2008). Marital satisfaction
across the transition to parenthood. Journal of
Family Psychology, 22, pp. 41-50
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