Facoltà di Scienza Statistiche
Corso Interfacoltà di Laurea Magistrale in
Comunicazione della Conoscenza per le Imprese e le
Organizzazioni
Un’innovazione nelle Risorse Umane:
il Coaching
Relatore
Laureando
Ch.mo prof. Francesco Consoli
Francesco Carbone
Anno Accademico 2009/2010
19 luglio 2010
INDICE
Introduzione
CAPITOLO PRIMO
Innovazione, Formazione, Empowerment
1.1 Innovazione, Formazione, Empowerment …................. 1
1.2 L’innovazione …………………………………………………………… 3
1.3 Cos’è un’innovazione ……………………………………………….. 7
1.4 La diffusione dell’innovazione ………………………………….. 9
1.4.1 La “curva ad S” …………………………………………………. 11
1.4.2 La tipologia di Ryan e Gross ……………………………… 13
1.4.3 La “curva a campana” …………………………………….... 14
1.5 Innovazione e contesto formativo …………………………… 16
1.6 La formazione ………………………………………………………... 18
1.6.1 La formazione: il processo di apprendimento …… 20
1.6.2 Un’innovazione nella formazione ……………………... 23
1.7 L’empowerment …………………………………………………….. 25
1.7.1 L’empowerment nella politica ………………………….. 27
1.7.2 L’empowerment nella psicologia ……………………… 28
1.7.3 L’empowerment nella medicina ……………………….. 30
1.7.4 L’empowerment nell’organizzazione sociale ……. 31
1.7.5 L’empowerment nella formazione ……………………. 33
1.8 Dagli anni Ottanta in poi ………………………………………… 35
1.9 Empowerment = Cambiamento ………………………………. 38
CAPITOLO SECONDO
Un allenatore personale: il personal coach
2.1 Il Coaching come risposta possibile alla “Società
Liquida” ……………………………………………………………………….. 41
2.2 Nascita ed evoluzione del Coaching ……………………….. 45
2.3 Coaching e Mentoring ……………………………………………. 47
2.4 Coaching e Counseling ……………………………………………. 49
2.5 Non una semplice parola di moda ………………………….. 52
2.6 Professionista o non professionista? ………………………. 54
2.7 La classificazione a livello europeo ………………………… 58
2.8 Il coach e le competenze ……………………………………….. 61
2.9 Un “allenatore della vita”: il life coach ………………….. 64
CAPITOLO TERZO
Il caso: “Studio Coach”
3.1 Presentazione del caso: “Studio Coach” ………………….. 69
3.2 Il Diploma e la Certificazione ………………………………….. 74
3.3 L’attività di Studio Coach: business e life coaching …. 75
3.3.1 Il business coaching di Studio Coach ……………………. 76
3.3.2 Il life coaching di Studio Coach …………………………….. 77
3.3.3 Le differenze tra il corporate e il life coaching ……… 78
3.4 Strutturazione di una sessione di coaching ……………… 81
3.5 L’identità del coach ………………………………………………… 86
3.6 I consigli di un professionista ………………………………….. 88
3.7 Prospettive future …………………………………………………… 90
CAPITOLO QUARTO
Conclusioni
4.1 Conclusioni e prospettive future ……………………………… 95
Bibliografia e Sitografia ……………………………………… 103
Introduzione
Questo lavoro prende il via in seguito alla
partecipazione al corso “Personal Coaching
Giovani” organizzato da “I.C. Studium” insieme alla
Facoltà di Scienze della Comunicazione della
“Sapienza” e alla “Fondazione Cassa di Risparmio
di Civitavecchia”. La mia conseguente voglia di
approfondire l’argomento sulla figura del “coach”
(che nell’ambito sportivo è l’allenatore del singolo
atleta o della squadra, ma che nella nuova
accezione è usata per indicare una figura
professionale che accompagna singoli individui o
gruppi verso un più rapido raggiungimento del
traguardo), cercando così di sapere di più su questa
nuova professione che ultimamente si sta
diffondendo anche in Italia, mi ha spinto a trattare
questo argomento ai fini del completamento del
mio percorso di studi universitari.
A questa mia ipotesi di progetto di lavoro, ho
trovato subito il supporto e la disponibilità del
Professore Francesco Consoli, docente di Sociologia
delle Organizzazioni presso la Facoltà di Scienze
Statistiche della “Sapienza”, il quale ha contribuito
allo sviluppo di questa tematica, nonché dello
stesso mio progetto di tesi.
Quindi, insieme al mio relatore, è stato
accordato il tema da trattare, arrivando così al
titolo della tesi: “Un’innovazione nelle Risorse
Umane: il Coaching”. L’indagine che si è deciso di
mettere in atto è di tipo qualitativa, date le
difficoltà nell’ottenere dei dati così sensibili, così
come la difficoltà nel riuscire a delimitare appieno
il fenomeno.
Il passo successivo è stato quello di trovare
un caso di studio da poter inserire all’interno del
mio progetto sperimentale. Durante il percorso di
ricerca, è proprio qui che sulla mia strada ho
incontrato la professionalità di Carla Benedetti,
coach di professione, la quale si è dimostrata da
subito entusiasta della prospettiva da me illustrata.
Ed è così che ha inizio il mio lavoro. Quindi
da una fase embrionale, man mano sono andato
avanti sviluppando le varie tematiche nei rispettivi
capitoli.
Il primo capitolo è introduttivo e focalizza
l’attenzione su tre termini chiave: Innovazione,
Formazione, Empowerment. Partendo da questo,
spiego cos’è un’innovazione e perché il coaching è
considerato
tale.
Quindi
successivamente
l’importanza della formazione e del contesto
formativo, con la spiegazione del processo di
empowerment, il quale accresce la possibilità dei
singoli e/o gruppi di controllare attivamente la
propria vita partendo proprio da sé stessi.
Il secondo capitolo è interamente dedicato al
Coaching. Analizzando il contesto attuale, vado
dalla nascita all’evoluzione del Coaching, quindi un
parallelismo con altre attività simili quali
Mentoring e Counseling. Poi una focalizzazione sul
Coach e sulle competenze, per completare il
capitolo trattando il “Life Coaching”, che è la base
di quello che sarà trattato come caso di studio.
La terza parte è quella dedicata al caso:
“Studio Coach” di Carla Benedetti. Questo è il
capitolo centrale di tutto il lavoro, quello dove ho
cercato di coniugare quello che di teorico avevo
trattato in precedenza, con il pratico
dell’esperienza professionale sul territorio. Tutto
questo mi è stato permesso grazie all’enorme
disponibilità e professionalità di Carla Benedetti,
che mi ha permesso di accedere all’interno di un
mondo nuovo e a me sconosciuto, entrando
direttamente dall’ingresso principale. Quindi faccio
una presentazione di Studio Coach e della sua
attività, poi affronto il tema del diploma e della
certificazione, arrivando a parlare di come viene
strutturata una seduta e una sessione di coaching;
le conclusioni sono sulla possibile uniformità
dell’identità del coach con le prospettive future che
possono riguardare questa attività.
Infine il quarto capitolo è dedicato alle
conclusioni finali e alle prospettive future che
questa tematica può riservare in Italia ma anche
nel resto del mondo.
CAPITOLO PRIMO
INNOVAZIONE, FORMAZIONE, EMPOWERMENT
1.1 Innovazione, Formazione, Empowerment
Il mio percorso ha inizio proprio da questi tre
termini, tra l’altro fondamentali nella società in cui
viviamo. Apparentemente possono sembrare slegati
tra loro, forse anche di non facile comprensione, ma
nell’esplicazione di essi risulterà chiara la loro
complementarietà. Queste sono le basi di ciò che, nel
prosieguo del cammino, andrò ad illustrare, arrivando
così a presentare e descrivere la nuova professione del
“personal coach” che fa propria l’applicazione di questi
concetti.
Ad ognuno dei tre concetti indicati, verrà
dedicato un paragrafo all’interno di questo primo
capitolo, dove sinteticamente (ma non solo), cercherò
di dimostrare e far capire come l’uno è legato all’altro,
e come questi siano presenti all’interno del processo di
personal coaching.
1
Attualmente sappiamo bene di vivere in un
mondo in continua evoluzione, in continuo
cambiamento. E’ qui che si va ad inserire l’innovazione,
questa “novità” che si insinua all’interno del classico
processo di routine, coinvolgendo così il mondo del
lavoro, ma anche influendo sulle nostre abitudini, sul
tempo libero, nelle relazioni con gli altri. In poche
parole: in tutti gli ambiti della nostra vita!
La routine viene formata e trasmessa nel
contesto formativo. Quindi l’innovazione non può che
“scontrarsi” con questo ambito. Allo stesso tempo, a
partire dagli anni Sessanta, si è iniziato a parlare di
empowerment. Questo fa sì che la persona, partendo
proprio da se stessa, ossia sviluppando le proprie
potenzialità, riesca a raggiungere gli obiettivi prefissati.
Quindi l’empowerment non è altro che un processo
che accresce la possibilità dei singoli e/o dei gruppi di
controllare attivamente la propria vita.
La persona “investita” dal processo di
empowerment trova un valido aiuto nella figura del
coach, che ha proprio il compito di “allenare” le nostre
capacità, abbandonando i vecchi schemi cognitivi.
2
L’obiettivo di un programma di personal
coaching è quello di far sì che tutte le persone, anche i
soggetti svantaggiati, abbiano l’opportunità di
emanciparsi rispetto ad una condizione di disagio,
dovuto al loro stato di subalternità, passività e
inibizione delle potenzialità.
1.2 L’innovazione
L’attuale società moderna può essere
sicuramente definita come società tecnologica. L’uomo
del ventesimo secolo si è sempre più affrancato dalla
soggezione alla natura e ha sviluppato a livelli mai
raggiunti la sue abilità di homo faber capace di
costruire artefatti e di mutare anche profondamente il
corso degli eventi naturali. Ciò è reso possibile
dall’avanzamento delle conoscenze in tutti i settori e
dal conseguente sviluppo di tecnologie materiali ed
immateriali che hanno portato nuovi prodotti, servizi,
processi produttivi, a nuove forme organizzative.
L’applicazione di queste conoscenze, a sua
volta, ha prodotto radicali modificazione nella vita
quotidiana degli individui nel brevissimo arco
temporale di una o due generazioni. Il genere umano
3
dunque si trova a subire un’enorme accelerazione
generata da questo avanzamento tecnologico. La
conoscenza e la tecnologia diventano elementi sempre
più pervasivi, che penetrano nelle nostre vite
quotidiane e nella nostra società. Cambia il modo di
comunicare, di apprendere, di utilizzare gli strumenti
tecnologici, di spostarci, di usufruire del tempo libero.
La produzione e la circolazione di conoscenza e lo
sviluppo e la diffusione delle tecnologie, sono, dunque,
due aspetti che determinano un impatto notevole
nell’economia e nella società1.
Lo stesso impatto è stato subìto dalle nostre
organizzazioni e istituzioni, che a volte sono state
costrette a cambiare profondamente le loro modalità
di funzionamento e la loro naturale attività. Diversi
sono stati gli studi condotti in questo ambito, dove
sono stati esaminati gli impatti delle nuove tecnologie
sull’organizzazione del lavoro.
Quindi possiamo affermare che le tecnologie
dell’informazione stanno cambiando radicalmente la
natura stessa del lavoro e della società. Inoltre, la
convergenza tra tecnologie dell’informazione e delle
1
Michela Lazzeroni, Geografia della conoscenza e dell’innovazione
tecnologica, Franco Angeli, Milano, 2004
4
comunicazioni solleva una serie di problemi di natura
politica: il divario tra i “poveri di informazione” ed i
“ricchi di informazione” all’interno delle società, i
cambiamenti del numero e del profilo professionale
dei lavorati in un’economia in incessante evoluzione
determinata dalle “regole” della globalizzazione, le
opportunità fornite dal lavoro svolto a casa
(teleworking), la crescente partecipazione femminile al
mercato del lavoro, fino alle implicazioni del
commercio elettronico e alla possibilità di effettuare le
operazioni bancarie via Internet (home banking).
Queste sicuramente sono problematiche che poco ci
interessano all’interno di questo lavoro, ma di sicuro ci
aiutano a capire in che misura il mondo del lavoro stia
cambiando sotto l’influenza delle ICT, e di conseguenza
non può che generare cambiamento anche all’interno
della società così come nello stile di vita.
Però un’innovazione non può essere relegata
solo ed esclusivamente all’ambito tecnologico. La vera
innovazione è quella di tipo organizzativo, quella che
investe i paradigmi sociali. Anche se la comprensione
del mutamento non sempre è percepita come positiva.
5
Tavola 1 - La misurazione della società tecnologica
Tipologie di
misurazione del
rapporto tra
economia,
tecnologia,
scienza e società
Evoluzione della
misurazione
Contributo
rilevante degli
specialisti
Sviluppi futuri
Previsione
tecnologica
(Technology
assessment)
Prevalentemente
negli anni ‘60 e ‘70.
Successivamente
poco diffusa e
praticata
Iniziata negli anni
‘70 in Giappone e
successivamente
diffusa in alcuni
paesi (Germania,
UK, Francia, Italia)
Iniziata negli anni
‘80. Forte interesse
dell’Unione
europea
Iniziata negli anni
’70 e trasformata
negli anni ‘90
Tecnologi, scienziati,
sociologi,
pianificatori del
territorio
Convergenza con
prospezione tecnologica e
valutazione della ricerca.
Non si prevedono
particolari sviluppi
Convergenza con
previsione tecnologica e
valutazione della ricerca.
Ulteriore diffusione nei
Paesi che non l’effettuano
Iniziata negli anni
‘60
Economisti, statistici
Ulteriore sviluppo,
specialmente nell’area
delle ICT
Indagini sulla
diffusione delle
innovazioni
Iniziate negli anni
’50 e ‘60
Ingegneri, geografi,
economisti
Stasi sugli aspetti
metodologici
Diffusione delle
Conoscenze
scientifiche tra i
cittadini
Opzioni
tecnologiche
Iniziata negli anni
’60 con indagine
campionarie sui
cittadini
Sviluppata negli
anni ’80 soprattutto
rispetto all'impatto
delle biotecnologie
e delle ICT
Sviluppata a partire
dagli anni ‘80
Sociologi, statistici
Stasi sugli aspetti
sociologici
Scienziati, ingegneri,
filosofi, scienziati
politici
Ulteriore sviluppo,
specialmente nell'area
delle biotecnologie e delle
ICT
Ingegneri, statistici,
aziendalisti, manager
Ulteriore sviluppo,
specialmente nell'area
dell'ingegneria gestionale
e delle tecniche statistiche
Prospezione
tecnologica
(Technological
foresight)
Valutazione della
ricerca (progetti,
programmi,
istituzioni)
Valutazione delle
politiche pubbliche
per la R&S e
l’innovazione
Indicatori della
scienza e della
tecnologia
Gestione
dell'innovazione a
livello di impresa
Tecnologi,
economisti,
industriali, scienziati,
politici
Scienziati, politici,
economisti, statistici
Economisti,
scienziati politici,
statistici
Convergenza con
previsione tecnologica e
prospezione tecnologica.
Ulteriore diffusione
Ulteriore estensione, sia a
livello europeo che di
governi nazionali e locali
6
1.3 Cos’è un’innovazione
L’innovazione può essere definita come un’idea,
un processo o un prodotto che viene percepito come
nuovo da una consistente parte di coloro che lo
utilizzano. È un’attività di pensiero che, elevando il
livello di conoscenza attuale, perfeziona un processo,
migliorando quindi il tenore di vita dell’uomo.
Innovazione è cambiamento che genera progresso
umano. Naturalmente esiste in ogni settore, anche se
spesso viene legata solo ed esclusivamente alla
tecnologia.
Questa è la definizione che viene data dalla
Treccani2:
«L’atto, l’opera di innovare3, cioè di introdurre nuovi
sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi di produzione. In
senso concreto corrisponde ad ogni novità, mutamento,
trasformazione che modifichi radicalmente o provochi
comunque un efficace svecchiamento in un ordinamento
politico o sociale, in un metodo di produzione, un una
tecnica, ecc.»
2
Istituto della Enciclopedia Italiana, Vocabolario della lingua italiana,
Treccani, Milano, 1987
3
Innovare: mutare uno stato di cose, introducendo norme, metodi,
sistemi nuovi
7
Naturalmente ogni tipo di innovazione (sia
tecnologica, organizzativa o socioculturale) provoca un
mutamento, ma anche apprendere a fare cose diverse
rispetto a quelle che si sapevano fare prima, a farle
meglio, o in modo più efficiente, efficace e veloce. Ciò
potrebbe comportare anche lo sviluppo di nuove
conoscenze o il radicale mutamento di quelle già
presenti o messe in atto. Per questo, nei processi
d’innovazione, individui, organizzazioni e istituzioni,
devono essere capaci di costruire e consolidare nuove
capacità cognitive e abilità pratiche. Ma questo può
avvenire solo abbandonando i vecchi simboli della
nostra sicurezza. E la necessità di apprendere e
adottare nuovi comportamenti esige l’abbandono dei
vecchi schemi4. Questa non è una pratica semplice e
nemmeno indolore, perché nelle manifestazioni più
estreme,
l’innovazione
può
intaccare
o
trasformare/modificare strutture organizzative ormai
consolidate da lungo tempo. Addirittura a volte può
anche spostare i confini e le caratteristiche di una
professione, mutandola completamente fino a quasi
renderla irriconoscibile rispetto ai suoi contenuti
standard e peculiari.
4
John Whitmore, Coaching, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2006
8
Quindi, come è stato detto, l’innovazione non è
solo quella indotta dal progresso tecnologico o quella
spinta dal mercato, bensì è anche quella di tipo
cognitivo. Per quest’ultima è fondamentale sapere il
contesto formativo dove nasce o dove si sviluppa.
1.4 La diffusione dell’innovazione
Lo studio della diffusione dell’innovazione ha
avuto maggiore sviluppo a partire dal secolo scorso
dando vita a diverse fasi e muovendosi secondo
differenti filoni, che, però, in linea di massima hanno
adottato una base comune.
Dal punto di vista degli studi realizzati sulla
diffusione dell’innovazione, si può sicuramente
distinguere tra una fase storica e una fase moderna. La
differenza principale tra le due fasi consiste nella
progressiva messa in discussione della neutralità e
unilateralità dell’oggetto stesso dell’innovazione e
della tecnologia da parte degli approcci moderni, per
cui il processo di “adozione dell’innovazione” tende a
fondersi con il processo “di costruzione sociale del
9
cambiamento”5. In pratica non si distingue più tra
soggetto e oggetto del processo di adozione e tra
diffusione e innovazione. Il tutto si fonde e questo
viene riconosciuto come un unico processo.
Per quanto riguarda i modelli di studio, gli
approcci storici maggiormente rilevanti sono:
 la curva ad S di Tarde;
 la tipologia di Ryan e Gross;
 la curva a campana di Rogers.
Tra le teorie recenti, invece, i filoni di studio
sono innumerevoli, in quanto alcuni si rifanno agli
studi classici, mentre altri hanno una visione
totalmente differente. Tra tutti, quelli principali sono
sicuramente:
 la teoria dello iato di Moore;
 il “Technology Acceptance Model”;
 i modelli reticolari.
5
Francesco Consoli, Le mode professionali, Carocci, Roma, 2002
10
1.4.1 La “curva ad S”
Il primo approccio che ha apportato delle
trasformazioni alla teoria di base, è stato proposto da
Gabriel Tarde. Nel suo libro “Les lois de l’imitation”6
del 1890, Tarde si pone questo problema:
«Perché, fra cento diverse innovazioni immaginate
simultaneamente, […] dieci si diffondono tra il pubblico,
sull’esempio fornito dagli autori, e novanta vengono
7
dimenticate? ».
La risposta si trova facendo esclusivo
riferimento alle cause sociali, che sono di due tipi:
logiche o non logiche. Tale distinzione è importante
perché:
«le cause logiche agiscono quando un uomo sceglie
un’innovazione perché la giudica più utile o più vera delle
altre, cioè più concordante di queste altre con gli scopi o
6
Trad. ”Le leggi dell’imitazione”.
Roberta Bisi, Gabriel Tarde e la questione criminale, FrancoAngeli,
Milano, 2004
7
11
principi che sono già in lui stabiliti (sempre per
8
imitazione) ».
All’approccio iniziale di base sulla diffusione
dell’innovazione, Tarde applica il proprio pensiero
partendo dal fatto che ogni innovazione si diffonde
all’interno di una popolazione seguendo una “curva ad
S” e che, quindi, la diffusione dell’innovazione
costituisce un processo epidemico prolungato nel
tempo9, così come l’adozione dell’innovazione. In
questo modo viene sottolineato il fatto che
l’innovazione è un processo e non una scelta
istantanea.
(figura 1)
8
9
Gabriel Tarde, Le lois de l’Imitation, F. Alcan, Parigi, 1890
Cfr. nota 6
12
Nella “curva ad S”10 si hanno tre fasi: nella
prima, la nuova soluzione incontra molti ostacoli a
diffondersi; nella fase di crescita, tuttavia, essa tende a
diffondersi rapidamente, fino a quando non diviene la
soluzione standard; a questo punto si avvia la terza
fase, quella della maturità dove i ritmi di diffusione si
rallentano.
1.4.2 La tipologia di Ryan e Gross
Studi empirici, realizzati nel 1943 da Ryan e
Gross sulla diffusione delle sementi ibride nell’Iowa,
confermarono le tesi di Tarde. Secondo gli autori, la
diffusione dell’innovazione si configura come un
processo sociale, in cui entrano in gioco le valutazioni
soggettive degli imprenditori. Ryan e Gross
identificarono cinque categorie di soggetti in base al
loro atteggiamento rispetto all’innovazione. Queste
sono:
• gli innovatori (innovators);
• gli anticipatori (early adopters);
10
Cfr. figura 1
13
• la maggioranza anticipatrice (early majority);
• la maggioranza ritardataria (late majority);
• i ritardatari (laggards).
1.4.3 La “curva a campana”
La tipologia di Ryan e Gross venne ripresa nel
1962 da Rogers, il quale identifica, per ognuno dei tipi,
le
caratteristiche
distintive.
Egli
mostrò
empiricamente, tra l’altro, come gli early adopters e
coloro che appartenevano alla maggioranza
anticipatrice fossero maggiormente inseriti nei
meccanismi di comunicazione locale e avessero una
più elevata capacità di assumere un ruolo di “opinon
leaders”. Questo spinse Rogers a identificare il
processo di diffusione come essenzialmente di natura
comunicativa, in cui entrano in gioco caratteristiche e
orientamenti personali. Quindi propose un modello
basato su una curva normale “a campana”11.
11
Cfr. figura 2
14
(figura 2)
Nella campana di Rogers vengono definite varie
posizioni di gruppi: il gruppo A è quello degli
innovatori, il gruppo B include gli anticipatori, il gruppo
C include la maggioranza anticipatrice, il gruppo D
include la maggioranza ritardataria, il gruppo E include
i ritardatari.
La diffusione dell’innovazione passa attraverso
la sua comunicazione tra gli individui, dagli ideatori
fino agli ultimi adottanti. In ogni caso, la ricerca sulla
diffusione delle innovazioni deve considerare il sistema
sociale12 all’interno del quale tale diffusione avviene13.
12
Questo è definito innanzitutto dalla popolazione, la quale è composta
sia da individui sia dai gruppi, che possono a loro volta consistere in
gruppi informali, imprese, scuole. I membri della popolazione sono
distinti gli uni dagli altri, ma, per costituire un sistema sociale, devono
cooperare, o almeno “condividere qualche problema da risolvere”.
15
1.5 Innovazione e contesto formativo
Dopo aver fatto questa panoramica sugli aspetti
teorici, la domanda che a questo punto sorge
spontaneamente (e alla quale cercherò di dare è una
risposta) è la seguente: “Come può nascere l’idea di
base di un’innovazione?”
Diverse naturalmente possono essere le
risposte. Per esempio può nascere dall’intuizione di un
individuo che opera all’interno dell’azienda, può essere
il prodotto dell’attività del team di Ricerca e Sviluppo
dell’azienda, può scaturire dal genio del privato, del
ricercatore, dell’imprenditore. Un’idea può giungere
anche dai suggerimenti e dalle richieste della propria
clientela, dall’osservazione e dallo studio dei propri
concorrenti; oppure può essere il risultato dell’attività
di studio compiuto da Università e Centri di Ricerca.
Ancora potrebbero essere molte altre le motivazioni,
ma la base di partenza è sempre la stessa: il contesto
formativo.
Il contesto formativo ha delle caratteristiche
proprie, in quanto dà forma ad una serie di routine
pratiche ed argomentative, guida i conflitti intorno alle
13
Cfr. nota 6
16
risorse che costruiscono la società, rende alcune
traiettorie di cambiamento più possibili di altre.
Il concetto di contesto formativo è
particolarmente utile, proprio perché considera gli
assetti istituzionali (la struttura delle relazioni) e la
componente “immaginativa” (in sostanza la “cultura”,
il vocabolario, il linguaggio dell’organizzazione) come
aspetti inscindibili e complementari, sicché risulta
impossibile modificare l’uno senza che anche l’altro
venga modificato. Il cambiamento organizzativo, per
essere irreversibile, per innovare realmente
l’organizzazione e le sue pratiche, deve allora produrre
una modifica sia nella componente strutturale, sia
nella componente immaginativa.
Un contesto formativo dà dunque forma a
quelle abilità individuali e alle routine organizzative che
sostengono le pratiche quotidiane delle persone
impegnate nell’azione. È formativo perché orienta le
persone a vedere e fare le cose vecchie in modi
innovativi,
o
al
contrario,
le
condiziona,
imprigionandole nei modi abituali di fare le cose. La
sua natura è ambivalente: da un lato è rigido,
difficilmente accessibile, implicito; dall’altro è aperto e
modificabile, rendendo possibili le ibridazioni, le nuove
17
scoperte e l’innovazione. Inoltre il termine contesto
non va inteso solamente come “contenitore”
dell’azione, ma situazione in cui gli interessi degli attori
e le opportunità dell’ambiente si incontrano e si
definiscono reciprocamente.
Dunque possiamo concludere dicendo che il
contesto formativo racchiude una sorta di mondo in
cui si trovano ad interconnettersi la divisione dei ruoli
e del lavoro, gli oggetti e le relazioni, i significati, i
presupposti e gli assetti istituzionali tipici di un
contesto organizzativo.
1.6 La formazione
La formazione è un processo di apprendimento
che riguarda l’individuo, le organizzazioni e, nel suo
concetto più ampio, la società. Essa accompagna
l’individuo in tutte le sue fasi della vita, dalla
formazione istituzionale iniziale, all’avviamento al
lavoro, fino alla formazione permanente per tutto
l’arco della vita.
Storicamente vengono identificate tre fasi
principali di periodizzazione della formazione: una
18
prima fase pioneristica (anni Sessanta), una seconda
fase di “consolidamento e tecnicistica” (anni Settanta),
una terza fase di ripensamento (anni Ottanta).14 Nel
corso degli anni Novanta, alcuni fattori cardine15,
hanno fatto sì che la formazione non sia diventata
soltanto un fattore prioritario, ma che addirittura la
sua utilizzazione sia considerata un fattore di
strategicità per le imprese e per i sistemi sociali.
La necessità di ampliare le conoscenze, le abilità
e le capacità individuali è diventata un elemento
indispensabile per il miglioramento della struttura
dell’organizzazione: è noto come il vantaggio
competitivo aziendale venga giocato nell’ambito delle
Risorse Umane. Ma nonostante questo, purtroppo,
ancora, la formazione rimane sempre la leva meno
utilizzata dalle aziende, perché il tempo “speso” in
formazione viene spesso percepito come sottrazione di
tempo destinato al lavoro.
14
Daniele Boldizzoni, Management delle Risorse Umane, Il Sole 24 Ore,
Milano, 2003
15
Quali accelerazione e spinta al cambiamento, discontinuità crescente,
progressiva pervasività dei processi di nnovazione tecnologica,
globalizzazione dei mercati e della concorrenza.
19
Secondo Bauman, nell’ambiente liquidomoderno16 la formazione e l’apprendimento, per avere
una qualche utilità, devono essere continui e, anzi,
permanenti, perché sono la via verso l’empowerment17
(il quale ha le stesse caratteristiche che la formazione
dovrebbe avere: continuo, infinito, permanente):
«La formazione dovrebbe essere tale affinché gli
uomini e le donne del mondo liquido-moderno possano
perseguire i propri obiettivi di vita con un minimo di
intraprendenza e fiducia in se stessi, e con una speranza di
successo. […] Non sono soltanto le abilità tecniche a dover
essere aggiornate continuamente, non è soltanto la
formazione orientata al lavoro a dover essere permanente.
Ne ha bisogno, e con urgenza, ancora maggiore, anche la
formazione alla cittadinanza.»18
1.6.1 La formazione: il processo di apprendimento
Dalla scelta sui modi di apprendere e
sull’oggetto dell’apprendere, si sviluppa e si condiziona
16
E’ l’ambiente sociale proprio della società post-moderna.
Cfr. §1.7
18
Bauman Z., Vita liquida, Gius. Laterza & Figli, Bari, 2006
17
20
il processo di apprendimento, gli strumenti e i luoghi
dove questo si esplica.
I grandi filoni dell’apprendimento in realtà sono
due:
 le teorie del comportamento organizzativo;
 le teorie dell’appropriazione.
Nel primo caso, l’apprendimento si costituisce
attraverso il processo parallelo di stimoli e risposte,
ovvero il soggetto apprende più dalle risposte; nel
secondo caso, invece, il soggetto apprende “strutture
cognitive”.
Secondo Claudia Piccardo:
«L’apprendimento è l’organizzazione di una struttura
attraverso processi intermedi tra stimolo e risposte,
attraverso l’indagine di quel territorio sconosciuto che è
stato definito “spazio vitale”. Tale spazio comprende gli
ostacoli, i vettori,il concetto di sé, il livello di inclinazione e
di ispirazione, la differenziazione, tenute in considerazione
da chi considera la personalità e la dimensione della
21
motivazione, variabili intervenienti nel processo di
apprendimento».19
I luoghi dell’apprendimento sono molto
diversi. Il primo si realizza nell’ambito
dell’esperienza lavorativa ed è tipico della
situazione iniziale di affiancamento a chi il mestiere
già lo conosce. Vengono attribuite a questa
categoria di processo di apprendimento il training
on the job (definito anche con il termine learning by
doing) insieme alle pratiche di action learning,
(project work, stage) e derivano da questa influenza
le nuove derive dello human touch, che seppur
diverse, appartengono alla stessa matrice (quale
mentoring, counselling, coaching).
Il secondo tipo di apprendimento vede il
docente stimolare nel discente l’attivazione di una
presa di coscienza e di un cambiamento delle sue
mappe mentali e della sua struttura di personalità. Il
discente si “appropria” dei nuovi modelli offertigli
19
Claudia Piccardo, Teorie dell’apprendimento e scelte di progettazione
formativa, in Daniele Boldizzoni, Oltre la formazione apparente:
investimenti in educazione e strategie d’impresa, Il Sole 24 Ore, Milano,
1984
22
per orientare le sue scelte e i suoi comportamenti
futuri.20 Questa prospettiva è prevalente nella
formazione degli adulti e le situazioni didattiche più
tipiche sono di natura esperienziale (role-playing,
progetti, simulazioni e casi didattici), in cui il
discente viene invitato a riflettere su situazioni
analogiche e a sviluppare la propria percezione
della realtà e dell’elaborazione della soluzione.
1.6.2 Un’innovazione nella formazione
Anche la formazione negli ultimi anni è stata
coinvolta in un processo di innovazione con lo
spostamento dall’aula all’e-learning21 del processo
formativo.
Lo sviluppo e la diffusione di strumenti e
tecnologie per l’e-learning hanno profondamente
mutato il modo in cui si fa formazione degli adulti in
20
Daniele Boldizzoni, Management delle Risorse Umane, Il Sole 24 Ore,
Milano, 2003
21
Si intende la possibilità di imparare sfruttando la rete Internet e la
diffusione di informazioni a distanza. L’e-learning è utilizzato per la
formazione scolastica (essendo rivolto ad adulti, studenti di ogni
genere, insegnanti) così come per la formazione aziendale,
specialmente per le organizzazioni con una pluralità di sedi.
23
contesti organizzativi. Ampliare le conoscenze, le
abilità e le capacità individuale diventa un elemento
indispensabile per il miglioramento dell’efficacia
organizzativa22.
La richiesta di formazione meno costosa (ovvero
che implichi meno giornate d’aula e non richieda
residenzialità), ma sempre più personalizzata rispetto
ai bisogni specifici di ogni soggetto partecipante, è in
costante crescita. Le scuole di formazione e le business
school23 hanno percepito questo cambiamento e
stanno cercando di adeguarsi alle nuove richieste di
formazione: le proposte presentate sul mercato
associano formazione a distanza con periodi di
formazione tradizionale (aula e seminari), una scelta
che consente di associare ai benefici classici della
formazione interaziendale-residenziale, i vantaggi della
formazione a distanza.
Con lo sviluppo dell’e-learning, la formazione
manageriale si trova ad affrontare uno scenario nuovo
e nuove sfide: deve modificare i propri sistemi di
erogazione ma deve ripensare consolidati criteri di
22
Cfr. nota 20
Scuola di specializzazione, in genere postuniversitaria, in ambito
economico e commerciale.
23
24
analisi dei bisogni, di progettazione e valutazione; deve
poter gestire elevati volumi di formazione, insoliti in
precedenza soprattutto nel contesto manageriale;
deve gestire margini molto più ridotti, e quindi
spostare l’attenzione dall’efficacia all’efficienza del
processo formativo; deve governare un contesto in cui
la concorrenza proviene da attori con un background
spesso
lontano
dal
settore
formativo,
prevalentemente di provenienza tecnologica e con
risorse finanziarie insolite per questo mercato.
Insomma un’innovazione che porta come tutte
le innovazioni delle novità ma che sposta anche gli
assetti su cui si basa la formazione classica.
1.7 L’empowerment
Tra le parole straniere ormai di uso corrente,
“empowerment”24 è una delle poche a non avere
ancora un preciso corrispettivo nella lingua italiana. Il
24
Al concetto di empowerment si possono associare diversi significati:
potenziamento, valorizzazione del proprio sé, riappropriazione
soggettiva del potere, auto-aiuto, aumento di responsabilità personale,
aumento di possibilità di azione, appropriazione degli strumenti per,
consapevolezza del proprio valore, delle proprie potenzialità.
25
termine deriva dal verbo inglese “to empower” che in
italiano viene comunemente tradotto con “conferire
poteri”, “mettere in grado di”. Letteralmente questo
termine
significa
“potenziamento”,
“responsabilizzazione”, “aumentare il proprio potere
interno”, anche se empowerment è un concetto
talmente complesso di cui è difficile dare una
definizione unica ed esaustiva, perché, più che una
categoria chiusa, esso è una costellazione di elementi
collegati tra loro.
L’empowerment, per Claudia Picardo25, è il
processo individuale e organizzativo attraverso il quale
le persone, a partire da qualche condizione di
svantaggio e di dipendenza non emancipante, vengono
rese “empowered”, ovvero rafforzano la propria
capacità
di
scelta,
autodeterminazione,
autoregolazione, sviluppando parallelamente il
sentimento del proprio valore e del controllo della
situazione di lavoro, la propria autostima ed
autoefficacia, riducendo i sentimenti di impotenza,
25
Consulente, formatrice e ricercatrice per la società Polis2000 (da lei
stessa fondata), docente di Psicologia del Lavoro all’Università di Torino
26
sfiducia,
paura,
alienazione.26
ansietà,
tensione
negativa,
Anche se la definizione è ancora un po' troppo
vaga, il termine trova una sua specificazione se
applicato in alcuni degli ambiti in cui, sin dagli anni
Sessanta, il concetto di empowerment è presente,
come la politica, la psicologia, la medicina,
l'organizzazione aziendale, la formazione.
1.7.1 L’empowerment nella politica
In politica, l'empowerment è la capacità di
ripensare la vita sociale di gruppi e di singoli attraverso
la formazione e l'informazione, per favorire l'accesso
alle risorse da parte dei gruppi oppressi, aumentando
la loro partecipazione attiva alla vita politica e la
capacità di dominare gli eventi, permettendo
l'assunzione di responsabilità e ampliando la possibilità
di incidere sul dibattito decisionale. Questo approccio
permette di superare parzialmente le divergenze tra
quanti, in politica, propugnano la libertà e la
26
Claudia Piccardo, Empowerment, strategie di sviluppo organizzativo
centrate sulla persona, Edizioni Raffaello Cortina, Milano, 1995
27
responsabilità individuale e quanti credono nella
giustizia sociale, in opportunità sociali accessibili in
maniera equa: anziché intervenire con finanziamenti e
progetti specifici a favore dei gruppi svantaggiati, si
permette loro di utilizzare con creatività le risorse
(economiche e non solo) già a loro disposizione,
rimovendo le barriere burocratiche, ma anche gli
stereotipi e i pregiudizi dei e sui gruppi oppressi, che
sono di ostacolo alla fruizione piena del diritto di
(re)inventare la propria vita.
1.7.2 L’empowerment nella psicologia
Per l’essere umano, avere potere su se stesso,
sentirsi ed essere efficace, avere la consapevolezza di
potere incidere sugli eventi, godere di una buona
autostima, considerare gli insuccessi come momento
di apprendimento, sono parte di una condizione
psicologica empowered. Tale condizione, però, non è
data una volta per tutte, ma rappresenta un cammino
che favorisce la speranza nel futuro e che permette di
percepirsi come persone capaci di cimentarsi e
riuscirci. Empowered non è una persona che ha
raggiunto tutti i suoi obiettivi, una persona arrivata,
28
una persona “di potere”, ma qualcuno capace di
affrontare la vita e le sue sfide, capace di attraversare
successi e insuccessi mantenendo saldo il potere su se
stesso e arricchendo quotidianamente il suo “potere
con l'altro”.
Riguardo alle fasce deboli della popolazione,
un'ottica basata sull'empowerment prevede interventi
di sostegno e di proposizione di nuove opportunità
sociali secondo tre direttrici: creare il potere di
generare alternative all'esistente, fare conoscere come
e dove avere accesso alle risorse, incrementare
l'autostima e la motivazione; ma al contempo prevede
anche l'auto-aiuto da parte del soggetto in difficoltà, in
un'ottica che valorizza la sua partecipazione nel
migliorare la situazione. Tale intervento psicologico, ad
esempio, è utilizzato per il supporto alle vittime che,
sottoposte a violenze fisiche o psicologiche, hanno
perso la stima in se stesse e non hanno la capacità di
uscire
dalle
dinamiche
di
vittimizzazione.
L'empowerment aiuta le vittime a ricostruire il
controllo sulla propria vita e ad immaginare un futuro
alternativo all'esistente, a progettare e a mettere in
opera delle soluzioni, tornando ad essere responsabili
del proprio «destino».
29
Un filone importante di studi è stato sviluppato
nell’area della psicologia della comunità, ben
rappresentata dalle ricerche di Zimmermann27, che
definisce il concetto di empowerment come il
passaggio, per un individuo, dalla condizione di
"learned helplessness" (impotenza appresa) a quella di
"learned hopefulness" (percezione appresa di essere
capaci), acquisito mediante la partecipazione attiva
all'interno della comunità in cui è inserito.
1.7.3 L’empowerment nella medicina
L’empowerment costituisce uno strumento e al
tempo stesso un fine della promozione della salute.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO)28, ha
affermato a più riprese29 che l’azione di comunità e
l’empowerment sono pre-requisiti per la salute
universale. I principi sottolineati dalla WHO trovano
riscontro a livello europeo anche nell’attuale
“Programma di azione comunitaria in materia di salute
pubblica (2008-2013)”, in cui la partecipazione e
27
28
Cfr. nota 19
World Health Organization (WHO)
29
Con la Dichiarazione di Alma Ata (1978), la Carta di Ottawa (1986), la
Dichiarazione di Jakarta (1998) e la Carta di Bangkok (2005).
30
l’influenza dei cittadini sui processi decisionali,
costituiscono i valori su cui si fonda la strategia
comunitaria.
A livello italiano, il Piano Sanitario Nazionale
2006-2008, introduce per la prima volta il termine
empowerment in un documento programmatorio
nazionale, affermando che attraverso tale processo si
punta ad erogare cure efficaci ed appropriate sotto il
profilo clinico ed etico e, nel contempo, garantire il
massimo livello possibile di equità nell’uso delle
risorse.30
1.7.4 L’empowerment nell’organizzazione sociale
E’ in questo ambito che il concetto di
empowerment ha avuto maggiore rilievo e diffusione,
almeno fino ad oggi. Formalmente se ne fa risalire
l'utilizzazione operativa alla fine degli anni Settanta per
opera della sociologa Rosabeth Moss Kanter,
impegnata nella battaglia per far acquisire potere ai
30
Agenzia Nazionale per i servizi Sanitari Regionali, Convegno Nazionale
“Empowerment del cittadino in sanità”, Roma 28-29 settembre 2009.
Cfr. http://www.agenas.it/agenas_pdf/Nota_metodologica_empowerment.pdf
31
soggetti che lavorano nelle organizzazioni in condizioni
svantaggiate, in particolar modo alle donne.
All'interno delle aziende, il vecchio modello
prevedeva la gerarchia, gli ordini “a cascata”, la
tendenza a fuggire le responsabilità affidandole ad
altri, la frustrazione e l'alienazione dei lavoratori, una
competizione a volte estrema. Il modello basato
sull'empowerment promuove la partecipazione e il
coinvolgimento
di
tutto
il
personale,
la
responsabilizzazione
diffusa,
l'autostima,
la
collaborazione e la valorizzazione reciproca.
L'individuo, in quest'ottica organizzativa, ha fiducia
nelle proprie possibilità, non teme i cambiamenti ma si
impegna per gestirli, è disposto altresì a correre rischi,
riconosce i propri errori senza aver paura del giudizio
altrui, socializza le sue informazioni, prende iniziative.
Avendo questi come obiettivi, l'empowerment
rappresenta una rivoluzione nelle tradizionali relazioni
organizzative. Uno dei perni di questo cambiamento è
il leader, che deve diventare capace di condividere le
decisioni, di stimolare autonomia e senso di
responsabilità, di individuare i bisogni (formativi,
relazionali ed esistenziali) dei suoi collaboratori e di
favorirne la crescita professionale. Soprattutto, una
32
empowering leadership deve essere in grado di
delegare, di promuovere la costituzione di gruppi di
lavoro autonomi che stabiliscano tempi e modelli
organizzativi, rapporti con gli altri gruppi, turni e
riunioni, pur all'interno della condivisione della
strategia aziendale. L'empowerment dell'individuo
diventa allora empowerment dell'organizzazione, con i
conseguenti vantaggi economici e non solo.
1.7.5 L’empowerment nella formazione
La scuola è un ambito doppiamente coinvolto
dall'empowerment, perché assomiglia sempre più ad
un'impresa, guidata da un manager, in regime di
concorrenza (forse fittizia più che reale) con gli altri
istituti riguardo al numero degli studenti-clienti, basata
su crediti e debiti formativi.
In maniera contraddittoria, però, la scuolaimpresa è organizzata secondo una filosofia aziendale
superata e non competitiva: gerarchica, accentratrice,
scarsamente attenta al benessere degli operatori.
Negli ultimi anni, ad esempio, gli insegnanti
hanno visto ridurre drasticamente il proprio potere
33
decisionale all'interno degli istituti, il proprio prestigio
sociale e la retribuzione economica, in un momento di
cambiamenti enormi e contraddittori nel mondo della
scuola.
Un'organizzazione
della
scuola
basata
sull'empowerment ha l'obiettivo di (ri)motivare il
personale, di renderlo coeso e coinvolto, fiducioso e
capace di vivere i conflitti non come minacce ma come
occasioni di crescita umana e professionale. In più, la
riorganizzazione aziendale della scuola ha anche
valenze più generali, come il benessere degli operatori
scolastici e degli insegnanti.
Un secondo livello in cui l'empowerment tocca il
mondo della formazione è quello della pedagogia e
della didattica. La scuola non serve più solo a
selezionare la futura classe dirigente cui trasmettere
un sapere necessario o a formare lavoratori
competenti e competitivi sul mercato. Secondo molti,
dovrebbe servire a favorire l'autoapprendimento dei
discenti, motivandoli a sperimentare e a ricercare, a
collocarsi a proprio agio in questa società, dotandoli
degli strumenti concettuali e operativi per viverci
dentro. In una parola, a produrre l'empowerment.
Esso, nella vita di ciascuno, viene già favorito od
34
ostacolato: nella relazione con i genitori, nei rapporti
con il gruppo dei coetanei, attraverso i media. Ma può
essere anche, almeno in parte, insegnato e appreso. A
scuola è possibile promuovere l'autostima dello
studente, svilupparne la creatività, produrre
cambiamenti, fornire strumenti, accrescere le
competenze. L'insegnante “empowering” sarà allora
un facilitatore dell'apprendimento oltre che un esperto
della disciplina. Cercherà di insegnare il metodo e l'uso
degli strumenti per ricercare un contenuto e un
obiettivo che dovrà essere l’alunno stesso a scegliere e
a cercare di conseguire. Il fine, ambiziosissimo, cui
l'empowerment tende è l'autostima, l'autonomia, la
capacità di affrontare i cambiamenti, in ultima analisi
la felicità degli alunni. Empowerment potrebbe essere
semplicemente il nome dato all'azione che ogni buon
insegnante già mette in opera.
1.8 Dagli anni Ottanta in poi
L'interesse per questo tema, soprattutto in
ambito manageriale, negli anni è cresciuto
notevolmente e si è sempre più diffuso e sviluppato
non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa.
35
Allo stesso tempo, i diversi contributi teorici
hanno subìto una revisione, così come le esperienze a
livello organizzativo, evidenziando due principali
differenti prospettive: una psico-sociologica ed una
socio-organizzativa.
Nel primo approccio, il principio guida è che, per
produrre empowerment organizzativo, è necessario
operare contestualmente sulle dimensioni individuali
ed organizzative, dove le persone dipendenti e senza
"potere" nell'organizzazione, possano sviluppare
contemporaneamente un sentimento del proprio
valore ed un maggior controllo sulla situazione
lavorativa.
Il secondo approccio (socio-organizzativo),
considera due livelli, uno micro-organizzativo e uno
macro-organizzativo, rilevando la determinante
funzione ed interazione tra visione e missioni aziendali,
ossia valori ed etica che concorrono a formare e
rendere visibile la cultura di un'organizzazione.
L'empowerment è visto come un processo progressivo
di adattamento, concepito con un'ottica sistemica che,
a differenza dell'altro approccio, non implica
necessariamente una situazione iniziale di disagio o
svantaggio. Si scoprono, quindi, le dinamiche dei
36
sistemi organizzativi basate sul continuo
inestricabile intreccio tra micro e macro decisioni.
ed
L'empowerment è allora interno all'interazione
sociale che caratterizza un sistema organizzativo e lo
qualifica. In altri termini, l'empowerment aumenta la
qualità organizzativa nella misura in cui aumenta
l'interazione sociale, intesa come il processo di
apprendimento e di negoziazione di significati che
intercorre tra gli attori sociali, tramite le loro
reciproche azioni.
La conduzione dei suddetti processi modifica
anche il ruolo del "capo", del manager, delle figure
professionali che rivestono posizioni superiori o hanno
una più ampia dimensione di azione nel sistema
organizzativo, e, ovviamente, del piccolo imprenditore
che "lavora" all'interno della propria impresa. Tale
ruolo si configura sempre più come formatore,
allenatore, consulente ed educatore, piuttosto che
controllore dei risultati, poiché deve promuovere e
favorire la crescita di creatività, responsabilizzazione e
autonomia dei collaboratori.
37
1.9 Empowerment = Cambiamento
L'empowerment è strettamente connesso al
concetto di cambiamento. Il cambiamento è faticoso e
comporta una rinuncia. Il punto di forza
dell'empowerment è che esso, proponendo nuove
alternative, non costringe ad abbandonare il già
conosciuto. Queste alternative sono nuove possibilità
da affiancare a quelle note tra cui scegliere, e non una
volta per tutte, ma tutte le volte che si vuole.
L'empowerment è, insomma, uno strumento per
(ri)prendere in mano il controllo della propria vita, una
modalità per progettare ed agire con efficacia e
realismo, ma, soprattutto, rappresenta un nuovo
approccio epistemologico, una nuova pensabilità del
cambiamento per il singolo, per il gruppo, per la
società, all'insegna non della ricerca della soluzione
migliore, ma dell'aumento delle possibilità, delle
scelte, della libertà.
Allo stesso modo, l’empowerment diviene il
concetto chiave per rinnovare una cultura del lavoro,
per ri-pensare al ruolo dell’impresa e del lavoratore e
per ri-formulare modelli organizzativi. Tali istanze si
muovono dalla necessità di rendere le organizzazioni
38
più flessibili, più competitive, più attente alle relazioni
umane, alla soddisfazione dei dipendenti e a quella dei
clienti. Non si tratta di cambiare il comportamento dei
lavoratori ma di reinterpretare la cultura del lavoro,
delle regole, della concezione del potere e del
controllo, nell’intento di sviluppare organizzazioni
empowering ed empowered.
La stessa Picardo ha affermato che
l’empowerment ha ridato significato alla obsoleta
teoria della motivazione sul lavoro, contribuendo ad
offrire un’alternativa rispetto ad una concezione
meccanicistica del lavoro stesso.
39
40
CAPITOLO SECONDO
UN ALLENATORE PERSONALE: IL PERSONAL COACH
2.1 Il Coaching come risposta possibile alla “Società
Liquida”
In uno scenario mondiale dominato sempre
più dalle risorse materiali e con la società interessata
da profonde trasformazioni economiche, sociali e
culturali, l’individuo non può che trovarsi in una
situazione di continua incertezza, insicurezza, rischio.
Naturalmente l’individuo, ieri come oggi, si ritrova ad
essere “investito” dalle scelte. Però, se nelle società
precedenti, queste erano prese o supportate da
istituzioni solide, quali il gruppo, la comunità, la
solidarietà, l'amicizia, la famiglia, lo Stato sociale, ora
queste basi non sono più presenti nella vita della
persona. Ciò genera nell'individuo quel senso di
solitudine tipica dell'uomo contemporaneo (dove
viene cancellata la comunità tradizionale per creare
l' “uomo libero”), che riempie lo “spazio sociale” solo
tramite il mercato e la tecnica, col risultato di
imporre un agire strumentale basato sul rapporto
41
mezzo/fine, il quale genera a sua volta l'atomismo,
lasciando l'uomo nell'isolamento totale e schiavo
delle merci e della tecnica. La tecnica a sua volta
cancella i legami sociali all'origine, ricorrendo al
“mercato” pure per soddisfare i bisogni che prima si
soddisfacevano nella comunità, dando così sempre
più potere ad esso. La mercificazione riguarda anche
i rapporti personali e interpersonali, che reggono
finché garantiscono mutua soddisfazione. Le
relazioni sono "a tempo" e hanno, così come i beni di
consumo, una data di scadenza (una dimostrazione
chiara è data dalla fragilità del nuovo tipo di unione
matrimoniale).
La
salute,
nella
società
contemporanea, si è trasformata nel fitness, nella
ricerca inesausta e sempre inappagata della forma
fisica perfetta. Il lavoro, sempre più scarso, ci rende
fungibili e licenziabili.
Bauman ha paragonato il concetto di
modernità e postmodernità rispettivamente allo
stato “solido” e “liquido” della società. Riguardo a
quest’ultima, che rappresenta lo stato attuale delle
cose, egli dice che:
42
«Ci muoviamo da un progetto all’altro, senza sapere chi ci
impiegherà il prossimo anno. Tutto si sta “sciogliendo” ma
non più al fine di creare un’altra solidità. Lo scioglimento
diviene un processo continuo, niente ha il tempo per
solidificarsi; è ciò che io chiamo “modernità liquida”. La
modernità odierna, come i liquidi, non può assumere una
forma per lungo tempo».31
Secondo Bauman, la società tardo moderna
decreta
l'affermazione
dell'individuo,
ma
dell'individuo de iure, non di quello de facto. Solo,
vulnerabile, senza uno spazio pubblico cui far
riferimento, l'individuo contemporaneo non assurge
al ruolo di cittadino, ma è un isolato alla mercé delle
proprie scelte e delle proprie sconfitte.
L'individualismo odierno è un individualismo povero,
dove prevalgono l'interesse egoistico, l'incertezza e
l'ansia del fallimento.
La situazione attuale non può che generare,
quindi, un individuo atomizzato, slegato dal resto
della società, incapace di interagire con gli altri e nel
prendere decisioni individualmente, e con gli occhi
31
Bauman Z., Modernità liquida, Laterza, Bari, 2002
43
puntati esclusivamente sulla propria performance.
Per questo l’individuo ha bisogno di essere guidato,
consigliato, aiutato, supportato nel proprio percorso
di vita o nel proprio lavoro.
In questi casi è fondamentale l’intervento di una
figura professionale che aiuti la persona ad acquisire
maggiore consapevolezza delle proprie capacità ed
utilizzarle al meglio in una logica di empowerment,
attraverso un miglioramento continuo (selfempowermet), che innalza il livello di autostima,
rafforza le convinzioni di autoefficienza e porta
all’equilibrio interiore e all’autorealizzazione.
Il coaching diventa una strada che permette di
conciliare il rispetto delle più profonde caratteristiche
della persona con l’esigenza dell’organizzazione di
ottenere prestazioni sempre più elevate. Non è una
“tecnica”, una modalità superficiale e manipolatoria
per spremere le persone e ottenere da esse una
performance ottimale, ma una filosofia a cui ispirare la
relazione, un modo di trattare le persone che consenta
a queste di trovare nella performance il risultato di una
scelta, l’espressione e la realizzazione di se stesse.
Quindi il coaching è uno stimolo e uno strumento di
44
cambiamento sia a livello culturale, sia individuale che
organizzativo.
2.2 Nascita ed evoluzione del Coaching
Sono numerose e differenti, a volte anche
contraddittorie, le definizioni date alla parola
“coaching”. Molti scrittori accademici nel tempo hanno
pure cambiato il loro punto di vista, indicando che il
campo si sta ancora sviluppando.
Per John Whitmore, una delle voci più
autorevoli in materia, il coaching è:
«il processo di responsabilizzazione degli altri. Per
Coaching non intendiamo semplicemente una tecnica
escogitata lì per lì e rigorosamente applicata in
determinate circostanze: si tratta piuttosto di un modo di
guidare e gestire le persone, un modo di pensare, e quindi
anche un modo di essere.»32
32
Whitmore J., Coaching, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2006
45
Le definizioni di coach sono mutate nel corso
degli anni. Il termine “coach” fa la sua prima comparsa
nel 1500 circa, riferito ad un metodo di trasporto, un
veicolo trainato da cavalli, proveniente dalla piccola
città ungherese di Kòcs (pronunciato “koach”). A metà
del 1850 la parola è stata utilizzata nelle università
inglesi riferita ad una persona che aiutava gli allievi
nella preparazione dell’esame33. Il coaching affonda le
sue radici nella Psicologia Umanistica focalizzandosi
sulla dignità e sul valore intrinseco di una persona.
Con l’emergere del movimento Umanista, si
comincia a parlare di coaching anche nel mondo del
business. Ma la reale innovazione è venuta con la
fusione tra lo sport e il mondo degli affari, che ha
reinventato questo termine. Tim Gallwey (1974) con il
suo Inner Game of Tennis34 fu uno dei primi promotori
del coaching nel contesto degli affari, a cui sono
susseguiti rapidamente altri coach sportivi di fama
33
Zeus P. & Skiffington S., The Coaching at Work Toolkit, McGraw-Hill
Trade, Australia, 2001
34
La parola inner, “interno”, è stata adottata per indicare la condizione
interiore del giocatore, ovvero, per usare le parole di Gallwey, per
portare alla luce il fatto che “l’avversario che si nasconde nella nostra
mente è molto più forte di quello che troviamo dall’altra parte della
rete”.
46
notevole, come John Whitmore (campione di corse
automobilistiche), David Hemery (medaglista olimpico
del salto ad ostacoli), David Witaker (coach olimpico di
hockey).
Il Coaching, nel significato moderno, è stato
supportato
dalla
“Teoria
dell’apprendimento
costruttivo” di Williams & Irwing (2001), la cui
credenza centrale è che non esiste una sola vera
interpretazione della realtà.
2.3 Coaching e Mentoring
Alcuni scrittori ritengono che il mentoring35 è il
modello per il coaching, e che il mentoring però è
troppo formale come termine lavorativo. Più
recentemente, nel tentativo di creare una certa forma
di coesione all’interno di questa visione confusa, i
maggiori scrittori di questo dominio non hanno
35
La parola ha le sue origini dalla mitologia greca, nella figura di
Mentore nell’Odissea di Omero. Il mentor è la figura che gestisce una
relazione (mentoring) che si instaura tra un soggetto con più esperienza
(il mentor, appunto) e uno con meno esperienza (protégé), al fine di
consentire a quest’ultimo di essere guidato e protetto da un soggetto di
maggiore importanza e rilievo. L'uso di questa pratica educativa è
dunque molto antica.
47
accettato entrambe le attività come un sottoinsieme
una dell’altra. Conseguentemente le distinzioni tra
questi due termini causano confusione e che quindi la
comunità dovrebbe cominciare ad accettare un
termine tipo Coach-Mentor36.
Le origini del mentoring risalgono al concetto di
apprendistato, in cui un individuo più anziano e con
maggiore esperienza trasmette a uno più giovane tutto
quello che sa su come un certo lavoro vada affrontato
e come ci si debba comportare nel mondo degli affari.
Fino alla fine degli anni ‘80, il termine mentoring
era intercambiabile con quello di coaching. Una
leggera distinzione viene effettuata da Parsloe, il quale
dice che:
«lo scopo del coaching è strettamente destinato a un
immediato miglioramento della performance e allo
sviluppo di abilità individuali attuando una forma
particolare di tutoraggio e istruzione. L’attività del
mentore è sempre svolta con un certo distacco e il suo
scopo è piuttosto quello di offrire consigli e suggerimenti
36
Parsloe E. & Wray M., Coaching and Mentoring: practical methods to
improve learning, Kogan Page, Londra, 2000
48
per acquisire nel lungo termine determinate conseguenze
connesso allo sviluppo della carriera professionale.»37
2.4 Coaching e Counseling
Anche in questo caso è molto difficile fare delle
distinzioni nette tra i due campi, soprattutto in Italia, in
quanto le differenze tra la professione del coach e del
counselor38 si fanno più sfumate e a volte
impercettibili.
I campi di maggiore e più convincente
applicazione del counseling39 sono tutti quegli
interventi volti a sviluppare la consapevolezza e
l’autonomia dei soggetti, a rimuovere modelli di
comportamento negativi perché produttivi di disagio,
37
Parsloe E., Coaching, Mentoring and Assessing: a practical guide to
developing confidence, Kogan Page, Londra, 1992
38
Professionista in grado di aiutare un interlocutore in problematiche
personali e private. In base al bagaglio di abilità possedute, le
competenze proprie all'attività di counseling possono essere presenti
nell'attività di diverse figure professionali quali psicologi, medici,
assistenti e operatori sociali, educatori professionali.
39
Il counseling è un processo di apprendimento, attraverso
un’interazione tra counselor e cliente, o clienti (individui, famiglie,
gruppi o istituzioni), che affronta in modo olistico problemi sociali,
culturali e/o emozionali
49
ad affrontare positivamente le situazioni di conflitto,
ad acquisire fiducia in se stessi e nelle proprie
potenzialità. Vengono attuati anche percorsi specifici
volti al sostegno e alla facilitazione di clienti (individui
o gruppi) che attraversano periodi critici della propria
vita o hanno bisogno di entrare in una relazione di
aiuto per risolvere un problema specifico, per
migliorare i propri processi decisionali, per migliorare
la qualità della vita.
In linea di massima possiamo dire che il
counseling, per poter mettere in atto il suo processo di
aiuto, parte da uno studio e da una conoscenza del
contesto passato del cliente, individuando quali sono
state le sue esperienze vissute e ciò che in passato il
soggetto ha sperimentato come ostacolante alla sua
crescita40. Il coaching, invece, si basa prevalentemente
sul presente proiettando le attenzioni e le pratiche
verso ciò che sarà il futuro del cliente.
Per quanto riguarda il rapporto con l’emotività,
anche qui possiamo trovare delle piccole differenze.
Infatti, mentre il counseling elabora l’emotività, il
coaching, di contro, insegna solamente ad utilizzarla.
40
www.psicologiadellavoro.com/content/view/189/46/
50
Altre distinzioni si possono fare in ambito
legislativo in quanto il counseling in alcuni paesi
europei
ha
una
propria
identità41
e
42
regolamentazione , mentre per il coaching (come
vedremo più avanti) questo ancora non lo si può
affermare.
In conclusione posso affermare che è
sicuramente molto difficile riuscire a trovare delle
differenze nette tra le due professioni, anzi a volte i
due percorsi si accavallano l’uno con l’altro. Forse,
l’unica vera differenza, consiste nel fatto che il
coaching proviene dal filone di studio delle Risorse
Umane mentre il counseling da quello della
psicoterapia. Quindi il contesto formativo e l’ambiente
intervengono nel determinare tra i due ambiti le
41
In Gran Bretagna, le professioni di counselor e di psicoterapeuta sono
sovrapposte, ma si distinguono nettamente dallo psicologo; in altri
paesi quali la Francia, l’Austria e l’Italia, esiste invece una netta
distinzione tra la professione di counselor e quella di psicologo e di
psicoterapeuta.
42
In Austria il counseling (insieme al coaching) rientra tra le attività
regolamentate nella professione di consulente di vita e sociale. In
Germania la professione di counselor pur non essendo regolamentata è
tutelata da un coordinamento nazionale (Deutsche Gesellschaft fur
Beratung - DGfB) che raccoglie circa 30 associazioni e scuole di
counseling. Nel Regno Unito è stata avviata la procedura per la
regolamentazione delle figure di counselor e psicoterapeuta.
51
differenze nelle pratiche e nella biografia professionale
del professionista.
2.5 Non una semplice parola di moda
Da qualche tempo la parola coaching va molto
di moda soprattutto negli ambienti del business, dove
viene pronunciata e usata molto frequentemente.
Proprio per questo, l’improvvisa “fame” di coaching ha
finito per spianare la strada a manager (sedicenti
coach) che, dotati di una formazione frettolosa e
superficiale in questo campo, hanno proposto il
coaching senza ottenere i risultati che avrebbero
dovuto conseguire. Proprio per questo il coaching ha
corso il serio pericolo di venire travisato, di essere
recepito in modo errato e, conseguentemente, di
essere liquidato come una tecnica non poi così
innovativa, né all’altezza delle sue promesse.
Per sua fortuna, il coaching, negli anni, è riuscito
a riprendersi la propria identità e peculiarità, non
trasformandosi semplicemente in una delle tante
mode passeggere che si diffondono per poi scomparire
nell’arco di un mese o di un anno; l’indubbio valore e
l’importanza del coaching sono oggi ampiamente
52
riconosciuti nel mondo del lavoro, così come in quello
della vita privata.
A tal proposito, il concetto di “life coaching”
appare per la prima volta tra le definizioni moderne di
coaching come attività in un programma finalizzato ai
ritirati dalla scuola media superiore. Questo lavoro,
mirato a combattere la povertà, è cominciato negli
anni ’50
con un programma di formazione
sponsorizzato dall’YMCA43 di New York. Il suo scopo
era quello di cercare i metodi più efficaci di
apprendimento/consulenza per aiutare la gente ad
apprendere le abilità psicologiche e sociali utili a
fronteggiare problemi di vita, prevedibili, inerenti allo
sviluppo. Verso la conclusione degli anni ’60 la ricerca
divenne più rigorosa, aumentando la propria credibilità
spostandosi nell’ambito di metodologie più
accademiche. Questo ha favorito anche la nascita
dell’executive e business coaching, partendo dai
programmi di leadership degli anni ’80.
Attualmente il coaching viene applicato in sette
differenti tipologie:
43
Young Men’s Christian Association (Associazione Giovanile Maschile
Cristiana)
53
- Business coaching, che si rivolge a liberi professionisti
e imprenditori di piccole e medie imprese;
- Executive coaching, per top manager ed executive;
- Corporate coaching, per lo sviluppo di manager in
azienda;
-Career coaching,
professionali;
aiuta
ad
affrontare
scelte
- Team coaching, interviene su gruppi per migliorare la
performance, la collaborazione e la realizzazione di
progetti comuni;
- Personal coaching, lavora direttamente con il cliente
su diverse aree della vita privata e lavorativa;
- Life coaching, per privati che decidono di migliorare
alcune aree della propria vita.
2.6 Professionista o non professionista?
Per i molti il coaching non è una professione,
malgrado l'esistenza di persone che istruiscono
professionalmente. Le professioni fanno parte, oggi,
54
dell’universo del lavoro autonomo, cioè delle attività
svolte al di fuori del tradizionale lavoro dipendente.
Il Consiglio Nazionale dell’Economia e del
Lavoro (CNEL) classifica le attività professionali in tre
categorie:
- un primo tipo di professioni, quelle protette, per le
quali è prevista l’iscrizione in Albi e l’istituzione di un
Ordine al quale è delegata la funzione di controllo
sull’esercizio dell’attività;
- un secondo tipo di professioni riconosciute, ovvero
disciplinate dalla legge, per le quali tuttavia si richiede
solo l’iscrizione in Albi o Elenchi, senza che sia
necessaria la costituzione di un Ordine (ad esempio gli
agenti di assicurazione e i periti assicurativi);
- un terzo tipo di professione è dato infine dalle attività
non regolamentate o "Professioni Associative", ovvero
non soggette ad una regolamentazione pubblicistica,
ma presenti sul mercato del lavoro e rappresentate
dalle relative associazioni.
Anche l’Unione Europea, dal momento in cui ha
avviato la libera circolazione dei lavoratori nei diversi
Stati membri, ha iniziato ad occuparsi della definizione
55
di professionista. Con la mobilità dei lavoratori, il
primo problema è stato quello di uniformare i criteri
per ogni singola professione. In altre parole, nasce
l’esigenza di permettere ad un cittadino formato in un
qualsiasi Stato membro di esercitare la sua professione
in un altro Stato membro. La continua evoluzione del
sistema socio-economico fa sorgere la necessità per la
Comunità Europea di occuparsi di professioni
emergenti o che comunque non rientrino nella
tipologia di professioni regolamentate.
Il legislatore europeo non arriva a definire in
modo esplicito il concetto di professione non
regolamentata, ma è possibile arrivare ad una
definizione desumendola dalle Direttive 89/48/CEE,
92/51/CEE, 1999/42/CE secondo cui “le professioni non
regolamentate sono quelle attività lavorative
caratterizzate dall’assenza di norme ratione operis che
siano vincolanti in materia di accesso o di esercizio
professionale e che siano disposte direttamente dalla
pubblica autorità. Una professione non regolamentata
può essere esercitata sia in forma di lavoro autonomo
che di lavoro subordinato”.
La questione più problematica per ciò che
riguarda le associazioni è l’accertamento del numero
56
dei professionisti. Il CNEL ha accertato che al 31
dicembre 2004 le associazioni regolamentate
risultavano essere 196. Per quanto riguarda invece le
libere professioni regolamentate, il totale degli iscritti
nel 2009 risulta essere di 2.006.00044 professionisti. È
bene tenere presente che non tutti gli iscritti agli Albi
esercitano attivamente la professione. Inoltre i
professionisti iscritti agli Albi possono esercitare la
professione in modo autonomo e lavorare in
un’organizzazione, parallelamente o in modo esclusivo.
Il numero di professionisti non iscritti ad ordini
professionali in Italia è di circa 3 milioni e 700 mila
unità.
Per quanto riguarda i professionisti non
regolamentati operanti in Italia, le stime riportate da
CNEL e CENSIS nel 2009 fissano in un numero variabile
tra 1.600.000 e 3.000.000 di unità. In questa categoria
sono
rappresentate
prevalentemente
attività
professionali sorte sulla spinta delle evoluzioni
tecnologiche, scientifiche e di conoscenze che hanno
investito la nostra società, il cui esercizio richiede
44
CENSIS, “43° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese”,
Roma, dicembre 2009
57
conoscenze molto elevate, senza che sia però
necessaria l’iscrizione ad un ordine o albo.
2.7 La classificazione a livello europeo
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha
riveduto la versione precedente della “Classificazione
internazionale tipo delle professioni” finora in uso
(ISCO-88) allo scopo di disporre di una classificazione
più efficace che possa essere utilizzata dai singoli paesi
nel prossimo ciclo di censimenti demografici e dalle
amministrazioni nazionali del lavoro, nonché
nell’ambito di altre applicazioni orientate dal cliente.
L’utilizzo della nuova classificazione ISCO-08 è
fondamentale al fine di garantire la compatibilità dei
dati sulle professioni degli Stati membri dell’UE con
quelli del resto del mondo.
La classificazione ISCO-08 è più dettagliata della
versione europea di tale classificazione ISCO-88 (COM)
per quanto riguarda le professioni che registrano una
elevata
presenza
femminile
ed
evidenzia
maggiormente le professioni collegate alle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione.
58
Da questa classificazione, purtroppo, resta fuori
la figura del coach, che viene inserito solo nell’ambito
sportivo, all’interno del gruppo 34 (Legal, social,
cultural and related associate professionals),
sottogruppo 342 (Sports and fitness workers),
categoria 3422 (Sports coaches, instructors and
officials).45
Il motivo è facilmente intuibile, in quanto, pur
avendo delle caratteristiche proprie, la figura del coach
rappresenta
un’innovazione
nell’ambito
delle
professioni e richiede quindi un'attenzione e una
riflessione nuova che possa farla emergere come figura
a se stante riconosciuta. Rifacendoci alla “curva ad S”
di Tarde, potremmo dire che il coach in Europa si trova
attualmente in una condizione transitoria dalla fase
dell’innovazione a quella di crescita. Più precisamente
potremmo dire che a livello di classificazione si trova
nella fase di innovazione, visto che ancora fa fatica ad
essere inserita, mentre professionalmente la
potremmo collocare già in fase di crescita. E' infatti
un'attività a cui molti professionisti da ambiti diversi
guardano con interesse, e che molte aziende
considerano un investimento prezioso.
45
http://www.ilo.org/public/english/bureau/stat/isco/docs/resol08.pdf
59
Il fatto di non appartenere a un albo
professionale, ma solo ad associazioni legate alla
Federazione Internazionale o a quella dei Coach
Professionisti, rende il coach anche un nonprofessionista. Ciò non toglie che qualsiasi persona che
si trovi a svolgere questa attività, tecnicamente si
ritiene un professionista a tutti gli effetti, sia per il
ruolo che ricopre, sia per le competenze che deve
avere. Quest’ultime, attualmente, sono valutate e
stabilite dall’International Coach Federation (ICF)46
attraverso delle certificazioni. A tal proposito, proprio
in questo ultimo periodo, in seno all’ICF si sta
discutendo se mantenere le certificazioni attuali o se
indirizzarsi verso certificazioni ISO, che naturalmente
garantirebbero un’uniformità nell’ambito dell’attività
di coach a livello mondiale.
Gli standard di eccellenza, la professionalità ed il
codice etico riconosciuti a livello internazionale dalla
ICF costituiscono una base solida per l’auto46
La ICF è la più grande associazione professionale senza scopo di lucro
del mondo del coach, con più di 13.000 membri in più di 80 paesi. Il suo
scopo è di sviluppare, sostenere e preservare l’integrità della
professione nel mondo e di accrescere la fiducia del pubblico in questa
professione. La missione dell’ICF consiste nell’essere il punto di
riferimento per l’arte e la scienza del coaching.
60
regolamentazione della professione di Coach. Solo
quei Coach che sono membri della ICF47 o ne hanno
ricevuto le credenzialità, sono soggetti a questa
autoregolamentazione. Ciò significa che coloro che
non sono membri della ICF o che non ne hanno
ricevuto la certificazione, non sono soggetti allo stesso
rigoroso standard di professionalità.48
Comunque c’è da dire che il concetto di
professionista per gli italiani risulta essere tuttora poco
chiaro, in quanto questi fanno ancora molta
confusione, intendendolo fortemente legato a quello
di “libero professionista”.
2.8 Il coach e le competenze
La International Coach Federation definisce il
coaching professionale come "un rapporto di
partnership che si stabilisce tra coach e cliente
(coachee) con lo scopo di aiutare quest'ultimo ad
47
La ICF raggruppa più di 13.500 coach dislocati in oltre 90 paesi
internazionali, ed è quella con il maggior numero di iscritti. Fonte:
www.coahfederation.it
48
Cfr. il link http://www.icf-italia.org/fic/?p=48
61
ottenere risultati ottimali in ambito sia lavorativo che
personale".
Utilizzando diversi strumenti, quali l'ascolto,
l'intuito, la curiosità, i feedback, le domande potenti, il
coach dialoga con il coachee e lo aiuta a fare chiarezza
riguardo gli obiettivi che veramente desidera, le
strategie più corrette per raggiungerli, le modalità
concrete per superare gli ostacoli ed aumentare la
fiducia in se stesso.
Il coaching quindi non si basa sul trasferimento
di conoscenze tra un cliente passivo ed un coach
"esperto", non dà soluzioni, non definisce il bene o
l'interesse del cliente. Il coaching aiuta le persone a
cambiare e a trasformarsi (in ciò che loro veramente
desiderano), aiutandoli ad individuare e a superare
comportamenti inappropriati, cattive abitudini, pattern
che ostacolano la crescita ed impediscono di
raggiungere gli obiettivi preposti.
Oggi il coaching risulta essere una professione
abbastanza nota e riconosciuta in tutto il mondo, che
conta oltre 30.000 coach, di cui circa il 18,8%
specializzato nell'executive coaching, il 18,3% nello
sviluppo della leadership, il 15,7% nel life e personal
62
coaching. Uno studio commissionato dall’ICF stima che
oggi ben il 71,2% dei coach è membro dell'ICF.49
Indipendentemente dagli standard etici di ICF,
tutti i coach dovrebbero avere delle competenze
specifiche che, sempre l’ICF, le raggruppa in 11 punti.
Naturalmente l'esperienza personale e il background
fanno sì che ogni singolo coach sia “unico” nel suo
genere, e queste ulteriori competenze non possono
che essere un arricchimento nello svolgimento della
professione.
Le 11 competenze rilasciate dalla ICF sono
raggruppate in 4 sottogruppi, così suddivisi:
a) Porre le basi
1) soddisfare linee guida etiche e standard
professionali
2) stabilire il contratto di coaching
b) Creare insieme la relazione
3) stabilire fiducia e confidenza con il cliente
49
Fonte: Global Coaching study realizzata da Price Waterhouse Cooper
per ICF , luglio 2007
63
4) presenza di coaching
c) Comunicare efficacemente
5) ascoltare attivamente
6) fare domande potenti
7) comunicazione diretta
d) Facilitare apprendimento e risultati
8) creare consapevolezza
9) progettare azioni
10) pianificare e definire obiettivi
11) gestione del progresso e affidabilità
2.9 Un “allenatore della vita”: il life coach
A differenza del corporate e dell’executive
coach, già da anni apprezzati e ricercati da grandi e
medie aziende, il life coach è una figura nuova che in
Italia si sta sviluppando solo negli ultimi anni. Si occupa
soprattutto di tematiche inerenti la sfera della vita
64
privata della persona, e in termini italiani potremmo
definirlo un “allenatore della vita”.
Il life coach è un professionista prezioso per tutti
coloro che hanno bisogno di risolvere problemi
specifici di cui sono già consapevoli, ma anche per
coloro che desiderano una migliore qualità della vita e
non sanno esattamente su quale aspetto focalizzarsi
per poter raggiungere un’armonia generale e un senso
di benessere. Il life coach ha quindi un’esperienza non
solo nel campo professionale ma anche su tematiche
legate al privato.50
Il compito di un life coach è quello di aiutare
l’individuo a mettere in luce le aree della vita privata
che richiedono un maggiore impegno, motivazione o
qualche cambiamento. Il compito del cliente, invece, è
quello di impegnarsi a seguire le proprie scelte e a
mettere in pratica le azioni programmate.
Naturalmente, se non c’è la volontà da parte di un
individuo di impegnarsi in un percorso di coaching, il
lavoro del coach non porterà nessun beneficio.
50
http://www.studiocoach.it/life-coach/
65
Una caratteristica fondamentale del life
coaching è che il coach non spinge il coachee a
ripercorrere le esperienze passate, a focalizzarsi su
questioni irrisolte, né tantomeno tenterà di affrontare
problematiche di tipo psicologico, bensì parte dal
presente per spostarsi verso il futuro, focalizzandosi
esclusivamente sulla persona. Indipendentemente da
ciò che costituisce la storia di ognuno noi, secondo la
filosofia del coaching, è possibile costruire una
strategia personale che possa portare verso un
risultato desiderato. L’insieme di azioni, la verifica di
ogni passo successivo, la consapevole assunzione di
responsabilità, fa sì che ogni cambiamento possa
essere duraturo. Il coach non dà suggerimenti e
soprattutto non giudica, offre piuttosto un’aspettativa
esterna che sostiene il suo cliente e le sue scelte.
Le aree su cui si può intervenire insieme a un life
coach sono molte e varie, come relazioni
interpersonali, gestione del tempo, equilibrio tra vita
privata e lavoro, rimozione di idee bloccanti che
impediscono di agire come si vorrebbe, ma anche
sviluppo personale e capacità di affrontare eventi
straordinari. Tutti questi temi, a volte anche delicati,
possono essere affrontati con estrema serenità grazie
66
alla fiducia, la riservatezza e il rispetto, che vengono
garantiti dalla relazione di coaching e che sono
essenziali per la realizzazione di un percorso efficace.
Un percorso di life coaching ha una durata variabile a
seconda del tema da affrontare e degli obiettivi
prefissati.
Nel mio percorso di tesi ho ritenuto opportuno
trattare un caso di studio pratico che potesse
rispecchiare ciò che di teorico ho riportato fino a
questo momento, prendendo così come caso di studio
un’attività di coaching presente sul territorio romano.
Si tratta di “Studio Coach”, che si occupa di business
coaching per piccole e medie imprese, ma soprattutto
di life coaching rivolto ai privati. Quest’attività è
rappresentata da Carla Benedetti, titolare di Studio
Coach, la quale si è dimostrata disponibile ad essere
presente come caso di studio all’interno di questa tesi.
Quindi nel capitolo successivo approfondirò l’attività
svolta da “Studio Coach” nonché tutti gli aspetti legati
ad esso, inserendo diversi concetti rilasciati
personalmente da Carla Benedetti durante i diversi
incontri avuti.
67
68
CAPITOLO TERZO
IL CASO: “STUDIO COACH”
3.1 Presentazione del caso: “Studio Coach”
Studio Coach nasce a Roma nel giugno 2008 da
un’idea di Carla Benedetti. Il suo progetto è quello di
costruire un punto di riferimento per tutte quelle
persone che desiderano dedicarsi al proprio sviluppo
personale e professionale attraverso il life coaching.
La maggior parte dei coach presenti sul
territorio lavorano principalmente con le aziende, o
come consulenti indipendenti o come operatori di
società di consulenza. Questo è dovuto al fatto che la
figura professionale del coach è conosciuta e richiesta
soprattutto all’interno di organizzazioni, proprio per la
possibilità riconosciuta a questo professionista di saper
migliorare la qualità dell’ambiente lavoro, la
motivazione e sviluppare le competenze a livello
manageriale e di conseguenza la competitività sul
mercato. In questo contesto, la sfida di Studio Coach è
quella di affermare la validità del coaching e portarlo ai
privati, a tutti quegli individui che desiderano
69
migliorare la propria vita. La vision aziendale è quella di
arrivare ad essere, un giorno, un punto di riferimento
per queste persone e offrire uno strumento di sviluppo
personale che non sia più privilegio aziendale.
Il nome “Studio Coach” ha una doppia valenza:
da un lato, deve la sua origine all’abbinamento di due
termini simbolo: “studio”, inteso come accezione del
latino “studium”, ossia punto dove si studia e si cresce;
“coach”, l’attività che rappresenta. Dall’altro lato può
essere inteso come uno studio in cui più professionisti
offrono le proprie competenze ed esperienze
specifiche al servizio di clienti eterogenei con esigenze
personali diverse. A questo proposito Carla Benedetti
dice:
«la mia attività si chiama Studio proprio perché
nasce dal desiderio di studiare se stessi e le proprie
capacità per una crescita consapevole costante. Sviluppo
che non riguarda esclusivamente i clienti, ma anche i
coach stessi. In futuro altri coach potranno unirsi e
partecipare al progetto Studio Coach. Sono già stata
contatta da diversi professionisti che desiderano
collaborare. E’ molto importante però che si possa
costituire un team di persone che condividano non solo
un’attività, ma anche una filosofia e uno scopo comune.
70
Credo che in un futuro non molto lontano, l’idea dello
studio di “associati” possa concretizzarsi non solo a Roma.
Sarà infatti molto interessante attivare una rete
professionale più vasta che possa garantire una maggiore
flessibilità.»
L’esperienza professionale di Carla Benedetti ha
una matrice derivante dal management e dalle Risorse
Umane, con un’esperienza di undici anni in Inghilterra.
Gestire collaboratori, occuparsi della loro crescita,
lavorare con le persone insomma, è stato per lei
sempre un aspetto molto affascinate del suo lavoro,
soprattutto nell’area formazione. Quando decide di
tornare in Italia, si occupa di gestione di piccole
imprese e consulenza per piccoli imprenditori. Un
periodo interessante in cui ha potuto confrontarsi con
diverse esigenze organizzative e sviluppare capacità di
ascolto soprattutto nei confronti degli imprenditori
committenti, ampliando il suo sguardo sul mondo del
piccolo business. Il desiderio di focalizzarsi sulla
formazione ha però spostato gli interessi verso una
consulenza diversa e attivato la spinta a creare
un’attività propria che rispondesse a queste esigenze.
Così nasce l’incontro con il coaching. Il coaching ha
71
unito la passione per la formazione con il desiderio di
condividere.
La possibilità di utilizzare l’esperienza acquisita
per lavorare non solo su training finalizzati, ma su
qualcosa di più grande: se stessi e la propria vita.
Sceglie quindi di seguire un corso della “Corporate
Coach U Italia”51, già prima di terminare il corso
registra il proprio marchio, dà vita a “Studio Coach”,
diventa membro della Internazional Coach Federation.
Al conseguimento del diploma, il sito di “Studio Coach”
è online.
«Dopo dieci giorni – ci dice Carla Benedetti – ho
avuto i miei due primi clienti. Nonostante fossi molto
positiva, quei due primi contratti mi sorpresero,
soprattutto per la facilità con cui arrivarono. Il life
coaching è ancora una cosa nuova ed ero perfettamente
consapevole che chiedere a un privato un impegno così
importante, anche se per una vita migliore (potrebbe
esserci un motivo migliore per investire?), beh, non è
semplice. Quei due primi clienti mi hanno dato una grande
carica e la gioia di vedere realizzare qualcosa che fino a
quel momento era solo un’idea. Col tempo si migliora e
51
Leader in Italia nel campo della formazione al coaching e parte del
network internazionale “CoachInc”
72
l’esperienza ci insegna molto. Quando penso alla prima
sessione con il mio primo cliente ricordo la stretta di mano
e lo sguardo fiducioso che mi rivolse. Era preoccupato e
disposto a raccontarmi la sua vita. La grande
responsabilità mi fece dimenticare ogni dubbio e lo feci
accomodare. Abbiamo cominciato insieme, fidandoci l’uno
dell’altra, senza giudizio. Il coaching è un po’ questo.»
La scelta professionale verso la figura del coach
è stata quindi dettata dalla voglia di lavorare con le
persone e al servizio delle persone.
Ma la domanda che viene da fare è: perché un
soggetto si rivolge ad un coach? Pronta la risposta di
Carla Benedetti:
«la ragione per cui le persone vanno dal coach è
perché il coach è distaccato dalla loro vita. Quando parli
con un amico o con una persona cara, parli con una
persona coinvolta emotivamente ed è possibile che per
affetto trovi difficoltà a staccarsi completamente dalla
situazione. Tenderà quindi a dare i consigli che ritiene in
buona fede giusti o a dare conforto senza però creare un
vero spazio di azione responsabile della persona. Una
persona distaccata quale può essere il coach, offre
l’opportunità di parlare a voce alta senza aspettative, allo
73
stesso tempo le sue domande stimolano una esplorazione
profonda e un’analisi da diversi punti di vista. »
3.2 Il Diploma e la Certificazione
Studio Coach, come abbiamo detto, è nato nel
giugno del 2008. La certificazione della ICF è arrivata
dopo circa sei mesi di attività. Per ottenere la
certificazione bisogna attenersi a delle condizioni
fondamentali: innanzitutto bisogna aver frequentato
una scuola riconosciuta dalla ICF52, la quale rilascia un
diploma a seguito del superamento delle prove finali53.
Dopo di che bisogna fare una serie di ore di sessioni
con un numero minimo di clienti veri, i cui dati devono
essere registrati e consegnati al comitato ICF per una
eventuale verifica. Solo dopo aver verificato
l’affidabilità del materiale e ritenuto il candidato
competente secondo gi standard stabiliti, l’ICF assegna
una certificazione.
52
Se la scuola non è riconosciuta dalla ICF, bisogna fare un esame da
privatista sempre presso una scuola riconosciuta dalla ICF per avere poi
la loro certificazione.
53
Suddivise in un esame scritto e in un esame orale che consiste nella
simulazione di una seduta di coaching.
74
«La differenza tra i coach la fa la persona, l’intuito
personale. Come si dice non ci sono coach mediocri o bravi coach,
ci sono solo coach eccellenti, perché non esiste un altro modo di
essere coach. L’esperienza personale, la sensibilità personale, la
capacità di partecipare senza essere necessariamente empatico
al 100% e la capacità di non giudicare, di restare focalizzato sul
cliente dimenticando i propri modelli, sono elementi
fondamentali per questo lavoro.»
La certificazione permette di essere accreditato
e riconosciuto dall’ICF come coach professionista, ma
questa, ma questa non dura a vita, ha una scadenza.
Quindi la membership va rinnovata annualmente e
ogni 3 anni, come garanzia e affidabilità del coach,
bisogna ripetere in parte la procedura su elencata.
3.3 L’attività di Studio Coach: business e life coaching
Studio Coach offre un servizio sia di business
coaching che di life coaching. La differenza sostanziale
consiste nel fatto che nel primo caso si lavora
principalmente con liberi professionisti e piccoli
imprenditori, mentre nel secondo caso si lavora con i
75
privati. Ulteriori differenze saranno analizzate nei
successivi paragrafi.
3.3.1 Il business coaching di Studio Coach
Il business coaching di Studio Coach si rivolge a
piccoli imprenditori e professionisti. Una delle
caratteristiche dei piccoli business, è il carattere molto
personale dell’azienda. L’imprenditore si riconosce
completamente nella sua attività e questo presenta
due aree di intervento importanti: da una parte può
essere difficile a volte l’implementazione di nuove
strategie o cambiamenti, proprio per l’attaccamento a
tradizioni e pratiche consolidate; dall’altra l’aspetto
personale può emergere anche su temi più
strettamente business, essendo la vita stessa
dell’imprenditore fortemente connessa con l’attività
professionale.
Nel business coaching, in qualche modo,
succede che si faccia anche della consulenza. Le
tematiche affrontate richiedono che ci si sposti tra
consulenza e coaching. Sta alla capacità di valutazione
del coach capire quando è il momento di mettersi il
“cappello” del coach e quando quello del consulente
76
business, colui che può dare suggerimenti e consigli
per possibili soluzioni. Un aspetto questo non presente
nel life coaching.
Il life coach non deve necessariamente avere
competenze sulla materia specifica presentata dal
cliente, ma sugli strumenti a disposizione per applicare
il modello coaching che prevede supporto, ma non
direzione. Condurre un cliente verso una soluzione
suggerita può creare dipendenza o nel caso di
insuccesso, perdita di fiducia da parte del cliente non
solo nell’operato del coach ma nel processo stesso.
3.3.2 Il life coaching di Studio Coach
Il life coach si occupa della vita, come già detto è
l’ “allenatore della vita”. Riguarda tutti gli aspetti, quali
può essere un disagio, un cambiamento importante, la
decisione di cambiare città, di trasferirsi, di gestire i
propri figli o la famiglia.
Il life coach si occupa quindi di tutti gli aspetti
della vita, compreso il lavoro54. Molto spesso si
54
Per l’ambito lavorativo è presente anche la figura specifica del career
coach il quale aiuta ad affrontare scelte professionali.
77
richiede l’intervento di un coach per poter “regolare” il
tempo personale: dove per esempio, ci troviamo di
fronte a persone sposate con famiglia e che lavorano,
e per loro sia il lavoro che la famiglia hanno uguale
importanza, e quindi hanno difficoltà a superare
quest’ostacolo.
3.3.3 Le differenze tra il corporate e il life coaching
Come ho accennato nel paragrafo precedente, il
life coaching è diverso dal business coaching così come
dal corporate coaching.
Nel caso del corporate gli obiettivi sono
aziendali, stabiliti dal committente. Quindi, anche se si
lavora con degli individui, solitamente dell’area
management, con personali esigenze, bisogna sempre
mantenere ben in vista quali sono le richieste
aziendali. Il manager arriva dal coach per richiesta o
proposta dell’azienda, e questo fa sì che il percorso di
coaching non sia vissuto da subito come
un’opportunità, bensì come una valutazione, un
segnale di insoddisfazione da parte dell’azienda
rispetto alla propria performance. Solo in seguito, con
la costruzione di un rapporto di fiducia con il coach, il
78
coachee/manager può più facilmente individuare le
possibilità di crescita ed empowerment a sua
disposizione.
Per Carla Benedetti:
«Il processo di coaching è affascinante ed offre
alla persona l’occasione di aprirsi e affrontare dubbi
personali ma anche i disagi. Pur lavorando in un universo
definito, quello della propria organizzazione, qualunque
individuo porta con sé la propria storia, per questo il coach
pur focalizzandosi sul suo coachee non deve mai
dimenticare gli obiettivi aziendali oggetto del programma
e contratto di coaching.»
Quindi che cosa succede a questo punto? Che in
dei momenti ci può essere pure un piccolo conflitto.
Per esempio, se capita un dirigente a cui viene offerto
il coaching dall’azienda, e questo dirigente in quel
momento si trova in una situazione personale difficile
all’interno dell’azienda stessa di cui non ne ha parlato
con nessuno, si trova davanti al coach e naturalmente
ne parla con lui. Questa situazione può trovarsi in
conflitto con le linee guida dell’azienda, addirittura con
79
la ragione stessa per cui l’azienda ha commissionato il
coaching. In un caso di questo tipo il coach deve
essere molto abile a cercare di capire fino a che punto
può proteggere il coachee senza intaccare gli interessi
del committente azienda. Questa è una dinamica
classica che si verifica spesso quando si lavora con
un’azienda, dove il coach non può essere mai al 100%
dalla parte del coachee. I risultati sono aziendali.
Può succedere che una persona all’interno
dell’azienda, in genere un executive, si avvalga di un
personal coach per affrontare temi che non potrebbe
condividere con altri collaboratori. Le alte
responsabilità e la pressione a cui si è sottoposti in
posizioni dirigenziali, nonché il senso di solitudine,
fanno sì che l’executive senta il bisogno di avere di
fianco un coach che lo accompagni e, nel migliorare la
propria performance, a cascata, migliori tutto il resto.
E’ evidente che nel caso di executive coaching, il
coach deve essere una persona di grande esperienza,
preparazione, capace di relazionarsi con persone ai
vertici aziendali.
80
3.4 Strutturazione di una sessione di coaching
Le prime due domande che i clienti
tendenzialmente sono portati a fare, come è naturale
che sia, sono: quanto costa una sessione? Quanto dura
il percorso?
Una sessione di coaching è abbastanza costosa
quindi molte persone potrebbero non riuscire a
permettersela. In teoria va dai 150 fino ai 300 euro a
seduta, poi varia da caso a caso, anche a seconda della
durata e dalla modalità di come si svolge la sessione di
coaching.
Seguendo le parole di Carla Benedetti riguardo
al costo, ecco il suo modo di procedere:
«La sessione ha un singolo costo, anche elevato, però
io offro delle soluzioni per programma in modo da
garantire al cliente un percorso continuativo e
vantaggioso. Un minimo di tre o quattro mesi è quello che
suggerisco. Perché se è vero che il coaching aiuta nella
realizzazione di obiettivi, il processo richiede tempo.
Nonostante gli accordi presi, se il cliente per qualunque
ragione decide di interrompere il percorso di coaching
questo viene interrotto e solo le sessioni effettuate sono
saldate.
81
Il business coaching invece implica un lavoro diverso e
ha di conseguenza un costo più elevato. Non ci sono mai
state difficoltà con i contratti e accordi presi, la cosa
importante è essere corretti, dare tutte le informazioni
necessarie all’inizio e assicurarsi con il coachee/cliente che
tutto sia chiaro .»
Riguardo invece alla durata della sessione di
coaching, questa ha un tempo variabile perché il
percorso può durare due mesi così come un anno,
dipende dagli obiettivi e dall’impegno della persona. Di
solito quelle minime consigliate sono tra le 10 e le 15
sedute. Meno di queste sarebbero inutili perché ci
vuole del tempo sia per entrare nella relazione tra i
soggetti,
sia,
successivamente,
per
entrare
maggiormente in confidenza con il processo stesso e
portare così a termini i vari passaggi di un percorso
definito.
La scansione temporale ideale è di una seduta
ogni due settimane. Ci sono persone che invece
preferiscono ogni tre, in modo che il percorso di
coaching duri più a lungo nel tempo. C’è chi invece
preferisce fare l’incontro una volta a settimana, ma
questo viene sconsigliato, perché durante l’incontro
82
emergono diverse questioni importanti (soprattutto
nel life), e siccome a fine seduta il cliente si dà dei
compiti da svolgere entro quella successiva, una
settimana è effettivamente troppo poco per riuscire a
fare tutto quello che viene prefissato. Ma il tempo di
una settimana è indubbiamente poco anche solo per
ripensare a tutto quello che è stato detto durante la
seduta.
Secondo il nostro coach:
«Quello stabilito deve essere un tempo realistico ma
anche “sfidante”, e il coach deve dare lo stimolo al cliente
nel riuscire a fare di più. La scansione ideale è di una volta
ogni due settimane. Una ogni tre, invece, dipende: se le
persone sono abituate a lavorare su se stesse, se sono
molto riflessive e hanno davvero bisogno solo di un piccolo
accompagnamento, allora sì, andrebbe pure bene. Se
invece dicono ogni tre settimane solo per guadagnare
tempo, per far durare tutto il rapporto di coaching sei mesi
anziché quattro, non sempre il tutto funziona. Perché poi si
tende a dimenticare le cose, perché è molto impegnativo,
l’impegno è molto intenso da tutte e due le parti. Io in
particolar modo poi devo ricordare tutto quello che mi
viene detto, dai nomi dei figli alla loro età, dal nome
dell’amica ai posti che frequenta. Il coachee giustamente
si confida e si aspetta che il suo coach sia presente anche
83
in questo modo. Quindi devo prendere appunti e
andarmeli spesso a riguardare per essere preparata con
loro rispetto a quello che poi mi raccontano. Quindi è un
impegno, e i clienti si sentono importanti sotto questo
aspetto.»
Ma come si decide un percorso di coaching? Il
colloquio orientativo è il primo contatto indispensabile
al cliente e al coach per presentarsi, per fare tutte le
domande necessarie, per chiarire dubbi e individuare
le aspettative reali. Studio Coach, inoltre, offre la
possibilità al cliente di poter provare l’esperienza del
coaching
direttamente,
senza
un
colloquio
preliminare: viene organizzata una prima sessione di
60 minuti che viene offerta gratuitamente.
Gli obiettivi sono sempre personali e decisi dal
cochee, tenendo però sempre in considerazione
l’esterno, l’ambiente che lo circonda. Il coach deve
aiutare il cliente ad avere gli strumenti e la
consapevolezza di gestire le proprie risorse. E da parte
sua quella di essere consapevole e responsabile delle
proprie scelte. Questo è un passo fondamentale.
84
Il coach può lavorare con chiunque, che sia
idraulico, bancario o casalinga, perché non deve
conoscere il lavoro del cliente. Il coach lavora con la
persona, qualunque sia il mondo a cui appartiene,
lavora sui desideri da realizzare.
Seguiamo ancora le parole di Carla Benedetti:
«Il cliente viene da me e io devo fargli delle domande,
devo cercare di farlo lavorare su delle cose specifiche,
aiutandolo così a capire in quale posizione si trova in
questo momento, quali sono i suoi obiettivi reali, dato che
molto spesso le persone non li sanno, e se quello è
l’obiettivo che veramente vuole raggiungere. Poi, una
volta che lo abbiamo trovato, fargli capire in che punto si
trova adesso, cosa gli manca per arrivare li dove vuole lui,
trovando quindi una strategia per arrivarci. Ovviamente
questo non si fa tutto in un giorno, ma lo si fa nel tempo,
sia perché ogni volta escono fuori cose nuove, sia perché
l’obiettivo molto spesso si sposta, cosa che succede molto
di frequente.»
La durata di una singola seduta è di un’ora,
un’ora e mezza al massimo. L’incontro avviene di
norma nelle studio del coach o, se espressamente
85
richiesto, anche a casa del coachee (naturalmente a
costi differenti). Nell’ambito business invece ci si reca
presso l’attività del cliente.
Un altro tipo di modalità di svolgimento della
seduta di coaching è quella via telefono. Naturalmente
in questo caso i costi sono più bassi. Anche nell’attività
di Studio Coach questo è capitato, ma di rado, e solo se
la coach Carla Benedetti si trova fuori città, quindi
impossibilitata nell’incontrare personalmente il cliente.
3.5 L’identità del coach
Un coach è un coach 24 ore al giorno. Quando si
arriva ad intraprendere questo tipo di professione
(come quella del counselor), è perché la persona aveva
dei nodi ed è riuscita a scioglierli tutti quanti. Siccome
si è riusciti ad avere successo con se stessi, questa
persona si mette a disposizione degli altri per aiutarli a
risolvere i loro problemi. Quindi una persona può
svolgere l’attività di coach solo se in primo luogo tutti i
suoi problemi, le sue difficoltà, i suoi dubbi, sono
risolti, superati e messi da parte. Questa è una
caratteristica che accomuna tutti quanti i coach.
86
Però, nel caso in cui un coach si trovi in un
momento di difficoltà, come si comporterà?
Ovviamente anche egli si rivolgerà ad un coach, perché
ha bisogno di una persona esterna. Quindi tutti i
coach, anche quelli più bravi, hanno bisogno di un loro
coach personale. Questa è un’altra caratteristica
comune.
Continuando sull’identità del coach, riporto le
parole di Carla Benedetti:
«Se nella tua carriera ti sei occupato di lavorare
con delle risorse, qualunque esse siano, e hai scoperto che
lavorare con l’essere umano è un qualcosa che ti
appartiene, sviluppi un tipo di sensibilità particolare.
L’ascolto è la cosa fondamentale, perché è la chiave di
tutto. L’ascolto verbale, paraverbale, l’osservazione:
queste sono le cose più importanti. Inoltre nessun coach si
sente psicologo, ma ci sentiamo tutti dei coach. È un
approccio diverso rispetto a quello dello psicologo. Il mio
lavoro consiste nel parlare sempre di qualcosa a cui tu ti
vuoi avvicinare, non qualcosa da cui ti vuoi allontanare.
Questo è il concetto fondamentale del coaching. Il nostro
lavoro è quello di spostarsi in avanti, ma non perché il
passato non esiste o non conta; il passato esiste, conta e ti
ha portato ad essere la persona che sei. Però dal passato
87
bisogna prendere l’esperienza e il feedback, non
l’emotività.
E’ un lavoro che ha a che fare con la responsabilità
ed io credo nella responsabilità e nella libertà. Se tu sei
una persona che è sicura di sé ed in grado di prendersi le
proprie responsabilità, conseguentemente sei una persona
libera, non dipendi da me. Se tu invece vieni da me per
avere consigli e opinioni, dipenderai da me per tutta la
vita. Ci sono persone che preferiscono delegare ad altri le
proprie scelte, dalle cose più piccole alle cose più grandi. E
ci sono persone che non abbandonano facilmente il
proprio modo di pensare. Capita a volte che dei clienti alla
prima sessione di coaching si spaventano, perché forse per
la prima volta vivono un’esperienza fuori dalle proprie
sicurezze, come si dice, fuori dalla “zona di comfort”. Il
mio lavoro consiste in questo: aiutarti a renderti libero.»
3.6 I consigli di un professionista
Avendo piena disponibilità da parte di Carla
Benedetti, mi è venuto spontaneo chiederle di dare, da
professionista del settore quale è, qualche consiglio sia
a chi ha intenzione di rivolgersi ad un coach, sia a chi
vuole intraprendere l’attività di coach.
Per chi vuole fare una sessione di coaching:
88
«Direi di scegliere un coach che sia sulla carta
affidabile. Quindi fissare un incontro per vedere se si riesce
ad entrare in sintonia, perché non è detto che ciò avvenga.
Successivamente il coachee decide se ha voglia di lavorare
con questa persona. La cosa fondamentale è quella di
essere il più aperti possibile, in modo che non si perda
tempo, né dall’una che dall’altra parte.»
Invece, per chi vuole intraprendere
professione di coach, è questo il consiglio:
la
«Predisposizione nell’aiutare gli altri che non deve
diventare però il modo di scaricare sugli altri i propri
problemi. Cioè, in realtà penso che la cosa importante sia
prima risolvere le proprie questioni e poi successivamente
avvicinarsi agli altri, perché, se prima non sto a posto io
con me stesso, non posso fare niente per gli altri. Non
posso aiutare nessuno. Quindi prima bisogna fare un bel
lavoro su se stessi e continuare a farlo nel tempo,
utilizzando le stesse tecniche del coaching, scrivendo un
diario, ogni tanto facendo esercizi di “autocoaching”, e poi
eventualmente prendendo un coach esterno.»
89
3.7 Prospettive future
Dopo aver cercato di illustrare l’attività, o parte
di essa, che Studio Coach ormai svolge da alcuni anni a
Roma ma non solo, siamo giunti all’ultimo paragrafo di
questo capito, quello che come di consueto è dedicato
alle conclusioni e alle prospettive future.
La speranza e l’augurio è che nel tempo si possa
capire sempre più l’utilità di questo strumento che si
ha a disposizione, in modo che ogni persona riesca a
sviluppare al meglio il proprio empowerment, riesca ad
avere relazioni sociali migliori e durature, riesca ad
affermarsi nella vita stando bene con se stessa e di
conseguenza con gli altri, nonché con tutto il resto che
lo circonda. Quindi la speranza è che un giorno, il
coaching possa diventare una cosa che tutti
conoscono, che possa essere un processo naturale che
si faccia da soli.
Ovviamente lascio l’ultima parola a Carla
Benedetti, che concluderà il paragrafo con il suo punto
di vista:
90
«Per quanto riguarda le prospettive future, secondo
me ci sarà sicuramente uno sviluppo del life coaching,
perché mi sto accorgendo che in questi anni ci si sta
concentrando molto sulla relazione con gli altri, sta
tornando l’attenzione sulla persona, sulla rivisitazione e la
revisione dei propri valori, su quello che è importante per
ognuno di noi. Sarà un po’ la crisi, un po’ le difficoltà che
ci sono nella quotidianità, un po’ i tempi difficili, ma
secondo me la gente ha ripreso a guardare ai veri valori.
Quindi, dal mio punto di vista, ci sarà uno sviluppo del life
ma anche del career coaching, in quanto c’è più attenzione
a cercare il lavoro giusto, perché se tu cerchi il lavoro
giusto è più facile stare bene. Quindi, avere la fortuna di
poterlo scegliere è già un lusso; di contro, però, avere
anche la fortuna di sapere cosa è importante per te e
affrontare il lavoro che già svolgi e che magari non è
quello che ti piace, l’affronti con un’altra mentalità, si dà
un valore diverso al lavoro stesso. Il che dà la forza di
farlo, di farlo bene e con serenità, senza frustrazioni, che è
la cosa più importante.
Io penso che in realtà l’approccio del coaching
arriverà ovunque. Ma allo stesso tempo spero che un
giorno il coaching possa diventare una cosa normale.
Penso che forse si trasformerà in qualcosa di più naturale
e più semplice. E le persone si rivolgeranno ad un coach
sapendo esattamente il motivo. Il mio sogno è che un
giorno tutti saranno “coachati”, in modo che nessuno avrà
bisogno di un coach se non per dire: voglio fare ancora di
più! Perché l’idea è quella di vedere tutti che abbiano la
91
possibilità di vivere una vita serena al massimo delle
proprie potenzialità, questa è la mia vision.
Il motivo per cui io vado avanti in questo lavoro, lo
scopo della mia vita, è proprio quello di vedere che tutti un
giorno saranno in grado di scegliere e di riconoscere quello
che è importante per loro. E se il lavoro che fanno non è
quello scelto, che abbiano le capacità di affrontare le
difficoltà che lo accompagna, che si sposeranno per le
giuste ragioni e non perché hanno paura di restare soli,
che si faranno figli perché è giusto farli e non solo perché
c’è l’orologio biologico che si fa sentire. Insomma che
tante scelte che facciamo nel corso della nostra vita sia la
conseguenza di una scelta più grande: quella di conoscere
se stessi e i propri valori e seguirli con tenacia, con
passione e con rispetto.
Il mio sogno è quello che un giorno tutti siano in
grado di essere indipendenti, consapevoli di se stessi,
capaci di prendersi le proprie responsabilità, in poche
parole: essere liberi.»
92
93
CAPITOLO QUARTO
CONCLUSIONI
4.1. Conclusioni e prospettive future
Questo progetto di tesi giunge così a
conclusione, potendo affermare che l’obiettivo
postomi ad inizio lavoro, quello che mi ha spinto a
trattare il coaching come argomento di tesi55, alla fine
è stato conseguito con successo.
Il percorso logico seguito è stato lineare e
strutturato cercando di descrivere al meglio le varie
fasi che si sono susseguite, tenendo sempre ben a
mente la distinzione tra un “contesto generale” e uno
“particolare”, che, nella tesi, di continuo si fondano e si
intersecano tra loro. Questa distinzione è stata molto
utile per cercare di spiegare al meglio il percorso che
ho voluto seguire. All’interno di quello che io ho
ipotizzato come un “contesto generale”, possiamo
sicuramente far rientrare tutto quello che riguarda
55
Ossia: la voglia di approfondire e di sapere di più sulla figura del
“coach”, sul processo di coaching, nonché sulle modalità di esplicazione
di questi processi, rapportando un caso pratico.
94
l’innovazione, il contesto formativo e il processo di
empowerment. Solo l’esplicazione di questi concetti,
ha permesso successivamente di poter arrivare al
“contesto particolare”, ossia al cuore dell’argomento
trattato. In questa fase possiamo inserire gli argomenti
riguardanti la nascita e lo sviluppo della professione
del coach nonché del processo di coaching. Questa
parte teorico-metodologica trova successivamente la
sua naturale compiutezza grazie al caso di studio
trattato (“Studio Coach” di Carla Benedetti), con la
professione del coach rapportata sul campo della
quotidianità e della vita reale.
Naturalmente non esiste un unico e
“universale” modo corretto nel praticare il coaching.
La strada giusta bisogna scoprirla da soli, sia perché
ogni coach ha un proprio bagaglio culturale e di
esperienza unico, sia perché nessuna mappa
pre-indicata può illustrare dettagliatamente l’infinita
varietà che riguarda l’interazione tra gli esseri umani.
Già Aristotele diceva che gli essere umani
dovrebbero usare le loro abilità nelle loro più complete
potenzialità e dovrebbero trovare appagamento
dall’esercizio delle proprie capacità realizzative.
95
Possiamo sicuramente affermare che quella del
coaching è una competenza che chi esercita un’attività
didattica o manageriale dovrebbe acquisire. L’esigenza
di avere persone dotate delle giuste capacità per
gestire le relazioni interpersonali sta crescendo sempre
più, e nel prossimo futuro continuerà ad aumentare
tanto nel mondo del lavoro, quanto a scuola e nello
sport.
Così si tenderà a modificare anche la cultura,
una cultura che sappia prestare ascolto, che sia aperta
all’apprendimento e all’applicazione del coaching,
dove questo rappresenti nel futuro una pratica
comune, ormai consolidata e applicata.
Un cambiamento culturale non può che giovare
anche a livello aziendale. Infatti quando il
management si dimostra capace di ascoltare la voce
dei dipendenti e di agire di conseguenza, il personale
lavora con maggiore serenità e garantisce una
performance migliore. Se, al contrario, il management
manifesta un’attenzione puramente formale alle
esigenze dei dipendenti, si creano aspettative
96
destinate ad andare deluse, e le cose andranno sempre
peggio.56
Possiamo dire che il coaching è un modo diverso
di guardare alle persone, una visione ben più
ottimistica di quella a cui molti di noi sono abituati, il
che si traduce in un diverso modo di trattare gli altri. Il
coaching ci chiede di abbandonare nei confronti degli
altri e di noi stessi qualsiasi pregiudizio limitante,
abbandonando così le vecchie abitudini.
Come abbiamo visto esistono figure simili al
coach, come il counselor, il mentor, il facilitator57. In
qualche modo tutte queste attività differiscono e allo
stesso tempo si sovrappongono e, benché possano
esprimersi praticamente in modi diversi, essi hanno in
comune, come si può facilmente dedurre, gli stessi
principi fondamentali: accrescere la consapevolezza, la
responsabilità e la fiducia in se stessi, vale a dire i
principi che sono alla base di ogni sviluppo umano e di
ogni attività efficace.
56
Cfr. nota 4
E’ un professionista che affianca, stimola ed incoraggia (mediante
azioni, riflessioni e domande) i suoi assistiti, aiutandoli a raggiungere
una posizione differente da quella in cui si trovano, portandoli fino a
raggiungere i loro obiettivi.
57
97
In una prospettiva futura la soluzione più logica
sarebbe quella di far confluire tutte queste
professionalità e competenze in un unico (grande)
filone, adottando poi delle diverse sfaccettature a
seconda del settore specifico di ogni singolo
professionista. Questa prospettiva sicuramente resterà
solo un sogno o meglio un’utopia, perché ognuna di
queste professioni di sicuro continuerà ad esistere e a
procedere autonomamente “facendo la guerra” (in
senso buono) alle altre “rivali”, e cercando di acquisire
delle competenze o caratteristiche differenti rispetto
alle altre. Si potrebbe pure ipotizzare che qualcuna di
queste professioni potrebbe pure scomparire nel
tempo a discapito della supremazia di alcune di loro;
così come potrebbero addirittura sorgere nuove figure
professionali provenienti da filoni di studio e discipline
differenti, che però andrebbero ad intasare un campo
già saturo e con i limiti di ognuno di esse non ben
delineato.
Quindi è molto probabile che i coach, i
counselor, i mentor, i facilitator, cercheranno di avere
una propria autonomia percorrendo strade differenti.
Faranno in modo che la loro attività venga riconosciuta
come una definita attività professionale a tutti gli
98
effetti, anche grazie magari all’istituzione degli Albi
Professionali. Cercheranno di far valere il proprio peso
per far sviluppare degli standard a livello europeo e/o
mondiale. Cercheranno di delimitare sempre più il loro
campo, mettendo dei paletti ben precisi. Ma dei punti
in comune tra di loro esisteranno sempre. Così come,
attualmente, alla base del loro pensiero c’è la vision
comune dell’essere al servizio dell’altro, presentandosi
come un valido aiuto per la risoluzione dei problemi,
mettendo a disposizione dei soggetti/clienti tutti gli
strumenti necessari per affrontare e risolvere le
tematiche che vengono prospettate. Queste
caratteristiche, col tempo, di sicuro non si perderanno
in nessuna di queste professioni.
Quindi l’augurio finale è che nel tempo queste
diverse attività professionali possano trovare un punto
d’incontro tra loro sviluppando delle valide sinergie, in
modo da poter favorire l’evoluzione dell’approccio e
delle metodologie comuni alle diverse professioni di
aiuto.
99
100
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