Facoltà di Scienza Statistiche Corso Interfacoltà di Laurea Magistrale in Comunicazione della Conoscenza per le Imprese e le Organizzazioni Un’innovazione nelle Risorse Umane: il Coaching Relatore Laureando Ch.mo prof. Francesco Consoli Francesco Carbone Anno Accademico 2009/2010 19 luglio 2010 INDICE Introduzione CAPITOLO PRIMO Innovazione, Formazione, Empowerment 1.1 Innovazione, Formazione, Empowerment …................. 1 1.2 L’innovazione …………………………………………………………… 3 1.3 Cos’è un’innovazione ……………………………………………….. 7 1.4 La diffusione dell’innovazione ………………………………….. 9 1.4.1 La “curva ad S” …………………………………………………. 11 1.4.2 La tipologia di Ryan e Gross ……………………………… 13 1.4.3 La “curva a campana” …………………………………….... 14 1.5 Innovazione e contesto formativo …………………………… 16 1.6 La formazione ………………………………………………………... 18 1.6.1 La formazione: il processo di apprendimento …… 20 1.6.2 Un’innovazione nella formazione ……………………... 23 1.7 L’empowerment …………………………………………………….. 25 1.7.1 L’empowerment nella politica ………………………….. 27 1.7.2 L’empowerment nella psicologia ……………………… 28 1.7.3 L’empowerment nella medicina ……………………….. 30 1.7.4 L’empowerment nell’organizzazione sociale ……. 31 1.7.5 L’empowerment nella formazione ……………………. 33 1.8 Dagli anni Ottanta in poi ………………………………………… 35 1.9 Empowerment = Cambiamento ………………………………. 38 CAPITOLO SECONDO Un allenatore personale: il personal coach 2.1 Il Coaching come risposta possibile alla “Società Liquida” ……………………………………………………………………….. 41 2.2 Nascita ed evoluzione del Coaching ……………………….. 45 2.3 Coaching e Mentoring ……………………………………………. 47 2.4 Coaching e Counseling ……………………………………………. 49 2.5 Non una semplice parola di moda ………………………….. 52 2.6 Professionista o non professionista? ………………………. 54 2.7 La classificazione a livello europeo ………………………… 58 2.8 Il coach e le competenze ……………………………………….. 61 2.9 Un “allenatore della vita”: il life coach ………………….. 64 CAPITOLO TERZO Il caso: “Studio Coach” 3.1 Presentazione del caso: “Studio Coach” ………………….. 69 3.2 Il Diploma e la Certificazione ………………………………….. 74 3.3 L’attività di Studio Coach: business e life coaching …. 75 3.3.1 Il business coaching di Studio Coach ……………………. 76 3.3.2 Il life coaching di Studio Coach …………………………….. 77 3.3.3 Le differenze tra il corporate e il life coaching ……… 78 3.4 Strutturazione di una sessione di coaching ……………… 81 3.5 L’identità del coach ………………………………………………… 86 3.6 I consigli di un professionista ………………………………….. 88 3.7 Prospettive future …………………………………………………… 90 CAPITOLO QUARTO Conclusioni 4.1 Conclusioni e prospettive future ……………………………… 95 Bibliografia e Sitografia ……………………………………… 103 Introduzione Questo lavoro prende il via in seguito alla partecipazione al corso “Personal Coaching Giovani” organizzato da “I.C. Studium” insieme alla Facoltà di Scienze della Comunicazione della “Sapienza” e alla “Fondazione Cassa di Risparmio di Civitavecchia”. La mia conseguente voglia di approfondire l’argomento sulla figura del “coach” (che nell’ambito sportivo è l’allenatore del singolo atleta o della squadra, ma che nella nuova accezione è usata per indicare una figura professionale che accompagna singoli individui o gruppi verso un più rapido raggiungimento del traguardo), cercando così di sapere di più su questa nuova professione che ultimamente si sta diffondendo anche in Italia, mi ha spinto a trattare questo argomento ai fini del completamento del mio percorso di studi universitari. A questa mia ipotesi di progetto di lavoro, ho trovato subito il supporto e la disponibilità del Professore Francesco Consoli, docente di Sociologia delle Organizzazioni presso la Facoltà di Scienze Statistiche della “Sapienza”, il quale ha contribuito allo sviluppo di questa tematica, nonché dello stesso mio progetto di tesi. Quindi, insieme al mio relatore, è stato accordato il tema da trattare, arrivando così al titolo della tesi: “Un’innovazione nelle Risorse Umane: il Coaching”. L’indagine che si è deciso di mettere in atto è di tipo qualitativa, date le difficoltà nell’ottenere dei dati così sensibili, così come la difficoltà nel riuscire a delimitare appieno il fenomeno. Il passo successivo è stato quello di trovare un caso di studio da poter inserire all’interno del mio progetto sperimentale. Durante il percorso di ricerca, è proprio qui che sulla mia strada ho incontrato la professionalità di Carla Benedetti, coach di professione, la quale si è dimostrata da subito entusiasta della prospettiva da me illustrata. Ed è così che ha inizio il mio lavoro. Quindi da una fase embrionale, man mano sono andato avanti sviluppando le varie tematiche nei rispettivi capitoli. Il primo capitolo è introduttivo e focalizza l’attenzione su tre termini chiave: Innovazione, Formazione, Empowerment. Partendo da questo, spiego cos’è un’innovazione e perché il coaching è considerato tale. Quindi successivamente l’importanza della formazione e del contesto formativo, con la spiegazione del processo di empowerment, il quale accresce la possibilità dei singoli e/o gruppi di controllare attivamente la propria vita partendo proprio da sé stessi. Il secondo capitolo è interamente dedicato al Coaching. Analizzando il contesto attuale, vado dalla nascita all’evoluzione del Coaching, quindi un parallelismo con altre attività simili quali Mentoring e Counseling. Poi una focalizzazione sul Coach e sulle competenze, per completare il capitolo trattando il “Life Coaching”, che è la base di quello che sarà trattato come caso di studio. La terza parte è quella dedicata al caso: “Studio Coach” di Carla Benedetti. Questo è il capitolo centrale di tutto il lavoro, quello dove ho cercato di coniugare quello che di teorico avevo trattato in precedenza, con il pratico dell’esperienza professionale sul territorio. Tutto questo mi è stato permesso grazie all’enorme disponibilità e professionalità di Carla Benedetti, che mi ha permesso di accedere all’interno di un mondo nuovo e a me sconosciuto, entrando direttamente dall’ingresso principale. Quindi faccio una presentazione di Studio Coach e della sua attività, poi affronto il tema del diploma e della certificazione, arrivando a parlare di come viene strutturata una seduta e una sessione di coaching; le conclusioni sono sulla possibile uniformità dell’identità del coach con le prospettive future che possono riguardare questa attività. Infine il quarto capitolo è dedicato alle conclusioni finali e alle prospettive future che questa tematica può riservare in Italia ma anche nel resto del mondo. CAPITOLO PRIMO INNOVAZIONE, FORMAZIONE, EMPOWERMENT 1.1 Innovazione, Formazione, Empowerment Il mio percorso ha inizio proprio da questi tre termini, tra l’altro fondamentali nella società in cui viviamo. Apparentemente possono sembrare slegati tra loro, forse anche di non facile comprensione, ma nell’esplicazione di essi risulterà chiara la loro complementarietà. Queste sono le basi di ciò che, nel prosieguo del cammino, andrò ad illustrare, arrivando così a presentare e descrivere la nuova professione del “personal coach” che fa propria l’applicazione di questi concetti. Ad ognuno dei tre concetti indicati, verrà dedicato un paragrafo all’interno di questo primo capitolo, dove sinteticamente (ma non solo), cercherò di dimostrare e far capire come l’uno è legato all’altro, e come questi siano presenti all’interno del processo di personal coaching. 1 Attualmente sappiamo bene di vivere in un mondo in continua evoluzione, in continuo cambiamento. E’ qui che si va ad inserire l’innovazione, questa “novità” che si insinua all’interno del classico processo di routine, coinvolgendo così il mondo del lavoro, ma anche influendo sulle nostre abitudini, sul tempo libero, nelle relazioni con gli altri. In poche parole: in tutti gli ambiti della nostra vita! La routine viene formata e trasmessa nel contesto formativo. Quindi l’innovazione non può che “scontrarsi” con questo ambito. Allo stesso tempo, a partire dagli anni Sessanta, si è iniziato a parlare di empowerment. Questo fa sì che la persona, partendo proprio da se stessa, ossia sviluppando le proprie potenzialità, riesca a raggiungere gli obiettivi prefissati. Quindi l’empowerment non è altro che un processo che accresce la possibilità dei singoli e/o dei gruppi di controllare attivamente la propria vita. La persona “investita” dal processo di empowerment trova un valido aiuto nella figura del coach, che ha proprio il compito di “allenare” le nostre capacità, abbandonando i vecchi schemi cognitivi. 2 L’obiettivo di un programma di personal coaching è quello di far sì che tutte le persone, anche i soggetti svantaggiati, abbiano l’opportunità di emanciparsi rispetto ad una condizione di disagio, dovuto al loro stato di subalternità, passività e inibizione delle potenzialità. 1.2 L’innovazione L’attuale società moderna può essere sicuramente definita come società tecnologica. L’uomo del ventesimo secolo si è sempre più affrancato dalla soggezione alla natura e ha sviluppato a livelli mai raggiunti la sue abilità di homo faber capace di costruire artefatti e di mutare anche profondamente il corso degli eventi naturali. Ciò è reso possibile dall’avanzamento delle conoscenze in tutti i settori e dal conseguente sviluppo di tecnologie materiali ed immateriali che hanno portato nuovi prodotti, servizi, processi produttivi, a nuove forme organizzative. L’applicazione di queste conoscenze, a sua volta, ha prodotto radicali modificazione nella vita quotidiana degli individui nel brevissimo arco temporale di una o due generazioni. Il genere umano 3 dunque si trova a subire un’enorme accelerazione generata da questo avanzamento tecnologico. La conoscenza e la tecnologia diventano elementi sempre più pervasivi, che penetrano nelle nostre vite quotidiane e nella nostra società. Cambia il modo di comunicare, di apprendere, di utilizzare gli strumenti tecnologici, di spostarci, di usufruire del tempo libero. La produzione e la circolazione di conoscenza e lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie, sono, dunque, due aspetti che determinano un impatto notevole nell’economia e nella società1. Lo stesso impatto è stato subìto dalle nostre organizzazioni e istituzioni, che a volte sono state costrette a cambiare profondamente le loro modalità di funzionamento e la loro naturale attività. Diversi sono stati gli studi condotti in questo ambito, dove sono stati esaminati gli impatti delle nuove tecnologie sull’organizzazione del lavoro. Quindi possiamo affermare che le tecnologie dell’informazione stanno cambiando radicalmente la natura stessa del lavoro e della società. Inoltre, la convergenza tra tecnologie dell’informazione e delle 1 Michela Lazzeroni, Geografia della conoscenza e dell’innovazione tecnologica, Franco Angeli, Milano, 2004 4 comunicazioni solleva una serie di problemi di natura politica: il divario tra i “poveri di informazione” ed i “ricchi di informazione” all’interno delle società, i cambiamenti del numero e del profilo professionale dei lavorati in un’economia in incessante evoluzione determinata dalle “regole” della globalizzazione, le opportunità fornite dal lavoro svolto a casa (teleworking), la crescente partecipazione femminile al mercato del lavoro, fino alle implicazioni del commercio elettronico e alla possibilità di effettuare le operazioni bancarie via Internet (home banking). Queste sicuramente sono problematiche che poco ci interessano all’interno di questo lavoro, ma di sicuro ci aiutano a capire in che misura il mondo del lavoro stia cambiando sotto l’influenza delle ICT, e di conseguenza non può che generare cambiamento anche all’interno della società così come nello stile di vita. Però un’innovazione non può essere relegata solo ed esclusivamente all’ambito tecnologico. La vera innovazione è quella di tipo organizzativo, quella che investe i paradigmi sociali. Anche se la comprensione del mutamento non sempre è percepita come positiva. 5 Tavola 1 - La misurazione della società tecnologica Tipologie di misurazione del rapporto tra economia, tecnologia, scienza e società Evoluzione della misurazione Contributo rilevante degli specialisti Sviluppi futuri Previsione tecnologica (Technology assessment) Prevalentemente negli anni ‘60 e ‘70. Successivamente poco diffusa e praticata Iniziata negli anni ‘70 in Giappone e successivamente diffusa in alcuni paesi (Germania, UK, Francia, Italia) Iniziata negli anni ‘80. Forte interesse dell’Unione europea Iniziata negli anni ’70 e trasformata negli anni ‘90 Tecnologi, scienziati, sociologi, pianificatori del territorio Convergenza con prospezione tecnologica e valutazione della ricerca. Non si prevedono particolari sviluppi Convergenza con previsione tecnologica e valutazione della ricerca. Ulteriore diffusione nei Paesi che non l’effettuano Iniziata negli anni ‘60 Economisti, statistici Ulteriore sviluppo, specialmente nell’area delle ICT Indagini sulla diffusione delle innovazioni Iniziate negli anni ’50 e ‘60 Ingegneri, geografi, economisti Stasi sugli aspetti metodologici Diffusione delle Conoscenze scientifiche tra i cittadini Opzioni tecnologiche Iniziata negli anni ’60 con indagine campionarie sui cittadini Sviluppata negli anni ’80 soprattutto rispetto all'impatto delle biotecnologie e delle ICT Sviluppata a partire dagli anni ‘80 Sociologi, statistici Stasi sugli aspetti sociologici Scienziati, ingegneri, filosofi, scienziati politici Ulteriore sviluppo, specialmente nell'area delle biotecnologie e delle ICT Ingegneri, statistici, aziendalisti, manager Ulteriore sviluppo, specialmente nell'area dell'ingegneria gestionale e delle tecniche statistiche Prospezione tecnologica (Technological foresight) Valutazione della ricerca (progetti, programmi, istituzioni) Valutazione delle politiche pubbliche per la R&S e l’innovazione Indicatori della scienza e della tecnologia Gestione dell'innovazione a livello di impresa Tecnologi, economisti, industriali, scienziati, politici Scienziati, politici, economisti, statistici Economisti, scienziati politici, statistici Convergenza con previsione tecnologica e prospezione tecnologica. Ulteriore diffusione Ulteriore estensione, sia a livello europeo che di governi nazionali e locali 6 1.3 Cos’è un’innovazione L’innovazione può essere definita come un’idea, un processo o un prodotto che viene percepito come nuovo da una consistente parte di coloro che lo utilizzano. È un’attività di pensiero che, elevando il livello di conoscenza attuale, perfeziona un processo, migliorando quindi il tenore di vita dell’uomo. Innovazione è cambiamento che genera progresso umano. Naturalmente esiste in ogni settore, anche se spesso viene legata solo ed esclusivamente alla tecnologia. Questa è la definizione che viene data dalla Treccani2: «L’atto, l’opera di innovare3, cioè di introdurre nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi di produzione. In senso concreto corrisponde ad ogni novità, mutamento, trasformazione che modifichi radicalmente o provochi comunque un efficace svecchiamento in un ordinamento politico o sociale, in un metodo di produzione, un una tecnica, ecc.» 2 Istituto della Enciclopedia Italiana, Vocabolario della lingua italiana, Treccani, Milano, 1987 3 Innovare: mutare uno stato di cose, introducendo norme, metodi, sistemi nuovi 7 Naturalmente ogni tipo di innovazione (sia tecnologica, organizzativa o socioculturale) provoca un mutamento, ma anche apprendere a fare cose diverse rispetto a quelle che si sapevano fare prima, a farle meglio, o in modo più efficiente, efficace e veloce. Ciò potrebbe comportare anche lo sviluppo di nuove conoscenze o il radicale mutamento di quelle già presenti o messe in atto. Per questo, nei processi d’innovazione, individui, organizzazioni e istituzioni, devono essere capaci di costruire e consolidare nuove capacità cognitive e abilità pratiche. Ma questo può avvenire solo abbandonando i vecchi simboli della nostra sicurezza. E la necessità di apprendere e adottare nuovi comportamenti esige l’abbandono dei vecchi schemi4. Questa non è una pratica semplice e nemmeno indolore, perché nelle manifestazioni più estreme, l’innovazione può intaccare o trasformare/modificare strutture organizzative ormai consolidate da lungo tempo. Addirittura a volte può anche spostare i confini e le caratteristiche di una professione, mutandola completamente fino a quasi renderla irriconoscibile rispetto ai suoi contenuti standard e peculiari. 4 John Whitmore, Coaching, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2006 8 Quindi, come è stato detto, l’innovazione non è solo quella indotta dal progresso tecnologico o quella spinta dal mercato, bensì è anche quella di tipo cognitivo. Per quest’ultima è fondamentale sapere il contesto formativo dove nasce o dove si sviluppa. 1.4 La diffusione dell’innovazione Lo studio della diffusione dell’innovazione ha avuto maggiore sviluppo a partire dal secolo scorso dando vita a diverse fasi e muovendosi secondo differenti filoni, che, però, in linea di massima hanno adottato una base comune. Dal punto di vista degli studi realizzati sulla diffusione dell’innovazione, si può sicuramente distinguere tra una fase storica e una fase moderna. La differenza principale tra le due fasi consiste nella progressiva messa in discussione della neutralità e unilateralità dell’oggetto stesso dell’innovazione e della tecnologia da parte degli approcci moderni, per cui il processo di “adozione dell’innovazione” tende a fondersi con il processo “di costruzione sociale del 9 cambiamento”5. In pratica non si distingue più tra soggetto e oggetto del processo di adozione e tra diffusione e innovazione. Il tutto si fonde e questo viene riconosciuto come un unico processo. Per quanto riguarda i modelli di studio, gli approcci storici maggiormente rilevanti sono: la curva ad S di Tarde; la tipologia di Ryan e Gross; la curva a campana di Rogers. Tra le teorie recenti, invece, i filoni di studio sono innumerevoli, in quanto alcuni si rifanno agli studi classici, mentre altri hanno una visione totalmente differente. Tra tutti, quelli principali sono sicuramente: la teoria dello iato di Moore; il “Technology Acceptance Model”; i modelli reticolari. 5 Francesco Consoli, Le mode professionali, Carocci, Roma, 2002 10 1.4.1 La “curva ad S” Il primo approccio che ha apportato delle trasformazioni alla teoria di base, è stato proposto da Gabriel Tarde. Nel suo libro “Les lois de l’imitation”6 del 1890, Tarde si pone questo problema: «Perché, fra cento diverse innovazioni immaginate simultaneamente, […] dieci si diffondono tra il pubblico, sull’esempio fornito dagli autori, e novanta vengono 7 dimenticate? ». La risposta si trova facendo esclusivo riferimento alle cause sociali, che sono di due tipi: logiche o non logiche. Tale distinzione è importante perché: «le cause logiche agiscono quando un uomo sceglie un’innovazione perché la giudica più utile o più vera delle altre, cioè più concordante di queste altre con gli scopi o 6 Trad. ”Le leggi dell’imitazione”. Roberta Bisi, Gabriel Tarde e la questione criminale, FrancoAngeli, Milano, 2004 7 11 principi che sono già in lui stabiliti (sempre per 8 imitazione) ». All’approccio iniziale di base sulla diffusione dell’innovazione, Tarde applica il proprio pensiero partendo dal fatto che ogni innovazione si diffonde all’interno di una popolazione seguendo una “curva ad S” e che, quindi, la diffusione dell’innovazione costituisce un processo epidemico prolungato nel tempo9, così come l’adozione dell’innovazione. In questo modo viene sottolineato il fatto che l’innovazione è un processo e non una scelta istantanea. (figura 1) 8 9 Gabriel Tarde, Le lois de l’Imitation, F. Alcan, Parigi, 1890 Cfr. nota 6 12 Nella “curva ad S”10 si hanno tre fasi: nella prima, la nuova soluzione incontra molti ostacoli a diffondersi; nella fase di crescita, tuttavia, essa tende a diffondersi rapidamente, fino a quando non diviene la soluzione standard; a questo punto si avvia la terza fase, quella della maturità dove i ritmi di diffusione si rallentano. 1.4.2 La tipologia di Ryan e Gross Studi empirici, realizzati nel 1943 da Ryan e Gross sulla diffusione delle sementi ibride nell’Iowa, confermarono le tesi di Tarde. Secondo gli autori, la diffusione dell’innovazione si configura come un processo sociale, in cui entrano in gioco le valutazioni soggettive degli imprenditori. Ryan e Gross identificarono cinque categorie di soggetti in base al loro atteggiamento rispetto all’innovazione. Queste sono: • gli innovatori (innovators); • gli anticipatori (early adopters); 10 Cfr. figura 1 13 • la maggioranza anticipatrice (early majority); • la maggioranza ritardataria (late majority); • i ritardatari (laggards). 1.4.3 La “curva a campana” La tipologia di Ryan e Gross venne ripresa nel 1962 da Rogers, il quale identifica, per ognuno dei tipi, le caratteristiche distintive. Egli mostrò empiricamente, tra l’altro, come gli early adopters e coloro che appartenevano alla maggioranza anticipatrice fossero maggiormente inseriti nei meccanismi di comunicazione locale e avessero una più elevata capacità di assumere un ruolo di “opinon leaders”. Questo spinse Rogers a identificare il processo di diffusione come essenzialmente di natura comunicativa, in cui entrano in gioco caratteristiche e orientamenti personali. Quindi propose un modello basato su una curva normale “a campana”11. 11 Cfr. figura 2 14 (figura 2) Nella campana di Rogers vengono definite varie posizioni di gruppi: il gruppo A è quello degli innovatori, il gruppo B include gli anticipatori, il gruppo C include la maggioranza anticipatrice, il gruppo D include la maggioranza ritardataria, il gruppo E include i ritardatari. La diffusione dell’innovazione passa attraverso la sua comunicazione tra gli individui, dagli ideatori fino agli ultimi adottanti. In ogni caso, la ricerca sulla diffusione delle innovazioni deve considerare il sistema sociale12 all’interno del quale tale diffusione avviene13. 12 Questo è definito innanzitutto dalla popolazione, la quale è composta sia da individui sia dai gruppi, che possono a loro volta consistere in gruppi informali, imprese, scuole. I membri della popolazione sono distinti gli uni dagli altri, ma, per costituire un sistema sociale, devono cooperare, o almeno “condividere qualche problema da risolvere”. 15 1.5 Innovazione e contesto formativo Dopo aver fatto questa panoramica sugli aspetti teorici, la domanda che a questo punto sorge spontaneamente (e alla quale cercherò di dare è una risposta) è la seguente: “Come può nascere l’idea di base di un’innovazione?” Diverse naturalmente possono essere le risposte. Per esempio può nascere dall’intuizione di un individuo che opera all’interno dell’azienda, può essere il prodotto dell’attività del team di Ricerca e Sviluppo dell’azienda, può scaturire dal genio del privato, del ricercatore, dell’imprenditore. Un’idea può giungere anche dai suggerimenti e dalle richieste della propria clientela, dall’osservazione e dallo studio dei propri concorrenti; oppure può essere il risultato dell’attività di studio compiuto da Università e Centri di Ricerca. Ancora potrebbero essere molte altre le motivazioni, ma la base di partenza è sempre la stessa: il contesto formativo. Il contesto formativo ha delle caratteristiche proprie, in quanto dà forma ad una serie di routine pratiche ed argomentative, guida i conflitti intorno alle 13 Cfr. nota 6 16 risorse che costruiscono la società, rende alcune traiettorie di cambiamento più possibili di altre. Il concetto di contesto formativo è particolarmente utile, proprio perché considera gli assetti istituzionali (la struttura delle relazioni) e la componente “immaginativa” (in sostanza la “cultura”, il vocabolario, il linguaggio dell’organizzazione) come aspetti inscindibili e complementari, sicché risulta impossibile modificare l’uno senza che anche l’altro venga modificato. Il cambiamento organizzativo, per essere irreversibile, per innovare realmente l’organizzazione e le sue pratiche, deve allora produrre una modifica sia nella componente strutturale, sia nella componente immaginativa. Un contesto formativo dà dunque forma a quelle abilità individuali e alle routine organizzative che sostengono le pratiche quotidiane delle persone impegnate nell’azione. È formativo perché orienta le persone a vedere e fare le cose vecchie in modi innovativi, o al contrario, le condiziona, imprigionandole nei modi abituali di fare le cose. La sua natura è ambivalente: da un lato è rigido, difficilmente accessibile, implicito; dall’altro è aperto e modificabile, rendendo possibili le ibridazioni, le nuove 17 scoperte e l’innovazione. Inoltre il termine contesto non va inteso solamente come “contenitore” dell’azione, ma situazione in cui gli interessi degli attori e le opportunità dell’ambiente si incontrano e si definiscono reciprocamente. Dunque possiamo concludere dicendo che il contesto formativo racchiude una sorta di mondo in cui si trovano ad interconnettersi la divisione dei ruoli e del lavoro, gli oggetti e le relazioni, i significati, i presupposti e gli assetti istituzionali tipici di un contesto organizzativo. 1.6 La formazione La formazione è un processo di apprendimento che riguarda l’individuo, le organizzazioni e, nel suo concetto più ampio, la società. Essa accompagna l’individuo in tutte le sue fasi della vita, dalla formazione istituzionale iniziale, all’avviamento al lavoro, fino alla formazione permanente per tutto l’arco della vita. Storicamente vengono identificate tre fasi principali di periodizzazione della formazione: una 18 prima fase pioneristica (anni Sessanta), una seconda fase di “consolidamento e tecnicistica” (anni Settanta), una terza fase di ripensamento (anni Ottanta).14 Nel corso degli anni Novanta, alcuni fattori cardine15, hanno fatto sì che la formazione non sia diventata soltanto un fattore prioritario, ma che addirittura la sua utilizzazione sia considerata un fattore di strategicità per le imprese e per i sistemi sociali. La necessità di ampliare le conoscenze, le abilità e le capacità individuali è diventata un elemento indispensabile per il miglioramento della struttura dell’organizzazione: è noto come il vantaggio competitivo aziendale venga giocato nell’ambito delle Risorse Umane. Ma nonostante questo, purtroppo, ancora, la formazione rimane sempre la leva meno utilizzata dalle aziende, perché il tempo “speso” in formazione viene spesso percepito come sottrazione di tempo destinato al lavoro. 14 Daniele Boldizzoni, Management delle Risorse Umane, Il Sole 24 Ore, Milano, 2003 15 Quali accelerazione e spinta al cambiamento, discontinuità crescente, progressiva pervasività dei processi di nnovazione tecnologica, globalizzazione dei mercati e della concorrenza. 19 Secondo Bauman, nell’ambiente liquidomoderno16 la formazione e l’apprendimento, per avere una qualche utilità, devono essere continui e, anzi, permanenti, perché sono la via verso l’empowerment17 (il quale ha le stesse caratteristiche che la formazione dovrebbe avere: continuo, infinito, permanente): «La formazione dovrebbe essere tale affinché gli uomini e le donne del mondo liquido-moderno possano perseguire i propri obiettivi di vita con un minimo di intraprendenza e fiducia in se stessi, e con una speranza di successo. […] Non sono soltanto le abilità tecniche a dover essere aggiornate continuamente, non è soltanto la formazione orientata al lavoro a dover essere permanente. Ne ha bisogno, e con urgenza, ancora maggiore, anche la formazione alla cittadinanza.»18 1.6.1 La formazione: il processo di apprendimento Dalla scelta sui modi di apprendere e sull’oggetto dell’apprendere, si sviluppa e si condiziona 16 E’ l’ambiente sociale proprio della società post-moderna. Cfr. §1.7 18 Bauman Z., Vita liquida, Gius. Laterza & Figli, Bari, 2006 17 20 il processo di apprendimento, gli strumenti e i luoghi dove questo si esplica. I grandi filoni dell’apprendimento in realtà sono due: le teorie del comportamento organizzativo; le teorie dell’appropriazione. Nel primo caso, l’apprendimento si costituisce attraverso il processo parallelo di stimoli e risposte, ovvero il soggetto apprende più dalle risposte; nel secondo caso, invece, il soggetto apprende “strutture cognitive”. Secondo Claudia Piccardo: «L’apprendimento è l’organizzazione di una struttura attraverso processi intermedi tra stimolo e risposte, attraverso l’indagine di quel territorio sconosciuto che è stato definito “spazio vitale”. Tale spazio comprende gli ostacoli, i vettori,il concetto di sé, il livello di inclinazione e di ispirazione, la differenziazione, tenute in considerazione da chi considera la personalità e la dimensione della 21 motivazione, variabili intervenienti nel processo di apprendimento».19 I luoghi dell’apprendimento sono molto diversi. Il primo si realizza nell’ambito dell’esperienza lavorativa ed è tipico della situazione iniziale di affiancamento a chi il mestiere già lo conosce. Vengono attribuite a questa categoria di processo di apprendimento il training on the job (definito anche con il termine learning by doing) insieme alle pratiche di action learning, (project work, stage) e derivano da questa influenza le nuove derive dello human touch, che seppur diverse, appartengono alla stessa matrice (quale mentoring, counselling, coaching). Il secondo tipo di apprendimento vede il docente stimolare nel discente l’attivazione di una presa di coscienza e di un cambiamento delle sue mappe mentali e della sua struttura di personalità. Il discente si “appropria” dei nuovi modelli offertigli 19 Claudia Piccardo, Teorie dell’apprendimento e scelte di progettazione formativa, in Daniele Boldizzoni, Oltre la formazione apparente: investimenti in educazione e strategie d’impresa, Il Sole 24 Ore, Milano, 1984 22 per orientare le sue scelte e i suoi comportamenti futuri.20 Questa prospettiva è prevalente nella formazione degli adulti e le situazioni didattiche più tipiche sono di natura esperienziale (role-playing, progetti, simulazioni e casi didattici), in cui il discente viene invitato a riflettere su situazioni analogiche e a sviluppare la propria percezione della realtà e dell’elaborazione della soluzione. 1.6.2 Un’innovazione nella formazione Anche la formazione negli ultimi anni è stata coinvolta in un processo di innovazione con lo spostamento dall’aula all’e-learning21 del processo formativo. Lo sviluppo e la diffusione di strumenti e tecnologie per l’e-learning hanno profondamente mutato il modo in cui si fa formazione degli adulti in 20 Daniele Boldizzoni, Management delle Risorse Umane, Il Sole 24 Ore, Milano, 2003 21 Si intende la possibilità di imparare sfruttando la rete Internet e la diffusione di informazioni a distanza. L’e-learning è utilizzato per la formazione scolastica (essendo rivolto ad adulti, studenti di ogni genere, insegnanti) così come per la formazione aziendale, specialmente per le organizzazioni con una pluralità di sedi. 23 contesti organizzativi. Ampliare le conoscenze, le abilità e le capacità individuale diventa un elemento indispensabile per il miglioramento dell’efficacia organizzativa22. La richiesta di formazione meno costosa (ovvero che implichi meno giornate d’aula e non richieda residenzialità), ma sempre più personalizzata rispetto ai bisogni specifici di ogni soggetto partecipante, è in costante crescita. Le scuole di formazione e le business school23 hanno percepito questo cambiamento e stanno cercando di adeguarsi alle nuove richieste di formazione: le proposte presentate sul mercato associano formazione a distanza con periodi di formazione tradizionale (aula e seminari), una scelta che consente di associare ai benefici classici della formazione interaziendale-residenziale, i vantaggi della formazione a distanza. Con lo sviluppo dell’e-learning, la formazione manageriale si trova ad affrontare uno scenario nuovo e nuove sfide: deve modificare i propri sistemi di erogazione ma deve ripensare consolidati criteri di 22 Cfr. nota 20 Scuola di specializzazione, in genere postuniversitaria, in ambito economico e commerciale. 23 24 analisi dei bisogni, di progettazione e valutazione; deve poter gestire elevati volumi di formazione, insoliti in precedenza soprattutto nel contesto manageriale; deve gestire margini molto più ridotti, e quindi spostare l’attenzione dall’efficacia all’efficienza del processo formativo; deve governare un contesto in cui la concorrenza proviene da attori con un background spesso lontano dal settore formativo, prevalentemente di provenienza tecnologica e con risorse finanziarie insolite per questo mercato. Insomma un’innovazione che porta come tutte le innovazioni delle novità ma che sposta anche gli assetti su cui si basa la formazione classica. 1.7 L’empowerment Tra le parole straniere ormai di uso corrente, “empowerment”24 è una delle poche a non avere ancora un preciso corrispettivo nella lingua italiana. Il 24 Al concetto di empowerment si possono associare diversi significati: potenziamento, valorizzazione del proprio sé, riappropriazione soggettiva del potere, auto-aiuto, aumento di responsabilità personale, aumento di possibilità di azione, appropriazione degli strumenti per, consapevolezza del proprio valore, delle proprie potenzialità. 25 termine deriva dal verbo inglese “to empower” che in italiano viene comunemente tradotto con “conferire poteri”, “mettere in grado di”. Letteralmente questo termine significa “potenziamento”, “responsabilizzazione”, “aumentare il proprio potere interno”, anche se empowerment è un concetto talmente complesso di cui è difficile dare una definizione unica ed esaustiva, perché, più che una categoria chiusa, esso è una costellazione di elementi collegati tra loro. L’empowerment, per Claudia Picardo25, è il processo individuale e organizzativo attraverso il quale le persone, a partire da qualche condizione di svantaggio e di dipendenza non emancipante, vengono rese “empowered”, ovvero rafforzano la propria capacità di scelta, autodeterminazione, autoregolazione, sviluppando parallelamente il sentimento del proprio valore e del controllo della situazione di lavoro, la propria autostima ed autoefficacia, riducendo i sentimenti di impotenza, 25 Consulente, formatrice e ricercatrice per la società Polis2000 (da lei stessa fondata), docente di Psicologia del Lavoro all’Università di Torino 26 sfiducia, paura, alienazione.26 ansietà, tensione negativa, Anche se la definizione è ancora un po' troppo vaga, il termine trova una sua specificazione se applicato in alcuni degli ambiti in cui, sin dagli anni Sessanta, il concetto di empowerment è presente, come la politica, la psicologia, la medicina, l'organizzazione aziendale, la formazione. 1.7.1 L’empowerment nella politica In politica, l'empowerment è la capacità di ripensare la vita sociale di gruppi e di singoli attraverso la formazione e l'informazione, per favorire l'accesso alle risorse da parte dei gruppi oppressi, aumentando la loro partecipazione attiva alla vita politica e la capacità di dominare gli eventi, permettendo l'assunzione di responsabilità e ampliando la possibilità di incidere sul dibattito decisionale. Questo approccio permette di superare parzialmente le divergenze tra quanti, in politica, propugnano la libertà e la 26 Claudia Piccardo, Empowerment, strategie di sviluppo organizzativo centrate sulla persona, Edizioni Raffaello Cortina, Milano, 1995 27 responsabilità individuale e quanti credono nella giustizia sociale, in opportunità sociali accessibili in maniera equa: anziché intervenire con finanziamenti e progetti specifici a favore dei gruppi svantaggiati, si permette loro di utilizzare con creatività le risorse (economiche e non solo) già a loro disposizione, rimovendo le barriere burocratiche, ma anche gli stereotipi e i pregiudizi dei e sui gruppi oppressi, che sono di ostacolo alla fruizione piena del diritto di (re)inventare la propria vita. 1.7.2 L’empowerment nella psicologia Per l’essere umano, avere potere su se stesso, sentirsi ed essere efficace, avere la consapevolezza di potere incidere sugli eventi, godere di una buona autostima, considerare gli insuccessi come momento di apprendimento, sono parte di una condizione psicologica empowered. Tale condizione, però, non è data una volta per tutte, ma rappresenta un cammino che favorisce la speranza nel futuro e che permette di percepirsi come persone capaci di cimentarsi e riuscirci. Empowered non è una persona che ha raggiunto tutti i suoi obiettivi, una persona arrivata, 28 una persona “di potere”, ma qualcuno capace di affrontare la vita e le sue sfide, capace di attraversare successi e insuccessi mantenendo saldo il potere su se stesso e arricchendo quotidianamente il suo “potere con l'altro”. Riguardo alle fasce deboli della popolazione, un'ottica basata sull'empowerment prevede interventi di sostegno e di proposizione di nuove opportunità sociali secondo tre direttrici: creare il potere di generare alternative all'esistente, fare conoscere come e dove avere accesso alle risorse, incrementare l'autostima e la motivazione; ma al contempo prevede anche l'auto-aiuto da parte del soggetto in difficoltà, in un'ottica che valorizza la sua partecipazione nel migliorare la situazione. Tale intervento psicologico, ad esempio, è utilizzato per il supporto alle vittime che, sottoposte a violenze fisiche o psicologiche, hanno perso la stima in se stesse e non hanno la capacità di uscire dalle dinamiche di vittimizzazione. L'empowerment aiuta le vittime a ricostruire il controllo sulla propria vita e ad immaginare un futuro alternativo all'esistente, a progettare e a mettere in opera delle soluzioni, tornando ad essere responsabili del proprio «destino». 29 Un filone importante di studi è stato sviluppato nell’area della psicologia della comunità, ben rappresentata dalle ricerche di Zimmermann27, che definisce il concetto di empowerment come il passaggio, per un individuo, dalla condizione di "learned helplessness" (impotenza appresa) a quella di "learned hopefulness" (percezione appresa di essere capaci), acquisito mediante la partecipazione attiva all'interno della comunità in cui è inserito. 1.7.3 L’empowerment nella medicina L’empowerment costituisce uno strumento e al tempo stesso un fine della promozione della salute. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO)28, ha affermato a più riprese29 che l’azione di comunità e l’empowerment sono pre-requisiti per la salute universale. I principi sottolineati dalla WHO trovano riscontro a livello europeo anche nell’attuale “Programma di azione comunitaria in materia di salute pubblica (2008-2013)”, in cui la partecipazione e 27 28 Cfr. nota 19 World Health Organization (WHO) 29 Con la Dichiarazione di Alma Ata (1978), la Carta di Ottawa (1986), la Dichiarazione di Jakarta (1998) e la Carta di Bangkok (2005). 30 l’influenza dei cittadini sui processi decisionali, costituiscono i valori su cui si fonda la strategia comunitaria. A livello italiano, il Piano Sanitario Nazionale 2006-2008, introduce per la prima volta il termine empowerment in un documento programmatorio nazionale, affermando che attraverso tale processo si punta ad erogare cure efficaci ed appropriate sotto il profilo clinico ed etico e, nel contempo, garantire il massimo livello possibile di equità nell’uso delle risorse.30 1.7.4 L’empowerment nell’organizzazione sociale E’ in questo ambito che il concetto di empowerment ha avuto maggiore rilievo e diffusione, almeno fino ad oggi. Formalmente se ne fa risalire l'utilizzazione operativa alla fine degli anni Settanta per opera della sociologa Rosabeth Moss Kanter, impegnata nella battaglia per far acquisire potere ai 30 Agenzia Nazionale per i servizi Sanitari Regionali, Convegno Nazionale “Empowerment del cittadino in sanità”, Roma 28-29 settembre 2009. Cfr. http://www.agenas.it/agenas_pdf/Nota_metodologica_empowerment.pdf 31 soggetti che lavorano nelle organizzazioni in condizioni svantaggiate, in particolar modo alle donne. All'interno delle aziende, il vecchio modello prevedeva la gerarchia, gli ordini “a cascata”, la tendenza a fuggire le responsabilità affidandole ad altri, la frustrazione e l'alienazione dei lavoratori, una competizione a volte estrema. Il modello basato sull'empowerment promuove la partecipazione e il coinvolgimento di tutto il personale, la responsabilizzazione diffusa, l'autostima, la collaborazione e la valorizzazione reciproca. L'individuo, in quest'ottica organizzativa, ha fiducia nelle proprie possibilità, non teme i cambiamenti ma si impegna per gestirli, è disposto altresì a correre rischi, riconosce i propri errori senza aver paura del giudizio altrui, socializza le sue informazioni, prende iniziative. Avendo questi come obiettivi, l'empowerment rappresenta una rivoluzione nelle tradizionali relazioni organizzative. Uno dei perni di questo cambiamento è il leader, che deve diventare capace di condividere le decisioni, di stimolare autonomia e senso di responsabilità, di individuare i bisogni (formativi, relazionali ed esistenziali) dei suoi collaboratori e di favorirne la crescita professionale. Soprattutto, una 32 empowering leadership deve essere in grado di delegare, di promuovere la costituzione di gruppi di lavoro autonomi che stabiliscano tempi e modelli organizzativi, rapporti con gli altri gruppi, turni e riunioni, pur all'interno della condivisione della strategia aziendale. L'empowerment dell'individuo diventa allora empowerment dell'organizzazione, con i conseguenti vantaggi economici e non solo. 1.7.5 L’empowerment nella formazione La scuola è un ambito doppiamente coinvolto dall'empowerment, perché assomiglia sempre più ad un'impresa, guidata da un manager, in regime di concorrenza (forse fittizia più che reale) con gli altri istituti riguardo al numero degli studenti-clienti, basata su crediti e debiti formativi. In maniera contraddittoria, però, la scuolaimpresa è organizzata secondo una filosofia aziendale superata e non competitiva: gerarchica, accentratrice, scarsamente attenta al benessere degli operatori. Negli ultimi anni, ad esempio, gli insegnanti hanno visto ridurre drasticamente il proprio potere 33 decisionale all'interno degli istituti, il proprio prestigio sociale e la retribuzione economica, in un momento di cambiamenti enormi e contraddittori nel mondo della scuola. Un'organizzazione della scuola basata sull'empowerment ha l'obiettivo di (ri)motivare il personale, di renderlo coeso e coinvolto, fiducioso e capace di vivere i conflitti non come minacce ma come occasioni di crescita umana e professionale. In più, la riorganizzazione aziendale della scuola ha anche valenze più generali, come il benessere degli operatori scolastici e degli insegnanti. Un secondo livello in cui l'empowerment tocca il mondo della formazione è quello della pedagogia e della didattica. La scuola non serve più solo a selezionare la futura classe dirigente cui trasmettere un sapere necessario o a formare lavoratori competenti e competitivi sul mercato. Secondo molti, dovrebbe servire a favorire l'autoapprendimento dei discenti, motivandoli a sperimentare e a ricercare, a collocarsi a proprio agio in questa società, dotandoli degli strumenti concettuali e operativi per viverci dentro. In una parola, a produrre l'empowerment. Esso, nella vita di ciascuno, viene già favorito od 34 ostacolato: nella relazione con i genitori, nei rapporti con il gruppo dei coetanei, attraverso i media. Ma può essere anche, almeno in parte, insegnato e appreso. A scuola è possibile promuovere l'autostima dello studente, svilupparne la creatività, produrre cambiamenti, fornire strumenti, accrescere le competenze. L'insegnante “empowering” sarà allora un facilitatore dell'apprendimento oltre che un esperto della disciplina. Cercherà di insegnare il metodo e l'uso degli strumenti per ricercare un contenuto e un obiettivo che dovrà essere l’alunno stesso a scegliere e a cercare di conseguire. Il fine, ambiziosissimo, cui l'empowerment tende è l'autostima, l'autonomia, la capacità di affrontare i cambiamenti, in ultima analisi la felicità degli alunni. Empowerment potrebbe essere semplicemente il nome dato all'azione che ogni buon insegnante già mette in opera. 1.8 Dagli anni Ottanta in poi L'interesse per questo tema, soprattutto in ambito manageriale, negli anni è cresciuto notevolmente e si è sempre più diffuso e sviluppato non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa. 35 Allo stesso tempo, i diversi contributi teorici hanno subìto una revisione, così come le esperienze a livello organizzativo, evidenziando due principali differenti prospettive: una psico-sociologica ed una socio-organizzativa. Nel primo approccio, il principio guida è che, per produrre empowerment organizzativo, è necessario operare contestualmente sulle dimensioni individuali ed organizzative, dove le persone dipendenti e senza "potere" nell'organizzazione, possano sviluppare contemporaneamente un sentimento del proprio valore ed un maggior controllo sulla situazione lavorativa. Il secondo approccio (socio-organizzativo), considera due livelli, uno micro-organizzativo e uno macro-organizzativo, rilevando la determinante funzione ed interazione tra visione e missioni aziendali, ossia valori ed etica che concorrono a formare e rendere visibile la cultura di un'organizzazione. L'empowerment è visto come un processo progressivo di adattamento, concepito con un'ottica sistemica che, a differenza dell'altro approccio, non implica necessariamente una situazione iniziale di disagio o svantaggio. Si scoprono, quindi, le dinamiche dei 36 sistemi organizzativi basate sul continuo inestricabile intreccio tra micro e macro decisioni. ed L'empowerment è allora interno all'interazione sociale che caratterizza un sistema organizzativo e lo qualifica. In altri termini, l'empowerment aumenta la qualità organizzativa nella misura in cui aumenta l'interazione sociale, intesa come il processo di apprendimento e di negoziazione di significati che intercorre tra gli attori sociali, tramite le loro reciproche azioni. La conduzione dei suddetti processi modifica anche il ruolo del "capo", del manager, delle figure professionali che rivestono posizioni superiori o hanno una più ampia dimensione di azione nel sistema organizzativo, e, ovviamente, del piccolo imprenditore che "lavora" all'interno della propria impresa. Tale ruolo si configura sempre più come formatore, allenatore, consulente ed educatore, piuttosto che controllore dei risultati, poiché deve promuovere e favorire la crescita di creatività, responsabilizzazione e autonomia dei collaboratori. 37 1.9 Empowerment = Cambiamento L'empowerment è strettamente connesso al concetto di cambiamento. Il cambiamento è faticoso e comporta una rinuncia. Il punto di forza dell'empowerment è che esso, proponendo nuove alternative, non costringe ad abbandonare il già conosciuto. Queste alternative sono nuove possibilità da affiancare a quelle note tra cui scegliere, e non una volta per tutte, ma tutte le volte che si vuole. L'empowerment è, insomma, uno strumento per (ri)prendere in mano il controllo della propria vita, una modalità per progettare ed agire con efficacia e realismo, ma, soprattutto, rappresenta un nuovo approccio epistemologico, una nuova pensabilità del cambiamento per il singolo, per il gruppo, per la società, all'insegna non della ricerca della soluzione migliore, ma dell'aumento delle possibilità, delle scelte, della libertà. Allo stesso modo, l’empowerment diviene il concetto chiave per rinnovare una cultura del lavoro, per ri-pensare al ruolo dell’impresa e del lavoratore e per ri-formulare modelli organizzativi. Tali istanze si muovono dalla necessità di rendere le organizzazioni 38 più flessibili, più competitive, più attente alle relazioni umane, alla soddisfazione dei dipendenti e a quella dei clienti. Non si tratta di cambiare il comportamento dei lavoratori ma di reinterpretare la cultura del lavoro, delle regole, della concezione del potere e del controllo, nell’intento di sviluppare organizzazioni empowering ed empowered. La stessa Picardo ha affermato che l’empowerment ha ridato significato alla obsoleta teoria della motivazione sul lavoro, contribuendo ad offrire un’alternativa rispetto ad una concezione meccanicistica del lavoro stesso. 39 40 CAPITOLO SECONDO UN ALLENATORE PERSONALE: IL PERSONAL COACH 2.1 Il Coaching come risposta possibile alla “Società Liquida” In uno scenario mondiale dominato sempre più dalle risorse materiali e con la società interessata da profonde trasformazioni economiche, sociali e culturali, l’individuo non può che trovarsi in una situazione di continua incertezza, insicurezza, rischio. Naturalmente l’individuo, ieri come oggi, si ritrova ad essere “investito” dalle scelte. Però, se nelle società precedenti, queste erano prese o supportate da istituzioni solide, quali il gruppo, la comunità, la solidarietà, l'amicizia, la famiglia, lo Stato sociale, ora queste basi non sono più presenti nella vita della persona. Ciò genera nell'individuo quel senso di solitudine tipica dell'uomo contemporaneo (dove viene cancellata la comunità tradizionale per creare l' “uomo libero”), che riempie lo “spazio sociale” solo tramite il mercato e la tecnica, col risultato di imporre un agire strumentale basato sul rapporto 41 mezzo/fine, il quale genera a sua volta l'atomismo, lasciando l'uomo nell'isolamento totale e schiavo delle merci e della tecnica. La tecnica a sua volta cancella i legami sociali all'origine, ricorrendo al “mercato” pure per soddisfare i bisogni che prima si soddisfacevano nella comunità, dando così sempre più potere ad esso. La mercificazione riguarda anche i rapporti personali e interpersonali, che reggono finché garantiscono mutua soddisfazione. Le relazioni sono "a tempo" e hanno, così come i beni di consumo, una data di scadenza (una dimostrazione chiara è data dalla fragilità del nuovo tipo di unione matrimoniale). La salute, nella società contemporanea, si è trasformata nel fitness, nella ricerca inesausta e sempre inappagata della forma fisica perfetta. Il lavoro, sempre più scarso, ci rende fungibili e licenziabili. Bauman ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato “solido” e “liquido” della società. Riguardo a quest’ultima, che rappresenta lo stato attuale delle cose, egli dice che: 42 «Ci muoviamo da un progetto all’altro, senza sapere chi ci impiegherà il prossimo anno. Tutto si sta “sciogliendo” ma non più al fine di creare un’altra solidità. Lo scioglimento diviene un processo continuo, niente ha il tempo per solidificarsi; è ciò che io chiamo “modernità liquida”. La modernità odierna, come i liquidi, non può assumere una forma per lungo tempo».31 Secondo Bauman, la società tardo moderna decreta l'affermazione dell'individuo, ma dell'individuo de iure, non di quello de facto. Solo, vulnerabile, senza uno spazio pubblico cui far riferimento, l'individuo contemporaneo non assurge al ruolo di cittadino, ma è un isolato alla mercé delle proprie scelte e delle proprie sconfitte. L'individualismo odierno è un individualismo povero, dove prevalgono l'interesse egoistico, l'incertezza e l'ansia del fallimento. La situazione attuale non può che generare, quindi, un individuo atomizzato, slegato dal resto della società, incapace di interagire con gli altri e nel prendere decisioni individualmente, e con gli occhi 31 Bauman Z., Modernità liquida, Laterza, Bari, 2002 43 puntati esclusivamente sulla propria performance. Per questo l’individuo ha bisogno di essere guidato, consigliato, aiutato, supportato nel proprio percorso di vita o nel proprio lavoro. In questi casi è fondamentale l’intervento di una figura professionale che aiuti la persona ad acquisire maggiore consapevolezza delle proprie capacità ed utilizzarle al meglio in una logica di empowerment, attraverso un miglioramento continuo (selfempowermet), che innalza il livello di autostima, rafforza le convinzioni di autoefficienza e porta all’equilibrio interiore e all’autorealizzazione. Il coaching diventa una strada che permette di conciliare il rispetto delle più profonde caratteristiche della persona con l’esigenza dell’organizzazione di ottenere prestazioni sempre più elevate. Non è una “tecnica”, una modalità superficiale e manipolatoria per spremere le persone e ottenere da esse una performance ottimale, ma una filosofia a cui ispirare la relazione, un modo di trattare le persone che consenta a queste di trovare nella performance il risultato di una scelta, l’espressione e la realizzazione di se stesse. Quindi il coaching è uno stimolo e uno strumento di 44 cambiamento sia a livello culturale, sia individuale che organizzativo. 2.2 Nascita ed evoluzione del Coaching Sono numerose e differenti, a volte anche contraddittorie, le definizioni date alla parola “coaching”. Molti scrittori accademici nel tempo hanno pure cambiato il loro punto di vista, indicando che il campo si sta ancora sviluppando. Per John Whitmore, una delle voci più autorevoli in materia, il coaching è: «il processo di responsabilizzazione degli altri. Per Coaching non intendiamo semplicemente una tecnica escogitata lì per lì e rigorosamente applicata in determinate circostanze: si tratta piuttosto di un modo di guidare e gestire le persone, un modo di pensare, e quindi anche un modo di essere.»32 32 Whitmore J., Coaching, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2006 45 Le definizioni di coach sono mutate nel corso degli anni. Il termine “coach” fa la sua prima comparsa nel 1500 circa, riferito ad un metodo di trasporto, un veicolo trainato da cavalli, proveniente dalla piccola città ungherese di Kòcs (pronunciato “koach”). A metà del 1850 la parola è stata utilizzata nelle università inglesi riferita ad una persona che aiutava gli allievi nella preparazione dell’esame33. Il coaching affonda le sue radici nella Psicologia Umanistica focalizzandosi sulla dignità e sul valore intrinseco di una persona. Con l’emergere del movimento Umanista, si comincia a parlare di coaching anche nel mondo del business. Ma la reale innovazione è venuta con la fusione tra lo sport e il mondo degli affari, che ha reinventato questo termine. Tim Gallwey (1974) con il suo Inner Game of Tennis34 fu uno dei primi promotori del coaching nel contesto degli affari, a cui sono susseguiti rapidamente altri coach sportivi di fama 33 Zeus P. & Skiffington S., The Coaching at Work Toolkit, McGraw-Hill Trade, Australia, 2001 34 La parola inner, “interno”, è stata adottata per indicare la condizione interiore del giocatore, ovvero, per usare le parole di Gallwey, per portare alla luce il fatto che “l’avversario che si nasconde nella nostra mente è molto più forte di quello che troviamo dall’altra parte della rete”. 46 notevole, come John Whitmore (campione di corse automobilistiche), David Hemery (medaglista olimpico del salto ad ostacoli), David Witaker (coach olimpico di hockey). Il Coaching, nel significato moderno, è stato supportato dalla “Teoria dell’apprendimento costruttivo” di Williams & Irwing (2001), la cui credenza centrale è che non esiste una sola vera interpretazione della realtà. 2.3 Coaching e Mentoring Alcuni scrittori ritengono che il mentoring35 è il modello per il coaching, e che il mentoring però è troppo formale come termine lavorativo. Più recentemente, nel tentativo di creare una certa forma di coesione all’interno di questa visione confusa, i maggiori scrittori di questo dominio non hanno 35 La parola ha le sue origini dalla mitologia greca, nella figura di Mentore nell’Odissea di Omero. Il mentor è la figura che gestisce una relazione (mentoring) che si instaura tra un soggetto con più esperienza (il mentor, appunto) e uno con meno esperienza (protégé), al fine di consentire a quest’ultimo di essere guidato e protetto da un soggetto di maggiore importanza e rilievo. L'uso di questa pratica educativa è dunque molto antica. 47 accettato entrambe le attività come un sottoinsieme una dell’altra. Conseguentemente le distinzioni tra questi due termini causano confusione e che quindi la comunità dovrebbe cominciare ad accettare un termine tipo Coach-Mentor36. Le origini del mentoring risalgono al concetto di apprendistato, in cui un individuo più anziano e con maggiore esperienza trasmette a uno più giovane tutto quello che sa su come un certo lavoro vada affrontato e come ci si debba comportare nel mondo degli affari. Fino alla fine degli anni ‘80, il termine mentoring era intercambiabile con quello di coaching. Una leggera distinzione viene effettuata da Parsloe, il quale dice che: «lo scopo del coaching è strettamente destinato a un immediato miglioramento della performance e allo sviluppo di abilità individuali attuando una forma particolare di tutoraggio e istruzione. L’attività del mentore è sempre svolta con un certo distacco e il suo scopo è piuttosto quello di offrire consigli e suggerimenti 36 Parsloe E. & Wray M., Coaching and Mentoring: practical methods to improve learning, Kogan Page, Londra, 2000 48 per acquisire nel lungo termine determinate conseguenze connesso allo sviluppo della carriera professionale.»37 2.4 Coaching e Counseling Anche in questo caso è molto difficile fare delle distinzioni nette tra i due campi, soprattutto in Italia, in quanto le differenze tra la professione del coach e del counselor38 si fanno più sfumate e a volte impercettibili. I campi di maggiore e più convincente applicazione del counseling39 sono tutti quegli interventi volti a sviluppare la consapevolezza e l’autonomia dei soggetti, a rimuovere modelli di comportamento negativi perché produttivi di disagio, 37 Parsloe E., Coaching, Mentoring and Assessing: a practical guide to developing confidence, Kogan Page, Londra, 1992 38 Professionista in grado di aiutare un interlocutore in problematiche personali e private. In base al bagaglio di abilità possedute, le competenze proprie all'attività di counseling possono essere presenti nell'attività di diverse figure professionali quali psicologi, medici, assistenti e operatori sociali, educatori professionali. 39 Il counseling è un processo di apprendimento, attraverso un’interazione tra counselor e cliente, o clienti (individui, famiglie, gruppi o istituzioni), che affronta in modo olistico problemi sociali, culturali e/o emozionali 49 ad affrontare positivamente le situazioni di conflitto, ad acquisire fiducia in se stessi e nelle proprie potenzialità. Vengono attuati anche percorsi specifici volti al sostegno e alla facilitazione di clienti (individui o gruppi) che attraversano periodi critici della propria vita o hanno bisogno di entrare in una relazione di aiuto per risolvere un problema specifico, per migliorare i propri processi decisionali, per migliorare la qualità della vita. In linea di massima possiamo dire che il counseling, per poter mettere in atto il suo processo di aiuto, parte da uno studio e da una conoscenza del contesto passato del cliente, individuando quali sono state le sue esperienze vissute e ciò che in passato il soggetto ha sperimentato come ostacolante alla sua crescita40. Il coaching, invece, si basa prevalentemente sul presente proiettando le attenzioni e le pratiche verso ciò che sarà il futuro del cliente. Per quanto riguarda il rapporto con l’emotività, anche qui possiamo trovare delle piccole differenze. Infatti, mentre il counseling elabora l’emotività, il coaching, di contro, insegna solamente ad utilizzarla. 40 www.psicologiadellavoro.com/content/view/189/46/ 50 Altre distinzioni si possono fare in ambito legislativo in quanto il counseling in alcuni paesi europei ha una propria identità41 e 42 regolamentazione , mentre per il coaching (come vedremo più avanti) questo ancora non lo si può affermare. In conclusione posso affermare che è sicuramente molto difficile riuscire a trovare delle differenze nette tra le due professioni, anzi a volte i due percorsi si accavallano l’uno con l’altro. Forse, l’unica vera differenza, consiste nel fatto che il coaching proviene dal filone di studio delle Risorse Umane mentre il counseling da quello della psicoterapia. Quindi il contesto formativo e l’ambiente intervengono nel determinare tra i due ambiti le 41 In Gran Bretagna, le professioni di counselor e di psicoterapeuta sono sovrapposte, ma si distinguono nettamente dallo psicologo; in altri paesi quali la Francia, l’Austria e l’Italia, esiste invece una netta distinzione tra la professione di counselor e quella di psicologo e di psicoterapeuta. 42 In Austria il counseling (insieme al coaching) rientra tra le attività regolamentate nella professione di consulente di vita e sociale. In Germania la professione di counselor pur non essendo regolamentata è tutelata da un coordinamento nazionale (Deutsche Gesellschaft fur Beratung - DGfB) che raccoglie circa 30 associazioni e scuole di counseling. Nel Regno Unito è stata avviata la procedura per la regolamentazione delle figure di counselor e psicoterapeuta. 51 differenze nelle pratiche e nella biografia professionale del professionista. 2.5 Non una semplice parola di moda Da qualche tempo la parola coaching va molto di moda soprattutto negli ambienti del business, dove viene pronunciata e usata molto frequentemente. Proprio per questo, l’improvvisa “fame” di coaching ha finito per spianare la strada a manager (sedicenti coach) che, dotati di una formazione frettolosa e superficiale in questo campo, hanno proposto il coaching senza ottenere i risultati che avrebbero dovuto conseguire. Proprio per questo il coaching ha corso il serio pericolo di venire travisato, di essere recepito in modo errato e, conseguentemente, di essere liquidato come una tecnica non poi così innovativa, né all’altezza delle sue promesse. Per sua fortuna, il coaching, negli anni, è riuscito a riprendersi la propria identità e peculiarità, non trasformandosi semplicemente in una delle tante mode passeggere che si diffondono per poi scomparire nell’arco di un mese o di un anno; l’indubbio valore e l’importanza del coaching sono oggi ampiamente 52 riconosciuti nel mondo del lavoro, così come in quello della vita privata. A tal proposito, il concetto di “life coaching” appare per la prima volta tra le definizioni moderne di coaching come attività in un programma finalizzato ai ritirati dalla scuola media superiore. Questo lavoro, mirato a combattere la povertà, è cominciato negli anni ’50 con un programma di formazione sponsorizzato dall’YMCA43 di New York. Il suo scopo era quello di cercare i metodi più efficaci di apprendimento/consulenza per aiutare la gente ad apprendere le abilità psicologiche e sociali utili a fronteggiare problemi di vita, prevedibili, inerenti allo sviluppo. Verso la conclusione degli anni ’60 la ricerca divenne più rigorosa, aumentando la propria credibilità spostandosi nell’ambito di metodologie più accademiche. Questo ha favorito anche la nascita dell’executive e business coaching, partendo dai programmi di leadership degli anni ’80. Attualmente il coaching viene applicato in sette differenti tipologie: 43 Young Men’s Christian Association (Associazione Giovanile Maschile Cristiana) 53 - Business coaching, che si rivolge a liberi professionisti e imprenditori di piccole e medie imprese; - Executive coaching, per top manager ed executive; - Corporate coaching, per lo sviluppo di manager in azienda; -Career coaching, professionali; aiuta ad affrontare scelte - Team coaching, interviene su gruppi per migliorare la performance, la collaborazione e la realizzazione di progetti comuni; - Personal coaching, lavora direttamente con il cliente su diverse aree della vita privata e lavorativa; - Life coaching, per privati che decidono di migliorare alcune aree della propria vita. 2.6 Professionista o non professionista? Per i molti il coaching non è una professione, malgrado l'esistenza di persone che istruiscono professionalmente. Le professioni fanno parte, oggi, 54 dell’universo del lavoro autonomo, cioè delle attività svolte al di fuori del tradizionale lavoro dipendente. Il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) classifica le attività professionali in tre categorie: - un primo tipo di professioni, quelle protette, per le quali è prevista l’iscrizione in Albi e l’istituzione di un Ordine al quale è delegata la funzione di controllo sull’esercizio dell’attività; - un secondo tipo di professioni riconosciute, ovvero disciplinate dalla legge, per le quali tuttavia si richiede solo l’iscrizione in Albi o Elenchi, senza che sia necessaria la costituzione di un Ordine (ad esempio gli agenti di assicurazione e i periti assicurativi); - un terzo tipo di professione è dato infine dalle attività non regolamentate o "Professioni Associative", ovvero non soggette ad una regolamentazione pubblicistica, ma presenti sul mercato del lavoro e rappresentate dalle relative associazioni. Anche l’Unione Europea, dal momento in cui ha avviato la libera circolazione dei lavoratori nei diversi Stati membri, ha iniziato ad occuparsi della definizione 55 di professionista. Con la mobilità dei lavoratori, il primo problema è stato quello di uniformare i criteri per ogni singola professione. In altre parole, nasce l’esigenza di permettere ad un cittadino formato in un qualsiasi Stato membro di esercitare la sua professione in un altro Stato membro. La continua evoluzione del sistema socio-economico fa sorgere la necessità per la Comunità Europea di occuparsi di professioni emergenti o che comunque non rientrino nella tipologia di professioni regolamentate. Il legislatore europeo non arriva a definire in modo esplicito il concetto di professione non regolamentata, ma è possibile arrivare ad una definizione desumendola dalle Direttive 89/48/CEE, 92/51/CEE, 1999/42/CE secondo cui “le professioni non regolamentate sono quelle attività lavorative caratterizzate dall’assenza di norme ratione operis che siano vincolanti in materia di accesso o di esercizio professionale e che siano disposte direttamente dalla pubblica autorità. Una professione non regolamentata può essere esercitata sia in forma di lavoro autonomo che di lavoro subordinato”. La questione più problematica per ciò che riguarda le associazioni è l’accertamento del numero 56 dei professionisti. Il CNEL ha accertato che al 31 dicembre 2004 le associazioni regolamentate risultavano essere 196. Per quanto riguarda invece le libere professioni regolamentate, il totale degli iscritti nel 2009 risulta essere di 2.006.00044 professionisti. È bene tenere presente che non tutti gli iscritti agli Albi esercitano attivamente la professione. Inoltre i professionisti iscritti agli Albi possono esercitare la professione in modo autonomo e lavorare in un’organizzazione, parallelamente o in modo esclusivo. Il numero di professionisti non iscritti ad ordini professionali in Italia è di circa 3 milioni e 700 mila unità. Per quanto riguarda i professionisti non regolamentati operanti in Italia, le stime riportate da CNEL e CENSIS nel 2009 fissano in un numero variabile tra 1.600.000 e 3.000.000 di unità. In questa categoria sono rappresentate prevalentemente attività professionali sorte sulla spinta delle evoluzioni tecnologiche, scientifiche e di conoscenze che hanno investito la nostra società, il cui esercizio richiede 44 CENSIS, “43° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese”, Roma, dicembre 2009 57 conoscenze molto elevate, senza che sia però necessaria l’iscrizione ad un ordine o albo. 2.7 La classificazione a livello europeo L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha riveduto la versione precedente della “Classificazione internazionale tipo delle professioni” finora in uso (ISCO-88) allo scopo di disporre di una classificazione più efficace che possa essere utilizzata dai singoli paesi nel prossimo ciclo di censimenti demografici e dalle amministrazioni nazionali del lavoro, nonché nell’ambito di altre applicazioni orientate dal cliente. L’utilizzo della nuova classificazione ISCO-08 è fondamentale al fine di garantire la compatibilità dei dati sulle professioni degli Stati membri dell’UE con quelli del resto del mondo. La classificazione ISCO-08 è più dettagliata della versione europea di tale classificazione ISCO-88 (COM) per quanto riguarda le professioni che registrano una elevata presenza femminile ed evidenzia maggiormente le professioni collegate alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. 58 Da questa classificazione, purtroppo, resta fuori la figura del coach, che viene inserito solo nell’ambito sportivo, all’interno del gruppo 34 (Legal, social, cultural and related associate professionals), sottogruppo 342 (Sports and fitness workers), categoria 3422 (Sports coaches, instructors and officials).45 Il motivo è facilmente intuibile, in quanto, pur avendo delle caratteristiche proprie, la figura del coach rappresenta un’innovazione nell’ambito delle professioni e richiede quindi un'attenzione e una riflessione nuova che possa farla emergere come figura a se stante riconosciuta. Rifacendoci alla “curva ad S” di Tarde, potremmo dire che il coach in Europa si trova attualmente in una condizione transitoria dalla fase dell’innovazione a quella di crescita. Più precisamente potremmo dire che a livello di classificazione si trova nella fase di innovazione, visto che ancora fa fatica ad essere inserita, mentre professionalmente la potremmo collocare già in fase di crescita. E' infatti un'attività a cui molti professionisti da ambiti diversi guardano con interesse, e che molte aziende considerano un investimento prezioso. 45 http://www.ilo.org/public/english/bureau/stat/isco/docs/resol08.pdf 59 Il fatto di non appartenere a un albo professionale, ma solo ad associazioni legate alla Federazione Internazionale o a quella dei Coach Professionisti, rende il coach anche un nonprofessionista. Ciò non toglie che qualsiasi persona che si trovi a svolgere questa attività, tecnicamente si ritiene un professionista a tutti gli effetti, sia per il ruolo che ricopre, sia per le competenze che deve avere. Quest’ultime, attualmente, sono valutate e stabilite dall’International Coach Federation (ICF)46 attraverso delle certificazioni. A tal proposito, proprio in questo ultimo periodo, in seno all’ICF si sta discutendo se mantenere le certificazioni attuali o se indirizzarsi verso certificazioni ISO, che naturalmente garantirebbero un’uniformità nell’ambito dell’attività di coach a livello mondiale. Gli standard di eccellenza, la professionalità ed il codice etico riconosciuti a livello internazionale dalla ICF costituiscono una base solida per l’auto46 La ICF è la più grande associazione professionale senza scopo di lucro del mondo del coach, con più di 13.000 membri in più di 80 paesi. Il suo scopo è di sviluppare, sostenere e preservare l’integrità della professione nel mondo e di accrescere la fiducia del pubblico in questa professione. La missione dell’ICF consiste nell’essere il punto di riferimento per l’arte e la scienza del coaching. 60 regolamentazione della professione di Coach. Solo quei Coach che sono membri della ICF47 o ne hanno ricevuto le credenzialità, sono soggetti a questa autoregolamentazione. Ciò significa che coloro che non sono membri della ICF o che non ne hanno ricevuto la certificazione, non sono soggetti allo stesso rigoroso standard di professionalità.48 Comunque c’è da dire che il concetto di professionista per gli italiani risulta essere tuttora poco chiaro, in quanto questi fanno ancora molta confusione, intendendolo fortemente legato a quello di “libero professionista”. 2.8 Il coach e le competenze La International Coach Federation definisce il coaching professionale come "un rapporto di partnership che si stabilisce tra coach e cliente (coachee) con lo scopo di aiutare quest'ultimo ad 47 La ICF raggruppa più di 13.500 coach dislocati in oltre 90 paesi internazionali, ed è quella con il maggior numero di iscritti. Fonte: www.coahfederation.it 48 Cfr. il link http://www.icf-italia.org/fic/?p=48 61 ottenere risultati ottimali in ambito sia lavorativo che personale". Utilizzando diversi strumenti, quali l'ascolto, l'intuito, la curiosità, i feedback, le domande potenti, il coach dialoga con il coachee e lo aiuta a fare chiarezza riguardo gli obiettivi che veramente desidera, le strategie più corrette per raggiungerli, le modalità concrete per superare gli ostacoli ed aumentare la fiducia in se stesso. Il coaching quindi non si basa sul trasferimento di conoscenze tra un cliente passivo ed un coach "esperto", non dà soluzioni, non definisce il bene o l'interesse del cliente. Il coaching aiuta le persone a cambiare e a trasformarsi (in ciò che loro veramente desiderano), aiutandoli ad individuare e a superare comportamenti inappropriati, cattive abitudini, pattern che ostacolano la crescita ed impediscono di raggiungere gli obiettivi preposti. Oggi il coaching risulta essere una professione abbastanza nota e riconosciuta in tutto il mondo, che conta oltre 30.000 coach, di cui circa il 18,8% specializzato nell'executive coaching, il 18,3% nello sviluppo della leadership, il 15,7% nel life e personal 62 coaching. Uno studio commissionato dall’ICF stima che oggi ben il 71,2% dei coach è membro dell'ICF.49 Indipendentemente dagli standard etici di ICF, tutti i coach dovrebbero avere delle competenze specifiche che, sempre l’ICF, le raggruppa in 11 punti. Naturalmente l'esperienza personale e il background fanno sì che ogni singolo coach sia “unico” nel suo genere, e queste ulteriori competenze non possono che essere un arricchimento nello svolgimento della professione. Le 11 competenze rilasciate dalla ICF sono raggruppate in 4 sottogruppi, così suddivisi: a) Porre le basi 1) soddisfare linee guida etiche e standard professionali 2) stabilire il contratto di coaching b) Creare insieme la relazione 3) stabilire fiducia e confidenza con il cliente 49 Fonte: Global Coaching study realizzata da Price Waterhouse Cooper per ICF , luglio 2007 63 4) presenza di coaching c) Comunicare efficacemente 5) ascoltare attivamente 6) fare domande potenti 7) comunicazione diretta d) Facilitare apprendimento e risultati 8) creare consapevolezza 9) progettare azioni 10) pianificare e definire obiettivi 11) gestione del progresso e affidabilità 2.9 Un “allenatore della vita”: il life coach A differenza del corporate e dell’executive coach, già da anni apprezzati e ricercati da grandi e medie aziende, il life coach è una figura nuova che in Italia si sta sviluppando solo negli ultimi anni. Si occupa soprattutto di tematiche inerenti la sfera della vita 64 privata della persona, e in termini italiani potremmo definirlo un “allenatore della vita”. Il life coach è un professionista prezioso per tutti coloro che hanno bisogno di risolvere problemi specifici di cui sono già consapevoli, ma anche per coloro che desiderano una migliore qualità della vita e non sanno esattamente su quale aspetto focalizzarsi per poter raggiungere un’armonia generale e un senso di benessere. Il life coach ha quindi un’esperienza non solo nel campo professionale ma anche su tematiche legate al privato.50 Il compito di un life coach è quello di aiutare l’individuo a mettere in luce le aree della vita privata che richiedono un maggiore impegno, motivazione o qualche cambiamento. Il compito del cliente, invece, è quello di impegnarsi a seguire le proprie scelte e a mettere in pratica le azioni programmate. Naturalmente, se non c’è la volontà da parte di un individuo di impegnarsi in un percorso di coaching, il lavoro del coach non porterà nessun beneficio. 50 http://www.studiocoach.it/life-coach/ 65 Una caratteristica fondamentale del life coaching è che il coach non spinge il coachee a ripercorrere le esperienze passate, a focalizzarsi su questioni irrisolte, né tantomeno tenterà di affrontare problematiche di tipo psicologico, bensì parte dal presente per spostarsi verso il futuro, focalizzandosi esclusivamente sulla persona. Indipendentemente da ciò che costituisce la storia di ognuno noi, secondo la filosofia del coaching, è possibile costruire una strategia personale che possa portare verso un risultato desiderato. L’insieme di azioni, la verifica di ogni passo successivo, la consapevole assunzione di responsabilità, fa sì che ogni cambiamento possa essere duraturo. Il coach non dà suggerimenti e soprattutto non giudica, offre piuttosto un’aspettativa esterna che sostiene il suo cliente e le sue scelte. Le aree su cui si può intervenire insieme a un life coach sono molte e varie, come relazioni interpersonali, gestione del tempo, equilibrio tra vita privata e lavoro, rimozione di idee bloccanti che impediscono di agire come si vorrebbe, ma anche sviluppo personale e capacità di affrontare eventi straordinari. Tutti questi temi, a volte anche delicati, possono essere affrontati con estrema serenità grazie 66 alla fiducia, la riservatezza e il rispetto, che vengono garantiti dalla relazione di coaching e che sono essenziali per la realizzazione di un percorso efficace. Un percorso di life coaching ha una durata variabile a seconda del tema da affrontare e degli obiettivi prefissati. Nel mio percorso di tesi ho ritenuto opportuno trattare un caso di studio pratico che potesse rispecchiare ciò che di teorico ho riportato fino a questo momento, prendendo così come caso di studio un’attività di coaching presente sul territorio romano. Si tratta di “Studio Coach”, che si occupa di business coaching per piccole e medie imprese, ma soprattutto di life coaching rivolto ai privati. Quest’attività è rappresentata da Carla Benedetti, titolare di Studio Coach, la quale si è dimostrata disponibile ad essere presente come caso di studio all’interno di questa tesi. Quindi nel capitolo successivo approfondirò l’attività svolta da “Studio Coach” nonché tutti gli aspetti legati ad esso, inserendo diversi concetti rilasciati personalmente da Carla Benedetti durante i diversi incontri avuti. 67 68 CAPITOLO TERZO IL CASO: “STUDIO COACH” 3.1 Presentazione del caso: “Studio Coach” Studio Coach nasce a Roma nel giugno 2008 da un’idea di Carla Benedetti. Il suo progetto è quello di costruire un punto di riferimento per tutte quelle persone che desiderano dedicarsi al proprio sviluppo personale e professionale attraverso il life coaching. La maggior parte dei coach presenti sul territorio lavorano principalmente con le aziende, o come consulenti indipendenti o come operatori di società di consulenza. Questo è dovuto al fatto che la figura professionale del coach è conosciuta e richiesta soprattutto all’interno di organizzazioni, proprio per la possibilità riconosciuta a questo professionista di saper migliorare la qualità dell’ambiente lavoro, la motivazione e sviluppare le competenze a livello manageriale e di conseguenza la competitività sul mercato. In questo contesto, la sfida di Studio Coach è quella di affermare la validità del coaching e portarlo ai privati, a tutti quegli individui che desiderano 69 migliorare la propria vita. La vision aziendale è quella di arrivare ad essere, un giorno, un punto di riferimento per queste persone e offrire uno strumento di sviluppo personale che non sia più privilegio aziendale. Il nome “Studio Coach” ha una doppia valenza: da un lato, deve la sua origine all’abbinamento di due termini simbolo: “studio”, inteso come accezione del latino “studium”, ossia punto dove si studia e si cresce; “coach”, l’attività che rappresenta. Dall’altro lato può essere inteso come uno studio in cui più professionisti offrono le proprie competenze ed esperienze specifiche al servizio di clienti eterogenei con esigenze personali diverse. A questo proposito Carla Benedetti dice: «la mia attività si chiama Studio proprio perché nasce dal desiderio di studiare se stessi e le proprie capacità per una crescita consapevole costante. Sviluppo che non riguarda esclusivamente i clienti, ma anche i coach stessi. In futuro altri coach potranno unirsi e partecipare al progetto Studio Coach. Sono già stata contatta da diversi professionisti che desiderano collaborare. E’ molto importante però che si possa costituire un team di persone che condividano non solo un’attività, ma anche una filosofia e uno scopo comune. 70 Credo che in un futuro non molto lontano, l’idea dello studio di “associati” possa concretizzarsi non solo a Roma. Sarà infatti molto interessante attivare una rete professionale più vasta che possa garantire una maggiore flessibilità.» L’esperienza professionale di Carla Benedetti ha una matrice derivante dal management e dalle Risorse Umane, con un’esperienza di undici anni in Inghilterra. Gestire collaboratori, occuparsi della loro crescita, lavorare con le persone insomma, è stato per lei sempre un aspetto molto affascinate del suo lavoro, soprattutto nell’area formazione. Quando decide di tornare in Italia, si occupa di gestione di piccole imprese e consulenza per piccoli imprenditori. Un periodo interessante in cui ha potuto confrontarsi con diverse esigenze organizzative e sviluppare capacità di ascolto soprattutto nei confronti degli imprenditori committenti, ampliando il suo sguardo sul mondo del piccolo business. Il desiderio di focalizzarsi sulla formazione ha però spostato gli interessi verso una consulenza diversa e attivato la spinta a creare un’attività propria che rispondesse a queste esigenze. Così nasce l’incontro con il coaching. Il coaching ha 71 unito la passione per la formazione con il desiderio di condividere. La possibilità di utilizzare l’esperienza acquisita per lavorare non solo su training finalizzati, ma su qualcosa di più grande: se stessi e la propria vita. Sceglie quindi di seguire un corso della “Corporate Coach U Italia”51, già prima di terminare il corso registra il proprio marchio, dà vita a “Studio Coach”, diventa membro della Internazional Coach Federation. Al conseguimento del diploma, il sito di “Studio Coach” è online. «Dopo dieci giorni – ci dice Carla Benedetti – ho avuto i miei due primi clienti. Nonostante fossi molto positiva, quei due primi contratti mi sorpresero, soprattutto per la facilità con cui arrivarono. Il life coaching è ancora una cosa nuova ed ero perfettamente consapevole che chiedere a un privato un impegno così importante, anche se per una vita migliore (potrebbe esserci un motivo migliore per investire?), beh, non è semplice. Quei due primi clienti mi hanno dato una grande carica e la gioia di vedere realizzare qualcosa che fino a quel momento era solo un’idea. Col tempo si migliora e 51 Leader in Italia nel campo della formazione al coaching e parte del network internazionale “CoachInc” 72 l’esperienza ci insegna molto. Quando penso alla prima sessione con il mio primo cliente ricordo la stretta di mano e lo sguardo fiducioso che mi rivolse. Era preoccupato e disposto a raccontarmi la sua vita. La grande responsabilità mi fece dimenticare ogni dubbio e lo feci accomodare. Abbiamo cominciato insieme, fidandoci l’uno dell’altra, senza giudizio. Il coaching è un po’ questo.» La scelta professionale verso la figura del coach è stata quindi dettata dalla voglia di lavorare con le persone e al servizio delle persone. Ma la domanda che viene da fare è: perché un soggetto si rivolge ad un coach? Pronta la risposta di Carla Benedetti: «la ragione per cui le persone vanno dal coach è perché il coach è distaccato dalla loro vita. Quando parli con un amico o con una persona cara, parli con una persona coinvolta emotivamente ed è possibile che per affetto trovi difficoltà a staccarsi completamente dalla situazione. Tenderà quindi a dare i consigli che ritiene in buona fede giusti o a dare conforto senza però creare un vero spazio di azione responsabile della persona. Una persona distaccata quale può essere il coach, offre l’opportunità di parlare a voce alta senza aspettative, allo 73 stesso tempo le sue domande stimolano una esplorazione profonda e un’analisi da diversi punti di vista. » 3.2 Il Diploma e la Certificazione Studio Coach, come abbiamo detto, è nato nel giugno del 2008. La certificazione della ICF è arrivata dopo circa sei mesi di attività. Per ottenere la certificazione bisogna attenersi a delle condizioni fondamentali: innanzitutto bisogna aver frequentato una scuola riconosciuta dalla ICF52, la quale rilascia un diploma a seguito del superamento delle prove finali53. Dopo di che bisogna fare una serie di ore di sessioni con un numero minimo di clienti veri, i cui dati devono essere registrati e consegnati al comitato ICF per una eventuale verifica. Solo dopo aver verificato l’affidabilità del materiale e ritenuto il candidato competente secondo gi standard stabiliti, l’ICF assegna una certificazione. 52 Se la scuola non è riconosciuta dalla ICF, bisogna fare un esame da privatista sempre presso una scuola riconosciuta dalla ICF per avere poi la loro certificazione. 53 Suddivise in un esame scritto e in un esame orale che consiste nella simulazione di una seduta di coaching. 74 «La differenza tra i coach la fa la persona, l’intuito personale. Come si dice non ci sono coach mediocri o bravi coach, ci sono solo coach eccellenti, perché non esiste un altro modo di essere coach. L’esperienza personale, la sensibilità personale, la capacità di partecipare senza essere necessariamente empatico al 100% e la capacità di non giudicare, di restare focalizzato sul cliente dimenticando i propri modelli, sono elementi fondamentali per questo lavoro.» La certificazione permette di essere accreditato e riconosciuto dall’ICF come coach professionista, ma questa, ma questa non dura a vita, ha una scadenza. Quindi la membership va rinnovata annualmente e ogni 3 anni, come garanzia e affidabilità del coach, bisogna ripetere in parte la procedura su elencata. 3.3 L’attività di Studio Coach: business e life coaching Studio Coach offre un servizio sia di business coaching che di life coaching. La differenza sostanziale consiste nel fatto che nel primo caso si lavora principalmente con liberi professionisti e piccoli imprenditori, mentre nel secondo caso si lavora con i 75 privati. Ulteriori differenze saranno analizzate nei successivi paragrafi. 3.3.1 Il business coaching di Studio Coach Il business coaching di Studio Coach si rivolge a piccoli imprenditori e professionisti. Una delle caratteristiche dei piccoli business, è il carattere molto personale dell’azienda. L’imprenditore si riconosce completamente nella sua attività e questo presenta due aree di intervento importanti: da una parte può essere difficile a volte l’implementazione di nuove strategie o cambiamenti, proprio per l’attaccamento a tradizioni e pratiche consolidate; dall’altra l’aspetto personale può emergere anche su temi più strettamente business, essendo la vita stessa dell’imprenditore fortemente connessa con l’attività professionale. Nel business coaching, in qualche modo, succede che si faccia anche della consulenza. Le tematiche affrontate richiedono che ci si sposti tra consulenza e coaching. Sta alla capacità di valutazione del coach capire quando è il momento di mettersi il “cappello” del coach e quando quello del consulente 76 business, colui che può dare suggerimenti e consigli per possibili soluzioni. Un aspetto questo non presente nel life coaching. Il life coach non deve necessariamente avere competenze sulla materia specifica presentata dal cliente, ma sugli strumenti a disposizione per applicare il modello coaching che prevede supporto, ma non direzione. Condurre un cliente verso una soluzione suggerita può creare dipendenza o nel caso di insuccesso, perdita di fiducia da parte del cliente non solo nell’operato del coach ma nel processo stesso. 3.3.2 Il life coaching di Studio Coach Il life coach si occupa della vita, come già detto è l’ “allenatore della vita”. Riguarda tutti gli aspetti, quali può essere un disagio, un cambiamento importante, la decisione di cambiare città, di trasferirsi, di gestire i propri figli o la famiglia. Il life coach si occupa quindi di tutti gli aspetti della vita, compreso il lavoro54. Molto spesso si 54 Per l’ambito lavorativo è presente anche la figura specifica del career coach il quale aiuta ad affrontare scelte professionali. 77 richiede l’intervento di un coach per poter “regolare” il tempo personale: dove per esempio, ci troviamo di fronte a persone sposate con famiglia e che lavorano, e per loro sia il lavoro che la famiglia hanno uguale importanza, e quindi hanno difficoltà a superare quest’ostacolo. 3.3.3 Le differenze tra il corporate e il life coaching Come ho accennato nel paragrafo precedente, il life coaching è diverso dal business coaching così come dal corporate coaching. Nel caso del corporate gli obiettivi sono aziendali, stabiliti dal committente. Quindi, anche se si lavora con degli individui, solitamente dell’area management, con personali esigenze, bisogna sempre mantenere ben in vista quali sono le richieste aziendali. Il manager arriva dal coach per richiesta o proposta dell’azienda, e questo fa sì che il percorso di coaching non sia vissuto da subito come un’opportunità, bensì come una valutazione, un segnale di insoddisfazione da parte dell’azienda rispetto alla propria performance. Solo in seguito, con la costruzione di un rapporto di fiducia con il coach, il 78 coachee/manager può più facilmente individuare le possibilità di crescita ed empowerment a sua disposizione. Per Carla Benedetti: «Il processo di coaching è affascinante ed offre alla persona l’occasione di aprirsi e affrontare dubbi personali ma anche i disagi. Pur lavorando in un universo definito, quello della propria organizzazione, qualunque individuo porta con sé la propria storia, per questo il coach pur focalizzandosi sul suo coachee non deve mai dimenticare gli obiettivi aziendali oggetto del programma e contratto di coaching.» Quindi che cosa succede a questo punto? Che in dei momenti ci può essere pure un piccolo conflitto. Per esempio, se capita un dirigente a cui viene offerto il coaching dall’azienda, e questo dirigente in quel momento si trova in una situazione personale difficile all’interno dell’azienda stessa di cui non ne ha parlato con nessuno, si trova davanti al coach e naturalmente ne parla con lui. Questa situazione può trovarsi in conflitto con le linee guida dell’azienda, addirittura con 79 la ragione stessa per cui l’azienda ha commissionato il coaching. In un caso di questo tipo il coach deve essere molto abile a cercare di capire fino a che punto può proteggere il coachee senza intaccare gli interessi del committente azienda. Questa è una dinamica classica che si verifica spesso quando si lavora con un’azienda, dove il coach non può essere mai al 100% dalla parte del coachee. I risultati sono aziendali. Può succedere che una persona all’interno dell’azienda, in genere un executive, si avvalga di un personal coach per affrontare temi che non potrebbe condividere con altri collaboratori. Le alte responsabilità e la pressione a cui si è sottoposti in posizioni dirigenziali, nonché il senso di solitudine, fanno sì che l’executive senta il bisogno di avere di fianco un coach che lo accompagni e, nel migliorare la propria performance, a cascata, migliori tutto il resto. E’ evidente che nel caso di executive coaching, il coach deve essere una persona di grande esperienza, preparazione, capace di relazionarsi con persone ai vertici aziendali. 80 3.4 Strutturazione di una sessione di coaching Le prime due domande che i clienti tendenzialmente sono portati a fare, come è naturale che sia, sono: quanto costa una sessione? Quanto dura il percorso? Una sessione di coaching è abbastanza costosa quindi molte persone potrebbero non riuscire a permettersela. In teoria va dai 150 fino ai 300 euro a seduta, poi varia da caso a caso, anche a seconda della durata e dalla modalità di come si svolge la sessione di coaching. Seguendo le parole di Carla Benedetti riguardo al costo, ecco il suo modo di procedere: «La sessione ha un singolo costo, anche elevato, però io offro delle soluzioni per programma in modo da garantire al cliente un percorso continuativo e vantaggioso. Un minimo di tre o quattro mesi è quello che suggerisco. Perché se è vero che il coaching aiuta nella realizzazione di obiettivi, il processo richiede tempo. Nonostante gli accordi presi, se il cliente per qualunque ragione decide di interrompere il percorso di coaching questo viene interrotto e solo le sessioni effettuate sono saldate. 81 Il business coaching invece implica un lavoro diverso e ha di conseguenza un costo più elevato. Non ci sono mai state difficoltà con i contratti e accordi presi, la cosa importante è essere corretti, dare tutte le informazioni necessarie all’inizio e assicurarsi con il coachee/cliente che tutto sia chiaro .» Riguardo invece alla durata della sessione di coaching, questa ha un tempo variabile perché il percorso può durare due mesi così come un anno, dipende dagli obiettivi e dall’impegno della persona. Di solito quelle minime consigliate sono tra le 10 e le 15 sedute. Meno di queste sarebbero inutili perché ci vuole del tempo sia per entrare nella relazione tra i soggetti, sia, successivamente, per entrare maggiormente in confidenza con il processo stesso e portare così a termini i vari passaggi di un percorso definito. La scansione temporale ideale è di una seduta ogni due settimane. Ci sono persone che invece preferiscono ogni tre, in modo che il percorso di coaching duri più a lungo nel tempo. C’è chi invece preferisce fare l’incontro una volta a settimana, ma questo viene sconsigliato, perché durante l’incontro 82 emergono diverse questioni importanti (soprattutto nel life), e siccome a fine seduta il cliente si dà dei compiti da svolgere entro quella successiva, una settimana è effettivamente troppo poco per riuscire a fare tutto quello che viene prefissato. Ma il tempo di una settimana è indubbiamente poco anche solo per ripensare a tutto quello che è stato detto durante la seduta. Secondo il nostro coach: «Quello stabilito deve essere un tempo realistico ma anche “sfidante”, e il coach deve dare lo stimolo al cliente nel riuscire a fare di più. La scansione ideale è di una volta ogni due settimane. Una ogni tre, invece, dipende: se le persone sono abituate a lavorare su se stesse, se sono molto riflessive e hanno davvero bisogno solo di un piccolo accompagnamento, allora sì, andrebbe pure bene. Se invece dicono ogni tre settimane solo per guadagnare tempo, per far durare tutto il rapporto di coaching sei mesi anziché quattro, non sempre il tutto funziona. Perché poi si tende a dimenticare le cose, perché è molto impegnativo, l’impegno è molto intenso da tutte e due le parti. Io in particolar modo poi devo ricordare tutto quello che mi viene detto, dai nomi dei figli alla loro età, dal nome dell’amica ai posti che frequenta. Il coachee giustamente si confida e si aspetta che il suo coach sia presente anche 83 in questo modo. Quindi devo prendere appunti e andarmeli spesso a riguardare per essere preparata con loro rispetto a quello che poi mi raccontano. Quindi è un impegno, e i clienti si sentono importanti sotto questo aspetto.» Ma come si decide un percorso di coaching? Il colloquio orientativo è il primo contatto indispensabile al cliente e al coach per presentarsi, per fare tutte le domande necessarie, per chiarire dubbi e individuare le aspettative reali. Studio Coach, inoltre, offre la possibilità al cliente di poter provare l’esperienza del coaching direttamente, senza un colloquio preliminare: viene organizzata una prima sessione di 60 minuti che viene offerta gratuitamente. Gli obiettivi sono sempre personali e decisi dal cochee, tenendo però sempre in considerazione l’esterno, l’ambiente che lo circonda. Il coach deve aiutare il cliente ad avere gli strumenti e la consapevolezza di gestire le proprie risorse. E da parte sua quella di essere consapevole e responsabile delle proprie scelte. Questo è un passo fondamentale. 84 Il coach può lavorare con chiunque, che sia idraulico, bancario o casalinga, perché non deve conoscere il lavoro del cliente. Il coach lavora con la persona, qualunque sia il mondo a cui appartiene, lavora sui desideri da realizzare. Seguiamo ancora le parole di Carla Benedetti: «Il cliente viene da me e io devo fargli delle domande, devo cercare di farlo lavorare su delle cose specifiche, aiutandolo così a capire in quale posizione si trova in questo momento, quali sono i suoi obiettivi reali, dato che molto spesso le persone non li sanno, e se quello è l’obiettivo che veramente vuole raggiungere. Poi, una volta che lo abbiamo trovato, fargli capire in che punto si trova adesso, cosa gli manca per arrivare li dove vuole lui, trovando quindi una strategia per arrivarci. Ovviamente questo non si fa tutto in un giorno, ma lo si fa nel tempo, sia perché ogni volta escono fuori cose nuove, sia perché l’obiettivo molto spesso si sposta, cosa che succede molto di frequente.» La durata di una singola seduta è di un’ora, un’ora e mezza al massimo. L’incontro avviene di norma nelle studio del coach o, se espressamente 85 richiesto, anche a casa del coachee (naturalmente a costi differenti). Nell’ambito business invece ci si reca presso l’attività del cliente. Un altro tipo di modalità di svolgimento della seduta di coaching è quella via telefono. Naturalmente in questo caso i costi sono più bassi. Anche nell’attività di Studio Coach questo è capitato, ma di rado, e solo se la coach Carla Benedetti si trova fuori città, quindi impossibilitata nell’incontrare personalmente il cliente. 3.5 L’identità del coach Un coach è un coach 24 ore al giorno. Quando si arriva ad intraprendere questo tipo di professione (come quella del counselor), è perché la persona aveva dei nodi ed è riuscita a scioglierli tutti quanti. Siccome si è riusciti ad avere successo con se stessi, questa persona si mette a disposizione degli altri per aiutarli a risolvere i loro problemi. Quindi una persona può svolgere l’attività di coach solo se in primo luogo tutti i suoi problemi, le sue difficoltà, i suoi dubbi, sono risolti, superati e messi da parte. Questa è una caratteristica che accomuna tutti quanti i coach. 86 Però, nel caso in cui un coach si trovi in un momento di difficoltà, come si comporterà? Ovviamente anche egli si rivolgerà ad un coach, perché ha bisogno di una persona esterna. Quindi tutti i coach, anche quelli più bravi, hanno bisogno di un loro coach personale. Questa è un’altra caratteristica comune. Continuando sull’identità del coach, riporto le parole di Carla Benedetti: «Se nella tua carriera ti sei occupato di lavorare con delle risorse, qualunque esse siano, e hai scoperto che lavorare con l’essere umano è un qualcosa che ti appartiene, sviluppi un tipo di sensibilità particolare. L’ascolto è la cosa fondamentale, perché è la chiave di tutto. L’ascolto verbale, paraverbale, l’osservazione: queste sono le cose più importanti. Inoltre nessun coach si sente psicologo, ma ci sentiamo tutti dei coach. È un approccio diverso rispetto a quello dello psicologo. Il mio lavoro consiste nel parlare sempre di qualcosa a cui tu ti vuoi avvicinare, non qualcosa da cui ti vuoi allontanare. Questo è il concetto fondamentale del coaching. Il nostro lavoro è quello di spostarsi in avanti, ma non perché il passato non esiste o non conta; il passato esiste, conta e ti ha portato ad essere la persona che sei. Però dal passato 87 bisogna prendere l’esperienza e il feedback, non l’emotività. E’ un lavoro che ha a che fare con la responsabilità ed io credo nella responsabilità e nella libertà. Se tu sei una persona che è sicura di sé ed in grado di prendersi le proprie responsabilità, conseguentemente sei una persona libera, non dipendi da me. Se tu invece vieni da me per avere consigli e opinioni, dipenderai da me per tutta la vita. Ci sono persone che preferiscono delegare ad altri le proprie scelte, dalle cose più piccole alle cose più grandi. E ci sono persone che non abbandonano facilmente il proprio modo di pensare. Capita a volte che dei clienti alla prima sessione di coaching si spaventano, perché forse per la prima volta vivono un’esperienza fuori dalle proprie sicurezze, come si dice, fuori dalla “zona di comfort”. Il mio lavoro consiste in questo: aiutarti a renderti libero.» 3.6 I consigli di un professionista Avendo piena disponibilità da parte di Carla Benedetti, mi è venuto spontaneo chiederle di dare, da professionista del settore quale è, qualche consiglio sia a chi ha intenzione di rivolgersi ad un coach, sia a chi vuole intraprendere l’attività di coach. Per chi vuole fare una sessione di coaching: 88 «Direi di scegliere un coach che sia sulla carta affidabile. Quindi fissare un incontro per vedere se si riesce ad entrare in sintonia, perché non è detto che ciò avvenga. Successivamente il coachee decide se ha voglia di lavorare con questa persona. La cosa fondamentale è quella di essere il più aperti possibile, in modo che non si perda tempo, né dall’una che dall’altra parte.» Invece, per chi vuole intraprendere professione di coach, è questo il consiglio: la «Predisposizione nell’aiutare gli altri che non deve diventare però il modo di scaricare sugli altri i propri problemi. Cioè, in realtà penso che la cosa importante sia prima risolvere le proprie questioni e poi successivamente avvicinarsi agli altri, perché, se prima non sto a posto io con me stesso, non posso fare niente per gli altri. Non posso aiutare nessuno. Quindi prima bisogna fare un bel lavoro su se stessi e continuare a farlo nel tempo, utilizzando le stesse tecniche del coaching, scrivendo un diario, ogni tanto facendo esercizi di “autocoaching”, e poi eventualmente prendendo un coach esterno.» 89 3.7 Prospettive future Dopo aver cercato di illustrare l’attività, o parte di essa, che Studio Coach ormai svolge da alcuni anni a Roma ma non solo, siamo giunti all’ultimo paragrafo di questo capito, quello che come di consueto è dedicato alle conclusioni e alle prospettive future. La speranza e l’augurio è che nel tempo si possa capire sempre più l’utilità di questo strumento che si ha a disposizione, in modo che ogni persona riesca a sviluppare al meglio il proprio empowerment, riesca ad avere relazioni sociali migliori e durature, riesca ad affermarsi nella vita stando bene con se stessa e di conseguenza con gli altri, nonché con tutto il resto che lo circonda. Quindi la speranza è che un giorno, il coaching possa diventare una cosa che tutti conoscono, che possa essere un processo naturale che si faccia da soli. Ovviamente lascio l’ultima parola a Carla Benedetti, che concluderà il paragrafo con il suo punto di vista: 90 «Per quanto riguarda le prospettive future, secondo me ci sarà sicuramente uno sviluppo del life coaching, perché mi sto accorgendo che in questi anni ci si sta concentrando molto sulla relazione con gli altri, sta tornando l’attenzione sulla persona, sulla rivisitazione e la revisione dei propri valori, su quello che è importante per ognuno di noi. Sarà un po’ la crisi, un po’ le difficoltà che ci sono nella quotidianità, un po’ i tempi difficili, ma secondo me la gente ha ripreso a guardare ai veri valori. Quindi, dal mio punto di vista, ci sarà uno sviluppo del life ma anche del career coaching, in quanto c’è più attenzione a cercare il lavoro giusto, perché se tu cerchi il lavoro giusto è più facile stare bene. Quindi, avere la fortuna di poterlo scegliere è già un lusso; di contro, però, avere anche la fortuna di sapere cosa è importante per te e affrontare il lavoro che già svolgi e che magari non è quello che ti piace, l’affronti con un’altra mentalità, si dà un valore diverso al lavoro stesso. Il che dà la forza di farlo, di farlo bene e con serenità, senza frustrazioni, che è la cosa più importante. Io penso che in realtà l’approccio del coaching arriverà ovunque. Ma allo stesso tempo spero che un giorno il coaching possa diventare una cosa normale. Penso che forse si trasformerà in qualcosa di più naturale e più semplice. E le persone si rivolgeranno ad un coach sapendo esattamente il motivo. Il mio sogno è che un giorno tutti saranno “coachati”, in modo che nessuno avrà bisogno di un coach se non per dire: voglio fare ancora di più! Perché l’idea è quella di vedere tutti che abbiano la 91 possibilità di vivere una vita serena al massimo delle proprie potenzialità, questa è la mia vision. Il motivo per cui io vado avanti in questo lavoro, lo scopo della mia vita, è proprio quello di vedere che tutti un giorno saranno in grado di scegliere e di riconoscere quello che è importante per loro. E se il lavoro che fanno non è quello scelto, che abbiano le capacità di affrontare le difficoltà che lo accompagna, che si sposeranno per le giuste ragioni e non perché hanno paura di restare soli, che si faranno figli perché è giusto farli e non solo perché c’è l’orologio biologico che si fa sentire. Insomma che tante scelte che facciamo nel corso della nostra vita sia la conseguenza di una scelta più grande: quella di conoscere se stessi e i propri valori e seguirli con tenacia, con passione e con rispetto. Il mio sogno è quello che un giorno tutti siano in grado di essere indipendenti, consapevoli di se stessi, capaci di prendersi le proprie responsabilità, in poche parole: essere liberi.» 92 93 CAPITOLO QUARTO CONCLUSIONI 4.1. Conclusioni e prospettive future Questo progetto di tesi giunge così a conclusione, potendo affermare che l’obiettivo postomi ad inizio lavoro, quello che mi ha spinto a trattare il coaching come argomento di tesi55, alla fine è stato conseguito con successo. Il percorso logico seguito è stato lineare e strutturato cercando di descrivere al meglio le varie fasi che si sono susseguite, tenendo sempre ben a mente la distinzione tra un “contesto generale” e uno “particolare”, che, nella tesi, di continuo si fondano e si intersecano tra loro. Questa distinzione è stata molto utile per cercare di spiegare al meglio il percorso che ho voluto seguire. All’interno di quello che io ho ipotizzato come un “contesto generale”, possiamo sicuramente far rientrare tutto quello che riguarda 55 Ossia: la voglia di approfondire e di sapere di più sulla figura del “coach”, sul processo di coaching, nonché sulle modalità di esplicazione di questi processi, rapportando un caso pratico. 94 l’innovazione, il contesto formativo e il processo di empowerment. Solo l’esplicazione di questi concetti, ha permesso successivamente di poter arrivare al “contesto particolare”, ossia al cuore dell’argomento trattato. In questa fase possiamo inserire gli argomenti riguardanti la nascita e lo sviluppo della professione del coach nonché del processo di coaching. Questa parte teorico-metodologica trova successivamente la sua naturale compiutezza grazie al caso di studio trattato (“Studio Coach” di Carla Benedetti), con la professione del coach rapportata sul campo della quotidianità e della vita reale. Naturalmente non esiste un unico e “universale” modo corretto nel praticare il coaching. La strada giusta bisogna scoprirla da soli, sia perché ogni coach ha un proprio bagaglio culturale e di esperienza unico, sia perché nessuna mappa pre-indicata può illustrare dettagliatamente l’infinita varietà che riguarda l’interazione tra gli esseri umani. Già Aristotele diceva che gli essere umani dovrebbero usare le loro abilità nelle loro più complete potenzialità e dovrebbero trovare appagamento dall’esercizio delle proprie capacità realizzative. 95 Possiamo sicuramente affermare che quella del coaching è una competenza che chi esercita un’attività didattica o manageriale dovrebbe acquisire. L’esigenza di avere persone dotate delle giuste capacità per gestire le relazioni interpersonali sta crescendo sempre più, e nel prossimo futuro continuerà ad aumentare tanto nel mondo del lavoro, quanto a scuola e nello sport. Così si tenderà a modificare anche la cultura, una cultura che sappia prestare ascolto, che sia aperta all’apprendimento e all’applicazione del coaching, dove questo rappresenti nel futuro una pratica comune, ormai consolidata e applicata. Un cambiamento culturale non può che giovare anche a livello aziendale. Infatti quando il management si dimostra capace di ascoltare la voce dei dipendenti e di agire di conseguenza, il personale lavora con maggiore serenità e garantisce una performance migliore. Se, al contrario, il management manifesta un’attenzione puramente formale alle esigenze dei dipendenti, si creano aspettative 96 destinate ad andare deluse, e le cose andranno sempre peggio.56 Possiamo dire che il coaching è un modo diverso di guardare alle persone, una visione ben più ottimistica di quella a cui molti di noi sono abituati, il che si traduce in un diverso modo di trattare gli altri. Il coaching ci chiede di abbandonare nei confronti degli altri e di noi stessi qualsiasi pregiudizio limitante, abbandonando così le vecchie abitudini. Come abbiamo visto esistono figure simili al coach, come il counselor, il mentor, il facilitator57. In qualche modo tutte queste attività differiscono e allo stesso tempo si sovrappongono e, benché possano esprimersi praticamente in modi diversi, essi hanno in comune, come si può facilmente dedurre, gli stessi principi fondamentali: accrescere la consapevolezza, la responsabilità e la fiducia in se stessi, vale a dire i principi che sono alla base di ogni sviluppo umano e di ogni attività efficace. 56 Cfr. nota 4 E’ un professionista che affianca, stimola ed incoraggia (mediante azioni, riflessioni e domande) i suoi assistiti, aiutandoli a raggiungere una posizione differente da quella in cui si trovano, portandoli fino a raggiungere i loro obiettivi. 57 97 In una prospettiva futura la soluzione più logica sarebbe quella di far confluire tutte queste professionalità e competenze in un unico (grande) filone, adottando poi delle diverse sfaccettature a seconda del settore specifico di ogni singolo professionista. Questa prospettiva sicuramente resterà solo un sogno o meglio un’utopia, perché ognuna di queste professioni di sicuro continuerà ad esistere e a procedere autonomamente “facendo la guerra” (in senso buono) alle altre “rivali”, e cercando di acquisire delle competenze o caratteristiche differenti rispetto alle altre. Si potrebbe pure ipotizzare che qualcuna di queste professioni potrebbe pure scomparire nel tempo a discapito della supremazia di alcune di loro; così come potrebbero addirittura sorgere nuove figure professionali provenienti da filoni di studio e discipline differenti, che però andrebbero ad intasare un campo già saturo e con i limiti di ognuno di esse non ben delineato. Quindi è molto probabile che i coach, i counselor, i mentor, i facilitator, cercheranno di avere una propria autonomia percorrendo strade differenti. Faranno in modo che la loro attività venga riconosciuta come una definita attività professionale a tutti gli 98 effetti, anche grazie magari all’istituzione degli Albi Professionali. Cercheranno di far valere il proprio peso per far sviluppare degli standard a livello europeo e/o mondiale. Cercheranno di delimitare sempre più il loro campo, mettendo dei paletti ben precisi. Ma dei punti in comune tra di loro esisteranno sempre. Così come, attualmente, alla base del loro pensiero c’è la vision comune dell’essere al servizio dell’altro, presentandosi come un valido aiuto per la risoluzione dei problemi, mettendo a disposizione dei soggetti/clienti tutti gli strumenti necessari per affrontare e risolvere le tematiche che vengono prospettate. Queste caratteristiche, col tempo, di sicuro non si perderanno in nessuna di queste professioni. Quindi l’augurio finale è che nel tempo queste diverse attività professionali possano trovare un punto d’incontro tra loro sviluppando delle valide sinergie, in modo da poter favorire l’evoluzione dell’approccio e delle metodologie comuni alle diverse professioni di aiuto. 99 100 BIBLIOGRAFIA - Bauman Zygmunt, Modernità liquida, Laterza, Bari, 2002 - Bauman Zygmunt, Vita liquida, Gius. Laterza & Figli, Bari, 2006 - Bisi Roberta, Gabriel Tarde e la questione criminale, FrancoAngeli, Milano, 2004 - Boldizzoni Daniele, Management delle Risorse Umane, Il Sole 24 Ore, Milano, 2003 - Consoli Francesco, Le mode professionali, Carocci, Roma, 2002 - Di Fabio Annamaria, Counseling e relazione d’aiuto, Giunti Gruppo Editoriale, Prato, 2007 - Lazzeroni Michela, Geografia della conoscenza e dell’innovazione tecnologica, Franco Angeli, Milano, 2004 - Parsloe Eric, Coaching, Mentoring and Assessing: a practical guide to developing confidence, Kogan Page, Londra, 1992 101 - Parsloe Eric & Wray Monika, Coaching and Mentoring: practical methods to improve learning, Kogan Page, Londra, 2000 - Piccardo Claudia, Empowerment, strategie di sviluppo organizzativo centrate sulla persona, Edizioni Raffaello Cortina, Milano, 1995 - Piccardo Claudia, Teorie dell’apprendimento e scelte di progettazione formativa, in Daniele Boldizzoni, Oltre la formazione apparente: investimenti in educazione e strategie d’impresa, Il Sole 24 Ore, Milano, 1984 - Sirilli Giorgio, Mappa degli indicatori della società tecnologica, Quinta Conferenza Nazionale di Statistica, Roma, 15-17 novembre 2000 - Zeus Perry & Skiffington Susan, The Coaching at Work Toolkit, McGraw-Hill Trade, Australia, 2001 - Whitmore John, Coaching, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2006 102 SITOGRAFIA - www.12manage.com http://www.12manage.com/methods_coaching_it.html - www.agenas.it http://www.agenas.it/agenas_pdf/Nota_metodologica_empo werment.pdf - www.assoprofessioni.org http://www.assoprofessioni.org/817_proposta_di_legge.pdf - www.auto-aiuto.org http://www.auto-aiuto.org/index.php/coaching/149-ilcoaching - www.coachfederation.org/ - www.coachuitalia.com/ - www.colap.it http://www.colap.it/bancadati_item.asp?id=44 - www.icf-italia.org/fic/ http://www.icf-italia.org/fic/?p=48 - www.isfol.it/index.scm 103 - www.politichecomunitarie.it http://www.politichecomunitarie.it/attivita/60/elencoprofessioni-regolamentate - www.portalecnel.it - www.studiocoach.it/ - www.wikipedia.it http://it.wikipedia.org/wiki/Innovazione http://it.wikipedia.org/wiki/Risorse_umane 104