Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
14
TRATTAMENTO RIABILITATIVO E CONTINUITÀ DELL’ASSISTENZA
14.1
OBIETTIVI
DELL’ASSISTENZA A FINI RIABILITATIVI E DELLA CONTINUITÀ ASSISTENZIALE
Lo scopo di questo paragrafo è identificare sia le caratteristiche peculiari della riabilitazione di un
soggetto che ha subito un ictus sia i rapporti dell’attività svolta ai fini del recupero dell’autonomia con quella correlata alla fase di acuzie ed all’assistenza a lungo termine.
Si affrontano i quesiti clinici riguardanti gli obiettivi perseguiti dalla riabilitazione e dalla continuità
assistenziale nel territorio, gli elementi caratterizzanti la pratica riabilitativa, le variabili che condizionano le modalità e gli esiti del trattamento riabilitativo e gli operatori coinvolti nell’assistenza a
medio e lungo termine prevista nell’ambito della continuità assistenziale.
Vengono esaminati gli aspetti successivi alla fase acuta sia per le possibilità di riabilitazione che
per le esigenze di controllo longitudinale, alla luce dell’età elevata e del rischio cardiovascolare.
In particolare viene sottolineata la possibilità di sinergizzare gli obiettivi assistenziali che richiedono competenze professionali diverse.
Il paragrafo si rivolge a neurologi, internisti, fisiatri, geriatri, così come alle altre professioni sanitarie dell’area riabilitativa, psicologica e sociale.
14.1.1
Finalità e caratteristiche dell’assistenza destinata
al soggetto che ha subito un ictus, dopo la fase di acuzie
I punti di seguito espressi definiscono le esigenze globali del paziente che ha subito un ictus
secondo le indicazioni fornite da autorevoli fonti di informazione:1
• minimizzare il rischio di morte del paziente per cause cerebrali, cardiocircolatorie, respiratorie, infettive, metaboliche;
• contenere gli esiti della malattia limitando il danno cerebrale e le sue conseguenze;
• evitare le recidive di danno vascolare dell’encefalo;
• limitare la comorbosità conseguente al danno neurologico, alle condizioni cardiocircolatorie ed all’immobilità;2,3
• favorire il recupero delle abilità compromesse dall’ictus allo scopo di promuovere il reinserimento sociale e di utilizzare le capacità operative residue;
• definire la prognosi del quadro clinico osservato ed i bisogni a questo correlati, al fine di
agevolare la riorganizzazione precoce dell’attività del paziente e soddisfare la sua richiesta
di assistenza.
Fra quelli elencati i primi due obiettivi sono caratteristici della fase acuta, la prevenzione
secondaria dell’ictus è trattata nel Capitolo 12, mentre gli ultimi tre sono espressi in un ambito temporale di lunga durata, che richiede sia un’attività riabilitativa specifica, sia un piano di
assistenza continua per tutto il tempo corrispondente alla sopravvivenza del soggetto che ha
subito un ictus. In accordo con Wade,4 la riabilitazione può essere definita “un processo educativo e di soluzione dei problemi finalizzato a ridurre la disabilità e l’handicap subiti dall’individuo come conseguenza di una malattia, tenendo sempre conto delle limitazioni imposte sia
dalle risorse disponibili sia dalla condizione morbosa sottostante”.
Nonostante la dichiarazione di Helsingborg fissi al 2005 la scadenza per raggiungere gli obiettivi di potenziamento dell’assistenza riabilitativa destinata a soggetti colpiti da ictus, una marcata disomogeneità di approccio è costante nella realtà italiana. I dati preliminari di un ampio
studio multicentrico nazionale, l’ICR2 , hanno documentato una consistente differenza sia dei
parametri gestionali (epoca di ammissione, durata della degenza, tempo di trattamento) sia
delle valenze tecniche legate al trattamento (recupero motorio, terapia occupazionale, logoterapia e riabilitazione cognitiva) nei soggetti ammessi a ricovero per riabilitazione intensiva.5
Analogamente, sono eterogenei i comportamenti relativi al controllo longitudinale, all’osservazione periodica in ambito territoriale, alla soddisfazione dei particolari bisogni di salute dei
soggetti colpiti da ictus, tenendo conto di fattori quali l’età avanzata, la disabilità persistente e
l’elevato rischio di morbosità e mortalità cardiovascolare.
Un limite alla diffusione di un corretto approccio riabilitativo può essere dovuto alla carenza
di approcci di pratica riabilitativa basati su prove di efficacia (evidence-based practice; EBP).
In effetti, le indagini e le revisioni in ambito riabilitativo richiedono una metodologia diversificata rispetto agli studi farmacologici.6 In particolare debbono ancora essere superate le difficoltà di valutazione riguardanti specifici trattamenti, mentre possono essere più agevoli le
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Ictus cerebrale: Linee guida italiane
verifiche riguardanti il ruolo delle strutture assistenziali e di specifici operatori. Ad esempio,
sono evidenti i vantaggi offerti dalle unità ictus a fini riabilitativi, rispetto a strutture generiche, ed i benefici ottenuti dall’apporto professionale dei terapisti occupazionali nel reinserimento a domicilio, mentre non sono disponibili valide prove di efficacia su molti trattamenti
destinati al recupero motorio, propedeutico alla rieducazione occupazionale.7
Nonostante tale limite, è crescente l’impegno verso studi clinici controllati nella riabilitazione
del soggetto colpito da ictus e sono molteplici le condotte assistenziali basate sulla definizione di aspetti di buona pratica clinica (Good Practice Points – GPP).
Questo capitolo si propone di indicare le condotte assistenziali, basate su prove di efficacia o
sul consenso di operatori, che sono accettate dalla linee guida più diffuse o ritenute di particolare interesse dagli autori del testo.
Gli obiettivi di prevenzione e di contenimento degli esiti invalidanti costituiscono una parte di
grande rilievo dell’assistenza dei pazienti sopravvissuti ad un ictus e sono realizzati al fine di
riportare il paziente ad una vita indipendente.8,9 Essi non sono in grado di modificare la lesione cerebrale venutasi a creare dopo l’evento vascolare acuto, ma si prefiggono di sfruttare il
potenziale di recupero del paziente, allo scopo di ripristinare quanto più possibile, attraverso
un processo di apprendimento, la sua autonomia nelle attività quotidiane della vita, riducendo il grado di dipendenza.10
La prima fase dell’assistenza a fini riabilitativi si sovrappone cronologicamente agli interventi
finalizzati alla prevenzione delle complicanze favorite dalla situazione di immobilizzazione e
da altre menomazioni.11 La probabilità di successo dell’assistenza riabilitativa è definita sulla
base di indicatori prognostici delle possibilità di recupero dell’autonomia, i quali consentono
di stabilire opportunamente l’utilizzo più appropriato di risorse assistenziali.
Raccomandazione 14.1
Grado D
Dopo la fase acuta dell’ictus è
indicato che il piano assistenziale
sia realizzato in strutture specializzate da parte di personale
addestrato, tenendo conto delle
esigenze a lungo termine del
soggetto colpito dall’evento cerebrovascolare acuto.
Dopo la dimissione dalla struttura destinata alla fase di acuzie, tutti i soggetti colpiti da ictus
richiedono assistenza medica continuativa ed alcuni anche un impegno protratto di riabilitazione. Gli obiettivi dell’assistenza sanitaria a lungo termine, rivolta ad un paziente che ha subito un ictus, comprendono:
• la limitazione della comorbosità e delle complicanze favorite dal danno cerebrovascolare e
dall’immobilità;
• la prevenzione delle recidive di ictus e della morte per cause cardiovascolari;
• la definizione della possibile evoluzione della condizione di malattia e delle diverse attività
compromesse dall’ictus allo scopo di organizzare un piano assistenziale a lungo termine;
• il recupero dell’autonomia, anche al fine di garantire un’adeguata partecipazione.
Molte esperienze, descritte nella letteratura internazionale supportano la necessità di organizzare servizi specializzati per la riabilitazione del soggetto colpito da ictus.12-20
Alcuni studi documentano il ruolo della programmazione assistenziale a lungo termine 21,22 e
l’addestramento del team dedicato all’assistenza del soggetto colpito da ictus.23-25
Sia le linee guida scozzesi 26 che quelle del Royal College of Physician (London) 27 nella revisione 2002 supportano l’opportunità di promuovere strutture riabilitative dedicate ai soggetti
colpiti da ictus con operatori professionali diversificati che hanno concordato protocolli relativi all’approccio ai problemi assistenziali più comuni.
14.1.2
Sintesi 14-1
Le attività assistenziali a fini riabilitativi che si realizzano dopo un
ictus hanno caratteristiche distinte a seconda dell’epoca di intervento e richiedono il contributo di
operatori diversi, a seconda degli
obiettivi consentiti dalle condizioni cliniche, ambientali e delle
risorse assistenziali disponibili.
Caratteristiche dell’assistenza a fini riabilitativi
correlate all’epoca dell’intervento
Il percorso assistenziale a fini riabilitativi è caratterizzato da obiettivi diversi a seconda delle
esigenze correlate alla fase clinica.28 In linea generale, le finalità degli interventi che si realizzano in tempi diversi rispetto all’evento ictale, possono essere distinti come segue:
• fase di acuzie, prevenzione dei danni conseguenti all’immobilità ed alla compromissione
funzionale. Tale periodo assistenziale viene definito come “fase di prevenzione del danno
secondario” e sottolinea l’esigenza di perseguire obiettivi correlati alla riabilitazione già nel
periodo di acuzie. La fase di acuzie comprende anche il periodo di stabilizzazione clinica,
durante il quale al paziente non possono essere richieste prestazioni di particolare impegno;
• fase immediatamente successiva all’acuzie, quando il quadro clinico è stabilizzato e l’intervento riabilitativo può positivamente influenzare i processi biologici che sottendono il recupero, nel momento in cui la disabilità è maggiormente modificabile. Tale condizione, definita “fase riabilitativa”, può prevedere una presa in carico con modalità intensiva od estenstesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
siva, a seconda del fabbisogno riabilitativo ed assistenziale, e richiede la disponibilità delle
risorse, individuali e contestuali, che garantiscono il massimo impegno nell’attività a fini riabilitativi e può ripetersi in caso di riacutizzazioni o recidive dell’evento patologico;
• fase di completamento del processo di recupero previsto dal progetto riabilitativo che in
genere è caratterizzata da interventi riabilitativi di tipo estensivo;
• “fase del mantenimento e/o di prevenzione della progressione della disabilità” che si protrae per tutta la sopravvivenza residua, ed è finalizzata al mantenimento delle prestazioni
acquisite, al controllo periodico dei fattori di rischio di ulteriori eventi disabilitanti, alla prevenzione delle compromissioni funzionali favorite dall’invecchiamento ed alla organizzazione dell’attività quotidiana in maniera adeguata alle caratteristiche individuali ed ambientali.
Alcune considerazioni possono chiarire gli aspetti differenziali delle varie fasi dell’intervento
assistenziale.
È ormai opinione diffusa che l’assistenza finalizzata alla prevenzione del danno indotto dall’immobilità e dalle limitazioni funzionali correlate alla malattia, realizzata durante la fase più
precoce della riabilitazione, dovrebbe integrarsi con le attività mirate alla diagnosi ed al trattamento di emergenza nella fase acuta della cura dei pazienti con ictus.29
Nella fase acuta dell’ictus gli obiettivi della prevenzione del danno secondario in grado di
influenzare la futura disabilità comprendono elementi che condizionano direttamente l’esito
clinico, in termini di autonomia residua, senza incidere sulla lesione cerebrale o sulle condizioni generali (intese come comorbosità e complicanze). Essi sono attribuiti, nella pratica clinica, all’attività riabilitativa, anche se hanno, in senso stretto, poche affinità con la progettualità caratteristica della riabilitazione propriamente detta. Infatti, la prevenzione del danno
secondario, caratteristico della fase precoce dell’assistenza a fini riabilitativi mostra alcune differenze rispetto alle procedure che caratterizzano la riabilitazione intensiva:11
a. i programmi assistenziali realizzati al fine di prevenire il danno secondario hanno lo scopo
di limitare l’insorgenza di ulteriori problemi clinici, piuttosto che essere direttamente correlati al recupero delle abilità compromesse dalla malattia;
b. le pratiche assistenziali sono attivate su soggetti in condizioni cliniche non stabilizzate, che
hanno subito un ictus pochi giorni prima e non sono riservate, così come accade per l’attività riabilitativa, a soggetti senza problemi clinici attivi;
c. le attività assistenziali ai fini preventivi sono in genere uguali per tutti i soggetti accomunati dal rischio di danno secondario determinato dalle condizioni del paziente e non “tagliate su misura”, sulle base delle caratteristiche individuali della persona malata;
d. le procedure di prevenzione del danno secondario possono in gran parte essere realizzate
da figure professionali dell’area infermieristica con il supporto degli operatori della riabilitazione.
Gli interventi realizzati nella fase precoce dopo l’ictus influenzano sensibilmente la qualità dell’assistenza prestata a soggetti colpiti da questa malattia, così da risultare determinanti nel produrre vantaggi delle strutture dedicate alle malattie cerebrovascolari acute.12 Un compito della
stroke unit è di combinare l’assistenza nella fase acuta, che comprende la prevenzione del
danno secondario precoce, all’attività di recupero e mantenimento dell’autonomia realizzata
con la riabilitazione a lungo termine. Sulla base di tali presupposti, appare necessario realizzare correntemente l’attività di riabilitazione della fase precoce all’ictus fin dai primi giorni
dopo l’evento, utilizzando tutte le risorse di personale disponibili.30 D’altro canto, le attività
che saranno di seguito esposte possono, in gran parte, essere realizzate da personale infermieristico, a testimonianza del fatto che la coerenza del programma assistenziale può assumere
maggiore rilievo dello specifico trattamento praticato.10,12
Gli obiettivi della prevenzione del danno secondario all’evento ictale, da realizzare precocemente, possono essere sintetizzati come segue:31
A. contenimento della rigidità articolare indotta dall’immobilità;
B. conservazione dell’integrità cutanea;
C. potenziamento della profilassi delle infezioni respiratorie e delle trombosi venose profonde;
D. esaltazione della partecipazione all’attività fisica e ai programmi assistenziali previsti nelle
varie ore della giornata;
E. facilitazione della verticalizzazione e prevenzione delle cadute (dal letto e nei trasferimenti);
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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
F. formulazione di una prognosi ai fini della identificazione delle esigenze assistenziali destinate al recupero da attivare a breve e medio termine.
A differenza dell’attività legata alla prevenzione del danno secondario, la riabilitazione intensiva si realizza quando le condizioni cliniche sono stabilizzate e sono quindi disponibili le
risorse fisiche e psichiche che consentono al soggetto malato di impegnarsi a fondo nell’attività destinata al recupero. In considerazione del fatto che il processo riabilitativo è in gran
parte basato su metodiche di apprendimento, appare opportuno sottolineare alcuni principi
generali della riabilitazione del soggetto colpito da ictus e successivamente affrontare gli aspetti specifici.
1. le abilità e le conoscenze pratiche da acquisire devono essere utili al paziente nell’attività
comunemente espletata;
2. le attività che il paziente è in grado di svolgere dovrebbero essere ben definite e ricorrenti
nell’attività della giornata;
3. l’addestramento ad una specifica prestazione deve essere graduale e deve gratificare il
paziente attraverso il raggiungimento di obiettivi prefissati;
4. le istruzioni per il paziente debbono essere date in maniera chiara e comprensibile, attraverso messaggi brevi, semplici e diretti allo scopo;
5. i compiti assegnati al paziente debbono essere mirati a raggiungere l’abilità che si intende
recuperare;
6. le fasi di apprendimento debbono realizzarsi lentamente, tanto da garantire una corretta
esecuzione dell’addestramento e la necessaria sicurezza;
7. è opportuno rinforzare il comportamento appreso dal paziente, attraverso un feed-back fornito dal terapista o da apposita strumentazione;
8. il paziente deve essere incoraggiato ad utilizzare correntemente le prestazioni acquisite,
negli intervalli fra le sedute di addestramento, sia nella sede di degenza sia a casa.
È infine da sottolineare che le prestazioni acquisite durante la fase di trattamento riabilitativo
intensivo od estensivo tendono a regredire, se non supportate da costante esercizio, correlato
anche alla realizzazione quotidiana dei compiti appresi. A tale scopo è cruciale mantenere alta
la motivazione del paziente, attuare periodi di recupero in caso di eventi intercorrenti che
modifichino le abitudini operative acquisite, realizzare verifiche esterne delle prestazioni abituali, al fine di programmare ulteriori fasi di addestramento specifico in relazione alle potenzialità del soggetto colpito da ictus.
14.1.3
Sintesi 14-2
La scelta dei soggetti da destinare alle strutture assistenziali
dedicate alla fase post-acuta di
un ictus è basata sulla probabilità
del beneficio e sulla disponibilità
delle risorse.
Aspettative individuali e sociali: ripercussioni bioetiche
In ambito di riabilitazione il problema in primo piano è talora rappresentato dalla scarsità
delle risorse ad essa dedicate: è ben noto che i soggetti colpiti da ictus permangono troppo a
lungo nei reparti di degenza acuta e hanno grosse difficoltà ad essere accolti tempestivamente
nei reparti di riabilitazione intensiva. L’eventuale scarsità di risorse crea un ulteriore problema
di selezione, non meno grave e difficile di quello relativo all’accesso alla stroke unit e per il
quale si possono richiamare, per analogia, le linee guida dell’AMA già menzionate.32
La scelta dei malati da riabilitare e dell’ambito più idoneo all’assistenza dopo la fase acuta dell’ictus è compito del team assistenziale o dei medici specialisti dedicati alla riabilitazione, che
nella pratica per lo più seguono i criteri allocativi già esposti. Fra di essi il primo ad essere
preso in considerazione è quello della “probabilità del beneficio”, in base al quale vengono
tendenzialmente preferiti gli stessi malati che avrebbero accesso alle stroke unit, cioè i malati
con compromissioni medio-gravi, ma non gravissime, e non deteriorati in maniera importante sul piano cognitivo.
Purtroppo, però, vengono spesso introdotti criteri selettivi che non rientrano fra quelli definiti come appropriati e in particolare il criterio della disponibilità della famiglia a farsi carico del
malato, dopo il ricovero a fini riabilitativi. Non si vuole qui mettere in discussione l’opportunità di coinvolgere la famiglia nel processo riabilitativo, che rimane indispensabile. Il problema è che, per garantire la disponibilità dei posti-letto nelle strutture riabilitative residenziali,
è di fatto necessario richiedere alla famiglia di farsi carico del malato, al momento della dimissione. Quando manchi o sia comunque inadeguata la famiglia, spesso il malato non viene
accolto. Ciò fa sì che i malati più gravi e più soli, cioè i più deboli e indifesi, siano in chiaro
svantaggio rispetto agli altri: un esito chiaramente inaccettabile in una società solidale. Quanto
precede non vuole essere una critica dell’operato della struttura assistenziale dedicata alla riastesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
bilitazione dopo ictus, nella quale si cerca giustamente di amministrare una risorsa limitata nel
modo più efficiente e più equo, ma un preciso richiamo alle autorità responsabili della politica sanitaria affinché mettano a disposizione dell’assistenza ai soggetti disabili risorse maggiori. Si apre qui un problema importantissimo e si evidenzia un compito fondamentale per le
associazioni che difendono gli interessi dei pazienti.
Fra i principali criteri di selezione dei pazienti da riabilitare vi sono quello dell’appropriatezza e dell’efficacia dell’intervento riabilitativo. Circa l’appropriatezza, può sorgere, come abbiamo detto, un problema di contrasto di interessi fra i medici del reparto per acuti, che tendono a dimettere comunque e il più rapidamente possibile il paziente – a prescindere dalla capacità del reparto accettante a fornire i servizi necessari – e il paziente con la sua famiglia, che
desiderano avere il tempo necessario a trovare la soluzione più adatta ai propri bisogni ed alle
proprie possibilità. In questo contesto si pone inoltre la questione della chiarezza della proposta riabilitativa nei confronti del malato e della famiglia. Esemplificando: è possibile offrire
un piano di degenza prolungato nel tempo, in assenza di sostegno dopo la dimissione (come
avviene nei centri svizzeri per paraplegici) oppure una degenza limitata nel tempo, ma seguita da interventi domiciliari (p.es. l’Assistenza Domiciliare Integrata; ADI).
Quanto all’efficacia, ci si chiede se sia corretto definire “riabilitative” strutture che sono talora puramente assistenziali, in grado di offrire “sollievo” alla famiglia, ma senza disporre delle
conoscenze e/o del personale necessario ad impostare un programma riabilitativo in grado di
riportare in famiglia il paziente.
In ogni caso, si ritiene indispensabile un intervento deciso nel campo della prevenzione dell’isolamento sociale, attraverso misure assistenziali adeguate nella fase di cronicità sia domiciliare (ADI, problema degli ausili e delle barriere architettoniche) che residenziale (RSA), se si
vuole evitare di aggiungere disabilità e sofferenza a quelle che l’ictus già causa in proprio. Si
può ripetere a questo proposito quanto già espresso in precedenza sulla sollecitazione all’autorità politica preposta al governo della sanità.
Altri importanti quesiti di ordine etico sono stati recentemente sottolineati dalle linee guida
scozzesi 26 In primo luogo, viene sottolineato che le unità assistenziali dedicate all’ictus
dovrebbero essere dotate di risorse per la rianimazione cardiopolmonare. Un’organizzazione
delle cure ispirata a questo principio appare concordare con linee di tendenza sempre più diffuse nell’intero ambito sanitario secondo cui in tutte le strutture (e non solo in quelle orientate al trattamento dell’ictus) è necessario prevedere possibilità di intervento di rianimazione
cardiopolmonare di base (tipo BLS, Basic Life Support). Si veda inoltre la discussione sui problemi etici connessi alla rianimazione cardiopolmonare (ordini DNR) nel § 8.7.2.
Un secondo aspetto riguarda la opportunità di trattamenti invasivi, o con effetti secondari rilevanti e sfavorevoli (quali ad esempio certi trattamenti antibiotici) in pazienti particolarmente
compromessi e con ridotta aspettativa di vita, in cui è indispensabile valutare la possibile sproporzione fra i risultati ottenibili da un lato, e il disagio per il paziente ed i costi per la collettività dall’altro. In tali situazioni viene sottolineata la possibilità di decidere fra un approccio
aggressivo o sintomatico sulla base di una discussione fra i componenti del team assistenziale
ed i familiari, compreso il paziente quando possibile, tenendo conto comunque della situazione specifica di ciascun soggetto.
14.1.4
I protagonisti dell’attività assistenziale:
ruolo degli operatori sanitari, dell’utenza e delle associazioni
I soggetti sopravvissuti ad un ictus richiedono, in oltre la metà dei casi, un’efficiente risposta
sanitaria per tutta la durata della propria vita residua, con coinvolgimento di diversi operatori e molteplici competenze mediche. Le linee guida scozzesi (SIGN) dedicate all’ictus 26 sottolineano l’esigenza di promuovere unità riabilitative dedicate selettivamente all’ictus ed identificano i membri che partecipano al team riabilitativo (medico, infermieri, fisioterapisti, terapisti occupazionali, logoterapisti, assistenti sociali) riconoscendo per ognuno di questi un
tempo di impiego nell’assistenza ai pazienti. Langhorne e Pollock per conto della Stroke Unit
Trialist Collaboration definiscono le componenti realmente significative di una stroke unit efficiente, sottolineando i ruoli dei diversi operatori ed i collegamenti con i medici del territorio
e con gli utenti.25 Gli operatori coinvolti nello stroke team dovrebbero riunirsi almeno una
volta alla settimana.26
stesura 15 marzo 2005
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356
Raccomandazione 14.2
❊GPP
È indicato costituire un’organizzazione efficiente di operatori
finalizzata all’assistenza del soggetto che ha subito un ictus,
attraverso la formazione di un
team interprofessionale con
esperienza specifica che condivida i diversi approcci assistenziali.
Se le risorse disponibili lo consentono, è richiesta la partecipazione sia di operatori non medici
(dell’area riabilitativa, infermieristica, psicologica e sociale) sia di
medici specialisti, coinvolti nella
soluzione delle problematiche
correlate alla patologia cerebrovascolare, e di medici di medicina generale, con il supporto di
rappresentanti delle associazioni
laiche.
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
In linea generale, gli interventi necessari durante tutta la durata della sopravvivenza di un individuo che ha subito un ictus sono di tipo sia sanitario sia sociale e, nel primo caso, richiedono
sia l’intervento medico sia di altri professionisti impegnati in specifici programmi di trattamento. Per realizzare tali obiettivi in maniera omogenea, molte comunità socio-sanitarie definiscono criteri generali di comportamento condivisi tra tutti gli operatori sanitari.
Lo scopo di indicazioni condivise racchiuse in linee guida o profili di assistenza, riguardanti le
cure che si rendono necessarie dopo l’ictus è rappresentato dall’attivazione di una pratica clinica corrente basata sui seguenti aspetti:8,9,11
• organizzazione di servizi efficienti, caratterizzati da criteri di ammissione, trattamento e
dimissione ben codificati e dall’impiego ottimale di tutte le risorse necessarie al recupero;
• proposta di procedure assistenziali basate sull’evidenza e, quando non disponibili, realizzazione di progetti e programmi terapeutici sulla base di criteri ben identificabili;
• coinvolgimento di pazienti e familiari nell’attività di recupero, attraverso l’identificazione
dei ruoli di ogni componente del processo assistenziale e l’esaltazione delle verifiche, basate sul risultato percepito dall’utente;
• stimolo alla ricerca al fine di definire il comportamento più appropriato nelle diverse “aree
grigie” che caratterizzano l’assistenza al paziente con ictus.
Tenendo conto di tali obiettivi, risulta evidente che le indicazioni inerenti l’assistenza dopo la
fase acuta interessano tutti coloro i quali, a vario titolo e con diverse competenze, possono
contribuire ad alleviare il peso individuale e sociale conseguente all’evento ictale. I destinatari delle linee guida sull’assistenza dopo la fase acuta possono essere identificati come segue:
• responsabili dell’organizzazione assistenziale cui necessitano informazioni sui seguenti
aspetti:
– entità del problema clinico e sociale;
– risorse assistenziali in termini operativi;
– risorse di personale e materiale necessari all’attività assistenziale continua, comprensiva
anche della fase riabilitativa;
– indicatori di efficacia ed efficienza degli interventi sanitari;
– qualità dell’intervento dei diversi operatori;
• medici cui è richiesto di definire prognosi e obiettivi dell’assistenza;
• terapisti ed altri sanitari a cui è richiesta l’elaborazione del programma assistenziale individuale;
• strutture territoriali a valenza sanitaria e sociale cui è demandato il compito di minimizzare gli svantaggi derivati dall’ictus;
• pazienti e familiari ai quali sono richieste:
– la consapevolezza degli obiettivi di assistenza;
– la partecipazione attiva ai programmi di recupero;
– la critica mirata a migliorare il processo assistenziale;
– l’apprendimento dei comportamenti necessari a ridurre l’impatto delle menomazioni sull’attività della vita quotidiana.
In considerazione delle attività necessarie alla realizzazione di un’adeguata assistenza al soggetto colpito da ictus, appare indispensabile sottolineare l’esigenza di costituire team composti da professionisti, medici ed altri operatori sanitari di diversa competenza professionale
dedicati alla soluzione dei problemi indotti da tale condizione morbosa.23,24,33
Ai diversi operatori professionali non medici attivi in ambito riabilitativo, infermieristico, psicologico e sociale viene richiesto di acquisire una competenza specifica, così come ai diversi
operatori medici, rappresentati dagli specialisti più frequentemente coinvolti affiancati dai
medici di medicina generale. Il team deve preparare profili assistenziali specifici, con il supporto dei rappresentanti delle associazioni laiche interessate alle problematiche dei soggetti
che hanno subito un danno cerebrovascolare.
L’operatività più proficua del gruppo di operatori è definita “interprofessionale” al fine di sottolineare il processo di condivisione delle diverse attività, più vantaggioso rispetto alla semplice aggregazione di operatori identificata con il termine “multiprofessionale”.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
14.2
PROGNOSI
357
FUNZIONALE DOPO L’ICTUS
In questa sezione si intendono identificare i parametri che consentono di predire l’evoluzione
funzionale dopo un evento ictale, in termini di recupero dell’autonomia nelle attività della vita
quotidiana e delle singole attività maggiormente compromesse dal danno cerebrale.
Alla luce delle informazioni riportate nella sezione potrà essere data una risposta attendibile ai
quesiti relativi all’aspettativa di recupero, formulati sia nella fase precoce dell’ictus che a distanza da esso.
In molti casi l’organizzazione dell’assistenza è basata sulla previsione dell’evoluzione: in relazione alla ricorrenza di determinate situazioni a valore predittivo, potrà essere definito un programma assistenziale con minor rischio di utilizzo inappropriato di risorse .
La sezione si rivolge ai medici impegnati nell’assistenza della fase acuta dell’ictus ed agli operatori dello staff a cui è richiesto di collaborare alla formulazione del progetto riabilitativo, sottoscritto dallo specialista fisiatra responsabile.
14.2.1
Classificazione dei fattori influenti sul recupero funzionale e loro ruolo nella
pianificazione dell’assistenza e nell’informazione dei pazienti e dei familiari
Nella programmazione dell’assistenza al soggetto sopravvissuto ad ictus l’identificazione dei
fattori prognostici è di fondamentale importanza per realizzare una corretta selezione dei
pazienti destinati alle diverse modalità di assistenza riabilitativa. Molti autori hanno valutato
fattori in grado di predire risposte favorevoli o scarse al trattamento riabilitativo.34-46
L’individuazione nella fase acuta di elementi predittivi consente infatti di classificare i soggetti in relazione a obiettivi funzionali e assistenziali diversi, ottimizzando la destinazione delle
risorse economiche ed umane, che saranno maggiormente dedicate a coloro che più possono
trarne vantaggio. La rapida elaborazione di una prognosi consente inoltre di stabilire, fin dalla
fase acuta, un’alleanza terapeutica con il paziente e/o i familiari, in cui questi ricevono
un’informazione corretta in merito agli obiettivi funzionali realizzabili e sono messi in condizione di formulare aspettative concrete e collaborare al progetto riabilitativo.
I molteplici fattori emersi dagli studi epidemiologici condotti in passato sono stati classificati
come “definiti” e “probabili”,34 in relazione alla forza dell’evidenza a supporto del loro significato prognostico. Successive elaborazioni hanno messo in discussione il ruolo predittivo indipendente di molti fattori cosiddetti “definiti”, rendendo necessari ulteriori approfondimenti.
Allo stato attuale, in linea con le teorie cui si ispira la classificazione internazionale delle funzioni ICF (International Classification of Functioning)47 – la quale rappresenta l’evoluzione
della classificazione internazionale delle menomazioni, disabilità ed handicap ICIDH 48 – è
possibile separare i parametri correlabili ad un esito funzionale in fattori “individuali” ed
“extraindividuali”, “preesistenti all’evento morboso” ed “emergenti”.
Nella Tabella 14:I viene suggerita l’identificazione dei diversi fattori prognostici della disabilità post-ictus, in accordo con la classificazione descritta.
Di seguito vengono proposte le migliori evidenze disponibili a supporto del significato predittivo di ciascuno di essi.
14.2.1.1
Raccomandazione 14.3
Grado D
L’identificazione dei fattori prognostici influenti sul recupero
funzionale è indicata al fine di
pianificare correttamente l’assistenza ed utilizzare le risorse
disponibili in maniera appropriata.
Condizioni individuali preesistenti ed emergenti
14.2.1.1.1 Età
Esistono numerose segnalazioni sul ruolo sfavorevole dell’età sulla prognosi funzionale dei
pazienti con postumi di ictus,46,49-55 anche se non tutti gli autori concordano su tale relazione,
presupponendo che l’età pesi in ragione dell’aumento delle comorbosità.56 L’importanza di
tale fattore sarà probabilmente sempre maggiore in considerazione del progressivo invecchiamento della popolazione.
In realtà gli studi a supporto dell’impatto negativo dell’età sul recupero funzionale sono controbilanciati dalle osservazioni di altri che negano questa possibilità, ma sono comunque penalizzati dalla valutazione statistica condotta mediante analisi univariata.57 Un recente studio
prospettico su circa 4·500 casi, condotto in 7 stati europei, ha documentato, peraltro, come gli
ultraottantenni colpiti da ictus siano per lo più femmine, già residenti presso case di riposo o
di cura e portatrici di disabilità. L’applicazione dell’analisi multivariata ha quindi dimostrato
come gli unici parametri con valore predittivo indipendente ai fini dell’esito funzionale postictus siano rappresentati, in fase acuta, da un’alterazione dello stato di coscienza, dalla gravità
del deficit motorio e dalla disfagia, escludendo quindi il ruolo prognostico.58
stesura 15 marzo 2005
Sintesi 14-3
L’età elevata non rappresenta un
limite alle possibilità di recupero
funzionale del soggetto colpito da
ictus, se non associata ad altri
parametri con valore predittivo
sull’esito.
358
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Tabella 14:I – Classificazione dei fattori prognostici della disabilità post-ictus
fattori individuali
preesistenti 1. età
2. sesso
3. livello di autonomia premorboso
4. precedenti ictus
5. comorbosità
emergenti 1. sede e gravità della lesione encefalica
2. gravità e complessità della espressione clinica:
a. gravità del deficit stenico
b. perdita del controllo sfinterico
c. alterazione del tono muscolare
d. emi-inattenzione spaziale
e. afasia
f. disturbi cognitivi
g. disfagia
3. gravità del deficit funzionale:
a. perdita del controllo del tronco
b. perdita di autonomia nelle ADL
4. depressione e disturbi psichici
fattori extraindividuali
• ambiente socioeconomico
• presenza di conviventi autonomi
• organizzazione del sistema sanitario
• organizzazione dell’assistenza all’ictus in fase acuta:
a. setting
b. tempestività della presa in carico riabilitativa
c. continuità dell’assistenza
• reazioni emotivo/affettive del caregiver
14.2.1.1.2 Sesso
Sintesi 14-4
È descritto un più elevato rischio
di istituzionalizzazione in soggetti
di sesso femminile, rispetto ai
maschi coniugati, ma l’esistenza
di una correlazione causale tra
questi due fattori non è supportata da alcuno studio controllato.
I dati sul ruolo del sesso sulla prognosi funzionale sono al momento contrastanti. La maggior
parte degli autori non segnala la prevalenza di uno dei due sessi nella condizione di disabilità
post-ictus.46,56,59 Recentemente è stato segnalato che le donne hanno un recupero della menomazione e della disabilità più limitato rispetto all’uomo, a causa di condizioni in genere più
gravi dopo l’ictus.60 Inoltre, i soggetti di sesso femminile vengono ricoverati in residenze protette con una frequenza doppia rispetto ai soggetti di sesso maschile mentre i maschi coniugati
hanno una minore probabilità di essere istituzionalizzati.61 Alcuni dati vanno però considerati con cautela, in quanto l’istituzionalizzazione può essere condizionata da cultura e tradizioni
diverse da paese a paese.
14.2.1.1.3 Livello di autonomia premorboso
Sintesi 14-5
I soggetti residenti in strutture
sanitarie od assistenziali al
momento dell’evento ictale presentano un rischio particolarmente elevato di compromissione
ulteriore dell’autonomia.
È ragionevole pensare che il livello funzionale mostrato dal paziente prima dell’evento ictale
individui la condizione basale di riferimento cui è mirato il processo riabilitativo indicando il
presumibile plateau del recupero atteso. Inoltre, la preesistenza di disabilità incrementa il
rischio di complicanze correlate all’emergenza di deficit motorio e può limitare le risorse residue disponibili per l’acquisizione di un’autonomia modificata.
Tuttavia, pochi studi hanno indagato il ruolo predittivo indipendente di questa condizione
non facile da documentare. Un’espressione indiretta di disabilità premorbosa, come la presenza di istituzionalizzazione, è fattore prognostico negativo riconosciuto,58 tanto che negli
ultraottantenni, una condizione di istituzionalizzazione precedente all’evento ictale triplica il
rischio di disabilità persistente e incrementa di circa 7 volte quello di handicap emergente.
14.2.1.1.4 Ictus preesistenti
Precedenti lesioni del parenchima cerebrale, indipendentemente dall’impatto clinico determinato, limitano la realizzazione dei meccanismi di neuroplasticità destinati a compensare il deficit funzionale emergente.37
14.2.1.1.5 Comorbosità
Sintesi 14-6
La presenza di condizioni morbose non disabilitanti, nei soggetti
che subiscono un ictus, ha
impatto sfavorevole sulla mortalità, ma non riduce l’entità del
recupero funzionale, influenzandone unicamente la latenza.
Tra le patologie concomitanti, il diabete e le cardiopatie sono considerate potenziali fattori di
incremento del rischio di mortalità e di complicanze in fase acuta e sub-acuta e, secondariamente, di un esito funzionale scarso. L’impatto prognostico di questi fattori si realizza peraltro
soprattutto nella fase di degenza per acuti.62 Nei sopravvissuti ad ictus che acquisiscono la stabilizzazione clinica, nessun elemento di comorbosità singolarmente considerato sembra interferire con la realizzazione del progetto riabilitativo, mentre il sommarsi di più elementi morbosi
riduce l’efficacia dell’intervento dato che occorre più tempo per conseguire gli stessi risultati.46
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
359
14.2.1.1.6 Sede ed entità della lesione
La sede della lesione encefalica gioca un ruolo cruciale nel determinare l’espressione clinica e,
di conseguenza, l’esito funzionale. Il valore predittivo di questo parametro è peraltro subordinato alla gravità e tipologia della manifestazione semeiologica.41 Alla luce di questa consapevolezza è ormai possibile escludere il valore prognostico indipendente del lato (destro o
sinistro) del danno encefalico, così come del suo meccanismo patogenetico (emorragico o
ischemico).63-65 Nell’ambito delle lesioni delle aree motorie, il coinvolgimento dell’area primaria, premotoria o supplementare non produce differenze ai fini del recupero dell’arto superiore, mentre la limitazione del danno alla zona corticale rappresenta un vantaggio rispetto al
coinvolgimento delle strutture sottocorticali. Infine, appare documentata la rilevanza strategica del braccio posteriore della capsula interna, la cui integrità favorisce il recupero dopo lesione del fascio piramidale.66 In definitiva, però, non sono disponibili sufficienti dimostrazioni
per sostenere la superiorità prognostica dei risultati di indagini di neuroimmagine rispetto ai
dati clinici.67 La classificazione anatomo-clinica dei sottotipi di ictus proposta da Bamford 68
rappresenta un ottimo tentativo di mediazione che correla la valutazione neurologica del deficit emergente al danno encefalico sottostante. Una valutazione degli esiti funzionali che prenda spunto da questa classificazione dimostra come danni estesi (da lesione totale del circolo
anteriore, TACI) pregiudicano la probabilità di sopravvivenza e incrementano significativamente la probabilità di grave disabilità residua sia a 3 sia a 12 mesi.69 Non esistono peraltro
differenze sostanziali in termini di probabilità di recupero funzionale a 3 mesi (pari a circa il
50%, in media) e di qualità della limitazione di ruolo tra i restanti sottotipi. Ciò dimostra che
le piccole lesioni lacunari incidono, in termini funzionali, quanto lesioni non lacunari parziali
del circolo anteriore.
Sintesi 14-7
Le lesioni totali del circolo anteriore, siano esse destre o sinistre,
definite secondo la classificazione di Bamford, correlano con una
più elevata probabilità di disabilità residua grave, mentre non vi
sono differenze apprezzabili fra
gli altri sottotipi, in termini di
esito funzionale.
14.2.1.1.7 Gravità e complessità dell’espressione clinica
La tipologia dell’espressione clinica è, tra i fattori emergenti dopo ictus, quello gravato dal
maggior significato prognostico ai fini della probabilità di sopravvivenza, di complicanze in
fase acuta e di recupero funzionale.70-72 La gravità della compromissione neurologica globale
è misurabile con scale cliniche quali la Scandinavian Stroke Scale,71 o la National Institutes of
Health Stroke Scale.73 In uno studio su comunità condotto su più di 1·000 pazienti, questo
indice si è rivelato fattore predittivo indipendente di mortalità, di menomazione e disabilità
residua immediatamente dopo la fine dell’intervento riabilitativo e a 6 mesi, nonché di probabilità di rientro a domicilio. Ciò non toglie che l’intervento riabilitativo consenta il miglioramento della funzione anche in questo sottogruppo di soggetti, nel 50% dei casi.71 Il perfezionamento della prognosi richiede, verosimilmente, il bilancio dei deficit neurologici singoli che
contribuiscono al punteggio totale, secondo quanto di seguito esplicato:
a. disturbo dello stato di coscienza: la presenza di coma o sopore all’esordio è fattore predittivo genericamente sfavorevole quoad vitam et valetudinem.74,75
b. gravità del deficit stenico: la gravità della menomazione motoria a carico degli arti controlaterali alla lesione ictale, valutata in fase acuta (a 7 giorni dall’ictus) predice il recupero funzionale segmentario.58 Ciò è vero sia per l’arto superiore, dove l’assenza di motricità distale a 7 giorni dall’ictus riduce al 20% la probabilità di recupero della destrezza, sia per l’arto inferiore dove la presenza di movimenti volontari in fase acuta indica una possibilità di
recupero della deambulazione pari all’80%.75
c. perdita del controllo sfinterico: il significato prognostico sfavorevole di un mancato recupero del controllo sfinterico è supportato da numerosi studi.37,58,73,76-78 al punto che questo
parametro è stato inserito in molteplici equazioni prognostiche mirate a predire l’esito funzionale dopo ictus.79,80 La mancata acquisizione della continenza vescicale all’inizio o, a
maggior ragione, alla fine del trattamento riabilitativo riduce la probabilità di rientro a
domicilio in misura compresa tra il 30% e il 50%,46 ed è correlata ad un maggior rischio di
riospedalizzazione.81 Il fatto che l’incontinenza rappresenti verosimilmente un indice indiretto della gravità del deficit neurologico non ne riduce la valenza prognostica.82
d. alterazioni del tono muscolare: la revisione della letteratura non fornisce dati in merito al
significato predittivo della spasticità ai fini dell’esito funzionale dopo ictus. È credenza diffusa che un ipertono emergente all’arto superiore, nella fase acuta o subacuta, comprometta le possibilità di recupero della destrezza, ma in realtà nessuno studio osservazionale ha
consentito di determinare il significato predittivo indipendente di questo fattore, rispetto
all’impatto di una grave compromissione motoria. Al contrario, un’analisi retrospettiva su
pazienti con emiplegia residua post-ictus ha mostrato come il basso livello di recupero funstesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.4
Grado D
Nella valutazione dell’approccio
riabilitativo è indicato tenere
conto della gravità dell’espressione clinica nella fase di acuzie dell’ictus (coma all’esordio, incontinenza sfinterica, persistenza di
grave deficit) e della presenza di
condizioni in grado di influenzare
negativamente il recupero dell’autonomia (alterazioni gravi del
tono muscolare, disfagia, emiinattenzione, afasia globale).
Sintesi 14-8
Il coma all’esordio, la persistenza
della perdita di controllo sfinterico e la lunga durata della plegia
rappresentano indicatori predittivi
sfavorevoli nei confronti del recupero dell’autonomia.
Sintesi 14-9
Una persistente flaccidità od una
grave spasticità rappresentano
condizioni in grado di influenzare
negativamente il recupero della
motilità.
360
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Sintesi 14-10
Una grave afasia condiziona
negativamente il recupero dell’autonomia nelle attività quotidiane.
e.
Sintesi 14-11
L’emi-inattenzione spaziale
influenza negativamente il recupero delle prestazioni motorie.
f.
g.
h.
Sintesi 14-12
Gradi intermedi di perdita dell’autonomia e l’acquisizione del controllo del tronco si associano ad
una maggiore efficacia del trattamento riabilitativo.
Raccomandazione 14.5
Grado D
Nella progettazione del trattamento riabilitativo, è indicato
realizzare un bilancio funzionale,
utilizzando scale diffuse e validate, con particolare attenzione ad
alcuni elementi di valutazione,
quali il controllo del tronco.
zionale in questi soggetti fosse più frequentemente associato con una condizione di flaccidità persistente piuttosto che di spasticità.83 Recentemente, Daviet et al.84 hanno indicato
nella spasticità dell’arto superiore uno dei fattori associati con l’insorgenza di una sindrome dolorosa regionale complessa, unitamente al deficit motorio e sensitivo e ad uno stato
di coma all’esordio.
afasia: un disturbo afasico post-ictale è frequente (nel 38% della casistica di Pedersen e
coll.)85 e può condizionare il recupero e la qualità della vita. Un trattamento logoterapico è
normalmente di routine nei pazienti afasici, ed è consigliato come una prassi standard,86
anche se, in una recente revisione Cochrane, è stato segnalato che i dati attualmente disponibili non permettono di chiarire se la terapia riabilitativa del linguaggio sia chiaramente
efficace od inefficace.87 La gravità iniziale dell’afasia è il principale fattore prognostico per
la risoluzione dell’afasia stessa.85 Tra i disturbi del linguaggio, l’afasia globale è in grado di
interferire in maniera rilevante con il recupero dell’autonomia funzionale nelle attività di
vita quotidiana.88-90
emi-inattenzione spaziale: la maggior parte delle segnalazioni concordano sul pesante impatto del neglect sullo stato funzionale dei pazienti post-ictali,91-96 anche se non è dimostrata la
sua indipendenza da altri fattori associati.97 Sebbene una specifica terapia riabilitativa per
l’emi-inattenzione sia in grado di migliorare alcune specifiche prestazioni 98 e sia attualmente consigliata nella pratica clinica,86 tuttavia problematiche metodologiche non permettono di chiarire quale metodica riabilitativa sia più efficace.99 Alcune osservazioni
hanno segnalato che la riabilitazione cognitiva è in grado di ridurre l’impatto funzionale del
neglect sulla mobilità e sulle attività di vita quotidiana,100 tuttavia il suo reale impatto sulla
disabilità è ancora oggetto di discussione.98
aprassia ed agnosia
aprassia: un disturbo aprassico è frequentemente osservabile nei pazienti con cerebrolesioni sinistre, ma il suo impatto sullo stato funzionale, considerato tradizionalmente sfavorevole,101,102 è stato recentemente confutato da Pedersen e coll. attraverso un’analisi multivariata.103 Un trattamento riabilitativo specifico focalizzato sulle ADL è in grado di migliorare la prognosi funzionale.104
anosognosia: l’anosognosia, osservabile nel 20%-30% dei pazienti con cerebrolesioni
destre, condiziona il recupero nelle attività di vita quotidiana.96,103
disfagia: la comparsa di disfagia dopo ictus è evento frequente e invalidante.105
Recenti studi prospettici sostengono l’impatto negativo di questa manifestazione clinica,
che incrementa il rischio di mortalità e morbosità a seguito di polmoniti ab ingestis 58,106,107
e risulta associato con un minor beneficio ottenibile dopo intervento riabilitativo e con un
elevato rischio di istituzionalizzazione.46 Il 37% dei pazienti con disfagia sviluppa polmonite ed il 38% decede per l’infezione, se non sono attuati interventi di prevenzione e trattamento.108 La polmonite ha un’incidenza sei volte superiore nei pazienti che hanno aspirazione silente rispetto a coloro che hanno tosse dopo aspirazione.109
Uno stato di malnutrizione è stato identificato in circa il 50% dei pazienti ospedalizzati
affetti da esiti di ictus,110 e rappresenta una delle variabili più significativamente correlate
all’esito funzionale, ai tempi di degenza ed al numero di nuovi ricoveri in ospedale.111-113
La persistenza della disfagia inoltre determina un impatto significativo sulle attività funzionali del paziente e sulla sua qualità di vita.105
14.2.1.1.8 Gravità della compromissione funzionale
a. autonomia nella vita quotidiana: la gravità della disabilità emergente valutata in fase acuta
tramite misure globali di autonomia (scala di Barthel, scala FIM-Functional Independence
Measure), rappresenta una delle variabili predittive più potenti ai fini dell’esito funzionale.37,46,114 Recenti studi di comunità condotti su oltre 2·000 soggetti hanno sottolineato la
relazione inversa esistente tra la perdita di autonomia in fase acuta e la probabilità di rientro a domicilio dopo la dimissione dal reparto di degenza per acuti.71,73,115 Il punteggio totale alla scala FIM all’inizio del trattamento riabilitativo è il principale fattore predittivo del
punteggio FIM al termine del trattamento stesso,115 tanto che il suo utilizzo è stato preso in
considerazione come strumento di pianificazione dell’assistenza necessaria al momento
della dimissione e come utile base per impostare gli obiettivi dell’intervento riabilitativo e
concordarli con il paziente ed i familiari. In particolare, è documentato come punteggi intermedi di disabilità (ovvero la fascia compresa tra 37/126 e 72/126 misurata con scala FIM),
corrispondano a maggiori vantaggi in termini di efficienza dell’intervento riabilitativo.116
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
361
b. deficit funzionale selettivo: l’interesse nei confronti delle misure funzionali è accresciuto
dalla semplicità e riproducibilità delle stesse e dalla facilità di accedere ad informazioni
prognostiche con strumenti di ampia diffusione e facile comprensione. La ricerca di semplici criteri ad elevato potere predittivo ha motivato molti Autori a suddividere il punteggio totale delle scale di autonomia nel tentativo di mettere in luce gli item che fornivano il
maggior contributo al significato prognostico di tali misure.
Il controllo del tronco è indiscutibilmente un criterio irrinunciabile per accedere al controllo posturale e al recupero di una deambulazione autonoma. Studi prospettici inoltre ne
hanno confermato il potente valore predittivo, in fase acuta, non solo ai fini del recupero
dell’autonomia,117,118 ma anche del probabile rientro a domicilio.119,120 Mauthe et al.,121 in
uno studio longitudinale su una casistica di pazienti ricoverati presso una Medicina
Generale, hanno indicato nel seguente gruppo di item della FIM, valutati a 3-5 giorni dall’ictus, gli elementi funzionali di maggiore impatto sulla destinazione del paziente alla
dimissione:
1. autonomia nel fare il bagno;
2. controllo dell’evacuazione;
3. uso dei sanitari:
4. interazione sociale;
5. abbigliamento della parte inferiore del corpo;
6. alimentazione.
14.2.1.1.9 Depressione post-ictale ed altri disturbi psichici
A seguito di un episodio ictale si osservano frequentemente complicazioni in forma di disturbi psichici. Comunemente si possono osservare disturbi dell’umore (nel 30% circa dei casi),
disturbi ansiosi (nel 25% circa), labilità emotiva ed apatia.122
I disturbi psichici, condizionando la partecipazione attiva del paziente e la sua capacità d’apprendimento, possono condizionare il programma riabilitativo e compromettere pertanto il
recupero funzionale. In considerazione di tale ruolo prognostico negativo, è necessario che tali
disturbi siano correttamente indagati, diagnosticati e trattati per cercare di ridurne gli effetti
clinici.
Il disturbo più frequentemente osservato e studiato è la depressione post-ictale (post-stroke
depression; PSD) che può manifestarsi sia in fase precoce dopo l’evento ictale che tardivamente. La letteratura sulla PSD è vasta, ma le informazioni disponibili non sono univoche a
causa di rilevanti problematiche metodologiche.123-125
Esistono in letteratura numerose e concordi segnalazioni sulla correlazione tra PSD e compromissione funzionale,126-128 ed è stato calcolato che la presenza di PSD aumenti da 2 a 3
volte il rischio di dipendenza nelle attività di vita quotidiana.129 I risultati riabilitativi sono condizionati dalla presenza di PSD: i pazienti con PSD presentano una maggiore compromissione funzionale, sia prima sia dopo uno specifico trattamento riabilitativo, ma con miglioramento funzionale simile tra pazienti depressi e non depressi.130-132 D’altra parte un miglioramento della depressione si accompagna ad un miglioramento dello stato funzionale.133
Anche se il ruolo prognostico sfavorevole della PSD sullo stato funzionale del paziente è
indubbio, è però necessario valutare i dati disponibili con qualche cautela, in quanto nei vari
studi i pazienti con depressione sono considerati omogenei, o differenziati solo per le caratteristiche cliniche della depressione, ed è generalmente trascurato il ruolo di un eventuale trattamento psicofarmacologico. Infatti, nella maggior parte degli studi solo una minoranza dei
pazienti affetti da PSD è stata trattata con antidepressivi, e nei risultati non c’è generalmente
alcuna differenziazione tra pazienti trattati e non trattati.
D’altra parte, un trattamento antidepressivo può influenzare positivamente il recupero funzionale,134-137 anche se i dati disponibili non sono ancora univoci. Al momento l’utilizzo regolare di antidepressivi è in grado di migliorare la prognosi riabilitativa, ma non di annullare
l’impatto sfavorevole della PSD sul recupero funzionale. Malgrado il trattamento con antidepressivi, i pazienti con PSD presentano una prognosi funzionale peggiore rispetto ai pazienti
non depressi.132,134,137,138
Le depressione post-ictus verrà trattata più estesamente nel Capitolo 15.
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.6
Grado D
Nella valutazione del paziente da
sottoporre a trattamento riabilitativo è indicato verificare precocemente l’eventuale esistenza di
depressione del tono dell’umore,
utilizzando un approccio multidimensionale per la diagnosi e
scale quantitative di valutazione e
monitoraggio dei sintomi, al fine
di correggere le possibili influenze sfavorevoli sull’attività riabilitativa e sulla qualità della vita del
paziente.
362
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
14.2.1.2
Condizioni extraindividuali preesistenti ed emergenti
14.2.1.2.1 Ambiente socioeconomico
Sintesi 14-13
Alla luce dei servizi garantiti dal
Servizio Sanitario Nazionale, l’estrazione socioeconomica del
soggetto colpito da ictus non
dovrebbe rivestire un ruolo predittivo ai fini del recupero. La
presenza di una rete di rapporti
familiari e sociali favorisce il rientro a domicilio e previene il decadimento delle abilità funzionali
nel lungo termine. Il coinvolgimento del caregiver nella realizzazione di programmi terapeutici
da realizzare dopo la dimissione
e la disponibilità di una valida
organizzazione sanitaria e sociale
territoriale consentono di ridurre i
tempi di degenza presso le strutture ospedaliere.
Non esistono sufficienti prove di efficacia che consentano di identificare il ruolo predittivo sfavorevole esercitato da un’estrazione socioeconomica svantaggiata ai fini del recupero funzionale post-ictus. Tale rapporto è condizionato dall’organizzazione assistenziale nelle diverse
nazioni: ad es. Kapral 139 sottolinea una differenza nella mortalità e nell’accesso alla cura correlata al reddito individuale, ma in un ambito socio-economico sostanzialmente diverso o non
confrontabile con quello italiano. Altri elementi correlati al tipo di rete sociale esistente a supporto del paziente, e descritti di seguito, giocano verosimilmente una parte determinante nel
modellare l’handicap emergente e l’eventuale sviluppo/deterioramento delle abilità residue.
14.2.1.2.2 Presenza di conviventi autonomi
L’assenza di una figura in ambito familiare disposta ad assumere il ruolo di caregiver del
paziente con ictus ritarda la dimissione dal reparto per acuti 71 e riduce significativamente la
probabilità di rientro a domicilio anche dopo intervento riabilitativo strutturato.46,58,140 La
presenza di una rete familiare/sociale a supporto del paziente, inoltre, sembra favorire un
incremento progressivo della condizione funzionale nei primi 3 mesi, soprattutto in soggetti
con grave deficit iniziale.141
14.2.1.2.3 Organizzazione del sistema sanitario
Esistono segnalazioni in merito all’impatto che l’organizzazione sanitaria determina sull’esito
funzionale dopo ictus.142 Uno studio prospettico multicentrico realizzato in 7 nazioni su circa
4·500 casi ha documentato la diversa distribuzione nazionale dei rischi di mortalità e disabilità nelle fasce di pazienti con deficit neurologico iniziale moderato-grave, non spiegabile in
base ad altri fattori prognostici.143 La giustificazione di questi risultati appare in parte riconducibile a scelte di politica sanitaria, per cui Paesi che investono meno nell’assistenza, riducendo forzosamente i tempi di degenza e rinunciando a realizzare unità dedicate, ottengono
peggiori risultati.144
14.2.1.2.4 Organizzazione dell’assistenza all’ictus in fase acuta
Setting
Sintesi 14-14
L’accesso ad unità assistenziali
dedicate ai soggetti che hanno
subito un ictus, organizzate secondo un approccio interdisciplinare, influenza favorevolmente la
prognosi funzionale dopo l’ictus.
I risultati di numerose revisioni di studi randomizzati controllati sono concordi nel sostenere
la superiorità della gestione di pazienti ammessi ad unità di terapia dedicate all’ictus, rispetto
a Reparti di Medicina Generale.145-147 I vantaggi si misurano in termini di riduzione della mortalità, dell’incidenza di complicanze, della durata media di degenza e del tasso di soggetti istituzionalizzati. Non si rilevano differenze nei vantaggi usufruiti da individui di età, sesso o
caratteristiche cliniche differenti, benché alcuni Autori sottolineino il fatto che pazienti in età
avanzata (>75 anni) e con maggior gravità delle condizioni neurologiche all’esordio traggano
il maggior beneficio dall’accesso ad unità dedicate.35,148 Il beneficio non si esaurisce, inoltre,
nel periodo successivo alla degenza per acuzie e riabilitativa, ma persiste a 2 anni,149 e persino
a 10 anni dall’evento ictale.150
Il successo viene comunemente attribuito a fattori gestionali piuttosto che a specifici approcci terapeutici, farmacologici e non. In modo particolare, viene esaltata una condotta organizzativa interdisciplinare, caratterizzata dall’interazione di diverse figure professionali che condividono e regolarmente discutono gli obiettivi del trattamento, in contrapposizione all’organizzazione multidisciplinare, che caratterizza la gestione in altri Reparti per acuti, e che semplicemente giustappone competenze professionali diverse senza prevedere contatti o scambi
che implementino il progetto assistenziale.147,151
Alcuni gruppi di ricerca hanno valutato l’efficienza di una gestione domiciliare di questi
pazienti sia nella fase acuta sia nella successiva fase riabilitativa. Una revisione sistematica di 6
studi clinici randomizzati su circa 1·000 casi ha recentemente confrontato i progressi funzionali a 6 mesi di soggetti riabilitati a domicilio in maniera estensiva, con quelli di individui gestiti in day hospital, giungendo alla conclusione che il paziente beneficia dell’intervento riabilitativo comunque esso venga realizzato.13 Al contrario, un precoce rientro a domicilio dell’individuo disabile può rappresentare per i familiari uno stress superiore ed una possibile fonte di
depressione.152 Globalmente non è possibile stabilire un sicuro vantaggio dell’uno o dell’altro
programma gestionale in termini di costo/beneficio.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
Tempestività della presa in carico riabilitativa
Anche se esiste concordanza sul ruolo favorevole di un precoce intervento riabilitativo,49,50,56
non sono numerosi gli studi che hanno specificamente studiato l’influenza dell’intervallo preriabilitazione sui risultati riabilitativi, ma i dati disponibili concordano sull’utilità del trattamento precoce.55,153,154 In particolare, per ottenere i migliori risultati è importante cominciare
il trattamento entro i primi 20 giorni dall’ictus,154 valutando il livello di stabilizzazione clinica
del paziente. Va considerato, a questo proposito, che pur non essendo disponibile una definizione operativa univoca e condivisa di “stabilità clinica” è necessario, in sede di valutazione,
distinguere fra quelle condizioni che rendono impossibile o controindicata la presa in carico
riabilitativa o che comunque rendono la prognosi funzionale estremamente povera, e quelle
condizioni di instabilità o potenziale instabilità che, al contrario, possono e debbono essere
gestite in ambito riabilitativo e il cui trattamento fa a tutti gli effetti parte del progetto riabilitativo. Nel primo caso, ovviamente, sarà necessario mantenere il paziente in setting assistenziali e terapeutici per acuti (o indirizzarli a strutture sanitarie di lungodegenza nei casi in cui
la persistente instabilità clinica si accompagni ad una prognosi funzionale povera nel mediolungo termine), mentre nel secondo caso la tempestiva presa in carico in setting riabilitativo
appare appropriata. Indicazioni sul tema dei criteri di appropriatezza per il trasferimento in
setting riabilitativo, anche se non specificamente relative all’ictus, si possono trarre dalle raccomandazioni della prima Confererenza Nazionale Italiana di Consenso sulla riabilitazione del
grave trauma cranioencefalico.155
Continuità dell’assistenza
Cominciano ad accumularsi evidenze in merito all’importanza di realizzare un adeguato piano
terapeutico alla dimissione dal reparto per acuti.156,157 L’obiettivo è principalmente quello di
gestire con oculatezza i problemi emergenti al rientro a domicilio, vale a dire i rischi di complicanze internistiche, di recidive ictali, di depressione, e, in definitiva, di deterioramento dello
stato funzionale. La riammissione in ospedale interessa il 20%-27% dei sopravvissuti ad ictus,
entro 12 mesi dall’evento. Una recente revisione di studi randomizzati controllati su un totale
di circa 5·000 casi, documenta l’efficacia di un piano terapeutico nel migliorare la percezione
di benessere del paziente, ridurre la durata della degenza per acuti e contenere il tasso di rientro in ospedale per complicanze.158
Reazioni emotivo/affettive del caregiver
L’opportunità di provvedere all’educazione del paziente e del caregiver viene discussa in
numerosi studi, con il supporto di evidenze contrastanti.159-161 È descritto in maniera diffusa
l’incrementato rischio di depressione in chi presta assistenza al paziente con ictus, sia in fase
acuta sia dopo stabilizzazione del deficit funzionale, soprattutto nei casi in cui emergono deficit cognitivi o del linguaggio. La depressione del caregiver può determinare risvolti negativi
sull’inserimento sociale del paziente incrementandone la percezione di handicap.162
14.3
LA
PIANIFICAZIONE DELL’ASSISTENZA RIABILITATIVA
Questa sezione si propone di illustrare le caratteristiche del progetto e dei programmi riabilitativi attraverso la descrizione di obiettivi a breve e lungo termine, delle priorità di intervento, dell’impegno di operatori professionali dedicati a specifiche attività assistenziali, del coinvolgimento del paziente e dei familiari e del possibile ruolo dei farmaci nel processo riabilitativo.
Le informazioni disponibili consentono di identificare le variabili che condizionano la pianificazione dell’assistenza, rispondendo ai quesiti relativi alle risorse necessarie per raggiungere gli obiettivi dell’assistenza. In particolare è identificata la struttura del piano di dimissione dall’ospedale
e sono illustrati i passi necessari ad instaurare un rapporto proficuo fra il team assistenziale e l’utenza.
Le situazioni cliniche cui fa riferimento la sezione riguardano le decisioni che gli operatori sanitari assumono con la presa in carico del soggetto da riabilitare, verificando in primo luogo le attività compromesse e le funzioni residue rispetto alle quali può essere ipotizzato un percorso riabilitativo. Sono segnalati i metodi di valutazione più comuni, utilizzati in ogni verifica generale preliminare al progetto di recupero od in ogni fase in cui si ritenga opportuno monitorare l’evoluzione funzionale.
Le caratteristiche della sezione rendono le informazioni fruibili da parte di tutti gli operatori del
team che si occupa dell’assistenza al soggetto colpito da ictus, con particolare riguardo ai professionisti dell’area riabilitativa.
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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
14.3.1
Raccomandazione 14.7
Grado D
È indicato inserire nel progetto
riabilitativo tutti i programmi specifici dedicati al recupero delle
singole attività compromesse dal
danno cerebrovascolare. Tali programmi sono aggiornati a seconda dell’evoluzione clinica e funzionale.
Progetto e programmi riabilitativi
Secondo le indicazioni contenute nelle linee guida approvate dalla Conferenza Stato-Regioni
il 7.5.1998, le attività sanitarie di riabilitazione, ad eccezione di quelle di semplice terapia fisica destinata a disabilità minimali, segmentarie e/o transitorie, richiedono la presa in carico del
paziente attraverso la predisposizione di un “progetto riabilitativo individuale” e la realizzazione di tale progetto mediante uno o più “programmi riabilitativi”. Si definisce progetto riabilitativo individuale l’insieme di proposizioni, elaborate dal team riabilitativo, coordinato dal
medico responsabile, che si articola secondo le caratteristiche enunciate nella Tabella 14:II.
Esso tiene conto delle specifiche caratteristiche degli individui assistiti per quanto riguarda le
abilità residue e recuperabili, i bisogni, le preferenze, la situazione familiare ed i fattori
ambientali e personali. Deve, quindi, contenere al suo interno; oltre ai dati personali del
paziente ed alle caratteristiche clinico-funzionali; informazioni riguardo la condizione familiare, lavorativa ed economica. I dati compresi nel progetto non riguardano le caratteristiche di
malattia, ma piuttosto i parametri di menomazione, attività e partecipazione sociale elencati
nella International Classification of Function (ICF) proposta nel 2002 dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità.
Tabella 14.II – Caratteristiche del Progetto Riabilitativo Individuale
• indicazione del medico responsabile;
• pianificazione sulla base delle abilità residue e delle attività recuperabili, dei fattori ambientali,
contestuali e personali dei bisogni e delle preferenze del paziente e dei familiari;
• identificazione degli esiti desiderati, delle priorità e delle aspettative del paziente, dei familiari
e del team che ha preso in carico il paziente;
• valutazione delle problematiche del paziente, anche se non sono oggetto di interventi riabilitativi
specifici;
• definizione del ruolo dei singoli componenti del team riabilitativo, rispetto alle azioni previste
per il raggiungimento degli esiti desiderati;
• esplicitazione degli obiettivi a breve, medio e lungo termine, con i tempi previsti e le azioni
necessarie al loro raggiungimento;
• comunicazione al paziente ed ai familiari in modo comprensibile ed appropriato;
• aggregazione di ogni intervento realizzato dal team riabilitativo.
All’elaborazione del progetto devono partecipare tutti gli operatori del team in modo che gli
interventi riabilitativi programmati mirino verso obiettivi comuni senza che i vari trattamenti,
erogati da singoli operatori, siano in contrasto fra loro. La composizione del team ed il ruolo
di ogni componente deve essere specificato nel progetto.
Il progetto definisce la prognosi, le aspettative e le priorità del paziente e dei suoi familiari tramite il medico coordinatore, al fine di garantire un flusso costante di informazioni, al medico
di famiglia. Infine, se alcuni degli elementi di base (condizioni clinico-funzionali, bisogni, preferenze, priorità del paziente, limiti ambientali e di risorse, piano di trattamento) con i quali è
stato elaborato il progetto, si modificano, il progetto deve essere riadattato in funzione del raggiungimento degli esiti desiderati e comunicato al paziente stesso ed agli operatori.
Al fine di garantire a tutti i soggetti assistiti un’idonea funzione di supporto ed un’effettiva realizzazione di un valido progetto riabilitativo individuale, ai fini del maggior recupero funzionale ipotizzabile, è necessario considerare la disponibilità e l’organizzazione degli spazi, del
lavoro e delle modalità operative di tutta la struttura. La configurazione di tale programmazione prende il nome di “progetto riabilitativo di struttura”.
La parte del progetto individuale che definisce le aree di intervento specifico, gli obiettivi a
breve termine, le modalità di erogazione, gli operatori coinvolti e la verifica degli interventi
costituisce il programma riabilitativo. L’importanza di una scrupolosa definizione del programma riabilitativo sta nel fatto che esso costituisce un elemento di verifica del progetto riabilitativo i cui dettagli sono espressi nella Tabella 14:III.
La pianificazione dell’assistenza riabilitativa, sia nelle sue linee generali sia nei programmi specifici, è raccomandata da molte linee-guida nazionali ora disponibili.11,26,27
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
Tabella 14:III – Il programma riabilitativo indica:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
14.3.2
le modalità di presa in carico da parte di una determinata struttura dell’area riabilitativa;
gli interventi specifici durante il periodo di presa in carico;
gli obiettivi immediati ed a breve termine da raggiungere;
le modalità ed i tempi di erogazione delle singole prestazioni previste;
le misure di esito atteso appropriate per la valutazione degli interventi;
il tempo di verifica di un dato esito;
i singoli operatori coinvolti negli interventi;
la verifica periodica ed i relativi aggiornamenti;
il riferimento costante al progetto riabilitativo.
Valutazione di menomazione, attività e partecipazione
nei domini motorio-cognitivo e psico-comportamentale
Il bilancio del paziente candidato all’assistenza riabilitativa richiede una valutazione standardizzata delle seguenti condizioni: stato generale, fattori sociali ed ambientali, condizioni motorie, sensibilità, stato cognitivo, condizioni psichiche, comunicazione, caratteristiche del supporto esterno, autonomia nelle attività della vita quotidiana. Allo scopo di sintetizzare le misure più sensibili alle limitazioni indotte dall’ictus, recentemente è stato proposto un profilo specifico, definito “the stroke impact scale”,163 che prende in considerazione tutte le ricadute dell’ictus, in termini sia di menomazione sia di funzione compromessa o di handicap.
Le modalità di valutazione possono differire sensibilmente nelle varie fasi dell’assistenza in
relazione agli obiettivi caratterizzanti il momento di cura del soggetto colpito da ictus (Tabella
14:IV).11
Lo stato clinico generale è definito dalla malattia che ha motivato l’assistenza e dalle eventuali
complicanze intercorse, identificando il tipo e la gravità dei deficit neurologici e le caratteristiche cliniche preesistenti all’ictus. Fra i parametri generali debbono essere considerati la
nutrizione, la presenza di disfagia, le condizioni del controllo sfinterico, la presenza di piaghe
da decubito, le caratteristiche del sonno e le capacità di resistenza fisica.
I fattori sociali ed ambientali sono caratterizzati dalla presenza del coniuge e di altre figure di
riferimento, dal sostegno offerto dalla famiglia, dalle caratteristiche dell’ambiente di vita e
dalle possibilità di adattamento alla disabilità, dalle aspettative del paziente e dei familiari, dal
loro adattamento alla nuova situazione, modificando la preesistente organizzazione della vita
quotidiana.
Anche se il tempo di realizzazione può variare in relazione all’organizzazione dell’assistenza,
alcune fonti di efficacia documentano il valore del bilancio delle condizioni funzionali, eseguito dai componenti del team dotati di competenze differenti, nelle prime fasi dell’assistenza
a fini riabilitativi.12,165-167 Il Royal College of Phisician of London 27 raccomanda fortemente tale
procedura, così come la Chartered Society of Physiotherapy, il College of Occupational Therapy
ed il Royal College of Nursing. Il protocollo di valutazione raccomandato comprende lo stato
di vigilanza, la capacità di deglutizione, il rischio di lesioni da decubito, lo stato nutrizionale,
l’efficienza cognitiva, le esigenze del paziente per i trasferimenti e la manipolazione degli
oggetti.27
Le condizioni motorie sono valutate (Tabella 14:V) attraverso misure:
• della forza muscolare;
• della destrezza motoria;
• della spasticità;
• del controllo posturale del tronco o del capo;
• della capacità generale di deambulazione.
Il bilancio può essere basato sulla quantificazione di ogni prestazione, attraverso scale specifiche oppure mediante una valutazione generale. La Tabella 14:V riporta alcuni esempi al
riguardo.
L’eventuale compromissione sensitiva è valutata per discriminare l’esistenza di una ipoestesia
parziale o globale, di una anestesia oppure, al contrario, di una sindrome dolorosa distrettuale o di tutto un emisoma.
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Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Tabella 14:IV – Valutazioni necessarie al contenimento della disabilità residua dopo l’ictus
Valutazione clinica
durante la fase
acuta
scopi:
• determinare eziologia, patologia e gravità dell’ictus;
• valutare la comorbosità;
• documentare il decorso clinico.
quando:
all’ammissione e durante l’ospedalizzazione
da parte di: • medico dell’unità di terapia intensiva;
• specialista riabilitatore;
• personale infermieristico e fisioterapico.
Screening
riabilitativo
scopi:
• identificare i pazienti che possono beneficiare della
riabilitazione;
• determinare gli ambiti riabilitativi più appropriati;
• identificare le problematiche su cui intervenire.
non proponibile per la riabilitazione se:
• nessuna o minima invalidità;
• eccessiva compromissione per partecipare alla riabilitazione. In questo caso:
– fornire servizi di supporto;
– riconsiderare e rivalutare in futuro se le condizioni cliniche migliorano.
La decisione di iniziare o meno il programma riabilitativo è
affidata esclusivamente allo specialista riabilitatore (vedi testo)
Assegnazione ad un programma riabilitativo interdisciplinare
• in reparto ospedaliero;
• in strutture ambulatoriali;
• a domicilio;
• in struttura residenziale protetta.
quando:
appena le condizioni cliniche si sono stabilizzate
da parte di: specialisti della riabilitazione
(fisiatra, fisioterapista, logopedista)
Valutazione
all’ammissione
in struttura
riabilitativa
scopi:
• validare le decisioni;
• sviluppare il progetto riabilitativo;
• fornire il riferimento basale per monitorizzare i progressi.
quando:
entro:
• tre giorni lavorativi per un programma intensivo;
• una settimana per un programma ospedaliero meno
intensivo;
• tre visite per un programma ambulatoriale o domiciliare.
da parte di: team riabilitativo
Valutazione durante
la riabilitazione
scopi:
Valutazione dopo la
dimissione
scopi:
il team riabilitativo comprende il medico specialista riabilitatore, i fisioterapisti
• valutare i progressi;
• personalizzare il trattamento;
• fornire elementi per la dimissione.
quando:
• settimanalmente per un programma intensivo;
• almeno ogni quindici giorni per programmi meno intensivi.
da parte di: clinici della riabilitazione/team riabilitativo
•
•
•
quando:
•
•
da parte di: •
•
•
valutazione dell’adattamento all’ambiente domestico;
valutazione delle necessità di servizi riabilitativi continuativi;
valutazione degli oneri del caregiver.
entro un mese dalla dimissione;
ad intervalli regolari durante il primo anno.
professionisti del sociale;
clinici della riabilitazione;
medico responsabile.
Tabella 14:V – Caratteristiche di alcuni strumenti di bilancio motorio
strumento
descrizione
aree
impiego
tempo di somministrazione
indice di motricità
di Demeurisse
valuta il deficit su una scala ordinale pesata
forza e controllo del tronco
screening, valutazione
formale, monitoraggio
<5 minuti
Fugl-Meyer
valuta la menomazione su una scala ordinale a tre punti
La valutazione dei movimenti volontari è gerarchica.
Le somme sono trattate come variabili continue
dolore, range di movimento,
sensibilità movimento volontario,
equilibrio
valutazione formale,
monitoraggio
30-40 min
indice di mobilità
di Rivermead
valuta il deficit su una scala tutto/nulla
girarsi nel letto, sedersi, stare
in piedi, trasferirsi e camminare
screening, valutazione
formale, monitoraggio
<5 min
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
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Lo stato cognitivo ha particolare rilievo nel bilancio riabilitativo, considerando che il processo
di recupero consiste essenzialmente nell’apprendimento di strategie di compenso del deficit.
In linea teorica il bilancio cognitivo deve essere orientato all’esplorazione delle seguenti abilità:
• orientamento temporo-spaziale;
• attenzione selettiva;
• attenzione sostenuta;
• orientamento spaziale dell’attenzione;
• integrazione senso-percettiva (visuo-motoria);
• rievocazione o riconoscimento a breve termine;
• capacità di costruzione (abilità prassica);
• capacità adattative;
• comunicazione verbale
I disturbi del linguaggio possono richiedere una valutazione di particolare dettaglio che necessita di un approccio specifico, il quale, però, spesso si realizza tardivamente nel corso dell’iter
riabilitativo.
Va sottolineato che la valutazione, al contrario dell’esame obiettivo neurologico “classico”,
non è di tipo analitico, ma sintetico (olistico): evidenzia cioè il deficit di funzione più che il
deficit di struttura.
Le condizioni psichiche richiedono una verifica che si estenda a tutti i seguenti ambiti:
• depressione dell’umore;
• motivazioni (consapevolezza del deficit e desiderio di recupero);
• relazioni interpersonali;
• controllo dell’emotività;
• caratteristiche qualitative e quantitative dell’ideazione.
14.3.2.1
Scale per l’autonomia nelle attività di vita quotidiana
In riabilitazione è fondamentale valutare la disabilità del paziente prima e dopo il trattamento riabilitativo. La disabilità è comunemente valutata mediante il Barthel Index e la FIM
(Functional Independence Measure).168-170 Le scale non valutano la normalità del paziente, ma
la sua autonomia nelle attività di vita quotidiana (ADL – activities of daily living). Il Barthel
Index valuta 10 item, con un punteggio compreso tra 0 e 100 (o tra 0 e 20, nella versione di
uso comune in Inghilterra). La FIM valuta 18 item, ciascuno su sette punti, con punteggio
compreso tra 7 e 126. In entrambe le scale punteggi più alti indicano maggiore autonomia.
Benché la FIM sia stata concepita per valutare più compiutamente e con maggiore sensibilità
lo stato del paziente, entrambe le scale si sono dimostrate adeguate per valutare la disabilità
del paziente, fornendo dati simili, e con un’alta correlazione tra di loro.171
Le caratteristiche del supporto familiare e sociale appaiono rilevanti nell’influenzare la possibilità di reintegrazione domiciliare e minimizzare l’handicap derivato dall’ictus. Uno strumento
di documentata utilità è il Family Assessment Device (FAD), di cui non è disponibile una versione italiana e che valuta diversi domini nell’ambito del contesto sociale (soluzione dei problemi, comunicazioni reali, risposta affettiva, coinvolgimento affettivo, controllo del comportamento ed organizzazione generale). In considerazione del breve tempo richiesto per l’esecuzione può essere accettabile una valutazione standardizzata con risposte semplici nei vari
campi sopra esposti.
14.3.2.2
Raccomandazione 14.8
Grado D
È indicato valutare la disabilità
del paziente prima e dopo il trattamento riabilitativo, mediante
scale validate e di uso comune,
come il Barthel Index e la
Functional Independence
Measure (FIM).
Raccomandazione 14.9
Grado D
Entro i primi giorni dall’ammissione a strutture riabilitative, è
indicato realizzare un bilancio
delle condizioni cliniche e funzionali del soggetto colpito da ictus
e del contesto socio-sanitario nel
quale egli vive. La valutazione
deve comprendere sia misure di
autonomia sia parametri relativi
alle abilità motorie e cognitive.
Valutazione cognitivo-comportamentale
Le conseguenze dell’ictus nelle prestazioni cognitive possono essere espresse sia da un rallentamento generale della elaborazione delle informazioni che da una compromissione di specifiche funzioni, quali l’orientamento spaziale, l’attenzione, la memoria, le abilità prassiche, la
capacità di adattamento mentale e di pianificazione, il linguaggio. Sebbene le conseguenze del
danno cerebrovascolare possono essere molteplici, deve essere riconosciuta la presenza di
menomazioni cognitive preesistenti. Il deficit cognitivo post-ictale può esprimersi anche con
una difficoltà di ragionamento o di consapevolezza delle difficoltà conseguenti all’ictus. Circa
un quarto dei soggetti colpiti da ictus presentano deficit generalizzati di grado severo ed anche
nelle forme ad interessamento parziale possono residuare deficit preesistenti.
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.10
Grado D
È indicato sottoporre tutti i soggetti con problemi di comunicazione, cognitivi od emotivi ad una
valutazione neuropsicologica e
comportamentale completa.
368
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
È opinione diffusa che i deficit cognitivi possano influenzare negativamente il processo riabilitativo e che debbano essere ben valutati da personale esperto.27
La valutazione delle menomazioni cognitive e delle manifestazioni comportamentali deve essere in grado di fornire, in un tempo ragionevole, delle informazioni di tipo quantitativo che
consentano un inquadramento del paziente, a livello sia di menomazione sia di disabilità. Tra
le proposte di verifica disponibili in letteratura e recensite in monografie dedicate 4,172 possono essere selezionati alcuni test da includere in uno schema di valutazione (Tabella 14:VI):
• un breve test di screening del funzionamento cognitivo globale, come il Mini Mental State
Examination;173
• un test di linguaggio: purtroppo nessuno degli strumenti standardizzati sviluppati con questa indicazione (esame breve dell’afasia di Vignolo; test di Aachen al letto del malato) ha
una diffusione nazionale. Una valutazione degli aspetti principali del linguaggio deve includere la definizione di fluenza-non fluenza sull’eloquio spontaneo, ed un breve test di denominazione, ripetizione, comprensione uditiva (per uno schema, si veda quello proposto da
Bisiach et al.).174 Un utile complemento è il Profilo di Comunicazione Funzionale di Martha
Taylor Sarno;175
• una valutazione della sindrome di emi-inattenzione: anche in questo caso gli strumenti standardizzati, come il test di Rivermead, non hanno ampia diffusione; una valutazione clinica si
basa su test di barrage, disegno e lettura. Sono disponibili scale di valutazione funzionale;176
• una valutazione dell’aprassia bucco-facciale e ideomotoria (si veda, p.es., Faglioni 1990);177
• una scala di valutazione della depressione, come quella di Zung.178
Tabella 14:VI – Metodi di valutazione cognitivo-comportamentale e riabilitazione
valutazione menomazione
funzionamento cognitivo MMSE
MODA
linguaggio
• test clinici
• test per l’afasia di Aachen
• batteria per l’analisi
del deficit afasico
esplorazione spaziale
• test di barrage
• batteria per l’emiinattenzione
prassie
test clinici
14.3.2.3
Raccomandazione 14.11
Grado D
È indicato definire obiettivi significativi e raggiungibili secondo
una definita sequenza temporale.
Può essere utile la valutazione
dei progressi ottenuti rispetto al
grado di raggiungimento. Gli
obiettivi dovrebbero essere individuati a livello di team ma anche
assegnati per il raggiungimento
alle singole professionalità.
valutazione disabilità
IADL
riabilitazione
–
Profilo di Comunicazione
Funzionale
• tecniche di facilitazionestimolazione;
• terapie neurolinguistiche;
terapie pragmatiche
scala di valutazione funzionale training esplorazione visiva
ADL, IADL
training attività della vita
quotidiana
Criteri e definizione degli obiettivi a breve e lungo termine
La gestione per obiettivi in riabilitazione è pratica comune e riguarda diverse problematiche,21,179-182 comprendenti anche l’ictus.183 Fra gli estensori delle linee guida del Royal College
of Physicians (London) è stato prodotto un consenso di opinioni sul fatto che gli obiettivi debbano essere significativi e plausibili, che debbano coinvolgere il paziente e la famiglia, se necessario, che debbano essere posti sia dal team che dal singolo medico curante e che debbano
essere di riferimento per giudicare i progressi dovuti all’attività riabilitativa.27
La definizione degli obiettivi è basata sulle caratteristiche del bilancio, sull’aspettativa in termini prognostici, sulle caratteristiche operative della struttura assistenziale e sulle esigenze
pratiche del paziente. In generale gli obiettivi di base sono correlati al raggiungimento di un
quadro soddisfacente di autonomia nelle attività della vita quotidiana e, successivamente, se
possibile, al recupero delle abilità che condizionano lo svantaggio personale sociale ed economico. Nei casi più gravi gli obiettivi del trattamento sono rappresentati dal contenimento della
richiesta di assistenza per le attività della vita quotidiana, così come sono espresse nella scala
di autonomia.4 Sia gli obiettivi a breve termine che quelli a lungo termine dovrebbero essere
correlati a tempi di realizzazione stimati al momento della formazione del progetto. Nella stessa epoca dovrebbero essere programmati i tempi delle verifiche in itinere ed i criteri per l’ottimizzazione del paziente.
Nel progetto individuale gli obiettivi a lungo termine devono essere sempre considerati, ma è
di fondamentale importanza l’elaborazione di un piano di trattamento compatibile con le reali
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
369
possibilità di recupero del paziente, che preveda strategie di trattamento volte al raggiungimento, in primo luogo, di obiettivi più immediati, che in modo gerarchico consentano l’eventuale raggiungimento di obiettivi futuri.
14.3.2.4
Identificazione delle priorità (logiche e temporali) nel piano di assistenza
Gli obiettivi dell’assistenza nella fase acuta dell’ictus comprendono elementi in grado di
influenzare direttamente l’esito clinico, in termini di disabilità residua, senza incidere sulla
lesione cerebrale o sulle condizioni generali (intese come comorbosità e complicanze).
L’identificazione delle priorità del trattamento riabilitativo è condizionata dalle caratteristiche
del bilancio e dalla gerarchia funzionale delle prestazioni che caratterizzano un recupero
anche parziale dell’autonomia.
In linea generale si può osservare che in ambito motorio la verticalizzazione rappresenta un
obiettivo motorio di base rispetto al recupero del cammino, così come il ripristino dell’attenzione è fondamentale per ogni programma di apprendimento di nuove prestazioni e, infine,
una sufficiente motivazione è indispensabile per ottenere la collaborazione del paziente nella
pratica riabilitativa.
Raccomandazione 14.12
❊GPP
Nella pianificazione dell’intervento riabilitativo è indicato definire
le priorità di trattamento in ragione della gerarchia funzionale del
recupero dell’autonomia e delle
necessità assistenziali.
Altri criteri di priorità possono essere dettati da fattori individuali quali la necessità di incrementare l’abilità motoria negli spostamenti dal proprio domicilio per acquisire autonomia,
oppure raggiungere sufficienti abilità di comunicazione per richiedere la collaborazione di
familiari poco sensibili alle esigenze del paziente.
Costituiscono obiettivi a lungo termine gli esiti di maggior rilievo ipotizzabili e desiderati dal
paziente, quali ad esempio il ritorno a svolgere l’attività lavorativa, praticare attività ludico
sportive specifiche, ricoprire ruoli sociali in qualità di dirigente. Essi, per loro natura, possono essere realizzabili solo nei casi in cui si ottiene un buon recupero dell’autonomia nelle attività della vita quotidiana.
Esempi di obiettivi a breve termine sono il mantenimento della posizione seduta senza sostegno prima del raggiungimento della stazione eretta o la sicurezza negli spostamenti in previsione della dimissione a domicilio, in cui la disponibilità di assistenza è di un unico caregiver.
Le caratteristiche principali degli obiettivi a breve e medio termine sono le seguenti:184
• basati sulle reali capacità di recupero;
• quantificabili mediante appropriate misure di esito clinico;
• stabiliti dal team riabilitativo come tappe intermedie dell’obiettivo finale;
• concordati con il paziente o con il suo caregiver;
• raggiungibili in poche settimane;
• non necessariamente confinati ad una specifica attività professionale.
Riguardo quest’ultimo punto è necessario specificare che per il raggiungimento di ogni singolo obiettivo può essere necessario un impegno specifico da parte di una particolare figura professionale, ma il programma prevede la partecipazione di tutti i membri del team. Il recupero
del linguaggio, per esempio, richiede la somministrazione di un programma specifico da parte
della logopedista, ma quest’ultima spesso coinvolge anche gli altri operatori quali infermieri, i
terapisti ed i familiari.
14.3.2.5
Intervento del team interdisciplinare
I diversi operatori coinvolti nel processo sanitario della fase acuta perseguono obiettivi specifici della fase precoce dell’assistenza e terminano il loro compito quando questi sono stati raggiunti. Ad esempio, quando sono superati i tempi che portano alla stabilizzazione della lesione cerebrale ed al contenimento del rischio di morte correlato alla condizione di acuzie dell’ictus, i programmi clinici sono rivolti ad altri obiettivi, quali la limitazione delle complicanze
e il potenziamento dell’autonomia. Di conseguenza cambiano (quantitativamente) anche le
competenze specialistiche e professionali coinvolte.
Il progetto riabilitativo è responsabilità diretta del medico specialista di medicina riabilitativa,
che coordina il team che ha in carico il soggetto con ictus, ed alla cui collaborazione partecipano, contemporaneamente od a tempi diversi, vari professionisti sanitari, diversi specialisti
d’organo, il medico di medicina generale e professionisti esperti degli aspetti sociali. Il semplice coordinamento dei vari interventi professionali non è tuttavia sufficiente, occorre che il
team riabilitativo sia una struttura stabile con regole condivise.33,185 È inoltre cruciale prostesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.13
Grado C
È indicato che il progetto riabilitativo sia il prodotto dell’interazione tra il paziente e la sua
famiglia ed un team interprofessionale, coordinato da un esperto
nella riabilitazione dell’ictus. Il
team deve riunirsi periodicamente per identificare i problemi attivi, definire gli obiettivi riabilitativi
più appropriati, monitorare i progressi e pianificare la dimissione.
370
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
muovere riunioni formali del team a cadenza periodica per identificare i problemi attivi del
paziente, porre gli obiettivi riabilitativi, registrare i progressi e pianificare la dimissione dalle
strutture di degenza. Tali riunioni sono consigliate dalle linee guida SIGN ogni settimana e
costituiscono un punto di forza dell’efficacia riabilitativa della stroke unit.26
Il medico di medicina generale riprende in cura il paziente dopo l’evento acuto e ne sorveglia
il ritorno in ambiente domestico.186,187 In questa fase, l’intervento riabilitativo si orienta verso
il mantenimento o il miglioramento della autonomia nelle attività di vita quotidiana, semplici
e complesse (anche attraverso interventi di terapia occupazionale)188 e verso il raggiungimento
del miglior livello di partecipazione sociale consentito dalla malattia. In questo contesto diventa fondamentale l’educazione dei familiari e il sostegno sociale al reinserimento nella famiglia
e nella società;20,189 è necessario quindi il coinvolgimento di figure quali le assistenti sociali e
gli educatori nonché di strutture istituzionali quali ad esempio i Servizi Inserimento Lavoro.
14.3.2.5.1 Valutazione delle risorse assistenziali necessarie e sviluppo del programma settimanale
di trattamento intensivo ed estensivo
Raccomandazione 14.14
❊GPP
Con il paziente e la famiglia occorre concordare un progetto individualizzato che definisca la
prognosi, le aspettative e le priorità del paziente e dei suoi familiari.
È indicato vagliare la disponibilità
di risorse destinate a tutta la
durata del recupero, prima della
proposta di programmi riabilitativi, onde accertarne la fattibilità.
Al fine di garantire a tutti i soggetti assistiti un’idonea funzione di supporto ed un’effettiva realizzazione del progetto individuale che consenta il maggior recupero funzionale ipotizzabile, è
necessario considerare la disponibilità e l’organizzazione degli spazi, del lavoro e delle modalità operative di tutta la struttura. Essa può comprendere tutto il percorso ospedaliero di chi
ha subito un ictus, sia nella fase di acuzie sia di stabilizzazione e di riabilitazione, oppure possono essere considerate diverse strutture ospedaliere e territoriali dedicate alla riabilitazione.
Nella costruzione di questo progetto, che deve valutare anche la necessità che esso si sviluppi
in regime di ricovero, ambulatoriale o totalmente domiciliare,190 tutte le professionalità coinvolte nelle varie fasi concorrono, nell’ambito di un team, alla definizione ed al raggiungimento degli obiettivi assistenziali specifici,191,192 in modo che gli obiettivi siano comuni senza che
i vari trattamenti, erogati da singoli operatori, siano in contrasto fra loro. La composizione dell’équipe ed il ruolo di ogni componente deve essere specificato nel progetto riabilitativo.
Occorre stabilire anche la strategia complessiva del piano sia rispetto alla possibilità di compensazione che rispetto alla ripresa della funzione deficitaria. Possiamo schematizzare, in funzione anche delle differenti richieste di risorse (ad esempio l’utilizzo di ortesi, ausili od interventi farmacologici o chirurgici), tre approcci:
• la facilitazione mirata al potenziamento delle prestazioni esistenti;
• la compensazione destinata alla sostituzione della capacità compromessa con altre prestazioni, in maniera da ripristinare l’autonomia nelle attività della vita quotidiana;
• l’apprendimento di specifici compiti motori adattati al contesto.
La facilitazione, mirata al miglioramento della destrezza motoria e dell’integrazione sensomotoria, è basata sull’esecuzione di specifici esercizi mediante le sedute di riabilitazione, integrate da un costante allenamento durante le altre ore della giornata; essa, di conseguenza,
richiede la disponibilità di terapisti e la possibilità di collaborazione con paziente e famiglia.
Non ci sono sicure evidenze che l’utilizzazione del bio-feedback, della stimolazione elettrica
funzionale, di esercizi isometrici, aggiunga vantaggi al trattamento di attivazione motoria
espletato routinariamente.
Raccomandazione 14.15
Grado D
Nel contesto di un progetto riabilitativo comprendente tecniche
compensatorie è indicato prevedere la possibilità di utilizzare
presidi, quali ortesi ed ausili, verificandone la possibilità di impiego da parte del paziente.
Le tecniche compensatorie sono mirate al recupero di abilità compromesse dalle ridotte prestazioni conseguenti alla lesione cerebrale. Esse consistono nell’apprendimento di strategie
mirate a recuperare l’autonomia anche con l’uso di ausili ed ortesi. La prescrizione di ausili va
vista come un atto che si inserisce nel programma di recupero dell’autonomia e non come la
fornitura di attrezzi, magari non utilizzati, in quanto il paziente ne ha diritto.8 Ad esempio, la
tipologia della carrozzina da prescrivere ad un paziente con prospettive di recupero del cammino è diversa da quella per un paziente la cui prognosi al riguardo è negativa. Da ciò consegue che la compilazione del modulo prescrizione ausili è l’atto finale di un processo di valutazione effettuato dal medico specialista in medicina riabilitativa e del fisioterapista e non un
atto amministrativo su cui il medico appone la propria firma. Analogamente, il collaudo degli
ausili non è un atto formale, ma la verifica che quanto previsto corrisponda effettivamente alle
esigenze riabilitative del paziente e non semplicemente che i codici e/o i materiali siano consoni alla prescrizione iniziale.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
371
È opportuno sottolineare l’importanza di centri di riferimento per la valutazione degli ausili,
da utilizzarsi per le situazioni più complesse, ad esempio per quanto concerne gli ausili per la
comunicazione, o per consentire la ripresa di attività lavorative. Detti centri devono disporre
di banche dati aggiornate sugli ausili e sulle disposizioni legislative nonché di personale (fisioterapisti, terapisti occupazionali) con preparazione specifica, in grado di affiancare il team
nella valutazione globale delle esigenze del singolo paziente. Nell’ambito del team devono
essere disponibili le competenze per affrontare, su segnalazione ed in collaborazione col medico di medicina generale, i problemi posti dal superamento delle barriere architettoniche e, più
in generale, le modifiche all’abitazione per rendere possibile il massimo grado di autonomia
del paziente.
Gli approcci basati sull’apprendimento motorio educano il paziente all’adattamento ad uno
specifico contesto ambientale superando le difficoltà legate alla situazione specifica. I vantaggi ottenuti non possono essere trasmessi ad altre condizioni.
Un approccio particolarmente intensivo, rappresentato dall’aggiunta di 30 minuti al giorno di
attività riabilitativa per 5 giorni alla settimana e per 20 settimane all’anno, quando applicato
all’arto inferiore, consente di ottenere consistenti vantaggi funzionali in termini di autonomia
nella vita quotidiana e di sicurezza e velocità del cammino. L’effetto di una procedura analoga
sulla destrezza motoria dell’arto superiore appare significativo ma di scarsa entità e documenta l’impossibilità di generalizzare gli effetti se l’obiettivo del trattamento è confinato ad un singolo arto. Occorre però sottolineare che i vantaggi documentati da Kwakkel e coll. sono stati
ottenuti in una frazione molto contenuta di soggetti ricoverati per ictus e che recenti revisioni
documentano un effetto molto debole dell’intensità del trattamento sull’esito finale.30,193,194
14.3.2.5.2 Programmazione dei tempi di verifica e revisione del progetto
I tempi di verifica possono essere stabiliti in base a diversi criteri: infatti la verifica può essere
programmata a scadenza fissa (giorni o settimane trascorsi dal precedente controllo) oppure
si procede sulla base delle esperienze analoghe degli operatori attraverso la raccolta di indicatori od infine in relazione al raggiungimento di un obiettivo parziale. Quest’ultimo approccio
si basa fondamentalmente sulle regole della pianificazione della qualità che codificano la
sequenza: pianificazione, esecuzione, verifica e generalizzazione/revisione (ciclo PDCA di
Deming). In questo caso diviene essenziale la formalizzazione dei criteri e la documentazione
delle decisioni, ne consegue l’opportunità di instaurare un sistema qualità. L’efficacia della
programmazione a tempi fissi del bilancio funzionale è stata documentata da Wade 166 e da
Wikander.165
Nel contesto generale dell’attenzione all’efficacia, efficienza ed appropriatezza degli interventi, deve essere posto particolare riguardo alla verifica dell’intervento mirato all’incremento dell’autonomia. A questo proposito è fondamentale valutare due indicatori generali che giustificano l’utilizzo di risorse destinate alla riabilitazione: i risultati ottenuti ed i mezzi adoperati per
assicurare la qualità del processo riabilitativo.
La valutazione dell’efficienza, cioè del raggiungimento degli obiettivi col minor uso di risorse,
dovrebbe fondarsi sull’utilizzo di strumenti internazionali di cui sono note validità, affidabilità ed accuratezza. Ovviamente il raggiungimento degli obiettivi deve essere misurato con criteri obiettivi e possibilmente parametrici od almeno ordinali. È sicuramente da bandire la
costruzione di nuove scale ad hoc da parte dei singoli centri in quanto non è possibile garantire l’accuratezza e l’applicabilità in situazioni diverse da quelle che le hanno originate. Inoltre
l’utilizzo di scale personali contrasta con la necessità di utilizzare strumenti comuni, validati e
di applicazione diffusa.
La FIM è probabilmente lo strumento più diffuso per la valutazione del danno funzionale
indotto da malattie neurologiche. Tra i vantaggi di questa scala, oltre alla validità e affidabilità
più volte verificata in Paesi e contesti clinici diversi, c’è la disponibilità di una banca dati di
riferimento. La consultazione ed il confronto con i dati contenuti in questa banca permette di
identificare scostamenti “anomali” rispetto a quanto previsto dalla distribuzione di frequenza
dei singoli item, anche specificamente per la realtà italiana. La corretta applicazione dello strumento è garantita dalla disponibilità di procedure standard per la formazione e la certificazione degli operatori.10
Per quanto concerne il controllo della qualità durante l’erogazione del servizio, che costituisce
la seconda e più importante necessità, anche in questo caso occorre evitare l’improvvisazione
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.16
Grado D
È indicato programmare controlli
longitudinali destinati alla verifica
del raggiungimento degli obiettivi
sulla base della previsione del
tempo necessario all’ottenimento
dei risultati attesi e valutare l’autonomia raggiunta dal paziente
nelle attività della vita quotidiana
utilizzando una scala validata
(Indice di Barthel o Functional
Independence Measure [FIM]).
Raccomandazione 14.17
❊GPP
Per migliorare qualità, efficienza
ed appropriatezza dell’intervento
riabilitativo è indicata l’adozione,
da parte del servizio, di un sistema di verifica e revisione della
qualità (VRQ) e, se possibile, di
procedure che portino alla certificazione ISO o di procedure di
Accreditamento.
372
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
ricorrendo a metodologie già collaudate. Operando in questo modo, infatti, il processo sarà
certificato con scadenze predefinite, utilizzando metodiche validate per il settore dei servizi.
Per esempio, l’applicabilità in campo medico delle normative ISO (International Standards
Organization) 9000 è documentata dalle linee guida per la riabilitazione dei soggetti colpiti da
ictus adottate negli Stati Uniti,195 dalle certificazioni di numerosi servizi ospedalieri e di alcuni Dipartimenti di Riabilitazione. Accanto alla certificazione ISO sono da incoraggiare le
metodologie che rientrano nell’ambito della Verifica e Revisione di Qualità (VRQ) o dei sistemi di Accreditamento, che possono completare il miglioramento continuo della qualità.
14.3.2.5.3 Coinvolgimento del paziente nella stesura del progetto
Raccomandazione 14.18
Grado B
È indicato fornire informazioni
che tengano conto dei bisogni di
ogni persona; tali informazioni
devono essere disponibili ai
pazienti ed alle loro famiglie nelle
modalità più agevoli per la loro
comprensione. Al fine di facilitare
l’assistenza, ai soggetti malati ed
ai loro assistenti dovrebbero
essere offerti programmi educativi che facilitino la loro collaborazione nelle azioni di recupero
Molti lavori hanno sottolineato l’importanza di ottenere non solo la collaborazione del paziente, bensì di raggiungere un ruolo attivo del paziente e dei suoi familiari nel processo di recupero. In particolare, alcuni studi controllati documentano l’efficacia del supporto familiare
nella riabilitazione post-ictus.196-198 Tale coinvolgimento può essere enfatizzato dalle associazioni di volontariato, che possono anche far ricorso ad operatori professionali.199,200 A questo
proposito è fondamentale avere presente quali potrebbero essere i cambiamenti nelle attività
quotidiane indotti dalle disabilità conseguenti all’ictus 201 dopo il ritorno del paziente a domicilio. In questo modo diviene possibile prospettare gradualmente al paziente la necessità di
accettare le modificazioni indotte dalle conseguenze dell’ictus nella propria vita e “contrattare” con lui gli obiettivi del progetto riabilitativo. Più recentemente è stato ulteriormente enfatizzato il ruolo dell’addestramento del caregiver. Questo permette un abbassamento dei costi,
un migliore esito psicosociale e un miglioramento della qualità della vita del caregiver e del
paziente.202,203 Anche il supporto educativo ed il counselling migliorano l’accettazione delle
conseguenze dell’ictus da parte di paziente e coniuge.204
Negli Stati Uniti la National Stroke Association,1 con il supporto di consulenti scientifici, ha realizzato un manuale dedicato ai pazienti ed ai familiari, nel quale sono trattati i seguenti aspetti:
• informazione sulle caratteristiche della malattia e sulle sue conseguenze;
• prospettive e speranze per il futuro;
• aspettative dopo la dimissione dall’ospedale;
• servizi di supporto a domicilio;
• alternative alla gestione da parte della famiglia per le necessità quotidiane;
• adattamento delle strutture domiciliari alla nuova realtà;
• problemi emozionali e capacità di trovare soluzioni;
• approccio ai problemi cognitivi e di comunicazione;
• potenziamento delle capacità di mangiare, dell’igiene e di spostamento;
• partecipazione alle attività lavorative abituali.
In Italia, materiale di questo tipo è ancora scarsamente disponibile su scala nazionale anche se
una maggiore diffusione delle associazioni dei pazienti e delle loro famiglie sta portando allo
sviluppo di strumenti quali opuscoli divulgativi. Tuttavia deve essere tenuto distinto il livello
informativo del materiale “laico” dal livello “professionale” di informazione-interazione fra
paziente e team riabilitativo. La richiesta di ausili ad esempio non può essere un atto autonomo del paziente, o peggio demandato ai familiari, come se fosse un diritto amministrativo e
non parte del progetto riabilitativo.
Comunicazione e coinvolgimento dei familiari
Deve essere garantita ai familiari del paziente la possibilità di incontri formali in cui vengano
illustrati e discussi:
• il progetto riabilitativo e la collaborazione richiesta ai familiari per portarlo a termine;
• le possibili soluzioni di problemi di più frequente riscontro nella gestione domiciliare del
paziente;
• le risorse fornite dall’istituzione (ADI, trasporto per day hospital e/o ambulatorio);
• le modalità di attivazione delle suddette risorse, mettendoli in contatto con chi le coordinerà;
• le tecniche per aiutare gli spostamenti e tutte quelle indicazioni atte a favorire l’autonomia
del paziente.
Questa tipologia di intervento richiede un coordinamento delle varie figure professionali, che
in tempi e momenti diversi vengono quindi ad essere coinvolti: gli specialisti dell’ospedale e
del territorio, il medico di medicina generale, il fisioterapista, l’infermiere e l’assistente sociale. È fondamentale che la comunicazione alla famiglia avvenga attraverso un singolo responstesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
373
sabile (che può anche non essere lo stesso durante le successive fasi del progetto riabilitativo)
cui tutti i membri del team fanno capo per lo scambio di informazioni onde evitare la frammentazione delle informazioni che può portare alla disinformazione senza che gli operatori lo
vogliano o se ne accorgano.
L’informazione ed il supporto offerto alla famiglia del soggetto che ha subito un ictus migliora la partecipazione dei familiari e la loro qualità di vita, ma non incide significativamente sulle
condizioni del paziente. Il contributo strumentale e la loro stabilità emotiva favorita dal supporto assistenziale fornito dai familiari possono avere ripercussioni favorevoli sul recupero.141,196 In questo contesto può assumere importanza la presenza di gruppi di supporto.205
Piano di dimissione
L’efficienza del trasferimento dall’assistenza ospedaliera od istituzionale, a quella territoriale è
garantito da un’adeguata relazione di dimissione, la quale dovrebbe fornire informazioni complete sulle condizioni cliniche e neurologiche del paziente, il grado e i tempi del recupero
durante la fase acuta e le raccomandazioni relative ai trattamenti medici e riabilitativi futuri.46,206 L’efficace informazione rivolta soprattutto a chi si occuperà in futuro dell’assistenza è
un fattore determinante per la continuità dell’assistenza stessa. Una revisione Cochrane dedicata alla dimissione precoce dalla sede ospedaliera documenta come la trasmissione delle
informazioni consenta di realizzare un’adeguata continuità assistenziale.207 A tale proposito, il
collegio dei terapisti occupazionali inglesi (Occupational Therapy College) raccomanda la visita degli operatori a casa del paziente per garantire un sufficiente adattamento strutturale.208
Un solo operatore sanitario (“case manager”, che spesso dopo le dimissioni dalla struttura di
riabilitazione – per scelta, necessità od opportunità – è il medico di medicina generale)
dovrebbe coordinare l’intero piano dei servizi territoriali necessari.20 Molte indagini documentano, infatti, che i pazienti che sono stati vittima di un ictus dovrebbero ricevere un’assistenza coordinata fra le diverse figure professionali, che garantisca un’adeguata integrazione
fra le attività della fase di emergenza e del trattamento intensivo, ed i servizi dedicati alla fase
di recupero delle abilità ed al ripristino del ruolo familiare e sociale.8,9,20,186,209
14.3.2.5.4 Contenuti delle comunicazioni indirizzate alle altre strutture sanitarie coinvolte
e preparazione della relazione di progetto riabilitativo
Mentre la realizzazione di una prognosi riguardante la sopravvivenza e la sua comunicazione
al paziente ed ai familiari è il compito proprio dello specialista clinico, le prime previsioni sull’autonomia nella deambulazione e la ripresa motoria degli arti basata sulla perdita di coscienza all’esordio dell’ictus, sulla rapidità di aggravamento del deficit e sul recupero dell’attività
motoria, talora già al termine della prima settimana,210 possono essere fornite dal team riabilitativo assieme alla formulazione di un’ipotesi sull’ambito riabilitativo più idoneo al soggetto
curato e sulle modifiche potenzialmente necessarie per adattare la residenza abituale alla vita
del paziente sopravvissuto all’ictus. Va comunque considerata l’influenza sulla prognosi riabilitativa dei fattori ambientali e della disponibilità di servizi riabilitativi dopo la fase postacuta.211 È importante sottolineare come i problemi relativi all’alimentazione, al controllo sfinterico, al possibile sviluppo di danni secondari quali la sindrome spalla-mano o le cadute dal
letto devono essere affrontati precocemente da parte del team riabilitativo che ne incorporerà
la gestione nel contesto del piano riabilitativo iniziale.
Ne consegue che al momento del passaggio dalla struttura per acuti a quella riabilitativa le
informazioni dovrebbero comprendere i seguenti aspetti:
• situazione clinica precedente l’ictus (ipertensione e dislipidemie, diabete, cardiopatie,
pneumopatie, patologia muscoloscheletrica, ...);
• situazione clinica al momento del trasferimento (obiettività neurologica, patologie concomitanti, terapie farmacologiche);
• tipologia della lesione (natura ischemica od emorragica, localizzazione anatomica);
• documentazione strumentale (copia delle indagini diagnostiche per immagini, esami di
laboratorio);
• informazioni relative alla gestione dell’assistenza (soddisfazione bisogni, ulcere da pressione, gestione cateteri);
• copia dei referti di visite specialistiche;
• nel caso di passaggio ad un team riabilitativo diverso da quello operante nella struttura:
relazione riabilitativa da parte del team stesso.
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.19
Grado D
Nel piano di dimissione dalla
struttura ospedaliera dopo la fase
acuta, è indicato fornire alle
strutture (ospedaliere o territoriali) che accoglieranno il paziente,
una stima della prognosi funzionale e tutte le informazioni utili
alla continuità assistenziale.
374
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Similmente, al momento della dimissione dalla struttura riabilitativa con presa in carico da
parte delle strutture territoriali (ad es. ADI) la relazione di dimissione deve comprendere, oltre
alle informazioni sugli aspetti legati alla lesione, anche la relazione dell’équipe riabilitativa con
l’ipotesi prognostica sulla disabilità e le indicazioni per il proseguimento del piano riabilitativo.
14.3.2.6
Sintesi 14-15
Per quanto riguarda il ruolo dei
farmaci nel processo di riabilitazione, è in corso di valutazione
l’azione di alcuni farmaci che
potrebbero potenziare le attività
finalizzate al recupero dopo un
ictus. È altresì da valutare accuratamente il possibile effetto
negativo che alcuni farmaci
hanno sul processo di recupero.
Ruolo dei farmaci
Nel corso degli ultimi anni si è cercato di discriminare l’azione dei farmaci potenzialmente
coinvolti nel recupero funzionale post-ictale. Le indagini sono state rivolte sia alle sostanze
teoricamente in grado di ostacolare la riorganizzazione funzionale post-lesionale sia ai farmaci potenzialmente capaci di incrementare il grado di recupero di singole prestazioni.
Alcune segnalazioni condotte su piccole serie di pazienti o derivate da studi sperimentali indicano che farmaci ad azione noradrenergica, quali amfetamine e dopamino-agonisti in combinazione con trattamenti riabilitativi, possono favorire il recupero di prestazioni motorie, percettive o linguistiche probabilmente riducendo la diaschisi.212-215 In senso opposto, antagonisti dopaminergici quali le fenotiazine, agonisti gabaergici quali le benzodiazepine ed alcuni
anticonvulsivanti quali il fenobarbital e la dintoina possono inibire il recupero incrementando
la diaschisi e sopprimendo il fenomeno del potenziamento a lungo termine.216,217
Un’esperienza condotta su un piccolo gruppo di soggetti ha documentato un’efficacia del
metilfenidato nel miglioramento dell’esito clinico.218
A fronte di tale esperienza alcuni studi non hanno mostrato effetti positivi con l’uso delle amfetamine;215,219-222 in effetti una recente revisione Cochrane non ha potuto trarre conclusioni definitive sull’utilità o meno di tale trattamento.223 È stata segnalata, anche se solo in un singolo
studio, un’azione positiva della L-dopa sul recupero.224 Una revisione Cochrane 225 ha mostrato una possibile efficacia del piracetam nell’influenzare positivamente l’evoluzione dell’afasia.
Del tutto recentemente è stata ipotizzata un’azione favorevole della fluoxetina nel recupero
motorio, indipendentemente dall’esistenza di depressione conseguente ad ictus.226,227 Tale
segnalazione ha motivato la programmazione di alcune ricerche cliniche i cui risultati saranno
disponibili prossimamente.
Tali presupposti non consentono di proporre al momento farmaci psicostimolanti o dopaminergici nell’uso routinario.
14.4
L’APPLICAZIONE
DEI TRATTAMENTI RIABILITATIVI
Questa sezione riguarda l’organizzazione e la realizzazione dell’approccio riabilitativo, identificato sia nelle caratteristiche generali sia per gli aspetti specifici.
Raccomandazione 14.20
Grado A
È indicato che gli operatori attivi
nei servizi dedicati ai soggetti
colpiti da ictus, siano competenti
sia nei trattamenti specifici delle
malattie cerebrovascolari che
nella riabilitazione, sia a livello
dell’ospedale che del territorio,
utilizzando protocolli concordati
di trattamento, programmi informativi e di aggiornamento per gli
operatori sanitari, i malati ed i
caregiver.
Raccomandazione 14.21
❊GPP
È indicato che i servizi dedicati
alle malattie cerebrovascolari
tengano particolarmente conto
delle specifiche esigenze assistenziali dei soggetti colpiti da
ictus nelle varie fasce d’età.
Le informazioni contenute consentono di rispondere ai quesiti inerenti il tempo, la durata, i protagonisti e le modalità di un trattamento finalizzato al recupero funzionale.
La collocazione temporale delle attività illustrate nella sezione riguarda situazioni cliniche che
vanno dalla fase acuta al trattamento a lungo termine. In quest’ultimo ambito l’approccio riabilitativo si integra con la continuità assistenziale.
Tutto il team dedicato all’assistenza riabilitativa è, in primo luogo, coinvolto nelle attività illustrate
nella sezione. Essa però fornisce spunti interessanti sia al medico di medicina generale coinvolto
nell’accesso alle strutture riabilitative che alla stessa utenza dei servizi dedicati alla riabilitazione.
Le proposte contenute nella sezione fanno riferimento ai soggetti con disabilità unica o multipla
conseguente all’ictus.
14.4.1
Caratteristiche generali degli interventi riabilitativi
Secondo le esperienze acquisite dalle unità assistenziali dedicate all’ictus, la presa in carico del
paziente in fase acuta è oggi efficace se offerta da un team interprofessionale competente e
dedicato, che operi secondo protocolli condivisi, combinando nella stessa struttura il trattamento di ordine internistico e quello riabilitativo, curando nel frattempo il coinvolgimento del
paziente e della famiglia e la propria continua formazione.12,25,31,228,229 Secondo le linee guida
nazionali inglesi, redatte dal Royal College of Physicians, l’offerta assistenziale dedicata ai soggetti colpiti da ictus nell’arco dei sei mesi successivi dovrebbe riguardare un’area geografica
ben definita, intervenendo sia nell’ambito ospedaliero sia territoriale, dovrebbe essere basata
su di un team multidisciplinare e multiprofessionale coordinato, con competenze acquisite sia
nel campo dell’ictus che della riabilitazione, che attivi programmi di formazione ed aggiornastesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
375
mento per gli operatori sanitari, i pazienti e coloro che si prendono cura dei soggetti colpiti da
ictus e protocolli condivisi per i problemi assistenziali più comuni.
In particolare viene sottolineato che i servizi dedicati ai soggetti colpiti da ictus debbono saper
riconoscere le particolari esigenze internistiche, riabilitative e sociali dei pazienti più giovani e
predisporre un ambiente adatto ai loro bisogni.230
In fase acuta, il valore assistenziale non è determinato dai singoli interventi professionali degli
operatori della riabilitazione (fisioterapista, logopedista o terapista occupazionale),10 quanto
dalla precocità delle risposte, dal coordinamento degli interventi, dalla collaborazione e dalla
specializzazione del gruppo di lavoro.151,229
In fase post-acuta si realizzano i programmi rieducativi, fondati su proposte più strutturate di
apprendimento di nuove strategie, volte ad assicurare le prestazioni compromesse dal danno
cerebrale, che devono svolgersi in un contesto pedagogico caratterizzato da:
1. intervento nell’ambito della “zona di sviluppo potenziale”;231,232
2. apprendimento graduale, per livelli progressivi di complessità, sufficientemente lento da
garantire correttezza e sicurezza, gratificante nel raggiungere obiettivi prefissati;
3. istruzioni formulate mediante messaggi efficaci;
4. rinforzo del comportamento appreso (feed-back fornito dalla conoscenza della performance
e del risultato);
5. compiti congruenti alle abilità che si intendono recuperare;
6. recupero di abilità e conoscenze che influenzino positivamente l’attività abituale del paziente;
7. ripetizione autonoma delle prestazioni apprese
8. descrizione delle sensazioni percepite dal paziente durante il trattamento (che cosa sente e
che cosa prova durante l’esercizio, in particolare l’esercizio di riconoscimento).233
In fase acuta la lesione cerebrale non è stabile, e subisce l’influenza di ipossia, variazioni della
pressione arteriosa,234 temperatura, glicemia;235 oltre a ciò, è documentata una risposta a stimolazioni senso-motorie e cognitive, dato che alcune indagini strumentali rivelano modificazioni del sistema nervoso centrale del soggetto adulto in seguito all’esercizio, in fase sia
acuta 236 sia cronica.237,238 Ad esempio Cicinelli et al.239 hanno documentato modificazioni di
potenziali evocati motori in due piccoli gruppi di pazienti sottoposti a metodiche riabilitative
differenti (Bobath vs. esercizio terapeutico conoscitivo secondo Perfetti).
14.4.2 Obiettivi a breve e lungo termine
La definizione degli obiettivi è basata sui dati raccolti con la valutazione, sull’aspettativa in termini prognostici, ossia sulla previsione di modificabilità, sulle caratteristiche operative della
struttura assistenziale e sulle esigenze pratiche del paziente, della famiglia e dell’ambiente.
In generale gli obiettivi di base puntano ad una soddisfacente autonomia nelle attività principali della vita quotidiana e successivamente, se possibile, al recupero di abilità che permettano di contenere o superare lo svantaggio sociale ed economico.
Nei casi più gravi, gli obiettivi del trattamento sono rappresentati dal contenimento della
richiesta di assistenza per le attività della vita quotidiana, così come sono espresse nelle scale
di autonomia.4
Convenzionalmente si definiscono obiettivi a breve termine quelli raggiungibili in pochi giorni e obiettivi a medio termine quelli raggiungibili entro poche settimane.
Come già espresso in precedenza, le caratteristiche degli obiettivi a breve e medio termine possono essere elencate come segue:184,240
• basati sulle reali capacità di recupero;
• quantificabili mediante misure di esito clinico, preventivamente individuate;
• stabiliti dal team riabilitativo;
• concordati con il paziente o con il suo caregiver;
• non necessariamente confinati ad una specifica attività professionale (un singolo obiettivo
impegna una determinata figura professionale, ma il programma può prevedere una partecipazione più estesa);
• correlati a tempi di realizzazione stimati al momento della formazione del progetto;
• basati sull’impiego di strumenti terapeutici predeterminati da utilizzare per il loro conseguimento;
• affidati a responsabili ben individuati.
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.22
Grado D
È indicato valutare i risultati del
processo assistenziale, rispetto al
progetto riabilitativo ed agli obiettivi a breve e lungo termine, relativamente all’attività sia dell’intero team, che dei singoli operatori
professionali.
376
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Ciò che ci si impegna ad ottenere attraverso il trattamento sarà oggetto dell’accordo terapeutico, in particolare i diversi livelli di modificazione delle funzioni considerate, dovranno essere descritti in modo semplice, comunicabile, misurabile, esplicitando come era il soggetto
prima e come ci si attende che divenga subito dopo il trattamento.241 Le procedure sono condivise, registrate (cartella riabilitativa integrata), e verificate nel tempo.240
Gli obiettivi a breve termine,242 in ambito motorio come in ambito cognitivo, sono i prerequisiti fondamentali per l’acquisizione di competenze evolute. Esempi di tali obiettivi, in
ambito motorio, sono l’acquisizione del controllo del carico intorno alla linea mediana da
seduto e poi da eretto, nei riguardi del cammino,243 mentre in ambito cognitivo può essere
indicato il ripristino dell’attenzione per l’apprendimento di nuove prestazioni ed una sufficiente motivazione a collaborare nella pratica terapeutica. L’influenza dell’ambiente a questo
livello, richiama la necessità di coltivare un’atmosfera terapeutica.244,245
Costituiscono obiettivi a lungo termine gli esiti relativi all’autonomia e alla partecipazione
sociale, prevedibili e desiderati dal paziente, con riferimento alla situazione dopo la dimissione. Tali esiti possono essere definiti come “esito globale”, cioè relativo al complesso degli
interventi riabilitativi effettuati per una data persona. Gli obiettivi a lungo termine relativi alla
partecipazione e al reinserimento sociale (recupero dello status e ruolo sociale precedente,
ritorno alla attività lavorativa e/o alle attività del tempo libero) in genere (ma non obbligatoriamente) vengono perseguiti qualora il paziente raggiunga un certo livello di autonomia nelle
attività di base della vita quotidiana (basic ADL).
Sintesi 14-16
La condizione di immobilità e le
limitazioni funzionali che si realizzano nella fase acuta dell’ictus
possono indurre un danno secondario e terziario, intesi come
menomazioni strutturali o funzionali che compromettono le possibilità di recupero.
Raccomandazione 14.23
Grado C
Nei primi giorni dopo l’evento
ictale è indicato che gli operatori
della struttura destinata alla fase
di acuzie attuino un protocollo di
intervento che tenga conto di:
stato di coscienza e abilità cognitive, capacità di deglutire, efficienza comunicativa, stato nutrizionale, rischio di decubiti, esigenze del paziente correlate alle
limitazioni motorie.
14.4.3
Ruolo delle variabili dell’assistenza a fini riabilitativi
14.4.3.1
Precocità dell’intervento
Il progetto riabilitativo individuale e i programmi attuativi (dedicati agli obiettivi dell’assistenza riabilitativa) sono preparati, di norma, dopo qualche giorno dall’ictus e sono successivamente verificati nel tempo ed eventualmente modificati a seconda delle caratteristiche della
situazione clinica od ambientale.240 È infatti indicato integrare fin dalla fase acuta l’attività di
prevenzione della disabilità con il programma diagnostico ed il trattamento di emergenza.
Sicure fonti d’efficacia documentano che l’assistenza a fini riabilitativi dell’individuo che ha
subíto un ictus è tanto più efficace quanto più precocemente inizia.11,30,145,246
In particolare, alcuni studi controllati identificano che il contenimento del ritardo di ammissione in strutture riabilitative entro i 30 giorni dall’ictus, consente di ridurre la disabilità. Più
di recente Paolucci et al.154 affermano che un intervallo inferiore a 20 giorni è di per sé un
importante fattore prognostico positivo per il recupero funzionale dopo trattamento riabilitativo. Un altro recente studio italiano ha sottolineato l’importanza della precocità dell’intervento riabilitativo.55
Nello Studio Multicentrico Italiano ICR2,247 la precocità del trattamento è correlata al grado
di disabilità valutato con il Barthel Index, ma non all’epoca del ritorno a casa, come già nello
studio osservazionale di Indredavik et al.151 Il valore del ritardo di ingresso in strutture riabilitative è ridimensionato da recenti osservazioni di Inouye 248 la cui casistica, nonostante la prolungata latenza di ammissione alla riabilitazione, mostrava comunque l’acquisizione di una
notevole autonomia, a fronte di una degenza particolarmente lunga. Ad ogni buon conto, il
recente studio di Musicco 55 supporta l’ipotesi che la precocità dell’intervento, unitamente alle
caratteristiche cliniche e demografiche, influenzino il recupero dopo l’ictus. Appare opportuno sottolineare che l’intervallo di ammissione alle strutture dedicate alla riabilitazione può
essere dovuto a fattori sia organizzativi sia clinici. In quest’ultimo caso, la mancata stabilizzazione del quadro clinico con acquisizione tardiva delle risorse individuali, sia di ordine fisico
che psichico, necessarie al trattamento riabilitativo intensivo, comporta di per sé un rischio di
degenza più prolungata. È infine da sottolineare come le difficoltà organizzative siano minimizzate in caso di unità ictus destinata alla fase acuta integrata con la struttura dedicata alla
fase riabilitativa.
In fase precoce, la coerenza del programma assistenziale, rispetto ai molteplici obiettivi motivati dalla condizione clinica, è più rilevante dello specifico trattamento praticato; in questo
periodo non si possono realizzare proposte rieducative specifiche, ma si attua un approccio
destinato alla prevenzione di danni terziari e di facilitazione del potenziale residuo eventualmente emergente.10,12
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
377
Gli interventi rivolti alla prevenzione della disabilità risultano più efficaci quando realizzati
nelle strutture dedicate alle malattie cerebrovascolari acute.12
La valutazione clinica, realizzata da operatori sanitari con diverse competenze, destinata alla
prevenzione precoce della disabilità dovrebbe essere condotta entro i primi 5-7 giorni dall’ictus, secondo un protocollo concordato nell’ambito del team assistenziale. In genere sono da
verificare alcune attività di base, fin dalle prime 24-48 ore dall’evento, come lo stato di
coscienza e la capacità di deglutire, le caratteristiche generali delle abilità cognitive e le necessità del paziente in relazione alla condizione di immobilizzazione ed alla perdita di capacità di
manipolazione. Altrettanto precocemente va valutato lo stato nutrizionale ed il rischio di decubiti, affinché sia attivato il personale infermieristico che ha in cura il paziente. È infine consigliabile attivare quanto prima il team professionale dedicato alla riabilitazione, preferibilmente entro la prima settimana dall’ammissione alla struttura per acuti.12,249
14.4.3.2
Raccomandazione 14.24
Grado A
Entro la prima settimana dal ricovero è indicato attivare lo staff
cui compete l’assistenza a fini
riabilitativi.
Intensività
Le linee guida del Ministero della Sanità per le attività di riabilitazione (1998)250 distinguono
la degenza intensiva da quella estensiva anche in base al tempo complessivamente dedicato ad
attività direttamente o indirettamente rivolte al recupero ed alla riabilitazione, nella convinzione che patologie disabilitanti più complesse richiedano maggiori risorse. Secondo tali linee
guida, le varie fasi dell’assistenza a fini riabilitativi sono caratterizzate da interventi di riabilitazione che si distinguono in relazione alla loro complessità ed alla quantità di risorse assorbite. Secondo tale criterio si distinguono “attività di riabilitazione intensiva” che richiedono un
elevato impegno professionale ed una durata globale dell’intervento assistenziale a fini riabilitativi di almeno tre ore al giorno, ed “attività di riabilitazione estensiva o intermedia” caratterizzata da un impegno riabilitativo di durata compresa fra una e tre ore giornaliere ed un forte
impegno assistenziale.
È opinione diffusa che la realizzazione di un trattamento rieducativo della intensità massima
che può essere tollerata dal paziente migliori l’esito finale. La durata di tale approccio è variabile nelle diverse condizioni: si parte da 20-40 minuti al giorno,229 mentre negli studi clinici
che hanno coinvolto le stroke unit i pazienti ricevevano in media 45 (range 30-60) minuti di
rieducazione motoria e 40 (30-60) minuti di terapia occupazionale per giorno feriale.12
Naturalmente, la durata del trattamento riabilitativo non appare rilevante in fase acuta,151
quando risulta cruciale l’organizzazione e la collaborazione infermiere-terapista che amplifica
il nursing in ottica riabilitativa, estendendolo a tutta la giornata.
Nelle strutture che accolgono pazienti stabilizzati a fini della riabilitazione intensiva, la durata del trattamento è per la maggior parte determinata dal tipo di menomazione e dall’organizzazione della struttura, meno dallo stato funzionale; i miglioramenti sono correlati debolmente, ma in modo significativo all’intensità del trattamento e alla lunghezza della degenza.251
Di particolare interesse è uno studio randomizzato controllato di Kwakkel et al.194 che prende in considerazione il recupero funzionale dell’arto inferiore: l’aggiunta di 30 minuti al giorno di attività riabilitativa dedicata, per 5 giorni alla settimana per 20 settimane, ha indotto
miglioramenti dell’autonomia nella vita quotidiana, oltre che della sicurezza e della velocità
del cammino.
L’effetto di una procedura analoga sulla destrezza motoria dell’arto superiore è risultato significativo, ma di scarsa entità e senza generalizzazione dell’effetto. Anche altre indagini analoghe hanno mostrato un miglioramento modesto, o temporaneo, ma solo a prezzo di intensità
rilevanti di trattamento.30,193,252-255
L’esperienza specifica dei fisioterapisti dedicati al recupero funzionale dell’arto superiore è
stata valutata da Lincoln et al.,256 in aggiunta alle ripercussioni di una maggiore durata di trattamento: l’indagine non ha documentato differenze significative nell’esito funzionale correlabili alla professionalità dei terapisti od alla durata del trattamento quando erano affrontate
disabilità gravi, mentre, nei casi meno gravi, una maggior intensità e l’impiego di professionisti più esperti giocava un ruolo favorevole sui risultati della terapia.
L’aumento della durata del trattamento riabilitativo ha portato, nello studio di Slade et al.,257
ad una riduzione della degenza, nel gruppo di soggetti cui è stato offerto il 67% di tempo di
trattamento in più, in rieducazione motoria e terapia occupazionale.16,256-260
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.25
Grado A
È indicato che il paziente venga
trattato intensivamente, compatibilmente con le sue caratteristiche e con quelle della struttura,
articolando il programma sulla
base dei vari operatori (fisioterapisti, terapisti occupazionali, riabilitatori delle funzioni superiori e
del linguaggio, infermieri).
378
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
In assenza di prove adeguate di efficacia riguardanti le specifiche applicazioni inerenti un
incremento dell’intensità del trattamento, oltre gli standard comunemente adottati dalla struttura riabilitativa, appare opportuno promuovere la ricerca per definire quali trattamenti possono beneficiare di una maggiore durata e a quali soggetti può essere proposto sia in termini
di gravità della compromissione che di intensità dell’approccio riabilitativo di base.261,262
Nonostante il dibattito sia tuttora acceso e non si conosca la soglia minima di trattamento, al
di sotto del quale l’approccio riabilitativo non offre apprezzabili benefici, le linee guida del
Royal College of Physicians of London 27 sottolineano la necessità di offrire al paziente quanta
più terapia egli possa tollerare, che questa sia orientata verso abilità a contenuto pratico e che,
comunque, i pazienti, sottoposti a trattamento riabilitativo intensivo, siano trattati con assiduità ed incontrino i fisioterapisti tutti i giorni lavorativi.27 Le linee guida scozzesi sottolineano invece che la disponibilità di prove di efficacia è insufficiente per formulare un giudizio sul
rapporto costo-beneficio o sulle raccomandazioni relative ai vantaggi dell’incremento dell’intensività del trattamento riabilitativo.26
Una recente metanalisi dimostra che un intervento più intensivo migliora le ADL a sei mesi in
modo modesto ma significativo.263 Ad ulteriore supporto dell’importanza dell’intensività ci
sono due recenti studi. Il follow-up del precedente studio dimostra un miglioramento mantenuto a 5 anni dopo intervento precoce intensivo. Il miglioramento è più significativo per i più
gravi.264 Il trattamento più intensivo (7 giorni in confronto a 5) produce un aumento del punteggio FIM alla dimissione e una diminuzione della lunghezza del ricovero.265
È infine da sottolineare che, al di fuori delle casistiche trattate nell’ambito di studi clinici, le
esperienze descritte a riguardo della routine operativa di strutture assistenziali ben organizzate, identificavano la rarità di una durata superiore alle due ore di fisioterapia giornaliere, nella
fase più precoce della riabilitazione, sia per la scarsa resistenza del paziente che per motivi
organizzativi.
14.4.3.3
Sintesi 14-17
Il ripristino delle attività abituali
del soggetto colpito da ictus si
basa sui processi di recupero
intrinseco e compensatorio. I dati
attualmente disponibili non consentono di documentare una
maggiore efficacia di alcune
metodiche rieducative rispetto ad
altre. Sono per questo incoraggiati studi clinici controllati relativi ai
singoli trattamenti riabilitativi.
Tipologia
I miglioramenti funzionali che si realizzano dopo l’ictus derivano dall’attivazione di meccanismi intrinseci, come il recupero dell’attività neuronale entro la penombra ischemica e di risoluzione dell’edema cerebrale. L’evidenza a sostegno dell’efficacia dei programmi di riabilitazione è basata sulla valutazione di un approccio multidisciplinare o sull’effetto di un particolare approccio (p.es. logoterapia), piuttosto che su componenti individuali di trattamento.266
La presenza di recupero intrinseco, che si realizza con riadattamento funzionale spontaneo in
assenza di un trattamento rieducativo, consente di realizzare un recupero intrasistemico, ossia
il ripristino di modalità di prestazione sovrapponibili a quelle premorbose; al contrario, quando sono necessari interventi riabilitativi, si realizza il recupero compensatorio mirato al ripristino dell’autosufficienza nella cura di sé e nelle attività complesse della vita quotidiana (ADL
secondarie). Anche se non è l’età ad influenzare di per sé il recupero funzionale, bensì le caratteristiche del danno neurologico, alcuni sottolineano la prevalenza di recupero compensatorio
oltre i 65 anni, in confronto alla maggiore probabilità di recupero intrinseco nei soggetti di età
inferiore.267
In modo schematico si potrebbe pensare al recupero funzionale come ad un processo lineare
che imbocchi prima la strada del recupero intrinseco, poi eventualmente quella del recupero
compensatorio, nella quale la proposta assistenziale si fonda su bagagli terapeutici distinti. La
sequenza temporale delle due modalità di recupero fa sì che neppure una scelta dichiaratamente “compensatoria” lo sia completamente in tutto il profilo temporale del recupero funzionale: infatti, anche le strategie riabilitative finalizzate al ripristino dell’attività compromessa dal danno cerebrale attraverso modalità diverse da quelle attuate prima della malattia, possono assumere connotati diversi a seconda dell’entità e delle caratteristiche del recupero
intrinseco, cioè delle funzioni senso-percettive del paziente e della fase precoce o stabilizzata.
Sono ancora aperti i quesiti riguardanti i presupposti neurofisiologici del recupero intrinseco
e compensatorio, così come l’appropriatezza degli strumenti di valutazione applicati nelle
varie fasi del recupero, dato che le scale di autosufficienza non consentono tale discriminazione.268 Negli ultimi anni sia indagini di Risonanza Magnetica Funzionale che studi elettrofisiologici, basati sullo studio dei potenziali evocati motori e sensitivi, oltre che sull’analisi dell’elettroencefalogramma, hanno fornito alcune informazioni sulla riorganizzazione del sistema
nervoso centrale dopo lesione vascolare.269,270
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
Nella pratica clinica, in assenza di modelli ben strutturati delle condizioni funzionali che sottendono il processo di recupero, il paziente con esiti di ictus si presenta come portatore di
risposte all’improvvisa disabilità, del tutto individuali e mutevoli nel tempo; tale condizione fa
sì che a guidare la scelta tecnica da parte del team riabilitativo rimanga la valutazione globale
del paziente.240
La tipologia dell’intervento si differenzia a seconda degli obiettivi dell’assistenza riabilitativa
che sono perseguiti nella varie fasi del trattamento. Essa sarà descritta in dettaglio più avanti
ma alcune considerazioni generali possono facilitare la comprensione dei diversi approcci.
In fase acuta la mobilizzazione precoce è riportata universalmente come importante, anche se
non identificata sulla base di una definizione condivisa e riferita alla chinesiterapia segmentaria (attiva o cosiddetta passiva), al contenimento della rigidità articolare,31 all’impegno dell’arto paretico in attività bimanuali per evitare il “non uso appreso”.
Grande importanza fin dall’inizio rivestono le modalità di manipolazione e mobilizzazione
durante l’allineamento posturale, le rotazioni, l’igiene, specie in caso di grave dipendenza: tali
interventi sono stati “codificati” solo dai coniugi Bobath (1978)271 con il termine di “prime
attività” e, come tali, da tempo riprese in pubblicazioni ad uso del personale sanitario e dei
familiari (p.es.: Commissione Svizzera di Riabilitazione).272
La verticalizzazione precoce viene suggerita da alcuni clinici già nelle prime 24 ore, indipendentemente dall’eziologia ischemica o emorragica dell’ictus;151 al contrario, alcuni sconsigliano di alzare la testa del paziente dal letto prima della 5a giornata, specie in caso di lesioni dei
grandi vasi, emodinamicamente significative, per la potenziale riduzione del flusso cerebrale,
secondaria alla verticalizzazione ed ai passaggi posturali elementari precoci.273
In fase post-acuta si adottano valutazione e proposte terapeutiche più strutturate, sulla base
delle prove disponibili a vantaggio dell’efficacia della riabilitazione delle abilità motorie,145,194,253,254,274-276 anche se non sono attualmente disponibili elementi di scelta fra le diverse metodiche che possono essere applicate in ogni caso clinico. Nei singoli contesti applicativi l’approccio è condizionato dalle caratteristiche culturali del team e dall’esperienza maturata nella soluzione dei problemi presentati dal soggetto che ha subíto un ictus.
Alcuni metodi specifici di allenamento appaiono promettenti, sebbene l’evidenza sia limitata
ai risultati di pochi studi, pur di qualità.277
Una strategia proposta è quella di forzare l’uso dell’arto superiore paretico;278-281 per il recupero del cammino è stata valutata la possibilità di tenere parzialmente sospeso il paziente su
di un tappeto rotante per riallenarlo al passo con parziale risparmio del peso, magari mediante schemi strutturati di allenamento velocità-dipendente.282-284
La forza muscolare, l’articolarità della caviglia o la velocità del cammino del soggetto emiplegico, sono state considerate misure di esito per metodiche basate sull’uso di Bio-feedback
Elettromiografico (BFB-EMG),285 Stimolazione Elettrica Funzionale (FES),286 elettrostimolazione,287 agopuntura,288,289 o sull’associazione al trattamento abituale di sussidi robotizzati.290
Per quanto riguarda l’esercizio terapeutico sono stati valutati:
a. il rinforzo muscolare isolato;291-293
b. l’esercizio “task-oriented”, fondato sull’ipotesi secondo la quale tutti i sistemi senso-motori cooperano per raggiungere uno specifico compito;294,295
c. l’immaginazione motoria;296
d. la deafferentazione prossimale dell’arto superiore;297
e. la realtà virtuale.298
Recenti studi enfatizzano il ruolo del rinforzo muscolare. L’addestramento contro resistenza
mostra un significativo miglioramento funzionale e della disabilità.299 Ci sono inoltre preliminari evidenze che il rinforzo muscolare riduce la menomazione.300
Se è presente ipostenia è indicato proporre un programma di esercizi mirati al rinforzo.301
Sulla base di questi dati emergenti le LG inglesi 26 suggeriscono il rinforzo muscolare come un
obiettivo riabilitativo prioritario (grado A). Anche l’esercizio aerobico sta emergendo come
una componente importante dell’esercizio terapeutico. Aggiungere infatti al normale programma Bobath l’esercizio aerobico su treadmill migliora la marcia in ictus lievi.302
stesura 15 marzo 2005
379
380
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Infine, l’esercizio terapeutico in acqua costituisce una ricerca di condotte motorie adeguate,
capaci di generare adattamenti comportamentali compatibili all’ambiente acquatico, generatore di apprendimenti stabili ed efficaci, caratterizzati da un livello di complessità superiore
agli adattamenti spontanei generabili in ambiente gravitazionale.303
Un buon accordo si registra a proposito dell’efficacia dell’impiego della terapia occupazionale,260,304 nonostante i contenuti tecnici del trattamento non vengano solitamente riportati,
eccetto nel caso di Kalra et al.10 e la valutazione non vada oltre le scale per le ADL. In Paesi
diversi dall’Italia, presso i quali la terapia occupazionale ha tradizioni radicate, essa rientra
come componente abituale del programma di rieducazione, ed è considerata molto stimolante per il paziente che ottiene miglioramenti sia sul piano funzionale che psicologico.
Un confronto fra tecniche richiede un disegno sperimentale accurato e gruppi di numerosità
adeguata ma, nonostante ciò, talora non si raggiungono risultati significativi a lungo termine.193,305,306 In considerazione delle risorse impiegate per il recupero delle abilità motorie e
della scarsità di risultati sui vantaggi di una specifica metodica, può apparire motivato chiedersi se sia preferibile l’impegnativo approccio neurorieducativo o se sia invece sufficiente un
più economico approccio “comportamentale”, ossia stimolare paziente e famiglia ad ottenere
una decorosa autosufficienza.268
Le informazioni attualmente disponibili evidenziano che la valutazione dei singoli trattamenti
riabilitativi può essere molto difficile da realizzare entro uno studio randomizzato,6 mentre
può essere realizzata meglio la valutazione di trattamenti specifici, ma di più generali provvedimenti riabilitativi (es. per prevenzione della spalla dolorosa o dei decubiti). Nonostante ciò,
si ritiene inevitabile un incoraggiamento a compiere una verifica costante dell’efficacia degli
interventi terapeutici specifici anche per condividere con più trasparenza con i pazienti le
intenzioni e le attese, superando le difficoltà legate alla tipologia degli strumenti riabilitativi e
del rapporto terapista-paziente, e alla variabilità dei comportamenti assistenziali degli attori
coinvolti nel processo di recupero e dell’ambiente.229
14.4.3.4
Raccomandazione 14.26
Grado C
È indicato che i familiari del soggetto colpito da ictus vengano
informati, in maniera chiara, sulle
conseguenze dell’ictus, soprattutto in termini di deterioramento
cognitivo, incontinenza sfinterica
e disturbi psichici, oltre che sulle
strutture locali e nazionali fruibili
per l’assistenza al soggetto malato.
Raccomandazione 14.27
Grado C
È indicato il coinvolgimento degli
operatori sociali, al fine di organizzare e supportare le risorse
disponibili, ma anche di contenere lo stress dei familiari del soggetto colpito da ictus.
Continuità
Il progetto riabilitativo può comportare un percorso assistenziale che si realizza in sedi diverse, in funzione degli obiettivi perseguiti e delle condizioni relazionali e sociali del soggetto
malato. In genere, quando il paziente è dimesso dalla struttura ospedaliera viene attuato un
profilo assistenziale extraospedaliero caratterizzato da una ridotta esigenza di sorveglianza
sanitaria e da minore intensità di trattamento riabilitativo: nell’ambito territoriale si realizza la
prosecuzione dei programmi rieducativi in ambulatorio e/o a domicilio, coinvolgendo il medico di medicina generale e del Distretto socio sanitario di base, oppure il ricovero in strutture
protette.28,240
In caso di rientro a domicilio, il termine della degenza comporta il passaggio di parte delle
consegne alla famiglia/caregiver (e al paziente, quando possibile), che devono essere stati guidati nel frattempo a comprendere e accettare la disabilità; nessun progetto o programma riabilitativo può essere efficacemente perseguito e portato a termine senza la collaborazione e la
piena condivisione del paziente e della famiglia. In effetti, in accordo con le linee guida del
Royal College of Physicians of Edinburgh (2000),29 si può affermare che l’ictus è una condizione di malattia che interessa tutta la famiglia, caratterizzandosi in maniera diversa da altre
malattie acute, anche gravi, per l’esigenza di adottare, per tutta la durata della sopravvivenza,
misure comportamentali, economiche, sociali e di controllo emotivo anche attraverso l’intervento di operatori sociali. Molte indagini prevalentemente di tipo osservazionale, documentano che lo stress dei familiari è correlato ai disturbi cognitivi e comportamentali, così come al
mancato controllo sfinterico ed alla perdita globale di autonomia.307-314
Gli obiettivi da realizzare dopo la dimissione dalla struttura ospedaliera possono differenziarsi a seconda che la situazione clinica non sia stabilizzata o sia caratterizzata da condizioni di
grave compromissione dell’autonomia oppure sia richiesto di mantenere nel tempo lo stato
motorio e cognitivo raggiunti.267,315,316
L’attività di continuità assistenziale prevede spesso periodiche rivalutazioni di ordine riabilitativo, usando anche metodologie diverse dall’indagine clinica, quali la somministrazione telefonica di scale di valutazione o la consegna di schede di segnalazione dei problemi. In ogni caso,
il paziente ed i familiari devono essere informati sulle diverse possibilità di svolgere trattamenti
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
381
rieducativi e sulle modalità formali per accedervi. È inoltre indispensabile che, al momento
della dimissione dalla struttura ospedaliera o, comunque, in caso di modifica della sede in cui
viene erogata l’assistenza, vengano forniti il piano di controllo longitudinale e gli ausili necessari al miglioramento dell’autonomia nel nuovo contesto.
Anche se i criteri di appropriatezza del setting assistenziale verranno illustrati in un paragrafo
successivo, può essere opportuno sottolineare che il trasferimento del paziente deve tener
conto delle caratteristiche di seguito espresse.
La prosecuzione del trattamento a domicilio può risultare efficace ed economica fino a 3 mesi
rispetto al day hospital;317,318 talora limitatamente alla menomazione neurologica e alla funzione dell’arto inferiore, in caso di evoluzione favorevole;319 in alcune esperienze si è sottolineata la breve durata del beneficio indotto dal trattamento a domicilio cui fa comunque fronte l’esigenza di visite plurisettimanali da parte di un terapista occupazionale.304 In alcune valutazioni si sottolinea la sostanziale equivalenza di efficacia, rispetto alla degenza in ambiente
ospedaliero, a fronte di un impiego di risorse uguale od inferiore, dedicate prevalentemente
ad un programma autogestito supervisionato settimanalmente a casa.320-323
Recenti verifiche hanno valutato il ruolo di servizi di dimissione precoce dove un team interdisciplinare specialistico coordinato provveda al trattamento a casa.6,207 Questi servizi possono accorciare la degenza 324 di gruppi selezionati di pazienti e migliorare l’esito funzionale a
distanza, tanto da essere fortemente consigliati dalle linee guida scozzesi per l’ictus.26
L’impiego di risorse riabilitative dedicate a pazienti entro il primo anno dall’ictus è fortemente
dibattuto. Le divergenze d’opinione riguardano da un lato la convinzione che il recupero funzionale si realizzi prevalentemente od esclusivamente entro i primi mesi dall’ictus, dall’altro, l’evidenza che in assenza di esercizio le prestazioni decadono. Alcuni studi controllati 325-329 documentano l’efficacia di un trattamento a lungo termine in soggetti residenti a domicilio e su questa base le linee guida scozzesi 26,29 esprimono un parere favorevole nei riguardi di programmi
di trattamento in soggetti ancora disabili a distanza di 6-12 mesi dall’evento ictale. Oltre a ciò,
l’intervento domiciliare è supportato anche dalle considerazioni di seguito espresse.
La dimissione precoce è favorita dalla presenza di un caregiver,330 esaltando così una delle voci
più significative dei costi indiretti nell’ictus.331-334 È inoltre da sottolineare come tale condizione si associ frequentemente a depressione e riduzione della qualità di vita.161 Oltre a ciò è
cruciale la programmazione di controlli periodici al fine di ridurre il rischio di nuovi ricoveri
ospedalieri.157,335 Sono infine scarse le informazioni sulla durata del trattamento domiciliare 243
e sulle metodologie da impiegare a lungo termine, al fine di migliorare o mantenere le prestazioni.336 Deve infatti tenersi presente che, in rari casi caratterizzati da particolari eventi sfavorevoli verificatisi nei primi mesi dopo l’ictus, il recupero di alcune capacità può realizzarsi a
notevole distanza dall’evento ictale in seguito a trattamento specifico.337
La prosecuzione dell’assistenza riabilitativa in regime di day hospital può risultare efficace
come trattamento integrato in soggetti anziani, indipendentemente dalla condizione patologica di base;338 i pochi studi disponibili a riguardo della sequenza di regime ospedaliero diurno
successivo alla degenza intensiva non consentono conclusioni sicure soprattutto in considerazione della variabilità delle opzioni assistenziali offerte dai diversi sistemi sanitari.13
Nei pazienti stabilizzati il trattamento ambulatoriale o sul territorio, inteso come continuità
rispetto alla riabilitazione ospedaliera, è risultato utile se praticato con costanza ed impegno
per 6-12 mesi,30,327,339,340 ma ha mostrato effetti transitori dopo la sua sospensione e non è stato
tuttora chiarito il rapporto costo-beneficio.6,328,329
Il trasferimento a strutture di rieducazione estensiva, oppure a Residenze Sanitarie
Assistenziali con finalità riabilitative, è spesso condizionato dalla gravità dell’ictus, dall’età e
dalla presenza di caregiver ed è riservato alle situazioni con modesta aspettativa di miglioramento dell’autonomia od impossibilità di riadattamento dell’ambiente di vita.341 Nella realtà
italiana, il rapporto fisioterapisti/ospiti spesso non consente la conduzione di un progetto riabilitativo individuale, e non sempre il progetto riabilitativo di struttura appare sufficiente, specie in termini di motivazione al recupero.
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.28
Grado C
È indicato che ogni paziente,
ancora disabile a distanza di sei
mesi o più da un ictus sia ri-valutato al fine di definire le ulteriori
esigenze riabilitative, da realizzare se appropriate.
382
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
14.4.3.5
Raccomandazione 14.29
Grado C
È indicato considerare con particolare attenzione i soggetti con
cerebrolesione grave, al fine di
definire le possibilità di recupero
ed identificare il percorso assistenziale più proficuo, sia nelle
strutture ospedaliere che nel territorio.
La specificità dell’intervento sulla cerebrolesione grave
L’utilità del trattamento riabilitativo intensivo per i pazienti che presentino all’ingresso un quadro di grave disabilità, è oggetto di dibattito. Il principale fattore contrario all’ammissione a
strutture riabilitative intensive è che questi pazienti non recuperano, non traendo beneficio
dalla riabilitazione, in quanto troppo malati per offrire un’adeguata partecipazione. Inoltre, la
riabilitazione, anche quando possibile, è inefficace e, comunque, i trattamenti, anche se efficaci, sono troppo costosi.342 D’altro canto, una recente revisione sistematica 12 mostra che il trattamento in stroke unit produce effetti favorevoli indipendentemente dall’età del paziente e
dalla gravità dell’ictus e conclude che non vi sono motivi per selezionare i pazienti all’ingresso.
La riabilitazione nei soggetti gravemente disabili è sicuramente complessa. Le condizioni cliniche generali possono richiedere programmi specifici e/o particolari attenzioni nel loro svolgimento; oltre a trattare la menomazione e ridurre la disabilità, si devono utilizzare con particolare sensibilità il counselling e la collaborazione con la famiglia, sia per contribuire all’elaborazione dell’adattamento alla nuova condizione, ma anche per supportare le modificazioni
necessarie per un rientro ottimale a domicilio: preparazione dell’ambiente domestico (ausili,
adattamenti dell’abitazione) e sociale, onde ridurre o arginare lo svantaggio e l’isolamento
sociale del paziente e della sua famiglia.
La centralità della famiglia diviene più evidente in caso di patologie che esitano in gravi disabilità permanenti, in quanto unico interlocutore del team interprofessionale.
La prognosi dei pazienti con disabilità grave all’ingresso è sfavorevole, ma non uniformemente povera o senza speranza; ci sono possibilità di recupero e può essere rischioso formulare
una prognosi troppo precoce (eventuale collocazione in riabilitazione estensiva e rivalutazione).11 Il ruolo dei disturbi cognitivi è cruciale nel predire un esito povero e ciò richiede uno
screening neuropsicologico precoce.89
Sulla base delle prove attualmente disponibili, non ci sono ragioni per credere che i pazienti
con grave menomazione e disabilità non rispondano al trattamento riabilitativo. Nei reparti di
riabilitazione intensiva coinvolti nello studio multicentrico italiano ICR2,343 il 74% dei pazienti all’ingresso è “molto grave” (Barthel Index 0-4) o “grave” (Barthel Index 5-9), contro il 33%
di quelli ricoverati nei reparti per acuti del Copenhagen Stroke Study.344 Nello studio italiano
metà dei molto gravi e l’82% dei gravi rientra a casa, contro il 18% e il 78% dello studio danese: se ciò da un lato conferma l’utilità della riabilitazione intensiva, dall’altro giustifica il ricovero non selettivo.
Dato che buona parte dei pazienti gravati da predittori negativi all’ingresso mostrano un
miglioramento funzionale durante il trattamento in degenza riabilitativa, appare necessario
identificare fin dal ricovero gruppi di pazienti in grado di reagire diversamente al trattamento, non tanto per escludere i più impoveriti, quanto per individuare le risorse e le strategie
necessarie ad amplificare il più possibile il loro potenziale residuo.90
Dopo la fase intensiva della riabilitazione, particolare attenzione è richiesta dal contenimento
dei danni secondari, dal controllo del rischio di instabilità clinica, dalla prevenzione del decadimento funzionale e dal mantenimento delle autonomie raggiunte. Per tali scopi, per la persona e la famiglia, è cruciale il supporto dei servizi territoriali, attivati dal responsabile di
Distretto su segnalazione del medico di medicina generale, con una rivalutazione periodica in
merito al fabbisogno sanitario e sociale, per modulare e adattare gli interventi nel lungo periodo, e verificare la necessità di un eventuale nuovo ricorso ai servizi ospedalieri.240
Per quanto riguarda i costi, il recupero di menomazione e disabilità nei pazienti gravi è più
lento e gravato da un maggior numero di complicanze, pertanto la durata complessiva del ricovero è significativamente più lunga ed il costo del trattamento più elevato.71,342,345
Appare opportuno sottolineare la necessità di considerare separatamente, anche in termini
amministrativi ed economici, la gestione dei casi più gravi, sia per la caratterizzazione delle
strutture che abitualmente li accolgono sia per il maggior impegno di risorse richieste per l’assistenza delle cerebrolesioni gravi. È infatti evidente che strutture dedicate possono ridurre
l’incidenza di nuove ospedalizzazioni ed affrontare con maggior probabilità di benefici le problematiche più gravi.346
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
14.4.3.6
383
Prevenzione del danno secondario e terziario nella fase precoce dell’ictus
La valutazione delle attività compromesse dal danno cerebrovascolare fin dai primi giorni dell’esordio della sintomatologia rappresenta un obiettivo assistenziale importante quanto una
corretta diagnosi clinica. Questo infatti consente di organizzare più correttamente il percorso
assistenziale, prevenire le complicanze e contenere i fattori che possono ostacolare il recupero intrinseco o compensatorio. Per danno secondario si intende, secondo la Morosini (1979)347
il disordine funzionale che colpisce sistemi anche lontani dalle strutture compromesse dalla
lesione, in relazione ai disturbi percettivi, all’attivazione di pattern motori patologici o dei processi psicologi di adattamento alle menomazioni conseguenti al danno cerebrovascolare. Il
“danno terziario” è invece indotto dalle conseguenze dell’immobilità (decubiti, retrazioni,
ecc.) e dalle conseguenze psichiche e comportamentali conseguenti alla situazione disabilitante ed alle difficoltà di comunicazione
Gli obiettivi dell’assistenza a fini riabilitativi sono già stati esposti in precedenza. Ad essi possono essere correlate le azioni di seguito esposte:
A. mobilizzazione passiva degli arti paretici o plegici secondo tutto il range di movimento delle
articolazioni per almeno 3-4 volte al giorno. Uno studio osservazionale ha documentato che
la precocità della mobilizzazione e dell’addestramento del paziente rappresenta il fattore
maggiormente correlato con il ritorno a casa entro sei settimane dall’ictus;150,151
B. utilizzo di presidi antidecubito, mantenimento dell’igiene e cambiamento della posizione
con intervallo variabile da 1 a 4 ore secondo i fattori di rischio per lesioni da decubito. La
prevenzione delle lesioni da decubito è realizzata attraverso il raggiungimento di due distinti obiettivi da perseguire congiuntamente:
• la protezione della cute;
• la riduzione della pressione delle sedi di appoggio.
L’intensità di tali interventi è condizionata dalla presenza di fattori di rischio per la comparsa di lesioni definiti sulla base della Scala di Norton o di altre scale analoghe (basate su
parametri quali lo stato generale, la mobilità/continenza e la compromissione della coscienza).348
La protezione della cute è basata sull’igiene, sulla idratazione della superficie cutanea e sul
mantenimento del trofismo. In tal senso la pulizia attenta, soprattutto in sede perineale e
sacrale, l’uso di creme in grado di proteggere la cute ed il frizionamento dolce delle zone
sottoposte a pressione, sono considerate attività efficaci.
La riduzione della pressione sulle sedi di appoggio è realizzata con sistemi attivi che distribuiscono il peso corporeo su di un’area più vasta (indumenti in lana di pecora, basi di
appoggio in lana di pecora o poliestere, imbottiture in gel e sistemi “attivi” che modificano
il punto di appoggio, alternando l’immissione e l’emissione dell’aria od utilizzando sistemi
di rotazione del letto o letti ad acqua). Anche se i sistemi attivi sono ritenuti più efficaci, e
più costosi, dei sistemi passivi, la strategia di intervento non può essere basata sull’applicazione indiscriminata di un presidio ma sulla identificazione della migliore condotta, caso
per caso, in relazione al rischio di decubiti. È opinione comune che la disponibilità di uno
staff infermieristico, numericamente adeguato e sufficientemente preparato, possa garantire la più valida prevenzione dei decubiti, qualunque sia il presidio tecnico impiegato;
C. circa un terzo dei soggetti colpiti da ictus sono colpiti da complicanze infettive broncopolmonari,349 verosimilmente in relazione alla disfunzione ventilatoria. Infatti ripetute osservazioni hanno documentato la compromissione dei parametri funzionali polmonari frequentemente in maniera proporzionale alla gravità del deficit motorio.349-351 Accanto all’accurata valutazione clinica, alla terapia antibiotica, associata eventualmente al trattamento
con liquidi ed ossigeno, è necessario provvedere ad un’attivazione dei muscoli respiratori
ed all’igiene tracheo-bronchiale. L’incentivazione della ventilazione autonoma, con posizionamento adeguato a favorire l’espansione di tutti i settori polmonari, appare in grado di
ostacolare l’iperventilazione basale. La valutazione del riflesso della tosse e del meccanismo
di deglutizione può contribuire a quantificare il rischio di polmonite.352 Nei soggetti con
coscienza compromessa, l’acquisizione di posizioni che favoriscano il drenaggio bronchiale
e l’eventuale attuazione di manovre che favoriscano l’espulsione delle secrezioni bronchiali possono evitare condizioni predisponenti l’infezione polmonare o l’ipossia.
D. per la prevenzione delle trombosi venose profonde, accanto al trattamento farmacologico,
è opportuno mobilizzare attivamente l’arto inferiore sano e mobilizzare passivamente l’arto paretico. A ciò si aggiunge l’utilizzo di calze elastiche o pneumatiche e l’acquisizione di
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.30
Grado B
Sono indicati il posizionamento
(igiene posturale) e la mobilizzazione segmentaria degli arti del
paziente con ictus, al fine di
minimizzare il rischio individuale
delle complicazioni più frequenti,
quali le contratture, le infezioni
delle vie respiratorie, la spalla
dolorosa ed i decubiti.
384
Raccomandazione 14.31
Grado B
È indicato stimolare ed incoraggiare i pazienti con ictus alla partecipazione alle attività quotidiane e promuovere l’abbandono
precoce del letto (verticalizzazione precoce), attraverso l’acquisizione dell’allineamento in posizione seduta entro il terzo giorno,
se non sussistono controindicazioni al programma.
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
posizioni che favoriscano il deflusso venoso dall’arto inferiore plegico. Prescindendo dall’intervento farmacologico, gli interventi preventivi della trombosi venosa profonda sono
basati spesso su pratiche non documentate da adeguate prove di efficacia. La mobilizzazione precoce del paziente e quella selettiva degli arti colpiti appaiono utili per diversi scopi
oltre a quello di evitare la stasi ematica a livello dell’arto inferiore colpito e non sono disponibili indagini selettive sull’efficacia della sola mobilizzazione precoce nella prevenzione
della trombosi venosa profonda. L’uso di calze a tutta lunghezza a compressione graduata
ha mostrato indubbi vantaggi nella sindrome da immobilizzazione secondaria ad intervento chirurgico e quindi può essere ragionevolmente trasferito ai soggetti immobili in seguito
ad ictus.353 Occorre comunque sottolineare che i gambaletti potrebbero non essere analogamente efficaci, e che, in caso di arteriopatia periferica e neuropatia diabetica, la compressione esterna può provocare lesioni ischemiche. Sull’impiego di strumenti di compressione pneumatica esterna e sull’uso della stimolazione elettrica dei muscoli paretici, al fine
di utilizzare la contrazione muscolare per spingere il sangue che refluisce dagli arti inferiori, non si hanno ancora dimostrazioni sicure di efficacia.354 L’incoraggiamento del paziente
a partecipare attivamente al programma di posizionamento e di mobilizzazione è basato sul
coinvolgimento nella assunzione di posizioni utili alla prevenzione della stasi polmonare e
della stasi venosa dell’arto inferiore plegico.
E. l’impegno degli arti paretici in qualche attività bimanuale è utile al fine di evitare il fenomeno del “non uso appreso”.
F. la facilitazione dell’esplorazione dello spazio percepito in caso di emianopsia o di disturbo
dell’orientamento spaziale dell’attenzione, si ottiene evitando posizioni del letto che lascino
poco spazio all’esplorazione visiva.
G.l’impegno nella memorizzazione del programma di attività giornaliere è utile per favorire
l’orientamento temporale ed il mantenimento del ritmo sonno-veglia. La promozione dei
contatti interpersonali è cruciale per prevenire l’isolamento del paziente e le conseguenze
emotive e comportamentali che ne conseguono.
H.l’informazione e l’educazione dei familiari a riguardo del loro possibile contributo al miglioramento dell’assistenza al soggetto malato appare cruciale per ottenere un’adeguata collaborazione e potenziare l’attività fornita dagli operatori professionali. L’informazione offerta tramite opuscoli predisposti a pazienti e caregiver ha fornito, in uno studio clinico randomizzato, vantaggi in termini di qualità percepita, riguardanti lo stato mentale dei caregiver che ricevevano le informazioni, senza ricadute significative sull’esito clinico dell’ictus o
sulla qualità di vita dei pazienti;196,355
I. la facilitazione dell’acquisizione della posizione seduta nei soggetti senza compromissione
dello stato di coscienza è consigliata da alcune linee guida 27,30 a partire dal secondo-terzo
giorno, a meno di condizioni cardiocircolatorie che rappresentino una controindicazione
assoluta all’avvio del programma di recupero della postura. In considerazione del fatto che
molte complicanze sono correlate all’immobilizzazione, il trattamento precoce viene ritenuto necessario. In effetti nella revisione sistematica di Langhorne e Pollock (2002),25 la
mobilizzazione precoce, inclusa la verticalizzazione, risulta caratterizzare l’attività di molte
stroke unit.
J. La prevenzione delle cadute può essere realizzata attraverso molteplici azioni:
1. verifica del sistema di chiamata degli infermieri;
2. controllo ad intervalli regolari dei servizi igienici;
3. verifica frequente delle condizioni del paziente, controllando ed eliminando le sorgenti
di dolore o le cause di agitazione;
4. supervisione dei trasferimenti dal letto alla sedia o dal letto al bagno;
5. istruzione del paziente e della famiglia.
I soli sistemi di contenimento (sbarre nel letto, fasce trasversali, ecc.) possono non essere
efficaci ed incrementare l’agitazione nei soggetti confusi.
14.4.4
Programmi di recupero
Scopo dell’intervento riabilitativo è quello di promuovere da parte del paziente un apprendimento di competenze, sfruttando tutti i sistemi funzionali rimasti integri, sviluppando nuove
abilità al fine, in ultima analisi, di garantire il raggiungimento del miglior controllo possibile
della propria persona e dell’ambiente circostante riducendo la percezione di malessere derivante dalle limitazioni imposte dal danno biologico.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
385
A questo obiettivo concorrono sia strategie mirate a ridurre il deficit (altrimenti detto menomazione) motorio e cognitivo sia tecniche di addestramento a comportamenti compensatori,
che garantiscono il perseguimento di un’indipendenza funzionale nonostante menomazioni
persistenti. L’integrazione con l’ambiente e il reinserimento sociale sono infine elementi indispensabili al benessere emotivo del paziente e possono essere ottenuti tramite interventi di
adattamento ambientale, educazione del caregiver, consulenza professionale e sviluppo di una
rete sociale (associazioni laiche, comunità di pazienti, centri diurni per disabili).
14.4.4.1
Promozione del recupero motorio intrinseco
Esiste un’ampia documentazione sulla finestra temporale utile a promuovere il recupero funzionale intrinseco dopo ictus, che documenta come il deficit motorio selettivo subisca un’evoluzione favorevole che raggiunge un plateau, in media, entro i primi 3 mesi dall’evento.71
Alcune menomazioni, come la disfagia, hanno storia più breve, andando incontro, in media, a
risoluzione spontanea, generalmente, entro le prime 2-3 settimane dall’esordio.105
Superato questo termine, risultati funzionali significativi possono essere ottenuti sfruttando
strategie compensatorie, piuttosto che “ristorative”.
L’efficacia di singole strategie impiegate per promuovere il recupero della destrezza, o del controllo del tronco o, infine, della deambulazione è peraltro tuttora discussa.
Nel corso dei decenni le proposte di trattamenti riabilitativi dedicati al recupero post-ictus si
sono moltiplicate. Generalmente, la riabilitazione neurologica ha visto il succedersi, per apposizione, ma non per sostituzione, di tecniche ispirate a presupposti teorici differenti. Pertanto,
da un modello di rieducazione “ortopedica”, basato sull’allenamento muscolare si è passati,
negli anni ‘50-60 alle proposte di Rood e Kabat che sulla scorta di principi neurofisiologici
della facilitazione neuromuscolare applicavano tecniche mirate ad elicitare e rinforzare il
movimento volontario.356 Nel 1969 i coniugi Bobath 357 davano compiutezza ad un intervento
riabilitativo che presupponeva la conoscenza dei meccanismi riflessi delle risposte posturali e
della loro evoluzione ontogenetica, ottenendo un successo tuttora riconosciuto nella gestione
dell’emiparesi spastica conseguente ad ictus,358,359 anche se una recente revisione sull’efficacia
di tale trattamento non ha fornito dati definitivi.360 Solo nel 1982, veniva introdotta una tecnica di apprendimento motorio cosiddetta “task-oriented” la cui ispirazione proveniva da
studi sul recupero funzionale in modelli animali,361,362 che propugnavano una teoria di controllo centrale del movimento, secondo la quale l’esecuzione di gesti finalizzati ovvero contestualizzati è vincolante ai fini del recupero motorio. L’accumularsi di evidenze in merito ai
fenomeni di neuroplasticità nel cervello adulto leso e alla rilevanza delle afferenze sensoriali
nel promuovere la riorganizzazione di aree corticali 238 ha quindi prodotto il fiorire di proposte terapeutiche basate su varie tecniche di addestramento intensivo,252 elettrostimolazione,363
stimolazione ripetitiva,364 e bio-feedback.285,365
A fronte della abbondanza di proposte, e della evidente efficacia della riabilitazione – in senso
lato – dopo ictus,366 non esistono studi comparativi che documentino con sufficiente evidenza la superiorità (ovvero la cost-effectiveness) dell’uno o dell’altro intervento terapeutico.367,368
Le singole segnalazioni e le poche revisioni critiche a supporto di diversi approcci sono riportate di seguito.
14.4.4.1.1 Stazione eretta e deambulazione
La maggiore efficacia di un approccio orientato ad uno specifico compito (task-oriented) ai fini
del recupero della deambulazione è descritta da Richards et al.369 che hanno confrontato il
beneficio ottenuto mediante addestramento intensivo della deambulazione, attuato precocemente, con il risultato di approcci standard di addestramento motorio selettivo. Il vantaggio
veniva peraltro riferito come significativo 6 settimane dopo l’ictus, ma non persistente a 6 mesi.
L’aggiunta di tecniche di Stimolazione Elettrica Funzionale (FES) alla chinesiterapia, al fine di
potenziare l’atto motorio, non sembra fornire vantaggi.286
L’efficacia di feedback elettromiografico (EMG-BFB) a supporto dell’addestramento neuromotorio è stata a lungo discussa agli inizi degli anni ‘90.370,371 Una metanalisi di 8 studi randomizzati controllati ha mostrato come l’unico vantaggio di un EMG-BFB applicato all’arto
inferiore sia quello di migliorare la dorsiflessione del piede, senza peraltro influenzare significativamente la deambulazione.285
stesura 15 marzo 2005
Sintesi 14-18
La rieducazione del controllo
posturale e della deambulazione
beneficia dell’intervento riabilitativo precoce. Non è documentata
la superiorità di alcuni approcci
su altri nel raggiungere questo
obiettivo. Limitate evidenze sembrano suggerire un vantaggio di
tecniche orientate all’apprendimento di sequenze motorie nel
contesto abituale del paziente.
386
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Pollock et al. nell’ambito della Cochrane Collaboration, hanno condotto una revisione sistematica degli interventi mirati a promuovere il recupero del controllo posturale e della deambulazione, confrontando in particolare tecniche basate su una teoria biomeccanica o neurofisiologica del recupero piuttosto che su tecniche di riapprendimento motorio o su un’integrazione dei suddetti approcci, ma senza riuscire ad individuare un trattamento ottimale.368
La possibilità di realizzare in fase acuta un addestramento della deambulazione è apparsa finora subordinata all’acquisizione di un adeguato controllo del tronco e posturale, e di una sufficiente capacità aerobica, soprattutto in pazienti con elevato deficit stenico dell’arto inferiore,
incapaci di supportare il peso del corpo durante la realizzazione del passo. Al fine di ovviare
a tali vincoli che allontanano una tappa cruciale del percorso riabilitativo, incrementando così
il senso di frustrazione emergente e la possibile depressione reattiva, alcuni Autori sollecitano
l’utilizzo di una rieducazione su tappeto rotante (treadmill) unitamente ad un dispositivo di
sospensione parziale e scarico del peso corporeo.282,372-374
Wilson et al. (2000)375 hanno recentemente fornito linee guida per un’applicazione corretta e
sicura del dispositivo di sospensione del paziente sulla scorta di una precedente esperienza clinica, della consultazione di tavole antropometriche e di principi di bioingegneria.
In soggetti con ictus, la condizione di sospensione parziale con riduzione del peso di circa il
30% consente lo svolgimento dell’esercizio fisico con un’importante riduzione del consumo
d’ossigeno e si presta ad essere utilmente impiegato in soggetti cardiopatici che necessitino di
un addestramento alla deambulazione.376,377 Un’ulteriore modifica al sistema di rieducazione
su tappeto rotante è stata inoltre recentemente proposta da Werner e coll.378 in pazienti con
compromissione grave del controllo posturale mediante un dispositivo elettromeccanico di
addestramento al cammino. In considerazione del crescente interesse suscitato da questa
metodica è stata promossa, nell’ambito della Cochrane Collaboration, una revisione sistematica degli studi clinici controllati mirati a valutare l’efficienza riabilitativa di un approccio basato sull’uso del treadmill, i cui risultati saranno disponibili a breve.379
14.4.4.1.2 Funzionalità dell’arto superiore
Raccomandazione 14.32
Grado C
È sempre indicato attivare un
programma di riabilitazione dell’arto superiore paretico entro i
primi tre mesi.
Sintesi 14-19
Il recupero funzionale dell’arto
superiore rappresenta un obiettivo a breve e medio termine del
progetto riabilitativo. Per il recupero sono globalmente indicate
tecniche di integrazione sensitivo-motoria, benché l’evidenza a
supporto dei singoli approcci sia
ancora modesta. Alcuni vantaggi
in pazienti selezionati possono
derivare da approcci di “uso forzato indotto da immobilizzazione
dell’arto sano”.
La perdita di destrezza nell’uso dell’arto superiore rappresenta uno dei principali fattori di
disabilità persistente post-ictus. Si stima che circa il 20% dei soggetti non recuperi nessun uso
funzionale dell’arto e che l’85% vada incontro ad un recupero parziale.380 Questa condizione
non necessariamente contrasta con l’acquisizione di un buon livello di autonomia (rischiando
pertanto di essere sottostimata dalle tradizionali misure di esito, quali Barthel Index e FIM),
ma sicuramente penalizza il recupero dell’attività professionale e il reinserimento sociale,
dimostrando di essere fattore predittivo indipendente di scarsa qualità di vita.381
Gli approcci terapeutici volti a promuovere il recupero intrinseco includono tecniche di rieducazione neuromotoria secondo Bobath,358 tecniche di apprendimento motorio,382 così come
strategie di integrazione sensorimotoria mediante feedback elettromiografico,383 Stimolazione
Elettrica Funzionale,384-386 o stimolazione neuromuscolare indotta dalla registrazione elettromiografica.387
Sono stati inoltre descritti recentemente i vantaggi emergenti dal potenziamento delle afferenze sensoriali mediante training intensivo ovvero stimolazione ripetitiva.252,288 La teoria del
“non-uso appreso”,389 infine, ha portato numerosi Autori a sperimentare i benefici derivanti
da un allenamento, più o meno intensivo, dell’arto paretico durante occlusione funzionale dell’arto sano controlaterale.279,280,390-392
L’efficacia delle singole tecniche è sostenuta da scarsa evidenza, prevalentemente basata su
studi osservazionali, pochi studi controllati e rarissime metanalisi. Una revisione narrativa
delle evidenze disponibili porta ad escludere la superiorità di un qualsiasi approccio terapeutico su un altro.
In particolare, uno studio comparativo che ha confrontato il beneficio derivante da un intervento di scuola Bobath rispetto ad un metodo di apprendimento motorio ha attribuito a quest’ultimo la prerogativa di indurre cambiamenti funzionali più rapidi, ma quantitativamente
sovrapponibili nel lungo termine.306
L’efficacia di un feedback elettromiografico nel promuovere il recupero della motricità all’arto superiore, già dichiarata da Basmajian,383 è stata confutata dal risultato della revisione di
Moreland e Thomson.393
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
387
Le tecniche di “uso forzato” realizzate in fase acuta e sub-acuta hanno avuto alterno successo.
Mentre è stato escluso il beneficio derivante da un training intensivo dell’arto superiore, sia
esso realizzato con metodica Bobath,256 o con apprendimento contestuale,276 altri hanno documentato un incremento della destrezza al termine di un periodo di 14 giorni di occlusione forzosa dell’arto sano.280 L’esperienza accumulata sull’impiego della cosiddetta tecnica “constraint-induced forced use” (CIT) è molto più ampia e quantitativamente rappresentata negli
esiti stabilizzati di paresi post-ictus,279,389,391 mentre le segnalazioni sulla sua efficacia nella fase
di maggior impegno riabilitativo sono ancora sporadiche .280,392 Il perseguimento di un rapido
recupero funzionale attraverso questa tecnica è inoltre subordinato all’assenza di deficit stenico grave e di controllo alterato del tronco; l’incremento potenziale delle esigenze assistenziali
del paziente durante il periodo di occlusione circoscrive la fattibilità della CIT a setting di
degenza riabilitativa con personale dedicato.
14.4.4.1.3 Comunicazione verbale ed altre abilità cognitive
L’afasia è rilevabile in circa il 40% dei pazienti colpiti da ictus all’ingresso in ospedale.85 La
prognosi dipende in modo marcato dalla gravità iniziale: nelle forme lievi si osserva un recupero spontaneo nelle prime due settimane dopo l’ictus, mentre il deficit di linguaggio è persistente negli altri casi (15%-20% dei pazienti sono ancora afasici a sei mesi).
La riabilitazione dei disturbi della parola e del linguaggio dopo lesione cerebrale è l’area della
riabilitazione cognitiva con la storia più lunga, risalente al diciannovesimo secolo.
Nella pratica routinaria viene comunemente riferito che l’approccio ai disturbi afasici è di utilità per il paziente anche se la carenza di ampi studi multicentrici e controllati induce cautela
come per altri aspetti della riabilitazione cognitiva.394-398 In realtà, a fronte di una carenza di
prove di efficacia dovuta anche alle particolari difficoltà di organizzare studi in doppio cieco,
alcune indagini in doppio cieco 399,400 hanno portato alcune linee guida ad affermare che
“soprattutto ora è buona evidenza che, i soggetti con afasia beneficiano della logoterapia”.
Denominatore comune di altre linee guida (BMC, AHCPR) è il coinvolgimento di personale
competente. I vantaggi offerti da operatori professionali rispetto a volontari è espresso anche
da altre indagini con indicazioni significative sull’approccio.401-412
Sono stati proposti numerosi approcci, da quelli di stimolazione ai recenti modelli di intervento basati sulla neuropsicologia cognitiva.413-419 È disponibile una revisione Cochrane sull’efficacia nell’ictus, che considera la letteratura sino al gennaio 1999.87 La conclusione di tale
revisione, basata su 12 studi randomizzati controllati, tutti considerati di bassa qualità, è che
non esiste evidenza conclusiva, basata su studi randomizzati controllati, dell’efficacia o dell’inefficacia della riabilitazione dell’afasia. Differente è la conclusione della revisione di Cicerone
et al.86 che, sulla base di 3 studi definiti di livello I e 4 studi di livello II, definisce le terapie
“linguistico-cognitive” come Practice Standard per l’afasia dopo ictus. Esiste inoltre una considerevole evidenza da indagini aneddotiche che depongono per l’efficacia dell’intervento riabilitativo. In considerazione delle limitazioni degli studi controllati sul linguaggio e delle posizioni assunte da altre comunità scientifiche, alla luce della disponibilità di alcune indagini controllate portate a termine negli ultimi 30 anni, si concorda con la revisione di Cicerone e la proposta di impegno specifico. Per quanto riguarda l’intensità del trattamento, tre sole indagini
di discreta qualità 411,412,420 confrontano l’approccio più tradizionale di tre sessioni di un’ora
alla settimana per sei mesi con un trattamento intensivo giornaliero di minore durata. Tali
studi, in analogia con una metanalisi di Robey,421 supportano gli effetti positivi di una maggiore intensità della logoterapia. Tale posizione è assunta anche dalle linee guida SIGN 26 e
RCP.27 Una recente revisione, confrontando i risultati di studi con diversa durata del trattamento, ha sottolineato che è preferibile un trattamento intensivo di breve durata ad un trattamento meno intensivo, ma più prolungato.422,423 È infine da sottolineare l’attenzione ai disturbi selettivi del linguaggio quali ad esempio i disturbi di lettura. Alcune indagini, metodologicamente robuste,398,424,4425 supportano un approccio specifico, condiviso anche dalle linee
guida RCPE (2000). Tale posizione è stata recentemente assunta dalla Task Force sulla
Riabilitazione Cognitiva della Federazione Europea della Società di Neurologia.426 Allo stadio
attuale non esiste comunque evidenza per la superiorità di un approccio riabilitativo rispetto
ad altri. È comunque diffusa la convinzione che disturbi settoriali persistenti, come quelli di
lettura, richiedono un approccio specifico.398,427-430
stesura 15 marzo 2005
Sintesi 14-20
Il trattamento dell’afasia è mirato
a:
a. recuperare la capacità di
comunicazione globale, di
comunicazione linguistica, di
lettura, di scrittura e di calcolo;
b. promuovere strategie di compenso atte a superare i disordini di comunicazione;
c. addestrare i familiari alle
modalità più valide di comunicazione.
Le modalità di trattamento dell’afasia più frequentemente utilizzate sono:
a. approcci mirati al controllo di
disturbi specifici;
b. modalità di reintegrazione del
processo linguistico secondo i
modelli cognitivi più condivisi;
c. trattamenti stimolo-risposta.
Raccomandazione 14.33
Grado D
In presenza di disturbi del linguaggio sono indicati una dettagliata valutazione da parte di
operatori competenti ed il coinvolgimento di un terapista del linguaggio (logopedista).
Raccomandazione 14.34
Grado B
È indicato un trattamento riabilitativo della comunicazione
secondo l’approccio ritenuto più
appropriato sulla base delle
caratteristiche del paziente e
delle competenze degli operatori.
Raccomandazione 14.35
Grado C
In presenza di disturbi settoriali
persistenti del linguaggio, come
quelli di lettura, è indicato un
approccio specifico.
388
Sintesi 14-21
Il deficit dell’orientamento spaziale e dell’attenzione comporta un
peggioramento degli esiti funzionali di un soggetto colpito da
ictus.
Il trattamento dell’emi-inattenzione è mirato a migliorare le capacità di esplorazione sensoriale sia
per lo spazio personale che peripersonale.
Le modalità utilizzate per il trattamento dell’emi-inattenzione sono
basate su addestramenti specifici
ed approcci mirati ad incrementare il livello attentivo generale.
Raccomandazione 14.36
Grado A
È indicato il trattamento dei
disturbi dell’orientamento spaziale dell’attenzione con metodiche
di addestramento selettivo. Sono
necessarie ulteriori verifiche a
supporto dell’adozione di procedure basate sull’uso di prismi o
della stimolazione vestibolare.
Sintesi 14-22
Il trattamento dell’aprassia è
mirato a recuperare la capacità di
programmare il gesto attraverso
modalità stimolo-risposta o reintegrazione del gesto secondo i
modelli cognitivi più condivisi o
con approcci di tipo ecologico.
Raccomandazione 14.37
Grado C
È indicato un trattamento riabilitativo specifico dell’aprassia
bucco-facciale o degli arti nei
soggetti con persistenza del
disturbo dopo la fase acuta.
Sintesi 14-23
I dati disponibili derivanti da due
revisioni Cochrane, non consentono di trarre conclusioni sull’efficacia del trattamento mirato a
potenziare le prestazioni attentive
e mnesiche nei pazienti con
patologia cerebrovascolare.
Raccomandazione 14.38
❊GPP
In presenza di disturbi dell’attenzione nella fase acuta di un ictus
sono indicate strategie di potenziamento delle prestazioni attentive.
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
L’emi-inattenzione è presente in fase acuta in circa un quarto dei pazienti;97 di questi, circa il
30% presenta un deficit persistente a tre mesi.431 In alcuni studi l’emi-inattenzione persistente è stata associata ad un peggioramento dell’esito funzionale.432 Non è quindi sorprendente
che negli ultimi anni si siano moltiplicati gli studi sulla riabilitazione.
Il trattamento dell’emi-inattenzione è mirato a:
a. potenziare il livello di consapevolezza, di motivazione e di alleanza terapeutica;
b. recuperare la capacità di esplorazione visiva specie per lo spazio peri-personale;
c. promuovere strategie di compenso atte a superare le difficoltà di esplorazione;
d. addestrare i familiari all’utilizzo delle modalità di esplorazione più adeguate.
Le modalità più frequentemente utilizzate sono:
a. metodi combinati di stimolazione dell’esplorazione visiva quali l’addestramento all’esplorazione visuo-spaziale, alla lettura, alla copia e alla descrizione di immagini;
b. trattamenti con addestramenti specifici;
c. approcci mirati ad incrementare il livello attentivo generale.
Anche in questo caso è disponibile una revisione Cochrane,98 che ha considerato 15 studi e ha
concluso per la presenza di effetti significativi e persistenti della riabilitazione a livello di misure di menomazione. L’evidenza per un impatto positivo a livello di disabilità è tuttavia insufficiente. Da un’analisi della letteratura si concorda sull’esistenza di adeguate prove di efficacia
a favore delle procedure di addestramento dell’esplorazione visiva. Altre procedure, come
l’uso di prismi o la stimolazione vestibolare, necessitano di ulteriori prove di efficacia.
L’aprassia degli arti e/o del distretto bucco-facciale è presente in meno del 10% dei pazienti
in fase acuta.103
Il trattamento dell’aprassia è mirato a:
a. recuperare la capacità di programmare il gesto;
b. promuovere l’autonomia nella vita quotidiana attraverso il recupero dell’attività gestuale;
c. addestrare i familiari alla sollecitazione ed all’utilizzo del gesto.
Le modalità più frequentemente utilizzate sono:
a. trattamenti stimolo-risposta con imitazione del gesto;
b. modalità di reintegrazione del gesto secondo i modelli cognitivi più condivisi;
c. approcci di tipo ecologico mirati alla programmazione differenziata delle capacità acquisite ed estensione in situazioni extra-contestuali.
La riabilitazione dell’aprassia è stata considerata sino a pochi anni or sono non prioritaria, data
la credenza in un limitato impatto funzionale. Alcuni studi hanno tuttavia dimostrato un
impatto dell’aprassia sulle ADL, e sono disponibili due studi randomizzati controllati che
hanno fornito evidenza di efficacia della riabilitazione,104,433 oltre a studi controllati o rapporti aneddotici La riabilitazione va focalizzata su attività funzionali; sono necessari ulteriori studi
sulla generalizzazione degli effetti del trattamento.
Nell’ambito delle abilità compromesse vengono lamentati, in circa il 25% dei casi, disturbi
mnesici ed attentivi, che possono portare alla diagnosi di demenza vascolare (si veda il
Capitolo 15).
I disturbi dell’attenzione sono suscettibili di trattamento riabilitativo specifico mediante programmi finalizzati all’incremento dell’attenzione. Una revisione Cochrane 434 ha identificato
solo due studi randomizzati, nei quali questo approccio riabilitativo veniva posto a confronto
con un trattamento di rieducazione motoria privo di uno specifico intervento sul deficit attentivo. I soggetti assegnati al trattamento attivo mostravano un miglioramento dello stato d’attenzione, valutato con scale specifiche, mentre non si evidenziavano – o non erano nemmeno
presi in considerazione – effetti sul grado di autonomia funzionale in attività della vita quotidiana.
Secondo una revisione Cochrane,435 solo uno dei pochi studi clinici controllati che hanno verificato l’efficacia di strategie finalizzate al recupero di deficit mnesici aveva arruolato esclusivamente pazienti reduci da ictus, mentre la gran parte comprendeva – esclusivamente o prevalentemente – pazienti con esiti di trauma cranico. Nei pazienti con ictus, l’impiego di strategie tese a migliorare la performance mnesica ha dato risultati poco incoraggianti e non trova,
al momento, indicazione suffragata da evidenze scientifiche.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
In linea generale, il trattamento dei disturbi di memoria è mirato agli obiettivi di seguito
espressi:436
a. potenziare il livello di consapevolezza, di motivazione e di alleanza terapeutica;
b. favorire l’autonomia nella vita quotidiana;
c. recuperare l’efficienza mnesica;
d. promuovere strategie di compenso atte a superare i disordini di memoria;
e. addestrare i familiari alla sollecitazione ed all’utilizzo delle modalità più adeguate.
Le modalità più frequentemente utilizzate sono:
a. metodi che prevedono l’utilizzo di strategie di compenso con ausili interni ed esterni quali
agenda personale, tecniche di immaginazione visiva e tecniche specifiche di apprendimento;
b. trattamenti per l’acquisizione di compiti specifici con addestramento individualizzato o con
l’aiuto di computer.
Nei soggetti affetti da patologia cerebrovascolare, i dati disponibili derivanti da due revisioni
Cochrane 434,435 non consentono di trarre conclusioni né sulla promozione né sul rifiuto del
trattamento mirato a potenziare le prestazioni attentive e mnesiche.
È diffusa l’opinione che particolare attenzione debba essere dedicata ai deficit cognitivi conseguenti all’evento ictale, sia in relazione alla loro influenza diretta sull’autonomia nell’attività
della vita quotidiana, sia per le ripercussioni dirette sull’apprendimento di nuove strategie
mirate al recupero di prestazioni motorie. Esiste un ampio consenso (linee guida SIGN,
AHCPR, BMC) sulla opportunità di una valutazione formalmente ineccepibile condotta da
personale addestrato che consenta di verificare le abilità cognitive residue da utilizzare nel
processo riabilitativo.437 Anche se non sono disponibili studi controllati, la condotta assistenziale di più comune riscontro comporta la promozione e l’esaltazione delle prestazioni cognitive ottenute sia con le risorse professionali disponibili nel team riabilitativo, sia tramite l’addestramento dei familiari ed il potenziamento della motivazione del paziente.
389
Raccomandazione 14.39
❊GPP
In presenza di disturbi della
memoria dopo un evento ictale è
indicato l’utilizzo di ausili (agende, orologi, ecc.) che facilitino
l’attività quotidiana e l’assunzione
di farmaci, mentre non risulta
motivato un approccio riabilitativo
strutturato al deficit mnesico.
Raccomandazione 14.40
❊GPP
Per realizzare un programma di
verifica e di riabilitazione neuropsicologica è indicato assicurarsi
la motivazione e la costante collaborazione del paziente, un adeguato addestramento dei familiari
ed un’efficiente collaborazione da
parte di tutti gli operatori professionali del team riabilitativo.
14.4.4.1.4 Integrazione sensitivo-motoria e sensoriale
L’interesse nei confronti di tecniche di integrazione sensitivo-motoria corrisponde alla necessità di sperimentare approcci che riconoscano una plausibilità biologica. Alcuni studi hanno
associato il potenziamento della stimolazione afferente con ampliamento della rappresentazione corticale dell’arto paretico correlabile a fenomeni di neuroplasticità. Le tecniche impiegabili comprendono le già descritte strategie di apprendimento contestuale,238 le attività motorie ripetitive,252,364,388 l’uso forzato, il bio-feedback 370 e l’elettrostimolazione.438
La valutazione delle evidenze disponibili, tuttavia, non consente di trarre conclusioni utili per
la pratica riabilitativa. L’efficacia di un feedback elettromiografico (EMG-BFB) nel promuovere il recupero delle abilità motorie segmentarie non appare confermata in due diverse metanalisi rispettivamente dedicate al recupero dell’arto superiore 284 e inferiore.285
Un recente studio controllato 439 suggerisce la superiorità di un addestramento mirato al
miglioramento del controllo posturale attraverso l’impiego di una metodica di feedback al fine
di promuovere un recupero rapido e persistente della simmetria nella posizione seduta ed eretta, già dalla fase acuta post-ictus. Nell’esperienza citata, la presenza del feedback mira a stimolare la consapevolezza dello schema corporeo e sembra fornire vantaggi rispetto a tecniche
tipo Bobath e di apprendimento contestuale.
L’elettrostimolazione si basa essenzialmente su tecniche di stimolazione elettrica funzionale
(FES), che produce contrazione muscolare in maniera programmabile, al fine di promuovere
il recupero, ridurre la spasticità o favorire l’allineamento dei capi articolari, e di stimolazione
elettrica transcutanea (TENS), o elettroanalgesia, che stimola a bassa intensità ed elevata frequenza i nervi cutanei, al fine di determinare interferenza con le afferenze nocicettive, senza
produrre contrazione muscolare. Esiste infine una forma intermedia di TENS ad alta intensità, che associa teoricamente i benefici delle due predette. L’evidenza a supporto dell’impiego di ciascuna modalità è affidata a pochissimi studi controllati e a rare metanalisi,286,440 ed è
tuttora soggetta a revisione.441
Al fine di prevenire o trattare la sindrome della spalla dolorosa con caratteristiche invalidanti
sono stati tentati ripetutamente approcci basati sull’elettrostimolazione (FES, TENS, TENS a
bassa frequenza e bassa intensità).287,442 La maggior parte di questi è rappresentata da studi di
stesura 15 marzo 2005
Sintesi 14-24
L’impiego di tecniche di integrazione sensitivo-motoria, agopuntura e stimolazione elettrica transcutanea (TENS), è basato sui
risultati ottenuti in ambito sperimentale piuttosto che clinico. Non
sono evidenziabili vantaggi
aggiuntivi derivanti dall’associazione di elettrostimolazione (FES,
TENS) o agopuntura a trattamenti
chinesiterapici. L’utilizzo di queste tecniche può essere considerato in casi particolari per il controllo di sindromi dolorose.
Raccomandazione 14.41
❊GPP
L’impiego di tecniche di agopuntura e stimolazione elettrica transcutanea, da sole o in associazione al trattamento chinesiterapico,
per il trattamento di sindromi
dolorose, al di fuori della spalla, è
indicato solo nell’ambito di studi
clinici controllati.
Raccomandazione 14.42
Grado C
L’utilizzo della stimolazione elettrica transcutanea è indicato solo
per il controllo di sindromi dolorose della spalla del lato plegico
in casi particolari.
390
Raccomandazione 14.43
Grado C
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
coorte o da casi singoli.443 Una recente metanalisi su tutte le tecniche di elettrostimolazione 444
conclude con il riconoscere che questo approccio migliora l’escursione articolare scapoloomerale, probabilmente riducendo il rischio di sublussazione, ma non determina benefici ai
fini del contenimento del dolore o del miglioramento della condizione funzionale.
Sia nella fase acuta che in quella
post-acuta, è indicata la verifica
dei fattori potenzialmente responsabili di una sindrome dolorosa
cronica dell’arto superiore.
Nell’ambito delle tecniche di potenziamento della stimolazione afferente mirata a promuovere la riorganizzazione corticale, l’agopuntura ha riscosso un discreto successo.288,445-449
Tuttavia, una metanalisi degli studi controllati disponibili ha escluso per il momento un sicuro beneficio funzionale, derivante dall’impiego di questa tecnica, nell’ambito di un programma riabilitativo destinato al paziente post-ictus.289
Sintesi 14-25
14.4.4.1.5 Controllo delle condizioni che generano dolore
Non sono al momento documentabili sicuri benefici ottenuti da
approcci chinesiterapici nel trattamento della spalla dolorosa
dopo l’ictus. L’elettrostimolazione
consente di ottenere un miglioramento dell’escursione articolare
scapolo-omerale senza un persistente beneficio sulla disabilità
focale.
Un obiettivo indirettamente correlato con il recupero della funzione motoria dell’arto superiore è la prevenzione di una sindrome dolorosa prossimale. Studi osservazionali hanno indicato un’incidenza di dolore in sede scapolo-omerale nel 75% nei pazienti emiplegici sopravvissuti ad ictus, entro il primo anno.3,450. Possibili fattori favorenti l’insorgenza e il mantenimento di questa condizione sono rappresentati da ipostenia grave dell’arto superiore, flaccidità, sublussazione gleno-omerale, neglect ed emi-ipoestesia.3,451
L’utilizzo di supporti per l’arto superiore al fine di contenere la sublussazione è indicato, ma
la scelta del presidio deve essere effettuata sulla base delle esigenze individuali.452
14.4.4.1.6 Disfagia
Raccomandazione 14.44 a
Grado B
Nei primi giorni dopo l’ictus è
indicato uno screening tempestivo del rischio di aspirazione, da
parte di personale addestrato. In
caso di alterazione della deglutizione è opportuno l’intervento di
un logopedista e l’adozione di
misure idonee da parte dello
staff.
Raccomandazione 14.44 b
Grado D
È indicato prevenire la condizione di malnutrizione emergente
dalla disfagia mediante strategie
di nutrizione enterale, quali sondino naso-gastrico e gastrostomia percutanea.
Raccomandazione 14.44 c
Grado D
È indicato valutare attentamente
lo svezzamento dalla nutrizione
enterale nei soggetti con indici
prognostici favorevoli ed eseguirlo con modalità standardizzata
comprensiva di monitoraggio clinico, videofluoroscopico e/o
endoscopico, eseguito da personale specializzato.
La disfagia post-ictus incide in misura variabile compresa tra il 13% e il 71%. Dati così variabili sono da mettere in relazione alla sede dell’ictus (lesioni unilaterali vs. lesioni bilaterali), agli
strumenti di diagnosi, nonché al tempo intercorso fra l’evento acuto e la valutazione del paziente. In particolare, una rilevante quota di recupero, dal 43% fino all’86%, avviene con modalità
intrinseca, spontaneamente, nelle prime settimane.453,454 Per l’11% dei pazienti affetti da esiti
di ictus la disfagia è ancora presente a 6 mesi dall’evento acuto e per il 4% il sintomo è riscontrabile ad un anno. Al di là dell’impatto prognostico sfavorevole rappresentato dalla condizione di disfagia nella fase di degenza acuta e riabilitativa, già descritto nel Capitolo 11,46,108,455 la
persistenza di questa disfunzione in fase di stato è causa di malnutrizione 111-113 e di scarsa qualità di vita,105 fattori entrambi critici ai fini della determinazione delle richieste assistenziali.
La nutrizione enterale, ed in particolare la gastrostomia percutanea, costituisce senz’altro una
modalità di nutrizione sicura, efficace, affidabile e discretamente tollerata dai pazienti con
disfagia post-ictus.456,457 Tuttavia rappresenta pur sempre una tecnica invasiva che comporta
una modalità non fisiologica di alimentazione con alterazione dei meccanismi di regolazione
fame/sazietà, espone il paziente all’insorgenza di complicanze, può essere scomoda durante la
riabilitazione (il riaddestramento alla deglutizione, fra l’altro, è meno efficace in presenza di
sondino naso-gastrico),458 condiziona la qualità di vita, influenza il setting di dimissione, e
comporta dei costi.459
Nonostante lo svezzamento dalla nutrizione enterale interessi una buona percentuale di
pazienti disfagici, scarse sono le evidenze su cui basare poi una buona pratica clinica, che nella
maggior parte dei casi si fonda su tentativi e procedure aneddotiche.
Raccomandazione 14.44 d
Grado D
Nelle linee guida AHCPR 108 viene enfatizzata l’importanza del fatto che il paziente con disfagia post-ictus torni ad alimentarsi per via orale, quando questo sia considerato sicuro (cioè
quando viene mantenuto un peso adeguato e quando il paziente non presenta aspirazione). In
effetti, lo svezzamento dalla nutrizione enterale non costituisce necessariamente un obiettivo
perseguibile da tutti i pazienti. In alcuni casi la nutrizione enterale può ridurre lo stress e l’ansia del paziente, aiutandolo a focalizzare l’attenzione sui compiti riabilitativi. In questi casi è
raccomandabile che la nutrizione del paziente sia mantenuta attraverso una nutrizione orale
parziale con supplementi di nutrizione enterale.459
È indicato garantire costantemente, in tutte le fasi dello svezzamento dalla nutrizione parenterale, un adeguato apporto calorico ed idrico.
Non essendo stati individuati dei fattori clinici o videofluoroscopici predittivi di recupero,460,461 non si è in grado di individuare ab initio quei pazienti che potranno beneficiare di un
programma di svezzamento.112,462-468 Fondamentale è che i pazienti abbiano caratteristiche
cognitive e comportamentali tali da consentire la realizzazione della nutrizione orale.469
Il processo di svezzamento dalla nutrizione enterale prevede un approccio multidisciplinare
assicurato da un team riabilitativo composto dal medico riabilitatore, dal nutrizionista, dall’infermiere e dal logopedista.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
391
La fase preparatoria deve:
a. garantire la stabilità medica e nutrizionale;
b. pianificare un programma di nutrizione enterale intermittente;
c. realizzare un bilancio clinico funzionale della disfagia e/o una videofluoroscopia.
La nutrizione enterale intermittente favorisce il recupero di una sensazione fisiologica di appetito/sazietà necessaria per i tentativi di nutrizione orale. Essa dovrebbe fornire solo il 75%
delle richieste energetiche, ponendo attenzione a che il paziente sia in grado di integrare il
deficit calorico e mantenga il peso. La fase di svezzamento intermedia prevede l’utilizzo di
“cibi di stimolazione” (di consistenza molle), a frequenza crescente, fino allo svezzamento
definitivo dalla nutrizione enterale, obiettivo subordinato a sua volta alla possibilità di garantire un’adeguata idratazione.470-472
La fase di svezzamento si accompagna alla realizzazione di approcci riabilitativi formali, la cui
efficacia è ampiamente discussa. La possibilità di sviluppare interventi capaci di promuovere
il recupero è strettamente subordinata all’acquisizione di una migliore comprensione dei meccanismi selettivi di controllo corticale della deglutizione, al raggiungimento di un’evidenza di
plasticità, all’inquadramento dei diversi pattern clinici emergenti in relazione alle possibili sedi
lesionali. In particolare è opportuno ricordare quali menomazioni possono associarsi alla comparsa di disfagia ed influenzarne il recupero favorendo o interferendo con l’acquisizione di
strategie compensatorie.
Gli interventi riabilitativi volti al trattamento della disfagia, generalmente effettuati da un
logopedista, comprendono metodi non invasivi, applicati dalla fase acuta (dal primo tentativo
di alimentazione orale del paziente), costituiti da:
1. tecniche compensatorie:
• modificazione delle caratteristiche reologiche dei cibi;473
• mantenimento di posture corrette;474
• elicitazione dei meccanismi di protezione;
2. tecniche indirette:
• educazione del paziente e del caregiver;475
• stimolazioni sensoriali;476-477
• esercizi specifici per l’incremento dell’escursione del movimento, della forza, del tono e
della velocità di esecuzione;11
3. tecniche dirette:
• manovre deglutitorie di compenso;478
• esercizi di respirazione e coordinazione respirazione/apnea.
Al momento attuale le evidenze di efficacia dei singoli interventi appaiono deboli.456
L’educazione del paziente e del caregiver è verosimilmente fattore cruciale ai fini del contenimento delle complicanze correlate alla disfagia post-ictus.479-480
14.4.4.1.7 Le funzioni sfinteriche
La persistenza di alterazioni del controllo sfinterico dopo ictus si associa ad una ridotta prospettiva di recupero funzionale, una maggiore latenza prima del trasferimento dalla degenza
per acuti alla riabilitazione intensiva, una minore efficienza dell’intervento riabilitativo.82,481
Le ragioni risiedono verosimilmente nell’associazione di questo sintomo con lesioni di dimensioni estese, afasia, deficit cognitivo e grave deficit funzionale. La rilevanza del sintomo ai fini
dell’incremento delle esigenze assistenziali, dei rischi di comorbosità emergente (lesioni da
decubito per macerazione della cute, da sgocciolamento, oppure infezioni urinarie subentranti laddove si ricorra al cateterismo a dimora) e della qualità di vita suggerisce l’utilità di una
gestione multidisciplinare del problema e il suo inserimento nel progetto riabilitativo.
La valutazione urodinamica consente di dimostrare il meccanismo patogenetico alla base dell’incontinenza e di stabilire l’opportuna soluzione. In particolare, un’evidenza di iperreflessia
detrusoriale (rilevabile in circa il 40% dei casi)482 è imputabile alla compromissione del controllo volontario per lesioni che prediligono la parte anteromediale del lobo frontale, il ginocchio della capsula interna, o i nuclei della base;483 la presenza di iporeflessia (circa il 21% dei
casi) è prevalentemente riscontrabile in soggetti con neuropatia diabetica o trattati con anticolinergici, mentre una vescica normoreflessica (riscontrabile nel 37% dei casi) induce a ipotizzare che l’incontinenza consegua a variabili connesse con la comunicazione dei propri bisogni (demenza, afasia) o con gravi difficoltà di trasferimento per disabilità motoria.482
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.45
❊GPP
È indicato che le unità assistenziali attivino protocolli predefiniti
per gestire le condizioni di incontinenza o ritenzione urinaria e
fecale. Il bilancio del paziente
incontinente è un’attività di nursing che prende il via, insieme
alle relative misure assistenziali,
fin dal momento del ricovero. I
protocolli adottati debbono prevedere le condizioni di utilizzo del
catetere, la necessità di una valutazione urodinamica e della funzionalità anorettale, i presidi da
utilizzare sia durante la degenza
che dopo la dimissione, considerando anche gli eventuali ostacoli
all’attività sessuale.
Raccomandazione 14.46
Grado C
Nei soggetti con incontinenza
vescicale persistente è indicata
una valutazione clinico-funzionale
specialistica, comprensiva di
esame urodinamico, al fine di
programmare una rieducazione
alla minzione volontaria.
392
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Una gestione basata sull’evidenza può ispirarsi alle linee guida dettate dalla U.S. Agency for
Health Care Policy and Research (1996),484 che prevedono un approccio “a gradini”, articolato nella:
• rilevazione del problema minzionale, distinguendo l’incontinenza contestuale, da urgenza o
da stress, dallo svuotamento repentino della vescica, non preavvertito e non preceduto da
alcuna azione;
• identificazione dei fattori di rischio associati (demenza, afasia, grave disturbo motorio, infezioni urinarie, eccessiva assunzione di liquidi, diabete, uso di diuretici, utilizzo di farmaci
ad azione anticolinergica o adrenolitica);
• diagnosi clinica, laboratoristica e urodinamica;
• prognosi funzionale mirata a definire il grado potenziale di collaborazione del paziente ad
un intervento di rieducazione dello svuotamento vescicale;
• impostazione di un addestramento (mediante svuotamento cadenzato della vescica con
cateterismo intermittente o, dove indicato, con manovre atte ad incrementare la pressione
endoaddominale). La frequenza di svuotamento deve essere individualizzata, partendo da
intervalli di due ore, verificando la rispondenza dell’addestramento alle capacità del paziente e successivamente incrementando gli intervalli tra gli atti minzionali;
• revisione del risultato dopo 3-5 giorni ed implementazione del programma. I soggetti che
non sono in grado di mantenere una continenza entro l’intervallo di due ore dopo un addestramento di 2-4 settimane hanno prognosi sfavorevole e dovranno essere indirizzati all’uso di derivatori esterni, di cateterismo a intermittenza o, in ultima analisi, di cateterismo a
dimora. Quest’ultima opzione va riservata a soggetti ad elevato rischio di lesioni da decubito o portatori di grave disfunzione vescicale.
La decisione di avviare un paziente ad un addestramento di svuotamento vescicale cadenzato
può basarsi sulla rilevazione dei seguenti fattori prognostici favorevoli, derivati prevalentemente da studi controllati (University of Iowa Gerontological Nursing Interventions Research
Center 1999):485
• capacità vescicale >200 e <700 cc;
• integrità cognitiva;
• percezione dello stimolo minzionale;
• episodi di incontinenza in numero inferiore a 4 ogni 12 ore;
• capacità di svuotare spontaneamente la vescica dopo richiesta;
• residuo post-minzionale <100 cc;
• massimo volume di urina per atto minzionale >150 cc;
• svuotamento vescicale appropriato in almeno i due terzi delle occasioni durante i primi 3
giorni di rieducazione vescicale.
14.4.4.2
Recupero delle abilità nelle attività della vita quotidiana: interventi sulla persona
14.4.4.2.1 La terapia occupazionale
L’obiettivo dell’attività professionale del terapista occupazionale consiste nel minimizzare la
disabilità. A tale scopo vengono impiegate strategie per esaltare la funzionalità residua, rieducare il paziente alla gestione della propria persona e alle attività della vita quotidiana (ADL).
La terapia occupazionale ha come primo ruolo quello di migliorare l’autonomia nell’operatività e l’abituale partecipazione sociale. In una recente revisione sono stati valutati i principali
studi sull’efficacia della terapia occupazionale attraverso l’addestramento specifico sull’utilizzo di ausili per migliorare le prestazioni e la pratica all’interno di contesti familiari.486
Una recente revisione sistematica 487 documenta piccoli ma significativi vantaggi ottenuti con
la terapia occupazionale sia sulle attività basilari della vita quotidiana (cura di sé, mobilità) che
su alcune attività aggiuntive (lavori domestici e svago) e sulla partecipazione ad attività sociali. Anche se i dati emergenti risultano incoraggianti, sono ancora da definire tempi, modalità
e sedi dell’approccio riabilitativo che consentano di applicare su vaste popolazioni interventi
omogenei di terapia occupazionale.488
L’intervento del terapista occupazionale riguarda anche le abilità cognitive e motorie. In ambito cognitivo sono stati revisionati 8 studi che dimostrano l’azione positiva sulla Sindrome da
Negligenza Spaziale Unilaterale, mentre sulle prestazioni motorie sono stati revisionati 15
studi.489 La terapia occupazionale migliora il movimento nelle seguenti condizioni:
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
•
•
•
•
•
393
seguendo guide illustrate e scritte per gli esercizi motori;
usando oggetti significativi come bersaglio del movimento;
praticando movimenti nell’ambito di specifici obiettivi;
muovendo entrambe le mani ma indipendentemente;
immaginando un uso funzionale degli arti affetti.
La terapia occupazionale trova un ruolo specifico nelle fasi di recupero sia in riabilitazione
intensiva che nei programmi di trattamento domiciliare ed ambulatoriale.
Il terapista occupazionale identifica gli aspetti individuali che possono permettere alla persona disabile di esercitare specifiche attività allo scopo di recuperare le funzioni e massimizzare
la partecipazione in attività significative.26
14.4.2.2.2 Ortesi e ausili
L’ausilio è un mezzo esterno che facilita le attività della vita quotidiana (p.es. la carrozzina
negli spostamenti). L’ortesi è sempre un apparato esterno ma che agisce direttamente migliorando la funzione (p.es. ortesi di caviglia per limitare la flessione dorsale e/o la supinazione).
Sia gli ausili che le ortesi, introducendo cambiamenti anche piccoli, possono modificare
sostanzialmente l’autonomia della persona disabile. Purtroppo gli studi sono pochi e con
numeri limitati di pazienti per cui non si possono trarre conclusioni univoche.490-495
Le recenti linee guida inglesi enfatizzano la necessita di fornire ausili e ortesi prima possibile.26
C’è comunque un accordo generale che la prescrizione di ausili e protesi debba essere individualizzata ed effettuata all’interno del programma riabilitativo.29
14.4.4.3
Recupero delle abilità nelle attività della vita quotidiana: interventi sull’ambiente di vita
Nella realtà italiana la centralità della famiglia nella cura della malattia e nella tutela della salute è un dato consolidato. Le famiglie con un disabile sono l’11,2% del totale, quelle con un
disabile grave sono il 6,6%. Circa un milione e mezzo di persone tra i 35 e i 69 anni hanno
almeno un genitore non convivente con problemi di autonomia; l’82,7% di questi vede i propri genitori almeno una volta a settimana.496
Nello studio multicentrico italiano ICR2 l’84,5% dei 963 soggetti con esiti di ictus ritornano
a casa. Una simile percentuale motiva una particolare attenzione per la fase di dimissione dalle
strutture ospedaliere e di reinserimento nel proprio domicilio. La pianificazione del reinserimento a domicilio richiede le seguenti azioni:240
• conoscere l’ambiente di vita del paziente, la disponibilità di conviventi e di supporto familiare, le risorse economiche;
• conoscere la disposizione e le caratteristiche del domicilio e fornire indicazioni per l’adattamento dell’ambiente domestico, eventualmente attraverso la visita domiciliare di un terapista;
• illustrare la prosecuzione del progetto riabilitativo e la collaborazione richiesta ai familiari
per portarlo a termine;
• informare paziente e caregiver sulle risorse sanitarie e socio-assistenziali disponibili (ADI,
trasporto per day hospital e/o ambulatorio); se necessario, fornire certificazioni e prendere
contatti con le strutture sociosanitarie extraospedaliere, secondo un preordinato coordinamento delle varie figure professionali coinvolte;
• conoscere lo stile di vita e gli interessi del paziente prima dell’evento morboso e identificare nuove attività sociali e ricreative consone alle abilità funzionali;
• valutare realisticamente il supporto che il paziente può ricevere da parte dei caregiver, in
modo da non dare per scontato che le persone con cui il paziente viveva possano, o dispongano delle risorse economiche o desiderino, fornirgli l’assistenza necessaria, in particolare
quando si tratta di un coniuge anziano e in precarie condizioni fisiche piuttosto che dei
ragazzi troppo giovani. In caso di inadeguato supporto dei caregiver o di problemi abitativi non modificabili, fornire indicazione su luoghi di soggiorno alternativi;
• programmare brevi rientri a domicilio prima della dimissione, seguiti da incontri di verifica con il paziente e i familiari direttamente coinvolti;
• ove possibile, avviare i contatti per favorire il reinserimento in un’attività lavorativa.
L’informazione ed il supporto offerto alla famiglia ne migliora la partecipazione e la qualità di
vita; in tal modo aumenta e migliora anche il sostegno fornito al paziente, specie se anziano e
gravemente disabile.141,196 Esercitazioni guidate di soluzione di problemi sono apparse più
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.47
Grado B
È indicato valutare la necessità
di ausili sulla base del progetto
riabilitativo individuale. Gli ausili
dovrebbero essere forniti prima
possibile anche in base alle
necessità e aspettative del
paziente e della famiglia.
394
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
efficaci della semplice istruzione nell’accrescere le conoscenze sull’ictus e nel dare stabilità
all’organizzazione familiare, fino ad un anno dopo, senza maggior ricorso a risorse sociali.497
Entro un mese dalla dimissione, un incontro tra team ospedaliero, medico di medicina generale e operatori del Distretto, consentirà una verifica della qualità del ritorno a casa e una disamina di eventuali problemi aperti.
14.4.4.3.1 Adattamenti ambientali
Raccomandazione 14.48
❊GPP
Prima del rientro a domicilio del
soggetto colpito da ictus, è indicato realizzare gli adattamenti
ambientali consigliati.
Un paziente con esiti di ictus cerebrale, per essere indipendente, sicuro e a suo agio in casa
propria, può aver bisogno di ricorrere ad alcune modifiche. L’adattamento dell’ambiente
domestico rappresenta peraltro anche l’espressione di un percorso di adattamento equilibrato ai cambiamenti intervenuti nella vita della famiglia; non a caso avviene lentamente (nello
studio ICR2 una famiglia su tre alla fine del trattamento riabilitativo ha eliminato le barriere
architettoniche di ostacolo in casa).
L’intervento domiciliare degli operatori socio-sanitari e della riabilitazione può essere d’aiuto,
purché condotto con la giusta delicatezza, data anche la necessità di spesa per gli adattamenti e gli ausili non compresi nel Nomenclatore Tariffario.
Le leggi finanziarie, già prima del 2000, hanno previsto detrazioni fiscali per le spese sostenute per l’eliminazione delle barriere architettoniche all’interno della propria abitazione o in
spazi condominiali comuni (Legge Finanziaria 2002, come già per gli anni precedenti); la
Legge 13/1989 che prevedeva contributi tramite il Comune a favore dei disabili nella necessità di eliminare barriere architettoniche all’interno della propria abitazione, è stata finanziata
solo fino al 2000. Ciò costituisce inevitabilmente un ostacolo reale al recupero dell’autonomia.
Le modificazioni che possono essere richieste in casa prevedono interventi su diversi elementi strutturali.498
Accessi
Brevi scale o scalini d’ingresso possono richiedere l’aggiunta di un corrimano o di una rampa
(pendenza inferiore a cm 2,5 in verticale per cm 30 di lunghezza), anche smontabile a seconda delle esigenze. Secondo il DPR “Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 20012003” (3 maggio 2001)496 “il 48,2% dei disabili è confinato o ha difficoltà di movimento e
abita a piani superiori al piano terra senza avere l’ascensore”. In questi casi la tipologia delle
scale non sempre consente l’applicazione di una pedana o di un sedile su rotaia né d’altronde
è sempre possibile servirsi di montascale, vuoi per lo sviluppo delle rampe, vuoi per la destrezza richiesta all’accompagnatore. Una carrozzina elettrica in grado di superare senza l’aiuto di
una seconda persona dislivelli, gradini e scale richiede notevole spesa e integrità cognitiva.
Corridoi e stanze
I corridoi devono avere una larghezza di almeno 150 cm per consentire rotazione della carrozzina e passaggio anche di una persona.499 La camera da letto dovrebbe avere una superficie
da 10 m2 (singola) a 22 m2 (doppia), e uno spazio libero di almeno 120 cm a fianco del letto
per consentire i trasferimenti letto/carrozzina. Anche i mobili, per quanto possibile, dovranno
essere adattati alle esigenze del disabile, in particolare se deve affrontare trasferimenti da e per
la carrozzina: l’altezza del letto, la consistenza della rete o del materasso, l’altezza di sedie e poltrone (consigliati 45-48 cm), la presenza di tappeti o scendiletto. Esistono cuscini dotati di
molla che aiuta ad alzarsi, poltrone che vengono fatte alzare e inclinare elettricamente al
momento di sedersi e di alzarsi ed anche letti snodabili in grado di trasformarsi in ampi sedili.
Porte
Il vano delle porte può risultare insufficiente al passaggio della carrozzina. Se non è possibile
individuare un modello di compromesso tra necessità del paziente e spazi disponibili, sarà
necessario provvedere a modificazioni d’uso degli spazi meno accessibili, piuttosto che ad
interventi strutturali. Potranno essere utili maniglie di forma adattata, leve lunghe, congegni
ottico-meccanici di apertura e chiusura.
Cucina
Ripiani più bassi o carrelli possono sostituire piani di altezza inadeguata e privi di uno spazio
in cui alloggiare le ginocchia da seduti. Il lavello, i fornelli, i ripiani del frigorifero, difficilmente possono subire variazioni, se non nella forma di manopole e rubinetti o nella disposistesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
395
zione. Utile una protezione intorno al piano cottura, al caminetto e l’uso di guanti isolanti.
Erogatori dotati di termocoppia mettono al riparo da dispersioni di gas in caso di spegnimento accidentale delle fiamme. Le maniglie dei cassetti dovranno essere maneggevoli per dimensioni e forma.
Stanza da bagno
La stanza da bagno necessita spesso di modifiche, specie se deve accogliere un deambulatore
o una carrozzina. È possibile adottare una tazza “sospesa” che funga anche da bidet, alta da
terra fra 38 cm e 55 cm (o un rialzo con braccioli), con intorno circa 80 cm di spazio, e un
lavabo a mensola (bordo inferiore a 70 cm da terra, tubature calorifughe).499
Una doccia accessibile adattata, può risolvere il problema dell’ingombro e della scarsa accessibilità della vasca, ma esistono seggiolini che ruotano intorno ad un perno fisso, per facilitare l’accesso alla vasca, o altri che si spostano in altezza, mossi da motori elettrici o dalla pressione di una mandata d’acqua accessoria.
I rubinetti a leva singola sono da preferirsi in quanto più maneggevoli e lo stesso dicasi per le
docce a telefono, specie per coloro che fanno il bagno seduti.
Un pavimento impermeabilizzato in materiale antisdrucciolo ed un sistema di allarme sempre
a portata di mano, completano la sicurezza del bagno.
Sicurezza, convenienza, comodità
Dovrebbero essere requisiti di tutte le case, in realtà poche sono dotate, p.es., di un segnalatore di fumo, o hanno un estintore nel garage o vicino al caminetto. Altri sistemi permettono
il controllo a distanza delle luci e di tutti gli apparati esistenti in casa, mentre quelli fuori portata possono essere manovrati mediante sistemi più sofisticati di controllo. Telefoni portatili o
segnalatori collegati a centrali di telesoccorso consentono maggiori possibilità di comunicare,
anche in caso di urgenza.
Parte di quanto sopra può valere anche per luoghi ove si svolgano lavori sedentari. Diversa è
la situazione in caso di lavori fisicamente impegnativi o che si svolgono in contesti ambientali
disagiati o secondo routines complesse, pericolose.
Spazi esterni
Ove disponibile uno spazio esterno, andrà adeguatamente pavimentato e dotato di corrimano
e sedili idonei. Orti e giardini dovranno prevedere spazi idonei a spostamenti sicuri.
È importante il contatto con centri di riferimento per la valutazione dell’utilità di adottare
ausili complessi, come quelli per la comunicazione, o il controllo ambientale o per consentire
la ripresa di attività lavorative. Detti centri devono disporre di banca dati aggiornata sugli ausili e sulle disposizioni legislative nonché di personale con preparazione specifica, in grado di
supportare il team nella valutazione globale delle esigenze del singolo paziente.
14.4.4.3.2 Pianificazione e comunicazione con le strutture di intervento socio-sanitario
I pazienti con esiti di ictus sono svantaggiati in diversi ambiti. L’handicap è solo in parte spiegato dalla disabilità e i pazienti possono rimanere socialmente isolati nonostante un recupero
fisico relativamente buono.69,500 La verifica dell’efficacia del trattamento riabilitativo, per
quanto importante, non esaurisce il problema della qualità del reinserimento, del grado di
svantaggio sociale residuo e della qualità di vita.501
Un forte supporto sociale sembra migliorare l’esito a distanza, specialmente nei pazienti
gravi,603 e ogni centro sanitario dovrebbe disporre di un servizio sociale in grado di fornire
supporto istruttivo, strumentale e psicologico,11 necessario ad avviare al meglio il reinserimento del paziente e della famiglia.
Sebbene la maggior parte del supporto sociale sia fornito da familiari, parenti e amici, la tendenza è che questi ultimi gravitino intorno al paziente durante la fase acuta, o nell’immediata
post-dimissione, isolandolo successivamente. In queste circostanze divengono molto importanti, e devono essere fatte conoscere, le occasioni di socializzazione intorno a particolari interessi, le iniziative promosse dal mondo del volontariato e in particolare le Associazioni di
pazienti e familiari.
Nel caso di pazienti gravi che necessitino di particolare assistenza, il Distretto, su segnalazione del medico di medicina generale, avvia una delle forme di Assistenza Domiciliare Integrata
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.49
❊GPP
Nella fase post ospedaliera è
indicato attivare tutte le risorse
territoriali mirate a potenziare il
recupero e facilitare il reinserimento nell’ambiente sociale,
tenendo conto delle indicazioni
formulate dal team attivo nella
fase post-acuta.
396
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
(ADI); l’obiettivo è soprattutto assistenziale, mentre la rieducazione ha una funzione integrativa e viene applicata sulla base di specifici obiettivi. L’ADI garantisce, nelle sue varie formule, flessibilità ed efficacia di intervento; nell’anziano, in particolare, determina un contenimento dei costi, grazie anche alla riduzione del tasso di riospedalizzazione, ma soprattutto previene il decadimento funzionale e cognitivo, migliora il tono dell’umore e la percezione soggettiva di salute.503,504
Nella realtà il percorso di gestione appare carente nell’equità di accesso e di erogazione delle
prestazioni, presenta scollamenti fra attività ospedaliere, distrettuali, domiciliari e assistenziali, carenza o assenza di comunicazione fra i soggetti erogatori delle prestazioni e una scarsa
efficienza complessiva del sistema, nonostante le notevoli risorse assegnate.
Si propone pertanto la realizzazione del modello Stroke Service con obiettivo il “disease management” della malattia cerebrovascolare, integrando la gestione della fase acuta con interventi sul territorio, in collaborazione con i medici di famiglia, in forma di dimissione protetta, di
programmi di prevenzione, di riabilitazione e di follow-up. La sua attuazione determina una
rilettura ed ottimizzazione delle risorse già presenti all’interno delle ASL, con il vantaggio di
una finalizzazione dei servizi rivolti al massimo reinserimento ed alla massima continuità assistenziale.
Il modello gestionale prevede la formalizzazione di un gruppo di lavoro (“working team”)
rappresentativo di tutte le professionalità che intervengono sull’ictus sia nella fase ospedaliera
che in quella territoriale, al fine di garantire una dimissione protetta dall’ospedale, individuando il percorso ottimale post-dimissione condiviso dai componenti del team e dai familiari del paziente.
L’ADI viene attuata su suggerimento del medico di medicina generale quando è possibile il
reinserimento familiare ed è necessario un supporto internistico e/o riabilitativo; prevede il
coordinamento delle attività da parte del medico di famiglia ed una valutazione finale da parte
del working team. Le risorse riabilitative necessarie per il trattamento in ADI, devono essere
concordate, in fase di stesura del progetto individualizzato, dalla U.O. di riabilitazione con il
medico di famiglia, i medici specialisti e i familiari. Il progetto riabilitativo si realizza nella
valutazione fisiatrica e nel conseguente trattamento neuromotorio, logopedico, funzionale e
nella valutazione di adattamenti ambientali e di idonei ausili od ortesi. Vanno inoltre analizzate, con i servizi socio-assistenziali territoriali, le eventuali risorse assistenziali ad integrazione della famiglia. Il ruolo del medico di famiglia, secondo i concetti del case management è
principalmente quello del coordinamento delle attività territoriali, decidendo, in accordo con
il collega funzionario della ASL, di programmare l’accesso a casa del paziente degli specialisti
competenti per i vari problemi medici e di altre figure professionali come i fisioterapisti (riabilitazione neuromotoria), infermieri professionali (medicazioni, terapie infusive o parenterali), ausiliari socio sanitari (incontinenza sfinterica, alimentazione assistita, igiene parziale e
totale) e logopedisti (trattamento delle afasie e/o disartrie). Tra gli specialisti più frequentemente coinvolti, oltre ai fisiatri, ai geriatri e ai neurologi è opportuno segnalare anche gli psichiatri per l’elevata percentuale di comparsa di depressione, deterioramento cognitivo o mancato adattamento alla nuova realtà nei soggetti che hanno subito un ictus invalidante, e gli psicologi per il supporto del paziente e dei familiari.209,505,506
Nel caso del paziente anziano, la costituzione del piano assistenziale è affidata all’Unità di
Valutazione Geriatrica (UVG) ed il medico di medicina generale è comunque responsabile e
garante della sua attuazione, sempre in collaborazione con i funzionari dell’ASL. I costi
dell’ADI, come emergono dalla letteratura internazionale, sono estremamente vantaggiosi.209
Considerato il livello medio di invalidità, la spesa per la Regione che eroga il servizio si pone
complessivamente a livelli più bassi di quelli della degenza, anche per il paziente che necessita di un elevato numero di accessi e di figure professionali coinvolte.
Per i casi più complessi di ictus negli anziani i quali, per la presenza di molteplici fattori interattivi, necessitano di una valutazione multifattoriale, molte Regioni hanno attivato la Unità di
Valutazione Geriatrica che, nella sua impostazione teorica, prevede la figura del case manager.507 Studi controllati hanno dimostrato come tale modalità assistenziale sia la più efficace –
in questo specifico ambito – sia sul piano dei risultati sia su quello dell’economia sanitaria.503,508
Una revisione Cochrane riguardante il trattamento domiciliare di tipo occupazionale pianificato prima della dimissione 158 mostra un effetto favorevole sugli eventi avversi conseguenti ad
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
ictus, valutabili in termini di mortalità o deterioramento dell’autonomia. Questi dati confermano i benefici documentati da uno studio controllato condotto su soggetti con ictus non
ricoverati in ospedale.258,338
Per essere d’aiuto ai pazienti, il sistema di riabilitazione professionale deve migliorare valutazione, interventi, istruzione e tutela legale del paziente.11 Le tradizionali metodologie di valutazione possono allontanare i pazienti con deficit comportamentali e cognitivi relegandoli a
occupazioni sottopagate e insoddisfacenti.509 Sono necessarie valutazioni flessibili e modelli
occupazionali che tengano conto di variabili personali cliniche, psicologiche, scolastiche, professionali, economiche ben radicate nella realtà lavorativa e di vita. Nessuno degli strumenti di
valutazione disponibili è stato testato nei pazienti reduci da ictus.
397
Raccomandazione 14.50
Grado B
È indicato incoraggiare i pazienti
reduci da un ictus, che in precedenza lavoravano, a ritornare alle
loro occupazioni, se le loro condizioni lo permettono. Se necessario, il paziente dovrebbe ricorrere
ad un intervento di consulenza in
merito alle varie possibilità professionali.
Gli operatori sanitari dovrebbero tenersi in contatto con i datori di lavoro per incoraggiarli ad
inserire negli organici aziendali persone con inabilità da ictus o da altre cause. I pregiudizi sull’improduttività dei disabili devono essere dissipati. Gli operatori della riabilitazione dovrebbero fornire assistenza tecnica ai datori di lavoro nell’analizzare le mansioni professionali, stilarne una descrizione scritta e fornire una sistemazione appropriata ai dipendenti che hanno
avuto uno ictus.
Ostacoli al reintegro nell’attività professionale possono essere rappresentati dalla ridotta attività di consulenza fornita dagli operatori sanitari, dalle barriere architettoniche nei posti di
lavoro e dalle provvidenze economiche riservate a chi interrompe l’attività lavorativa in seguito alla malattia
Con il tempo, lo svantaggio sociale appare meno legato alla menomazione ed alla disabilità.
Nello studio di Sturm et al.,69 a 12 mesi esse lo giustificano solo per il 50%; acquistano maggior peso fattori culturali e sociali, più difficilmente modificabili, specie in caso di disabilità
importante e cognitiva, come pure caratteristiche individuali e relazionali preesistenti.
14.5
APPROCCIO
ALLA COMORBOSITÀ ED ALLE COMPLICANZE
CHE INFLUENZANO IL RECUPERO DELL’AUTONOMIA
Questa sezione illustra l’influenza delle condizioni cliniche che coesistono con gli esiti dell’ictus,
sul recupero dell’autonomia. Sebbene gran parte di tali condizioni assumano anche il ruolo di fattori predittivi, può essere clinicamente rilevante trattare selettivamente i quadri clinici che compromettono l’autonomia nelle attività della vita quotidiana.
Le informazioni contenute consentono di definire quali aspetti debbono essere verificati e trattati per ottenere risultati più gratificanti per il soggetto malato e per lo staff.
Le situazioni cliniche trattate si estendono soprattutto nella fase di riabilitazione estensiva, quando maggiori sono le risorse necessarie al recupero funzionale.
L’utenza medica di riferimento della sezione coincide con gli operatori competenti nell’attività di
riabilitazione e di assistenza internistica, con particolare riguardo alle valenze neurologiche e
geriatriche.
La popolazione di soggetti nella quale sono applicabili le indicazioni fornite è aggregata nell’ambito dei pazienti con disabilità multiple, in gran parte correlate all’età avanzata ed alla patologia
vascolare, metabolica e degenerativa.
Tutte le patologie croniche che di base possono ridurre l’autonomia dei pazienti renderanno
il processo riabilitativo dei pazienti con ictus più laborioso e meno soddisfacente. Per tale
motivo dovranno essere correttamente indagate, diagnosticate e trattate, in modo che il loro
impatto sul processo riabilitativo sia il meno pesante possibile. Stesso discorso ovviamente va
fatto per le comorbosità che si verificano nel paziente come complicazioni e/o conseguenze
dell’ictus stesso.
14.5.1
Spasticità
La spasticità è una complicazione delle lesioni cerebrovascolari frequente – anche se recentemente è stata riscontrata solo nel 19% di 95 pazienti a 3 mesi dall’evento acuto 510 – e disabilitante, e spesso necessita di specifico trattamento. Purtroppo la terapia è solo sintomatica, con
risultati variabili, ed include trattamenti farmacologici, riabilitativi e chirurgici. Non sono
numerosi gli studi clinici sull’argomento, ed i dati disponibili sono positivi essenzialmente per
la tizanidina.511,512 La chemodenervazione locale della tossina botulinica permette, oltre a
ridurre l’ipertono nei segmenti infiltrati, di migliorare le prestazioni funzionali. Gli studi ranstesura 15 marzo 2005
Sintesi 14-26
I pazienti possono presentare,
oltre ai postumi dell’evento cerebrovascolare, altri disturbi, come
comorbosità preesistenti o complicazioni dell’evento ictale (spasticità, depressione, malnutrizione, patologie articolari e/o dolorose, cadute…). Tali disturbi, nei
pazienti con postumi di ictus, non
devono essere considerati ineluttabili, ma devono essere adeguatamente valutati e trattati, in
quanto altrimenti possono condizionare negativamente il processo riabilitativo.
Raccomandazione 14.51
Grado B
Nell’ambito di un programma di
trattamento della spasticità è
indicato l’impiego della tossina
botulinica nel trattamento focale,
a livello dell’arto inferiore o superiore, dopo aver valutato la risposta o la tollerabilità degli antispastici orali.
398
Raccomandazione 14.52
Grado D
Fra i soggetti che hanno ripreso a
camminare dopo un ictus, è indicato:
1. identificare i pazienti a rischio
di cadute,
2. attuare un trattamento riabilitativo specifico,
3. adottare modifiche ambientali
per prevenire le cadute, attraverso la facilitazione dell’accessibilità ai servizi igienici, il
miglioramento dell’illuminazione, il trattamento dei pavimenti scivolosi, e l’aumento
della sorveglianza.
Raccomandazione 14.53
❊GPP
Benché non esistano evidenze a
supporto dell’efficacia di un
approccio riabilitativo atto a
migliorare deficit di attenzione e
di memoria, dato il grave impatto
funzionale del deterioramento
cognitivo in pazienti con ictus è
indicato l’utilizzo di approcci
basati sullo sfruttamento di abilità residue e un’adeguata educazione del caregiver.
Raccomandazione 14.54 a
❊GPP
Nelle fasi precoci post-ictus è
indicato attuare il corretto posizionamento della spalla, l’utilizzo
dei supporti morbidi e l’astensione da manovre di trazione della
spalla plegica.
Raccomandazione 14.54 b
❊GPP
Successivamente alla fase precoce post-ictus, nei casi in cui si
verifica una sublussazione di
spalla, è indicato eseguire uno
studio radiologico
Raccomandazione 14.54 c
Grado D
In caso di sublussazione della
spalla è indicata la prescrizione
di un supporto per spalla e la
Stimolazione Elettrica Funzionale
(FES).
Raccomandazione 14.54 d
Grado D
Se si presenta una rilevante sintomatologia dolorosa a livello
della spalla, è indicata la possibilità di un’infiltrazione con steroidi.
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
domizzati controllati sul trattamento dell’arto inferiore 513,514 e dell’arto superiore 515-518 forniscono un valido supporto all’impiego che comunque richiede competenza da parte degli operatori medici.
14.5.2 Ipotonia
Una prolungata flaccidità, associata generalmente ad emidisattenzione spaziale, è un fattore
poco studiato, ma prognosticamente negativo.83 Anche i dati di letteratura relativi al suo trattamento sono attualmente scarsi e non risolutivi.519
14.5.3 Depressione post-ictale
La depressione post-ictale (“post-stroke depression” – PSD) è di frequente osservazione nei
pazienti con postumi di lesione cerebrovascolare. I problemi tuttora aperti, ed affrontati in
dettaglio nel Capitolo 15, includono la reale prevalenza, le modalità diagnostiche, e i relativi
meriti delle diverse opzioni di trattamento.
14.5.4 Cadute
Le cadute rappresentano un evento di rilevanza anche grave che può realizzarsi nel corso del
recupero, e si verificano con una frequenza variabile (20%-50% nelle varie casistiche),520-522
ma fortunatamente con una non elevata percentuale di eventi fratturativi.523 Sono stati individuati alcuni fattori prognostici associati con il rischio di cadute: la compromissione motoria e
sensoriale,521 la depressione,520 le cardiopatie, i deficit cognitivi e l’incontinenza urinaria.523 Il
rischio di cadute nei reparti di riabilitazione aumenta in considerazione del trattamento stesso, che di per sé induce una maggiore mobilità.
14.5.5 Deterioramento cognitivo e demenze
La presenza di una compromissione cognitiva interferisce con le capacità del paziente di
apprendere, ovvero di partecipare e trarre beneficio dal trattamento riabilitativo. Un particolare impatto ha la persistenza di questi disturbi sui caregiver dopo il rientro in famiglia.
Problemi di attenzione e memoria sono frequenti nei pazienti con ictus. Una compromissione
cognitiva (memoria, orientamento, attenzione) è stata associata con una maggiore lunghezza
della degenza riabilitativa e maggiori necessità assistenziali,524 e con un maggiore rischio di
dipendenza nelle attività di vita quotidiana.525
Il disorientamento, osservabile quasi in un quarto dei pazienti in fase acuta e in oltre il 10%
dopo riabilitazione,526 compromette l’autonomia nelle attività di vita quotidiana.527
L’importanza dei fattori cognitivi è particolarmente importante nei pazienti di età ≥60 anni.527
Per tale motivo sono stati utilizzati vari approcci riabilitativi, basati sullo sfruttamento delle
abilità residue e su approcci compensatori. Una recente revisione sistematica Cochrane ha
segnalato che un trattamento riabilitativo per l’attenzione è in grado di migliorare la vigilanza
e l’attenzione sostenuta, ma non ci sono al momento evidenze per capire se sia in grado o
meno di migliorare la prognosi funzionale dei pazienti.434 Discorso analogo è stato fatto, sempre in una revisione sistematica Cochrane, per i training per i deficit di memoria.435
14.5.6
Disturbi funzionali coesistenti
14.5.6.1
Patologia articolare
La spalla dolorosa dell’emiplegico è una complicazione frequente, osservabile nel 16%-84%
dei casi, e riconducibile a cause sia non locali (cervicopatie, dolore talamico, ecc.) che locali
(sublussazione, lesioni cuffia rotatori, capsulite adesive, tendiniti, spasticità).529 Sono stati proposti vari approcci medici e riabilitativi per ridurre la componente dolorosa ed aumentare
l’autonomia funzionale. Nelle fasi acute e post-acute, e nel malato allettato, è importante il
corretto posizionamento dell’arto per cercare di evitare la sublussazione. L’utilizzo di sling per
prevenire la sublussazione gleno-omerale è tuttora controverso. La quasi totalità dei reggispalle disponibili si sono dimostrati efficaci nel ridurre la sublussazione. Una recente revisione sistematica, valutando 14 studi su 25 selezionati, non è riuscita ad individuare l’approccio
riabilitativo migliore, a causa della scarsa qualità degli studi in questione.529 Gli stessi autori
ritengono approcci utili la stimolazione elettrica funzionale (FES) e le infiltrazioni con triamcinolone. La FES è ritenuta utile per ridurre la sublussazione,444,530 ma non in grado di influenzare il recupero, la spasticità o la sintomatologia dolorosa.444 Una revisione Cochrane pubblicata nel 2003 sottolinea la necessità di studi adeguati e metodologicamente corretti per poter
trarre delle conclusioni generalizzabili.531
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
14.5.6.2
Sindromi dolorose
Una sindrome dolorosa centrale (CPSP – “central post-stroke pain”), o sindrome talamica, è
stata osservata nell’8% dei pazienti con postumi di ictus,532 ma la sua reale incidenza è tuttora oggetto di discussione a causa di un approccio al problema spesso non corretto.533 Una sindrome dolorosa centrale può aumentare la disabilità dei pazienti.534 Il trattamento farmacologico, classicamente eseguito con antidepressivi triciclici, utilizza attualmente farmaci antiepilettici.535
14.5.6.3
Ipostenia
La gravità della compromissione motoria è un rilevante fattore prognostico per il recupero
funzionale dei pazienti,536,537 anche se l’ipostenia è generalmente valutata nell’ambito della
gravità della menomazione. Infatti le scale di menomazione valutano essenzialmente la compromissione motoria. Una recente revisione sistematica ha confermato che la gravità iniziale
della paresi è il fattore più importante per la prognosi del recupero motorio.538
14.5.6.4
Malnutrizione
In circa un terzo dei pazienti ricoverati per ictus si osserva uno stato di malnutrizione,539 ma
risultavano malnutriti anche pazienti che non necessitavano di assistenza nell’alimentazione.
Malgrado sia stato segnalato che la presenza di malnutrizione sia associata ad una maggiore
lunghezza della degenza riabilitativa ed una maggiore disabilità alla dimissione,111,455 nella
maggioranza degli studi di prognosi le condizioni dello stato nutrizionale sono state generalmente trascurate. Va tenuto inoltre presente che le necessità nutrizionali dei pazienti cambiano in relazione alle condizioni cliniche, al fatto che il paziente sia allettato o che pratichi un
trattamento riabilitativo.
14.5.6.5
Alterazioni del sonno
Le alterazioni del sonno sono frequenti, ma essenzialmente secondarie a problematiche neuropsichiatriche, metaboliche e/o iatrogene. Un crescente e recente interesse è per le apnee
ostruttive notturne, osservate in un elevato numero di casi nel periodo post-acuto (in circa il
45%-60% dei casi),540,541 specie in pazienti obesi e cardiopatici,542 ed associate con una maggiore compromissione nelle attività di vita quotidiana.542 Tale fattore dovrà essere valutato in
particolare nei pazienti obesi e cardiopatici con ictus.
14.5.6.6
Altri disturbi
Un preesistente disturbo extrapiramidale può, se non adeguatamente diagnosticato e trattato,
complicare la prognosi riabilitativa dei pazienti con postumi di ictus. Va però segnalato che i
dati di letteratura sull’argomento sono assolutamente carenti, in quanto gli studi di prognosi
sono generalmente eseguiti in pazienti selezionati, normalmente privi di preesistenti patologie
disabilitanti croniche (come le malattie extrapiramidali) in grado di inficiare il processo riabilitativo. La segnalazione che la presenza di malattia di Parkinson possa proteggere da eventi
cerebrovascolari, verosimilmente legata ad una azione protettiva legata alla carenza di dopamina,543 non è stata recentemente confermata.544
14.6
399
IL
SETTING ASSISTENZIALE: CHI, DOVE, QUANDO
Questa sezione illustra i criteri di identificazione della sede più appropriata di assistenza, in relazione alle caratteristiche cliniche del paziente ed alle risorse delle strutture sanitarie.
Le informazioni disponibili consentono di rispondere al quesito relativo a dove offrire le prestazioni più idonee ad ottenere il miglior livello di autonomia ed alle richieste relative alle possibili
esigenze future di prestazioni assistenziali.
Le situazioni cliniche trattate sono collocate temporalmente nella fase dell’assistenza in cui gli
obiettivi caratterizzanti una struttura sono stati raggiunti ed è opportuno trasferire il paziente nella
sede assistenziale più idonea alla prosecuzione della cura.
I medici che possono meglio utilizzare le raccomandazioni della sezione sono coinvolti nell’attività riabilitativa, oppure sono impegnati nell’assistenza a lungo termine in ambito territoriale.
Anche i medici della fase acuta possono individuare i requisiti di appropriatezza della degenza
nelle varie strutture assistenziali ospedaliere ed extraospedaliere.
La popolazione di riferimento delle considerazioni presentate nella sezione è costituita da soggetti in condizioni cliniche non stabilizzate o stabilizzate e, in quest’ultimo caso, proposti per un
trattamento di recupero delle attività compromesse dall’ictus oppure impegnati nel mantenimento delle prestazioni acquisite.
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.55
Grado C
Nei casi di persistente sindrome
dolorosa centrale è indicato un
trattamento antidolorifico con
antiepilettici (gabapentin od
altro), o con triciclici (amitriptilina
od altro) con dosaggio da personalizzare.
Raccomandazione 14.56
❊GPP
È indicato introdurre nella cartella clinica una valutazione nutrizionale, che dovrebbe seguire il
paziente durante le diverse fasi
della degenza, in quanto le sue
necessità nutrizionali cambiano
nel tempo. I dati derivati dalla
cartella nutrizionale dovrebbero
essere inseriti tra le variabili utilizzate negli studi di prognosi.
Raccomandazione 14.57
Grado D
In pazienti con ictus, obesi o cardiopatici, è indicata una valutazione ossimetrica e polisonnografica per valutare la presenza di
apnee notturne. In questi casi è
necessario realizzare un programma di riduzione del peso,
abolizione degli alcolici, miglioramento dell’apertura nasale ed
evitare la posizione supina notturna.
400
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
14.6.1
Sintesi 14-27
Le attività sanitarie di riabilitazione sono realizzabili in una rete di
strutture assistenziali dedicate,
differenziate in attività di riabilitazione intensiva ed estensiva in
relazione alla tipologia ed all’intensità dell’intervento.
Strutture e interventi disponibili
Il percorso della persona disabile a causa di un ictus trae maggior beneficio da una rete integrata di interventi coordinati, che possono garantire la continuità del recupero, dall’evento
acuto al reinserimento familiare e sociale.
Le attività sanitarie di riabilitazione possono essere distinte in relazione alla tipologia e intensità di intervento, tutte inserite in una rete assistenziale complessa, che deve prevedere un collegamento tra le stesse. Secondo quando definito dalle linee guida nazionali possiamo distinguere gli interventi in:
a) attività di riabilitazione intensiva: dirette al recupero di disabilità medio-gravi, modificabili, che richiedono un impegno medico specialistico, tecnico-riabilitativo multidisciplinare
ad elevata complessità e con un intervento riabilitativo di almeno tre ore dedicate al paziente.
b) attività di riabilitazione estensiva: caratterizzate da un moderato impegno terapeutico-riabilitativo, ma con un adeguato supporto assistenziale. L’impegno clinico e riabilitativo prevede comunque una presa in carico specificatamente riabilitativa per un intervento di durata
variabile tra una e tre ore giornaliere a paziente.
Un’altra possibilità di classificazione delle strutture è basata su 3 livelli:
a. 1° livello: quello territoriale e della riabilitazione estensiva:
b. 2° livello: quello ospedaliero della riabilitazione intensiva;
c. 3° livello: quello di alta specialità identificato nelle Unita per Gravi Cerebrolesioni acquisite riservato, in genere, a pazienti con esiti di coma (GCS ≤8).
Gli interventi di riabilitazione intensiva sono erogabili in regime di:
1. ricovero a ciclo continuativo (degenza ordinaria):
• unità per gravi cerebrolesioni acquisite;
• centri di riabilitazione intensiva;
2. ricovero a ciclo diurno (day hospital):
• centri di riabilitazione intensiva.
Gli interventi di riabilitazione estensiva sono erogabili presso le seguenti strutture:250
1. le strutture ospedaliere di lungodegenza riabilitativa;
2. i presidi ambulatoriali di recupero e rieducazione funzionale territoriali e ospedalieri;
3. i presidi di riabilitazione extraospedaliera a ciclo diurno e/o continuativo;
4. i centri ambulatoriali di riabilitazione;
5. le residenze sanitarie assistenziali (RSA);
6. le strutture residenziali o semiresidenziali di natura socio-assistenziale, i centri socio-riabilitativi e il domicilio;
7. i centri socio-riabilitativi;
8. il domicilio.
A fronte dell’inquadramento generale fornito dalla linee guida nazionali occorre definire i setting specifici per il paziente con ictus.
14.6.1.1
Degenza per acuti
La riabilitazione va iniziata più presto possibile ed è quindi necessario strutturare l’intervento, fin dalla fase acuta, di tipo interdisciplinare con intervento assistenziale riabilitativo precoce. La stroke unit deve quindi avere la possibilità di disporre di fisioterapisti, eventualmente
logopedisti, e consulenza medico-riabilitativa. La stroke unit deve collegarsi con le strutture
riabilitative di diverso livello per trasferire i pazienti in continuità assistenziale e per proseguire lo specifico progetto riabilitativo (riabilitazione intensiva, estensiva ecc.).
14.6.1.2
Presidi e centri di riabilitazione intensiva ed estensiva
14.6.1.2.1 Centri di Riabilitazione intensiva
Gli interventi inquadrabili come riabilitazione intensiva sono rivolti al trattamento di menomazioni gravi e disabilità complesse, con eventuali patologie associate, che richiedono un ambiente riabilitativo dedicato. Le condizioni del paziente richiedono un ricovero con disponibilità
continuativa, nell’arco delle 24 ore, di prestazioni diagnostico-terapeutico-riabilitative a elevata intensità (almeno 3 ore di trattamento per paziente) e un trattamento riabilitativo indifferibile e non erogabile in altri regimi. Nelle 3 ore di trattamento sono da intendersi anche quelle
relative al nursing riabilitativo e in generale agli atti di tipo riabilitativo rivolti al paziente.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
Inoltre il paziente deve avere margini di miglioramento e la possibilità di sostenere la riabilitazione intensiva.250
14.6.1.2.2 Day hospital riabilitativo
Quando è indicato applicare un programma di riabilitazione intensiva ma non è necessario
rimanere in ospedale per tutto l’arco delle 24 ore si può intervenire in regime di day hospital
riabilitativo. Le caratteristiche dell’intervento rimangono comunque complesse con programma omnicomprensivo di fisioterapia, logopedia e terapia occupazionale.
14.6.1.2.3 Degenza estensiva a ciclo continuativo (lungodegenza riabilitativa)
I pazienti che non possono sostenere programmi di riabilitazione estensiva ma non possono
tornare al domicilio, possono essere indirizzati in reparti di riabilitazione estensiva dove l’intervento riabilitativo ha una durata variabile tra 1 e 3 ore. La persona viene ricoverata per un
limitato periodo di tempo e, se le condizioni dovessero migliorare, potrebbe rientrare nella riabilitazione intensiva.
14.6.1.2.4 Ospedali di comunità (o di distretto)
Gli ospedali di comunità non rappresentano specificamente strutture riabilitative ma sono
strutture di assistenza dove può essere applicato un programma riabilitativo estensivo. Gli
ospedali di comunità sono strutture con personale infermieristico e gestione medica da parte
dei medici di medicina generale, sul modello delle Nursing Home anglosassoni.
14.6.2
Ambulatori e centri di riabilitazione territoriale
Gli ambulatori dove viene svolta la fisioterapia possono essere semplici, con fisioterapista,
medico e possibilità di applicare specifici programmi. Un maggiore livello di complessità è
rappresentato dal centro di riabilitazione territoriale dove viene ricostituito un team multidisciplinare e l’intervento, ancorché non intensivo, è comunque multidisciplinare e multiprofessionale in stretto collegamento con i centri di salute territoriali (distretti sanitari o sociosanitari, centri di salute ed altri variando di regione in regione).
14.6.3
Domicilio
A livello domiciliare è possibile applicare diversi programmi di riabilitazione differenziati in
base alla gravità del paziente. Un’assistenza riabilitativa può essere realizzata anche su pazienti molto gravi per i quali si realizza esclusivamente un’attività di mobilizzazione e posizionamento; al contrario, i soggetti che hanno già ottenuto un significativo recupero funzionale
sfruttano i vantaggi correlati all’ambiente, adattando l’esercizio terapeutico alle esigenze della
vita quotidiana a domicilio.
Il limite del domicilio è la mancanza di strumenti e facilitazioni tecniche fornite da una palestra di fisioterapia, il vantaggio è la familiarità e la contestualizzazione delle attività nell’ambiente domestico.
14.6.4
RSA
Le residenze sanitarie assistenziali (RSA) sono strutture dedicate a persone disabili non autosufficienti che non possono essere assistite a domicilio, con esiti stabilizzati di patologie, fisiche, psichiche, sensoriali o miste. I programmi riabilitativi possono essere di tipo estensivo
integrati con i programmi assistenziali. Si parla in questi casi di progetti riabilitativi di struttura caratterizzati da indicazioni riabilitative globali (p.es. strategia per la prevenzione delle
cadute accidentali ecc.) più che di specifici progetti riabilitativi individuali.
14.6.5
ADI
L’assistenza domiciliare integrata (ADI) ha lo scopo di assistere pazienti gravi con l’intervento di un team multidisciplinare coordinato. L’obiettivo è essenzialmente assistenziale e la riabilitazione ha una funzione accessoria e integrativa e viene applicata sulla base di specifici
obiettivi. L’attività di mobilizzazione e posizionamento, di cui il paziente grave ha bisogno,
deve essere realizzata dal personale di nursing nel corso delle 24 ore. In questo caso la funzione del fisioterapista è quella di addestrare il personale di assistenza a svolgere uno specifico
programma di mobilizzazione e posizionamento.
La scelta tra riabilitazione, day hospital ambulatoriale o domiciliare è stata oggetto di diversi
studi molti dei quali contrastanti e non risolutivi.
stesura 15 marzo 2005
401
402
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
La scelta del setting territoriale si basa su:
• efficacia
• costi
• condizioni di trasportabilità
Non esistono studi randomizzati controllati che valutano l’efficacia della riabilitazione ambulatoriale rispetto a quella domiciliare. Vi sono prove dell’efficacia del trattamento domiciliare
nel ridurre la disabilità e aumentare la qualità della vita rispetto al trattamento in regime di day
hospital, a costo, però, di una maggiore ansia dei parenti.317 In un altro studio non sono state
trovate differenze né in termini di efficacia né di costi tra day hospital e riabilitazione a domicilio.313 Il trattamento domiciliare non presentava differenze rispetto al trattamento ambulatoriale, anche se i giovani sembravano trarre maggior beneficio.312 Al follow-up i pazienti trattati a domicilio mostrano una migliore gestione della casa e del tempo libero ma i costi del trattamento domiciliare sono doppi.545
14.6.6
Chi, quale paziente, per quale struttura:
allocazione dei pazienti nelle sedi assistenziali disponibili
In un percorso ottimale occorre individuare il miglior setting riabilitativo in base alle condizioni cliniche e di disabilità del paziente oltre che alla distanza temporale dall’evento acuto
(Figura 14–1).
Sono stati effettuati diversi studi nel tentativo di correlare il tipo di intervento riabilitativo con
l’esito. Negli Stati Uniti sono stati sviluppati diversi studi che hanno portato a raggruppamenti
funzionali sulla base dei quali avvengono i rimborsi assicurativi determinando il percorso del
paziente.546-549
La scelta del setting più appropriato deve basarsi sulle possibilità di recupero della persona
disabile. Tali possibilità sono state messe in relazione con la gravità clinica ed il conseguente
livello di disabilità.
Per definire l’appropriatezza della sede di assistenza sulla base della gravità clinica si fa abitualmente riferimento alla classificazione dello Oxfordshire Community Stroke Project che
comprende i seguenti sottogruppi, cui corrisponde una stima della sopravvivenza e dell’esito
funzionale:68
• TACI: la sindrome più grave con elevata mortalità e disabilità;
• PACI: sindromi di media gravità con bassa mortalità e possibilità di recupero;
• POCI: sindromi a gravità intermedia con recupero variabile;
• LACI: sindromi di minor gravità e possibilità di recupero.
Facendo riferimento alle condizioni di disabilità valutate attraverso la scala di autonomia di
Barthel possono essere definite quattro categorie di pazienti:
a. pazienti con menomazione lieve, in genere con sindromi lacunari con disabilità limitata
(Barthel Index >15);
b. pazienti con danno medio (Barthel Index compreso tra 10 e 14) o medio-grave (Barthel
Index compreso tra 4 e 9), in genere LACI, PACI e in parte POCI e TACI che possono
sostenere la riabilitazione intensiva;
c. pazienti con danno grave (Barthel Index <4), in genere TACI e in parte POCI con grave
disabilità con impossibilità di sostenere riabilitazione intensiva anche a causa di complicanze e/o comorbosità;
d. pazienti che in fase acuta hanno avuto un coma grave (Glasgow Coma Score <8) nelle prime
24 ore.
14.6.7
Criteri di appropriatezza della sede di assistenza e riabilitazione
La definizione di uno specifico progetto riabilitativo deve basarsi su criteri quanto più possibile oggettivi che definiscono le priorità idonee a selezionare le persone che possono trarre il
maggior beneficio dagli specifici programmi riabilitativi.
È opinione diffusa, esplicitata anche dalle linee guida AHCPR (1995),11 che i parametri di
valutazione, che condizionano la scelta della sede di assistenza riabilitativa, dovrebbero essere
i seguenti:
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
403
azione
setting
ictus
necessita
di ricovero?
sì
valutazione
no
Classificazione dei pazienti
riabilitazione in
reparto per acuti
A. pazienti con menomazione lieve;
in genere con sindrome lacunare
e disabilità limitata
(Barthel Index >15).
appartiene
al gruppo A?
sì
riabilitazione
territoriale
sì
riabilitazione
intensiva
sì
ricovero in
riabilitazione
estensiva
sì
ricovero in Unità
Gravi Cerebrolesioni
Acquisite
sì
domicilio
no
B. pazienti con danno medio (Barthel
Index |10-14|) o medio-grave (|4-9|),
in genere LACI, PACI e in parte POCI
e TACI, che possono sostenere
la riabilitazione intensiva.
appartiene
al gruppo B?
no
C. pazienti con danno grave (Barthel
Index |0-4|), in genere TACI e in parte
POCI con grave disabilità e
impossibilità di sostenere riabilitazione
intensiva anche a causa di complicanze
e/o comorbosità.
appartiene
al gruppo C?
no
D. pazienti che in fase acuta hanno
avuto un coma grave
(Glasgow Coma Score <8)
nelle prime 24 ore.
appartiene
al gruppo D?
no
può essere
gestito
a domicilio?
no
struttura
protetta
a. condizioni clinico-riabilitative:
• deficit neurologici;
• complicanze e comorbosità;
• aspetti funzionali (deficit nutrizionali, integrità cutanea, ecc).
• condizioni fisiche premorbose;
• condizioni mentali e capacità di apprendimento;
• stato emotivo e motivazione.
b. fattori sociali e ambientali:
• presenza di sostegno familiare;
• qualità della vita precedente all’ictus;
• etnia e lingua madre;
• accettazione dell’ictus da parte del paziente e dei familiari;
• preferenze e aspettative del paziente e dei familiari;
• caratteristiche della casa e dell’ambiente di vita.
stesura 15 marzo 2005
Figura 14–1. Percorso riabilitativo del paziente con
ictus.
404
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
14.6.7.1
Ospedale o domicilio
Raccomandazione 14.58
Grado C
È indicato effettuare la riabilitazione intensiva in una rete appositamente organizzata, che comprenda sia strutture ospedaliere
che particolari strutture assistenziali extraospedaliere.
Considerato che quasi tutti i pazienti con ictus vengono ricoverati in fase acuta, il problema si
pone per il percorso successivo. In particolare, una prima scelta è se inviare la persona disabile a domicilio o proseguire in regime ospedaliero. Se occorre un programma di riabilitazione intensiva è necessario ricorrere all’ospedale di riabilitazione intensiva e secondariamente al
day hospital riabilitativo. La riabilitazione intensiva effettuata in ospedale anziché a domicilio
fornisce migliori esiti,550 particolarmente per i pazienti medio-gravi e gravi.18 Nel caso di riabilitazione effettuata in un reparto non specializzato non ci sono prove che sia meglio dell’intervento a domicilio con un team organizzato.7
Raccomandazione 14.59
Grado C
Nei soggetti con ictus lieve, è
indicato pianificare l’attività di
riabilitazione nelle strutture territoriali.
Per pazienti con ictus di gravità lieve o moderata non sono state evidenziate differenze tra l’intervento riabilitativo a domicilio o in ospedale.20,551
Raccomandazione 14.60
Grado B
Non è indicato considerare età
avanzata e gravità clinica tra i
fattori di esclusione per un trattamento riabilitativo ospedaliero.
14.6.7.2
In Ospedale dove?
14.6.7.2.1 Pazienti con ictus medio grave
I soggetti con Barthel Index fra 10 e 14 e con sindrome clinica prevalentemente ascrivibile a
LACI e PACI, sono i candidati più appropriati per un intervento riabilitativo intensivo. È
richiesto che il paziente possa sostenere almeno 3 ore di riabilitazione al giorno per migliorare le prestazioni fisiche, cognitive e la motivazione.
In generale, un primo aspetto da tenere in considerazione è l’intervallo dall’evento acuto.
Come è stato detto, la riabilitazione intensiva deve essere iniziata prima possibile ed esercitata nelle prime settimane dall’evento acuto.
L’intervento in specifiche Unità Ictus riabilitative si rileva efficace soprattutto nei pazienti
gravi o medio-gravi.18,35,552
Nei casi in cui le menomazioni sono particolarmente lievi può non ritenersi necessario il ricovero in strutture di riabilitazione intensiva dedicate all’ictus.46,553
L’età del paziente non condiziona il setting. Infatti anche nei pazienti anziani la riabilitazione
ospedaliera è efficace.12
I soggetti con danno grave, ascrivibile al gruppo C della classificazione sulla base dell’autonomia, riportata sul diagramma decisionale, mostrano spesso difficoltà a sostenere un programma riabilitativo intensivo. Se il paziente non è in grado di sopportare un trattamento riabilitativo intensivo per la gravità del quadro clinico, le comorbosità, ecc., non dovrebbe essere
ammesso alla riabilitazione intensiva. La gravità della patologia può essere temporanea, e in
questo caso il paziente può essere inviato in riabilitazione estensiva per poi essere eventualmente indirizzato, nel caso in cui ci sia un miglioramento delle condizioni cliniche, alla riabilitazione intensiva. Pazienti con condizioni difficilmente reversibili quali gravi cardiopatie,
demenze, neoplasie a decorso rapidamente infausto, malattie degenerative del SNC, ecc.,
devono avere un trattamento assistenziale-riabilitativo più che riabilitativo specifico.
14.6.7.2.2 Pazienti con grave cerebrolesione acquisita
Per grave cerebrolesione acquisita si intende quella condizione in cui in fase acuta c’è stato un
coma grave (Glasgow Coma Score [GCS] <8), in genere dovuta alla sofferenza cerebrale diffusa, conseguente a grave edema cerebrale o a complicanze anossico-ipossiche o metaboliche.
In genere queste condizioni sono rare in pazienti con ictus ischemico. Infatti un TACI grave
spesso porta al decesso. La condizione è più frequente in ictus emorragici intracerebrali, ematomi sub- o extra-durali e emorragie subaracnoidee in rapporto al vasospasmo conseguente.
I pazienti che hanno superato uno stato di coma profondo presentano abitualmente un danno
cerebrale diffuso con deficit grave e menomazioni complesse. Tali condizioni richiedono specifiche competenze e un programma riabilitativo più prolungato nel tempo.
Per trattare i pazienti reduci da coma grave nelle prime 24 ore con GCS <8 sono individuate
dalle linee guida nazionali strutture di alta specializzazione, le Unità per le Gravi
Cerebrolesioni acquisite e i Gravi Traumi Cranio-Encefalici.250
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
14.6.7.3
405
Quando
14.6.7.3.1 La dimissione precoce
Come già espresso in precedenza, alcuni studi controllati dimostrano che la dimissione precoce non genera differenze rispetto all’esito,340 in particolare per le condizioni mediolievi,20,320,554 con continuità di intervento riabilitativo a domicilio.324,330,334 La dimissione precoce è più vantaggiosa rispetto all’usuale intervento se viene supportata dallo stesso team dell’unità per l’ictus ospedaliera.555 Una recente metanalisi, pur confermando che la dimissione
precoce è paragonabile alla prolungata permanenza in ospedale, non giunge ad indicazioni
conclusive rispetto al rapporto costo/beneficio.206
La dimissione precoce è naturalmente favorita dalla presenza di un caregiver,330 con conseguente costo nascosto delle cure informali,331 e dal carico che grava sul personale di assistenza, soprattutto a lungo termine.152,556 In una revisione sistematica di 20 studi, solo 1 descriveva caregiver soddisfatti del proprio ruolo, mentre tutti gli altri riscontravano depressione e
riduzione della qualità di vita.161
Langhorne ha effettuato una metanalisi che conferma l’efficacia in termini di riduzione della
dipendenza a lungo termine, dell’istituzionalizzazione e di diminuzione dei tempi di ricovero.557 Inoltre l’effetto della dimissione precoce adeguatamente supportata è evidente a 5 anni
con mantenimento del miglioramento nelle ADL.558 Riguardo alla dimissione precoce bisogna
comunque essere cauti e probabilmente risulta cruciale l’esistenza di una rete di accoglienza
ed il supporto esperto dopo la dimissione. Infatti in un grande studio osservazionale su 48·055
pazienti con ictus sottoposti a riabilitazione negli Stati Uniti tra il 1994 e il 2002, a fronte della
diminuzione della durata del ricovero medio si è verificato un aumento di mortalità al followup di circa 4 volte.559
14.6.7.4
Raccomandazione 14.61
Grado A
Nei soggetti con disabilità mediolieve, in alternativa al ricovero
prolungato, è indicata la dimissione precoce dalla struttura
ospedaliera riabilitativa, se supportata da un team multidisciplinare esperto, operativo nella
realtà territoriale, collegato o
sovrapponibile allo stesso team
attivo nel reparto di degenza.
Raccomandazione 14.62
❊GPP
È indicato che i servizi ospedalieri dedicati ai soggetti colpiti da
ictus adottino un protocollo e
linee guida locali di dimissione ed
allertino il centro di riabilitazione
intensiva o il servizio territoriale
di riferimento il più precocemente
possibile.
Tipo di trattamento
Le linee guida approvate dalla Conferenza Stato-Regioni indicano i criteri di utilizzo delle
varie strutture riabilitative.28 Fra questi vanno segnalati i requisiti di impiego delle strutture di
day hospital ed i centri ambulatoriali di riabilitazione.
L’esecuzione di esercizi a domicilio dopo la dimissione, con la supervisione di un terapista, nel
caso di pazienti con danno lieve, è risultata più efficace rispetto al non fare alcun esercizio
mirato al recupero funzionale.319 Una revisione sistematica recente ha evidenziato che un trattamento domiciliare è in grado sia di migliorare l’autonomia dei pazienti sia di prevenire un
peggioramento funzionale.560
Uno studio controllato ha mostrato che la visita di un terapista una volta alla settimana con un
programma di esercizi autogestiti, ha la stessa efficacia della riabilitazione ambulatoriale o di
day hospital.323
Recenti studi enfatizzano come a domicilio, piuttosto che fare un trattamento neuromotorio
occorra effettuare un programma adeguato di terapia occupazionale, con un numero limitato
di sedute.16,259,303
La realizzazione di un programma di assistenza riabilitativa basato sull’addestramento del
caregiver e dei familiari può rappresentare un punto cruciale per il successo del progetto riabilitativo. Infatti una delle attività qualificanti realizzate nelle diverse sedi riabilitative è rappresentata dall’addestramento dei familiari nei riguardi di attività autogestite nel corso della
giornata per migliorare o almeno mantenere il livello di autonomia. Le istruzioni pratiche
effettuate a domicilio sono più efficaci del semplice processo educativo della famiglia.497 Utile
anche l’intervento a domicilio per istruire sull’utilizzo di ausili e ortesi.561
I potenziali vantaggi della riabilitazione domiciliare sono: la convenienza per il paziente che
non deve spostarsi, l’importanza di avere un ambiente contestualizzato, l’assenza di costi per
il trasporto del paziente, il migliore adeguamento dell’ambiente alla disabilità del paziente
aumentando le attività autonome e riducendo i rischi.
I potenziali svantaggi della riabilitazione a domicilio sono: la difficoltà di coordinare il progetto riabilitativo, la mancanza di attrezzature necessarie, soprattutto per alcune tecniche riabilitative (ad es. il letto rigido e ampio per gli esercizi e la disponibilità di diversi ausili da provare), la perdita di tempo negli spostamenti degli operatori, con diminuzione del numero di
pazienti trattati nel tempo di intervento, il maggiore costo dell’intervento.
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.63
❊GPP
Prima della dimissione dalla
struttura ospedaliera è indicato
assicurarsi che il paziente e la
famiglia siano preparati e pienamente coinvolti, che il medico di
medicina generale, i distretti
sanitari ed i servizi sociali siano
informati al fine di garantire la
prosecuzione dell’assistenza sul
territorio senza ritardi e che gli
utenti siano informati sulla presenza di associazioni e gruppi di
volontariato.
Raccomandazione 14.64
Grado D
È indicato programmare un day
hospital riabilitativo per i pazienti
che richiedono la prosecuzione
del trattamento con approccio
intensivo e multidisciplinare
(medico, fisioterapico, cognitivo e
occupazionale).
Raccomandazione 14.65
Grado D
È indicata la prosecuzione del
trattamento riabilitativo presso i
centri ambulatoriali di riabilitazione per i pazienti nei quali è motivato l’intervento di un team interdisciplinare, ma non è richiesto
un approccio intensivo.
406
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
14.6.7.5
Raccomandazione 14.66
Grado D
È indicata la riabilitazione domiciliare quando si rende necessaria
un’attività di addestramento rivolta al paziente ed al caregiver per
esercizi e mobilizzazioni autogestiti, per l’utilizzo di ausili e protesi o per altre forme di terapia
occupazionale di breve durata.
La valutazione del domicilio
L’équipe territoriale ha il compito di valutare il domicilio del paziente allo scopo di verificare
la possibilità di migliorare l’autonomia con opportuni adattamenti ambientali con l’aiuto di chi
si occupa di lui.
La verifica delle caratteristiche della casa del paziente andrebbe fatta quando ancora il paziente è ricoverato per preparare in modo ottimale il ritorno del paziente a domicilio.
Nella valutazione occorre comprendere le possibilità di spostamenti, accessi, sicurezza, mobili della cucina, trasferimenti sedia – letto – poltrona – in piedi, accesso in bagno e possibilità
di fare il bagno o la doccia.
Raccomandazione 14.67
Grado D
La valutazione serve, oltre che a proporre le possibili soluzioni, anche a stilare un piano assistenziale in modo da facilitare la gestione del paziente a domicilio.
È indicato fornire ai caregiver
tutti gli ausili necessari per posizionare, trasferire e aiutare il
paziente minimizzando i rischi.
L’utilità della valutazione domiciliare pre-dimissione è raccomandata dalle recenti linee guida
scozzesi.26
Raccomandazione 14.68
Grado D
Prima della dimissione dall’ospedale è indicato fornire una valutazione dell’abitazione del
paziente, al fine di realizzare un
adattamento della struttura.
L’importanza della precocità e dell’intensività del trattamento riabilitativo è stata sviluppata in
altra sezione. In questa sezione occorre definire quanto a lungo occorre trattare le persone
affette da ictus. La maggior parte del recupero avviene nei primi 6 mesi per protrarsi in piccola percentuale fino ad un anno.344 La riabilitazione applicata dopo il ricovero è utile.327
Anche oltre l’anno, con cicli continuativi, possono essere ottenuti miglioramenti in pazienti
che a 3 mesi non camminavano.337
Raccomandazione 14.69
Grado B
Nelle recenti linee guida scozzesi, discutendo e accorpando 12 studi e 1·350 pazienti, si evidenzia che l’intervento riabilitativo nel primo anno migliora l’esito.26
È indicata una valutazione dei
pazienti che vivono a casa entro
un anno dall’ictus, da parte di un
team multidisciplinare, ai fini
della eventuale riprogrammazione
di un trattamento riabilitativo.
14.6.8
14.6.7.6
Per quanto tempo si protrae il trattamento riabilitativo
Criteri di trasferimento fra le strutture
Perché la rete riabilitativa funzioni occorre definire bene i criteri di trasferibilità tra le strutture e gli strumenti di comunicazione che occorre applicare.
Per la trasferibilità occorre far riferimento ai criteri di appropriatezza precedentemente citati.
Per quanto riguarda gli strumenti di comunicazione occorre sviluppare strumenti adeguati per
facilitare il passaggio all’interno del percorso. Fin dal momento del ricovero occorre sviluppare un piano di dimissione che prepari la persona disabile alla tappa successiva del percorso.
Per questo tema si può far riferimento alle linee guida inglesi,27 e riadattate dalle linee guida
dell’azienda ASL2 dell’Umbria.562
Occorre definire una minima quantità di informazioni da trasferire essenzialmente attraverso
la lettera di dimissione, che vengono raccomandate nelle varie linee guida disponibili.26,562 La
comunicazione sotto forma di lettera va inviata al medico di medicina generale ed alle altre
strutture sanitarie interessate al percorso.
I criteri generali di compilazione dovrebbero essere i seguenti:
• diagnosi articolata in:
– diagnosi clinica;
– descrizione delle menomazioni – International Classification of Function (ICF);47
– descrizione delle limitazione dell’attività e della partecipazione – ICF.47
• programmi riabilitativi applicati
– fisioterapia;
– terapia occupazionale;
– riabilitazione cognitiva.
• problemi clinici rilevati;
• quadro clinico alla dimissione;
• obiettivi riabilitativi raggiunti;
• piano di continuità assistenziale:
– consigli clinici;
– consigli riabilitativi;
– consigli assistenziali;
• indicazione specifica dei contatti cui riferirsi nella continuità assistenziale ed eventuali
appuntamenti per controllo con data e ora.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
14.6.9
L’intervento riabilitativo a lungo termine
14.6.9.1
La valutazione e il monitoraggio degli esiti
Dopo un anno in genere si assiste ad una stabilizzazione del quadro clinico e, se il paziente è
stato trattato appropriatamente, si raggiunge la massima autonomia possibile compatibilmente con il danno prodotto dall’ictus.
Si apre quindi una fase importante dove occorre focalizzare l’attenzione sul ritorno alla partecipazione attiva.556,563 Il fallimento di questo obiettivo porta la persona disabile e i suoi familiari a puntare l’attenzione sulla riabilitazione pensando che il trattamento riabilitativo possa
risolvere i problemi.564 Un problema oggettivo è comunque che spesso mancano strutture che
possano facilitare il reinserimento lavorativo e sociale, per cui la tendenza è quella di proseguire il programma, come sbocco palliativo alle esigenze sociali del malato.565
Una volta raggiunti gli obiettivi riabilitativi è consigliabile interrompere i programmi riabilitativi monitorando nel tempo il paziente allo scopo di individuare le variazioni delle condizioni
cliniche e valutare se ci sono margini per riprendere un programma riabilitativo. La valutazione deve essere effettuata dal gruppo interdisciplinare territoriale.
ll rischio, dopo la sospensione della riabilitazione, è che si vada verso un degrado della disabilità legato soprattutto alla diminuita attività generica. In questa fase va favorita la partecipazione sociale per mantenere attiva la persona con ictus.
14.6.9.2
L’utilità dei “cicli riabilitativi”
Nella fase degli esiti, l’efficacia di interventi riabilitativi specifici, indirizzati alla menomazione
o alla disabilità, ripetuti periodicamente (i cosiddetti “cicli riabilitativi”) è controversa. Per
quanto riguarda le possibilità che tali interventi, effettuati ad oltre un anno dall’ictus, modifichino positivamente la menomazione e la disabilità, vi sono evidenze favorevoli su vari tipi di
esito ma in genere l’effetto dura per un periodo limitato. Il miglioramento della velocità del
cammino descritto in un singolo studio non randomizzato, si perde alla fine del trattamento
senza sostanziale variazione di disabilità.329 Vantaggi sulla disabilità sembra vengano descritti
da un altro studio in cui i pazienti cronici trattati con attività finalizzate al singolo compito
miglioravano la velocità del cammino e la mantenevano a 2 mesi di distanza.566. Anche l’attività orientata per compito permette il miglioramento del passaggio posturale seduto-in piedi
e la velocità del cammino.567 Anche altri interventi sembrano agire in condizioni croniche.131,261,568,569
Per quanto riguarda invece l’efficacia di interventi specifici, ciclicamente ripetuti nel tempo,
nel prevenire danni secondari o aggravamenti delle menomazioni o disabilità, le evidenze
disponibili riguardano programmi di attività o ginnastica di mantenimento da autogestirsi a
casa con l’aiuto del caregiver per limitare il degrado. Alcuni studi dimostrano che questa attività è possibile e mantiene una condizione di migliore performance rispetto ai gruppi di controllo.570,571
Alla luce di quanto presente in letteratura si può avere qualche certezza rispetto ai vantaggi
che possono essere ottenuti con il trattamento del paziente stabilizzato, ma non è affatto certo
che questi possano essere mantenuti. Non appare comunque appropriato pianificare in modo
rigido “cicli” di trattamento nella fase degli esiti, quanto piuttosto garantire una adeguata valutazione longitudinale della situazione clinica e funzionale, che consenta di evidenziare tempestivamente possibili situazioni di deterioramento suscettibili di essere contenute o prevenute
con specifici interventi.
stesura 15 marzo 2005
407
408
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
14.7
ASSISTENZA
A LUNGO TERMINE NELLA REALTÀ TERRITORIALE
Questa sezione illustra gli obiettivi e le modalità assistenziali caratteristiche della fase “cronica”
dell’ictus, quando è cruciale la valutazione periodica del medico di medicina generale e dell’unità valutativa di geriatria
Le informazioni contenute rispondono ai quesiti riguardanti le frequenza e le caratteristiche dei
controlli longitudinali rivolti al soggetto che ha subito un ictus, anche in relazione all’eventuale
esigenza di nuovo trattamento riabilitativo
Le situazioni cliniche trattate nella sezione riguardano disabilità persistenti in soggetti spesso di
età avanzata e con comorbosità, che vengono trattati nell’ambito territoriale.
Le modalità assistenziali illustrate riguardano elettivamente medici di medicina generale e geriatri, senza trascurare i fisiatri impegnati in nuovi trattamenti ed i neurologi chiamati alla valutazione
del quadro neurologico ed alla risoluzione dei problemi emergenti a carico del sistema nervoso.
La popolazione maggiormente interessata alle modalità illustrate nella sezione è caratterizzata
dalla presenza di condizioni disabilitanti e di fattori di rischio molteplici, con elevata ricorrenza di
problemi attivi.
14.7.1
Il medico di medicina generale
e le problematiche del soggetto che ha subito un ictus
La correzione dei fattori di rischio modificabili è, ovviamente, uno dei cardini per un corretto follow-up dell’ictus cerebrale.
A tale proposito vale quanto già affermato nei capitoli precedenti che hanno trattato specificamente l’argomento.
In questa sede si ritiene tuttavia di dover sottolineare il ruolo centrale del medico di medicina
generale, che rimane il principale gestore della continuità assistenziale, nella correzione dei
principali fattori di rischio.
Nei pazienti che hanno avuto un ictus gli sforzi e le attenzioni rivolte al controllo della pressione arteriosa sono prioritari. L’obiettivo da perseguire deve essere il raggiungimento di valori pressori rigorosamente al di sotto di 130/85 mm Hg in giovani, adulti e diabetici, e al di
sotto di 140/90 mm Hg negli anziani.572 Non sempre questo viene realizzato, come dimostrato da recenti studi osservazionali condotti dalla Società Italiana di Medicina Generale
(SIMG).573,574 Infine le attenzioni volte ad ottenere una corretta rilevazione dei valori pressori devono essere rigidamente rispettate.
Al medico di medicina generale spetta inoltre inquadrare il suo paziente anche dal punto di
vista delle dislipidemie e operare una corretta e moderna prevenzione secondaria volta alla
riduzione della colesterolemia con misure farmacologiche e non farmacologiche.
I pazienti diabetici che hanno avuto un ictus necessitano non solo di un adeguato controllo dei
valori glicemici, ma anche di una maggiore attenzione al rischio globale cardiovascolare, con
particolare riguardo all’associazione con l’ipertensione arteriosa. Particolarmente in questo
gruppo di pazienti sono utilmente applicabili le linee guida italiane recentemente pubblicate.575
Sintesi 14-28
L’ictus rappresenta una causa
frequente di mortalità e disabilità
in età avanzata. Nel paziente
anziano, la disabilità secondaria
all’ictus spesso si sovrappone a
quella determinata dalla comorbosità.
Il calo ponderale in soggetti con indice di massa corporea superiore ai 27 kg/m2 è chiaramente auspicabile nel follow-up di chi ha avuto un ictus. Il rispetto di un’alimentazione ipocalorica e qualitativamente corretta deve essere uno degli obiettivi primari del monitoraggio dei fattori di rischio per recidiva. Ancora una volta è auspicabile la personalizzazione degli interventi e l’eventuale coinvolgimento delle figure professionali più indicate ad affrontare il problema. La consulenza dietologica e il contributo dello psicologo appaiono estremamente utili per
la definizione delle diete e per la loro accettazione da parte del paziente. In tali soggetti, poi,
la presenza spesso concomitante di ipertensione, di ipercolesterolemia, di iperuricemia e diabete non insulino-dipendente, suggerisce di monitorare con apposite indagini anche il fenomeno della insulino-resistenza. Tra i compiti del medico di medicina generale, che ha il ruolo
di seguire nel tempo l’evoluzione del problema vascolare cerebrale, vi è senza dubbio quello
della verifica della appropriatezza del trattamento in atto.
14.7.2
Le problematiche del paziente anziano ed il suo percorso riabilitativo
Lo scenario epidemiologico, di per sé, giustifica pienamente un interesse specifico per gli
aspetti che l’ictus ha in età avanzata: come descritto nel Capitolo 4, l’incidenza dell’ictus cresce con l’età, tanto che oltre il 75% dei casi si osservano in persone ultrasessantacinquenni.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
409
Ma l’inserimento di un paragrafo sulle problematiche del paziente anziano con ictus in questo
capitolo esprime l’attenzione dovuta agli aspetti riabilitativi di questa malattia in pazienti che,
per motivi diversi, sono già a rischio di perdita dell’autonomia funzionale.
Non è superfluo premettere che il paziente anziano è identificato, più che da un’età ≥65 anni,
dalla presenza di fattori multipli, simultanei ed interattivi che, nell’insieme, comportano un
progressivo impatto sulle capacità funzionali.576 Per questo la geriatria, “metodo di cura globale, continuo ed interdisciplinare”,577 opera in una costante “tensione riabilitativa”, che deve
animare tutti gli operatori ed i luoghi dell’intervento.578 Tutte le discipline che si interessano
di disabilità condividono, adattandolo, questo modello che, comunque, nella sua interezza
risponde in modo più efficace alle esigenze che insorgono quando la perdita di autonomia
coinvolge il paziente anziano.
L’ictus rappresenta nell’anziano, oltre che una frequente causa di morte, una causa primaria –
come evento isolato o precipitante – di disabilità grave ed improvvisa (catastrofica, secondo
una efficace definizione).578,580 Circa il 50% degli anziani che sopravvivono ad un ictus sono
gravemente disabili 581 e, in assenza di supporti assistenziali da parte della famiglia o dei servizi domiciliari, vengono istituzionalizzati, mentre solo il 10% mantiene una completa autonomia funzionale. Secondo la Stroke Unit Trialists’ Collaboration,12 il limite di età che influenza
le caratteristiche cliniche dell’ictus è identificato in 75 anni.
Del resto, al crescere dell’età è sempre più comune che l’ictus compaia in una situazione fisica compromessa ed instabile, in cui la persona può aver attinto anche a molte delle sue riserve funzionali per mantenere l’autonomia nella vita quotidiana. Di fatto, gli anziani sopravvissuti ad ictus presentano, a parità di danno neurologico, disabilità residua più grave rispetto a
soggetti più giovani, in larga misura per la coesistenza di patologie associate.582 Le stesse conseguenze funzionali dell’ictus pesano, in termini di sopravvivenza, anche a distanza dall’evento acuto. Un cattivo stato funzionale è, in età avanzata, un potente fattore prognostico negativo, dal momento che nei soggetti gravemente disabili la mortalità a quattro anni è pressoché
totale.267 Le stesse cause di morte in parte si differenziano in funzione della presenza e del
grado di disabilità: superata la fase acuta, il decesso di pazienti anziani colpiti da ictus è spesso conseguente a traumi determinati da cadute, mentre nel giovane prevalgono le morti secondarie ad altro evento vascolare, il più delle volte coronarico.
Il riconoscimento ed il trattamento della comorbosità assumono un ruolo centrale nel percorso riabilitativo del paziente anziano con ictus.583 Che la comorbosità sia un potente fattore di
rischio per l’insorgenza di disabilità è del tutto prevedibile e, del resto, ben documentato.584
Si tende però spesso a trascurare che la forza dell’associazione comorbosità-disabilità è tale da
ridimensionare il peso negativo che un’età avanzata apparentemente ha sulla prognosi funzionale di molte condizioni, ivi compreso l’ictus. È stato invece dimostrato che, quando si tenga
adeguato conto della comorbosità, l’età anagrafica perde gran parte del suo valore predittivo
rispetto al recupero funzionale dopo un evento cerebrovascolare.53 Nel soggetto di età giovanile od adulta, la comorbosità con cui si deve fare i conti dopo un ictus è, di solito, limitata
all’ambito cardiovascolare, come espressione dei medesimi fattori di rischio e meccanismi
patogenetici che hanno determinato l’evento (diabete, ipertensione, fibrillazione atriale), ovvero a complicanze dell’evento stesso (depressione, deficit cognitivi, incontinenza urinaria). Nel
paziente anziano, a queste condizioni – comunque presenti – se ne aggiungono altre, pre-esistenti all’ictus, in associazione al quale il rischio di disabilità aumenta grandemente. È questo
il caso, ad esempio, dell’insufficienza cardiaca, che in pazienti con esiti di ictus aumenta il
tasso di disabilità in misura molto maggiore di quanto prevedibile sulla base della semplice
sommatoria del rischio associato a ciascuna delle due condizioni, prese separatamente.584
Queste osservazioni sul ruolo della comorbosità nel processo disabilitante dell’anziano implicano, dal punto di vista clinico, che nella definizione ed attuazione del piano riabilitativo si
valutino e trattino adeguatamente le patologie associate.
Raccomandazione 14.70
Grado D
Nelle linee guida attualmente disponibili una particolare attenzione viene rivolta ai soggetti di
età avanzata che sopravvivono ad un ictus.26,27
Raccomandazione 14.72
Grado D
Di fronte ad un processo di destabilizzazione di grande portata e complessità, quale un evento ictale, le risposte terapeutiche, assistenziali e riabilitative devono essere altrettanto complesse ed articolate. Primo elemento fondamentale alla realizzazione della cura globale, continua ed interdisciplinare del paziente anziano è di tipo metodologico: la Valutazione Multi
L’intervento riabilitativo a distanza dall’evento ictale è indicato in
caso di degrado dello stato funzionale e deve essere orientato
su specifici obiettivi riabilitativi.
stesura 15 marzo 2005
È indicato che il team dedicato
all’assistenza territoriale controlli
periodicamente (ogni sei mesi) il
mantenimento delle attività e la
partecipazione del soggetto
anziano colpito da ictus.
Raccomandazione 14.71
Grado D
È indicato che i soggetti colpiti
da ictus siano sottoposti a controlli periodici delle condizioni
cardiocircolatorie e metaboliche,
così come delle variazioni di
peso, al fine di controllare i fattori
di rischio di danno cerebrovascolare ed adeguare il trattamento
farmacologico alle variazioni del
quadro clinico o dei parametri di
laboratorio.
410
Raccomandazione 14.73
❊GPP
È indicato un programma a lungo
termine di realizzazione autonoma delle attività quotidiane, al
fine di limitare il degrado del
livello di autonomia raggiunto con
la riabilitazione intensiva od
estensiva.
Raccomandazione 14.74
❊GPP
Nell’iter riabilitativo del paziente
anziano sono indicati la valutazione ed il trattamento delle
comorbosità, anche di quelle non
di natura cardiovascolare.
Raccomandazione 14.75
Grado B
È indicato che la riabilitazione
del paziente anziano con ictus sia
guidata da un processo di valutazione multidimensionale geriatrica.
Raccomandazione 14.76
Grado D
È indicata l’organizzazione in
rete dei servizi per l’anziano, ivi
compresi quelli riabilitativi, sotto
la guida dell’Unità di Valutazione
Geriatrica e con il coordinamento
da parte del case manager, che
valuti i bisogni assistenziali del
paziente e lo indirizzi al servizio
che, di volta in volta, meglio
risponde alle sue necessità.
Sintesi 14-29
I pazienti in età molto avanzata
sono spesso esclusi senza plausibile giustificazione dai percorsi
riabilitativi. Tale esclusione riduce
fortemente le possibilità di recupero e di mantenimento dell’autonomia funzionale.
Raccomandazione 14.77
❊GPP
Nel paziente in età avanzata è
indicata l’adozione di protocolli
riabilitativi flessibili e, se necessario, di durata maggiore rispetto
a quelli utilizzati nei soggetti più
giovani.
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Dimensionale (VMD), mediante la quale il campo di esplorazione clinica tradizionale viene
integrato dall’esplorazione delle aree funzionale, cognitiva, affettiva e socio-ambientale.585-587
Se alcune componenti della VMD (ad esempio, la valutazione dello stato funzionale) fanno
comunque parte del bagaglio indispensabile nell’approccio clinico e riabilitativo ad ogni
paziente con ictus, la VMD nel suo complesso rimane strumento inderogabile. La sua efficacia è solidamente documentata: una metanalisi di 28 studi clinici controllati, nei quali erano
stati arruolati in totale quasi 5·000 anziani, ha dimostrato che programmi assistenziali basati
sulla VMD sono in grado di migliorare la prognosi e la sopravvivenza, a confronto con sistemi tradizionali di cura.164
L’intervento riabilitativo a vantaggio del paziente con ictus, specie se di età molto avanzata,
deve basarsi sul principio della cura globale, contrapposto al modello di event management, e
a garantire la continuità della cura in un sistema assistenziale in rete (Figura 14–2).586-588 Entro
la rete dei servizi sono comprese strutture ospedaliere e territoriali (descritte in dettaglio più
avanti) a diversa valenza riabilitativa, alle quali il paziente viene affidato, in funzione delle sue
esigenze, dall’Unità di Valutazione Geriatrica (UVG). Questa, che deve comprendere almeno
un geriatra, un infermiere geriatrico ed un assistente sociale, elabora il piano di assistenza individuale. Su incarico dell’UVG, un operatore sanitario (case manager) coordina l’attuazione del
piano da parte dei servizi (senza per questo sostituirsi ad essi) e avvia la VMD. Vi sono prove
che questa modalità gestionale sia essenziale per garantire l’efficacia di programmi di assistenza medica e sociale integrata all’anziano.504
È stato osservato che i soggetti anziani colpiti da ictus sono inseriti con minor frequenza ed
intensità nei programmi di riabilitazione, rispetto a soggetti più giovani.589 Fra le ragioni
responsabili di questo atteggiamento vanno annoverate:
• condizioni mediche che ostacolano l’inserimento degli anziani in un programma riabilitativo precoce o intensivo;590
• minore spinta motivazionale, talvolta secondaria a franca depressione del tono dell’umore,
a sottoporsi ad un programma riabilitativo;
• più frequente compromissione cognitiva;
• talora deficitario sostegno della famiglia con conseguente maggiore istituzionalizzazione in
strutture spesso non attrezzate da un punto di vista riabilitativo.591
Va però, purtroppo, ammesso che, nella pratica, i limiti maggiori all’ammissione degli anziani
alla riabilitazione intensiva risiedono nell’attuale disponibilità e gestione dei servizi. I processi selettivi esistenti per l’ammissione alla riabilitazione, anche se non codificati nelle procedure, assumono l’età come fattore prognostico sfavorevole e raramente soddisfano il principio di
equità e diritto alle cure riabilitative. Ne consegue il prevalere, tra gli anziani con ictus, dei
disabili assistiti e non curati, che esercitano, per i grandi numeri, una forte pressione economica e sociale sui servizi, rendendo questi, di fatto, inadeguati. Nella multipatologia degli
anziani, che sostiene una disabilità variabile, scarsamente prevedibile nella sua evoluzione ed
estremamente sensibile all’interattività fra i numerosi fattori che la determinano, il bisogno riabilitativo è solo parzialmente soddisfatto dalla attuale organizzazione specialistica e dalle
attuali lungodegenze. Infatti, nella patologia con evoluzione di medio-lungo periodo risultano
indefinibili i concetti di stabilizzazione, inapplicabili i già di per sé tenui indicatori predittivi
di recupero funzionale, inadeguate le competenze e/o le risorse. Poiché una minoranza piccola, ma non trascurabile, di pazienti con basso stato funzionale iniziale (FIM <40) è in grado di
recuperare, magari lentamente, un’adeguata indipendenza, una stratificazione prognostica
tesa ad escludere dai potenziali benefici della riabilitazione i pazienti troppo compromessi è
gravata da un margine di errore inaccettabile dal punto di vista etico.102
Se sottoposti ad adeguato trattamento riabilitativo, gli anziani dimostrano capacità di recupero dell’autonomia funzionale globale equivalente a quello dei soggetti più giovani, nonostante
il minor recupero neuromotorio. Questo sembra essere giustificato da un utilizzo più vantaggioso di strategie di compenso (fisiche, comportamentali, ambientali e sociali).267 È stato anzi
osservato che un intervento riabilitativo adeguatamente strutturato porterà, a lungo termine,
ad una riduzione dei costi globali per la cura e l’assistenza dell’anziano colpito da ictus e, quindi, a vantaggi anche da un punto di vista economico, pur a fronte di costi iniziali maggiori.592
La specificità ed adeguatezza del trattamento riabilitativo dell’anziano risiedono principalmente nel non basarsi esclusivamente sulla rieducazione motoria, nel privilegiare programmi
terapeutici complessivi e interdisciplinari, che tengano conto delle diverse comorbosità e della
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
411
Figura 14–2. La rete dei
servizi per l’anziano colpito
da ictus.
Soggetto anziano
con ictus
Ospedale per acuti
Unità Valutativa Geriatrica
fase ospedaliera
Ospedale riabilitativo
Unità Valutativa Geriatrica
fase territoriale
Case Manager
Domicilio
Medico
di medicina generale
Piano di assistenza individuale
Servizi Domiciliari e Territoriali
Servizi Residenziali
• Centro Diurno
• Centro Sociale
• Assistenza Domiciliare Integrata
(sociale e sanitaria)
• Residenza Sanitaria
Assistenziale
• Residenza Protetta
Rivalutazione e controllo
Soggetto in condizioni
di massimo recupero
funzionale e sociale
loro dinamica interazione nel processo disabilitante, nel potenziare infine i supporti ed i compensi ambientali e sociali. Un ulteriore, specifico elemento, potenzialmente in grado di migliorare il recupero funzionale, è rappresentato dall’adozione di protocolli flessibili, che possano
anche prolungare la durata del trattamento riabilitativo oltre i termini temporali comunemente adottati in soggetti più giovani e/o non complicati. Va peraltro sottolineato come non esistano dati sicuri su quanto più a lungo debba essere condotta la riabilitazione nell’anziano: proprio in questo senso, la ricerca nel prossimo futuro potrà dare elementi maggiori e più sicuri.
stesura 15 marzo 2005
412
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
14.8
IL
TRATTAMENTO NUTRIZIONALE NELLA RIABILITAZIONE
Il trattamento nutrizionale del malato con ictus in riabilitazione si propone non solo di preservare o recuperare uno stato di nutrizione accettabile, ma anche di favorire lo svolgimento
delle terapie riabilitative e il raggiungimento della massima autonomia individuale possibile.
Aspetti gestionali particolarmente importanti sono:
• valutare nei modi e nei tempi più opportuni lo stato di nutrizione secondo quanto già definito nel § 11.5.1;
• determinare l’entità della disfagia, se presente;
• programmare e definire le procedure per garantire un’adeguata gestione nutrizionale del
paziente durante il ricovero;
• precisare le indicazioni e utilizzare al meglio le varie modalità per la nutrizione del paziente, rispettando modalità adeguate alla capacità deglutitoria, al grado di autonomia funzionale e alla prevenzione degli squilibri idro-elettrolitici;
• valutare la risposta al trattamento nutrizionale.
14.8.1
Sintesi 14-30
Gli obiettivi nutrizionali durante il
periodo di riabilitazione del
paziente affetto da ictus sono
finalizzati alla prevenzione e alla
correzione di un eventuale stato
di malnutrizione per eccesso o
per difetto. L’impostazione del
trattamento nutrizionale del
paziente affetto da ictus in fase
riabilitativa richiede lo studio preliminare della deglutizione, l’esecuzione di protocolli diagnostici
per la valutazione dello stato
nutrizionale e del rischio nutrizionale, nonché l’attivazione di procedure per garantire un’adeguata
gestione nutrizionale del paziente
durante il ricovero. La copertura
dei fabbisogni va raggiunta gradualmente, specie se il soggetto
ha affrontato un lungo periodo di
digiuno e presenta uno stato
nutrizionale compromesso.
Raccomandazione 14.78 a
Grado D
È indicato che il paziente non
disfagico con stato di nutrizione
normale sia alimentato con una
dieta normale per os, in grado di
coprire i fabbisogni nutrizionali
propri della sua età e sesso,
secondo quanto stabilito dai
“Livelli di Assunzione
Raccomandata di energia e
Nutrienti” (LARN). In presenza di
patologie associate, vanno applicate le linee guida dietetiche
relative alle specifiche patologie.
Fabbisogni di energia e nutrienti
Sulla base delle evidenze al momento disponibili, si ritiene che i fabbisogni nutrizionali del
soggetto post-ictus normonutrito siano comparabili a quelli della popolazione generale di età,
sesso e peso corporeo similari, con specifici adeguamenti da apportare in presenza di malnutrizione proteico-energetica e/o patologie associate (specie se associate a ipercatabolismo)
secondo quanto indicato nelle linee guida e nei testi di riferimento dedicati a tali condizioni.593,594
Il fabbisogno energetico si calcola con il metodo fattoriale (vedi § 11.5.2: Il trattamento nutrizionale nella fase acuta): il metabolismo basale può essere predetto con le equazioni riportate
in Tabella 11:VI (§ 11.5.2); il valore così ottenuto va moltiplicato per un fattore dipendente
dal Livello di Attività Fisica LAF, cui può essere assegnato, durante il periodo della riabilitazione, un valore presumibile pari a 1,3-1,6, a seconda dell’impegno motorio.595
La copertura del fabbisogno energetico va raggiunta gradualmente in presenza di malnutrizione proteico-energetica o di situazioni di digiuno prolungato. Gli apporti energetici devono
essere aumentati in caso di decremento ponderale non desiderato e diminuiti in caso di
aumento ponderale non previsto; in presenza di sovrappeso od obesità gli apporti energetici
devono essere adeguati al raggiungimento di un decremento ponderale graduale e costante nel
tempo.596
La valutazione del fabbisogno proteico va effettuata tenendo presente lo stato di nutrizione ed
eventuali patologie ipercataboliche associate. Nei casi non complicati l’apporto minimo di
proteine può essere indicato in 1 g/kg di peso corporeo misurato (se normopeso) o desiderabile (in caso di obesità o magrezza) e fino a 1,2-1,5 g/kg al giorno in presenza di condizioni
ipercataboliche, ulcerazioni o piaghe da decubito.593,595,597
In assenza di problemi specifici è indicata una quota lipidica ≤30% dell’energia totale, con
grassi saturi <7%, grassi polinsaturi 6%-10%, e quindi una preponderanza di grassi monoinsaturi. L’assunzione dietetica di colesterolo deve essere inferiore a 200 mg/die.596 Per la prevenzione di recidive e nei malati con precedente storia di infarto miocardico acuto, è utile l’adozione di misure dietetico-terapeutiche finalizzate alla riduzione della colesterolemia totale
(<200 mg/dL) e della colesterolemia LDL (≤100 mg/dL).596,598,599
Nei casi non complicati, l’apporto di carboidrati, prevalentemente complessi, deve essere
almeno pari al 55% dell’energia totale. Il contenuto in fibra alimentare nella dieta (25-30 g al
giorno) va incrementato in presenza di stipsi, o diminuito in presenza di stati diarroici.
Gli introiti di minerali e vitamine che devono essere forniti corrispondono ai valori raccomandati dai “Livelli di Assunzione Raccomandata di energia e Nutrienti” (LARN),600 e vanno
aumentati se sono presenti condizioni ipercataboliche o sulla base dei riscontri biochimici
disponibili.
Sono in corso studi sperimentali che valutano l’effetto della somministrazione di diete ad elevato contenuto in antiossidanti (vitamina A, E, C, beta-carotene e polifenoli) e/o acidi grassi
polinsaturi omega 3 sulla prevenzione delle ricadute, sulla capacità cognitiva e sul recupero
funzionale,601-605 ma allo stato attuale non sono disponibili dati per fornire raccomandazioni
in merito. In attesa dei risultati definitivi degli studi tuttora in corso, in caso di iperomocisteistesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
413
nemia va considerato l’uso di supplementi vitaminici del gruppo B e di acido folico per la prevenzione delle recidive 606-610 e delle fratture osteoporotiche.611
Particolare attenzione deve essere posta alla copertura dei fabbisogni di calcio e di vitamina
D, considerando l’elevata incidenza di osteoporosi nel periodo post-ictus.612-614
È necessario monitorare il bilancio idrico, con maggiore accuratezza nei pazienti con disturbi
della deglutizione ed alimentati per os,470 somministrando fluidi in caso di disidratazione.
14.8.2
Criteri generali per la terapia nutrizionale
14.8.2.1
Soggetto non disfagico
Nei soggetti normonutriti si cerca innanzitutto di rendere ottimale l’alimentazione convenzionale per os.594 È opportuno incoraggiare l’assunzione di alimenti sia attraverso la preparazione di piatti che incontrano le preferenze del paziente, sia con la presenza di familiari durante
i pasti, la cura dell’ambiente e l’aiuto nell’alimentazione.594,615 Se necessario (ad esempio per
apporti dietetici <75% del desiderato), si può ricorrere ad integratori dietetici.616,617
14.8.2.2
Soggetto non disfagico con malnutrizione proteico-energetica
In presenza di malnutrizione proteico-energetica è opportuno prestare maggiore attenzione
agli apporti che si raggiungono con l’alimentazione convenzionale per os e considerare l’aggiunta di integratori dietetici e/o alimenti arricchiti.616-618
Il riscontro di un’assunzione dietetica <75% per tre giorni consecutivi può rappresentare
un’indicazione per la nutrizione artificiale (vedi anche § 11.5.2.2).
14.8.2.3
Nel soggetto non disfagico affetto
da malnutrizione proteico-energetica, è indicato aumentare gli
apporti in modo da correggere
progressivamente lo stato carenziale, eventualmente utilizzando
integratori dietetici od alimenti
arricchiti.
Raccomandazione 14.78 c
Grado B
Nel soggetto con malnutrizione
proteico-energetica, in presenza
di rilevazioni confermate nel
tempo di assunzione dietetica
insufficiente, è indicato considerare la nutrizione artificiale per
mezzo di sondino naso-gastrico o
gastrostomia percutanea endoscopica (PEG).
Soggetto disfagico
La gestione del supporto nutrizionale nel malato disfagico necessita di un gruppo multidisciplinare (neurologi, nutrizionisti, dietisti, foniatri, logopedisti, infermieri).619,620 Il supporto
nutrizionale richiede l’utilizzo di diete specificamente indirizzate al malato con disfagia o, laddove ciò non fosse sufficiente o indicato, oppure in presenza di malnutrizione proteico-energetica, la nutrizione enterale.621 Gli aspetti relativi a quest’ultima opzione sono discussi nel
capitolo relativo alla fase acuta (vedi § 11.5.2.2); nel periodo post-ictus il programma di nutrizione artificiale deve conciliarsi con le attività riabilitative del paziente, potrà essere utile quindi ricorrere ad infusione prevalentemente notturna o a somministrazione ciclica in corrispondenza dei pasti.622
In presenza di disfagia per liquidi o solidi o per entrambi, l’intervento dietetico è possibile, ma
deve essere condotto con prudenza e con l’utilizzo di alimenti e bevande a densità modificata.623-629 Soprattutto nei casi di disfagia più marcata, la dieta iniziale comprende soltanto alimenti frullati con una consistenza generale di purea densa e coesiva (pureed diet); successivamente, con la riduzione dei disturbi della deglutizione, si potrà passare a diete che riducono i
problemi di preparazione del bolo: dieta tritata (ground/minced diet), dieta morbida (soft diet),
dieta normale con modifiche (modified general diet; Tabella 14.VII). Il passaggio da un livello
di dieta a quello successivo è dettato da un’attenta valutazione della funzionalità deglutitoria
e delle capacità di preparazione del bolo.630,631 Di norma il paziente progredisce da una dieta
purea ad una tritata fino ad assumere alimenti di consistenza soffice e talvolta cibi di consistenze differenti. La somministrazione di bevande può essere effettuata ricorrendo all’impiego di prodotti ispessenti i liquidi o di acqua gelificata.632,633 Per i pazienti incapaci di consumare adeguati volumi di cibo va valutata la necessità di ricorrere all’uso di integratori o alimenti arricchiti.634,635
Le conseguenze dell’ictus possono determinare, oltre la disfagia, differenti alterazioni funzionali legate p.es. all’inabilità motoria, ad alterazioni della postura, della chiusura delle labbra,
nonché della percezione e dell’attenzione. Tutto ciò conduce ad ansietà, tendenza all’isolamento e alla depressione e può causare una ridotta assunzione dietetica e contribuire all’insorgenza di uno stato di malnutrizione proteico-energetica. Tali situazioni vanno identificate e
trattate con adeguate tecniche dal personale della struttura riabilitativa.636
14.8.3
Raccomandazione 14.78 b
Grado D
Indicazioni dietetiche al momento della dimissione
All’atto della dimissione, il gruppo nutrizionale che opera nella struttura riabilitativa fornisce
ai pazienti piani dietetici personalizzati, che terranno conto dello stato nutrizionale del soggetto, della capacità deglutitoria, delle eventuali patologie associate.619,626,637 I familiari ricevestesura 15 marzo 2005
Sintesi 14-31
Il trattamento dietetico della
disfagia prevede l’uso di alimenti
e bevande a densità modificata,
somministrati secondo quattro
livelli progressivi: dieta purea,
dieta tritata, dieta morbida e
dieta normale modificata. La supplementazione con integratori
dietetici è indicata nei casi in cui
l’assunzione alimentare è inadeguata.
Raccomandazione 14.79 a
Grado C
Nel soggetto disfagico in cui è
appropriata l’alimentazione per
os, è indicato l’impiego della
dieta progressiva per disfagia,
che prevede quattro livelli: dieta
purea, dieta tritata, dieta morbida
e dieta normale modificata. La
presenza di disfagia completa è
un’indicazione per la nutrizione
artificiale.
Raccomandazione 14.79 b
❊GPP
È indicato che gli operatori del
servizio di ristorazione ospedaliera siano formati sulle modalità di
preparazione di menù a consistenza modificata.
414
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Tabella 14:VII – I livelli di dieta per disfagia
livello I
dieta purea
indicazioni
caratteristiche
Sintesi 14-32
Al momento della dimissione il
personale della struttura riabilitativa fornisce al paziente ed ai
familiari il programma dietetico,
concordato in base alle esigenze
del paziente, ed informazioni pratiche finalizzate a favorire un’adeguata copertura dei fabbisogni
energetici, idrici e di nutrienti. I
familiari vanno informati ed
addestrati sulle modalità di monitoraggio domiciliare dello stato
nutrizionale attraverso la rilevazione del peso corporeo e dei
consumi alimentari.
Raccomandazione 14.80 a
❊GPP
È indicato informare i pazienti, i
caregiver ed i familiari sulle
modalità di gestione dell’alimentazione (modalità di preparazione
ed arricchimento degli alimenti,
tecniche posturali ottimali, ausili
indicati per la somministrazione
di alimenti).
Raccomandazione 14.80 b
❊GPP
Al momento della dimissione è
indicato addestrare i familiari sul
monitoraggio del peso corporeo e
sulla valutazione dell’assunzione
dietetica.
livello IV
dieta normale
modificata
Grave difficoltà nella pre- Difficoltà moderata nella
Difficoltà lieve nella
Difficoltà lieve nella
parazione orale del bolo.
preparazione orale del
preparazione orale del preparazione orale del
Riflesso della deglutizione bolo. Ridotta peristalsi
bolo. Impossibilità a
bolo.
gravemente compromes- faringeale e/o disfunzione masticare e deglutire Difficoltà lieve nella
so. Perdita del controllo
del muscolo cricofaringea- alcuni alimenti.
masticazione.
della funzione della lingua le. Disturbi minori della
Ripresa graduale alie delle labbra; ridotta peri- deglutizione. Edentulia.
mentazione per os.
stalsi faringea e/o disfunzione crico-faringeale,
ipersensibilità orale.
Alimenti addensati, ben
Alimenti morbidi ridotti in Alimenti morbidi a
Alimenti di consistenamalgamati e compatti.
piccoli pezzi o tritati o frul- piccoli pezzi o frullati. za morbida che non
Consistenza di purea o di lati. Il bolo non è partico- Il bolo non deve esse- richiedono trituraziobudino cremoso.
larmente coesivo.
re solido.
ne.
Tutti i liquidi sono adden- Sulla base della tolleranza Dieta frazionata in più
sati, se necessario.
individuale si somministra- pasti.
no liquidi densi o totalDieta frazionata in più
mente fluidi (acqua). Dieta
pasti.
frazionata in più pasti.
livello II
dieta tritata
livello III
dieta morbida
ranno informazioni su una corretta alimentazione, in particolare sul valore nutrizionale degli
alimenti, sulla loro variabilità e preparazione, su metodi di cottura e di conservazione ottimali dal punto di vista igienico e nutrizionale, sulla possibilità o necessità di associare integrazioni in caso di mancata copertura dei fabbisogni.
In caso di disfagia, sarà importante che i familiari siano addestrati sulla corretta preparazione
degli alimenti, sull’uso degli addensanti, sulle tecniche più appropriate per la somministrazione dei pasti e sulla più adeguata postura del paziente.594,622,637-639 I familiari dovranno essere
consapevoli dell’importanza di un buono stato di idratazione e di come tale obiettivo possa
essere raggiunto ricorrendo a un sistema regolare di somministrazione di liquidi attraverso
varie forme gradite al paziente quali acqua, spremute di agrumi, bevande calde ecc.
In caso di nutrizione artificiale, dovrà essere attivato il Servizio di Nutrizione Artificiale
Domiciliare secondo quanto previsto dai protocolli d’intesa regionali e considerando quanto
definito dalla linee guida ADI-SINPE, al fine di garantire al paziente e ai suoi familiari tutti i
supporti, l’assistenza tecnica e specialistica necessaria.640
All’atto della dimissione il personale della struttura definisce caratteristiche, tempi e modalità
della valutazione dello stato nutrizionale del paziente in ambiente domiciliare.637 I familiari
possono cooperare e fornire informazioni utili sullo stato nutrizionale del paziente e vanno
quindi addestrati sulle tecniche di rilevamento più appropriate. Il monitoraggio dello stato
nutrizionale può essere effettuato attraverso la rilevazione periodica del peso corporeo (nei
pazienti in grado di mantenere la stazione eretta) e dei consumi alimentari (in tutti i pazienti).
La rilevazione del peso corporeo va monitorata almeno una volta a settimana. La rilevazione
dei consumi consente di monitorare il regolare introito di alimenti e bevande. A tal fine, sarà
sufficiente una valutazione di carattere semiquantitativo: il familiare o il paziente stesso registra, al termine del pasto, l’entità degli scarti e formula un giudizio sull’assunzione. In presenza di decremento ponderale non desiderato o di più rilevazioni, confermate nel tempo, di
assunzione dietetica <75%, il familiare avvertirà il medico curante. Tali valutazioni saranno
parte integrante delle visite mediche di follow-up.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
14.9
INFORMAZIONE
415
ED EDUCAZIONE RIVOLTE AL PAZIENTE ED ALLA FAMIGLIA
DALLA FASE ACUTA ALL’ASSISTENZA TERRITORIALE
Questa sezione tratta le caratteristiche informative, di educazione ed addestramento richieste
alla famiglia per ottimizzare il percorso riabilitativo del soggetto colpito da ictus e migliorare la
qualità della vita residua.
Le informazioni contenute consentono di rispondere ai quesiti su cosa fare se un proprio familiare è colpito da ictus.
Le condizioni cliniche trattate si identificano con i quadri di disabilità persistente in soggetti ad
elevato rischio cardiovascolare e di morbosità elevata facilitata dall’ipomobilità.
I medici più interessati alla sezione sono i case manager dell’assistenza territoriale, soprattutto
medici di medicina generale.
Tutta la popolazione di soggetti sopravissuti ad un ictus, unitamente ai caregiver ed alle loro famiglie, così come le associazioni laiche interessate alle malattie cerebrovascolari, costituiscono l’utenza sensibile alla sezione.
14.9.1
Considerazioni generali
Recentemente nelle strutture per la gestione della fase acuta, oltre ad una pronta diagnosi e
terapia, viene fornito un programma di cura e di assistenza riabilitativa, che pone il malato e
la sua famiglia al centro del lavoro di un gruppo multidisciplinare.12 In questa direzione si
pongono l’informazione e l’educazione fornite sin dalla fase acuta della malattia, poiché è possibile ritenere che queste migliorino l’aderenza al trattamento medico, il processo di adattamento, la motivazione del paziente e l’ottimizzazione dell’intervento della famiglia e dei servizi assistenziali e sociali. L’obiettivo ultimo è quello di favorire il ritorno alla massima autonomia possibile, per una migliore qualità della vita, contenendo sin dall’inizio le incertezze e le
angosce scatenate dall’irruenza dell’evento, illustrando le possibilità pratiche a disposizione,
gli aiuti economici, i supporti psicologici e di relazione sociale.
Contestualmente, tuttavia, da aree geografiche e tessuti sociali diversi, sono emerse note di
insoddisfazione per come avvenivano la comunicazione, l’informazione e l’educazione. I malati, una volta rientrati in famiglia esprimono disappunto sulle informazioni ricevute in ospedale circa la malattia, le sue conseguenze, i servizi pubblici a disposizione e gli aspetti legali e
finanziari,561 e a molti, dopo anni dalla dimissione, restano domande o dubbi non chiariti che
sono diversi nelle diverse fasi del recupero e di adattamento alla nuova condizione.642 Una
richiesta chiara di comunicazione nelle varie fasi della malattia emerge dal focus group effettuato in Umbria grazie all’associazione ALICE che ha lavorato in collaborazione con la USL
2 dell’Umbria. I familiari desiderano conoscere, anche più dei soggetti malati, i dettagli delle
condizioni cliniche e del trattamento assieme al rischio di recidive. Accolgono con interesse le
informazioni scritte a loro fornite e frequentano gruppi di informazione.643
Le evidenze sull’efficacia di questa recente modalità di cura emergono da una meta-analisi pubblicata dalla Cochrane Collaboration, ma i dati non sono univoci né tanto meno definitivi.639
14.9.2
La richiesta del soggetto malato e dei suoi familiari
Troppo spesso si verifica una mancata comprensione del messaggio proprio perché il codice
usato non è condiviso. Ogni momento della comunicazione, sia per quanto riguarda l’informazione, sia per l’educazione, deve essere accompagnato da un linguaggio, del medico e del
personale sanitario, immediato e comprensibile, che permetta ai non addetti ai lavori di capire la situazione.
Migliorare la comunicazione vuol dire comprendere meglio la situazione, aiutare l’accettazione della malattia e limitare l’ansia.
Potrebbe anche risultare utile la presenza di un supporto psicologico, sia al paziente sia alla
famiglia, nelle varie fasi della malattia.
14.9.3
Informazione sulla prognosi e sui parametri
che possono influenzare la cura
L’informazione sta diventando sempre più un elemento importante sia all’interno del rapporto medico-paziente sia nell’ambito dei mass-media che propongono una vasta serie di informazione. A fronte di questa rilevazione non ci sono certezze rispetto all’efficacia di questo
intervento rispetto al miglioramento dei vari tipi di esito per i pazienti e i familiari.
stesura 15 marzo 2005
Sintesi 14-33
L’informazione e l’educazione
sulla malattia e sui giusti comportamenti da tenere, se fatte
con un linguaggio e con studi
adeguati, in luoghi strutturati e
con tempi programmati, può
essere utile in ogni fase della
malattia.
Sono necessari nuovi studi per
individuare quale tipo di informazione e con quali modalità è più
corretto che sia effettuata.
Nella progettazione di questi
studi è necessario coinvolgere i
malati e i caregiver.
416
Raccomandazione 14.81
Grado A
L’intervento educativo ed informativo porta risultati positivi nella
conoscenza della malattia ictus
da parte dei pazienti e dei familiari.
È indicato organizzare tale intervento nel tempo con sedute
periodiche alle quali dovrebbero
partecipare pazienti, caregiver e
team interdisciplinare.
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Una recente metanalisi ha preso in considerazione i diversi studi pubblicati sull’argomento.638
Come valutazione di esito sono stati presi in considerazione due elementi principali:
• l’informazione sull’ictus e sui servizi a disposizione;
• l’impatto sulla salute, in particolare sull’umore.
Come valutazione secondaria:
• handicap;
• attività sociali;
• soddisfazione rispetto alle informazioni;
• stato di salute percepito;
• qualità della vita;
• attività della vita quotidiana;
• ricoveri in ospedale;
• aderenza al trattamento.
Dalla valutazione dei 36 studi presi in considerazione dalla metanalisi di cui solo 9 randomizzati controllati può essere sottolineata la disomogeneità delle misure di esito prese in considerazione. Dall’analisi si evince che l’informazione associata a materiale descrittivo e illustrativo
è più predittiva della diffusione del materiale, senza supporto educazionale diretto.
Altri elementi non si sono rilevati significativi, anche se è probabile che gli studi, effettuati
finora, siano inadeguati per dimostrarlo.638
Il ricovero urgente in ospedale di un malato colpito da ictus crea un particolare scompiglio
nella famiglia, quindi risulta molto importante l’impatto che il familiare ha con il medico ed il
servizio sanitario.
È importante che venga presentata in modo chiaro la complessità della malattia e che il gruppo multidisciplinare contribuisca a rassicurare sull’attenzione prestata al caso. Questa rassicurazione che il malato sia al centro del lavoro quotidiano del gruppo di sanitari che se ne prende cura, deve durare per tutta la fase di degenza, di dimissione e trasferimento in altre strutture post-acute come quelle riabilitative, sino al rientro a casa, predisponendo dei percorsi
condivisi dal soggetto malato e dai suoi familiari.
La costante comunicazione del team multidisciplinare con gli utenti, rappresentati da pazienti e familiari, influenza positivamente il decorso della malattia, soprattutto dal punto di vista
psicologico.644
Raccomandazione 14.82
Grado D
È indicato creare luoghi e programmare tempi strutturati sin
dall’inizio della fase acuta, fino al
reinserimento sociale, per favorire l’incontro, la discussione e la
collaborazione.
È opportuno favorire l’esigenza di comunicazione con la definizione di tempi e di luoghi destinati all’incontro fra i familiari ed il team assistenziale che si prende cura del congiunto. Questi
momenti potrebbero essere programmati sin dall’ingresso del paziente nella struttura di cura,
e non solo su richiesta dei familiari.
Dagli studi disponibili non risulta un’influenza significativa dell’informazione sull’ansia e sulla
depressione, mentre altre ricerche 644 e i dati del focus group realizzato in Umbria sembrano
supportare un effetto favorevole in tali condizioni psichiche.
Il punto di vista del soggetto malato e dei suoi familiari
• Spesso la gravità delle condizioni non permette toni ottimistici, ma è pur vero che in ogni
esperienza, specialmente se non si conoscono le persone che si hanno di fronte, è preferibile presentare la situazione evitando toni che tolgano qualsiasi tipo di speranza.
• Non è agevole parlare nel corridoio ed avere la sensazione di “rubare” del tempo prezioso
al medico, o come dicono i familiari “corrergli dietro”.
• Non è piacevole pensare che ”i medici parlano tra loro”.
L’associazione
• L’associazione ALICE ha curato la pubblicazione di quaderni informativi sull’ictus e sulle
sue complicanze per aiutare la comprensione della malattia; questi sussidi sono distribuiti
in ospedale dai medici e dagli infermieri.
Il coinvolgimento attivo dei pazienti nella pianificazione degli obiettivi produce il cambiamento dei comportamenti particolarmente nelle condizioni di malattia cronica.645 Le istruzioni telefoniche finalizzate alla risoluzione di problemi sono efficaci nel migliorare la qualità
della vita e nel ridurre la probabilità di depressione del paziente e dei familiari.646
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
417
L’esigenza di un rapporto costruttivo fra team assistenziale e familiari del soggetto colpito da
ictus è testimoniata dal fatto che il generico supporto familiare migliora la qualità della vita del
caregiver senza incidere sulla condizione del paziente;197 un più specifico supporto, invece,
migliora sia il benessere psicologico del paziente sia quello del caregiver pur senza incidere sul
benessere fisico.198
Per chi assiste un malato è importante condividere con il personale sanitario (infermieri, fisioterapisti, terapisti occupazionali, medici) i diversi momenti di assistenza e cura per poi poter
essere autonomi e sicuri una volta rientrati presso il proprio domicilio. Sono momenti fondamentali dai quali è possibile apprendere comportamenti corretti da tenere.
Da studi sulla condizione psicologica di familiari e pazienti colpiti da ictus, è emerso che ansia
e depressione sono sempre presenti in situazioni così difficili da gestire, ma essere correttamente informati sulla malattia, consigliati sulla gestione del malato, educati ad affrontare le
difficoltà, può servire a contenerle.644
Diviene necessario che i familiari dei malati apprendano i giusti comportamenti, per creare un
clima di collaborazione che renda più agevole l’accettazione delle difficoltà e della malattia e
permetta di limitare l’ansia.
Ancora più importante è la discussione degli obiettivi realmente raggiungibili dal malato con
il gruppo multidisciplinare, poiché questi possono essere diversi in base alla sensibilità, alla
cultura e alle possibilità della famiglia e del paziente.
Raccomandazione 14.83
Grado D
È indicato programmare azioni
dirette a favorire l’educazione e
la partecipazione del caregiver e
del paziente all’attività di cura, al
fine di migliorare il benessere
psichico del soggetto colpito da
ictus e, facilitare il processo di
riabilitazione.
Il punto di vista del soggetto malato e dei suoi familiari
• Al momento della dimissione, può essere utile da parte del familiare e del paziente, la compilazione di un questionario che aiuti la verifica dei servizi per una valutazione ed un miglioramento dell’offerta professionale ed una maggiore attenzione alla sfera psicologica.
14.9.4
Rientro presso il domicilio
Dal focus group realizzato in Umbria emerge che il ritorno a casa è caratterizzato da una sensazione di solitudine, che il familiare ed il paziente hanno rispetto alle istituzioni.
Nella fase del reinserimento familiare maturano altri problemi, che potranno essere risolti o
resi più sopportabili da un migliore rapporto medico-paziente o medico-familiare. Primo tra
tutti è la gestione della nuova disabilità, se presente, presso un domicilio che potrebbe essere
non adatto alle condizioni del momento.
Incontri settimanali o quindicinali, pensabili anche in gruppo, potrebbero migliorare la relazione-comunicazione in questa fase finale.
Per superare la naturale ansia che accompagna questo momento, è auspicabile la creazione di
un recapito telefonico con personale preparato (medico o infermiere), che permetta di avere
un punto di riferimento adeguato e per rispondere alle domande su situazioni nuove. Uno studio recente ha dimostrato l’efficacia del supporto telefonico, strutturato a lungo termine, per
pazienti e familiari, in termini di stato emotivo, capacità di risolvere problemi e depressione.646
Resta determinante, in questa fase, la collaborazione del medico di base nella gestione del
malato fatta in collaborazione con i gruppi multidisciplinari che lo hanno seguito nei ricoveri
e con la famiglia.
Il punto di vista del soggetto malato e dei suoi familiari
• Un aspetto difficile da comprendere per chi assiste un malato, è quello di doversi allontanare durante le visite mediche.
• Se la persona colpita da ictus non può parlare, è forse opportuno che il team medico si rapporti con chi sta quotidianamente con il paziente. In alcuni casi è opportuno scegliere fra i
parenti un referente al quale far riferimento nei momenti di bisogno.
• “A casa sei solo”; “Ci siamo mossi da soli”; “Qualunque cosa si fosse fatto sarebbe sembrato troppo poco”.
L’associazione
• ALICE nelle varie sedi regionali ha pubblicato anche dei quaderni informativi sulle corrette norme di comportamento nella gestione del malato, che il personale sanitario ha cura di
distribuire ai malati.
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 14.84
Grado D
È indicato fornire un recapito
telefonico, affidato ad operatori
competenti, destinato ai malati ed
ai familiari di pazienti colpiti da
ictus, al fine di realizzare interventi programmati e di fornire
chiarimenti in caso di necessità.
418
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
14.9.5
Istruzione sulle formalità amministrative
Un ulteriore aspetto, evidenziato da ricerche sui problemi circa il reinserimento familiare e che
riguarda la situazione di inabilità, è quello di riuscire a creare un ambiente consono alla situazione. Diviene necessario che le attenzioni del gruppo multidisciplinare, coinvolto nell’assistenza ospedaliera, sia nella fase acuta sia in quella riabilitativa, prosegua la propria attività
nella fase di reinserimento presso il proprio domicilio. È auspicabile che il malato non resti
senza ausili in attesa di visite ulteriori, e che un terapista della riabilitazione (fisioterapista o
terapista occupazionale) adatti gli ausili stessi agli spazi e dia consigli di modifiche possibili
delle opere murarie.
Varie sono le associazioni come ALICE che si occupano di informare le famiglie sui loro diritti.
Il punto di vista del soggetto malato e dei suoi familiari
• Risulta, forse, utile creare nelle varie ASL/USL, là dove non esiste, uno sportello dove avere
informazioni sui diritti ed istruzioni sulle formalità amministrative, presso il quale familiari
e malati possano rivolgersi al momento della dimissione.
L’associazione
• Alice Umbria e l’Azienda Sanitaria Regionale, hanno redatto una guida per le persone colpite da ictus e per i loro familiari, nella quale si informa circa il percorso assistenziale, la rete
di servizi disponibili e la normativa vigente. Simili iniziative sono disponibili anche presso
le sezioni ALICE di altre Regioni italiane.
14.9.6
Conclusioni su informazione-educazione
La metanalisi attualmente disponibile non ha dimostrato in maniera certa, con gli studi a
disposizione sino ad ora, l’efficacia dell’intervento informazione-educazione sulla prognosi del
paziente e della sua famiglia, né ha potuto raccomandare in maniera sicura l’efficacia di una
strategia di comunicazione rispetto ad un’altra.
È necessario che vengano programmati nuovi studi che siano in grado di identificare la modalità di comunicazione più appropriata coinvolgendo le associazioni laiche nella preparazione
dello studio e nella scelta degli obiettivi di prognosi, come è già avvenuto sia nel campo della
ricerca dell’ictus acuto,647 sia in altre aree della medicina.648
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza
14.10
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14 TRATTAMENTO RIABILITATIVO E CONTINUITÀ DELL