1° Giornata di Ittiologia e Gestione Ittiofaunistica
Ancora scienza
Nel mio intervento cercherò d’illustrare quali e quanto siano importanti i problemi sanitari per gli animali acquatici e
come dovrebbero essere affrontati e risolti al di là delle vigenti normative sanitarie.
Prof. Giorgio de Luise Consulente Regione Friuli Gestione sanitaria delle Acque Pubbliche
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Gestione sanitaria delle Acque Pubbliche
In questi ultimi anni sempre più spesso, gli organismi preposti alla gestione delle acque pubbliche hanno prediletto
quasi esclusivamente politiche basate sul ripopolamento, dei diversi corpi idrici di loro pertinenza, con organismi
acquatici (in primis specie ittiche).
Quasi nulle sono state le iniziative che si sono distinte con una nuova politica gestionale. Fino ad ora, infatti, si è
tenuto conto solo degli indirizzi programmatici fissati annualmente e quindi dei relativi programmi di semine
effettuate secondo un preciso calendario d’interventi, pur supportati da studi di base quali ad esempio le Carte
Ittiche. A tal proposito mi preme sottolineare che questi strumenti non devono rimanere fine a se stessi, ma devono
essere aggiornati periodicamente almeno una volta ogni due o tre anni.
Ciò nella maggior parte dei casi non avviene e la loro realizzazione resta più un episodio isolato, che, una volta
terminato, viene riposto in un cassetto.Il destino del materiale immesso però non è sicuramente solo quello legato
al puro prelievo alieutico, ma anche quello strettamente correlato alla capacità biogenica dei siti, alla competizione
delle diverse specie presenti, alla rusticità e qualità degli animali, alle alterazioni ambientali croniche ed acute tutti
fattori che incidono sulla sanità degli animali. Uno dei punti fondamentali legati alla salute dei pesci e degli altri
animali acquatici e forse il più dimenticato è quello della genetica.
Quali e quante siano le implicazioni genetiche nella gestione della pesca e le loro ripercussione sul breve, medio e
lungo periodo, è ben noto e non più ignorabile. Esse di fatti, alla luce di queste conoscenze, possono motivare e
spiegare il fallimento quasi generale di oltre 100 anni di immissione nonché dei loro danni. Il più macroscopico e
frequente degli errori è quello legato alla conservazione della diversità genetica o più semplicemente della
biodiversità. E’ bene ricordare che questa dote è essenziale e permette all’animale di adattarsi immediatamente alle
diverse alterazioni che lo circondano, senza dover ricorrere ad altri possibili mezzi, che, pure se efficaci, sono del
tutto casuali. Il possesso quindi di una elevata variabilità genetica assicura alti tassi di sopravvivenza,
accrescimento individuale, fecondità superiore, maggiore flessibilità rispetto alle modificazioni ambientali, con tutto
quello che ne consegue; per non parlare poi dell’elevata resistenza ai parassiti, batteri e virus, tutti fattori che
predispongono ad una maggiore longevità e quindi capacità di riprodursi. Non bisogna dimenticare che popolazioni
con una buona diversità genetica posseggono molte caratteristiche vantaggiose che al contrario sono assenti in
quelle geneticamente omogenee, impoverite e tendenti alla monozigosi.
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Quando i pesci muoiono, e talora in modo massiccio ed evidente, è facilmente visibile ed
apprezzabile un po’ a tutti noi, perché vengono a galla e quindi ne possiamo apprezzare
purtroppo i bianchi ventri. Invece per altri animali, come i gamberi ad esempio, questo
sfugge ai più perché sono animali sostanzialmente legati al fondo e quindi possono essere
oggetto di mortalità massicce senza nessun apprezzamento neanche del pescatore.
Quando i pesci muoiono, talora anche in modo massiccio e evidente, quasi sempre un capro
espiatorio vede identificato, in modo semplicistico, in un probabile evento inquinante. Però
non sempre questo corrisponde al vero, mentre è purtroppo vero che tali episodi nella
maggior parte dei casi sono strettamente dipendenti da errori umani. Di solito nessuno parla
di stress, che rappresenta una delle maggiori cause quasi sempre sottovalutate di malattia e
di mortalità, e qui apro una piccola parentesi per quanti forse non sanno identificare il
problema.
Oggi lo stress riveste, per le molteplici implicazioni che lo determinano, un ruolo
fondamentale per il benessere dei pesci soprattutto per quelli allevati artificialmente; al pari
di ogni altro organismo vivente, anche i pesci, sia allevati che selvatici, possono subire
determinati stimoli esterni che inducono uno stress più o meno grave. Una situazione
stressante si può identificare in qualcosa che origina preoccupazione per la sicurezza ed il
benessere dell’individuo, ne consegue che in un tale stato ogni energia disponibile viene
concentrata sullo specifico problema insorto con l’obbiettivo di mantenere invariata la
sicurezza ed il benessere.
Qualora vengano alterate le normali condizioni fisiologiche il pesce mette in pratica tutta una
serie di interventi e di meccanismi per tentare di mantenere l’equilibrio originale a fronte del
cambiamento delle mutate condizioni. Ecco allora che gli animali quando vedono, odono o
fiutano qualcosa che può essere percepito come una minaccia alla propria integrità fisica,
sotto l’impulso di stimoli nervosi, liberano nel sistema circolatorio ormoni capaci di
raggiungere specifiche parti del loro corpo, ove provocano reazioni ed alterazioni.
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Qui andiamo a vedere un po’ nel dettaglio le implicazioni sanitarie: detti ormoni modificano il normale stato
fisiologico dell’animale, provocano diversi fenomeni quali ad esempio soppressione del sistema immunitario,
cambiamento della permeabilità delle membrane branchiali e sconvolgimento delle funzioni renali. Tali alterazioni
fisiologiche sono in grado anche di sopprimere le reazioni infiammatorie intorno alle ferite, anche le più banali e di
bloccare la capacità del pesce di mantenere l’equilibrio osmotico. E’ sufficiente un singolo fattore stressante per
innescare una reazione a catena, i cui effetti sono in grado di perdurare vari giorni o anche settimane dallo stress
iniziale. Nel breve periodo possono pur dar luogo ad effetti positivi, consentendo all’animale di distrarre energia dai
fabbisogni metabolici di base e di mantenimento per metterle a disposizione delle immediate necessità di
sopravvivenza.
A lungo termine invece i cambiamenti indotti diventano controproducenti, da cui derivano tutta una serie di fattori
negativi sopratutto a livello di allevamento, quali ad esempio un calo ponderale dell’animale. In generale i fattori di
causa di stress nei pesci sono molteplici e sovente strettamente dipendenti da condizioni ambientali non idonee,
sia per le specie allevate che per quelle selvatiche, come pure da errori gestionali, come cattura (in fiume con
l’elettrostorditore), maneggio e trasporto degli animali senza particolari cautele, senza anestesia e così via. Ricordo
a tal proposito i frequenti casi di mortalità così detta “differita”, che accadono nei pesci quando a seguito di
ripopolamenti sono immessi magari in malo modo, in un ambiente naturale, provocandone la morte anche ad una
settimana dalla loro semina.
Sempre a proposito di sanità dei pesci selvatici, che già da soli hanno i loro problemi di sopravvivenza con una
mortalità media del 40 % (che arriva a 70% per quelli allevati), questi sono soggetti a malattie naturalmente presenti
nel fiume, che sovente si associano ad altre patologie passivamente veicolate attraverso impianti ittici posti nelle
immediate vicinanze. Le malattie non incidono come entità a se stante, ma sono la risultante di tutta una serie di
fattori predisponenti che, stressando gli animali, li rendono facile preda degli agenti ittio-patologici.
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Un ecosistema acquatico poi ospita numerose comunità animali, diverse dai pesci, che possono diventare
potenziali focolai di infezioni od agire come ospiti intermedi, come gli stessi gamberi d’acqua dolce, nel ciclo di
molti parassiti.
Gli agenti patogeni nemici dei pesci sono virus, batteri, parassiti e miceti; le malattie virali raramente e per fortuna
colpiscono i pesci selvatici; i batteri al confronto incidono in modo abbastanza costante sulle popolazioni
selvatiche, malattie parassitarie e micotiche si riscontrano invece indistintamente sia nei selvatici che in quelli
allevati.
Tra le malattie batteriche che possono colpire popolazioni ittiche selvatiche ricordo la particolarità di alcune
patologie così dette specie specifiche, trasmissibili verticalmente di padre in figlio, che in pochi anni sono in grado
di azzerare gli animali che sono presenti nell’intera asta fluviale. E’ il caso della cosiddetta nefrite batterica, che,
anche per i suoi effetti subdoli, per la sua trasmissione sia per via verticale che orizzontale, deve essere tenuta nella
debita considerazione. A titolo di cronaca e senza entrare nei dettagli tecnici, pesci colpiti da nefrite batterica
presentano solitamente un decorso cronico che talora evidenzia anche lesioni vistose: ascessi di varia grandezza a
carico del fegato, rene, milza e gonadi. Con nefrite batterica cronica o latente, invece gli animali risultano facilmente
portatori della malattia, talora senza alcun segno apparente, che continua per generazioni e generazioni tra pesci
presenti nell’ambiente soprattutto in un ambiente ristretto. I batteri passano quindi nelle feci dei pesci infetti,
costituendo una continua fonte inquinante dell’acqua che va così ad infettare altri animali attraverso lesioni
cutanee, ecc.
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Un capitolo a parte già accennato precedentemente, che non tratterò
per motivi di tempo, è quello degli uccelli ittiofagi, intesi in questo
caso come portatori e veicoli passivi e attivi di malattie dell’ittiofauna
alloctona e della loro diretta implicazione appunto nella trasmissione
di malattie da un allevamento ad un altro o da un corso d’acqua ad un
altro, anche alcune centinaia di chilometri tra un sito e l’altro.
Come già detto più volte, il danno recato nella maggior parte dei casi
è erroneamente imputato ad inquinamenti o più semplicemente a
eventi artificiali. A fronte di tutto ciò risulta quindi determinante
salvaguardare l’aspetto sanitario sia degli animali allevati sia di quelli
selvatici e inselvatichiti. Se i primi di norma sono certificati
all’origine, attraverso tutti i relativi protocolli, gli altri dovrebbero
essere costantemente monitorati. La gestione sanitaria non si deve
esaurire perciò nella semplice acquisizione della certificazione del
pesce seminato, ma deve proseguire col monitoraggio del territorio,
attraverso specifici studi e ricerche, al fine di costituire un primo
inventario sanitario di quelle specie ittiche in grado di trasmettere
agenti eziologici più importanti, ai fini di una maggiore sopravvivenza
dei pesci, secondo un preciso protocollo, che tralascio di riportare
per motivi di tempo.
Solo così i successivi interventi di cattura e riproduzione artificiale,
per esempio attraverso gli incubatoi di valle, d’immissioni alieutiche e
comunque di ogni altra attività gestionale, potranno essere mirati,
prediligendo magari quei siti indenni ed intervenendo in modo
adeguato su quelli ritenuti inquinati o a rischio, ottimizzandone così
la resa con indubbi benefici sull’ambiente e sull’utente finale che è il
pescatore.
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L’ultimo punto che ho voluto portare alla vostra attenzione è strettamente connesso con
l’argomento, sia perché c’è un suo diretto coinvolgimento con la trasmissione di alcune
malattie, sia per l’importanza ambientale e, perché no, alieutica che ricopre ed è quello
dei gamberi d’acqua dolce. Chi non ha mai visto, catturato o assaggiato questo naturale
frutto dei nostri corsi d’acqua, particolarmente abbondante soprattutto in quelli puri?
Pochi sanno invece che in molti paesi questi animali, oltre a costituire un prezioso
bottino per i pescatori (ricordo che una delle nostre specie autoctone raggiunge anche
trecento grammi), sono da tempo considerate ed utilizzate come dei veri e propri
bioindicatori della qualità del sito, soppiantando in alcuni casi addirittura la
classificazione delle acque attraverso i collaudati macroinvertebrati. Ed è proprio per
questo motivo che bisognerà testare alcune metodologie, in parte già pubblicate e
perfezionate, per il monitoraggio e la diagnosi precoce degli inquinamenti, in particolar
modo di quelli a carattere cronico. Per fare ciò si può utilizzare l’impiego degli stessi
animali che vi abitano come segnalatori della qualità ambientale, come appunto il
gambero d’acqua dolce. Esso è considerato in ambito europeo, come già detto, il
principale bioindicatore, che, grazie alla sua innata capacità di accumulare nel proprio
fegato, l’epatopancreas, specifiche sostanze (metalli pesanti soprattutto), ci consente di
acquisire tutta una serie notizie pregresse su quel sito come un vero e proprio diario
aperto. Un esempio classico è l’atrazina.
In molte nazioni, alieuticamente sviluppate, l’individuazione degli indicatori di stress nei
pesci è divenuta una prassi determinante per la corretta gestione delle popolazioni
piscicole selvatiche, la cui lettura serve per meglio capire interpretare e, la dove è
possibile, risolvere le cause scatenanti. Tali metodi quindi, hanno una larga applicazione
per il monitoraggio delle acque libere ove i pesci rappresentano, insieme agli organismi
acquatici, il campanello di allarme di situazioni ambientali avverse e delle connesse
malattie. Un esempio pratico è quello che ho personalmente condotto diversi anni or
sono in collaborazione con il Laboratorio Zooprofilattico di Udine e la allora USL di
Venezia su un Piano di monitoraggio per l’individuazione degli indicatori di stress che
colpiscono i prodotti ittici lagunari a causa delle condizioni ambientali, in questa indagine
è emersa ancora una volta la diretta implicanza dell’ambiente con i casi di stress e
soprattutto di malattie su tutte le specie ittiche testate.
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In conclusione, quindi ribadisco che a fronte di ogni intervento di gestione
dell’ittiofauna è fondamentale predisporre ogni accorgimento pratico che ne
consenta la sopravvivenza e la riproduzione attuabile oltre che con quanto
dettato dalla carta ittica, anche con quanto emerso dalle necessarie indagini
sanitarie nelle acque pubbliche. Lo stesso vale per i gamberi che per le
ragioni viste dovrebbero essere costantemente monitorati. Anche in questo
caso, a fronte di ogni intervento, bisognerebbe avviare un’indagine
conoscitiva, che, tramite un censimento di crostacei presenti per quantità e
specie, evidenzi il reale quadro della situazione, a tal proposito ad oggi solo
il Friuli ha redatto un inventario astacicolo, che proprio quest’anno viene
riaggiornato. Una volta chiaro il quadro della situazione bisognerebbe poi
predisporre, limitatamente al discorso gamberi, delle efficaci metodologie di
lotta, al fine di consentire, se non eradicare, almeno di limitare le specie
alloctone considerate dannose da un punto di vista sanitario, e qui si
dovrebbe aprire un capitolo sulla mancanza di apposite leggi nazionali, che
consentono tuttora l’introduzione attraverso i normali canali commerciali, di
gamberi provenienti dalle più disparate parti del mondo, che hanno portato
grossi problemi ben visibili. Come quelli che, purtroppo, stanno accadendo
da qualche anno nel vicino lago di Massaciuccoli, dove ancora una volta la
politica ha prevalso sulla scienza.
Se non vogliamo ulteriormente sfatare il noto proverbio “sano come un
pesce” la strada giusta sarà senz’altro quella del ripristino ambientale e del
costante monitoraggio dei corpi idrici, che permetterà agli animali che vi
abitano di vivere tranquillamente sani e in grado di riprodursi in maniera
autonoma, dove la “non semina” non sarà un utopia, ma diventerà una
norma e consentirà ai pescatori di prelevare, da questa naturale risorsa
rinnovabile, la sola produzione annuale al netto delle perdite per mortalità
naturale, ossia l’interesse senza intaccare il capitale naturale (la popolazione
ittica).
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Mi preme, a questo punto, solamente aggiungere due concetti in risposta all’assessore, sulle esperienze di divieto di
reimmissione in acqua. Nella mia regione da diversi anni tale misura è stata voluta fermamente dai pescatori locali, sia
per quanto riguarda le esche vive, che il pescato di specie alloctone; quindi è fatto divieto assoluto, con sanzioni
amministrative, di reimmettere a fine giornata, i pesciolini usati per la pesca col vivo e soprattutto l’immissione in
acqua di alcune specie ittiche considerate dannose e ormai presenti nei nostri corpi idrici, che sono il Siluro d’Europa,
la Savetta e il Naso. Il coinvolgimento diretto dei pescatori è necessario, perché solo con l’aiuto loro si arrivano a
risolvere determinati problemi e solo con l’aiuto loro noi tecnici possiamo affermare principi scientifici, perché
divengano patrimonio comune.
Concludo veramente dicendo che
l’esame di pesca, che magari verrà
visto da molti pescatori come uno
spauracchio, da noi in Friuli
(seconda Regione che si è dotata
dopo il Trentino di questo
strumento) funziona. Adesso non è
visto come uno scoglio
insormontabile da parte del
pescatore, ma è considerato come
uno strumento di conoscenza di
tutte quelle casistiche, di tutte
quelle problematiche tecnico
scientifiche, che poi dovrebbero
essere applicate e che solo così
possono trovare il loro consenso.
Grazie.
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