Prof. Bruno Marangoni
Universita’ di Bologna – Facolta’ di Agraria
Dipartimento di Colture Arboree
Presso i contadini di quasi tutta la penisola, l'alimentazione era
quasi esclusivamente a base di pane, focacce e polenta
ottenuti con cereali inferiori e granoturco, alimenti che
saziavano ma che predisponevano alla pellagra, malattia
divenuta in breve tempo il segno distintivo delle poche
possibilità economiche delle famiglie contadine dell'epoca. A
questi farinacei si affiancavano i legumi, perlopiù fagioli e fave
e verdure soprattutto verza e cavolo.
La carne, rappresentata soprattutto da animali da cortile
e dal maiale di cui si utilizzava ogni parte, arricchiva la
tavola assai di rado, e solo in occasioni festive o in caso
di malattia. Anche latte, formaggi e uova, non erano
spesso nella dieta dei contadini, ma destinati alla
vendita o alla famiglia del proprietario terriero.
Il consumo della pasta era ancora limitato ai centri cittadini più
grandi, dove c'era, di massima un tenore di vita più alto.
Il riso era consumato solo nelle zone di coltivazione, e se il suo
consumo preservava dalla pellagra, contribuiva però alla
diffusione dello scorbuto, poiché intorno alle risaie era quasi
impossibile coltivare verdura o alberi da frutto, a causa del
terreno acquitrinoso.
risaia
Le patate, alimento molto nutriente alla base
dell'alimentazione di molte popolazioni europee, in Italia
non erano molto considerate, e se il mais ebbe subito una
grande diffusione nelle coltivazioni italiane di quel periodo,
le patate suscitarono nei contadini molta diffidenza, che
unita ai pessimi raccolti di quei primi anni, determinarono
l'esclusione quasi completa dalla dieta dei nostri
contadini.
Le patate, infatti, furono importate in Spagna
alla fine del '500, e si diffusero nell'arco del
secolo successivo in tutta l'Europa, ma
arrivarono in Italia solo agli inizi dell'800 e
solo negli anni '40, dopo un secolo di
indifferenza, entrarono a far parte in modo
stabile dell'alimentazione italiana.
Il vino, da sempre uno dei prodotti italiani più esportati
nel resto d'Europa, era accessibile a pochi. I contadini
ne bevevano poco e di qualità scadente, ottenuto dalle
vinacce, poiché quello di qualità era destinato alla
vendita nelle città o all'estero.
In città il vino era presente quasi quotidianamente sulle
tavole, mentre nelle campagne se si voleva bere vino di
qualità, bisognava andare nelle osterie. Questi luoghi
avevano l'importante funzione di essere i punti di ritrovo e di
aggregazione sociale e per questo rappresentavano l'unico
vero svago della moltitudine di contadini che le frequentava
assiduamente.
La trasformazione delle abitudini alimentari
comincia in Italia nella seconda metà dell'800,
come diretta conseguenza del processo di
modernizzazione della produzione agricola, che
investe, anche se in modo discontinuo, tutta la
penisola.
Le aspirazioni di benessere del popolo si concretizzano infatti
proprio in questo, poter mangiare tutti quegli alimenti che gli
sono preclusi, che non potranno mai mangiare, nemmeno in
un giorno di festa. La maggior parte della popolazione, infatti,
combatte giornalmente la dura battaglia contro la fame, e il
suo unico desiderio è quello di poter mangiare tutti i giorni in
modo soddisfacente, cosa assai rara.
Per capire bene la realtà socio - economica delle città in
questo periodo basta mettere in relazione le informazioni
sulle abitudini alimentari dei vari gruppi sociali con il reddito
annuo delle varie categorie professionali.
Il reddito medio di un mastro muratore, di un manovale, di un
impiegato comunale di fascia bassa (netturbini e inservienti
scolastici), di un operaio non specializzato non arrivava alle
1000 lire l'anno.
Nella fascia di chi percepiva un reddito superiore alle 6000 lire
erano, infine, compresi i dipendenti comunali che erano al vertice
dell'organizzazione economica e organizzativa del Comune, tutti
gli appartenenti alla ricca borghesia, i proprietari di piccole e
medie imprese produttive nonché coloro che svolgevano
mansioni professionali altamente qualificate.
Il pasto giornaliero di questi nuclei familiari cominciava al mattino con
pane bianco, burro, latte e caffè. A pranzo di solito c'era una minestra in
brodo e un piatto di carne, (2/300 grammi) cucinato in vari modi (arrosto
con patate, in umido con gli odori, stufato) accompagnato sempre da
pane bianco. A cena altro piatto di carne, seguito da pane verdura di
stagione e formaggio.
La frutta e i dolci costituivano l'ultima portata del pranzo e spesso
anche della cena, di queste famiglie facoltose.
Ben diverso era il regime alimentare dei restanti gruppi sociali, in cui
confluivano famiglie con diverse fasce di reddito e che in base alle
proprie possibilità apportavano lievi modifiche ai tre pasti con cui era
scandita la giornata alimentare.
Nelle famiglie con più possibilità, la minestra unica veniva
di frequente sostituita, a Roma, da un piatto di spaghetti
con cacio e pepe, o dalla palliata (piatti tipici della
tradizione romana) e dai piatti tipici della cucina regionale
nel resto d'Italia, a questo piatto seguiva anche se non tutti
i giorni, un piatto di carne o di pesce.
La cena consisteva generalmente in pane e formaggio o
salame, oppure frittata e insalata, ma nelle famiglie con
meno possibilità non era raro che la cena fosse costituita
da una zuppa fatta con pane, latte e caffè (o "cicoria")
oppure dai resti del pranzo, queste due ultime soluzioni
avevano il vantaggio di costare poco e di non consumare le
scorte di carbone.
I dolci erano totalmente assenti dalla dieta della maggior
parte di queste famiglie, mentre la frutta compariva anche
se non spesso sulle tavole di tutti.
l'Institute of European Food Studies (IEFS) di Dublino
(Irlanda) ha condotto un'indagine presso 14.500 consumatori
dei paesi membri dell'Unione Europea. Questo articolo, il
primo di una serie di approfondimenti dedicati ai risultati
dell'indagine dell'IEFS, analizza le convinzioni e le abitudini
diffuse tra i cittadini europei in materia di alimentazione. La
qualità come fattore determinante La qualità si è rivelata il
criterio fondamentale per la scelta dei cibi in tutti gli stati
membri dell'Unione Europea, senza eccezione alcuna.
Per quanto riguarda invece l'importanza attribuita agli altri
criteri, (gusto, prezzo) i paesi sono divisi: Grecia,
Lussemburgo e Irlanda, per esempio, collocano il prezzo
al di sopra del gusto, Finlandia, Germania e Spagna si
comportano al contrario.
Per circa un terzo degli intervistati, la ricerca di
un'alimentazione sana è uno dei tre fattori principali che
condizionano gli acquisti.
In alcuni paesi, come Austria e Danimarca,
l'alimentazione sana è risultata prioritaria per la metà
degli intervistati, mentre in altri paesi, per esempio in
Francia e in Italia, solo un quarto di essi ha preso in
considerazione tale fattore. In quinta posizione troviamo i
"vincoli" familiari, vale a dire i gusti e le abitudini
alimentari degli altri componenti della famiglia.
Non erano messi meglio i pastori, anche se potevano mangiare la carne
degli animali morti di vecchiaia, e i pescatori che a costo di grandi fatiche
rientravano in porto con diverse qualità di pesci pregiati. Pesci che erano
però destinati alla vendita.
Anche la loro dieta, come quella dei contadini era povera e carente di molti
alimenti, per mangiare in modo soddisfacente bisognava avere soldi,
risorsa di cui pochi potevano disporre.
Gli alimenti base erano ceci, fave, lenticchie, piselli, fagioli, cucinati nei
modi più svariati, che venivano adoperati anche nella panificazione, e ogni
tipo di verdura e frutta di stagione, il pane era di farina scura, di seconda
qualità, il pane bianco, compariva solo sulla tavola del padrone.
In linea di massima nell'alimentazione degli italiani non cambia
niente per molto tempo, infatti la prima metà del '900 segnata dalle
due Guerre Mondiali e dalle privazioni conseguenti a queste, è
caratterizzata ancora dalle differenze di alimentazione che sono il
dato più apparente delle sproporzioni sociali ed economiche.
Gli anni immediatamente successivi alla guerra vedono un'Italia prostrata
sia economicamente che a livello di risorse. La popolazione è affamata, il
razionamento dei viveri messo in atto durante il conflitto aveva contribuito
allo sviluppo del mercato nero, squilibrando ulteriormente l'economia
italiana già instabile. L'alimentazione è ancora subordinata alle possibilità
economiche e rimane un segno distintivo di appartenenza a gruppi sociali
ben definiti.
Le fasce meno abbienti sono ridotte alla fame, ma quasi tutta l'Italia è
malnutrita. Gli squilibri nutrizionali dovuti alla quasi totale mancanza di
carne e pesce, e al razionamento di tutto il resto, sono tornati a livelli
altissimi, la situazione nelle campagne è pessima, ma nelle città è
disastrosa.
Per gli emigranti l'esigenza di mantenere modelli culinari,
linguistici e più in generale comportamentali tipici della tradizione
italiana, era dettata in linea di massima dalla voglia sentirsi vicini
alle persone care, rimaste in Italia. Spesso, quando la nostalgia di
casa era molto forte il pensiero di un legame con il proprio paese
di origine, instaurato attraverso il cibo o l'utilizzo della lingua
madre, era l'unico conforto.
L'alimentazione continua ad essere il tratto distintivo
dell'appartenenza o meno alle classi più abbienti, anche se
l'aumento dei salari fa si che intere fasce di lavoratori diventino
più agiate aprendo anche a loro al possibilità di una dieta
variata in cui la carne, e non solo le frattaglie, finalmente
appare settimanalmente.
Non è più necessario aspettare le occasioni di festa per poter fare un pranzo
in cui ci sia un piatto di carne, per molti basta aspettare la domenica. Il
pranzo domenicale si carica di forti significati simbolici, è il giorno del riposo,
della festa, del pranzo come si deve, le famiglie che possono permetterselo,
proprio come le ricche famiglie degli inizi del secolo possono anche
concedersi il lusso dei dolci.
Le "paste" portate in trionfo a casa dalla pasticceria, nel loro fagottino
confezionato con nastrini colorati, come se fossero un regalo, sono
l'elemento più evidente della nuova prosperità.
Negli anni sessanta, si registrano dati sui consumi, che vedono per
la prima volta in forte crescita la carne bovina, e altri tipi di carne
(pollo, tacchino, coniglio, selvaggina) e la carne suina. L'incremento
di quest'ultima è dovuto anche alla grande diffusione del prosciutto,
che molte volte sostituisce il classico piatto di carne.
Per quanto riguarda l'uso del pomodoro e degli ortaggi, possiamo
parlare di un vero e proprio boom, come per gli agrumi, la frutta
fresca, il latte, i formaggi e i latticini. Sulle nostre tavole appare l'olio
di semi, anche se a farla da padrone è l'olio d'oliva che soppianta
del tutto il lardo e quasi del tutto il burro, nella cucina quotidiana.
La diminuzione del numero di figli per ogni famiglia partecipa
all'incremento delle possibilità economiche, molte volte anche la
madre lavora percependo un salario adeguato, ed in casa entrano
in linea di massima più soldi, che servono per il fabbisogno di un
numero limitato di persone. Se lo status di appartenenza ad una
classe sociale più alta prima era la possibilità di mangiare pane
bianco, carne e pesce, adesso l'interesse è spostato anche verso
altri oggetti del desiderio.
A questo bisogna aggiungere il cambiamento nella struttura stessa
del pasto. Infatti, sempre più spuntini e fuori pasto costellano la
nostra giornata, il pasto di mezzogiorno, che vedeva riunita l'intera
famiglia attorno al tavolo a gustare i manicaretti preparati dalla
mamma è sempre meno frequente.
Il pasto principale della giornata non è più il pranzo ma la cena, dato
che, soprattutto nelle grandi città, raramente si torna a casa per la
pausa pranzo, ma si fa un breve intervallo al bar, al fast food o in
mensa.
Diretta conseguenza di questo stile di vita è l'aumento dei
consumi fuori casa, rosticcerie e ristoranti che fanno il take
away si sono prontamente diffusi vista la grande richiesta
di un pasto pronto da portare in tavola anche la sera,
quando la donna rientra da lavoro troppo stanca per poter
cucinare. Molto spesso, però, si cena direttamente fuori
casa, ed è ormai la norma festeggiare al ristorante eventi
personali o famigliari.
Il banchetto al ristorante ha preso il posto dei grandi pranzi
con molte portate che fino a qualche anno fa venivano
preparati in casa.
Ormai la popolazione italiana non lavora più per sfamarsi come
accadeva fino al secondo dopoguerra, una vita il più delle volte fatta di
stenti e rinunce, condotta sul filo della sopravvivenza, non è più
concepita come possibile. Dopo secoli di stenti contrassegnati da
denutrizione e malattie, in cui la possibilità di fare pasti completi ogni
giorno era vista come una eventualità irrealizzabile. Finalmente una
corretta alimentazione è alla portata di tutti.
Qualità degli alimenti:
• Che cos’è la qualità?
• I consumatori sono disposti a pagarne il prezzo?
• L’agricoltura intensiva è veramente la causa di tutti
i problemi?
• Quali incentivi hanno gli agricoltori per spostare
l’accento dalla quantità alla qualità?
• Le tecnologie avanzate ed i metodi moderni di
produzione possono fornire cibi gustosi e sani?
• I consumatori predicano bene e razzolano male?
Rintracciabilità dei prodotti
Importanza dell’identificazione dell’origine dei
prodotti per la tutela dei consumatori.
• Registrazione di tutte le aziende alimentari;
• riconoscimento delle aziende che devono
offrire particolari garanzie di igiene;
• procedure obbligatorie rivolte a ritirare dal
mercato i prodotti che presentano rischio per
i consumatori;
• tenuta di registri per l’identificazione dei
fornitori degli ingredienti.
Produzione primaria
I rischi biologici e chimici nei prodotti alimentari
possono avere origine nell’azienda agricola.
• Estensione alle aziende agricole delle norme
generali in materia di igiene;
• il sistema di sicurezza alimentare proposto a
livello di produzione primaria è basato su una
valutazione dei rischi ma non comporta
l’applicazione formale del sistema HACCP;
• non si prevedono misure specifiche
aggiuntive sulla sicurezza degli alimenti
zootecnici.
Igiene dei prodotti alimentari
Norme applicabili agli alimenti di origine animale
• Campo di applicazione (chiarimenti per la vendita al
dettaglio e per la definizione dei prodotti);
• riconoscimento degli stabilimenti;
• bollatura sanitaria;
• disposizioni particolareggiate;
• criteri microbiologici;
• temperature di magazzinaggio e trasporto;
• piccole unità di produzione
• qualità ed etichettatura;
• norme di igiene e BSE.
Sicurezza alimentare
Revisione del “diritto alimentare” con l’obiettivo di:
 mantenere un elevato livello di protezione della
salute umana;
 fornire adeguate garanzie di sicurezza;
 raggiungere un nuovo equilibrio tra esigenze
sanitarie, ambientali ed economiche.
Condizioni di polizia sanitaria
• Norme rivolte ad impedire la diffusione di
malattie degli animali attraverso la
commercializzazione dei prodotti derivati:
– Direttiva 72/461/CE (carni fresche);
– Direttiva 80/215/CE (prodotti a base di carni);
– Direttiva 91/67/CE (prodotti ittici e altri);
– Direttiva 91/494/CE (carni di pollame);
– Direttiva 91/495/CE (conigli e selvagg. allevata);
– Direttiva 92/45/CE (carni di selvaggina);
– Direttiva 92/46/CE (latte e derivati);
Controllo ufficiale
• Disposizioni applicabili a tutti i prodotti alimentari
ed ai mangimi:
–
–
–
–
–
responsabilità dei servizi ufficiali;
misure da adottare in caso di rischio per i consumatori;
formazione degli addetti al controllo;
attuazione sistema di allerta;
ispezioni della Commissione CE.
• disposizioni specifiche:
– revisione dell’ispezione veterinaria (valutazioni
predittive - prevenzione - analisi dei rischi)
Alcuni rischi
• Arretratezza culturale
(resistenza al cambiamento, tendenza alla
deroga anche quando non serve, ostinazione a non documentare,
impreparazione tecnica)
• Posizione filo-danese:
poche regole, rispettate e documentate,
scarsa diversificazione dei prodotti ma elevata sicurezza.
• Posizione “Mediterranea”:
molte regole, dettaglio elevato,
contraddizioni, tendenza ad “interpretare”, fantasia operativa, gusto per il
rischio derivato anche dall’elevata probabilità di essere impuniti,
propensione alla “trasgressione”.
• Tendenza
ad attribuire agli episodi particolari un significato
universale (alibi per non fare).
• Rifiuto ad adottare un metodo di lavoro
ARGOMENTI
suddivisi tra le scuole coinvolte
Il cibo come cartina tornasole di
un contesto socio/politico
Capire che attraverso il cibo e
l’alimentazione passano cultura
e storia di un popolo
Il cibo come fattore
di crescita personale.
(chi non mangia non cresce!)
Capire il rapporto tra gusti
e abitudini alimentari
Il cibo come cartina tornasole di
un contesto socio/politico
SCOPI
Clicca sugli scopi per trovare contenuti e attività
-1- Conoscere la
distribuzione delle
risorse alimentari nel
mondo:
•conoscere i principali
alimenti consumati in alcuni
paesi
•conoscere i principali
alimenti prodotti in alcuni
paesi
•identificare l’acqua come
risorsa alimentare e di
sviluppo
-2- Conoscere il
percorso di alcuni
prodotti presenti
nel mercato mondiale:
•conoscere le modalità di
produzione di alcuni
prodotti
•ricostruire il percorso di
produzione e commercializzazione di alcuni prodotti
alimentari comunemente
usati
-3-Conoscere i possibili
interventi e gli organismi
che li operano:
•riflettere sul concetto di
fame/sottalimentazione
•identificare le zone in cui
esiste un problema di
sottalimentazione
Capire che attraverso il cibo e
l’alimentazione passano cultura
e storia di un popolo
Il cibo, inteso come trasformazione culturale
GLI ALIMENTI NEL MONDO:
La vita di ogni alimento ci connette con energie
molto diverse:
in Messico si mangia il taco, negli Usa la
pannocchia lessa, nel nord Italia la polenta:
stessa materia prima, tre culture diverse.
Capire che attraverso il cibo e
l’alimentazione passano cultura
e storia di un popolo
Imparare a superare il proprio egocentrismo culturale,
educare alla condivisione.
Il cibo e gli ingredienti
- ricerca di cibi e piatti
raccontano una storia
legati alla tradizione degli
secolare, a volte
extra-comunitari presenti.
millenaria.
Il cibo in un contesto
geografico. Il territorio
offre ciò di cui l’uomo ha
bisogno. L’uomo prende
dal territorio ciò che gli
serve per vivere.
- cosa fornisce il nostro
territorio per
l’alimentazione: ricerca e
visite in loco.
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3. Condizioni socio economiche e abitudini