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CERAMICA
Sulle denominazioni
di vasi liguri di farmacia
in margine a recenti mostre
Guido Farris
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CERAMICA
Nella primavera del 2000 si è tenuta
in Milano a Palazzo Reale la mostra “In Terra Santa”.
Il sottotitolo specificava il lungo percorso
cronologico in termini storici:
”Dalla Crociata alla Custodia dei Luoghi Santi”.
CERAMICA
Le morfologie dell’albarello,
“vaso per unguenti”, e dei
“vasi grandi da canditi
tondi senza manichi”.
Alle pagine precedenti
Figura di stagnone
della farmacia
del San Salvatore
a Gerusalemme, pubblicata
nel catalogo della mostra
milanese “In Terra Santa”
(h 44 cm circa); figura
di stagnone dell’ospedale
San Paolo di Savona
(h 51 cm circa), pubblicata
nel dépliant della mostra
savonese “Itinerari d’arte
dal XV al XVIII secolo”.
scontornare
nei fondi
no degli incontri illustrati
da questa superba esposizione di cimeli, di capolavori d’Arte, di oggetti di grande
valore, di documenti di grande rilevanza storica, ecc. - tutto presentato con l’ausilio di interessanti strumenti audio-visivi, con l’accompagnamento di commenti musicali appropriati - era quello con
la “Farmacia Francescana di Gerusalemme”1. Poiché il corredo di
vasi appartenenti a tale farmacia
è costituito in grandissima prevalenza da maioliche prodotte da officine ceramiche liguri attive nei
secoli XVII, XVIII, XIX, il campionamento messo in mostra a Milano interessava soprattutto l’attività
dei ceramisti liguri.
Ricordo che, negli ultimi anni settanta dello scorso secolo, ebbi
l’opportunità di esaminare il cospicuo patrimonio in vasi che ancora
restava di questa antica farmacia.
Quando mi fu affidato l’incarico di
schedarlo e di pubblicarlo, mi tro-
U
vai, è facilmente comprensibile, di
fronte a difficoltà. Molte e di varia
natura. Riuscii comunque, con
l’interessamento della Cassa di
Risparmio di Savona, a far stampare una catalogazione2 che voleva avere la finalità di mettere a disposizione - per chi avesse avuto
interesse agli studi di que-sto settore - un notevole quantitativo di
esemplari inediti. Fu però una impegnativa occasione per trovarsi
di fronte a tutti quei problemi che
era proprio una sistematica catalogazione a proporre.
Uno era costituito, per esempio,
dal fatto che, a mano a mano che
procedevo nella consultazione di
documenti più o meno noti sui vasi liguri di farmacia, mi trovavo a
dover fare una difficile scelta nella
terminologia da utilizzare per distinguere le forme vasali. Primo
intoppo era quello del numero talvolta cospicuo di sinonimi con i
quali si aveva a che fare nei documenti. Decisi fosse ragionevole
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scegliere la denominazione più
comune, quella che, nel presente
e nel passato, era usata da quasi
tutti; così, per esempio, il vaso cilindrico a due espansioni, una vicina alla bocca ed una vicina al
piede non potevo avere molti dubbi sulla scelta: invece di “bunia”,
“burnia”, “bornia”, “brunia”, “brunio”, “barattolo”, “albero”, “alberetto”, “alberello”, ecc. preferii scegliere “albarello” ma senza perdere di vista l’interessante precisazione funzionale delle voci “burniette da unguenti”, “vasi da unguento”.
È però opportuno ricordare, a
questo punto, un fatto di grande
importanza pregiudiziale per chi
voglia accostarsi allo studio di
questi argomenti: il numero delle
forme farmaceutiche supera di
molto quello delle forme vasali,
sicchè non ci si deve aspettare
che - eccezione fatta per lo “stagnone” adibito esclusivamente a
recipiente per acque - una deter-
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minata forma vasale possa essere stata utilizzata per una sola forma farmaceutica. Una verifica su
318 esemplari di albarello confermò che la sua prevalente utilizzazione era sicuramente quella di
contenitore di unguenti (150), ma
che si potevano trovare altre ventun forme farmaceutiche contenute in albarelli e che esistevano
esemplari senza cartiglio o anepigrafici e quindi disponibili ad essere utilizzati per qualsiasi forma
farmaceutica.
Negli anni successivi alla pubblicazione del corredo della farmacia del San Salvatore, ho avuto
poi modo di studiare documenti
inediti che si riferivano a forniture
di vasi da parte di ceramista savonese 3 e di rivedere, approfittando dei nuovi studi, qualcuno
degli errori della catalogazione.
Per esempio quello di aver usato
il termine “vaso da elettuario” per
indicare quei vasi che la fatturazione del maiolicaro savonese
scontornare
nei fondi
Francesco Salomoni (1689) ci ha
poi insegnato dovevano essere
chiamati “vasi da canditi” 4, con
una informazione che non può lasciar dubbi interpretativi perchè
fornisce preziose precisazioni
morfologiche - “...Vasi grandi da
canditi tondi senza manichi...” e li
distingue da quanto subito dopo
elenca: proprio “...Vasi da elettuari...”.
Per esempio quello di avere usato
la voce “alzata” per indicare quel
piatto con piede a stelo che ho
poi accertato essere filologicamente e storicamente corretto
chiamare “sottocoppa”5.
Per esempio quello per il quale ritengo ora che le attribuzioni formulate per i marchi “F”, con o
senza il “falco coronato”, “castello”, con il “falco coronato” o con il
“falco senza corona”, vadano rimesse in discussione in rapporto
a nuove interessanti ipotesi interpretative che porterebbero in primo piano nella tradizione della
maiolica savonese il cospicuo
contributo produttivo di un casato,
quello dei Ferro6 del quale finora
non si sono mai occupate le troppo approssimate compilazioni storiche7.
Ma, tornando alla mostra di Milano, tra le forme vasali liguri esposte, compariva anche quella che
era stata oggetto di qualche attenzione da parte di chi aveva ritenuto di non accettare la denominazione che avevo usato per indicarla. Si tratta del vaso di farmacia di maggiore taglia, quello a
forma ovoidale con due robuste
anse e con un rubinetto posto nella parte più bassa del corpo vasale. Era il recipiente destinato a
contenere le “Acque officinali” 8,
ma è stato considerato “...per medicamenti liquidi di largo smercio
(acque, infusi, decotti, vini)...”9, ed
anche “...a contenere acque vegetali distillate e soluzioni medicinali...”10.
Non ho mai avuto occasione di
CERAMICA
Le morfologie dei “vasi da
elettuari” e dello “stagnone
da aque”.
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CERAMICA
Albarello della farmacia
del San Salvatore
a Gerusalemme, facente
parte della fornitura
del maiolicaro savonese
Francesco Salamoni, 1689
(h 21 cm).
Lo stemma sta a indicare
che il donatore è stata
la Repubblica di Genova.
A fronte
Il dépliant della mostra
savonese “Itinerari d’arte
dal XV al XVIII secolo”
e il catalogo della mostra
milanese “In Terra Santa”.
osservare che i vasi di questa forma siano stati usati per “infusi,
decotti, vini” o per “soluzioni medicinali” e sarei molto grato a chi
me ne volesse segnalare qualche
esemplare per aver modo di modificare l’indagine che avevo fatto
su centocinquantadue esemplari:
avevano tutti un cartiglio che specificava “acqua” salvo due che
erano anepigrafici.
Una eccezione che sono riuscito
finora ad osservare è quella relativa a due vasi che hanno la forma dello stagnone ma sono privi
di quel mascherone che, posto
nella parte più bassa del corpo
vasale, serve da rinforzo al rubinetto in bronzo; si tratta quindi di
vasi dai quali il contenuto non
può essere nè spillato nè versato, può essere solo attinto ma
con l’evidente difficoltà del collo
vasale piuttosto ristretto; portano
cartigli per “Syr. FvMavae.” e
per “THEriaCa Ad”; sono stati attribuiti a “manifattura savonese
dei Chiodo dell’inizio del XVIII
secolo”; potrebbe trattarsi di vasi
che non avessero funzione di recipiente data la scarsissima coerenza della forma con le particolari caratteristiche di viscosità
dello sciroppo e della teriaca, ma
che fossero utilizzati esclusivamente per ragioni decorative...
vasi del resto per i quali mi parrebbe necessario accedere ad
una attenta discussione prima di
condividere attribuzione e collocazione cronologica11.
Mi ero limitato a scrivere che in
tutti i documenti liguri nei quali si
faccia riferimento ai vasi di questa
forma la denominazione usata è
sempre la stessa: stagnone. Questo termine che non deve, per fortuna, essere confrontato con alcun sinonimo12, lo si trova con regolarità nei documenti d’archivio
che vanno dal XVI al XVIII secolo.
Chi non ha accettato la voce “stagnone” in considerazione del fatto
che appartiene ad “antica terminologia”13, ha formulato un giudizio esatto ed è infatti proprio per
questa caratteristica - antica terminologia - che decisi di adottarlo
avendo in mente l’insegnamento
ripetutamente formulato dal Prof.
Giuseppe Liverani durante i convegni albisolesi14 e cioè di adottare, per indicare gli oggetti ceramici, “tutte le volte che è possibile,
la nomenclatura scoperta nei documenti”.
Sulle proposizioni filologiche e
storiche del Maestro degli studi
ceramici non mi sembra il caso di
soffermarsi, ma ritengo che ognuno di noi possa accampare altre
proposizioni: per esempio quella
di giustificare l’adozione del termine “idria” in luogo di quello di
“stagnone” perché appartenente a
“moderna terminologia”15.
In effetti la voce “idria” ha avuto come molte errate attribuzioni di
marchi - una notevole diffusione
nell’area antiquariale mentre la
voce “stagnone” non deve essere
suonata armoniosa nemmeno per
altri16 come ho anche potuto constatare nello sfogliare un elegante
dépliant che fornisce informazioni
su un’altra mostra, quella dei “Restauri nel Savonese 1993-2000”,
proposta al Palazzo del Commissario nel Priamar di Savona
nell’estate del 2000 “Itinerari d’Arte dal XV al XVIII Secolo”. Nel dépliant, tra le varie opere d’Arte illustrate con bellissime foto a colori,
è presente un grande vaso della
farmacia savonese dell’ospedale
San Paolo; la didascalia lo data al
1666 e lo indica con il nome
“idria” mostrando di preferire intenzionalmente il neologismo di
Marinoni. Per il grande vaso di
identica morfologia pubblicato nel
catalogo della mostra “In Terra
Santa” avevo ovviamente usato,
per indicarlo nella didascalia, il
termine “stagnone”.
CERAMICA
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Chissà perché ho la sensazione
che si sentano piuttosto imbarazzati quelli che trovano, in due mostre importanti per la cultura ligure,
realizzate nel 2000 a pochi mesi di
distanza l’una dall’altra, nomi così
diversi per indicare vasi uguali e
me ne sento un po’colpevole, non
foss’altro per non aver avuto la capacità di riuscire a convincere.
Al di là di ogni disagio non posso
comunque fare a meno di pensare
che il termine “stagnone” avrebbe
conferito maggiore dignità al vaso
dell’antica farmacia di San Paolo,
perchè si sarebbe presentato con
il suo vero nome, quello con il
quale era nato. Con quello infatti
avrebbe anche potuto fornire un
autorevole contributo storico e culturale (sul quale mi propongo di ritornare in un prossimo futuro)17 ma
che l’adozione dell’esotico e “dotto” “idria” non gli permette di fare
in nessun modo.
NOTE
1) G. FARRIS, La farmacia dei Francescani di Gerusalemme; in In Terra Santa, catalogo della mostra, Firenze - Milano
2000, pag. 170.
2) G. FARRIS e A. STORME, Ceramica e
farmacia di San Salvatore a Gerusalemme, Genova 1981.
3) G. FARRIS, Ceramiche savonesi in
Oriente, in “Risorse”, VI, 2/3, 1987, pag.
33. Maiolica di farmacia tra Genova e Terra Santa ,in Atti del Convegno Internazionale su Le vie del Mediterraneo, Genova
1992, pag. 59. Il maiolicaro savonese
Francesco Salomoni fornitore della farmacia di Gerusalemme; in Ricami e maioliche
genovesi del Seicento a Gerusalemme,
Genova 1992, pag 55 (dove il titolo avrebbe dovuto essere più correttamente “Ricami e maioliche liguri...”).
4) A. DE SGOBBIS, Universale Theatro
Farmaceutico..., Venezia 1682, pag. 526,
elenca alla voce “canditi o candizati officinali più comuni” ventinove varietà di questa
forma farmaceutica: non si discostava molto dai canditi che conosciamo, ma le venivano attribuite qualità terapeutiche; vi troviamo quelli di “Aranzi Intieri”, di “Corteccia
d’Aranzi”, ma anche di “Radici d’Angelica”
e “...di Scorzonera”. Devo confessare che,
da quando ho pubblicato i documenti savonesi (V. nota n. 3) nei quali compare la fatturazione dei “Vasi da canditi” associata a
quella di “Vasi da elettuari”, sto aspettando
con speranzosa curiosità quale sarà la proposta antagonistica di un nome non appartenente ad “antica terminologia” per indicare il “vaso da canditi”. È interessante osservare l’ostinazione con la quale continua ad
essere usato, da alcuni, il termine “unguentario” per indicare il “vaso da elettuari”: si
tratta di un errore storico, funzionale, linguistico, come ritengo di aver da molti anni dimostrato con proposizioni oggettive.
5) G. FARRIS, Appunti per una discussione sulla nomenclatura delle forme ceramiche; alzata o sottocoppa?, in “Faenza”,
86, I-III, 2000, pag. 241.
6) A. CAMEIRANA, Inedite società ceramiche a Savona nel XVIII secolo, in “Atti
XVIII Convegno di Albisola”, 1985, pag.
122-123 e 150.
7) È spiacevole rilevare - l’ho fatto altre
volte - quanto sia stata finora negativa la
pregiudiziale mancanza di seri criteri
scientifici nella storiografia della ceramica
ligure che non ha mai saputo andare molto al di là delle approssimate, errate e
sgrammaticate affermazioni che si trovano
negli appunti del Maggi (si veda, per es.
G. FARRIS e A. STORME: l.c. 1981 tutte
le annotazioni sul Maggi e G. FARRIS: l.c.
1992, nota n. 4).
8) Erano moltissime le acque alle quali veniva attribuito valore terapeutico; A. DE
SGOBBIS (l.c., pag. 77) sotto il titolo “acque semplici, e flemmatiche officinali più
usuali” ne elenca ben centoventun tipi.
9) G. PESCE, Maioliche liguri da farmacia,
Milano 1960, pag. 23.
10) G. BUSCAGLIA, La maiolica savonese nella raccolta civica, Savona 1990,
pag. 52.
11) Facevano parte di una importante vendita alla Galleria savonese “La Navicella”
e sono stati illustrati alle pagg. 58 e 59 del
catalogo della mostra Antiche maioliche
savonesi - 2a Mostra, Savona 1992 (un interessante confronto è stato posto con il
vaso “a” della tav. CXLIII in O. GROSSO e
G. MORAZZONI, Mostra dell’antica maiolica ligure, catalogo della mostra, Genova
1939). Rientrano nella terza donazione
Boncompagni.
12) La destinazione a contenere solo acque
è confermata dalla precisazione “stagnone
da aque” (1676) (L. LUCATTINI, Arte e ceramiche nel Museo dell’Ospedale di S. Martino di Genova, Genova 1975, pag. 217).
13) G. BUSCAGLIA: l.c.
14) V., per es., in “Atti IV Convegno di Albisola”, 1971, pag. 164.
15) Il termine “idria” era stato usato da G.
MARINONI (Arte Ceramica, Genova 1914,
pag. 47) che, nutrendo una grande ammirazione per la ceramica greca, ritenne vi fossero strette affinità con le forme dei vasi
greci per tutte le forme dei vasi liguri di farmacia e preferì addirittura scrivere come
termine per lo stagnone “hydria”. Da qualche anno mi permetto di richiamarmi, ogni
tanto (V., per es., La bellezza della forma, in
“La Casana”, 1, 1994, pag. 45), ad un suggerimento limpidamente espresso da M.
Foucault (L’uso dei piaceri, Milano 1984):
“..Vi sono momenti nella vita, in cui la questione di sapere se si può pensare o vedere
in modo diverso da quello in cui si pensa e
si vede è indispensabile per continuare a
guardare e riflettere..” ci può essere utile rileggerlo... ma con serenità d’animo.
16) Per es. per F. MARZINOT (Ceramica
e ceramisti di Liguria, Genova 1987).
17) Per affrontare il noto rapporto tra contenitori metallici e contenitori ceramici (del resto già accennato per quanto attiene allo
stagnone alle pagg. 62 e 63 - in G. FARRIS
e A. STORME, 1. c. -), ma soprattutto per
fornire evidenze filologiche che non sembra
sia stato in grado di fare in precedenza.
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Sulle denominazioni di vasi liguri di farmacia