Associazione Scientifica Interdisciplinare
per lo Studio delle Malattie Respiratorie
september
3
2007
Multidisciplinary Respiratory Medicine
Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB MILANO
Nardini S, Sanguinetti C.M., Spadari EA
Il progetto AIMAR-Thales per la ricerca in Medicina Respiratoria
in Italia
The AIMAR-Thales project for research in Respiratory Medicine in Italy
De Benedetto F , Sevieri G
Le nuove linee guida congiunte IDSA/ATS per la gestione
della polmonite acquisita in comunità dell'adulto
Spunti per il comportamento dello pneumologo e del generalista italiano
New joint IDSA/ATS guidelines for the management
of community-acquired pneumonia in adults
Highlights for the specialist and general medical practitioner in Italy
Rochester CL
Electrical stimulation of peripheral muscles in COPD: theory
and practice
Stimolazione elettrica dei muscoli periferici nella BPCO: teoria e pratica
Sibille Y, Pilette C
Epithelial secretory proteins as biomarkers in COPD
Proteine secretorie epiteliali come marker biologici nella BPCO
Matthys H
Fitness for flying and diving
Idoneità al volo e all'attività subacquea
anno 2 - n. 3 - Reg.Trib. Novara n.120 del 11/11/2005
ISSN 1828-695X
Multidisciplinary Respiratory Medicine
3/ september 2007
no.
MRM Coperta 3-2007
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MULTIDISCIPLINARY RESPIRATORY MEDICINE
Associazione Scientifica Interdisciplinare
per lo Studio delle Malattie Respiratorie
Multidisciplinary
Respiratory
Medicine
Multidisciplinary Respiratory Medicine (MRM) è la rivista scientifica trimestrale di AIMAR
(Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Respiratorie), pubblicata da Novamedia s.r.l.
La rivista pubblica, in lingua italiana e inglese, articoli originali, nuovi approcci metodologici, review, opinioni, editoriali, stati dell'arte, documenti di consenso e atti di congresso di
pertinenza alla Medicina Respiratoria.
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Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata o riprodotta senza l'autorizzazione dell'Editore.
Registrazione presso il Tribunale di Novara n. 120/05 dell'11/11/05.
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Finito di stampare nel mese di settembre 2007.
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MULTIDISCIPLINARY RESPIRATORY MEDICINE
OFFICIAL SCIENTIFIC JOURNAL OF AIMAR
An Italian scientific journal of AIMAR dedicated to the advancement of knowledge in all
fields of respiratory medicine.
MRM publishes - in Italian and English - original articles, new methodological
approaches, reviews, points of view, editorials, states of the art, position papers and
congress proceedings.
Editors
Fernando De Benedetto, Chieti
Claudio F. Donner, Borgomanero (NO)
Claudio M. Sanguinetti, Roma
Associazione Scientifica Interdisciplinare
per lo Studio delle Malattie Respiratorie
Multidisciplinary
Respiratory
Medicine
Managing Editor
Gianfranco Sevieri, Viareggio (LU)
Editorial Office Manager
Stefano Nardini, Vittorio Veneto (TV)
Editorial Board
Mario Polverino, Cava de’ Tirreni (SA) - Coordinator
Sabina Antoniu, Iasi, Romania
Alberto Braghiroli, Veruno (NO)
Mauro Carone, Veruno (NO)
Lucio Casali, Terni
Mario Cazzola, Roma
Stefano Centanni, Milano
George Cremona, Milano
Filippo De Marinis, Roma
Francesco Ioli, Veruno (NO)
Giovanni Paolo Ligia, Cagliari
Rasmi Magadle, Baka El-Garbia, Israel
Riccardo Pela, Ascoli Piceno
Luca Richeldi, Modena
Roberto Torchio, Torino
AIMAR Scientific Committee
Coordinator: Luigi Allegra (MI)
Cardiology: Nazzareno Galié (BO)
Endocrinology: Aldo Pinchera (PI)
Allergology and Environmental Medicine: Renato Corsico (PV)
Epidemiology: Fernando Romano (CH)
Formation and Quality: Maurizio Capelli (BO), Piera Poletti (PD)
Gastroenterology: Gabriele Bianchi Porro (MI), Lucio Capurso (RM)
General Medicine: Claudio Cricelli (FI)
Geriatrics: Emanuele Tupputi (BA), Stefano M. Zuccaro (RM)
Imaging: Alessandro Carriero (NO), Francesco Schiavon (BL)
Immunology: Giuseppe Montrucchio (TO)
Infectivology: Ercole Concia (VR)
Intensive Care: Marco Ranieri (TO)
Internal Medicine: Roberto Corinaldesi (BO)
Microbiology: Giancarlo Schito (GE)
Neurology: Luigi Ferini Strambi (MI)
Occupational Medicine: Plinio Carta (CA), Giacomo Muzi (PG)
Oncology: Filippo De Marinis (RM), Cesare Gridelli (AV)
Otolaryngology: Michele De Benedetto (LE), Desiderio Passali (SI)
Pediatrics: Angelo Barbato (PD), Fernando M. De Benedictis (AN)
Pharmacology: Ilario Viano (VC)
Pneumology: Francesco Blasi (MI), Lucio Casali (TR), Mario Cazzola (RM), Giuseppe U. Di
Maria (CT), Giuseppe Girbino (ME), Carlo Grassi (MI), Dario Olivieri (PR), Pier Luigi
Paggiaro (PI), Paolo Palange (RM), Riccardo Pela (AP), Mario Polverino (Cava de’ Tirreni, SA).
Relationships with Patients’ Organizations: Mariadelaide Franchi (RM)
Thoracic Surgery: Francesco Sartori (PD)
Editorial Office
NOVAMEDIA s.r.l.
Via Monsignor Cavigioli 10, 28021 Borgomanero (NO)
Tel +39 0322 846549 – Fax +39 0322 869737
Elena Spadari - Manager
[email protected]
Manuela Paolini
[email protected]
Editorial Supervision
Rosemary Allpress, Alberto Braghiroli
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Raffaele Romeo
Via Gallarate 106, 20154 Milano
Tel +39 02 33432824 – Fax +39 02 38002105
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Di ritorno da un breve periodo di riposo estivo apprendo la dolorosa notizia
della scomparsa di Giovanni Bonsignore e, oltre al senso di tristezza che
provo, mi tornano in mente i tanti momenti che ho avuto la fortuna di
trascorrere con lui.
Giovanni, oltre che un insigne Maestro e brillante scienziato di fama internazionale, era anche e soprattutto un Amico.
Infatti molti anni fa egli aveva voluto onorarmi della sua amicizia, chiedendomi anche di “dargli del tu”, una confidenza che all'inizio riuscivo a prendere con una certa difficoltà, ma che poi mano a mano ho praticato con
sempre maggiore convinzione sorretto dalla sua cordialità e dalle ripetute
espressioni di sincera amicizia.
Saputo della sua malattia, gli avevo manifestato con riservatezza la mia
piena solidarietà e disponibilità per qualsiasi aiuto, ma anche in quella
occasione lo avevo trovato sereno e deciso a proseguire più che mai i
numerosi programmi che aveva in corso. L'ultima volta ci eravamo sentiti
telefonicamente poche settimane fa per una necessità che egli aveva a Roma
e di cui, come spesso faceva, mi aveva pregato di interessarmi.
L'anno scorso, quando durante il Congresso Nazionale AIMAR, ho avuto
l'onore di consegnargli un doveroso riconoscimento per la sua brillante carriera scientifica, Giovanni mi aveva ringraziato a lungo, assieme agli altri colleghi di AIMAR, per averlo gratificato di
questo premio.
Caro Giovanni, siamo noi che dobbiamo ringraziarti per tutto quello che negli anni hai fatto e rappresentato per la pneumologia italiana e il nostro riconoscimento è sicuramente poco rispetto alla grandezza dei tuoi meriti.
In questo triste momento, a nome mio personale e di tutto il Consiglio Direttivo AIMAR, sento il dovere di ringraziarti
anche per la stima, l'amicizia e la collaborazione che fin dall'inizio hai rivolto alla nostra Associazione.
Sicuramente il ricordo della tua bella persona renderà meno pesante il vuoto che ci hai lasciato, soprattutto come caro
Amico.
Claudio M. Sanguinetti e il Consiglio Direttivo AIMAR
La figura del Prof. Bonsignore è stata una presenza così puntuale, costante e carismatica in tutti questi anni che
tracciarne un ricordo per il mondo pneumologico italiano pare quasi pleonastico. Riassumere perciò gli aspetti
principali di una carriera così ricca diviene un compito non facile e, necessariamente, incompleto.
Giovanni Bonsignore è nato nel 1927, e si è laureato in Medicina e Chirurgia nell'anno accademico 1949-1950.
Nel 1974 è divenuto Professore di Fisiopatologia Respiratoria, presso l'Università degli Studi di Palermo. Direttore
dal 1980 dell'Istituto di Fisiopatologia Respiratoria del Consiglio Nazionale delle Ricerche in Palermo, direttore
dell'Istituto di Biomedicina ed Immunologia Molecolare - IBIM - CNR - Palermo dal 15 Luglio 2002. Professore
emerito di Medicina Respiratoria dal gennaio 2006.
Una carriera dedicata all'attenzione per il malato e allo sviluppo di nuovi temi e approfondimenti nell'ambito della
medicina respiratoria. Noto a tutti il suo interesse per lo studio dei disordini della ventilazione connessi con il
sonno; le alterazioni della funzione dei muscoli respiratori in relazione alla patogenesi dell'insufficienza respiratoria; i meccanismi dell'ostruzione bronchiale nella prospettiva delle valutazioni patogenetiche e del monitoraggio
diagnostico; gli effetti sulla funzione respiratoria esercitati dalla permanenza ad elevata altitudine.
Non si può non ricordare il suo impegno in ambito internazionale e nazionale per lo sviluppo e la divulgazione
delle problematiche inerenti i disturbi respiratori nel sonno per la quale ha curato dal 1982 l'organizzazione di un
laboratorio la cui attività ha determinato lo sviluppo degli aspetti clinici e sperimentali delle alterazioni cardiorespiratorie che insorgono durante il sonno, specialmente per quanto riguarda i quadri clinici delle apnee ostruttive:
i risultati della ricerca hanno riscosso meritevoli considerazioni in campo Nazionale ed Internazionale. Nel 1997
ha organizzato il VII Congresso dell'Associazione Italiana della Medicina del Sonno (AIMS) a Palermo e ha voluto
che proprio quest'anno l'evento si ripetesse proprio a conclusione della lunga carriera di direttore del suo Istituto
che aveva istituito il primo laboratorio italiano dedicato ai disturbi respiratori nel sonno.
Ha messo insieme in modo sagace la ricerca di base e lo sviluppo di risvolti di applicazione clinica. L'elenco delle
sue pubblicazioni contiene oltre 160 pubblicazioni peer-reviewed, che sottolineano benissimo i suoi interessi e il
suo voler guardare al nuovo.
È stato membro di pressoché tutte le più rilevanti Società Scientifiche di Medicina Respiratoria ed è stato molto frequentemente parte di commissioni inerenti la pneumologia.
Una carriera così ricca di successi è figlia della capacità di avere una visione costruttiva ed aperta del futuro e di
una disponibilità piena ed immediata a collaborare ad iniziative nuove ed interdisciplinari. La modestia dimostrata in queste occasioni nell'accettare i suggerimenti anche di chi era più giovane senza delegare impegno e soluzioni
fattive nonostante l'autorevolezza del proprio ruolo e della propria esperienza sono sicuramente le lezioni che
preferiamo ricordare. Proprio l'entusiasmo per i temi della ricerca in campo fisiopatologico e l'attitudine ad
accettare la sfida di progetti complessi ed ambiziosi ha dato a noi l'occasione di incontrarci e lavorare insieme in
Himalaya, un piccolo ulteriore debito personale di riconoscenza che conserviamo assieme al ricordo della sua
disponibilità e dei modi gentili che ne hanno fatto per tanti di noi riferimento e guida.
Giuseppe Insalaco e Alberto Braghiroli
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Il progetto AIMAR-Thales per la ricerca in Medicina Respiratoria
in Italia
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The AIMAR-Thales project for research in Respiratory Medicine in Italy
Stefano Nardini, Claudio M. Sanguinetti, Elena A. Spadari
La Conferenza di Consenso AIMAR in Medicina Respiratoria
(Roma, 3-6 ottobre 2007)
The AIMAR Consensus Conference in Respiratory Medicine
(Rome, October 3-6, 2007)
9
Claudio M. Sanguinetti, Fernando De Benedetto
INDICE / INDEX
Edotoriali / Editorials
Original Article / Articolo Originale
Clinical predictors of childhood asthma onset and role
of early prophylaxis
Predittori clinici dell'asma infantile e ruolo della profilassi precoce
12
Francesca Polverino, Gaetano Cicchitto, Vittorio De Sio, Luigi Di Buono, Giuseppe Fiorenzano,
Domenico Giannattasio, Valentina Musella, Carlo Santoriello, Domenico Viaggiano,
Mario Polverino
Rassegne / Reviews
Le nuove linee guida congiunte IDSA/ATS per la gestione della polmonite
acquisita in comunità dell'adulto
Spunti per il comportamento dello pneumologo e del generalista italiano
New joint IDSA/ATS guidelines for the management of community-acquired
pneumonia in adults
Highlights for the specialist and general medical practitioner in Italy
19
Fernando De Benedetto, Gianfranco Sevieri
Le peculiarità dell'infiammazione della BPCO: la sfida terapeutica
di un processo ad oggi ancora irreversibile
Inflammation in COPD: a therapeutic challenge still to be met
32
Alberto Braghiroli
La valutazione multidimensionale della BPCO: attenzione alla qualità
della vita
Multidimensional assessment of COPD: attention to quality of life
47
Fernando De Benedetto, Gianfranco Sevieri, Stefano Nardini
Atti / Proceedings del Convegno "SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello",
Ravello, Italy, November 24-26, 2005
Asma e immersione: un tema controverso
Asthma and diving: a controversial issue
54
Giuseppe Fiorenzano
Asma ed attività subacquea: i pro
Asthma and underwater sport: the pros
57
Levino Flacco, Marco Calvarese, Mariarosaria Flacco
MRM
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Adattamenti dell'uomo all'alta quota: limiti della prestazione fisica
Human adaptation to high altitude: limits of physical performance
63
Paolo Cerretelli
Imbibizione dell'interstizio polmonare in alta quota
High altitude induced extravascular lung fluid accumulation
70
Annalisa Cogo, Federica Campigotto, Alessandra Gennari, Luca Pomidori, Luciano Bernardi
Infiammazione delle vie aeree e attività sportiva
Airways inflammation and sport
74
Maria Rosaria Bonsignore
β2-agonisti e doping sportiva
β2-agonists and doping
77
Antonio Todaro
Atti / Proceedings del 5th International Conference on Management and Rehabilitation
of Chronic Respiratory Failure (from ICU to home),
Stresa, Italy, March 22-25, 2006
La sindrome rinobronchiale: una patologia comune
Rhinobronchial syndrome: a common pathology
80
Fernando De Benedetto, Franco Chiaravalloti
“Use the best first”: a new therapeutic approach for airway infections
“Usa il migliore per primo”: un nuovo approccio terapeutico
per le infezioni delle vie aeree
84
Marc Miravitlles
Body composition abnormalities in patients with COPD:
limitations and intervention
Alterazioni della composizione corporea nei pazienti con BPCO:
limitazioni e possibilità di intervento
87
Adriana Del Ponte, Stefano Marinari
Electrical stimulation of peripheral muscles in COPD: theory
and practice
Stimolazione elettrica dei muscoli periferici nella BPCO: teoria e pratica
92
Carolyn L. Rochester
Ventilatory assistance as a coadjuvant of whole body exercise
Assistenza ventilatoria come coadiuvante dell'esercizio fisico
98
Nicolino Ambrosino
BPCO e tromboembolismo venoso
COPD and venous thromboembolism
100
Mauro Campanini
Epithelial secretory proteins as biomarkers in COPD
Proteine secretorie epiteliali come marker biologici nella BPCO
Yves Sibille, Charles Pilette
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Interdisciplinary Pages
Fitness for flying and diving
Idoneità al volo e all'attività subacquea
106
Heinrich Matthys
From Doctor to Patient
RUBRICHE
Spotlight on Fitness for Non-normobaric Conditions
Un ricovero in ospedale per smettere di fumare
Intervista con il dr. Fabio Lugoboni, della Azienda Ospedaliera
di Verona
114
Stefano Nardini
Report
Presentation of GARD (Global Alliance against chronic Respiratory
Diseases) to the Ministry of Health in Italy
117
Stefano Nardini
Meeting Calendar
120
Stefano Nardini
INDICE / INDEX
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Editoriale / Editorial
Il progetto AIMAR-Thales per la ricerca
in Medicina Respiratoria in Italia
The AIMAR-Thales project for research
in Respiratory Medicine in Italy
Stefano Nardini1, Claudio M. Sanguinetti2, Elena A. Spadari3
1
UO di Pneumotisiologia, Ospedale di Vittorio Veneto, ULSS 7 Sinistra Piave, Regione Veneto; Segretario Generale
AIMAR
2
UOC di Pneumologia, Azienda Ospedaliera San Filippo Neri, Roma
3
AIMAR Editorial Office, Borgomanero NO
PREMESSA
Come i nostri lettori sanno, AIMAR è nata nel gennaio 2003 dalla percezione della necessità di “dare
una svolta” alla gestione della Medicina Respiratoria
in Italia, per assicurare uno sviluppo della disciplina, in linea con gli elevati contenuti scientifici e
professionali della specialità, attraverso:
• progetti di ricerca sulla gestione e il trattamento
delle malattie respiratorie e delle complicanze;
• campagne di informazione e sensibilizzazione
sui rischi connessi con le patologie respiratorie
croniche;
• rapporti di collaborazione con le principali
Società Scientifiche e Agenzie Sanitarie internazionali con particolare riferimento al bacino mediterraneo (es. Mediterranean Thoracic Society,
MTS).
Coerentemente, AIMAR oramai da più di due anni aderisce alla Global Alliance against chronic Respiratory
Diseases (GARD) dell'OMS (Organizzazione
Mondiale della Sanità) e, oltre alla adesione formale, ha fin da subito cercato di dare contenuto operativo alle raccomandazioni della GARD, attraverso
azioni concrete.
Per questo, ha concepito e portato a termine studi
osservazionali, ha pubblicato linee guida, ha intrapreso azioni di sensibilizzazione della popolazione
sulle malattie polmonari croniche [1,2].
Come noto, la GARD ha lo scopo di migliorare la salute respiratoria della popolazione mondiale attraverso lo sviluppo di un metodo comune e standar-
Stefano Nardini
AIMAR Editorial Office
Via M. Cavigioli 10, 28021 Borgomanero (NO), Italia
email: [email protected]
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6 MRM
dizzato di raccolta dei dati sui fattori di rischio e sull'impatto delle malattie respiratorie, il miglioramento
delle politiche della loro prevenzione e la produzione di raccomandazioni per il loro trattamento.
La base imprescindibile per raggiungere gli obiettivi delineati dalla GARD è la conoscenza dell'epidemiologia delle malattie prevalenti e dello stato
della loro assistenza: in tal modo possono essere
elaborati studi di prevalenza sia della malattia sia
delle sue complicazioni, rapporti sul costo della assistenza e sui suoi risultati, e possono essere messi
a disposizione degli esperti i dati necessari alla elaborazione di raccomandazioni non slegate dal contesto cui intendono riferirsi.
Per ottenere questi scopi, recentemente AIMAR ha
avviato con una multinazionale specializzata in
raccolta e gestione di banche dati sanitari
(Cegedim), un progetto nazionale in Medicina
Respiratoria, denominato Thales.
LA RACCOLTA DI DATI CLINICI MEDIANTE
LA CARTELLA INFORMATIZZATA:
IL PROGETTO THALES
Cegedim, presente in 63 paesi e 5 continenti, è uno
dei leader europei nella produzione, uso e gestione
dei dati relativi alle attività mediche.
Nel 2005, la divisione CSD, Cegedim Strategic
Data, ha avviato in Italia il progetto Thales.
Utilizzato sinora dal Medico di Medicina Generale,
da oggi, insieme ad AIMAR appunto, viene messo a
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IL PROGETTO AIMAR-THALES IN MEDICINA
RESPIRATORIA IN ITALIA
Per Cegedim si tratta della seconda esperienza del
genere in Medicina Respiratoria, la prima è quella
francese.
Per AIMAR si tratta di organizzare, tra i propri aderenti, la rete di professionisti interessati all'utilizzo
della cartella clinica come strumento di lavoro e a
partecipare al progetto di raccolta dati per i diversi
obiettivi suddetti in qualità di ricercatore AIMAR.
I professionisti che parteciperanno al progetto
avranno l'unico vincolo di trasmettere periodicamente i dati raccolti. La cartella clinica informatizzata è in grado non solo di raccogliere e archiviare
le notizie rilevanti sul singolo paziente in modo facilmente richiamabile in qualsiasi momento dal
Medico per la gestione clinica, ma anche di facilitare la prescrizione di farmaci attraverso una
libreria contenente l'intero prontuario farmaceutico
con le relative note AIFA e infine di stampare automaticamente la ricetta, sia su modulo bianco che
del SSN.
AIMAR ha appositamente nominato un Comitato
Scientifico (Claudio F. Donner, Fernando De
Benedetto, Claudio M. Sanguinetti, Stefano
Nardini, Mario Polverino) che ha partecipato attivamente alle fasi di ottimizzazione della cartella clinica adattandola alle esigenze dello specialista
Pneumologo.
Sono stati inseriti, tra l'altro, campi relativi all'abitudine al fumo e alle indagini di fisiopatologia respiratoria necessarie all'inquadramento e al monitoraggio del paziente.
COME ADERIRE AL PROGETTO THALES
Il medico specialista interessato all'utilizzo della
cartella clinica ambulatoriale Thales, deve compilare ed inviare alla segreteria dell'Associazione la richiesta di adesione al progetto, scaricabile dal sito
www.aimarnet.it. AIMAR passerà i dati raccolti a
CSD, che si impegna ad inviare gratuitamente ad
ogni medico richiedente il seguente materiale:
• il kit Thales, comprendente software e manuale
d'uso;
• la descrizione delle prestazioni fornite dal software;
• la metodologia relativa a trattamento e gestione
dei dati inviati;
• il prontuario farmaceutico aggiornato in continuo
e declinato in accordo alle singole politiche
regionali.
AIMAR ha valutato con attenzione il punto critico
della confidenzialità delle informazioni e della sicurezza nella gestione dei dati.
Per quel che riguarda la figura del professionista, il
programma conosce l'identità del medico prescrittore ma si impegna a mantenerla confidenziale e a
non comunicarla mai a terze parti.
Garantisce inoltre che:
1 nessun rapporto fornirà mai dati disaggregati a livello di singolo medico;
2 non vi saranno mai contatti personali tra eventuali sponsor di studi e il medico.
Ancora maggiore è la riservatezza che circonda i
dati dei pazienti, a garanzia di quanto previsto dalla attuale normativa vigente. Ad ogni paziente i cui
dati vengono inseriti nella cartella clinica, viene attribuito in codice alfa-numerico per impedirne l'identificazione personale nel data base, secondo un
complesso meccanismo di protezione del dato, tale per cui è impossibile risalire, direttamente o indirettamente, all'identità del soggetto.
Infatti la corrispondenza tra il codice numerico del
paziente e la sua identità esiste soltanto nel calcolatore in dotazione al medico e, una volta che i dati vengono trasmessi, un nuovo codice numerico,
differente dal primo, viene loro attribuito.
Il “caso” e non il paziente viene identificato: attraverso il numero del medico, il numero “centralizzato” del paziente, la data della visita.
Dal centro elaborazione dati, il “caso” può essere
seguito “verticalmente” attraverso il proprio numero.
La assoluta riservatezza è anche garantita dalla registrazione dell'anno di nascita (ma non del giorno
e del mese) e della zona di residenza (area geografica ma non città).
S Nardini, CM Sanguinetti, EA Spadari
Editoriale - Editorial
disposizione degli Specialisti Pneumologi. Si tratta
in pratica di un software per la gestione della cartella clinica dei pazienti ambulatoriali.
Attualmente il programma Thales è utilizzato in
Regno Unito, Francia, Belgio, Germania e presto
anche in altri Paesi Europei, in USA, Giappone e
Australia.
I medici che finora compongono la rete europea sono circa 5.000 (tra MMG e Specialisti) costituendo
l'archivio pazienti più grande d'Europa (circa 4 milioni di unità).
In Italia da quando è stato creato gestisce la banca
dati di 800 MMG con oltre 800.000 pazienti.
Riguardo la medicina specialistica, in Francia per
esempio, Thales gestisce gli archivi di Specialisti appartenenti a 7 discipline, tra cui la Cardiologia.
Dell'archivio di quest'ultima fanno parte 100
Cardiologi dagli anni novanta con dati relativi a circa 150.000 pazienti.
La raccolta di dati, che sempre nell'esempio francese riguarda 1.000.000 circa di pazienti, 300.000
dei quali seguiti da più di 5 anni, offre la possibilità
di eseguire studi osservazionali anche relativi a patologie particolari. Si possono organizzare studi di
prevalenza e incidenza, di appropriatezza, di compliance e di costo-efficacia; si può monitorare nel
tempo la salute del singolo caso patologico, in rapporto sia alla evoluzione naturale della malattia, sia
all'impatto sulla qualità di vita, sia infine all'effetto
del/i trattamento/i eseguito. Partendo dalle informazioni ricavabili dalla banca dati Thales, AIMAR potrà produrre linee guida, raccomandazioni, protocolli, costruiti sulla realtà, oltre a studi di farmacoeconomia e farmacoepidemiologia, secondo quanto
indicato negli obiettivi suoi e di FISAR, la fondazione ONLUS di AIMAR.
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Le usuali procedure di sicurezza (identificazione
delle persone autorizzate a entrare nella stanza che
custodisce la banca dati, possibilità di accedere a
quest'ultima soltanto mediante un codice personale e una parola d'ordine, registrazione degli accessi) sono invece garantite per la gestione e la trasmissione dei dati. Questa avviene in modo cifrato, senza che sia possibile che alcun messaggio viaggi “in
chiaro”.
Solo il medico che ha in cura il paziente ne conosce l'identità (il programma trasferisce i dati criptati per ogni paziente).
Al singolo medico resta l'obbligo di informare, in
modo dettagliato, il proprio assistito che i suoi dati
potranno essere oggetto di studi osservazionali.
Riteniamo che, se il progetto assumerà le dimensioni auspicate, AIMAR sarà in grado di rispondere appieno ai compiti operativi che ha scelto di svolgere
nell'ambito della GARD. Contiamo sulla piena collaborazione dei Soci AIMAR, come e più di sempre,
dato che, in questo caso, il successo dell'operazione potrà essere garantito solo da una loro convinta
e costante partecipazione.
Bibliografia
1. GARD. L'alleanza mondiale contro le malattie respiratorie
croniche dell'OMS. Aria Ambiente & Salute. 2006,1:4-7.
2. Report GARD. Pagine del Segretario AIMAR. Aria Ambiente
8 MRM
& Salute 2007;2:12-14.
3. The presentation of GARD at the ministry of health in Italy.
Multidisciplinary Respiratory Medicine. 2007,3:117.119.
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Editoriale / Editorial
La Conferenza di Consenso AIMAR
in Medicina Respiratoria
(Roma, 3-6 ottobre 2007)
The AIMAR Consensus Conference in Respiratory
Medicine (Rome, October 3-6, 2007)
Claudio M. Sanguinetti1, Fernando De Benedetto2
Presidenti della Conferenza di Consenso in Medicina Respiratoria
1
UOC di Pneumologia, Azienda Ospedaliera San Filippo Neri, Roma
2
UOC di Pneumologia, ASL Chieti
Si svolgerà a Roma dal 3 al 6 ottobre la prima
Conferenza di Consenso in Medicina Respiratoria
organizzata da AIMAR.
È la prima volta, almeno nel settore della Medicina
Respiratoria, che viene concepita e realizzata una
manifestazione scientifica di questa ampiezza con
simili caratteristiche: l'originalità consiste nel superare le abituali caratteristiche piuttosto “statiche” e
sostanzialmente ripetitive della struttura congressuale attraverso un forum di discussione dinamica
su argomenti “caldi” della pneumologia, presentati
da esperti riconosciuti di ogni settore. Questi, dopo
aver esaminato dettagliatamente ogni argomento
loro assegnato, hanno prodotto su di essi degli “statement”, pubblicati sul sito web della Conferenza
(www.makevent.it), che costituiranno la materia del
consenso da verificare con il sistema della scelta interattiva durante lo svolgimento dei lavori scientifici.
Infatti, attraverso l'analisi, la discussione e l'accettazione delle evidenze più recenti e affidabili della
letteratura, l'obiettivo è quello di verificare il livello
di consenso (o anche un eventuale dissenso), dell'area specialistica della medicina respiratoria, sia
su procedure diagnostiche e aspetti terapeutici, che
su problematiche di tipo regolatorio e organizzativo, nell'ottica di tracciare un percorso agile ed efficace per l'assistenza ai pazienti respiratori che si
estenda dal territorio all'ospedale e viceversa.
Per fornire ulteriori elementi di approfondimento
nei vari settori della Medicina Respiratoria, oltre alle sessioni di discussione interattiva, la Conferenza
prevede anche letture e piccoli simposi tenuti da
esperti qualificati di settore su particolari temi di cui
sia necessario approfondire le conoscenze.
Il consenso sui vari argomenti rappresenterà anche
la base su cui effettuare un periodico aggiornamento con le informazioni più recenti derivanti dalla
letteratura specialistica più accreditata e il riferimento per generare in tutto il territorio nazionale
comportamenti uniformi, quindi confrontabili e più
conformi ad una organizzazione efficace ed efficiente della specialità pneumologica.
Ma quali sono le motivazioni che hanno ispirato la
Consensus Conference?
Innanzitutto ragioni di tipo epidemiologico, perché
anche i dati più recenti ci dipingono uno scenario
piuttosto preoccupante per quanto riguarda le patologie respiratorie. Infatti sappiamo che in Euopa e
in Italia le malattie respiratorie sono al secondo posto nella classifica delle cause di morte e che secondo i dati dell'Organizzazione Moniale della
Sanità (OMS), degli oltre 50 milioni di morti nel
mondo all'anno quasi un quinto è dovuto a malattie polmonari e si prevede che nel 2020, su oltre 68
milioni di morti le cause respiratorie saranno responsabili di una percentuale simile alla precedente, per cui tra le prime dieci cause di morte vi saranno la broncopneumopatia cronica ostruttiva, le
Claudio M. Sanguinetti
UOC di Pneumologia, AO San Filippo Neri
Via Martinetti 20, 00135 Roma, Italia
email: [email protected]
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infezioni delle basse vie respiratorie, i tumori del
polmone e la tubercolosi [1]. Oltre tutto molte di
queste malattie hanno un andamento cronico e
richiedono un rilevante impegno economico e
sociale.
Proprio per questo di recente l'OMS ha promosso la
creazione di una Alleanza Globale per le Malattie
Respiratorie Croniche (GARD), che ha lo scopo di
riunire tutti gli specialisti di Medicina Respiratoria
delle varie società scientifiche e anche le associazioni di pazienti in una azione comune volta a
combattere il progredire delle patologie respiratorie
mediante progetti e azioni di qualsiasi genere che
possano aumentare l'efficacia della prevenzione, la
precocità e la correttezza della diagnosi, l'adeguatezza e l'uniformità di trattamento di queste malattie [2].
Alla GARD la nostra Associazione ha aderito fin dal
primo momento e in occasione della Conferenza di
Roma è prevista una sessione che vedrà la partecipazione sia dei vertici GARD che di importanti
esponenti del Ministero della Salute, dedicata alle
malattie broncopolmonari croniche e in particolare
a evidenziare quanto si sta facendo in Italia per promuovere l'Alleanza.
Inoltre, dopo una lunga e pesante azione di
“lobbying” al parlamento europeo, esercitata anche
e con particolare energia da esponenti politici italiani sollecitati più volte dalle associazioni scientifiche e di pazienti, finalmente nel novembre dello
scorso anno le malattie respiratorie sono state inserite tra quelle principali nel 7° Programma Quadro
di Ricerca per il 2007-2012.
Parallelamente, in Italia il Ministero della Salute ha
inserito tra le priorità del Piano Sanitario Nazionale
anche le malattie respiratorie, riconoscendone l'importanza epidemiologica e sociale.
Allora, in considerazione di questa presa di coscienza internazionale e nazionale dell'importanza
delle tematiche respiratorie è logico chiedersi: gli
specialisti pneumologi, e più in generale tutti coloro che sono interessati a vario titolo alla Medicina
Respiratoria, sono pronti per affrontare con appropriatezza e uniformità di comportamento le problematiche che la situazione epidemiologica impone?
Questa è un'altra fondamentale motivazione che è
alla base della Conferenza di Consenso e cioè la
consapevolezza che sussistono molti aspetti ancora
da definire con esattezza nella nostra specialità, come ad esempio alcune evidenti difformità di comportamento nell'esercizio della pratica clinica
pneumologica. Un risultato di questa situazione è
che a tutt'oggi mancano una programmazione precisa delle necessità e delle disponibilità e una organizzazione efficiente delle competenze, che codifichi anche i rapporti tra le varie tipologie di strutture
che sono coinvolte nell'assistenza pneumologica.
Questa è una problematica che AIMAR ha particolarmente a cuore: non a caso, fin dalla sua fondazione avvenuta alcuni anni fa e in ossequio ai principi che la ispirano, ha riconosciuto la necessità di
coagulare tutte le competenze in ambito respiratorio, per favorire una formazione specialistica più
adeguata e in linea con le direttive, le linee guida e
i documenti redatti e diffusi dalle maggiori società
respiratorie mondiali.
Parte integrante di questo intento riteniamo sia anche lo scambio di opinioni e di esperienze con gli
altri paesi del nostro e di altri continenti. In questa
ottica la Conferenza ha previsto una sessione congiunta con esponenti di chiara fama rappresentanti
la Medicina Respiratoria della Grecia, allo scopo di
discutere e individuare obiettivi e interessi comuni
da sviluppare in un clima di proficua collaborazione.
La Conferenza di Consenso 2007 è quindi una iniziativa che si propone il miglioramento delle competenze della Medicina Respiratoria per affrontare
con maggiore efficacia le problematiche specialistiche che sempre più pressanti si affacciano alla
realtà clinica.
Ma questo obiettivo non riguarda solo gli specialisti pneumologi, perché un piano che abbia caratteristiche di globalità e completezza non può prescindere dal coinvolgimento attivo di tutti coloro
che si interessano degli aspetti respiratori, e in particolare dei Medici di Medicina Generale (MMG),
cui i pazienti fanno più frequente riferimento. E infatti in ogni sessione della Conferenza sono presenti in qualità di relatori e animatori della discussione
anche Colleghi MMG, la cui esperienza riteniamo
indispensabile per consolidare quel rapporto multiplo di collaborazione tra generalisti, specialisti e
pazienti che, nella continuità della cura, è stato dimostrato avere valore critico per ottimizzare i risultati clinici nella piena soddisfazione dei pazienti.
Scorrendo il programma della Conferenza si può
vedere che anche le professioni sanitarie non mediche di interesse pneumologico sono state incluse in
questa offerta di aggiornamento, in quanto riteniamo che esse rappresentino una componente qualificata ed essenziale per lo svolgimento dell'attività
in campo respiratorio.
Da ultimo un aspetto che non è tuttavia meno importante, anzi imprescindibile nell'ottica di una
corretta organizzazione della pratica clinica, e cioè
la partecipazione dei pazienti. Per molto tempo
questi non sono mai stati coinvolti nei congressi
scientifici, essendo relegati alla condizione di oggetto passivo della pratica medica, seppure a fin di
bene, invece che soggetto attivo partecipante alle
scelte e alle decisioni che si debbono prendere in
accordo ad una “good clinical practice”. Sono ormai continue le dimostrazioni che l'efficacia dell'intervento medico è tanto più elevata quanto più
esso è centrato sul paziente. Questo significa che è
assolutamente necessario ascoltare le preferenze e
le problematiche espresse dai pazienti su ogni
aspetto della cura e concordare con essi quelle
scelte che coniugano il maggior valore dal punto di
vista scientifico e pratico con la massima accettazione da parte dei pazienti stessi. In questo si può
dire che AIMAR sia stata antesignana, perché in
ogni sua manifestazione scientifica ha sin dall'inizio voluto e richiesto la presenza dei pazienti. Una
intera sessione della Conferenza è dedicata quindi
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simo ottobre per una loro successiva applicazione
nelle diverse realtà regionali.
Per la maggior diffusione possibile dei risultati
emersi dalla Conferenza di Consenso di Roma è
prevista poi una ampia e capillare serie di eventi locali di tipo seminariale, che coinvolgeranno sia gli
specialisti di riferimento nella specifica area territoriale che i medici di MMG, con ruoli paritetici in
rapporto alle specifiche competenze.
Scopo di questa serie di eventi è la condivisione di
una operatività pratica con particolare riferimento
alla gestione del paziente a livello territoriale: dalla
struttura di ricovero e cura specialistica all'ambulatorio del MMG, con il coordinamento e il coinvolgimento delle autorità sanitarie locali.
Noi siamo convinti che la formula adottata per la
prima Conferenza di Consenso sia in grado di produrre risultati utili agli scopi che abbiamo dichiarato e dalle prime indicazioni ricevute apprendiamo
con soddisfazione che incontra interesse e favore
elevati.
Auguriamo pertanto a tutti di trarre il massimo profitto da questa occasione di incontro e di confronto, nell'interesse personale di ognuno e in quello
più generale della Medicina Respiratoria.
CM Sanguinetti, F De Benedetto
Editoriale - Editorial
all'incontro con le Associazioni dei pazienti.
Il fatto che questa prima Conferenza di Consenso si
svolga a Roma, oltre alla centralità nazionale della
sede, ha anche il significato di rafforzare il confronto con le istituzioni pubbliche preposte alla programmazione sanitaria per una collaborazione utile e continuativa, da trasferire poi nelle varie sedi
regionali per realizzazioni che tengano conto delle
peculiarità locali. Infatti, e questa è una ulteriore
motivazione alla base della sua ideazione, la
Conferenza di Consenso è anche la necessaria premessa per tutta un'altra serie di manifestazioni,
estese a tutto il territorio nazionale e identificate
con il nome di “Primavera AIMAR”, che la nostra
Associazione organizza nell'Aprile 2008, inaugurando così un periodo pluriennale di attività, in
concomitanza con l'attuazione del Piano Sanitario
Nazionale, con eventi di vario tipo volti a conferire
sempre maggiore enfasi alle problematiche respiratorie.
La Primavera AIMAR prevede in contemporanea
simposi in 16 città italiane collegate tramite videoconferenza con la sede centrale di Roma, in cui saranno ulteriormente sintetizzati e discussi i risultati
del consenso raggiunto nella Conferenza del pros-
Bibliografia
1. European Lung White Book, ERS Journals Ltd, Sheffield
2003.
2. Bousquet J, Dahl R, Khaltaev N. Global Alliance against
Chronic Respiratory Diseases. Eur Respir J 2007;29:233-239.
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Original Article / Articolo Originale
Clinical predictors of childhood asthma
onset and role of early prophylaxis
Predittori clinici dell'asma infantile e ruolo
della profilassi precoce
Francesca Polverino, Gaetano Cicchitto, Vittorio De Sio, Luigi Di Buono, Giuseppe Fiorenzano,
Domenico Giannattasio, Valentina Musella, Carlo Santoriello, Domenico Viaggiano, Mario Polverino
Fisiopatologia Respiratoria, Ospedale di Cava de' Tirreni (SA)
ABSTRACT
Asthma is a chronic inflammatory disease of the airways that
causes substantial morbidity and mortality worldwide. In this
study, the use of an anti-allergic drug (ketotifen) in the early
prophylactic treatment of asthma was investigated. A total of
1,391 patients with symptoms of rhinitis, cough or wheezing
were enrolled in the study. Patients were randomized into two
groups: 697 children were treated with ketotifen (0.075 mg/kg,
twice daily) from September to May for 3 consecutive years
and, as a control, 694 children were treated on an 'as needed'
basis with any appropriate anti-asthmatic medication. Mean
symptom scores for rhinitis, cough and wheezing were lower in
patients in the treated group than in the control group. Fewer
children in the treated group developed asthma compared to
children in the control group (8.4% vs 32.9%, p < 0.0001).
Importantly, most of the children who developed asthma in the
treated group did so when treatment was delayed for more
than 2 months after the onset of symptoms. Overall, this study
demonstrates that early prophylactic treatment may prevent
or delay the onset of asthma.
Keywords: Asthma, childhood, ketotifen, prophylaxis.
RIASSUNTO
L'asma è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree, la
cui morbilità e mortalità sono in progressivo aumento in tutto
il mondo. In questo studio è stato valutato l'uso di un farmaco
anti-allergico (ketotifene) nel trattamento profilattico precoce
dell'asma. Sono stati reclutati un totale di 1.391 pazienti con
sintomi di rinite, tosse o sibilo. I pazienti sono stati randomizzati in 2 gruppi: 697 bambini sono stati trattati con ketotifene
(0,075 mg/kg, due volte al giorno) da Settembre a Maggio per
3 anni consecutivi e, come controllo, 694 bambini sono stati
trattati “a domanda” con gli usuali farmaci al bisogno. I punteggi medi per rinite, tosse e sibilo sono stati più bassi nel gruppo
di trattamento attivo rispetto al gruppo di controllo. Un numero minore di bambini nel gruppo di trattamento attivo ha svi-
luppato asma rispetto al gruppo di controllo (8,4% vs 32,9%,
p < 0,0001). Di rilievo il fatto che nella maggior parte dei bambini nel gruppo attivo che hanno sviluppato asma ciò è avvenuto se il ritardo nell'inizio del trattamento, rispetto all'inizio dei
sintomi, era maggiore di 2 mesi. Complessivamente, questo
studio ha dimostrato che il trattamento profilattico precoce
può prevenire o ritardare lo sviluppo dell'asma.
Parole chiave: Asma, infanzia, ketotifene, profilassi.
INTRODUCTION
Episodes of cough and wheezing are common
symptoms of many childhood diseases affecting the
respiratory tract and as such are often misdiagnosed
and inappropriately treated. In a large number of
cases, cough and wheezing precede the development of asthma, which is an inflammatory disease
of the airways that can cause irreversible lung damage if left untreated. As there is evidence to suggest
that the prevalence of asthma is increasing in children [1], it is important to correctly diagnose and
treat children who suffer from these chronic respiratory symptoms as soon as possible.
One of the most important risk factors for asthma is
the presence of atopy. Studies have shown that
there is a strong association between atopy and persistent bronchial hyperresponsiveness (BHR).
Zhong et al., for example, showed that more than
80% of children with BHR were affected by atopic
disease [2]. In our own area, near Naples, there is a
high incidence of respiratory diseases among children, and we have recently demonstrated that
28.3% of children in this area are atopic [3], prob-
Mario Polverino
Fisiopatologia Respiratoria, Centro Medico Italo-Australiano, Cava de' Tirreni (SA), Italia
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 09/07/2007 - Accettato per la pubblicazione: 10/08/2007
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MATERIALS AND METHODS
The present study was part of a larger, 5-year, epidemiological study of respiratory tract disorders
conducted in Cava de' Tirreni in southern Italy
between 1998 and 2002. It included all children
under 8 years of age who attended the outpatient
clinic of the Respiratory Physiopathology Division
in Cava de' Tirreni with respiratory disorders. A total
of 1,391 children with chronic rhinitis, cough or
recurrent wheezing were recruited and observed
over a 3-year period.
Patients were included in the study if, in the
absence of any obvious clinical or pathological
cause, they had suffered from rhinitis for a duration
of at least 4 weeks, cough for at least 4 weeks duration, or had had at least two episodes of wheezing.
A diagnosis of asthma was made if they had a personal or family history of atopy, suffered from a continuous dry cough and wheezing (particularly during the night or early morning), experienced dyspnea or tachypnea, had completely symptom free
intervals between exacerbations of their disorder,
responded to treatment with bronchodilators, or if
their symptoms were associated with exercise,
laughter, crying or seasonal variation.
Patients were excluded from the study if their symptoms could not be evaluated, if they had known cardiorespiratory disease or if their symptoms could be
attributed to a disorder other than asthma. Patients
were also excluded if they had a pet at home, as
pets are a potential source of allergens. Patients
were removed from the study if a pet was introduced into the home environment after enrolment,
or if compliance with the study protocol was poor.
Patients were randomized into two groups: 697
children were treated with ketotifen (0.075 mg/kg,
twice daily) from September to May for 3 consecutive years; and 694 children, comprising the control
group, were treated on an “as needed” basis. In the
control group, any medication required to control
respiratory symptoms was permitted during the
study period. The mean age of the patients was 3
years 10 months (± 8 months) in the ketotifen
group, and 3 years 11 months (± 7 months) in the
control group.
Three investigators (FP, CS and VM) carried out the
initial clinical assessment of patients and determined their suitability for inclusion in the study.
Another worker (GF) was responsible for allocating
patients to one of the two groups by means of a previously devised randomization table.
In order to avoid the diagnosis of asthma being
influenced by membership either of the two treatment groups, periodic visits were made by three
other investigators (VDS, LDB and DV) who did not
take part in the collection and assessment of data,
and short courses of symptomatic treatment were
prescribed. Data collected during the study were
processed by a further two workers (GC and DG).
Parents were asked to keep a daily journal of their
child's symptoms and to record any episodes of
wheezing, cough or rhinitis as defined by the inclusion criteria. Episodes of cough and rhinitis were
rated every day according to the following scale: 0
(no symptoms), 1 (mild), 2 (moderate), 3 (severe), 4
(severe, causing considerable agitation or sleep disturbance).
The atopic status of the children was assessed using
skin prick tests in which four common allergen
extracts (house dust [containing house dust mites],
F Polverino, G Cicchitto, V De Sio, L Di Buono, G Fiorenzano, D Giannattasio, V Musella, C Santoriello, D Viaggiano, M Polverino
Childhood asthma: predictors and prophylaxis - Asma infantile: predittori e profilassi
ably as a result of various socio-economic, genetic
and environmental factors. Further studies have
indicated that children with atopy have an
increased risk of developing asthma. An analysis
carried out between 1958 and 1982 by the National
Child Development Study in Italy showed that children with long standing asthma were more likely to
experience eczema, hayfever and sneezing than
children who suffered only short periods of asthma
or bronchitis [3].
Despite the recognition of atopy as a frequent cause
of asthma, skin tests for allergy (indicating atopy)
may not be positive until some years after the first
onset of symptoms. Thus, treatment may not be
given early enough to prevent damage to the airways. Many factors hinder a diagnosis of asthma
being made, e.g. the fact that the clinical features
are open to interpretation by the physician means
that they are not always interpreted correctly. In
addition, not all asthmatics experience attacks in
the traditional form (e.g. cough, wheezes, breathlessness, prolonged expiration, use of accessory respiratory muscles), asthma is difficult to diagnose in
very young children, and some doctors may be
reluctant to diagnose asthma unless there is
unequivocal evidence. There is also the belief
among doctors and patients that asthma is a self
limiting disease that tends to stop at puberty. Many
children who have had at least one bout of wheezing show a marked improvement during adolescence, just as many become asthmatics. Many
prospective studies, however, show that even if
symptoms of asthma disappear during adolescence,
disorders of respiratory function may occur during
adulthood [4-6]. There is also evidence to suggest
that asthma may develop many years after the first
minor signs of allergy [7].
Unfortunately, in the absence of a correct diagnosis,
appropriate treatment is rarely given. Children with
asthma need to be identified as early in the course
of the disease as possible, so that appropriate treatment can be initiated and the morbidity of asthma
and its potential long term consequences limited.
The aim of this study was to investigate, over a
3-year study period, the role of chronic respiratory
symptoms (rhinitis, cough and wheezing) as risk
factors, and the early prophylactic role of ketotifen
in preventing or delaying the onset of asthma in
children with these disorders. Ketotifen is an antiallergic drug that has been shown to significantly
reduce BHR, the number of asthmatic episodes and
the severity of asthmatic symptoms [8-11]. The
prevalence of asthma in the study group was also
evaluated.
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grass, pellitory, and a mix of Alternaria and
Aspergillus moulds) were applied to the forearm.
Histamine and diluent saline were used as positive
and negative controls, respectively. A skin prick test
was regarded as positive if it produced a wheal with
a diameter of 3 mm or more. Atopy was defined as
one or more positive reactions to the skin prick
tests.
Each patient was visited by a physician every 3
months. At each visit, a physical examination was
carried out and a clinical evaluation, including lung
auscultation, was made of the patient's respiratory
symptoms. Patients were also visited if they experienced audible wheezing or asthma attacks. The
degree of wheezing was assigned a clinical score
according to the following scale: 0 (absent), 1 (expiratory, terminal), 2 (expiratory, total), 3 (inspiratory
and expiratory) and 4 (expiratory and inspiratory
with retraction).
A comparison of the incidence of asthma in the two
treatment groups was made using the chi square
test, and a comparison of mean symptom scores
was made using the Newman-Keuls test.
RESULTS
A total of 701 patients completed the study - 415
patients were treated with ketotifen (210 boys and
205 girls; mean age 3 years 3 months ± 6 months),
and 286 patients were in the control group (140
boys and 146 girls; mean age 4 years 2 months ± 7
months).
A considerable number of patients withdrew from
the study during the 3 year study period. The most
common reason for withdrawal was poor compliance with the study protocol. Surprisingly, failure to
take ketotifen was a minor reason for exclusion
from the study, despite the need for this drug to be
taken for long periods of time (Table I).
Rhinitis was the most common symptom in both
treatment groups. The incidence of respiratory
symptoms in both treatment groups, with regard to
the delay between the onset of symptoms and
enrolment in the study, is shown in Table II.
TABLE I: REASONS FOR WITHDRAWAL FROM THE STUDY
Pets
Withdrawn consent
Change of address
New, severe disease
Poor compliance:
Invalid diaries
Missing visits
Medications not taken
Ketotifen
Other drugs for the
control of respiratory
symptoms
Total
14 MRM
Ketotifen group
5
81
26
13
157
67
41
49
41
Control group
8
129
31
19
221
101
96
24
-
8
24
282 (40.5%)
408 (58.8%)
Atopy was present in 21 children (5.1%) in the ketotifen group and in 13 children (4.5%) in the control
group. In patients treated with ketotifen, positive
skin prick tests occurred after exposure to the following allergens: house dust (18 cases), house dust
and pellitory (1 case), house dust and moulds (1
case), grass and pellitory (1 case). In the control
group, positive skin prick tests to the following
allergens occurred: house dust (8 cases), house dust
and pellitory (2 cases), house dust and moulds (1
case), grass and pellitory (1 case), moulds and pellitory (1 case). A family history of atopy was also
documented in 16.7% of patients in the ketotifen
group and in 14.4% of patients in the control group.
The mean symptom scores for rhinitis, cough and
wheezing during consecutive 3-month periods of
the study are shown in Table III. The lowest scores
for each symptom occurred during the second and
third quarters of each year, corresponding to spring
and summer. The highest mean scores were recorded for rhinitis, and the lowest for wheezing.
Overall, mean symptom scores for rhinitis, cough
and wheezing after 3 years were significantly lower
in children in the ketotifen group than in those in
the control group (p < 0.0001). In addition, the
number of children in the ketotifen group who
developed asthma was significantly lower than in
the control group. At the end of the 3-year study
period, a total of 35 children (8.4%) treated with
ketotifen developed asthma compared to 94 children (32.9%) in the control group (p < 0.0001). In
both groups, the highest incidence of asthma was
observed among children for whom wheezing was
the enrolling symptom, while the lowest incidence
was among children for whom rhinitis was the
enrolling symptom (Figure 1).
Most of the patients in the ketotifen group who
developed asthma did so when the delay between
onset of respiratory symptoms and the start of ketotifen treatment was longer than 2 months (Figure 2).
By considering the development of asthma in relation to the age of the patients at enrolment, it was
observed that if enrolment (and initiation of ketotifen treatment) took place in early childhood, very
few patients developed asthma. In particular, the
development of asthma in children less than 4 years
of age at enrolment was lower compared to children aged 4-8 years at enrolment (Figure 3). This
age-related development of asthma was not
observed in the control group.
Side effects owing to treatment with ketotifen
among the group of patients who remained in the
study were as follows: drowsiness (44 cases),
increase in appetite and weight (38 cases), diarrhoea (12 cases), nausea and vomiting (8 cases),
restlessness (7 cases) and headache (4 cases).
Nearly all of these side-effects started within the
first 2 weeks of treatment and disappeared as treatment continued. In 5 cases, side-effects only disappeared after the dose of ketotifen was reduced. Side
effects of the same type and with a similar incidence were also recorded among the group of
patients who left the study for various reasons: 13 of
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Delay between onset of symptoms and enrolment
Total number of patients
0-2 months
Number of patients
3-6 months
Number of patients
7-12 months
Number of patients
RHINITIS
Ketotifen
Control group
186 (44.8%)
115 (40.2%)
71 (38%)
43 (37%)
58 (31%)
34 (30%)
57 (31%)
38 (33%)
COUGH
Ketotifen
Control group
115 (27.7%)
96 (33.6%)
40 (35%)
37 (39%)
31 (27%)
28 (29%)
44 (38%)
31 (32%)
WHEEZING
Ketotifen
Control group
114 (27.5%)
75 (26.2%)
36 (32%)
27 (36%)
29 (25%)
21 (28%)
49 (43%)
27 (36%)
the 41 cases who left the study because they had
not taken ketotifen (Table I) did so as a result of side
effects (drowsiness in 8, diarrhoea in 2, restlessness
in 2 and vomiting in 1).
Since the parents were not asked to record all forms
of treatment taken to control respiratory disorders,
assessment of drug consumption was not possible.
DISCUSSION
The results of this study indicate that early prophylactic treatment with the anti-allergic drug, ketotifen, may prevent or delay the onset of asthma in
children known to be at risk of developing the disease. Overall, children who were treated with ketotifen had lower mean symptom scores than children
in the control group. This finding is supported by
previous studies in which treatment with ketotifen
improved respiratory symptoms in children with
recurrent wheezing [8,12,13]. The fact that mean
symptom scores for rhinitis, cough and wheezing
were lowest during the spring and summer months
is probably due to a seasonal effect.
The highest incidence of asthma at the end of the
study period occurred in children for whom wheezing was the enrolling symptom. As wheezing occurs
as a result of BHR, this observation appears to
emphasize the importance of BHR as a risk factor
for the development of asthma. It also suggests that
children who wheeze may be at a higher risk of
developing asthma than children who exhibit other
respiratory symptoms, such as cough.
Previous studies have demonstrated that atopy is an
important risk factor for the development of asthma
[14,15]. In the present study, the prevalence of
atopy at enrolment was similar in both treatment
groups - 5.1% in the ketotifen group and 4.5% in
the control group. Significantly fewer children in
the ketotifen group developed asthma by the end of
the study period. This suggests that ketotifen has a
prophylactic effect against the development of asthma. It could be argued that it is difficult to evaluate
the true prophylactic effect of treatment with ketotifen, as the children in this study already had respiratory symptoms. Iikura et al., however, demonstrat-
ed a prophylactic effect of ketotifen against asthma
in children with atopic dermatitis who had no history of respiratory symptoms [16].
The prophylactic effect of ketotifen was found to be
greatest when treatment was started within 2
months of the onset of respiratory symptoms, with
fewer children developing asthma if treatment was
initiated early. This indicates that treatment with
ketotifen should be given as soon as possible after
the first appearance of respiratory symptoms.
Interestingly, our results show that most of the children who developed asthma in the ketotifen-treated
group were older than 4 years of age at the time of
enrolment. This suggests that the age of the child is
an important factor in considering early intervention and that the younger the child is when treatment is given, the better their response to treatment
will be. Although the mechanism by which ketotifen might delay or prevent the development of
asthma is not fully understood, it is possible that
ketotifen helps to prevent BHR or inflammation of
the airways in early childhood when the lungs are
still developing.
The fact that more patients from the control group
than from the ketotifen group withdrew from the
study could imply a greater incidence of respiratory
disorders in the control group, at least in the 'missing' and 'poor compliance' groups. It is also worth
noting that only a minority of the patients who were
treated with ketotifen were excluded from the study
as a result of failure to take ketotifen. These findings
could be regarded as indirect evidence of the effectiveness of ketotifen for the prophylaxis of asthma.
It is possible that the considerable drop-out rate
observed in this study was due to the high level of
assistance sought from the parents, particularly as
the period of observation was long and required
diary cards to be filled out daily.
A major limitation of this study is the lack of any
comparison with a placebo under double blind
conditions. The method of using different workers
for the initial clinical assessment on recruitment,
randomization, periodic visits, data collection and
data assessment may have only partly eliminated
procedural errors. It is therefore possible that some
F Polverino, G Cicchitto, V De Sio, L Di Buono, G Fiorenzano, D Giannattasio, V Musella, C Santoriello, D Viaggiano, M Polverino
Childhood asthma: predictors and prophylaxis - Asma infantile: predittori e profilassi
TABLE II: INCIDENCE OF RESPIRATORY SYMPTOMS IN THE TWO TREATMENT GROUPS, WITH REGARD TO THE DELAY
BETWEEN ONSET OF SYMPTOMS AND ENROLMENT IN THE STUDY
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15
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TABLE III: MEAN SYMPTOM SCORES IN BOTH TREATMENT GROUPS FOR RHINITIS, COUGH AND WHEEZING THROUGHOUT
THE STUDY PERIOD
RHINITIS
Year 1
Year 2
Year 3
Ketotifen group
Control group
Jan-Mar
Apr-Jun
Jul-Sep
Oct-Dec
Jan-Mar
Apr-Jun
Jul-Sep
Oct-Dec
Jan-Mar
Apr-Jun
Jul-Sep
Oct-Dec
2.6
1.2
0.3
2.1
2.1
0.7
0.4
1.8
1.4
0.4
0.2
1.2
1,3 ± 0,8
2.2
0.9
0.8
2.7
2.3
1.1
0.8
2.1
1.8
0.6
0.4
2.0
1,5 ± 0,8
Jan-Mar
Apr-Jun
Jul-Sep
Oct-Dec
Jan-Mar
Apr-Jun
Jul-Sep
Oct-Dec
Jan-Mar
Apr-Jun
Jul-Sep
Oct-Dec
2.1
0.5
0.3
1.0
1.0
0.3
0.2
0.7
0.7
0.4
0.1
0.5
0,7 ± 0,5
2.4
0.8
0.8
1.7
1.9
0.7
0.4
1.8
2.3
0.8
0.7
2.1
1,4 ± 0,7
Jan-Mar
Apr-Jun
Jul-Sep
Oct-Dec
Jan-Mar
Apr-Jun
Jul-Sep
Oct-Dec
Jan-Mar
Apr-Jun
Jul-Sep
Oct-Dec
1.1
0.1
0.1
0.7
0.6
0.2
0.1
0.4
0.6
0.2
0.1
0.3
0,3 ± 0,3
1.4
0.2
0.3
1.1
1.3
0.4
0.2
1.5
1.7
0.2
0.2
1.8
0,9 ± 0,7
Overall mean score
COUGH
Year 1
Year 2
Year 3
Overall mean score
WHEEZING
Year 1
Year 2
Year 3
Overall mean score
of our results are attributable to a placebo effect or
psychological factors. Stevenson, for the ETAC
Study Group, demonstrated that behavior problems
may precede asthma onset in young atopic children: they may act as a marker for stress in the
child's life, and the presence of behavior problems
should alert clinicians that the child may be at
increased risk for transition from atopic dermatitis
to asthma [17].
Nevertheless, we believe that the study remains
valid, particularly because of the large number of
individuals involved. Furthermore, if the placebo
effect had a major role in determining outcomes in
the study, it is difficult to understand why the devel16 MRM
opment of asthma should be affected by the age of
the child at enrolment.
Because asthma is not a curable condition, the
development of strategies for prevention of the disease has a high priority. Based on this premise, the
ETAC study [18] evaluated the ability of atopic dermatitis as a predictor of the development of asthma,
and the ability of the H1 receptor antagonist cetirizine to reduce the development of asthma.
Although there was no difference in cumulative
prevalence of asthma between active and placebo
treatment in the intention-to-treat population of
ETAC, those infants with evidence of sensitivity to
house dust mite, grass pollen, or both, who were
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FIGURE 2: ASTHMA WAS MORE LIKELY TO DEVELOP WHEN
THE DELAY BETWEEN ONSET OF RESPIRATORY SYMPTOMS
AND THE START OF KETOTIFEN TREATMENT WAS LONGER
THAN 2 MONTHS
12
60
Ketotifen
Control
p<0.0001
40
30
p<0.0001
20
Rhinitis
Cough
Wheezing
10
p<0.0001
Patients with asthma (%)
Patients developing asthma
50
8
6
4
2
10
0
0
Cough
Rhinitis
<3 months
Wheezing
3-6 months
>6 months
Delay between onset of symtpoms and starting of active
tratment
Enrolling symptom
treated with cetirizine were significantly less likely
to have asthma compared with those treated with
placebo over the 18 months of treatment, and this
effect was sustained for the grass pollen-sensitized
infants over the full 36 months. The conclusion of
the ETAC study was that cetirizine, compared with
placebo, truly delays or, in some cases, prevents the
development of asthma in a subgroup of infants
with atopic dermatitis sensitized to grass pollen
and, to a lesser extent, house dust mite.
The optimal target for pharmaceutical intervention to
prevent asthma would seem to be high risk patients:
in the ETAC study children with atopic dermatitis, a family history of asthma or atopic disease
and early sensitization to aeroallergens were evaluated. Primary prevention in whole populations (e.g.
starting even before the onset of atopic dermatitis or
allergen sensitization) does not at present appear to
be a realistic approach. The main difference
between the ETAC study and ours is that our inves-
FIGURE 3: AGE DISTRIBUTION AT ENROLMENT OF CHILDREN WHO DEVELOPED ASTHMA (LEFT: KETOTIFEN GROUP;
RIGHT: CONTROL GROUP)
16
16
Control group
14
14
12
12
Patients developing asthma
Patients developing asthma
Treatment group
10
8
6
10
8
6
4
4
2
2
0
1
2
Rhinitis
3
4
5
Age (years)
Cough
Wheezing
6
7
8
F Polverino, G Cicchitto, V De Sio, L Di Buono, G Fiorenzano, D Giannattasio, V Musella, C Santoriello, D Viaggiano, M Polverino
Childhood asthma: predictors and prophylaxis - Asma infantile: predittori e profilassi
FIGURE 1: SIGNIFICANTLY FEWER PATIENTS TREATED WITH
KETOTIFEN DEVELOPED ASTHMA AFTER 3 YEARS,
COMPARED TO PATIENTS IN THE CONTROL GROUP
0
1
2
Rhinitis
3
4
5
Age (years)
Cough
6
7
8
Wheezing
MRM
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tigation was based on a different pattern of risk
symptoms in a population largely not yet sensitized
at enrolment.
In conclusion, the study suggests that early pharmacological intervention with ketotifen may prevent or
delay the onset of asthma in children who are
known to be at risk of developing the disease owing
to the presence of three key symptoms: rhinitis,
cough and wheezing. This finding has important
clinical implications, not only in terms of improving
the quality of life of patients and their families, but
also in terms of a possible reduction in the morbidity and mortality of asthma.
CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: None of the authors has
a conflict of interest to declare in relation to the contents of
this paper.
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Rassegna / Review
Le nuove linee guida congiunte IDSA/ATS per
la gestione della polmonite acquisita in
comunità dell'adulto
Spunti per il comportamento dello pneumologo e del
generalista italiano
New joint IDSA/ATS guidelines for the management
of community-acquired pneumonia in adults
Highlights for the specialist and general medical practitioner
in Italy
Fernando De Benedetto1, Gianfranco Sevieri2
1
2
UOC Pneumologia, ASL Chieti
Scuola di Specializzazione in Malattie Respiratorie, Università di Padova
RIASSUNTO
In risposta ai dubbi creatisi per le differenze esistenti nelle
rispettive linee guida, l'Infectious Diseases Society of America
(IDSA) e l'American Thoracic Society (ATS) hanno messo a
punto nel 2007 delle nuove linee guida congiunte per la corretta gestione della CAP nel paziente adulto. Tra le raccomandazioni generali delle due Società scientifiche statunitensi sono da
ricordare: 1) la decisione iniziale è la scelta di ricoverare o meno
il paziente basandosi su test codificati di gravità/mortalità
(CURB 65 o PSI); 2) l'obiettivo primario della terapia antibiotica
è rappresentato dall'eradicazione del microrganismo infettante
e dalla conseguente risoluzione del quadro clinico; 3) fino a
quando non saranno disponibili metodiche diagnostiche più
rapide ed attendibili, il trattamento antibiotico sarà impostato
prevalentemente su basi empiriche; 4) bisogna utilizzare l'antibiotico più potente per evitare di selezionare ceppi batterici
resistenti.
Tra gli pneumococchi la percentuale di resistenza ai macrolidi, in
pazienti con fattori di rischio, è in Italia in continuo aumento;
sono inoltre presenti in letteratura evidenze di come alcuni
fluorochinoloni, ciprofloxacina e levofloxacina, siano implicati
in insuccessi clinici nel trattamento delle CAP, che riconoscono
nello pneumococco il principale agente causale: ciò è dovuto
alla scarsa efficacia di questi antibiotici nei confronti dello
pneumococco, spesso correlata ad inappropriato regime posologico (per levofloxacina viene consigliata la dose di 750 mg/die).
Al contrario, non sono ancora stati riportati casi di insuccessi
utilizzando i nuovi fluorochinoloni respiratori (moxifloxacina e
gemifloxacina).
Sebbene l'aumento del dosaggio di alcuni antibiotici (penicilline, cefalosporine e levofloxacina) possa, in molti casi, migliorare la risposta clinica, il ricorso alla molecola antibiotica più
potente conduce alla stabilizzazione e perfino alla riduzione dei
fenomeni di resistenza batterica.
Sono poi presi in esame tre contesti specifici di trattamento:
quello domiciliare, l'ospedaliero e la terapia intensiva, ai quali
corrispondono schemi terapeutici differenti.
Il paziente domiciliare senza comorbilità e senza rischi di infezione sostenuta da Streptococcus pneumoniae antibiotico-resistente (DRSP) dovrà essere trattato con il macrolide o in alternativa con doxiciclina; lo stesso paziente, ma affetto da comorbilità o fattori di rischio per DRSP, andrà invece trattato con i
Fernando De Benedetto
PO Clinicizzato “SS. Annunziata”
Via dei Vestini, 66100 Chieti, Italia
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 25/06/2007 - Accettato per la pubblicazione: 10/07/2007
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nuovi fluorochinoloni respiratori o in alternativa con un betalattamico associato ad un macrolide. Nelle aree geografiche ove
la percentuale di DRSP è superiore al 25% si dovranno sempre
utilizzare i fluorochinoloni respiratori, anche nel paziente precedentemente sano. La terapia della polmonite acquisita in comunità ospedalizzata non in terapia intensiva, dovrà invece basarsi sull'impiego parenterale dei nuovi fluorochinoloni respiratori
oppure sull'associazione beta-lattamico + macrolide. Per finire
vi sono poi i casi di CAP ospedalizzati in terapia intensiva che
devono essere trattati con un beta-lattamico iniettabile in associazione con macrolide di 2ª generazione o con il fluorochinolone e per i pazienti allergici alla penicillina, sono raccomandati
sia il fluorochinolone respiratorio, sia l'aztreonam. Nei casi di
polmonite da Pseudomonas aeruginosa andranno utilizzati i
beta-lattamici antipseudomonas, con attività anche antipneumococcica come piperacillina/tazobactam, cefepime, imipenem
o meropenem, in associazione a ciprofloxacina o levofloxacina,
quest'ultima ad alto dosaggio (750 mg).
In alternativa si potrà anche utilizzare una triplice associazione:
un beta-lattamico antipseudomonas con attività anche antipneumococcica, un aminoglicoside e un macrolide di 2ª generazione o in alternativa, come terza molecola di associazione, il
fluorochinolone antipneumococcico.
Parole chiave: Antibiotico-resistente, antibioticoterapia, CAP,
CURB-65, DRSP, HCAP, MRSA, MSSA, PSI, Streptococcus pneumoniae.
ABSTRACT
In response to doubts arising over existing differences in the
respective guidelines, the Infectious Diseases Society of
America (IDSA) and American Thoracic Society (ATS) elaborated new joint guidelines in 2007 for the appropriate management of community acquired pneumonia (CAP) in adults.
Among the general recommendations of the two American scientific societies, the following are of note: 1) the initial choice
whether or not to hospitalize the patient is based on the severity/mortality tests CURB 65 or PSI; 2) the primary goal of antibiotic therapy is to eradicate the infectious microrganism and
consequently resolve the clinical picture; 3) until more rapid,
reliable diagnostic methods are available, antibiotic therapy
will be prevalently empirical; 4) the most potent antibiotic
should be used in order to avoid favouring resistant bacterial
strains.
Among pneumococci, the percentage of resistance to
macrolides in patients at risk is continuously rising in Italy.
Moreover there is evidence in the literature linking some fluoroquinolones, ciprofloxacin and levofloxacin, to clinical failures
in the treatment of CAP in which pneumococcus was identified
as the principal causal agent; the failure was attributed to the
poor efficacy of these antibiotics with respect to pneumococcus, often correlated to inappropriate levels of dosage (for levofloxacin a dose of 750 mg/die is recommended).
On the contrary, no cases of treatment failure with use of the
new respiratory fluoroquinolones (moxifloxacin and gemifloxacin) have yet been reported.
While increasing the dosage of some antibiotics (penicillin,
cephalosporin and levofloxacin) can, in many cases, improve
the clinical response, recourse to the most potent antibiotic
molecule leads to stabilization and can even reduce phenomena of bacterial resistance.
Three specific treatment settings - home, hospital and intensive care - are examined with their corresponding different
therapeutic schemes.
Patients treated in the home without comorbidities or risk of
infection sustained by drug-resistant Streptococcus pneumoniae (DRSP) should be treated with macrolides or, alternatively, with doxycycline; if comorbidities or risk factors for DRSP
20 MRM
are present, the new respiratory fluoroquinolones should be
used or, alternatively, a combination of beta-lactam and
macrolide. In geographical areas where the rate of DRSP is
above 25% respiratory fluoroquinolones should always be
used, even in previously healthy patients. The treatment of CAP
in hospitalized patients not in intensive care should be based
on the parenteral use of the new respiratory fluoroquinolones
or on a combination of beta-lactam + macrolide. Finally, in the
case of CAP patients in intensive care, treatment should be intravenous consisting of beta-lactam combined with a 2nd generation macrolide or fluoroquinolone, while for patients who
are allergic to penicillin both respiratory fluoroquinolones and
aztreonam are recommended. In cases of pneumonia caused by
Pseudomonas aeruginosa, antipseudomonas beta-lactams
should be used that also have an antipneumococcal activity
such as piperacillin/tazobactam, cefepime, imipenem or
meropenem, in combination with ciprofloxacin or levofloxacin,
the latter at high dosage (750 mg). Alternatively, one can use a
triple combination consisting of an antipseudomonas beta-lactam with antipneumococcal activity, an aminoglycoside and a
2nd generation macrolide or, as an alternative for the third
combination molecule, the antipneumococcal fluoroquinolone.
Keywords: Antibiotic-resistant, antibiotic therapy, CAP, CURB65, DRSP, HCAP, MRSA, MSSA, PSI, Streptococcus pneumoniae.
INTRODUZIONE
La polmonite acquisita in comunità (CAP) è una
malattia molto diffusa con importanti ripercussioni
sui sistemi sanitari di tutto il mondo; nei paesi industrializzati già prima del 2000 risultava la prima
causa di morte per patologie infettive [1,2].
L'incidenza attuale della CAP in Europa varia
dall'1,6 all'1,8 per 1.000 adulti/anno anche se dati
dettagliati sono disponibili solo per Finlandia,
Spagna e Inghilterra [3], in Germania, da fonti sanitarie governative, si può evincere che le CAP annualmente ammontano a circa 1,4 milioni di casi,
di questi circa 230.000 pazienti, pari al 16,4%, richiedono il ricovero ospedaliero, con una frequenza maggiore rispetto ad altre patologie molto diffuse come l'infarto e l'apoplessia, che annualmente
in Germania provocano rispettivamente ben
132.000 e 162.000 ricoveri [4,5]. Sempre in
Germania nel 2001 la CAP è stata causa di 16.900
decessi, pari al 2% di tutti i decessi, il che fa sì che
la CAP sia ritenuta globalmente la nona causa di
morte [4,5]. Questa elevata incidenza è associata
ad un elevato impiego di risorse sanitarie che, sempre in Germania, nel 1997 erano pari, tra costi diretti ed indiretti, a 1,64 miliardi di dollari, con 983
milioni di dollari spesi per costi diretti correlati al
trattamento della CAP e 656 milioni di dollari per
costi indiretti, quali ad esempio le ore lavorative
perse per questa patologia [5]. Al contrario, i costi
del trattamento domiciliare dei pazienti affetti da
CAP era molto inferiore, attestandosi a 45,9 milioni
di dollari per i costi terapeutici ed a 32,8 milioni di
dollari per l'acquisizione del farmaco; i principali
determinanti di questi costi elevati sono risultati, in
primo luogo, il periodo di degenza ospedaliera e
l'eventuale ricovero in Terapia Intensiva [5].
Purtroppo in Italia non sono disponibili dati analoghi; i dati rilevati tramite Health Search (un databa-
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na svoltosi a Londra in quella data [11]. Nel corso
dell'inaugurazione del congresso, infatti, il premio
Nobel aveva posto le premesse per una corretta
chemioterapia antinfettiva: “Frapper vite frapper
fort” era il concetto alla base della terapia “sterilisant magna”; cioè colpire velocemente e con potenza per raggiungere l'obiettivo della guarigione
del paziente colpito da una infezione, evitando il rilascio di eventuali tossine batteriche in grado di
compromettere le condizioni del paziente stesso
[11]. Da allora, anziché percorrere questa strada, si
è cercato, un po' per abitudine, un po' per timore
di eventuali effetti collaterali, ma anche sulla spinta di motivi economici, di utilizzare l'antibiotico
considerato il più sicuro, ma non il più potente,
spesso suggerendo un dosaggio inadeguato (es.:
amoxicillina, con o senza clavulanato, somministrata due volte/die, anche se farmacologicamente
rientra fra le molecole Tdipendenti); in genere infatti l'antibiotico più potente è il più moderno, quello
di più recente commercializzazione e quindi il più
costoso. Questa abitudine ha provocato l'emergere
di resistenze batteriche, tanto che per primo
Michael Scheld, Presidente dell'IDSA, poi seguito
da Glenn Tillotson, avevano lanciato l'allarme già
nel 2003 [12,13] su questo atteggiamento terapeutico, affermando che se non si fosse corsi ai ripari,
probabilmente in un futuro prossimo si sarebbe
creato il supermicrorganismo, cioè quello in grado
di resistere a tutti gli antibiotici [13]. A ciò si è aggiunto un certo immobilismo nella ricerca di nuove
molecole antibiotiche da parte delle aziende farmaceutiche [14] che non facilita certo il compito della classe medica.
In questo scenario, la comparsa nel 2007 delle prime linee guida congiunte IDSA e ATS ha consentito di fare un po' di ordine nel campo della terapia
antibiotica delle polmoniti acquisite in comunità.
E pensare che in Italia della questione si era anche
occupato, nel 2006, un settimanale a larga diffusione [15] che, basandosi sulle affermazioni riferite da
un ignoto (scientificamente!) Medico di Medicina
Generale nel corso di un fantomatico Congresso
Mondiale di medici di famiglia, aveva messo in discussione, con toni scandalistici, il suggerimento di
utilizzare per primo l'antibiotico più potente, criticandolo ed indicandolo come il solito tentativo delle industrie del farmaco per produrre maggiori utili
economici.
La risposta che emerge dalle nuove linee guida congiunte delle due più accreditate società scientifiche
statunitensi dell'area dell'infettivologia respiratoria
è che nella CAP bisogna utilizzare l'antibatterico
più potente, per giungere, con quanta più certezza
possibile, ad eradicare i patogeni implicati nel processo infettivo, evitando così il rischio di resistenze
batteriche, migliorando la prognosi del paziente e
riducendo la mortalità ed i costi ospedalieri correlati all'insuccesso terapeutico.
Ormai la diffusione delle resistenze batteriche (ad
esempio dello Streptococcus pneumoniae nei confronti di penicilline, cefalosporine, macrolidi, e levofloxacina) è un dato di fatto: molte ricerche epi-
F De Benedetto, G Sevieri
Linee guida per la gestione della CAP - Guidelines for the management of CAP
se elettronico della Medicina Generale italiana nel
quale vengono raccolti periodicamente, per via telematica, i dati clinici di oltre 500 MMG che sono
successivamente elaborati elettronicamente) raccolti in un volume recentemente pubblicato sulla
terapia ambulatoriale delle infezioni delle basse vie
respiratorie indicano, per la polmonite acquisita in
comunità, una incidenza in Italia pari al 2,7 per
1.000 adulti/anno, con una percentuale di ospedalizzazione del 16,1% [6,7]. Un altro studio, recentemente condotto in Italia su pazienti con CAP, ha
mostrato una incidenza media dell'1,69 e dell'1,71
per 1.000 adulti/anno rispettivamente nei maschi e
nelle femmine, con una maggior incidenza al Nord
[2,33] rispetto al Sud dell'Italia [1,29], confermando il dato relativo al sud dell'Europa che indica una
incidenza di circa il 2 per 1.000/anno; i livelli di
ospedalizzazione e di mortalità per CAP, rilevati da
questo studio, sono risultati pari rispettivamente al
31,8% e al 6% [8]. L'altro studio, sempre italiano,
ha valutato i pazienti ricoverati per CAP in un reparto di medicina generale nel corso di un anno
analizzando retrospettivamente sulla base del PSI
(Pneumonia Severity Index) l'adeguatezza di questo
ricovero in Medicina Generale; i risultati, sebbene
incoraggianti, quantomeno relativamente alla validità del PSI come indice prognostico, indicano che
il 21% e il 5% dei soggetti con CAP non dovevano
essere ricoverati perché classificati come appartenenti rispettivamente alla classe I e II del PSI, mentre il 24% erano appartenenti alla classe III, cioè
quella relativa al ricovero breve del paziente per osservazione e successiva dimissione e il 36% alla
classe IV; alla classe V (ricovero in terapia intensiva)
apparteneva il 14% di questa casistica con una
mortalità pari a circa il 7%. In buona sostanza il
33% dei pazienti era stato oggetto di un'ospedalizzazione evitabile, il che fa auspicare, concludono
gli autori di questo studio, una maggior coerenza
con l'utilizzo del PSI ed una superiore comunicazione tra gli ospedali e i rappresentanti delle autorità sanitarie per ridurre i costi e migliorare il trattamento dei pazienti con CAP [9].
Il pregio delle nuove linee guida congiunte
IDSA/ATS è che oltre a offrire indicazioni specifiche
sui diversi trattamenti indicati per i casi di CAP, forniscono anche informazioni più generali relativamente all'andamento dei fenomeni di resistenza
batterica del principale agente eziologico della polmonite acquisita in comunità, lo Streptococcus
pneumoniae ed alle strategie per ridurre queste resistenze. A tale proposito le linee guida IDSA/ATS
indicano come principale strategia per il contenimento dei fenomeni di resistenza batterica l'utilizzo della molecola più potente tra quelle potenzialmente indicate per il trattamento della CAP [10].
Da circa tre anni in Italia e ancor prima negli Stati
Uniti, si afferma che bisogna utilizzare l'antibiotico
più potente per evitare il rischio di selezione di ceppi batterici resistenti. Questo concetto era già affermato in era preantibiotica nel famoso articolo del
1913, pubblicato su Lancet a cura di P. Ehlrich, in
occasione del congresso internazionale di medici-
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demiologiche lo hanno evidenziato, sia negli Stati
Uniti sia in Europa, per cui non ci rimane che prendere atto che prescrivere l'antibiotico più potente
può essere realmente l'unica alternativa praticabile.
In questo contesto i nuovi fluorochinoloni respiratori possono realmente risultare gli antibiotici più
potenti, se utilizzati correttamente, ritagliati cioè
sul profilo del paziente da trattare, almeno fino ad
un certo livello di gravità della polmonite acquisita
in comunità. È evidente che i nuovi fluorochinoloni respiratori non sono la panacea; vi sono altre
molecole efficacemente utilizzabili, sia in prima
che in seconda scelta; ad esempio, con un paziente sano prima della polmonite, i beta-lattamici ed i
macrolidi sono di certo efficaci, ma solo se la prevalenza di ceppi DRSP, da dati epidemiologici locali, non raggiunge il 25%, poiché oltre questa soglia
o si ricorre ai fluorochinoloni respiratori (moxifloxacina o gemifloxacina, quest'ultima peraltro
non ancora commercializzata in Italia) o alla levofloxacina, purché ad alti dosaggi (750 mg/die), oppure ai beta-lattamici più potenti, quali piperacillina/tazobactam, cefepime, meropenem, ertapenem,
peraltro somministrabili solo per via parenterale.
Queste recentissime linee guida congiunte hanno,
inoltre, concentrato l'attenzione della classe medica su una nuova entità nosologica, la Health-CareAssociated Pneumonia (HCAP), che, già nel 2005,
era stata messa in evidenza da alcuni Autori come
una polmonite ad eziologia prevalentemente sostenuta da Staphylococcus aureus, clinicamente più
grave, con una maggior mortalità e con durata dell'ospedalizzazione e costi superiori rispetto alla tradizionale polmonite acquisita in comunità [16].
Confronto tra le linee guida congiunte statunitensi
IDSA/ATS e le linee guida europee ERS
Si tratta delle più recenti ed esaustive linee guida
per la gestione della polmonite acquisita in comunità, comparse rispettivamente nei primi mesi del
2007 e sul finire del 2005; quelle statunitensi
specificamente rivolte alla polmonite acquisita in
comunità e quelle europee dell'European
Respiratory Society (ERS), più in generale, rivolte alla gestione delle infezioni delle basse vie respiratorie con due sezioni specifiche per la CAP e per la
BPCO [10,17].
Le due linee guida, entrambe basate su un'analisi
sistematica della letteratura, sono corredate di livelli di evidenza che corrispondono a diverse raccomandazioni cliniche. Le linee guida ERS 2005 hanno un sistema di classificazione leggermente più
complesso e sono precipuamente rivolte agli specialisti; le linee guida IDSA/ATS 2007 sono invece
rivolte principalmente ai Medici di Medicina
Generale, sebbene forniscano anche delle indicazione utili alla medicina specialistica, visto che includono la gestione delle polmoniti acquisite in comunità, ospedalizzate nei normali reparti di degenza ed in terapia intensiva [10,17].
Entrambe non sono solamente delle linee guida terapeutiche, bensì contengono anche indicazioni
gestionali nei confronti dei pazienti con CAP, for-
22 MRM
nendo informazioni sull'eventualità del ricovero
ospedaliero, sulla diagnostica e sui fenomeni di resistenza batterica.
Queste linee guida si concentrano, in prima istanza, sulla decisione importantissima relativa al luogo
di cura, se domiciliare od ospedaliero, poiché questo aspetto non ha solo delle implicazioni cliniche,
quali il rischio di fenomeni tromboembolici o superinfezioni da patogeni multiresistenti nell'eventualità di un ricovero ospedaliero [18], ma ha anche
implicazioni economiche e sociali, visto che il costo del trattamento domiciliare di una CAP può risultare fino a 25 volte inferiore a quello eseguito in
contesti ospedalieri [19]; inoltre i pazienti curati in
ambito domiciliare riprendono più velocemente le
normali attività produttive, con una migliore qualità
di vita rispetto ai pazienti ospedalizzati [20,21].
La decisione se ospedalizzare o meno il paziente
deve essere presa essenzialmente su elementi clinici, entrambe le linee guida giudicano il PSI e il
CURB (Tabelle I-II) ottimi strumenti di supporto per
questo scopo, dando forse una leggera preferenza
al CURB, in quanto più semplice, meno indaginoso
da applicare e maggiormente correlato alla gravità.
Infatti, la versione più recente di questo strumento,
il CURB-65, basato sull'analisi di soli 5 parametri
(confusione mentale, azotemia > 20 mg/dl, frequenza respiratoria ≥ 30, pressione arteriosa sistolica < 90 mm Hg e diastolica ≤ 60 mm Hg ed età
≥ 65 anni), può essere di grande aiuto per stratificare i pazienti: con un punteggio del CURB-65 di 0-1
i pazienti possono essere gestiti domiciliarmente,
mentre con un punteggio pari a 2 il paziente deve
essere ricoverato in un reparto medico, se il punteggio raggiunge o supera 3, generalmente il ricovero
avviene in terapia intensiva. Vi è poi una forma di
CURB semplificato che non richiede la determinazione dell'azotemia che risulta molto pratico per il
Medico di Medicina Generale nel prendere la decisione se ospedalizzare o meno il paziente [22,23]
(Tabella I).
Il PSI (Pneumonia Severity Index) prende in esame,
invece, ben 20 variabili diverse, comprensive di
molti dati di laboratorio, rendendo la valutazione
prognostica del paziente più accurata, ma anche
molto più impegnativa e non semplice da effettuare in medicina ambulatoriale (Tabella II). In pratica
il PSI ha più un valore prognostico stratificando i
pazienti in 5 classi di rischio di mortalità: questo,
essendo molto basso nelle classi I e II, non contempla il ricovero ospedaliero, per la classe III, dove è
più elevato, è giustificato un periodo breve di osservazione/ricovero, mentre le classi IV e V, con mortalità elevata, necessitano di ospedalizzazione,
eventualmente anche in terapia intensiva (classe V)
[24,25] (Tabella II).
Un limite del PSI è il grande risalto che dà all'età
avanzata e alle comorbilità, per cui sottostima la
gravità della polmonite nei giovani oppure ne sovrastima la gravità nelle persone anziane con comorbilità (es.: polmonite in un paziente di 70 anni
con un carcinoma prostatico, già diagnosticato; si
raggiunge subito un punteggio di 100 e anche se il
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C
U
R
B
65
Confusion
Urea
Respiratory rate
Blood pressure
Confusione mentale di recente comparsa
Azotemia > 7 mmol/l (20 mg/dl)
Frequenza respiratoria ≥ 30 atti/minuto
Pa sistolica ≤ 90 mm Hg; Pa diastolica ≤ 60 mm Hg
Età ≥ 65 anni
Alla presenza di ogni singola variabile viene attribuito 1 punto in modo da produrre una scala a 6 punti, da 0 a 5
Classe di rischio
I
II
III
Punteggio
0-1
2
≥3
Luogo di cura
Domicilio
Ospedale (reparti di medicina generale)
Ospedale (spesso in terapia intensiva)
Tratto da [22,23].
quadro clinico è di una polmonite non complicata,
il paziente dovrebbe, stando al PSI, essere ricoverato!).
Anche se con qualche piccola differenza, i criteri
per il ricovero in Terapia Intensiva di una CAP risultano sostanzialmente sovrapponibili nelle linee guida statunitensi ed europee, essendo in entrambe ritenuti criteri maggiori la necessità di ventilazione
meccanica e lo shock settico con necessità di farmaci vasopressori [10,17].
Sul piano diagnostico le indicazioni fornite dalle linee guida delle tre società scientifiche sono praticamente identiche, prevedendo, oltre al riscontro dei
classici sintomi clinici - tosse, febbre, espettorazione, dolore toracico - e all'esame fisico, per valutare
F De Benedetto, G Sevieri
Linee guida per la gestione della CAP - Guidelines for the management of CAP
TABELLA I: VARIABILI CONTEMPLATE DAL CURB-65 E RELATIVE CLASSI PROGNOSTICHE PER LA SCELTA DELLA SEDE
DI TRATTAMENTO
TABELLA II: VARIABILI CONTEMPLATE DAL PSI E RELATIVE CLASSI PROGNOSTICHE (MORTALITÀ) PER LA SCELTA DELLA SEDE DI
TRATTAMENTO
Caratteristiche del paziente
Punteggio
Età maschi
Età femmine
Residenza in casa di riposo
Neoplasie
Malattie epatiche
Insufficienza cardiaca
Malattie cerebrovascolari
Malattie renali
Alterazioni dello stato mentale
Frequenza respiratoria ≥ 30 atti/minuto
Pressione arteriosa sistemica < 90 mm Hg
Temperatura < 35°C o ≥ 40°C
Pulsazioni ≥ 125/minuto
pH arterioso < 7,35
Azotemia ≥ 30 mg/dl
Sodio < 130 mEq/l
Glicemia ≥ 250 mg/dl
Ematocrito < 30%
PaO2 < 60 mm Hg o SaO2 < 90%
Versamento pleurico
anni di età
anni di età -10
+10
+30
+20
+10
+10
+10
+20
+20
+20
+15
+10
+30
+20
+20
+10
+10
+10
+10
Classe di rischio
Punteggio
Mortalità
Luogo di cura
I
II
III
IV
V
-≤ 70
71-90
91-130
> 130
0,1%
0,6%
2,8%
8,2%
29,2%
Domicilio
Domicilio
Domicilio o breve ricovero
Ospedale
Ospedale
(terapia intensiva)
Tratto da [24].
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eventuali alterazioni dei suoni respiratori bronchiali, l'esecuzione di una radiografia del torace che,
ovviamente, risulta più sensibile e specifica rispetto
all'esame fisico [10,17,26]. Le linee guida statunitensi suggeriscono anche l'impiego del pulsossimetro perché nei pazienti anziani la sintomatologia e
i segni rilevati all'esame fisico possono anche mancare od essere sfumati, quindi questo esame può rilevare una condizione di insospettata ipossia in un
paziente magari con scarsi segni obiettivi, ma con
diagnosi certa di polmonite [17,27,28]. Le due linee guida concordano sulla “non necessità” di determinare l'eziologia batterica con l'esame microbiologico, quantomeno nelle CAP curate ambulatorialmente con antibiotici somministrati secondo criteri empirici, riservando questo tipo di approfondimento diagnostico ai casi particolari riportati in
tabella III. Le linee guida congiunte IDSA/ATS differiscono però dalle linee guida europee per una particolare attenzione ai fenomeni di resistenza batterica e alla presenza di patogeni difficili, indicando
quali sono i fattori di rischio per sospettare
Streptococcus pneumoniae antibiotico-resistente
(DRSP), enterobatteri Gram negativi e Pseudomonas
[10,17].
Il particolare accento dato ai fenomeni di resistenza batterica dalle linee guida congiunte IDSA/ATS è
principalmente dovuto: a) al fatto che, fino a quando non saranno disponibili test diagnostici più accurati e rapidi, la terapia dovrà essere necessariamente empirica, non solo in ambito ambulatoriale,
ma anche in ospedale (se si escludono i casi indicati nella tabella III), b) al fatto che si sia registrata una
crescente diffusione di questi fenomeni di resistenza [10]. Nel caso specifico dello Streptococcus
pneumoniae, se si è assistito ad una stabilizzazione
dei fenomeni di resistenza alle penicilline, non al-
trettanto si può affermare per i macrolidi, che, ad
esempio, dati recenti italiani (studio PROTEKT Italia
2004) indicano attestarsi nei pazienti adulti al
41,5% [29]; questi dati sono coerenti con quelli
della letteratura internazionale [30,31]. I dati esistenti indicano che l'isolamento di pneumococchi
resistenti ai macrolidi [10,32-34] ed ai vecchi fluorochinoloni (ciprofloxacina e levofloxacina)
[10,35-37] è causa di insuccessi clinici; al contrario, fino ad oggi, non sono stati registrati casi di fallimento clinico correlabili all'utilizzo dei fluorochinoloni più recenti come gemifloxacina o moxifloxacina [10]. La forte raccomandazione espressa
dalle linee guida congiunte IDSA/ATS, di utilizzare
solo le molecole antibiotiche caratterizzate da maggior attività nei pazienti a rischio di infezione da
DRSP, si basa, solo in parte, su considerazioni di efficacia, perché tiene conto della necessità, impiegando il più potente regime terapeutico possibile,
di prevenire quanto più possibile l'emergenza di resistenze.
Sebbene l'aumento del dosaggio o il rispetto delle
dosi giornaliere di certe molecole (penicilline, cefalosporine, levofloxacina) possa portare a buoni risultati clinici nella maggior parte dei casi, il passaggio a molecole più potenti può condurre ad una
stabilizzazione più rapida e alla riduzione dei livelli di resistenza [10,30,35].
Trattamento ambulatoriale della polmonite
acquisita in comunità
Per quanto riguarda il contesto comunitario, le linee guida europee genericamente riportano indicazioni terapeutiche per il trattamento delle infezioni
delle basse vie respiratorie ed indipendentemente
dalla loro gravità suggeriscono l'impiego preferenziale dell'amoxicillina (purché tre volte/dì) o delle
TABELLA III: INDICAZIONI CLINICHE PER UNA DIAGNOSTICA MICROBIOLOGICA PIÙ APPROFONDITA
Indicazioni
Ricovero in terapia intensiva
Coltura
ematica
Coltura
espettorato
Antigene
urinario
S. pneumoniae
Antigene
urinario
Legionella
X
X
X
X
X
X
Fallimento della terapia antibiotica ambulatoriale
X
X
Infiltrati cavitari
X
X
Leucopenia
X
Etilismo
X
Insufficienza epatica cronica grave
X
Malattia grave ostruttiva o strutturale del polmone
Asplenia
X
X
X
X
X
X
Recente viaggio in aree a rischio
Positività antigene urinario S. pneumoniae
X*
X
Positività antigene urinario Legionella
Effusione pleurica°
X
X
X
X**
X
X
X
X
* residenza in hotel o in nave nelle ultime 2 settimane (Legionella) oppure viaggio o residenza nel Sud Ovest degli Stati Uniti, nel Sud Est
asiatico per particolari endemie infettive da Coccidioides spp., Hantavirus, influenza aviaria, SARS oppure in aree di infezione da virus influenzale
in atto; ** utilizzare medium di coltura specifico; ° effettuare anche toracentesi e coltura del fluido pleurico.
Tratto da [10] mod.
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Trattamento ospedaliero della polmonite acquisita
in comunità
Il ricovero ospedaliero è previsto per le forme ritenute gravi di polmonite acquisita in comunità, quelle appartenenti alle classi IV e V del PSI (la classe III
prevede soltanto l'eventuale ricovero breve, specie
se correlato, come spesso accade, a fattori indipendenti dalla gravità: scarso supporto familiare,
incapacità ad assumere antibiotici per os) oppure
ai punteggi del CURB-65 ≥ 2, spesso gravate da comorbilità e/o da recenti terapie antibiotiche con aumentata probabilità di infezione sostenuta da DRSP
e da enterobatteri Gram negativi.
Per questi pazienti le linee guida IDSA/ATS raccomandano una terapia empirica e.v. con un fluoro-
chinolone respiratorio, elencando specificamente
nell'ordine moxifloxacina, gemifloxacina e levofloxacina (raccomandazione forte, livello I di evidenza), quest'ultima però ad alto dosaggio; al pari,
cioè con lo stesso livello di raccomandazione ed
evidenza, viene consigliata l'associazione di un
beta-lattamico con un macrolide, indicando tra i
beta-lattamici cefotaxime, ceftriaxone ed ampicillina oppure ertapenem, per casi selezionati (precedente impiego di beta-lattamico), tenendo in considerazione, nonostante la sua indubbia efficacia, la
limitata esperienza clinica (Tabella VI) [10]. Solo in
pazienti ospedalizzati per ragioni diverse (non supporto familiare) dalla gravità è previsto un trattamento orale.
Queste scelte precise che esortano i medici a considerare sempre la presenza degli atipici insieme
allo S. pneumoniae, sono frutto di studi retrospettivi solidi che hanno confermato la significativa riduzione della mortalità con il fluorochinolone respiratorio o con l'associazione del beta-lattamico con il
macrolide rispetto all'utilizzo della sola cefalosporina. Anche numerosi studi prospettici randomizzati hanno dimostrato elevati livelli di guarigione clinica e microbiologica [37-47] ricorrendo a questi
due schemi terapeutici.
La tabella VII riporta, invece, le indicazioni terapeutiche delle linee guida congiunte delle due società
scientifiche statunitensi per il paziente con polmonite grave acquisita in comunità, cioè quella da ricoverare in terapia intensiva.
La terapia per queste forme gravi di CAP non prevede la monoterapia, ma deve sempre essere di associazione, quantomeno per le prime 48 ore, oppure
fino a che i risultati dell'esame microbiologico non
siano disponibili.
In effetti non esistono dati in letteratura che dimostrino l'efficacia dei fluorochinoloni respiratori o di
beta-lattamine in monoterapia in questi casi [48],
al contrario, esistono studi clinici sia prospettici
[49,50] sia retrospettivi [51-53] che indicano la significativa riduzione della mortalità nelle polmoniti da S. pneumoniae associate a batteriemia con l'utilizzo della terapia di associazione. Quindi le linee guida IDSA/ATS suggeriscono (raccomandazione forte) di utilizzare in associazione al beta-lattamico (cefotaxime, ceftriaxone o ampicillina/sulbactam) il macrolide (II livello di evidenza) oppure il
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Linee guida per la gestione della CAP - Guidelines for the management of CAP
tetracicline ed in alternativa propongono l'amoxicillina/clavulanato (anch'essa tre volte/dì), i macrolidi di 2ª generazione (claritromicina, azitromicina)
indicando anche il possibile utilizzo della telitromicina (benché non supportata da evidenze), levofloxacina e moxifloxacina (Tabella IV) [17]. Nello
stesso contesto, cioè nel trattamento empirico domiciliare della CAP, le linee guida statunitensi offrono un approccio terapeutico differenziato a seconda che il paziente sia precedentemente sano e senza fattori di rischio per Streptococcus pneumoniae
antibiotico-resistente, oppure che presenti comorbilità e fattori di rischio per DRSP, o che risieda nelle aree geografiche in cui la resistenza ai macrolidi
da parte dello pneumococco risulta maggiore del
25%. Nel primo caso le linee guida IDSA/ATS suggeriscono, analogamente alle linee guida ERS, l'uso
dei macrolidi di 2ª generazione ed in alternativa le
tetracicline, mentre la telitromicina non è contemplata, visto che, nei primi mesi del 2007, l'FDA ha
privato questa molecola dell'indicazione polmonite acquisita in comunità ed, inoltre, è “under control” per la sua epatotossicità.
Negli altri due casi, che implicano la presenza di
Streptococcus pneumoniae antibiotico-resistente,
sono indicati come prima scelta i fluorochinoloni
respiratori, moxifloxacina o gemifloxacina, oppure
levofloxacina, purché ad alte dosi (750mg), come
riportato nella tabella V [10]; quale alternativa ai
fluorochinoloni respiratori le linee guida statunitensi propongono l'associazione di un beta-lattamico
con un macrolide (Tabella V) [10].
TABELLA IV: INDICAZIONI TERAPEUTICHE DALLE LINEE GUIDA ERS PER IL TRATTAMENTO DOMICILIARE DELLA POLMONITE
ACQUISITA IN COMUNITÀ
Tipo di infezione
Infezioni delle basse vie respiratorie
Livello di gravità
Tutti i livelli di gravità
Trattamenti proposti
Prima scelta
Alternative°
Amoxicillina o tetracicline*
Amoxicillina/clavulanato,
macrolidi**, levofloxacina,
moxifloxacina
* tetraciclina o doxiciclina; ** eritromicina, claritromicina, roxitromicina, azitromicina; ° da utilizzare in caso di ipersensibilità ai farmaci di prima
scelta oppure in aree geografiche ad alta prevalenza di resistenza rilevante sul piano clinico (in alcune Nazioni europee possono essere utilizzate
solo le molecole alternative).
Tratto da [17].
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TABELLA V: INDICAZIONI TERAPEUTICHE DALLE LINEE GUIDA CONGIUNTE IDSA/ATS PER IL TRATTAMENTO DOMICILIARE
DELLA POLMONITE ACQUISITA IN COMUNITÀ (CAP)
Tipologia di paziente
Prima scelta
Alternative
CAP in paziente precedentemente
sano e senza fattori di rischio
per infezione da S. pneumoniae
antibiotico-resistente
Macrolidi (azitromicina, claritromicina o
eritromicina) (raccomandazione forte,
I livello di evidenza)
Doxiciclina (raccomandazione debole,
III livello di evidenza)
CAP in pazienti con comorbilità*,
condizioni di immunodepressione
o utilizzo di immunosoppressori;
utilizzo di antibiotici nei 3 mesi
precedenti**, altri fattori di rischio
per infezione da DRSP°
Fluorochinolone respiratorio (moxifloxacina,
gemifloxacina o levofloxacina [750 mg])
(raccomandazione forte, I livello di evidenza)
Beta-lattamico + macrolide
(raccomandazione forte, I livello
di evidenza) (amoxicillina ad alto
dosaggio [es. 1 g 3 volte al giorno]
o amoxicillina clavulanato
[2 g 2 volte al giorno]) sono da preferire;
in alternativa ceftriaxone, cefpodoxime e
cefuroxime (500 mg 2 volte al giorno);
doxiciclina (II livello di evidenza) è una
alternativa ai macrolidi
CAP in pazienti in aree geografiche
ove i livelli di resistenza ai macrolidi
di Streptococcus pneumoniae
(MIC ≥ 16 µg/ml) risultano superiori
al 25%
Considerare l'utilizzo delle molecole riportate sopra nella indicazione precedente
in tutti i pazienti, inclusi quelli che non presentano comorbilità (raccomandazione
moderata, III livello di evidenza)
* malattia cronica cardiaca, polmonare, epatica o renale, diabete mellito, alcolismo, neoplasie maligne, asplenia; ** in questo caso dovrebbe
essere scelta una alternativa da una classe differente; DRSP° = drug-resistant Streptococcus pneumoniae (Streptococcus pneumoniae antibioticoresistente).
Tratto da [10].
fluorochinolone (I livello di evidenza) (Tabella VII)
[10]. Inoltre, nei pazienti in condizioni critiche, bisogna prendere in considerazione uno spettro eziologico molto più ampio che includa, oltre allo
pneumococco, in ordine decrescente per frequenza
di isolamento, Legionella spp., H. influenzae,
Enterobacteriaceae, S. aureus e Pseudomonas spp
[54]. Per questo motivo gli antibiotici dovrebbero
coprire i tre principali patogeni possibile causa di
CAP, tutti gli atipici e la maggior parte delle enterobacteriacee.
La terapia standard andrebbe modificata in presenza di fattori di rischio per Pseudomonas aeruginosa
e di fattori di rischio per Staphylococcs aureus meticillino-resistente (MRSA) (presenza di polmonite
cavitaria o suo isolamento) come indicato nella tabella VII [10].
In effetti la CAP causata o associata a Pseudomonas
aeruginosa richiede il trattamento di associazione,
così come una polmonite ospedaliera, da qui il suggerimento delle linee guida statunitensi che prevedono l'utilizzo del beta-lattamico antipneumococcico ed antipseudomonas (piperacillina/tazobactam, cefepime, imipenem o meropenem) in asso-
ciazione con ciprofloxacina o levofloxacina, quest'ultima ad alto dosaggio, oppure utilizzando una
triplice associazione tra uno dei beta-lattamici sopraelencati con un aminoglicoside e con il macrolide oppure ancora il beta-lattamico più l'aminoglicoside in associazione al fluorochinolone ad attività antipneumococcica (Tabella VII) [10].
In caso, invece, di polmonite acquisita in comunità
sostenuta da Staphylococcus aureus meticillinosensibile, con la terapia empirica di associazione
precedentemente indicata - basata sull'impiego del
beta-lattamico, eventualmente associato al flurochinolone respiratorio ed eventualmente utilizzando della penicillina semisintetica penicillinasi-resistente come beta-lattamico - è garantita una copertura anche sui DRSP, oltre che sui MRSA. Più prudente la posizione delle linee guida in caso di isolamento di Staphylococcus aureus meticillino-resistente acquisito in comunità (CA-MRSA); in questi
casi viene suggerito l'impiego in aggiunta della
vancomicina o del linezolid (Tabella VII) [10].
Recentemente è stato segnalato un aumento dei casi di polmonite da CA-MRSA che deve essere sospettata in caso di associazione con una pregressa
TABELLA VI: INDICAZIONI TERAPEUTICHE DALLE LINEE GUIDA CONGIUNTE IDSA/ATS PER IL TRATTAMENTO OSPEDALIERO
NON IN TERAPIA INTENSIVA DELLA POLMONITE ACQUISITA IN COMUNITÀ
Fluorochinolone respiratorio (raccomandazione forte, I livello di evidenza)
Beta-lattamico + macrolide (raccomandazione forte, I livello di evidenza); (tra i beta-lattamici preferire cefotaxime, ceftriaxone, ampicillina; ertapenem in pazienti selezionati; doxiciclina [III livello di evidenza] in alternativa al macrolide. Un fluorochinolone respiratorio nei
casi di pazienti allergici alla penicillina)
Tratto da [10].
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Beta-lattamico (cefotaxime, ceftriaxone, ampicillina/sulbactam) + azitromicina (II livello di evidenza) oppure fluorochinolone
(raccomandazione forte, I livello di evidenza)
(Per i pazienti allergici alla penicillina sono raccomandati sia il fluorochinolone respiratorio sia l'aztreonam)
Per le infezioni da Pseudomonas utilizzare un beta-lattamico antipneumococcico e antipseudomonas (piperacillina/tazobactam, cefepime, imipenem o meropenem) + ciprofloxacina o levofloxacina, però quest'ultima al dosaggio superiore di 750mg/die
oppure
Beta-lattamico antipneumococcico e antipseudomonas + aminoglicoside + azitromicina
oppure
Beta-lattamico antipneumococcico e antipseudomonas + aminoglicoside + fluorochinolone antipneumococcico (per i pazienti allergici
alla penicillina sostituire il beta-lattamico con aztreonam) (raccomandazione moderata, III livello di evidenza)
Per le forme acquisite in comunità di infezione da Staphylococcus aureus meticillino-resistente, aggiungere vancomicina o linezolid
(raccomandazione moderata, III livello di evidenza)
Tratto da [10].
influenza od una terapia antibiotica, in particolare
con fluorochinoloni, oppure di lesioni cavitarie con
anamnesi negativa per aspirazione di anaerobi, di
abuso di droghe iniettabili o negli stadi terminali
dell'insufficienza renale. Per quanto l'emergenza di
CA-MRSA sia rara rispetto agli stafilococchi resistenti isolati in ambito ospedaliero, è stato rilevato,
in questi casi, un eccesso di mortalità correlabile all'inappropriata terapia antibiotica iniziale, visto che
la maggior parte dei ceppi di CA-MRSA risultano
più suscettibili agli antibiotici non beta-lattamici,
inclusi cotrimossazolo e fluorochinoloni, ma, soprattutto, vancomicina e linezolid [10,55].
Le linee guida europee trattano in modo leggermente diverso le polmoniti acquisite in comunità
ed ospedalizzate, suddividendole in moderate e
gravi; queste ultime distinte ulteriormente dal rischio o meno di isolamento di Pseudomonas; le
CAP moderate andrebbero trattate con il beta-lattamico (penicillina G, aminopenicilline, eventualmente associate ad inibitore delle beta-lattamasi,
oppure cefalosporine non antipseudomonas di 2ª o
3ª generazione) eventualmente in associazione con
un macrolide di 2ª generazione come prima scelta
e, in alternativa, vengono proposti i fluorochinoloni levofloxacina e moxifloxacina (Tabella VIII) [17].
Le polmoniti acquisite in comunità gravi, ma senza
il rischio di infezione da Pseudomonas, richiedono
invece l'impiego della cefalosporina di 3ª generazione non-antipseudomonas, in associazione sempre con il macrolide oppure con il fluorochinolone
(levofloxacina, moxifloxacina); in caso di rischio di
infezione da Pseudomonas la polmonite acquisita
in comunità grave andrà trattata con una cefalosporina antipseudomonas di 3ª generazione, oppure
un'acilureidopenicillina/inibitore delle beta-lattamasi, oppure ancora, un carbapenemico, tutti in associazione con ciprofloxacina (Tabella IX) [17].
In conclusione, per la CAP moderata ospedalizzata,
le differenze tra le linee guida internazionali europee e statunitensi non sono molte e riguardano
l'impiego dei fluorochinoloni respiratori, come alternativa all'associazione beta-lattamico + macrolide, nelle linee guida ERS, mentre le linee guida
IDSA/ATS considerano le due opzioni entrambe di
prima scelta, quantomeno per il trattamento della
CAP non ospedalizzata in terapia intensiva; sempre
per la stessa indicazione, altra leggera differenza
delle linee guida europee è che non associano costantemente il macrolide al beta-lattamico, considerando opzionale la terapia di associazione, che,
però, diventa obbligatoria in caso di CAP grave (sospetta legionellosi) ed ospedalizzata. Ulteriore differenza delle linee guida europee è che non con-
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Linee guida per la gestione della CAP - Guidelines for the management of CAP
TABELLA VII: INDICAZIONI TERAPEUTICHE DALLE LINEE GUIDA CONGIUNTE IDSA/ATS PER IL TRATTAMENTO IN TERAPIA
INTENSIVA DELLA POLMONITE ACQUISITA IN COMUNITÀ
TABELLA VIII: ALTERNATIVE TERAPEUTICHE SUGGERITE DALLE LINEE GUIDA ERS PER IL TRATTAMENTO DELLA POLMONITE
ACQUISITA IN COMUNITÀ MODERATA ED OSPEDALIZZATA
Terapie di prima scelta*
Terapie alternative**
Penicillina G ± macrolide°
Aminopenicillina ± macrolide°
Aminopenicilline/inib. beta-latt. ± macrolide°
Cefalosporina II o III generazione
non antipseudomonas ± macrolide°
Levofloxacina
Moxifloxacina°°
* in regioni con bassi livelli di resistenza in S. pneumoniae; ** in regioni con crescenti livelli di resistenza in S. pneumoniae oppure in caso di
intolleranza alla terapia di prima scelta; ° preferire i nuovi macrolidi all'eritromicina; °° tra i fluorochinoloni moxifloxacina è la molecola con una
superiore attività vs S. pneumoniae.
Tratto da [17].
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TABELLA IX: ALTERNATIVE TERAPEUTICHE SUGGERITE DALLE LINEE GUIDA ERS PER IL TRATTAMENTO DELLA POLMONITE
ACQUISITA IN COMUNITÀ GRAVE ED OSPEDALIZZATA
Assenza di fattori di rischio per Pseudomonas aeruginosa
Cefalosporina non antipseudomonas di III generazione + macrolide*
oppure
Cefalosporina non antipseudomonas di III generazione + moxifloxacina o levofloxacina
Presenza di fattori di rischio per Pseudomonas aeruginosa
Cefalosporina antipseudomonas** + ciprofloxacina
oppure
Acilureidopenicillina/inibitore delle β-lattamasi + ciprofloxacina
oppure
Carbapenemico + ciprofloxacina
* preferire i nuovi macrolidi all'eritromicina; ** cefepime non ceftazidime.
Tratto da [17].
templano, in caso di CAP grave sostenuta da
Pseudomonas aeruginosa, l'utilizzo degli aminoglicosidi in associazione ai beta-lattamici o ai fluorochinoloni respiratori, come invece previsto dalle linee guida IDSA/ATS [10,17].
Le due linee guida, invece, concordano totalmente
per gli aspetti correlati alla terapia quali il momento di inizio, la via di somministrazione, il momento
dello switch endovenoso/orale e la durata della terapia, fornendo indicazioni sovrapponibili.
Relativamente alla via di somministrazione questa
dovrebbe essere prevalentemente orale nelle CAP
curate domiciliarmente, mentre, al contrario, dovrebbe essere quasi sempre parenterale nei pazienti ospedalizzati, anche se, in alcuni casi di CAP
ospedalizzata per esigenze sociali e senza fattori di
rischio o comorbilità, può essere anche orale
[10,17].
Relativamente all'inizio della terapia, sia in ambito
ospedaliero sia domiciliare, si dovrebbe iniziare il
più presto possibile, entro le prime 4 ore, senza attendere indagini radiografiche o microbiologiche
[10,17]. Inoltre i pazienti con CAP andrebbero trattati per almeno 5 giorni prima di sospendere la terapia, purché apiretici da 24-48 ore e con un solo
segno di instabilità clinica associato alla CAP.
Durate più prolungate andrebbero prese in considerazione nel caso di insuccesso della terapia iniziale ed in presenza di complicanze extrapolmonari quali le meningiti e/o le endocarditi.
Relativamente al momento dello switch da parenterale ad orale entrambe le linee guida concordano di
effettuare questo cambiamento quando il paziente
è in condizioni di stabilità emodinamica, migliorato clinicamente ed in grado di assumere il trattamento per via orale; l'osservazione del paziente
ospedalizzato ed in trattamento orale non è consigliata [10,17].
Infine, entrambe le linee guida si occupano anche
di prevenzione della polmonite acquisita in comunità, indicando due momenti fondamentali nell'abolizione dell'abitudine al fumo di tabacco e nelle
strategie vaccinali; in particolare aumentare le pratiche vaccinali (antinfluenzali e antipneumococco)
per i pazienti con fattori di rischio, con l'obiettivo
di vaccinare il 90% degli adulti con età ≥ 65 anni.
CONCLUSIONI
La corretta applicazione delle linee guida per la gestione del paziente con CAP ha prodotto numerose
conseguenze molto favorevoli: in primo luogo la riduzione della mortalità e gli esiti clinici della malattia più favorevoli [56-59]; inoltre la scelta corretta della sede di trattamento, con riduzione significativa del numero di pazienti ricoverati per polmonite acquisita in comunità di minore gravità [58,60]
ha ripercussioni economiche molto favorevoli [61],
visto che il costo di una CAP trattata al domicilio risulta fino a 25 volte inferiore rispetto ad una CAP
ospedalizzata; analogamente, grazie alla applicazione delle indicazioni contenute nelle linee guida,
si è osservata una significativa riduzione (fino a 3,3
giorni, in media > 1,5 giorni) della degenza ospedaliera [58,59,62,63].
Le tabelle X e XI riportano, rispettivamente, gli elementi più importanti da tener presenti nell'implementazione delle linee guida e gli elementi di criticità per valutarne l'efficacia.
L'obiettivo primario della terapia è l'eradicazione
del microrganismo infettante con conseguente risoluzione clinica dell'infezione; tuttavia, fino a che
non saranno disponibili metodiche diagnostiche
più rapide ed attendibili, il trattamento della maggior parte dei pazienti rimane impostato su basi empiriche.
Per evitare il rischio di resistenze batteriche, soprattutto verso lo Streptococcus pneumoniae, il microrganismo più spesso isolato nelle CAP, sia trattate al
domicilio sia ospedalizzate, è necessario usare
l'antibiotico più efficace verso questo patogeno,
contemporaneamente dotato di una potente azione
antibatterica verso i patogeni respiratori comunemente coinvolti.
La resistenza di Streptococcus pneumoniae ai macrolidi è in continuo aumento; ci sono evidenze in
letteratura sugli insuccessi clinici nel trattamento
della CAP dei macrolidi e dei vecchi fluorochinoloni (ciprofloxacina e levofloxacina), mentre, ad oggi,
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Tutti i pazienti
• Inizio del trattamento nella sede di diagnosi (es. pronto soccorso per il paziente ospedalizzato)
• Scelta dell'antibiotico
- Empirica
- Specifica
• Supporto alla decisione di ricovero
• Valutazione dello stato di ossigenazione del paziente
• Supporto alla decisione di ricovero in terapia intensiva
• Cessazione del fumo di tabacco
• Somministrazione di vaccini anti-influenzali ed anti-pneumococcici
• Valutazione del follow-up
Esclusivamente per i pazienti ricoverati
• Test diagnostici
- Tempistica
- Tipologia di test
• Profilassi contro i fenomeni tromboembolici
• Mobilizzazione precoce
• Toracentesi per i pazienti con significativi versamenti pleurici
• Supporto alla decisione di dimissione
• Educazione del paziente
Tratto da [10] mod.
TABELLA XI: ELEMENTI CRITICI PER LA VALUTAZIONE DI EFFICACIA DELLE LINEE GUIDA PER LA GESTIONE DELLA POLMONITE
ACQUISITA IN COMUNITÀ
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Linee guida per la gestione della CAP - Guidelines for the management of CAP
TABELLA X: ELEMENTI IMPORTANTI DA TENERE IN CONSIDERAZIONE NELL'IMPLEMENTAZIONE DI LINEE GUIDA SULLA
GESTIONE DELLA POLMONITE ACQUISITA IN COMUNITÀ
Mortalità
Livelli di ricovero ospedaliero
Livelli di ricovero in terapia intensiva
Ritardi nel ricovero in terapia intensiva
Fallimenti terapeutici
Tossicità ed effetti collaterali
Livelli di resistenza nei più comuni patogeni
Durata del ricovero
Ritorno non previsto al Pronto Soccorso o all'ambulatorio del MMG
Ripresa delle normali attività quotidiane
Soddisfazione del paziente
Costi terapeutici
Tratto da [10] mod.
non sono riportati insuccessi utilizzando i fluorochinoloni più recenti come moxifloxacina e gemifloxacina. La raccomandazione di utilizzare l'antibiotico più potente nei pazienti a rischio di infezione da pneumococchi antibiotico-resistenti non è
solo basata su considerazioni di efficacia clinica,
ma anche sulla necessità di prevenire l'emergenza
e la diffusione di ceppi batterici resistenti, sebbene
l'aumento del dosaggio di alcuni antibiotici (penicilline, cefalosporine e levofloxacina) possa, nella
maggior parte dei casi, migliorare la risposta clinica, l'adozione dell'antibiotico più potente porta alla stabilizzazione e perfino alla riduzione dei fenomeni di resistenza batterica.
Sono questi, in sintesi, i messaggi forti contenuti
nelle recenti linee guida congiunte IDSA/ATS rivolti allo specialista pneumologo e al generalista per
un corretto approccio terapeutico al paziente con
polmonite acquisita in comunità.
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Rassegna / Review
Le peculiarità dell'infiammazione della BPCO:
la sfida terapeutica di un processo ad oggi
ancora irreversibile
Inflammation in COPD: a therapeutic challenge still
to be met
Alberto Braghiroli
Divisione di pneumologia Riabilitativa, Fondazione “Salvatore Maugeri” IRCCS, Istituto Scientifico di Veruno (NO)
RIASSUNTO
Non esistono al momento attuale farmaci disponibili in grado di
modificare il declino a lungo termine della funzionalità polmonare nella BPCO, nonostante, al pari dell'asma, sia riconosciuto
all'infiammazione un ruolo centrale nella patogenesi. Poiché l'eziologia è per lo più riconducibile a inalazione di gas e particolato, in genere il fumo di sigaretta, il processo flogistico che si sviluppa risulta poco aggredibile dalla maggior parte dei farmaci
antinfiammatori. I corticosteroidi risulterebbero poco attivi per
una deplezione selettiva del loro substrato elettivo, causata
soprattutto dall'eccesso di ossidanti e di produzione di NO che
riducono l'attività e ne accelerano il catabolismo. Solo sulle riacutizzazioni gli steroidi inalatori si dimostrano efficaci, mentre i
risultati sulla mortalità sono ancora non definitivi.
Strategicamente sarebbe perciò ovvio cercare di aumentare i
livelli di antiossidanti polmonari, ma ciò non è agevole per le
difficoltà di veicolazione. La sola somministrazione di N-acetilcisteina ha un effetto protettivo sulle riacutizzazioni, ne riduce
inoltre durata e gravità, ma è stata in genere utilizzata ad un
dosaggio di 600 mg die sulla scorta della primigenia indicazione
come mucolitico. In effetti rappresenta un fattore che promuove la sintesi di glutatione, il principale antiossidante presente
nell'albero respiratorio, ma richiede per esplicare tale effetto a
livello clinico un dosaggio da 2 a 3 volte superiore che, sebbene
ben tollerato, attende il riscontro di efficacia con trial clinici
appositamente disegnati o lo sviluppo di nuove modalità di
somministrazione.
Parole chiave: Antiossidanti, BPCO, corticosteroidi, infiammazione, N-acetilcisteina, ossidanti.
ABSTRACT
The long-term progressive decline of respiratory function in
COPD cannot be reversed by any of the currently available ther-
apeutic resources, despite the fact that inflammation is acknowledged, as in asthma, to be the key pathogenetic element.
Unlike asthma, COPD is usually caused by inhalation of gases
and pollutants, mainly cigarette smoke, which promotes an inflammatory cascade poorly responsive to antiinflammatory
drugs, including steroids. Corticosteroids are probably hampered
by the loss of their specific substrate, due to an excess of oxidants and NO production, again a consequence of tobacco, leading to a loss of activity and an increased catabolism. Inhaled
steroids have some effect only on acute exacerbations, whilst
their effect on survival is still debated.
Increasing the concentration of antioxidants in the lung would
be a logical strategy for COPD treatment, but it is difficult to introduce these molecules into the respiratory tract. N-acetylcysteine has shown a protective effect on the number, length and
severity of acute exacerbations, but it is commonly used at a daily dosage of 600 mg on the basis of its former indication as a
mucolytic. This drug has an important antioxidant action per se
and as a promoter of gluthathione synthesis - the most abundant antioxidant agent in the respiratory tract - but this action
becomes clinically relevant only when it is administered at 2 or
3-fold higher doses. Though these higher doses are well tolerated, clinical trials are needed to verify the drug's efficacy for this
specific purpose and the new modalities of administration.
Keywords: Antioxidants, COPD, corticosteroids, inflammation,
N-acetylcysteine, oxidants.
LE BASI MOLECOLARI DELL'INFIAMMAZIONE:
GENERALITÀ
L'infiammazione rappresenta il comune denominatore della maggior parte delle patologie croniche
che possono colpire il nostro organismo. Avviene
Alberto Braghiroli
Fondazione Salvatore Maugeri, Div. di Pneumologia Riabilitativa
Via per Revislate 13, 28010 Veruno (NO), Italia
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 09/07/07 - Accettato per la pubblicazione: 02/08/07
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da N-terminale (Figura 1). Questo meccanismo generale è comune a qualunque via che partendo dall'espressione genica giunge alla sintesi proteica e richiede co-attivatori e fattori di trascrizione che determinano un innesco specifico. Il fattore di trascrizione più noto nel campo dell'infiammazione è il
fattore nucleare κB (NF-κB) che a seguito dell'esposizione cellulare a fattori infiammatori come l'interleuchina (IL)-1β, il fattore di necrosi tumorale-α
(TNF-α) o endotossine induce l'acetilazione dei residui di lisina soprattutto sull'istone H4, provocando così l'espressione di geni che codificano per
proteine infiammatorie tra le quali la più nota è il
fattore stimolante le colonie granulocito macrofagiche (GC-CSF) [3]. Il processo esattamente opposto
è promosso dalle istone deacetilasi (HDACs) - ne
esistono almeno 11 nelle cellule di mammifero che ricompattano la cromatina e bloccano l'espressione genica [1].
I più noti agenti antinfiammatori sono i corticosteroidi. Essendo lipofili diffondono rapidamente attraverso le membrane cellulari e si legano al loro recettore (GR) localizzato all'interno del citoplasma
per penetrare all'interno del nucleo dove si legano
a specifiche sequenze di DNA note come GRE (glucocorticoid response elements). Alcuni GRE incrementano la trascrizione genica, altri invece hanno
attività di tipo soppressivo, spesso responsabile degli effetti collaterali a livello dell'asse ipotalamo-
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Infiammazione nella BPCO - Inflammation in COPD
così che organi e processi patologici apparentemente molto distanti, come l'asma e le malattie infiammatorie intestinali, la BPCO o l'artrite reumatoide vedano il coinvolgimento di elementi cellulari e vie metaboliche del tutto simili accanto ad altre
organo specifiche o peculiari del singolo processo
patologico [1].
La biologia molecolare ha dimostrato che la regolazione dell'espressione dei geni che regolano l'infiammazione è un meccanismo comune che si basa sul rimodellamento della cromatina. In ogni cellula infatti sono contenuti circa 2 m di DNA che devono essere compattati all'interno del nucleo ed organizzati nei cromosomi. La cromatina è appunto
composta da DNA e istoni, che rappresentano in
pratica la struttura proteica portante attorno alla
quale il DNA si spiralizza. Proprio gli istoni sono il
bersaglio della regolazione dei geni che promuovono l'infiammazione, in quanto le loro modificazioni strutturali promuovono la maggiore o minore disponibilità dei tratti di DNA da cui sono avvolti per
il processo di trascrizione del RNA messaggero e
quindi, in ultima analisi, per la sintesi proteica delle proteine infiammatorie [1,2]. La modificazione
strutturale che rende il DNA disponibile all'attacco
della RNA polimerasi per attivare il processo di trascrizione avviene a seguito di una modificazione
della carica elettrica dell'istone causata dalla acetilazione dei residui di lisina presenti nella lunga co-
FIGURA 1: RIMODELLAMENTO DELLA CROMATINA ED ESPRESSIONE GENICA
Repressione
gene muto
Attivazione
trascrizione genetica
CO-ATTIVATORI
Istone acetiltransferasi
CO-REPRESSORI
Istone deacetilasi
(HDAC1-11)
Fattori di
trascrizione
Pol II
mRNA
Proteina
infiammatoria
Attivazione e repressione dei geni sono regolate dalla acetilazione degli istoni che avviene tramite co-attivatori dotati di attività acetiltransferasi
intrinseca. La struttura della cromatina si apre e consente l'attacco della RNA polimerasi II e dei fattori di trascrizione. La istone deacetilasi ha
l'effetto opposto di repressione genica.
Legenda: HDAC, Istone deacetilasi; mRNA, RNA messaggero; Pol II, RNA polimerasi II.
Tratto da [2] mod.
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ipofisario o del metabolismo dell'osso, tuttavia l'azione antinfiammatoria è così ampia e diffusa rispetto al numero di geni - stimato tra 10 e 100 - direttamente regolati dal complesso steroide-recettore che l'attenzione si è spostata al loro possibile effetto sulla struttura della cromatina, quindi sulla
modulazione dell'espressione genica a monte della
trascrizione e della sintesi dei fattori pro infiammatori [1]. La repressione dei geni avverrebbe attraverso la ricompattazione degli istoni legati ai tratti di
DNA che contengono geni infiammatori, invertendo il processo di acetilazione degli istoni e bloccando così l'attacco della RNA polimerasi [4].
Questo effetto è stato dimostrato anche a basse
concentrazioni di steroidi ed è quindi suggestivo di
essere predominante nella regolazione dell'infiammazione delle vie aeree che si ottiene con gli steroidi inalatori. La deacetilasi elettivamente reclutata dai corticosteroidi sarebbe la HDAC2, come dimostrato elegantemente in un esperimento su cellule epiteliali in vitro da Ito e coll. [5] che bloccando
selettivamente la HDAC2 hanno dimostrato un incremento nell'espressione dei geni per GM-CSF ed
una ridotta sensibilità ai corticosteroidi.
Un ulteriore effetto antinfiammatorio verrebbe inoltre esplicato dai corticosteroidi riducendo la stabilità del RNA messaggero che regola la sintesi di svariate proteine infiammatorie [6] esplicando così anche un effetto post trascrizionale [7,8].
PECULIARITÀ DELL'INFIAMMAZIONE NELLA BPCO
RISPETTO ALL'ASMA
La definizione di BPCO proposta dalla Global
Initiative for Chronic Obstructive Lung Disease
(GOLD) recita: “La Broncopneumopatia Cronica
Ostruttiva (BPCO) è una malattia prevenibile e trattabile con significativi effetti extrapolmonari che
possono contribuire alla gravità della patologia nei
singoli pazienti. La sua componente polmonare è
caratterizzata da una persistente limitazione al flusso aereo. La limitazione al flusso è generalmente
progressiva e associata ad una abnorme risposta infiammatoria del polmone a particelle nocive o gas”
[9]. A differenza dell'asma in cui la componente di
iperreattività è alla base del processo infiammatorio
che provoca l'ostruzione, in genere reversibile, del
flusso aereo, nella BPCO la componente eziologica
fondamentale è in genere il fumo di tabacco.
Sebbene entrambe le patologie riconoscano perciò
una componente infiammatoria alla base dei meccanismi cellulari e molecolari che vi sottintendono,
la Tabella I mostra le differenti caratteristiche a livello di cellule, mediatori ed effetti [10].
Nell'asma la componente immunologica è fondamentale, le cellule principali coinvolte sono gli eosinofili e i linfociti CD4+; al contrario nella BPCO
sono macrofagi e neutrofili la linea di difesa contro
l'inalazione di particolato e i linfociti coinvolti sono CD8+. Analogamente sono differenti le popolazioni di interleuchine reclutate e nella BPCO predominano le specie reattive dell'ossigeno oltre al
TNF-α. Anche a livello strutturale l'asma induce denudamento dell'epitelio e solo una modestissima fibrosi, mentre la BPCO comporta distruzione alveolare, metaplasia squamosa, fibrosi [10]. Entro certi
limiti le due patologie potrebbero anche essere distinte sulla base della responsività agli steroidi,
massima nell'asma, minima nella BPCO, nonostante una quota di BPCO riconosca nell'iperreattività il
primum movens della propria patologia e possa
perciò conservare una maggiore sensibilità a questi
farmaci [11] e l'incremento dei β-recettori assicuri
una maggior efficacia dei broncodilatatori quando è
ancora presente una risposta ai beta2-agonisti [12].
a) Effetti degli steroidi inalatori nella BPCO stabile
Premesso che nessuno dei farmaci disponibili al
momento attuale si è dimostrato in grado di modificare il declino a lungo termine della funzionalità
polmonare, il che rappresenta il tratto caratteristico
della BPCO [9,13], sono stati condotti quattro studi
molto ampi, controllati contro placebo che non
hanno evidenziato alcuna differenza nel tasso di riduzione della funzionalità respiratoria utilizzando
steroidi inalatori [14-17]. Sono state anche effettuate due revisioni sistematiche della materia che sono
giunte a conclusioni esattamente opposte tra loro
TABELLA I. CARATTERISTICHE DIFFERENZIALI DELL'INFIAMMAZIONE NELL'ASMA E NELLA BPCO
Infiammazione
Asma
BPCO
Cellule
Eosinofili
Linfociti T CD4+
Macrofagi +
Mastociti
Neutrofili
Linfociti T CD8+
Macrofagi +++
Mediatori
Leucotriene B4, istamina
IL-4, IL-5, IL-13
ROS +
Leucotriene B4
IL-8, TNF-±
ROS +++
Effetti
Colpisce tutte le vie aeree
Fibrosi modesta
Perdita dell'epitelio
Colpisce le vie aeree periferiche con distruzione alveolare
Fibrosi +
Metaplasia squamosa
Risposta agli steroidi
+++
±
Legenda: CD, Cluster di differenziazione; IL, interleuchina; ROS, specie reattive dell'ossigeno; TNF, fattore di necrosi tumorale.
Tratto da [10] mod.
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sti studi che mostra un miglioramento medio di circa 53 ml del FEV1 con il trattamento. Anche i 10
studi che si ponevano come scopo un miglioramento del FEV1 di almeno il 20% dimostrano che questo avviene con un odds ratio (OR) di 2,72 a favore
del trattamento [24]. Un numero ancor più limitato di
studi ha valutato la distanza percorsa al test del cammino, incrementata con lo steroide di 29 metri. Gli effetti collaterali risultavano elevati, con circa 1 paziente ogni 9 colpito da effetti collaterali (OR 7,8) [24].
Il bilancio non risulta perciò anche in questo caso
molto favorevole.
c) Effetti degli steroidi nella BPCO riacutizzata
Un breve ciclo di steroidi sistemici induce un netto
miglioramento della funzionalità respiratoria (140
ml di FEV1 in più a 72 ore), un minor tasso di fallimento del trattamento (OR 0,48) e un miglioramento più evidente dell'emogasanalisi con un tasso accettabile di effetti collaterali (OR 2,3) [26]. Le linee
guida GOLD [9] recepiscono questa indicazione
raccomandandola però per la gestione ospedaliera
delle riacutizzazioni (Evidenza A) e senza una certezza sul dosaggio ottimale che, per analogia col
punto precedente, viene identificato attorno ai 3040 mg/die di prednisolone (Evidenza C).
d) L'ipotesi di Barnes sulla corticoresistenza nella
BPCO
Riprendendo le basi molecolari del meccanismo
d'azione degli steroidi, Peter Barnes propone che la
differenza sostanziale tra asma e BPCO risieda proprio nella possibilità di attivare le istone deacetilasi, soprattutto la HDAC-2 [2]. Il meccanismo è
schematizzato nella Figura 3. È soprattutto il fumo
di sigaretta ad innescare un incremento dello stress
ossidativo e nitrativo nella BPCO che poi si perpetua ed incrementa progressivamente in parallelo
con il peggioramento della funzione respiratoria
[27,28]. Ne deriva un incremento di perossinitrito,
un composto fortemente attivo nel nitrificare i residui di tirosina di alcune proteine, tra cui appunto la
HDAC-2 nei macrofagi e nel polmone profondo dei
pazienti con BPCO [2]. L'incremento dell'IL-8 procede di pari passo e rappresenta quasi un marker di
questo processo. La tirosina nitrata consente l'attacco dell'ubiquitina, un piccolo peptide che si lega
mediante acilazione a livello della lisina con la sua
estremità C-terminale e proprio questo legame stimola la proteolisi della molecola, cosicché nella
BPCO si viene ad avere uno squilibrio tra un eccesso di acetilazione degli istoni legati a geni che codificano per mediatori infiammatori ed un deficit di
FIGURA 3: IPOTESI DI BARNES SULLA RESISTENZA AGLI STEROIDI NELLA BPCO
NORMALI
ASMA BRONCHIALE
Stimoli
BPCO
ASMATICI FUMATORI
Corticosteroidi
Fumo di sigaretta
Macrofago
alveolare
Stress ossidativo
Perossinitrito
Acetilazione
dell'istone
Acetilazione
dell'istone
Acetilazione dell'istone
La stimolazione dei macrofagi alveolari nei soggetti normali o con asma attiva l'NF-κB e altri fattori di trascrizione che inducono, mediante la
istone acetiltransferasi, una acetilazione dell'istone e quindi la trascrizione dei geni che codificano per proteina infiammatoria, come il fattore di
necrosi tumorale-α (TNF-α) e l'interleuchina(IL)-8. Il complesso corticosteroide-recettore (GR) recluta istone deacetilasi (HDAC)-2 che al contrario promuove una repressione dei geni che codificano per proteine infiammatorie. Nei pazienti con BPCO e negli asmatici fumatori è il fumo
di sigaretta ad attivare i macrofagi, ma anche ad innescare una cascata ossidativa che induce la formazione di perossinitrito, una molecola chiave nel meccanismo di resistenza agli steroidi (vedi figura successiva).
Legenda: MMP, matrix metalloproteinase.
Tratto da [2] mod.
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teofillina a basso dosaggio sarebbe in grado di invertire l'inattivazione del HDAC-2 nei macrofagi
dei pazienti con BPCO ripristinando così la sensibilità all'azione degli steroidi [32], ma per contrastare la formazione di perossinitrito è necessario inibire la NO sintetasi inducibile (iNOS) (alcuni inibitori sono attualmente in fase sperimentale) e riportare
la bilancia ossidanti/antiossidanti ad un rapporto
più favorevole.
STRESS OSSIDATIVO E INFIAMMAZIONE
NELLA BPCO
Caratteristiche e conseguenze dello stress ossidativo nella BPCO sono state oggetto di una recente
estensiva revisione su questa stessa rivista [33], ci limiteremo perciò a sottolineare gli aspetti cruciali
per lo sviluppo di un piano terapeutico combinato,
volto a contrastare le caratteristiche peculiari della
flogosi connessa alla BPCO.
Gli ossidanti sono composti instabili, che possono
donare o sottrarre elettroni da molecole altrimenti
stabili e per questo motivo sono anche denominati
radicali liberi [33]. Nella BPCO la fonte principale
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Infiammazione nella BPCO - Inflammation in COPD
istone deacetilasi selettiva proprio per questi istoni
(HDAC-2). Gli steroidi in pratica si troverebbero
privi del substrato che ne consente l'azione e il risultato è un netto incremento della sintesi di mediatori come il TNF-α, la IL-8 e le metalloproteasi
(MMP)-9 che amplificano ulteriormente la risposta
infiammatoria [2]. Esiste anche una riprova in vitro
di questo meccanismo: utilizzando un vettore virale è stato possibile ottenere in macrofagi alveolari
una sovraespressione di HDAC-2 che ha ripristinato in queste cellule la risposta allo steroide [5]. Nei
soggetti con asma che fumano lo stress ossidativo
provoca una minore sensibilità agli steroidi [29];
anche in questo caso è stata dimostrata una marcata riduzione di HDAC-2 rispetto a soggetti asmatici
di pari gravità, ma non fumatori [30].
La Figura 4 mostra come un'alleanza terapeutica sia
possibile sia per ridurre la formazione di perossinitrito che per ripristinare attività ed espressione del
HDAC-2. Ovviamente l'abolizione del fumo di sigaretta rappresenta un elemento cardine in quanto
agente causale principale dello stress ossidativo e
nitrativo, anche se la steroide resistenza tende a
persistere anche una volta cessato il fumo perché i
meccanismi tendono ad automantenersi [31]. La
FIGURA 4: POSSIBILI “ALLEANZE TERAPEUTICHE” PER RIPRISTINARE LA SENSIBILITÀ AGLI STEROIDI NELLA BPCO
Macrofago Neutrofilo
Fumo di sigaretta
Infiammazione
Inibitori delle iNOS
Antiossidanti
Perossinitrito
Teofillina
Acetilazione
? Espressione di geni infiammatori
Scavenger del perossinitrito
Distruzione
proteosomica
Geni infiammatori
? Risposta agli steroidi
L'anione superossido (O2-) e l'ossido nitrico (NO) prodotti dal fumo di sigaretta e dalla liberazione in loco ad opera delle cellule infiammatorie
promuovono la formazione di perossinitrito che causa una nitrificazione dell'HDAC-2, probabilmente su un residuo di tirosina (Tyr) molto prossimo al sito catalitico. Oltre a ridurre l'attività dell'HDAC-2 favorisce l'attacco dell'ubiqutina (Ub) che ne promuove il catabolismo. Lo steroide si
ritrova così un substrato d'azione poco attivo e sempre meno abbondante in quanto la produzione di mediatori infiammatori amplifica a monte
questo meccanismo.
La figura mostra i possibili siti di attacco di "alleati terapeutici" come gli antiossidanti, gli inibitori della NO sintetasi inducibile (iNOS) (attualmente in fase sperimentale), gli scavenger del perossinitrito e la teofillina che, anche a basso dosaggio, pare in grado di invertire l'inattivazione
del HDAC-2 nei macrofagi.
Tratto da [2] mod.
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di ossidanti è il fumo di tabacco: in ogni puff si calcola siano contenute circa 1017 molecole ossidanti
cui si possono aggiungere i normali inquinanti atmosferici come l'ozono e le polveri sottili (PM 10 2,5), specie nelle grandi città [34]. Vi è inoltre una
produzione endogena legata all'attività dei mitocondri, alla fagocitosi, ecc. normalmente controbilanciata da una serie di antiossidanti di origine enzimatica e non [35]. Lo stress ossidativo si produce
quando questo equilibrio è perso a favore degli ossidanti che oltre a potere produrre un danno cellulare diretto, rappresentano degli induttori ed amplificatori della flogosi nell'apparato respiratorio e a livello sistemico [36]. Una stima diretta dell'attività
ossidativa presente nelle vie aeree si può ottenere
misurando la quota di H2O2 nel liquido di lavaggio
broncoalveolare (BALF) o di ossido nitico (NO) nell'espirato. Poiché quest'ultimo è prodotto in parte
da una sintetasi costitutiva (cNOS) e in parte da una
inducibile (iNOS) che appunto è indotta dai processi infiammatori, l'NO può essere considerato un
marker sia di infiammazione che di stress ossidativo [37].
a) Basi molecolari dell'infiammazione indotta da
ossidanti
Oltre al già citato incremento della formazione di
perossinitrito, forse alla base del meccanismo di re-
sistenza agli steroidi nella BPCO, sono noti molti
altri meccanismi con cui gli ossidanti inducono e
perpetuano i processi infiammatori. Le cellule epiteliali che rivestono le vie aeree rilasciano IL-8 e
TNF-α durante stress ossidativo [38-40] e nei soggetti BPCO i livelli sono più alti rispetto ai fumatori non-BPCO e ai soggetti normali. Gli stessi mediatori si repertano nell'espettorato [41] e nelle biopsie
tissutali [42] dei soggetti con BPCO, in modo spesso proporzionale al numero di neutrofili presenti
[43] che a sua volta correla con la gravità dell'ostruzione bronchiale [44].
La Figura 5 riassume altre vie di amplificazione del
processo flogistico che coinvolgono vari mediatori
dell'infiammazione. Un ruolo chiave è quello del
NF-κB, contenuto nel citoplasma sotto forma inattiva perché legato alla sua proteina inibitoria (IκB),
dalla quale viene scisso a seguito dell'azione degli
ossidanti. Questi infatti provocano il rilascio di mediatori che attaccano la IκB, ne facilitano la proteolisi inducendo così un eccesso di NF-κB che va a
legarsi al suo sito specifico all'interno del nucleo,
promuovendo la sintesi di ulteriori fattori infiammatori e quindi un processo a cascata che si rinforza a
monte con la quota sempre maggiore di mediatori
infiammatori che viene prodotta [46,47].
Lo stress ossidativo aumenta l'espressione, ma anche l'attivazione, del fattore di crescita tumorale
FIGURA 5: ATTIVAZIONE ED AMPLIFICAZIONE DELL'INFIAMMAZIONE INDOTTA DALLO STRESS OSSIDATIVO COLLEGATO AL
FUMO DI TABACCO
Citoplasma
Nucleo
Fumo di sigaretta
ERK
Stress
ossidativo
Trascrizione
JNK
c-jun/AP-1
p38
iκK
ikB
p65
Geni proinfiammatori
NF-κB
P
p50
Infiammazione
P
Degradazione IκB
Oltre a facilitare la formazione di perossinitrito lo stress ossidativo ha un'attività proinfiammatoria che riconosce numerosi mediatori e continua
rinforzare a monte la cascata infiammatoria e l'attivazione di geni proinfiammatori.
Legenda: AP-1, Proteina attivante 1; ERK, chinasi extracellulare signal-related; IκK, inibitore della κB kinase; JNK, chinasi c-Jun N-terminale;
NF-κB, fattore nucleare κB; P, Fosfato.
Tratto da [45] mod.
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b) Effetti polmonari dell'infiammazione indotta da
ossidanti
La segnalazione ripetuta di una correlazione tra i
marker di stress ossidativo e il livello di ostruzione
bronchiale nei pazienti con BPCO parrebbe suggestiva per una influenza sul meccanismo patogenetico della limitazione di flusso, tuttavia la correlazione con l'infiammazione potrebbe da sola spiegare
tale associazione senza necessariamente un ruolo
diretto di danno cellulare o tissutale [38,54,55]. Le
cellule dell'epitelio che riveste le vie aeree sono tuttavia in prima linea nel contatto con il fumo inalato che provoca un incremento transitorio della permeabilità epiteliale parzialmente reversibile con
l'azione degli antiossidanti [53,56]. I livelli di glutatione sia intra che extracellulari risultano perciò critici e anche in questo la predisposizione genetica
può svolgere un ruolo sulla suscettibilità individuale ai danni da fumo di tabacco.
Anche i neutrofili risentono del fumo di tabacco in
quanto si riduce la loro deformabilità [57], da cui
deriva una maggiore sequestrazione a livello polmonare [58]. Vi è infatti una notevole quota di neutrofili abitualmente sequestrata nel microcircolo
polmonare a causa del lento movimento causato
dalla discrepanza tra il calibro dei capillari polmonari, attorno a 5 µm, e la dimensione media dei
neutrofili che si aggira attorno ai 7 µm. Poiché la
quota di neutrofili sequestrati è inversamente proporzionale alla loro deformabilità è possibile che
questo più prolungato soggiorno faciliti il passaggio
all'interno dell'interstizio e degli alveoli, iniziando
così quel processo di incremento della popolazione cellulare tipico dei fumatori. C'è chi suppone
che questi neutrofili possano essere attivati proprio
dal fumo e possano perciò rilasciare specie reattive
dell'ossigeno proprio in un microambiente dove i
classici scavenger non sono disponibili, iniziando
così un processo di distruzione delle pareti alveolari e quindi lo sviluppo di enfisema, con un meccanismo differente rispetto al classico sbilancimento
tra proteasi ed antiprotasi [45]. È interessante notare che la deformabilità è reintegrata, almeno in vitro, dagli antiossidanti [59].
La Tabella II riassume le altre alterazioni delle componenti polmonari causate da stress ossidativo.
A Braghiroli
Infiammazione nella BPCO - Inflammation in COPD
(TGF)-β1, che risulta incrementato nelle cellule epiteliali delle vie aeree dei fumatori e ancor più nei
BPCO [48,49], in modo direttamente correlato al
tabagismo ed inversamente correlato al FEV1 [50].
Oltre ad amplificare a sua volta la risposta infiammatoria, questa sostanza provoca una down-regolazione della γ-glutamilcisteina sintetasi (GCS) nelle
cellule epiteliali alveolari, con conseguente alterazione del contenuto di glutatione [51].
Lo sbilanciamento ossidanti/antiossidanti può anche provenire da una riduzione di questi ultimi.
L'antiossidante più importante a livello alveolare è
il glutatione (GSH) che è presente nel fluido di rivestimento epiteliale in concentrazioni maggiori rispetto a quelle plasmatiche [52] e nei soggetti fumatori in misura maggiore rispetto ai non fumatori,
anche se l'esposizione in acuto al fumo di sigaretta
provoca una momentanea deplezione di GSH [53].
Così se da un lato l'organismo tenta di reagire con
un aumento della produzione di antiossidanti, la ripetuta somministrazione del fumo ad intervalli ravvicinati può annullare questo meccanismo di compenso giungendo quando ancora vi è la deplezione
di antiossidanti seguita alla somministrazione precedente.
TABELLA II: DANNI POLMONARI INDOTTI DALLO STRESS OSSIDATIVO
Vie aeree
Contrazione cellule muscolari lisce
Alterazione funzionale β-recettori
↑ secrezione bronchiale
Attivazione mastociti
Alveoli
↑ permeabilità
↑ lisi cellulare
Matrice polmonare
↓ sintesi elastina e frammentazione
↓ sintesi collagene e frammentazione
Depolimerizzazione proteoglicani
Antiproteasi
Inattivazione inibitore α1-antitripsina
Inattivazione inibitore della secrezione di leucoproteasi
Circolo polmonare
Alterazione funzionale delle cellule muscolari vascolari
↑ permeabilità microcircolo
Sequestro neutrofili
Adesione neutrofili all'endotelio
Fattori di trascrizione
Attivazione geni codificanti per TNF-α, IL-8 e altre proteine infiammatorie
Legenda: IL, interleuchina; TNF, fattore di necrosi tumorale.
Tratto da [60] mod.
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c) Effetti sistemici dell'infiammazione indotta da
ossidanti
Gli stessi meccanismi e mediatori descritti a livello
polmonare possono causare flogosi sistemica, con
disfunzione del muscolo scheletrico fino alla cachessia [61] e proprio allo stress ossidativo è imputata la maggiore responsabilità di questo processo.
La perdita di peso, soprattutto a carico della massa
magra, riduce lo stato di salute complessivo del paziente e si associa ad una prognosi più sfavorevole
[62,63]. L'omeostasi redox nel BPCO è abitualmente conservata a riposo, ma durante esercizio fisico
aumenta la produzione di ROS a livello mitocondriale in modo abnorme e la perossidazione lipidica altera il bilancio tra glutatione ossidato e ridotto
(GSSG/GSH) [64,65], a differenza di quanto succede nei soggetti sani in cui tale bilancio non viene
toccato. Questo dato suggerisce che la risposta allo
stress ossidativo del muscolo sia alterata nei pazienti con BPCO ed è stato segnalato che in quelli con
componente enfisematosa e cachessia i livelli di
glutatione nel vasto laterale risultano ridotti, oltre
ad avere più bassi livelli di glutamato, substrato essenziale per sintetizzare il GSH [66]. Altre sorgenti
di ROS proposte sono: la catena di trasporto degli
elettroni a livello mitocondriale stimolata dal TNF,
notoriamente incrementato nelle forme cachettizzanti [67], gli infiltrati leucocitari segnalati nei muscoli dei pazienti con BPCO [68], l'attività della
xantina/xantina ossidasi [69] e l'aumento di NO
modulato dal NF-κB [68]. La stessa struttura muscolare si è dimostrata più fragile sotto l'effetto degli
ossidanti [70] e l'apparato contrattile può risultare
deficitario a seguito dell'ossidazione di gruppi sulfidrilici nelle miofibrille. Infine la massa muscolare
può depletarsi progressivamente per lo stress ossidativo che non permette l'espressione di proteine di
struttura muscolari e provoca apoptosi [71].
GLI ANTIOSSIDANTI NELLA BPCO STABILE
Gli antiossidanti endogeni sono classicamente distinti in enzimatici, come le superossido dismutasi
(SOD) - tre isoenzimi di cui il più abbondante è la
Cu/Zn SOD che catalizzano la dismutazione del radicale superossido a H2O2 e ossigeno - la catalasi,
la glutatione perossidasi, la tioredoxina e la GSH
S-transferasi [72] e in non enzimatici, per lo più
piccole molecole come GSH, urato, vitamina C ed
E, bilirubina, acido lipoico.
Nel tentativo di contrastare l'eccesso di ossidanti
della BPCO sono stati tentati vari approcci terapeutici, dettagliati nella recente revisione di Rahman
[33] su questa rivista. Il razionale consiste ovviamente nel tentare di bloccare almeno uno dei passaggi chiave che portano all'eccesso finale di ossidanti e poiché molti meccanismi sono stati acclarati in tempi recenti buona parte dei farmaci pensati
per questo approccio sono ancora in fase sperimentale o limitati ad esperienze in vitro.
Poiché è la flogosi il primum movens della produzione di ossidanti e la rimozione del fumo di tabacco non è sufficiente a bloccare un meccanismo or-
40 MRM
mai autoperpetuante, il primo bersaglio è la componente neutrofila che viene sequestrata a livello
polmonare. Interessante da questo punto di vista
può essere l'osservazione che l'N-Acetilcisteina
(NAC) ripristina almeno in vitro la deformabilità dei
neutrofili momentaneamente inibita dal fumo di tabacco, consentendo così una possibile riduzione
del tempo di transito nei capillari polmonari e quindi una minore sequestrazione polmonare [59].
Sono promettenti gli studi effettuati in vitro su un
inibitore della fosfodiesterasi 4, il cilomilast, che incrementando l'AMP ciclico porta ad una stabilizzazione dei neutrofili e quindi ad un minor rilascio di
mediatori cui consegue una riduzione delle ROS
nel mezzo di cultura [73].
Aumentare la produzione endogena di antiossidanti con la manipolazione genetica, utilizzare mimetici degli antiossidanti endogeni, come la SOD ricombinante, o trappole per radicali (spin trap) rappresentano l'orizzonte prossimo, ma ancora non alla portata del clinico [33] che al momento ha a disposizione solo la possibilità di somministrare antiossidanti.
Il problema cardine della terapia con antiossidanti
è riuscire ad incrementarne la biodisponibilità a livello polmonare. La somministrazione di vitamina
C ed E ai fumatori non ha sortito grandi risultati [7476]. I tentativi di somministrare GSH per via sistemica sono risultati poco produttivi per la scarsa efficienza del trasporto all'interno delle cellule [77] e
la somministrazione per via aerosolica tende ad indurre iperreattività bronchiale [78].
Per potenziare la produzione endogena di GSH la
tappa limitante è la disponibilità del composto tiolico cisteina che non può essere somministrata direttamente dall'esterno perché viene ossidata a cistina che è neurotossica [79]. Il donatore di cisteina
più utilizzato in terapia è la NAC, di cui è noto l'effetto mucolitico diretto per la capacità di spezzare
i ponti S-S nel muco trasformandoli in due gruppi
-SH, che dopo la metabolizzazione intestinale è
deacetilata a cisteina [80]. In realtà la NAC può
esercitare anche un'azione antiossidante diretta in
quanto il gruppo tiolico libero di cui è provvista
può interagire con i gruppi elettrofili delle ROS, tuttavia è la sua capacità di incrementare i livelli di
GSH ad essere particolarmente allettante alla luce
dello schema patogenetico che abbiamo illustrato.
L'ottimo indice terapeutico e la tollerabilità della
molecola hanno consentito lo svolgimento di alcuni trial terapeutici [33,109,110], ma l'utilizzo consolidato al dosaggio di 600 mg al giorno a scopo
mucolitico potrebbe avere inficiato la possibilità di
una reale efficacia come antiossidante. Infatti la
somministrazione orale di 600 mg in volontari sani
ha portato ad un aumento di glutatione e cisteina
plasmatici, ma non a modificazioni nel BALF, suggerendo che l'organo bersaglio probabilmente non
è raggiunto in modo elettivo con questo dosaggio
[81]. Nei pazienti con BPCO è stato necessario raggiungere un dosaggio di 600 mg t.i.d. per ottenere
un incremento dei livelli di GSH [82]. Sulla funzionalità respiratoria la NAC ha mostrato effetti positi-
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IL RUOLO DELLA N-ACETILCISTEINA NEL
CONTRASTARE LO STRESS OSSIDATIVO
a) fumo di sigaretta
Abbiamo più volte ricordato come il fumo di sigaretta sia il primum movens della cascata infiammatoria che porta alla BPCO. La NAC è stata oggetto
di una serie di valutazioni legate al danno da fumo
di sigaretta sia in vitro che in ambito sperimentale.
In vitro la NAC è in grado di ridurre le anormalità
indotte dal fumo di sigaretta a carico dei neutrofili
[87], dei macrofagi alveolari, dei fibroblasti e delle
cellule epiteliali [88-91].
Su modello animale è stata studiata la somministrazione di fumo per via tracheale in un modello di
polmone di topo isolato: la somministrazione di
NAC si è dimostrata in grado di prevenire la riduzione di GSH polmonare totale dose-dipendente
[92]. Nel ratto riduce l'iperplasia delle cellule secretorie, previene l'ispessimento della parete delle
vie aeree e riduce le alterazioni a carico delle piccole vie aeree [93].
Sull'uomo sono stati condotti tre studi che hanno
indagato l'effetto della NAC alla dose di 600 mg/die
sui parametri di infiammazione ottenuti dal BAL di
soggetti fumatori sani. La NAC riduce la quota di
neutrofili a favore della popolazione linfocitaria,
migliora la fagocitosi dei macrofagi alveolari ed incrementa la secrezione di leucotriene B4 [90].
Riduce inoltre la produzione di radicali superossido
[94], proteina cationica degli eosinofili, la lactoferrina e l'antichimotripsina [95].
b) stress ossidativo indotto da virus
I virus, in particolar modo quelli con tropismo per
le vie respiratorie (Rhinovirus, virus dell'influenza),
innescano facilmente una cascata infiammatoria su
cui la NAC ha dimostrato un effetto protettivo in
studi sperimentali. Pretrattando i topi con NAC, l'attivazione indotta dal virus influenzale di NF-κB, di
ROS e di IL-8 è nettamente attenuata [96], l'animale è più resistente all'infezione [97] e i tempi di
guarigione sono accorciati, in coincidenza con una
più precoce comparsa di xantina ossidasi [98].
Risultati simili sono stati ottenuti con cellule epiteliali umane infettate da Rhinovirus [99]. Anche la
mortalità da virus influenzale pare inoltre essere almeno in parte mediata dallo stress ossidativo: in un
modello di topo infettato con il virus influenzale la
NAC ad alto dosaggio ha ridotto la mortalità in
coincidenza con un decremento di TNF e IL-6 nel
BALF [100] e se associata ad un agente antivirale
(ribavirina) incrementa la sopravvivenza da 58%
del solo trattamento con antivirale a 92% [101].
c) biomarker di stress ossidativo sull'espirato
In genere questa valutazione viene effettuata sull'espirato condensato (EBC), una metodica semplice
di raccolta del campione in vivo che consente di ottenere un quadro dell'attivazione infiammatoria attraverso il dosaggio di marker elettivi. Il perossido
d'idrogeno (H2O2) è un buon marker di stress ossidativo polmonare perché rappresenta il precursore
di buona parte delle reazioni intracellulari che portano alla produzione di ROS. Nel soggetto sano
non è dosabile, ma nei pazienti con BPCO in fase
stabile è invece dosabile, con un suo ritmo circadiano, e tende ad incrementare ulteriormente in
corso di riacutizzazione [102]. La NAC alla dose di
600 mg/die per 12 mesi riduce in soggetti con FEV1
attorno al 60%-70% del teorico le concentrazioni
di H2O2 nell'EBC rispetto ai soggetti trattati con il
placebo [103]. Una dose elevata di NAC (1,2 gr 2
volte al giorno) è in grado di ridurre la concentrazione di H2O2 nell'EBC anche dopo 30 giorni di terapia, suggerendo che esiste un effetto dose dipendente su questi markers di stress ossidativo [104].
A Braghiroli
Infiammazione nella BPCO - Inflammation in COPD
vi quando somministrata per tempi prolungati. Pela
e coll. hanno evidenziato un miglioramento significativo di FEV1 e MEF50 dopo sei mesi di trattamento
al dosaggio di 600 mg die in pazienti con BPCO
stabile [83]. Aylward e coll. avevano ottenuto dati
analoghi con un trattamento di quattro settimane
che aveva migliorato il FEV1 di 25-30% [84]. Altri
studi non hanno mostrato un analogo beneficio
[85,86].
LA N-ACETILCISTEINA NELLA BPCO RIACUTIZZATA
L'uso della NAC nelle riacutizzazioni bronchitiche
risale alla classica indicazione come mucolitico.
Tuttavia nel 2003 una prima metanalisi degli studi
controllati ha dimostrato che l'utilizzo regolare della NAC riduceva il numero delle riacutizzazioni di
0,07 al mese, la loro durata di 0,56 giorni/mese
[105], oltre ad una riduzione di circa il 30% del rischio di ospedalizzazione [106]. Anche il decorso
della riacutizzazione risulta più agevole utilizzando
la NAC: in 5 studi controllati, 286 su 466 soggetti
(61,4%) che ricevevano NAC hanno riportato un
miglioramento dei sintomi rispetto a 160 pazienti
su 462 (34,6%) che ricevevano placebo: beneficio
relativo di 1,78 (95% IC 1,54-2,05), NNT di 3,7
(95% IC 3,0 - 4,9) [60].
Che cosa sottenda a tale effetto protettivo è difficile
definirlo perché in genere si verifica anche a dosaggi che non comportano un aumento del GSH nel
BALF, è perciò possibile che i molti effetti della
NAC sopra descritti possano concomitare andando
oltre il solo meccanismo antinfiammatorio basato
sull'incremento del GSH. Di rilievo potrebbe essere la sopra citata capacità di protezione rispetto alle infezioni virali o anche l'azione diretta antiossidante della molecola.
Recentemente i dati sono stati nuovamente valutati
a seguito della pubblicazione del trial BRONCUS
[85] che include l'uso degli steroidi inalatori [107].
Utilizzando criteri di inclusione degli studi nella
metanalisi piuttosto rigorosi soprattutto sulla lunghezza del follow-up, in quanto le riacutizzazioni
bronchitiche in soggetti con funzionalità respiratoria non particolarmente compromessa (FEV1 > 50%
del teorico) sono eventi non molto frequenti, si è
confermato l'effetto protettivo della NAC (Figura 6).
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FIGURA 6: METANALISI DELL'EFFETTO DELLA SOMMINISTRAZIONE DI NAC NELLE RIACUTIZZAZIONI BRONCHITICHE
Brithish Thoracic Society [113]
Boman et al. [114]
Multicenter Study Group [115]
Grassi et al. [116]
Hansen et al. [117]
Pela et al. [83]
Rasmussen et al. [118]
Decramer et al. [85]
Effetto complessivo
.1
1
10
Odds Ratio
Tratto da [105] mod.
L'analisi effettuata su 2.214 soggetti conferma una
riduzione del rischio di riacutizzazione (odds ratio
= 0,49; 95% IC [0,32 - 0,74]; p = 0,001), dato che
non era influenzato dalla selezione di pazienti che
continuavano a fumare (odds ratio = 0,36; 95% IC
[0,24 - 0,55]; p < 0,001). Tuttavia se venivano
esclusi i pazienti del trial BRONCUS in trattamento
con steroidi inalatori si otteneva un risultato migliore (odds ratio = 0,42; 95% IC [0,32 - 0,54]; p <
0,0001), mentre la loro inclusione incrementava gli
indici di disomogeneità che non venivano invece
modificati aggiungendo ai pazienti degli altri trial di
epoca pre-steroide inalatorio quelli del BRONCUS
che non assumevano trattamento steroideo inalatorio [107]. Perché esista questa conflittualità apparente tra lo steroide inalatorio e la NAC è difficile ricavarlo dai dati di letteratura, anche perché il
BRONCUS non prevedeva un braccio di controllo
per lo steroide inalatorio, ma gli autori della metanalisi suggeriscono che si potrebbe ipotizzare la
possibilità di popolazioni diversamente responsive
ai due farmaci [107]. Sulla superiorità del risultato
della NAC rispetto ad analoghe metanalisi effettuate sugli steroidi inalatori dovrebbe essere raccomandata cautela perché le popolazioni sono piuttosto eterogenee e le definizioni di riacutizzazione
non necessariamente sovrapponibili. Di certo tuttavia l'accessibilità della NAC, il suo basso costo e la
sostanziale assenza di effetti collaterali sono dati
rassicuranti.
POTENZIALITÀ PER L'UTILIZZO DELLA
N-ACETILCISTEINA AD ALTO DOSAGGIO
Se l'ipotesi sulla corticoresistenza dei BPCO di
Peter Barnes è vera, la maggior parte degli studi effettuati con la NAC non prevede dosaggi in grado di
modificare realmente lo stress ossidativo a livello
alveolare e bronchiale nei pazienti con BPCO per
42 MRM
potere stringere un'alleanza terapeutica volta ad attaccare l'infiammazione su più fronti. Lo studio di
De Benedetto e coll. [104] indica che il dosaggio
giornaliero di 1.200 mg porta ad una riduzione più
efficace dei marker di flogosi nell'espirato ed un recente lavoro di Zuin e coll. [108] conferma che in
BPCO stabili, in stadio GOLD II-III, trattati con NAC
1.200 mg/die si ottiene una riduzione di PCR e
IL-8 maggiore che con il dosaggio di 600 mg/die oltre che rispetto al placebo. Nessuno dei due studi
ha segnalato problemi di tolleranza ai dosaggi più
elevati. Un trial effettuato su pazienti con fibrosi
polmonare utilizzando 1.800 mg al giorno per un
anno in associazione alla terapia standard è ulteriormente rassicurante da questo punto di vista
[109].
CONCLUSIONI
L'infiammazione nella BPCO ha una valenza simile a quella dell'asma, ma riconosce mediatori, cellule e meccanismi molecolari molto differenti. A
differenza di quanto ormai consolidato nell'asma,
nella BPCO siamo ancora molto lontani dal mettere l'infiammazione sotto controllo ed infatti nessun
farmaco ad oggi si è dimostrato in grado di invertire il declino a lungo termine della funzionalità polmonare. La genesi è sicuramente multifattoriale, ma
le caratteristiche eziologiche, per lo più riconducibili al fumo di tabacco, innescano una serie di vie
metaboliche che non consentono agli steroidi di
esplicare la loro attività antinfiammatoria. Serve
perciò un approccio che tenga conto delle varie
componenti alla base della patogenesi della BPCO,
in particolar modo lo stress ossidativo per il quale
sono in fase di studio o sperimentazione farmaci in
grado di attaccare differenti punti del processo a cascata che provoca e amplifica l'infiammazione. I
farmaci antiossidanti attualmente disponibili hanno
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mente rassicuranti l'assenza di effetti collaterali anche ad alto dosaggio, i bassi costi e l'efficacia nei
soggetti fumatori che ne estendono l'indicazione all'intero spettro della malattia, dalla bronchite cronica semplice alla bronchite cronica ostruttiva riacutizzata.
DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: L'autore non ha
relazioni finanziarie con un'entità commerciale che abbia interesse nell'oggetto di questo articolo.
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dell'albero respiratorio in quantità sufficienti a promuovere la sintesi degli antiossidanti endogeni o a
esplicare essi stessi una propria attività di scavenger. È in tale ambito che può sicuramente essere rivalutata la terapia con N-acetil-cisteina, non solo
per la sua provata efficacia nella riduzione delle
riacutizzazioni bronchitiche, ma anche per il possibile definitivo viraggio dal tradizionale ruolo di mucolitico a quello di antiossidante che richiede probabilmente una revisione posologica. Sono sicura-
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Rassegna / Review
La valutazione multidimensionale della BPCO:
attenzione alla qualità della vita
Multidimensional assessment of COPD: attention to
quality of life
Fernando De Benedetto1, Gianfranco Sevieri2, Stefano Nardini3
1
UOC di Pneumologia, PO Clinicizzato “SS. Annunziata”, Chieti
Scuola di Specializzazione Malattie Apparato Respiratorio, Università di Padova
3
UO di Pneumotisiologia, Ospedale di Vittorio Veneto, ULSS 7 Sinistra Piave, Regione Veneto
2
RIASSUNTO
La necessità di valutare il paziente BPCO in modo multidimensionale (cioè non limitarsi soltanto a misurare la sua funzionalità respiratoria, ma esplorare globalmente il suo stato di malattia attraverso una serie di altre variabili: misura della flogosi
sistemica, stato nutrizionale, composizione corporea, tolleranza
fisica all'esercizio, valutazione della dispnea, efficienza muscolare, ecc.) è nata in un periodo relativamente recente da due
motivazioni.
La prima è che la BPCO è una malattia che, attraverso meccanismi oggi solo intuiti e non completamente spiegati, determina
importanti effetti su molte funzioni dell'organismo.
La seconda è che, a differenza di quanto avveniva venti o
trent'anni fa, oggi il medico ha a disposizione, per la gestione del
paziente BPCO, numerosi presidi che vanno da un ampio ventaglio di efficaci opzioni farmacologiche, alla ossigenoterapia
domiciliare a lungo termine, alla ventilazione meccanica non
invasiva domiciliare, alla chirurgia e alla riabilitazione respiratoria. Non vi è dubbio che tutti questi nuovi approcci hanno portato beneficio ai pazienti affetti da BPCO, tuttavia ancora molto
resta da fare, non solo nella prevenzione e nella diagnosi precoce di questa malattia (per ridurne l'impatto sociale, oltre che
individuale), ma anche nell'assistenza, soprattutto per assicurare a tutti i benefici della riabilitazione respiratoria (ancora ben
poco presente nel nostro Paese) e per estendere ai pazienti terminali l'assistenza che attualmente, in molte regioni italiane, è
assicurata ai neoplastici terminali.
Parole chiave: BPCO, dispnea, indice BODE, qualità di vita.
ABSTRACT
The need, in COPD patients, for a multidimensional assessment
(i.e. not limited to measuring only lung function, but globally
exploring the patient's state of disease through a series of pa-
rameters: measurement of systemic inflammation, nutritional
status, body composition, exercise endurance, dyspnea, muscular efficiency, etc.) emerged relatively recently for two reasons.
The first is that COPD is a disease that, through mechanisms
still today only intuitively known and not fully understood, has
important effects on many functions of the organism.
The second is that, in contrast to the situation twenty or thirty years ago, today doctors have at their disposition for the
management of patients with COPD numerous different types
of treatment, which range from a wide array of effective pharmacological options, to home-based long term oxygen therapy,
to non invasive home mechanical ventilation, to surgery, to
respiratory rehabilitation.
While there is no doubt that all these new approaches have
brought benefit to patients affected with COPD, nevertheless
still much remains to be done, not only in the prevention and
early diagnosis of this disease (to reduce the social and individual burden), but also in the care and treatment, above all to assure that all patients have access to the benefits of respiratory
rehabilitation (still not sufficiently present in our country) and
to extend to terminal patients the same level of care that is
currently provided, in many regions of Italy, to terminal cancer
patients.
Keywords: BODE index, COPD, dyspnea, quality of life.
La necessità di valutare il paziente BPCO in modo
multidimensionale (cioè non limitarsi soltanto a misurare la sua funzionalità respiratoria, ma esplorare
globalmente il suo stato di malattia attraverso una
serie di altre variabili: misura della flogosi sistemica, stato nutrizionale, composizione corporea, tolleranza fisica all'esercizio, valutazione della di-
Stefano Nardini
UO di Pneumotisiologia, Ospedale Civile
Via Forlanini 71, 31029 Vittorio Veneto (TV), Italia
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 03/07/2007 - Accettato per la pubblicazione: 10/08/2007
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spnea, efficienza muscolare, ecc.) è nata in un periodo relativamente recente da due motivazioni.
La prima è che la BPCO è una malattia che, attraverso meccanismi oggi solo intuiti e non completamente spiegati, determina importanti effetti su molte funzioni dell'organismo.
La seconda è che, a differenza di quanto avveniva
venti o trent'anni fa, oggi il medico ha a disposizione, per la gestione del paziente BPCO, numerosi
presidi che vanno da un ampio ventaglio di efficaci
opzioni farmacologiche, alla ossigenoterapia domiciliare a lungo termine, alla ventilazione meccanica non invasiva domiciliare, alla chirurgia e alla riabilitazione respiratoria.
Non vi è dubbio che tutti questi nuovi approcci
hanno portato beneficio ai pazienti affetti da BPCO,
tuttavia ancora molto resta da fare, non solo nella
prevenzione e nella diagnosi precoce di questa malattia (per ridurne l'impatto sociale, oltre che individuale), ma anche nell'assistenza, soprattutto per assicurare a tutti i benefici della riabilitazione respiratoria (ancora ben poco presente nel nostro Paese) e
per estendere ai pazienti terminali l'assistenza che
attualmente, in molte regioni italiane, è assicurata
ai neoplastici terminali [1].
In questa ottica la valutazione multidimensionale
della BPCO acquisisce valore fondamentale sia nel
momento della prima diagnosi sia nel monitoraggio
della malattia e nella valutazione della qualità delle cure.
Altrettanto vera appare, peraltro, la constatazione
che i nuovi presidi terapeutici hanno avuto un impatto sui costi per la gestione di questa malattia, di
conseguenza se non si interviene migliorando la
prevenzione primaria, secondaria e terziaria, probabilmente il sistema sanitario nazionale non sarà
più in grado di garantire ai livelli attuali l'assistenza
di pazienti affetti da BPCO.
Per il clinico si pone, dunque, oggi il problema della valutazione multidimensionale della BPCO, con
particolare riguardo alla valutazione della qualità
della vita e alle modalità per migliorarla.
In base alla definizione dell'ERS-ATS, la
Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) [2] è
una “malattia prevenibile e trattabile, caratterizzata
da una limitazione del flusso aereo non completamente reversibile, abitualmente progressiva e associata a una anormale risposta infiammatoria dei polmoni a particelle o gas tossici, primariamente causata dal fumo di sigarette”.
Altro punto qualificante della definizione è che
“sebbene la BPCO colpisca prevalentemente il sistema respiratorio, determina anche significative
conseguenze sistemiche”.
Nell'attuale formulazione della definizione citata è
insito il concetto che, per valutare appropriatamente la malattia, il suo livello di gravità, la sua progressione e gli effetti del trattamento, servono parametri
diversi che siano in grado di misurare questi differenti aspetti.
Analizzando i punti salienti della definizione prima
esposta è possibile trarre alcune conclusioni.
La BPCO è una malattia causata da una risposta in-
fiammatoria a particelle o gas tossici, è, quindi, una
malattia prevenibile ed evitabile attraverso il controllo dell'inquinamento, ma soprattutto attraverso
la riduzione della diffusione del fumo di sigaretta.
Queste constatazioni mettono in luce la necessità
di potenziare gli interventi di prevenzione primaria, in particolare per quel che concerne l'abitudine al fumo e il controllo dell'inquinamento da particolato sottile.
La BPCO è una condizione patologica curabile.
Questa affermazione valorizza la prevenzione secondaria e terziaria. Una diagnosi precoce consente, attraverso la cessazione del fumo, la terapia farmacologica e la riabilitazione iniziata precocemente, di ridurre le conseguenze individuali e sociali
della malattia, garantendo una minore invalidità.
La BPCO è una malattia del sistema respiratorio
con importanti conseguenze su molti altri organi e
apparati, che si verificano, molto probabilmente,
per la diffusione sistemica della flogosi polmonare.
Date queste caratteristiche, in particolare l'ultima di
queste, per valutare la presenza, lo stadio, la progressione della malattia e gli effetti del trattamento
servono diversi parametri e non soltanto quelli relativi alla funzionalità respiratoria.
È nozione comune (anche se, come è ben noto, applicata in maniera insoddisfacente nella pratica)
che per fare la diagnosi e il monitoraggio della
BPCO è necessario misurare, con le prove spirometriche, la funzionalità respiratoria.
A queste indagini vanno però fatte, oggi, alcune aggiunte.
La dispnea da sforzo è il sintomo più frequentemente invalidante e perciò va valutata e misurata nel
modo in cui è avvertita dal paziente e il suo miglioramento considerato un obiettivo primario. Infatti a
causa della dispnea il paziente riduce, spesso senza rendersene conto, la propria attività fisica, per
non avvertire un sintomo tendenzialmente angosciante. D'altra parte, la riduzione della attività fisica determina decondizionamento allo sforzo, cioè
una progressiva perdita di allenamento per cui la
tolleranza allo sforzo viene ulteriormente ridotta, la
dispnea compare per sforzi ancora minori, influendo, presto o tardi, sulla possibilità di svolgere anche
le più semplici e meno impegnative attività della vita quotidiana.
In una comunità, il livello di attività fisica di un
campione di soggetti BPCO, strettamente correlato
alla gravità della malattia, misurata in base alla funzionalità respiratoria, era significativamente inferiore rispetto alla popolazione generale [3].
La qualità di vita di questi pazienti è quindi fortemente ridotta, peraltro in modo diverso a seconda
dell'individuo, del suo stile di vita e dell'impegno
fisico che questa richiede: vi sono infatti casi in cui
persone con vita particolarmente sedentaria avvertono il sintomo dispnea solo quando la malattia è
molto avanzata o solo in occasione di un evento respiratorio acuto.
La qualità della vita correlata allo stato di salute è
misurata attraverso i sintomi, lo stato funzionale e
l'impatto sull'individuo.
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miche perché, soprattutto nelle fasi più avanzate, si
osserva il coinvolgimento di altri organi ed apparati. Le manifestazioni extrapolmonari più evidenti
sono la malnutrizione proteico-calorica che induce
deficit della funzione muscolare, riduzione della
densità minerale ossea, alterazioni endocrine (riduzione del testosterone, insulino-resistenza) e l'amplificazione sistemica della risposta infiammatoria
correlata con l'incremento della mortalità.
La valutazione dei parametri citati costituisce la cosiddetta valutazione multidimensionale che recentemente si è cercato di esprimere in un punteggio
complessivo: il cosiddetto BODE index [10].
Esso è costituito dall'insieme della valutazione dell'indice di massa corporea (B), della ostruzione
bronchiale (O), della dispnea (D) e della capacità di
esercizio (E).
Questo indice, proposto nel 2004 dal gruppo di B.
Celli, si compone di un punteggio che varia da 0 a
10 nel quale lo zero corrisponde ad un'assenza di
conseguenze importanti della malattia e 10, invece,
al massimo impatto della malattia stessa.
L'indice si compone di una valutazione quantitativa da 0 a 3 per tre variabili e di una valutazione da
0 a 1 per una variabile; quest'ultima è l'indice di
massa corporea che, se superiore a 21 corrisponde
a 0, se inferiore a 21 corrisponde a 1. Le altre tre variabili sono costituite dalla valutazione del grado di
ostruzione misurato con il FEV1, dalla distanza percorsa nel test della camminata dei sei minuti e, infine, dal calcolo dell'indice di dispnea attraverso
l'analisi di un questionario somministrato al paziente.
Così un FEV1 superiore al 65% del teorico corrisponde a un punteggio zero, un FEV1 compreso fra 50 e
64% a 1, tra il 33 e il 49% a 2, sotto il 35% a 3.
Se la distanza percorsa in sei minuti è superiore a
350 metri il punteggio per questa variabile è 0. se è
compreso fra 250 e 349 metri il punteggio è 1, tra
150 e 249 è 2, sotto i 149 metri è 3.
Per un indice di dispnea compreso fra 0 e 1 il punteggio è 0, mentre è 1 se l'indice è 2, 2 se l'indice
è 3, 3 se l'indice è 4.
L'indice BODE aiuta a comprendere efficacemente
il problema, assai comune in clinica, della eterogeneità dei pazienti con BPCO; in altre parole, sistematizza le condizioni cliniche sostanzialmente differenti, con un impatto della malattia sulla qualità
di vita e con una prognosi quoad vitam significativamente diversa, di pazienti che hanno lo stesso
grado di ostruzione bronchiale.
Lo stato attuale dell'arte medica in relazione alla
BPCO ha portato a formulare le priorità di seguito
elencate.
a) Prevenire lo sviluppo della BPCO attraverso una
consistente riduzione del numero di fumatori.
b) Migliorare (e anticipare) la diagnosi della BPCO,
in particolare attraverso un utilizzo più diffuso dei
test spirometrici.
c) Aiutare il paziente nell'autogestione della propria
malattia, attraverso la riabilitazione respiratoria.
d) Integrare l'assistenza dei pazienti affetti da
BPCO, ossia collegare le cure specialistiche e quel-
F De Benedetto, G Sevieri, S Nardini
La valutazione multidimensionale della BPCO - Multidimensional assessment of COPD
Esistono vari questionari che possono essere utilizzati a questo scopo e strumenti molto semplici possono essere utilizzati per valutare l'attività fisica dei
pazienti.
Un questionario molto utilizzato è il St. George
Respiratory Questionnaire (SGRQ) [4].
Si tratta di uno strumento progettato per misurare
l'impatto della malattia sulla salute, la vita quotidiana e il benessere percepito. È specifico per la malattia ostruttiva respiratoria, sia essa una ostruzione
fissa oppure completamente reversibile.
Il tempo necessario per compilare il questionario è
di 10 minuti, le domande che vi sono contenute sono 76, distribuite in tre sezioni che riguardano rispettivamente: a) la frequenza e la gravità dei sintomi, b) le attività che causano dispnea o che sono ridotte dalla dispnea, e c) l'impatto della malattia,
cioè i disturbi alla vita sociale e all'esistere psicologico che sono conseguenza della malattia.
È possibile ottenere un punteggio particolare per
ogni sezione e un punteggio totale, quest'ultimo varia da 0 a 100, e i punteggi elevati esprimono una
maggiore compromissione di salute.
L'obiettivo dell'uso del SGRQ o di altri analoghi
strumenti è aiutare il medico a capire il grado di invalidità generato dalla malattia e misurarne eventuali differenze dopo terapia [5].
In pratica oggi il medico deve avere una valutazione globale del paziente con BPCO; non limitandosi a misurare solo l'aspetto funzionale, ma anche il
grado di limitazione della attività fisica del soggetto, attraverso semplici test da sforzo (ad es.: il test
del cammino per 6 minuti) e il livello di soddisfazione per la propria esistenza in rapporto con lo
stato di salute, in altri termini la qualità di vita percepita dal paziente.
È esperienza comune che il soggetto affetto da
BPCO è spesso portatore di uno stato depressivo
più o meno grave che interagisce con, e spesso aggrava, gli altri sintomi [6]. La depressione, oltre a
peggiorare la qualità della vita del soggetto che ne
è affetto, interferisce pesantemente sulla compliance alla terapia.
Le altre variabili che correlano con la gravità della
BPCO sono l'ansia, l'età, le condizioni socioeconomiche e il grado di istruzione [7].
Si deve quindi essere in grado di misurare queste
variabili [8].
La letteratura scientifica più recente mette a disposizione strumenti efficaci e sempre meno generici.
È stato recentemente dimostrato che, proprio in
questa ottica, la qualità della vita e lo stato di salute probabilmente vanno misurati con strumenti differenti, come in uno studio recentemente pubblicato che ha utilizzato, oltre al SGRQ anche il BPQ
(Breathing Problems Questionnaire), misurando
contemporaneamente parametri di funzionalità respiratoria e di disagio psicologico. Il risultato ha
mostrato che ambedue i test danno informazioni sul
paziente, in modo differente e complementare [9].
Com'è già stato accennato, le più recenti evidenze
scientifiche sono concordi nell'inquadrare la BPCO
come malattia polmonare con conseguenze siste-
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le primarie. Queste priorità sono anche state indicate dalla Organizzazione Mondiale della Sanità
nel progetto che riguarda la gestione delle malattie
croniche respiratorie, la Global Alliance against
chronic Respiratory Diseases (GARD) [11,12].
In relazione a quanto sopra esposto, deve essere
impostata una nuova sequenza di comportamenti
che deve modificare l'abituale cascata diagnostica:
oggi molte prime diagnosi sono formulate in corso
di eventi acuti e comunque tardi nella storia naturale della malattia, che viene diagnosticata dalla
spirometria (talvolta però, dobbiamo ammetterlo,
senza nemmeno ricorrervi) e sottoposta a terapia
farmacologica e a un successivo monitoraggio attraverso un controllo della funzionalità respiratoria.
In futuro, per avere un progetto di gestione della
BPCO utile al Paziente e sostenibile dal sistema sanitario, la nuova sequenza dovrebbe essere la seguente [12,13]:
A) La popolazione viene sensibilizzata alla importanza di non iniziare a fumare o di smettere se si è
fumatori attivi.
B) Altrettanta sensibilizzazione viene diffusa nella
comunità sull'importanza di valorizzare il sintomo
dispnea e riportarlo tempestivamente al proprio
medico.
C) All'atto della conferma del sospetto diagnostico,
attraverso le prove di funzionalità respiratoria (che
potranno essere praticate anche in ambiente di cure primarie opportunamente attrezzato) il paziente
deve essere valutato in modo multidimensionale a
comprendere la valutazione dei parametri prima
esposti, in particolare della qualità di vita.
D) Il trattamento che segue alla diagnosi deve di
conseguenza comprendere non solo farmaci, ma
anche procedure in grado di incidere sulla qualità
di vita del paziente, migliorandola e rendendo di
conseguenza meno invalidante questa patologia.
E) Il monitoraggio della malattia e dell'impatto del
trattamento su di essa dovrà prendere in considerazione le stesse dimensioni già valutate al momento
della diagnosi, in modo tale da poter eventualmente correggere e integrare il trattamento stesso, al fine di ottimizzare i risultati.
È proprio in questa ottica che è stato recentemente
proposto che gli indicatori di risultato della BPCO,
comprendano la funzionalità respiratoria, la qualità
e intensità dei sintomi, la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni, la necessità di terapie e, specu-
larmente, l'aderenza alle terapie, la soddisfazione
per e la qualità di vita (Tabella I).
Riguardo alle riacutizzazioni, in particolare quelle
più gravi, che cioè richiedono l'ospedalizzazione,
non vi sono dubbi che esse influiscano pesantemente, anche a causa del lento recupero, sulla progressione della malattia, sugli effetti sistemici della
stessa e sulla qualità della vita [15], oltre naturalmente al consumo elevato di risorse del servizio sanitario nazionale (le ospedalizzazioni per riacutizzazioni pesano per il 70% dei costi diretti della
BPCO).
Nella pratica clinica medico di medicina generale
e specialista, ciascuno nella propria specificità,
hanno quindi di fronte lo stesso problema che affronteranno però con differenti modalità.
La valutazione multidimensionale del paziente affetto da BPCO si baserà per il generalista sulla valutazione (per lo più qualitativa) di: abitudine al fumo (pre-post diagnosi), sintomatologia (in particolare la dispnea), stato funzionale (in particolare
l'entità della attività fisica), qualità di vita, frequenza di riacutizzazioni e spirometria semplice; quest'ultima, al momento scarsamente utilizzata [16],
potrà trovare spazio in futuro, probabilmente in un
contesto di medicina di associazione (ossia di ambulatorio condiviso da più professionisti e presidiato da una o più figure infermieristiche).
Per lo specialista la valutazione multidimensionale
si dovrà basare (per lo più in modalità quantitativa)
su: attenta valutazione delle caratteristiche dell'abitudine al fumo, (come viene normalmente fatto in
un contesto di ambulatorio per la disassuefazione
dal fumo), test del cammino, punteggio di dispnea,
indice di massa corporea, qualità della vita misurata attraverso appositi questionari.
Per migliorare la qualità della vita il professionista
della salute ha a disposizione oggi tre possibili
campi di intervento, che vengono elencati in ordine di priorità.
In primo luogo la disassuefazione dal fumo.
Essa è la prima e più importante misura terapeutica,
in grado, da sola, di migliorare la qualità della vita
e di aumentare la sopravvivenza; come è stato dimostrato dal Lung Health Study che ha per questo
seguito 5.887 pazienti volontari di media età con
ostruzione bronchiale asintomatica. L'intervento
comportamentale e farmacologico (nel caso specifico si trattava di trattamento sostitutivo con
TABELLA I: BPCO: COSA DEBBONO COMPRENDERE GLI INDICATORI DI RISULTATO
• Funzionalità respiratoria
• Qualità e intensità dei sintomi
• Frequenza e gravità delle riacutizzazioni
• Stato funzionale del paziente
• Terapie: necessità/aderenza
• Soddisfazione e qualità di vita
Tratto da [14] mod.
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La valutazione multidimensionale della BPCO - Multidimensional assessment of COPD
p = 0,052) del rischio di morte (17,5%) rispetto al
placebo [22].
Inoltre la associazione salmeterolo-fluticasone, in
aggiunta al tiotropio, ne potenzia gli effetti sulla
qualità della vita e su altre importanti variabili [23].
Considerazioni conclusive sull'attività antinfiammatoria sistemica dei corticosteroidi inalatori da soli o, ancor meglio, in associazione con il salmeterolo si potranno avere da studi tuttora in corso (ABC
Advair Biomarkers in COPD): se le conseguenze sistemiche della BPCO sono mediate dall'infiammazione che, da broncopolmonare, diviene generalizzata, l'azione antinfiammatoria dei corticosteroidi
potrà migliorare ampiamente la prognosi clinica
dei pazienti BPCO riducendo l'insorgenza di varie
complicanze di questa malattia [24].
In conclusione, negli ultimi anni molte novità hanno investito il mondo delle malattie respiratorie: la
consapevolezza che le malattie respiratorie croniche (ostruttive) sono una priorità assistenziale, la
constatazione che la loro prevalenza è elevata (e
che lo sarà ancor più in futuro), la disponibilità di
nuovi trattamenti e di nuove terapie farmacologiche.
Queste novità valorizzano e valorizzeranno gli specialisti in malattie respiratorie cui, peraltro, è in capo la responsabilità (condivisa dall'intera classe
medica e dalla comunità nel suo insieme) di riuscire a fornire la miglior pratica clinica ai malati e alle loro famiglie, in modo compatibile con il bilancio statale.
La valutazione multidisciplinare della BPCO è il
primo passo per conseguire questi obiettivi, poiché
può consentire di migliorare lo stato di salute del
malato respiratorio cronico ancor più di quanto ottenuto finora, riducendone l'invalidità e quindi i costi sanitari indiretti che sono prevalenti in queste
patologie.
Come in tutte le altre patologie croniche, la chiave
per conciliare esigenze apparentemente opposte
Nicotina- NRT) per smettere di fumare ha avuto un
effetto statisticamente significativo sulla mortalità al
controllo dopo circa 14 anni (Figura 1) [17].
In secondo luogo la riabilitazione respiratoria, che
è altrettanto efficace nel migliorare la qualità della
vita, come affermato, sulla base delle evidenze disponibili, dai recenti documenti internazionali di
consenso (linee guida ATS/ERS, 2007) [18].
In terzo luogo la terapia farmacologica.
Per la BPCO esistono trattamenti farmacologici per
la bronco-ostruzione, per l'infiammazione, per le
infezioni. Questi ultimi, essenzialmente costituiti
dagli antibiotici, hanno un campo di applicazione
in genere limitato alle riacutizzazioni.
Broncodilatatori e cortisonici topici vengono invece utilizzati continuativamente dal medico, generalista o specialista, che assiste il paziente BPCO.
I broncodilatatori, dal momento che agiscono sul
sintomo più invalidante, la dispnea, possono migliorare la qualità della vita.
I broncodilatatori a lunga durata di azione, in base
alla revisione di 14 studi, non solo migliorano, rispetto ai predecessori a breve durata di azione, la
funzione polmonare, ma anche, seppure con qualche differenza tra le varie molecole, la qualità della vita [19].
È stato recentemente dimostrato che l'effetto della
somministrazione di broncodilatatori è maggiore in
coloro che hanno una maggiore reversibilità dell'ostruzione [20].
Fra i broncodilatatori è stato, anche, dimostrato che
il tiotropio è superiore al salmeterolo nel migliorare la qualità di vita dei pazienti BPCO [21].
Al contrario, l'associazione tra salmeterolo e fluticasone ha mostrato un significativo positivo impatto sulla qualità della vita, sul tasso annuale di riacutizzazioni e sul declino del FEV1 rispetto alle terapie non associate ed ha evidenziato una riduzione
(evidente ma ai limiti della significatività statistica:
FIGURA 1:
Tasso di mortalità per 1.000 persone/anno
3,5
Intervento mirato
3,0
Trattamento abituale
2,5
2,0
1,5
1,00
0,5
0,0
CHD
CVD
Tumore
polmonare
Altri
tumori
Patologie
respiratorie
Altro
Ignota
Causa di morte
Legenda: CHD, cardiopatia ischemica; CVD, malattia cardiovascolare.
Tratto da [17] mod.
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FIGURA 2: PRINCIPALI RISULTATI DELLO STUDIO TORCH
B Mortalità per qualunque causa
18
16
Placebo
Salmeterolo
Fluticasone
Associazione
Salmeterolo+
Fluticasone
0
24
48
72
96
120
C Mortalità riconducibile a BPCO
14
12
10
8
6
4
HR, 0,825
(95% CI, 0,681-1,002)
P=0,052 (log•rank test)
2
0
156
24
48
72
96
120
156
1141
1240
1247
1296
1074
1160
1184
1224
1005
1093
1112
1164
4
2
0
24
48
937
1036
1039
1104
640
717
681
758
Placebo
Salmeterolo
Fluticasone
Associazione
Salmeterolo+
Fluticasone
72
96
120
156
1463
1450
1461
1477
1433
1428
1428
1460
Settimane
Nr. pazienti
1264
1336
1361
1397
6
Settimane
Nr. pazienti
1524
1521
1534
1533
Placebo
Salmeterolo
Fluticasone
Associazione
Salmeterolo+
Fluticasone
0
0
Settimane
Placebo
Salmeterolo
Fluticasone
Associazione
Salmeterolo+
Fluticasone
8
Placebo
Salmeterolo
Fluticasone
Associazione
Salmeterolo+
Fluticasone
Probabilità di morte (%)
48
44
40
36
32
28
24
20
16
12
8
4
0
Probabilità di morte (%)
Probabilità di sospensione (%)
A Sospensione del farmaco in studio
Nr. pazienti
1524
1521
1534
1533
1500
1502
1512
1514
D Stato di salute
1464
1481
1487
1487
1428
1451
1450
1456
1399
1417
1409
1426
1361
1368
1363
1393
1293
1316
1288
1339
Placebo
Salmeterolo
Fluticasone
Associazione
Salmeterolo+
Fluticasone
1524
1521
1534
1533
1513
1515
1527
1525
1499
1502
1515
1513
1486
1492
1503
1499
1476
1475
1485
1490
E FEV1
100
2
Placebo
1
Salmeterolo
0
∆ medio aggiustato del FEV1 (ml)
3
∆ medio aggiustato dei punteggi
totali (unità)
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Fluticasone
-1
Associazione
Salmeterolo+
Fluticasone
-2
-3
-4
-5
50
0
Associazione
Salmeterolo+
Fluticasone
-50
Fluticasone
Salmeterolo
-100
Placebo
-150
0
24
48
72
96
120
156
0
24
48
Settimane
96
120
156
906
1012
1006
1073
819
934
908
975
Settimane
Nr. pazienti
Placebo
Salmeterolo
Fluticasone
Associazione Salmeterolo+
Fluticasone
72
Nr. pazienti
1149
1148
1155
1133
854
906
942
941
781
844
848
873
726
807
807
814
675
723
751
773
635
701
686
731
569
634
629
681
Placebo
Salmeterolo
Fluticasone
Associazione Salmeterolo+
Fluticasone
1524
1521
1534
1533
1248
1317
1346
1375
1128
1218
1230
1281
1049
1127
1157
1180
979
1054
1078
1139
Legenda: BPCO, broncopneumopatia cronica ostruttiva; FEV1, volume espiratorio forzato in 1 secondo; HR, hazard ratio.
Tratto da [22] mod.
(quali il miglioramento dell'assistenza ai malati a
costi minori) è costituita dalla prevenzione, a tutti e
tre i livelli, con enfasi particolare sul controllo del
fumo che oltre a prevenire lo sviluppo della malattia, migliora anche la sopravvivenza dei malati ed è
parte integrante della loro riabilitazione.
Peraltro, un ruolo non secondario nella prevenzione secondaria e terziaria è svolto anche dalle tera-
pie farmacologiche più recenti, che hanno dimostrato di rendere possibile- anche da sole- il miglioramento della qualità della vita dei pazienti affetti
da BPCO.
DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: Gli autori non
hanno rapporti finanziari con entità commerciali che abbiano
un interesse nel soggetto di questo manoscritto.
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F, Morgan M, O'Donnell D, Prefault C, Reardon J,
MRM
53
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infatti l'uso nei pazienti che presentino una frequenza di riacutizzazioni superiore a tre volte l'anno negli ultimi 3 anni [9]. Nello studio TORCH [23]
questa indicazione trova ulteriore supporto, con
una riduzione del tasso annuale di riacutizzazioni
con la terapia di cominazione da 1,13 a 0,85
(p < 0,001 rispetto al placebo), tuttavia è stata segnalata una maggiore percentuale di pazienti con
polmonite nel gruppo trattato con fluticasone
(19,6% terapia di combinazione 18,3% solo fluticasone vs 12,3% con placebo, p < 0,001).
Questo problema è stato confermato da un’analisi
retrospettiva su circa 176.000 pazienti BPCO, nei
quali la frequenza di ospedalizzazione per polmonite è risultata quasi doppia nei trattati rispetto ai
non trattati con steroidi inalatori, con un rischio
progressivamente più elevato con l’incremento dell’età e del dosaggio di steroide inalatorio [119].
A Braghiroli
Infiammazione nella BPCO - Inflammation in COPD
[18,19]. Ne è consigliato tuttavia l'utilizzo nei pazienti in cui permangano sintomi, nonostante la
terapia broncodilatatoria ottimizzata, con FEV1
< 50% del teorico (stadi GOLD III e IV) [9].
Non deve ovviamente essere dimenticato che sebbene in misura molto più ridotta rispetto alla somministrazione sistemica anche gli steroidi inalatori
non sono scevri da effetti collaterali, soprattutto
candidosi orale, infezioni locali, lividi ed un modesto incremento del rischio di cataratta [20] e di
glaucoma [21].
Una metanalisi sugli studi sopra citati aveva dimostrato che gli steroidi inalatori potevano ridurre la
mortalità complessiva nei pazienti con BPCO [22].
Tuttavia lo studio TORCH (Toward a Revolution in
COPD Health) appositamente disegnato reclutando
oltre 6.000 pazienti e comparando il trattamento
con fluticasone, salmeterolo, i due combinati e placebo ha trovato una differenza nella mortalità a favore della terapia di combinazione rispetto al placebo molto prossima, ma non inferiore alla significatività statistica (12,6% vs 15,2%; p = 0.052) [23].
Un effetto protettivo degli steroidi inalatori è stato
anche dimostrato sulle riacutizzazioni, in quanto
sia una metanalisi di Alsaeedi e coll. del 2002 [24]
che quella di Sin e coll. del 2003 [25] dimostrano
una minor incidenza di riacutizzazioni con il loro
utilizzo cronico soprattutto nei pazienti con FEV1
più basso. Le linee guida GOLD ne raccomandano
b) Effetti degli steroidi sistemici nella BPCO stabile
L'uso dello steroide sistemico consente il raggiungimento di concentrazioni tissutali più elevate, benché ovviamente a fronte di un maggiore rischio di
effetti collaterali, e una Cochrane review del 2005
ha selezionato 24 studi su 1.029 pazienti stabili da
almeno un mese che prevedeva l'utilizzo prevalentemente di prednisolone 30-40 mg/die (83% dei
partecipanti) in genere per due settimane di trattamento [24]. La Figura 2 riporta la metanalisi di que-
FIGURA 2: EFFETTI DEL TRATTAMENTO CON STEROIDI ORALI (≤ 3 SETT.) SUL FEV1 IN PAZIENTI CON BPCO STABILE
Studio
o sotto-categoria
WMD (fisso)
95% CI
WMD (SE)
01 Steroidi orali ad alto dosaggio
Blair 1984
72,0000 (97,3902)
Brightling 2000
70,0000 (33,1633)
Corden 1998
40,0000 (45,9184)
Davies 2000
51,0000 (66,9158)
Eliasson 1986
112,0000 (60,5000)
Larn 1983
180,0000 (85,0000)
Mandella 1982
140,0000 (91,8367)
Mitchel 1984
150,0000 (56,1225)
Morgan 1964
64,4000 (290,1837)
O’Reilly 1982
4,0000 (106,4000)
Strain 1985
100,0000 (142,8571)
Syed 1991
-47,0000 (86,1684)
Weir 1993
-7,0000 (30,2400)
Subtotale (95% CI)
2
Test di eterogeneità: Chi = 13,05 df = 12 (P = 0,37) I2 = 8,0%
Test sull'effetto complessivo: Z = 3,40 (P = 0,0007)
02 Steroidi orali e a basso dosaggio
Evans 1974
-40,0000 (163,2653)
Subtotale (95% CI)
Testa di eterogeneità: non applicabile
Test sull'effetto complessivo: Z = 0,25 (P = 0,81)
Totale (95% CI)
Test di eterogeneità: Chi2 = 13,38, df = 13 (P = 0,42) I2 = 2,8%
Test sull'effetto complessivo: Z = 3,36 (P = 0,0008)
-1000
-500
0
A favore del placebo
Peso
%
2,65
22,87
11,93
5,62
6,87
3,48
2,98
7,99
0,30
2,22
1,23
3,39
27,51
99,06
0,94
0,94
100,00
WMD (fisso)
95% CI
72,00
70,00
40,00
51,00
112,00
180,00
140,00
150,00
64,40
4,00
100,00
-47,00
-7,00
54,19
[-118,88, 262,88]
[5,00, 135,00]
[-50,00, 130,00]
[-80,15, 182,15]
[-6,58, 230,58]
[-13,40, 346,60]
[-40,00, 320,00]
[40,00, 260,00]
[-504,35, 633,15]
[-204,54, 212,54]
[-179,99, 379,99]
[-215,89,121,89]
[-66,27, 52,27]
[22,96, 85,43]
-40,00 [-359,99, 279,99]
-40,00 [-359,99, 279,99]
53,30 [22,21, 84,39]
1000
500
A favore degli steroidi orali
L'effetto finale (diamante con circolo evidenziato) è un miglioramento del FEV1 calcolato in 53 ml, significativo (gli intervalli di confidenza al
95% non toccano la linea di identità), ma piuttosto modesto a fronte del rischio di effetti collaterali lamentati da 1 paziente su 9.
Legenda: 95% CI, Intervallo di confidenza al 95%; df, gradi di libertà SE, errore standard della media; WMD, differenza media ponderata.
Tratto da [24] mod.
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Atti / Proceedings
Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello”
Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005
Asma e immersione: un tema controverso
Asthma and diving: a controversial issue
Giuseppe Fiorenzano
Fisiopatologia Respiratoria, Centro Regionale ad Alta Specializzazione, Cava de’ Tirreni (SA)
RIASSUNTO
L’immersione con autorespiratore è particolarmente impegnativa per l’apparato respiratorio, perciò in passato era considerata una controindicazione assoluta nell’asma bronchiale, mentre attualmente si tende a riconsiderare tale divieto, alla luce
della constatazione che tra coloro che praticano regolarmente
l’immersione è presente una significativa percentuale di soggetti asmatici. L’iperventilazione con inalazione di aria fredda e
secca è infatti una condizione potenzialmente scatenante il
broncospasmo, la realtà è che tra coloro che praticano regolarmente immersioni, la percentuale di soggetti asmatici varia dal
4 al 10% nelle varie casistiche; tali percentuali non sono molto
distanti dalla prevalenza della malattia nella popolazione generale. Per quanto riguarda le statistiche relative agli incidenti da
immersione (malattia da decompressione e/o embolia gassosa
arteriosa), il rischio nei soggetti asmatici è solo di poco superiore a quello della popolazione generale (odds ratio 1,25 1,65) e non raggiunge la significatività statistica. Un divieto assoluto e generalizzato come avveniva in passato sarebbe probabilmente controproducente, portando a fenomeni di negazione della patologia o scoraggiando gli appassionati di questo
sport dal sottoporsi agli opportuni accertamenti, con rischi notevoli, la valutazione del rischio deve tuttavia essere rigorosa e
strettamente individualizzata.
Parole chiave: Asma bronchiale, immersione, iperreattività
bronchiale, rischio.
ABSTRACT
In diving, breathing with a compressed gas cylinder puts particular strain on the respiratory system. For this reason diving in
the past was considered an absolute contraindication in subjects with bronchial asthma, although the current tendency is
towards a reappraisal of this ban given the fact that asthmatics constitute a significant portion of regular divers. Although
hyperventilation with the inhalation of cold, dry air is in fact a
potential trigger of bronchospasm, the reality is that among
those who regularly practise diving the percentage of asthmatic subjects varies from 4 to 10% in the various case series; such
percentages are not very far from the prevalence of the disease
in the general population. Concerning the statistics related to
diving accidents (decompression disease and/or arterial gas
embolism), the risk for asthmatic subjects is only marginally
higher than that for the general population (odds ratio 1.25 1.65) and does not reach statistical significance. While an
absolute, generalized ban such as occurred in the past would
probably be counter-productive, leading to phenomena of disease denial or discouraging enthusiasts of the sport from
undergoing the appropriate tests (running serious risk as a
result), a rigorous individualized risk assessment is nevertheless essential.
Keywords: Bronchial asthma, bronchial hyperresponsiveness,
diving, risk.
L’immersione con autorespiratore (ARA) è particolarmente impegnativa per l’apparato respiratorio
[1]: infatti la capacità di esercizio in immersione dipende strettamente dalla capacità ventilatoria a
causa dell’aumento del “work of breathing” e dell’aumentata densità dei gas inspirati. Inoltre, l’uptake e l’eliminazione dei gas inerti dipendono dalla ventilazione, dallo scambio dei gas e dalla perfusione polmonare. I polmoni sono soggetti a rapidi
cambi di pressione e quindi a rischio di barotrauma. Tutti i fattori che possono provocare fenomeni
di “air trapping” rappresentano pertanto dei fattori
di rischio.
In base a tali premesse, l’asma bronchiale rappresenta un problema significativo per coloro che in-
Giuseppe Fiorenzano
Fisiopatologia Respiratoria, Centro Regionale ad Alta Specializzazione
Cava de’ Tirreni (SA), Italia
email: [email protected]
Nota: Questo numero riporta la seconda parte degli atti del Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello” tenutosi a
Ravello Novembre 24-26, 2005. La prima parte è stata pubblicata in Multidsciplinary Respiratory Medicine 2007;1:98-114.
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generale [11]. Per quanto riguarda le statistiche relative agli incidenti da immersione (malattia da decompressione e/o embolia gassosa arteriosa), il rischio nei soggetti asmatici è solo di poco superiore
a quello della popolazione generale (odds ratio
1,25 - 1,65) e non raggiunge la significatività statistica [11]. Questi dati dovrebbero portarci a concludere che l’asma non rappresenta un fattore di rischio per chi pratica immersione.
Per coloro che confidano in modo eccessivo sui dati statistici vale la pena di citare l’articolo di Smith e
Pell [12]: tali Autori hanno applicato i principi della
Evidence Based Medicine all’uso del paracadute nella prevenzione della morte e delle lesioni gravi in seguito a cadute da grandi altezze; è risultato che l’evidenza dell’utilità del paracadute è di tipo aneddotico, e che occorrerebbe uno studio controllato per dimostrarla in modo inequivocabile!
Nel caso del rischio asma ed immersione va considerato che tale attività presenta dei rischi intrinseci
e che i grandi numeri non possono tenere in conto
l’estrema variabilità dello spettro clinico dell’asma,
che va dall’asma lieve intermittente allo stato di
male asmatico o agli attacchi di asma fatale. Per tali ragioni, il parere della maggior parte degli esperti è che la valutazione del rischio va effettuata su
base individuale e suffragata da opportuni accertamenti strumentali [2,3,6,13-16]. In particolare la
presenza di una malattia asmatica in fase di attività
clinica controindica l’attività di immersione, sia in
apnea, sia con ARA. Nelle fasi intercritiche occorre
effettuare le prove di funzionalità respiratoria con
test di reversibilità ed il test di provocazione bronchiale aspecifica con metacolina. Per i motivi sopra
indicati, a questi test va aggiunto un test di provocazione bronchiale per broncospasmo indotto da
esercizio, oppure il test di iperventilazione eucapnica, il cui significato è analogo, ma sembra essere più sensibile del precedente [13,17,18]. La presenza di ostruzione bronchiale o di significativa
iperreattività bronchiale va considerata una controindicazione all’immersione. Ovviamente l’idoneità all’immersione va rivalutata periodicamente,
visto che la malattia asmatica presenta variazioni significative nel tempo anche nello stesso soggetto.
In definitiva, bisogna riconoscere che l’attività di
immersione è praticata da un numero significativo
di soggetti asmatici. Un divieto assoluto e generalizzato come avveniva in passato sarebbe probabilmente controproducente, portando a fenomeni di
negazione della patologia o scoraggiando gli appassionati di questo sport dal sottoporsi agli opportuni accertamenti, con rischi notevoli. È necessario
invece attuare un’opera di educazione e di prevenzione, invitando tutti i soggetti asmatici che intendono praticare attività subacquee a sottoporsi a valutazione specialistica con tutte le necessarie valutazioni funzionali respiratorie, in modo che la valutazione del rischio sia strettamente individualizzata.
G Fiorenzano
Asma e immersione - Asthma and diving
tendono praticare attività di immersione. Le recenti
linee-guida della British Thoracic Society indicano
l’asma bronchiale tra le patologie che possono controindicare l’immersione o richiedere ulteriori accertamenti [2].
Infatti l’asma bronchiale è attualmente definita come una malattia cronica caratterizzata da ostruzione bronchiale più o meno accessionale, reversibile
spontaneamente o in seguito a terapia, da iperreattività bronchiale e da un accelerato declino della
funzionalità respiratoria [3].
In passato tale patologia era considerata una controindicazione assoluta all’immersione, mentre attualmente si tende a riconsiderare tale divieto, alla
luce della constatazione che tra coloro che praticano regolarmente l’immersione è presente una significativa percentuale di soggetti asmatici. Il presente
articolo ha lo scopo di sottolineare i motivi che devono indurre a considerare con molta cautela la
possibilità di compiere immersioni per un soggetto
asmatico.
In primo luogo va considerato il fatto che in corso
di immersione sono presenti numerosi stimoli potenzialmente asmogeni: infatti tra gli stimoli indiretti che possono scatenare l’iperreattività bronchiale
si possono annoverare vari stimoli fisici, quali l’esercizio, l’inalazione di soluzioni ipo o ipertoniche,
l’iperventilazione [4].
In particolare, per quanto riguarda il broncospasmo
indotto da esercizio, i meccanismi patogenetici implicati sembrano essere le variazioni di temperatura e/o di osmolarità della mucosa bronchiale [5-7].
Poiché nel corso di immersione con ARA si ha iperventilazione con inalazione di aria fredda e secca,
si realizzano le condizioni nelle quali più spesso si
verifica tale fenomeno.
Analizzando la letteratura, le segnalazioni di incidenti da immersione in soggetti asmatici sono di tipo aneddotico: sono stati segnalati due casi di embolia cerebrale durante lezioni di immersione in piscina in donne che avevano negato la propria condizione di asmatiche [8]. È verosimile supporre che
tali eventi avrebbero avuto conseguenze più gravi
se verificatisi in condizioni ambientali differenti (es.
in mare aperto). Due recenti segnalazioni hanno
evidenziato un altro rischio probabilmente sottostimato: si usa dire che l’immersione è possibile per
soggetti con asma allergico in fase di non esposizione; in questi due casi si sono verificati episodi di
broncospasmo in corso di immersione perché in fase di ricarica delle bombole l’aria era stata contaminata da pollini che hanno realizzato una sorta di test di provocazione bronchiale specifica in corso di
immersione [9-10].
Come si è detto, la realtà è che tra coloro che praticano regolarmente immersioni, la percentuale di
soggetti asmatici varia dal 4 al 10% nelle varie casistiche; tali percentuali non sono molto distanti
dalla prevalenza della malattia nella popolazione
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Atti / Proceedings
Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello”
Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005
Asma ed attività subacquea: i pro
Asthma and underwater sport: the pros
Levino Flacco, Marco Calvarese, Mariarosaria Flacco
Medicina dello Sport, ASL Chieti
RIASSUNTO
L’asma bronchiale è una malattia infiammatoria cronica caratterizzata da broncospasmo, di gravità variabile, a genesi frequentemente allergica. In passato tale patologia era ritenuta
incompatibile con l’attività fisica ma i recenti progressi della
scienza medica hanno sfatato questo tabù, consentendo agli
asmatici di sostenere uno stile ed una qualità di vita spesso sovrapponibili a quelle dei soggetti sani. Anche l’attività subacquea, fino a pochi anni or sono ritenuta impraticabile per gli
asmatici, appare oggi sempre più alla loro portata: se è vero, infatti, che le condizioni ambientali subacquee, il quadro broncospastico, l’uso di farmaci broncodilatatori topici, la stessa fisiologia dell’immersione, specie con respiratore, paiono sconsigliare l’approccio degli asmatici a tale disciplina, vi è una messe di dati internazionali, basati su riscontri empirici e sull’evidenza clinica, che testimoniano che, se ben compensato, l’asmatico può immergersi con relativa tranquillità, purché sotto
regolare controllo medico e nell’ottemperanza di alcuni accorgimenti igienico-sanitari. Il presente studio, dopo un’ampia review della letteratura scientifica, indica i protocolli valutativi
ed i criteri di giudizio sulla concessione dell’idoneità all’attività
subacquea negli atleti asmatici, facendo riferimento alle più recenti indicazioni provenienti dalla letteratura internazionale e
conclude affermando la liceità dell’attività subacquea per gli
asmatici lievi o, comunque, in fase di valido controllo terapeutico della malattia.
Parole chiave: Asma bronchiale, attività subacquea, idoneità
sportiva.
ABSTRACT
Bronchial asthma is a chronic inflammatory disease characterized by bronchospasm of variable degree and frequently of
allergic origin. In the past this disease was considered incompatible with physical exercise, but recent progress in medicial
science has dismantled this taboo, and asthmatics can now
enjoy a style and quality of life similar to those of healthy subjects. Even diving, considered up to a few years ago an impracticable sport for asthmatics, today appears more and more
accessible to asthmatics: if it is true, in fact, that underwater
environmental conditions, the clinical picture of bron-
chospasm, use of topical bronchodilators and the physiology
itself of diving, in particular with gas cylinders, all appear to
discourage asthmatics from practising this sport, on the other
hand a large body of international data based on empirical evidence and clinical findings testifies that, if well compensated,
asthmatics can practise diving with relative tranquility, on condition that they are under regular medical control and comply
with certain health medical requirements. The present study,
after a wide review of the scientific literature, indicates the
assessment protocols and evaluation criteria to be applied in
certifying the suitability of asthmatic athletes for the activity
of diving, based on the most recent indications from the international literature, and concludes affirming the right of mild
asthmatics, or at least those in stable therapeutically-controlled conditions, to practise this sport.
Keywords: Bronchial asthma, diving sport, medical certification.
L’asma bronchiale è una malattia infiammatoria
cronica caratterizzata da periodiche riacutizzazioni
a varia genesi, spesso su base allergica, in cui si determina ostruzione delle vie aeree con dispnea, tosse, fischi e sibili prevalentemente espiratori, intrappolamento dell’aria nei polmoni, escreato biancastro. La frequenza e l’intensità delle manifestazioni
broncospastiche sono estremamente variabili: nella
maggior parte dei casi sono di lieve entità e si risolvono spontaneamente, ma alcuni eventi possono
essere particolarmente gravi e perduranti nel tempo, sono potenzialmente letali e richiedono l’intervento medico d’urgenza. Patologia grave e francamente invalidante fino a pochi decenni or sono, l’asma bronchiale è oggi, fortunatamente, un problema con il quale è possibile convivere grazie ai progressi scientifici tanto nella conoscenza della malattia quanto nell’approccio terapeutico e, soprattutto, in virtù di un nuovo approccio culturale della medicina al paziente asmatico, teso non ad evitare le attività quotidiane potenzialmente asmogene, ma ad affrontarle con prudenza e gradualità per
Levino Flacco
Via Nevi 173, 66010 Giuliano Teatino (CH), Italia
email: [email protected]
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desensibilizzare l’organismo ed i bronchi agli stimoli stessi. In questo modo è possibile oggi affermare che l’asmatico può ambire (e, spesso, giungere) ad uno stile e ad una qualità di vita sovrapponibili a quelli del soggetto sano [1]. Ciò non inficia la
validità del precetto della prudenza, anzi lo valorizza, attribuendo ad esso non più il significato della
fuga, ma quello dell’approccio metodico e medicalmente controllato all’attività fisica. Non si può,
infatti, trascurare il fatto che l’asma, in fase attiva,
può compromettere significativamente le capacità
prestative di un atleta limitandone la capacità respiratoria, gli scambi gassosi e scatenando eventi dispnoici difficilmente compatibili con sforzi fisici.
Peraltro, in molti asmatici, soprattutto di giovane
età, lo sforzo fisico può essere da sé causa scatenante di un evento asmatico. Tutto questo ha relegato, fino a pochi anni or sono, gli asmatici ad una
vita di assoluta sedentarietà, mentre oggi, grazie ai
progressi terapeutici ed alla scoperta dell’importanza della sport-terapia, gli asmatici riescono, nella
quasi totalità dei casi, a controllare la malattia ed a
svolgere un’attività pressoché normale. Ciò ha indotto a sfatare numerosi tabù, e tanti sono gli sportivi asmatici, in molte discipline, che emergono ai
più alti livelli di competitività, come dimostra il loro numero crescente alle manifestazioni olimpiche
e come testimoniano i loro risultati a livello mondiale [2]; sempre più numerose sono, inoltre, le discipline sportive cui gli asmatici si avvicinano,
spesso orientati più dai gusti personali che dall’opportunità legata alle proprie condizioni cliniche; tra
queste, anche l’attività subacquea, fino a ieri considerata fuori dalla portata dei broncolabili.
Certamente il tipo di attività, le condizioni ambientali ed i peculiari adattamenti che coinvolgono l’organismo quando si immerge sono, a ragione, considerati difficilmente compatibili con le peculiari
condizioni respiratorie e con la broncolabilità dell’asmatico: va detto che la temperatura, in genere
fredda, dell’acqua, l’inalazione o l’ingestione anche di piccole quantità di acqua salata, lo sforzo fisico, spesso non indifferente, richiesto al subacqueo, la stessa tensione emotiva, l’ansia o lo stress
che possono associarsi con le circostanze ambientali, sono di per sé possibili fattori scatenanti di una
crisi asmatica, evenienza esiziale e potenzialmente
letale durante l’immersione. Va poi rilevato che le
modificazioni della funzione respiratoria durante
un’immersione - riduzione dei volumi polmonari e
gassosi, alterazione del rapporto ventilazione/perfusione, riduzione della massima ventilazione volontaria (MVV), ecc. [3] - non sono favorevoli in un
soggetto che abbia già una compromissione funzionale di base. Se a ciò si aggiunge la doverosa considerazione del rischio di barotraumi e di embolie
gassose arteriose, prevedibilmente maggiore nei
portatori di ostruzione bronchiale e anche in chi
abbia usato recentemente farmaci β2 stimolanti
(perché riducono la funzione di filtro esercitata dal
polmone verso i complessi bolle gassose - proteine
- piastrine che si formano nei tessuti e, poi, nel sangue in profondità) [4], pare ben motivata un’estrema prudenza nel consentire all’asmatico l’attività
subacquea [5]. Infatti, nel 1979 Strauss considerava
pregiudiziale l’approccio all’immersione per tutti
coloro che avessero fatto registrare valori di capacità vitale, volume espiratorio forzato in un secondo (FEV1) o MVV inferiori al 75% del teorico, epi-
sodi asmatici negli ultimi due anni, avessero bisogno di effettuare terapia farmacologica o presentassero, nella propria storia clinica, almeno un episodio di asma da sforzo o da freddo [6].
Che questi criteri fossero eccessivamente restrittivi
e che siano ormai da considerare superati nei fatti
lo provano i numeri: oggi si calcola che, negli USA,
vi siano migliaia di sub asmatici o con anamnesi
positiva per asma bronchiale e che essi rappresentino una percentuale dei praticanti attività subacquea
pressoché sovrapponibile a quella rapportata alla
popolazione generale. Dati empirici e maggior conoscenza della materia ci inducono, oggi, a ritenere che i paletti posti dalla medicina dello sport all’asmatico nell’affrontare l’immersione siano da allargare. Occorre tener presente, infatti, l’estrema
popolarità dello sport subacqueo, con oltre
400.000 praticanti in Italia, oltre due milioni negli
USA e decine di milioni in tutto il mondo [7], ed è
naturale che gli asmatici lievi o in fase di remissione siano attratti dal fascino di questa disciplina
quanto i soggetti sani.
Occorre innanzitutto distinguere tra immersioni in
apnea e con respiratore (indipendentemente dalla
miscela di gas inalata), perché la letteratura è ormai
concorde sul fatto che, non determinando inalazione di gas alle pressioni elevate che si registrano in
profondità, l’immersione in apnea è possibile, senza rischi aggiuntivi, per gli asmatici, purché in fase
intercritica, in stato di benessere e con un quadro
funzionale respiratorio sufficiente [8]. Sulle immersioni con respiratore, invece, sorgono problemi tuttora in parte irrisolti: come noto, in profondità la
pressione esterna cresce nell’ordine di un’atmosfera ogni dieci metri; generalmente l’attività subacquea si svolge ben oltre i dieci metri di profondità,
per cui il corpo ed i gas inalati sono sottoposti ad
una pressione per lo meno tripla rispetto a quella al
livello del mare. I gas erogati al sub in queste condizioni, dunque, sono compressi e, nella risalita,
tendono a riespandersi, sovradistendendo i polmoni e passando, nei tessuti e nel sangue, dalla fase disciolta a quella gassosa, con la formazione di bolle, per lo più complessate con proteine e piastrine,
che possono determinare pericolosi emboli; lo
sportivo esperto previene questi rischi attuando manovre di compenso durante l’emersione: risalendo
lentamente si riducono i rischi di embolie gassose e
correggendo il rapporto tra in ed espirazione si favorisce la detensione polmonare [9]. Inoltre, se ciò
non bastasse, il polmone costituisce un formidabile
filtro per gli emboli gassosi, purché sano.
In questo senso l’asmatico può registrare rischi
maggiori: vie aeree non perfettamente pervie possono, infatti, rappresentare un ostacolo alle operazioni di compenso, favorendo la sovradistensione
polmonare ed aumentando le probabilità di barotraumi [10]; la velocità di risalita, in caso di insorgenza di broncospasmo, può non essere facilmente
controllabile, con il rischio di formazione di bolle
emboliche [11] che, peraltro, il polmone potrebbe
non essere in grado di filtrare, in quanto i soggetti
in trattamento con broncodilatatori topici hanno
una provata riduzione di tale funzione. A ciò si associno i rischi comunemente connessi (per chiunque) all’immersione, l’ostilità di un ambiente potenzialmente asmogeno e l’impossibilità di prestare
soccorso all’asmatico in caso di crisi subacquea ed
appariranno chiare le motivazioni di un atteggia-
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non significative nella percentuale di asmatici tra
sub con episodi di EGA e popolazione subacquea
di controllo [22].
Il British Sub-Aqua Club (BSAC) ha indagato 104
asmatici praticanti attività subacquea senza rilevare
alcun problema né evento sfavorevole per oltre
12.000 immersioni. Si tratta di un campione di una
certa rilevanza statistica che induce a calcolare,
con un intervallo di confidenza del 95%, che l’incidenza di eventi barotraumatici o embolici tra i
sub asmatici sia inferiore a un caso su 10.000 [13].
Neuman riporta (1994), sempre da elaborazioni
BSAC, addirittura l’esperienza di nove sub asmatici
con episodi sintomatici pressoché quotidiani e fino
ad un’ora prima delle immersioni, i quali avevano
effettuato un totale di 1.241 immersioni senza conseguenze, indicando un rischio di embolismo inferiore all’1 per mille perfino in asmatici non perfettamente controllati [20].
Secondo alcuni autori l’asmatico compenserebbe
un rischio lievemente maggiore in immersione con
una maggiore attenzione posta nelle manovre di
compenso e nei tempi e nelle modalità di risalita,
attenzione indotta proprio dalla consapevolezza
della malattia [23].
Twarog e coll. (1995) affermano che gli incidenti
nell’immersione con respiratore accadono molto
più frequentemente per ragioni differenti dall’asma
- principalmente risalite troppo rapide - e riportano
alcuni studi esemplificativi:
• da uno studio retrospettivo condotto su 443 praticanti, è emerso che 34 risultavano asmatici. Di
questi, 19 hanno riferito almeno 100 immersioni
ciascuno senza riportare alcun caso di EGA o barotrauma [24];
• studi meno recenti ma altamente attendibili hanno rilevato, rispettivamente, che su undici fatalità
in immersione, una si era verificata in un asmatico, ma per cause non riconducibili alla sua malattia e che su 39 casi di embolia gassosa arteriosa,
solo uno era sospettato di essere associato a patologia asmatica: dati insufficienti per attribuire all’asma la dignità di fattore di rischio [25];
• una ricerca condotta nel Regno Unito, mediante
questionario, ha coinvolto oltre 100 sub asmatici,
i quali assommavano ben 12.864 immersioni totali, con due soli casi registrati di barotrauma (incidenza non significativamente diversa da quella
della popolazione generale dei praticanti) [13].
In sostanza, se è vero, da un lato, che tali studi sono
solo parzialmente indicativi e non fugano del tutto i
dubbi sui rischi dell’asmatico in immersione, lo è altrettanto il fatto, e molte scuole internazionali concordano su questo, che non è possibile, data l’estrema variabilità clinica dell’asma bronchiale, fare di
tutta l’erba un fascio e proibire pregiudizialmente la
pratica subacquea a tutti gli atleti broncolabili.
È vero, infatti, che tutti gli studi succitati possono
essere inficiati a monte da una verosimile autoselezione dei casi di asma più gravi e/o meno controllati, ma va anche considerato il fatto che, analizzando decine di migliaia di immersioni, essi rappresentano un indicatore più che significativo della
possibilità, per broncolabili ben compensati, di immergersi senza eccessivi patemi, sia pure con la doverosa prudenza.
Pare dunque evidente la necessità, di fronte all’asmatico che intenda dedicarsi all’attività subacquea, di un’analisi accurata e circostanziata della
L Flacco, M Calvarese, M Flacco
Asma ed attività subacquea - Asthma and underwater sport
mento scettico del medico dello sport di fronte al
giudizio di idoneità per il broncolabile che aspiri a
fare il sub. Alcuni autori come Tetzlaff e Skagstad
[12,13], peraltro, hanno riportato, in studi longitudinali e caso-controllo, significative riduzioni nei
volumi e, soprattutto, nei flussi, con particolare riferimento a medie e piccole vie aeree, nei subacquei
praticanti da diversi anni, in misura proporzionale
alla durata della loro attività, e rispetto alla popolazione di controllo. Tutto questo induce, a ragione,
ad un’estrema prudenza, tuttavia la letteratura più
recente pullula di dimostrazioni empiriche e scientifiche del fatto che con i dovuti accorgimenti anche i broncolabili possono dedicarsi all’attività subacquea senza particolari problemi.
Innanzitutto è bene citare alcuni rilievi statistici ed
epidemiologici significativi: in Italia la mortalità per
asma è di due casi per 100.000 abitanti; vi sono circa 2,5 milioni di asmatici: secondo diversi studi la
percentuale di asmatici nella popolazione generale
oscillerebbe tra il 4 e l’8% [14]. Sovrapponibili sono i dati riguardanti la popolazione USA (5-7%) e,
sorprendentemente, anche tra i subacquei: 4% in
Gran Bretagna (dati BSAC UK) ed in Australia
(SPUMS AU), 5,3% negli USA (DAN USA) [15], addirittura fino al 10% secondo autori statunitensi
[16]. Secondo Bove (USA) i subacquei con anamnesi remota positiva per asma sono l’8,3% del totale dei sub, il 3,3% di essi riferisce asma attuale e,
addirittura, il 2,6% degli sportivi subacquei si definiscono asmatici e riferiscono di immergersi anche
in fase asmatica attuale [17].
In uno studio condotto su 28 sub militari che effettuavano regolarmente immersioni con respiratore
da anni senza mai aver riportato eventi sfavorevoli,
fu riscontrata una percentuale di soggetti affetti da
iperreattività bronchiale pari al 42,9% [13].
Leitch e Green hanno rivisitato tutti i casi di barotrauma polmonare registrati presso l’Institute of
Naval Medicine del Regno Unito dal 1965 al 1985,
senza trovare nessun caso riferibile all’asma come
possibile fattore causale [18].
Negli USA il Diving Network Alert (DAN) stima il rischio di barotrauma per gli asmatici intorno ad un
caso su 4.600 immersioni, significativamente superiore rispetto a quello dei sub sani (1/15.000), mentre il rischio di embolia gassosa arteriosa (EGA) non
pare significativamente diverso da quello dei non
asmatici [19]. L’università del Rhode Island ha registrato i decessi in immersione nell’arco di 20 anni,
riportando, su un totale di 2.132 eventi fatali, un solo soggetto asmatico, del quale, peraltro, le cause
accertate di decesso erano non chiaramente riconducibili alla sua patologia [20].
Il DAN, nel 1987, ha registrato 93 embolie gassose
arteriose su circa 25 milioni di immersioni totali negli USA (si tratta, dunque, di eventi comunque
estremamente rari), di cui 34 adeguatamente accertate nei modi e nelle cause: 4 di queste occorsero
ad asmatici e ciò indusse alcuni ricercatori a considerare l’asma un fattore di rischio indipendente per
embolie gassose da immersione; in realtà, tra le
quattro embolie gassose, tre erano inequivocabilmente state causate da una riemersione troppo rapida [21].
Altri dati raccolti dal DAN USA negli anni successivi hanno confermato l’inesistenza di un rischio di
embolia gassosa asma-correlato: uno studio casocontrollo ha evidenziato differenze statisticamente
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sua storia clinica e della sua condizione respiratoria attuale, valutando caso per caso l’opportunità
del rilascio dell’idoneità sportiva, ma senza escludere un esito positivo.
La visita di idoneità sportiva è il momento saliente
per la decisione, tuttavia appare logicamente insufficiente la mera valutazione funzionale respiratoria,
comprensiva di curva flusso/volume e MVV, per dirimere il giudizio conclusivo sui soggetti broncolabili; tale sensazione trova riscontro in uno studio
condotto in Australia su 50 esperti praticanti subacquei locali. Di questi, cinque riferivano una storia
di asma attuale ed uno di asma in età pediatrica,
ma ben dieci presentavano indice di Tiffeneau inferiore al 75% del teorico e cinque un flusso medio
espiratorio ridotto. Inoltre, 23 mostravano una significativa caduta del FEV1 per esposizione ad istamina o a soluzione salina, eppure tutti praticavano
regolarmente immersioni con respiratore da anni
senza averne mai avuto alcun danno [6]. Occorre,
dunque, un’indagine più approfondita dello status
dell’apparato respiratorio.
Per porre diagnosi di asma, oltre ad anamnesi accurata, familiare, patologica remota e prossima ed
esame obiettivo respiratorio, ed alle prove di funzionalità respiratoria routinarie per idoneità sportiva (capacità vitale forzata (CVF), FEV1, picco di flusso espiratorio (PEF), Tiffeneau, MVV), possono rendersi necessari Rx torace, curva flusso/volume completa dei flussi espiratori al 75, 50 e 25% della CVF,
prove allergometriche, test di broncoreversibilità
farmacologica (in caso di quadro ostruttivo), test di
broncoprovocazione mediante esercizio fisico, metacolina e/o nebbia ultrasonica, pletismografia corporea con valutazione delle resistenze al flusso
bronchiale e del volume residuo [26].
Una volta fatta diagnosi di asma bronchiale nell’aspirante subacqueo, occorre classificare l’asma per
cause e per grado, il che è indispensabile per dirimere l’entità del rischio cui il soggetto andrebbe incontro immergendosi [11]. Per quanto concerne le
cause scatenanti dell’asma, vi è unanimità pressoché generale sul fatto che gli individui affetti da
asma da sforzo, da freddo o innescata da stress
emotivi dovrebbero essere esclusi da qualsiasi attività subacquea, anche se Van Hoesen e Neuman
non escludono, anche per questi atleti, la possibilità di immersione dopo avvenuto “controllo” terapeutico della reattività bronchiale [27]. Unanime è
anche il giudizio negativo per soggetti in stato di
“male asmatico”, o con crisi subentranti e comunque con necessità di terapia broncodilatatrice continua o con asma non ben controllato farmacologicamente. Andrebbero, inoltre, esclusi dall’attività
subacquea gli asmatici, anche affetti da forme lievi,
con fattori scatenanti non ben definiti, in cui si registrino episodi di broncospasmo senza cause apparenti [20].
Qui termina l’unanimità tra le scuole internazionali, in quanto alla severità di giudizio dell’AIPO
(Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri)
[28] e della SPUMS (South Pacific Underwater
Medicin Society), che tendono ancora a precludere
l’immersione agli asmatici, fa da contraltare la maggiore apertura del DAN e del BSAC, che ritengono
idonei all’attività subacquea i soggetti asmatici con
buon controllo della malattia e buona funzionalità
respiratoria [7]. Così, pare farsi strada anche nel resto del mondo l’idea che non possa essere preclusa
alcuna attività fisica, anche in immersione, a chi
presenti solo anamnesi patologica remota positiva
per asma (che sia, cioè, indenne da episodi di broncospasmo da almeno due anni), non faccia uso di
terapia broncodilatatrice, abbia prove di funzionalità respiratoria nei limiti di norma e test di broncoprovocazione negativi [23].
Tutti i quadri clinici intermedi tra queste situazioni
estreme andrebbero valutati attentamente e criticamente, approfondendo l’indagine clinica e strumentale. Attualmente tende a prevalere un indirizzo idoneativo favorevole per le forme di asma lieve
intermittente, con prove di funzionalità respiratoria
normali nel periodo intercritico, uso di broncodilatatori solo al bisogno e test di reattività bronchiale
aspecifica (esercizio fisico, metacolina, nebbia ultrasonica) negativi. L’idoneità sportiva può essere
concessa anche nelle forme d’asma lieve persistente, a patto che siano ben controllate farmacologicamente e che abbiano bassa reattività bronchiale
aspecifica (negatività al test da esercizio fisico, negatività o bassa risposta alla stimolazione con metacolina, cioè con soglia superiore ai 1.000 mcg)
[29]. Abili all’immersione possono, inoltre, essere
considerati gli individui con asma innescata da farmaci, alimenti e/o sostanze chimiche, a condizione
che abbiano un quadro funzionale respiratorio di
base nei limiti di norma e con esclusione assoluta
delle sostanze allergizzanti [30].
Per tutti gli altri casi vale ancora la regola della prudenza: vanno giudicati sicuramente non idonei i
casi di asma moderato o severo persistente, nonché
le forme lievi persistenti non ben controllate farmacologicamente o con elevata reattività bronchiale
aspecifica (soglia alla metacolina inferiore ai 1.000
mcg e/o positività al test da sforzo) [30]. Nelle forme asmatiche dal giudizio dubbio, ad esempio per
quanto riguarda la risposta allo stimolo fisico o farmacologico, o anche nei casi che si ritengano passibili di miglioramento mediante correzione della
terapia, farmacologica e non, è bene eccedere in
prudenza, eventualmente optando per una inidoneità temporanea onde rivalutare il candidato sub a
distanza di tempo.
Indicatori negativi per il giudizio degli asmatici sono un FEV1, un PEF e/o una MEF25-75 patologici nonostante la terapia farmacologica in atto.
Anche quando l’idoneità viene concessa, è opportuno che la sua durata sia inferiore ai dodici mesi
canonici, in modo da rivalutare, nel corso dell’anno, l’atleta asmatico anche in relazione alla variabilità degli allergeni nelle diverse stagioni ed al mutare delle condizioni climatiche. È importante, inoltre, che il subacqueo asmatico sia minuziosamente
edotto circa i possibili rischi legati alla sua patologia ed in modo da saper attuare una pratica autovalutazione. Semplici ed economici apparecchi portatili, rilevatori del picco espiratorio di flusso, sono
molto utili in tal senso: una riduzione del PEF, anche asintomatica, di oltre il 10% rispetto al proprio
massimo valore registrato, o una variabilità giornaliera superiore al 20% deve porre l’atleta in allarme
e controindica l’immersione; è bene, pertanto, che
l’atleta asmatico effettui regolarmente almeno due
controlli quotidiani del PEF nelle fasi stagionali di
attività subacquea. Occorre evitare l’immersione,
inoltre, dopo un episodio di broncospasmo, almeno finché non si sia realizzato il ripristino di un
quadro funzionale respiratorio normale e comun-
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scientifica non colloca i rischi di barotrauma o di
embolia gassosa arteriosa nell’asmatico oltre il doppio rispetto al soggetto sano. Restano, dunque,
eventi estremamente improbabili, con eventi letali
quantificabili nell’ordine di 1/125.000 immersioni
[7]. I progressi della scienza medica, tanto nell’individuazione delle cause, quanto nella terapia dell’asma bronchiale hanno ormai reso, nella stragrande maggioranza dei casi, tale malattia perfettamente compatibile con un normale stile di vita, tanto
che ormai, anche sulla base della nostra esperienza, è possibile affermare che la quasi totalità degli
asmatici che pervengono alla nostra osservazione
presentano forme lievi e controllabili con i dovuti
accorgimenti igienici, medico-sportivi e terapeutici.
Questo rende, a nostro avviso, difficilmente giustificabile una proibizione acritica e preconcetta verso gli sport subacquei.
Tale preclusione pare ormai superata per quanto riguarda le immersioni in apnea, ma anche per quanto concerne quelle con respiratore, pur con i doverosi presidi preventivi, appare eticamente ammissibile limitare le preclusioni alle solo forme gravi o
difficilmente controllabili.
Permane la necessità di ulteriori studi e dati scientifici e di una loro univocità internazionale, ma pare
auspicabile e, probabilmente, preventivabile che gli
asmatici possano, in un futuro non lontano, cimentarsi anche nell’ambiente subacqueo al pari degli
atleti sani.
L Flacco, M Calvarese, M Flacco
Asma ed attività subacquea - Asthma and underwater sport
que mai a meno di 48 ore di distanza dall’episodio
stesso. Almeno 48 ore devono intercorrere anche
tra l’ultima assunzione di broncodilatatori e l’immersione, affinché non ne risulti inficiata la funzione polmonare di filtro rispetto ai complessi gassosi
che possono formarsi nei tessuti ed in circolo in fase di emersione nelle attività subacquee con respiratore [6].
A queste precauzioni di carattere strettamente medico vanno poi aggiunti alcuni accorgimenti igienici, specie se le immersioni vengono effettuate lontano dal luogo di residenza abituale o addirittura all’estero: portare con sé tutti i farmaci necessari per
il tempo di permanenza (ma è bene aggiungere
un’ulteriore riserva per gli imprevisti) ed una lista
dei farmaci utilizzati - con eventuale traduzione
nella lingua del paese di permanenza - avere un
programma terapeutico dettagliato, concordato con
il proprio medico di fiducia anche sulla base delle
eventuali variazioni giornaliere del PEF, individuare
in loco un punto di assistenza medica di riferimento
e/o, meglio ancora, recarsi in trasferta in squadra dotata di medico sociale, evitare il soggiorno in centri
urbani particolarmente inquinati, risiedere in alberghi o altre strutture adeguatamente pulite e dotate di
materiale d’arredo sintetico ed anallergico, ecc.
In sostanza, appare datato il pregiudizio verso gli
asmatici che aspirino a praticare attività subacquea:
anche la più pessimistica e prudente delle interpretazioni della messe di dati fornita dalla letteratura
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Atti / Proceedings
Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello”
Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005
Adattamenti dell'uomo all'alta quota:
limiti della prestazione fisica
Human adaptation to high altitude: limits of physical
performance
Paolo Cerretelli
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biomediche, Sezione di Fisiologia, Università di Milano
RIASSUNTO
L'adattamento all'ipossia ipobarica da parte dei soggetti nati a
bassa quota inizia con una risposta all'ipossia acuta caratterizzata da un notevole aumento della ventilazione polmonare, sia a riposo che durante esercizio, con ipocapnia e alcalosi respiratoria.
La potenza muscolare si riduce notevolmente, in modo inversamente proporzionale alla potenza del soggetto a basse quote e
direttamente proporzionale alla quota raggiunta.
L'acclimatamento consente una maggiore tolleranza dell'esercizio fisico grazie ai meccanismi di compenso renale e alla poliglobulia reattiva. Anche un training prolungato alle alte quote come
nel caso degli “skyrunner” non consente tuttavia di raggiungere
le performance dei nativi delle alte quote che hanno sviluppato
un meccanismo di tolleranza su base genetica, come dimostra la
perdita del solo 10% della capacità di esercizio massimale in alta quota anche se nati e cresciuti a bassa quota. Recenti studi ultrastrutturali e di biologia molecolare sul tessuto muscolare mostrano infatti che i nativi alle alte quote non presentano le tipiche alterazioni mitocondriali da danno indotto da specie reattive dell'ossigeno e hanno una macchina metabolica ossidativa del
tessuto muscolare globalmente più efficiente. Le analogie a livello molecolare e strutturale che i muscoli dei soggetti caucasici
esposti all'ipossia dell'alta quota mostrano con quelle che si verificano con l'invecchiamento o a seguito di patologie come la
bronchite cronica ostruttiva rendono lo studio dell'uomo a grandi altezze un interessante modello sperimentale anche per indagini di fisiopatologia.
ABSTRACT
The adaptation to hypobaric hypoxia of humans born at low
altitude begins with a response to acute hypoxia characterized
by a marked increase of pulmonary ventilation, both at rest
and during exercise, with hypocapnia and respiratory alkalosis.
Muscular strength is significantly reduced, in inverse proportion to the subject's strength at low altitude and in direct proportion to the altitude level reached. Acclimatization enables a
greater physical exercise tolerance thanks to the mechanisms
of renal compensation and reactive polyglobulia. However,
even with prolonged training at high altitude, such as in the
case of “skyrunners”, it is not possible to reach the same performance level as that of high altitude natives in whom a
genetic-based mechanism of tolerance has developed, as witnessed by the fact that such subjects show only a 10% loss of
maximal exercise capacity at high altitude even if they were
born and grew up at low altitude. Recent ultrastructural and
molecular biology studies on muscle tissue show in fact that
high altitude natives do not present the typical mitochondrial
alterations from damage induced by reactive oxygen species
and have a globally more efficient oxidative metabolism of
muscle tissue. The molecular and structural analogies that the
muscles of caucasian subjects exposed to high altitude hypoxia show with muscular effects due to ageing or following diseases like chronic obstructive bronchitis make the study of
humans at high altitude an interesting experimental model
also for pathophysiological investigations.
Parole chiave: Adattamento, alta quota, esercizio fisico, ipossia
ipobarica.
Keywords: Adaptation, high altitude, hypobaric hypoxia,
physical exercise.
Paolo Cerretelli
Ordinario di Fisiologia Umana nell'Università di Milano
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biomediche. Sezione di Fisiologia
Palazzo L.I.T.A. Via Fratelli Cervi 93, 20090 Segrate (MI), Italia
email: [email protected]
Nota: Articolo precedentemente pubblicato su KOS-Rivista di medicina, cultura e scienze umane- numero speciale su “L'uomo e il
movimento” n. 244/45 genn. febbr. 2006; per gentile concessione dell'editore.
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INTRODUZIONE
Già dalla fine dell'800 le reazioni dell'organismo
umano all'ipossia ipobarica (riduzione della pressione parziale dell'ossigeno nel sangue e nei tessuti da ridotta pressione barometrica, come si verifica
ad alta quota) sono state oggetto di studio da parte
dei fisiologi, all'inizio per lo più europei, molti dei
quali fortemente motivati dalla passione per l'alpinismo. Numerosi hanno documentato le loro esperienze in saggi e trattati che sono divenuti classici
della letteratura scientifica. Tra questi ultimi,
“L'Uomo sulle Alpi” (1909) di Angelo Mosso [1], fisiologo di Torino, protagonista indiscusso e iniziatore della ricerca medico-biologica ad alta quota in
Italia, contiene una raccolta di osservazioni tuttora
interessanti sugli adattamenti respiratori e metabolici dell'organismo umano in ipossia, sia a riposo
che nel corso dell'esercizio.
Gli studi sull'uomo a grandi altezze nel corso dell'ultimo secolo sono stati diretti prevalentemente:
1) all'analisi delle reazioni acute (entro alcuni minuti fino a qualche ora) dell'organismo di soggetti
nati e viventi a bassa quota, per la maggior parte
Caucasici (Europei), a livelli di ipossia sempre più
spinti; 2) allo studio fenotipico dei processi di adattamento (acclimatazione) di soggetti di diversa etnia (Caucasici ed Asiatici) viventi a livello del mare
dopo trasferimento ad alta quota per giorni, mesi ed
anche anni; 3) alla valutazione differenziale delle
conseguenze dell'ipossia tra soggetti di varia etnia
acclimatati all'alta quota e gruppi di nativi dell'altitudine, questi ultimi con diverso grado di caratterizzazione genetica. Ovvio punto di riferimento per
questa categoria di soggetti, sono gli eredi di popolazioni tibetane nate e vissute per innumerevoli generazioni e in modo permanente a quote oltre i
4.000 metri [2]. Altri soggetti interessanti per la ricerca in altitudine appartengono a varie etnie andine che tuttavia hanno subito diversi gradi di ibridazione con popolazioni europee [3].
L'ipossia acuta
Le reazioni fisiologiche all'ipossia acuta progressiva
fino al livello equivalente ad una quota di 4.500 5.000 metri consistono in: a) una minore saturazione in O2 del sangue arterioso, particolarmente nel
corso di esercizio, b) in un notevole aumento della
ventilazione polmonare, sia a riposo che durante
esercizio, a partire dai 2.500 - 3.000 metri, accompagnato da una riduzione della pressione parziale
dell'anidride carbonica (PaCO2) (ipocapnia) e da un
aumento del pH del sangue dal valore normale di
7,40 fino ad oltre 7,60 (alcalosi respiratoria), c) in
un notevole incremento della frequenza e della gettata cardiaca a riposo, ma particolarmente in corso
di esercizio. Si possono inoltre verificare una serie
di alterazioni, specie a carico del sistema nervoso
centrale, che configurano il quadro del “male acuto di montagna“. Quest'ultima patologia si instaura,
con una prevalenza quasi del 100%, dopo 6 - 18
ore dall'esposizione all'ipossia e nella sua forma
benigna è caratterizzata da sintomi quali debolezza
muscolare diffusa, cefalea, nausea, vomito, reversibili nella maggior parte dei casi in un paio di giorni. Tale sintomatologia, per altro, può non risolversi e può invece preludere alla forma maligna della
malattia, caratterizzata da edema generalizzato o
localizzato, particolarmente al cervello e/o al pol-
64 MRM
mone, con conseguenze spesso letali in mancanza
di adeguata terapia. Dal punto di vista dell'attività
fisica, l'ipossia acuta comporta una notevole perdita di potenza muscolare misurata dal massimo consumo di ossigeno (V̇O2max), un indice che può essere ottenuto misurando la ventilazione polmonare
e la composizione dei gas espirati durante esercizi
massimali che portino all'esaurimento in 5 - 8 minuti. Il V̇O2max si riduce seguendo la curva parabolica indicata nella Figura l, dalla quale si può rilevare che in media la capacità lavorativa del soggetto a 2.000 metri diminuisce del 10%, a 3.000 di circa il 22% e a 4.000 del 37%. Questi dati sono di
notevole rilevanza anche per l'alpinista e per lo
sciatore della domenica che possono trovarsi inaspettatamente penalizzati, specie se fanno uso di
mezzi di risalita per raggiungere la quota a cui praticare la loro attività.
L'acclimatazione
Protraendo l'esposizione all'alta quota (4.500 5.000 metri) per alcune settimane, il soggetto proveniente dalla pianura va incontro ad una serie di
adattamenti (acclimatazione), con cinetiche variabili per le varie funzioni. Dopo circa una settimana,
si riscontra il ritorno del pH del sangue, per effetto
di una progressiva eliminazione di bicarbonati, da
circa 7,60 a 7,42 - 7,45 (dati prossimi al valore normossico di controllo di 7,40), mentre la ventilazione polmonare a riposo resta elevata a causa di una
permanente stimolazione dei chemocettori del glomo carotideo e dell'arco aortico (acclimatazione
respiratoria). Successivamente la concentrazione
dei globuli rossi e dell'emoglobina subisce un aumento che diviene significativo dopo 2 - 3 settimane di esposizione allo stimolo ipossico e che è
quantitativamente funzione della quota. A 5.000
metri, la concentrazione dei globuli rossi può superare i 7 milioni per microlitro, l'emoglobina i 20
g/dl, mentre il V̇O2max è caratterizzato da un lieve
FIGURA 1: MASSIMO CONSUMO DI OSSIGENO
(% DEL VALORE A LIVELLO DEL MARE IN FUNZIONE
DELL'ALTITUDINE VIRTUALE EQUIVALENTE) IN CONDIZIONI
DI IPOSSIA ACUTA
100
*
80
VO2 max (L•min)
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MRM 03-2007_def
60
40
•
20
0
0
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2
4
6
Altitudine (km)
8
10
MRM 03-2007_def
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to ad individui meno dotati, a causa di una limitazione degli scambi gassosi nel polmone dovuta, nei
primi, ad un eccessivo livello della portata cardiaca
sotto sforzo e, conseguentemente, ad una riduzione
del tempo di contatto degli eritrociti con i gas alveolari durante il transito del sangue nei capillari
alveolari. In linea di massima, a 5.000 metri soggetti Caucasici, a seconda del livello atletico, perdono
dal 30 al 45% del V̇O2max rilevato a livello del mare, mentre atleti avvezzi da anni a prestazioni di
fondo a grandi altezze, come i cosiddetti “skyrunners”, limitano la riduzione a circa il 25%.
Sorprendentemente i Tibetani di seconda generazione nati e viventi a bassa quota dopo un soggiorno di un mese a 5.000 metri perdono invece meno
del 10% dei valori di controllo a bassa quota [4]
(Figura 2B). Un'analisi dei dati della Figura 2A permette di fare anche alcune considerazioni relativamente alla massima altezza raggiungibile dall'uomo senza l'uso di ossigeno supplementare.
All'altezza di 8.500 - 9.000 metri, la massima potenza muscolare risulta ridotta al 10 - 15% di quella rilevata a livello del mare e consente all'alpinista
Caucasico, oltre la sopravvivenza a riposo, una ridotta attività fisica, ad esempio, quella necessaria
per superare in una scalata dell'Everest (m. 8.848)
le ultime centinaia di metri di dislivello anche se ad
una velocità estremamente limitata. L'ipotesi formulata da alcuni ricercatori secondo i quali un alpinista dotato di una massima potenza aerobica a
livello del mare particolarmente elevata possa fornire una migliore prestazione ad alta quota, come
indicato in precedenza, non appare sostenibile.
Infatti, la grande altezza penalizza maggiormente i
soggetti inizialmente più dotati sul piano della massima potenza aerobica per cui ad alta quota diminuisce la differenza di massima prestazione con i
soggetti meno atletici riscontrata a livello del mare.
Reinhold Messner, presumibilmente il più grande
P Cerretelli
Adattamenti dell'uomo all'alta quota - Human adaptation to high altitude
recupero (5 - 10%) rispetto ai valori registrati in
ipossia acuta.
I fenomeni sopra descritti, sulla base delle più recenti nozioni di biologia molecolare, sono una reazione dell'organismo allo stress ipossico operante
mediante l'attivazione di un fattore di trascrizione
del DNA, il cosiddetto “Hypoxia Inducible Factor”
(HIF-1). Quest'ultimo attiva la trascrizione di uno
svariato numero di geni la cui espressione proteica
è finalizzata all'aumento del trasporto dell'ossigeno
dall'ambiente ai tessuti nonché ad una serie di fenomeni metabolici che permettono all'organismo
di limitare i danni da deficit di ossigeno. Esempi di
adattamento sono l'aumentata increzione di ormoni quali l'eritropoietina (EPO) che, com'è noto, stimola l'eritropoiesi e, di conseguenza, aumenta la
capacità di assunzione nei polmoni e di trasporto ai
tessuti dell'ossigeno, del “vascular endothelial
growth factor” (VEGF) che promuove l'angiogenesi
in taluni tessuti, nonché di enzimi glicolitici e ossidativi. Aumenta l'NO sintetasi, un enzima che catalizza la sintesi di ossido nitrico coinvolto nella funzione della citocromo c ossidasi, a sua volta fondamentale per la macchina ossidativa, aumentano i
fattori di crescita, e altre molecole che variano nei
diversi tessuti in misura proporzionale all'esposizione cronica ed al grado di ipossia, con scopi di
compenso funzionale.
Dopo un periodo di acclimatazione di 1 - 2 mesi ad
alta quota la percentuale di riduzione di V̇O2max è
quella indicata nella Figura 2A e 2B. Varia largamente in funzione dell'altitudine, dell'appartenenza etnica del soggetto, come testimonia la grande
variabilità dei dati ad una data quota, e del livello
individuale assoluto di potenza a livello del mare,
con una perdita percentuale paradossalmente superiore nei soggetti più dotati atleticamente che nei
sedentari (Figura 3). Soggetti atletici subiscono infatti una maggiore caduta relativa di potenza rispet-
FIGURA 2
A
B
100
100
Tibetani
2a gen.
% VO2 max (L•min)
90
•
90
80
80
70
70
60
60
50
50
40
40
30
30
20
20
Tibetani 2a gen.
92
Sherpa
83
Skyrunners
74
Caucasici 31 gg
60
Caucasici 11 gg
53
10
10
0
2
4
6
8
10
0
1
2
3
4
5
6
Altitudine (km)
A) Andamento della massima potenza aerobica in funzione dell'altitudine in soggetti Tibetani e Caucasici con diverse caratteristiche di prestazione fisica e di allenamento. Il triangolo bianco si riferisce a soggetti tibetani di 2a generazione nati a circa 1.300 metri di quota e mai esposti
in precedenza a grandi altezze
B) Andamento della massima potenza aerobica in funzione dell'altitudine in gruppi di soggetti Caucasici e Tibetani (Tibetani di seconda generazione, Sherpa, maratoneti d'alta quota “skyrunners”, Caucasici non allenati. Per quanto riguarda questi ultimi si può rilevare un migliorato adattamento all'ipossia dopo 4 settimane di soggiorno a 5.050 metri)
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Confronto tra nativi dell'alta quota e soggetti
acclimatati
Non è possibile, evidentemente, valutare la perdita
66 MRM
di massima potenza per effetto dell'altitudine nei
nativi dell'alta quota in quanto non si dispone del
relativo dato normossico di riferimento. Tuttavia,
sulla base dell'incremento di V̇O2max osservato allorché questi soggetti si trasferiscano a bassa quota
o inspirino miscele normossiche, si può stimare che
a 4.500 - 5.000 metri la perdita “virtuale” di massima potenza sia solo di circa il 10 - 15%, come
quella riscontrata nei Tibetani di seconda generazione esposti all'ipossia, contro il 30 - 45% dei
Caucasici.
In effetti, il dato medio di V̇O2max rilevato su giovani Tibetani nati e viventi fra i 3.600 e i 4.300
metri, attivi sul piano fisico ma non coinvolti in regolari programmi di allenamento, varia fra i 42 ed
i 50 ml/kg/min, dati simili a quelli riscontrati su
soggetti Andini a ~ 3.800 metri e sostanzialmente
identici a quelli prevalenti in soggetti Caucasici e
in Tibetani di seconda generazione a bassa quota
(1.300 metri).
L'adattamento del muscolo all'ipossia studiato a
livello molecolare: la nuova frontiera della ricerca
in fisiologia dell'altitudine
Da oltre un secolo, la maggioranza dei ricercatori
coinvolti nello studio delle conseguenze dell'ipossia ha dedicato le proprie energie all'analisi delle
cause di deficit di trasporto dell'ossigeno dall'ambiente alla cellula ed, in particolare, al sistema muscolare. La riduzione della massima potenza aerobica riscontrata ad alta quota è stata infatti interpretata quale conseguenza esclusiva di una carenza di
flusso convettivo e/o diffusivo dell'ossigeno ai tessuti a causa di un deficit di taluni fattori fisiologici
e/o fisico-chimici nella filiera del trasporto di que-
FIGURA 3
Caucasici
sedentari
-50
Caucasici allenati
-40
-30
•
-20
Tibetani
-10
Sherpa
0
20
30
•
scalatore di tutti i tempi, all'epoca delle sue migliori prestazioni era caratterizzato da una massima potenza aerobica medio-alta, ma non tra le più elevate per la categoria. Un aspetto curioso sulla possibilità di prestazione estrema per l'uomo in montagna è costituito dal rilievo che il suo limite fisiologico si situa alla quota di circa 8.500 - 9.000 metri,
proprio quella delle più alte vette del pianeta. Una
maggior elevazione solo di qualche centinaio di
metri delle montagne più alte renderebbe la loro
scalata irrealizzabile senza l'apporto di ossigeno
supplementare. A proposito di quest'ultima procedura, è opportuno rilevare che ascese con l'ausilio
di bombole di ossigeno hanno scarsa rilevanza sul
piano fisiologico e sportivo, perché consentendo a
chiunque condizioni respiratorie prossime a quelle
di livello del mare selezionano gli alpinisti prevalentemente in base alle loro caratteristiche di massima potenza a livello del mare e alle relative capacità tecniche e di resistenza agli agenti climatici.
Da un confronto fra i dati di ipossia acuta e cronica (cfr. Figura 1 e Figura 2A) si rileva che, nei
Caucasici, la caduta di massima potenza aerobica,
a parità di quota, non differisce sostanzialmente.
Ciò sembra indicare che gli adattamenti funzionali
messi in atto dall'organismo nel corso dell'acclimatazione, particolarmente l'aumento della ventilazione polmonare e l'incremento della concentrazione di emoglobina nel sangue, non possono compensare la riduzione della massima portata cardiaca, principale fattore limitante la prestazione aerobica, nonché talune altre limitazioni funzionali a
carico dei muscoli che saranno descritte successivamente.
Al ritorno in pianura dopo un breve soggiorno a
grande altezza, il soggetto recupera prontamente il
precedente livello di massima potenza aerobica. Se
la permanenza in quota supera le 2 - 3 settimane
sono stati riscontrati da taluni autori anche incrementi di V̇O2max ai limiti della significatività statistica. Soggiorni protratti a medie quote (2.500 metri), specie se intercalati con protocolli di allenamento effettuati a quote al di sotto dei 1.000 metri
del tipo, cosiddetto, “living high and training low”
[5], si sono dimostrati efficaci nell'incrementare di
qualche punto percentuale la massima potenza aerobica dell'atleta grazie all'aumento, sia pure marginale, della concentrazione dell'emoglobina nel
sangue. Al contrario, soggiorni protratti ad altezze
oltre i 5.000 metri, nonostante un cospicuo aumento della concentrazione di Hb nel sangue (oltre i 20
g/dl) ed una soltanto modesta riduzione della massima gettata cardiaca, non sono seguiti nei soggetti
caucasici da un completo recupero della V̇O2max,
che al ritorno in pianura non supera il 90% del livello precedente l'esposizione all'alta quota (Figura 4).
Questo riscontro sperimentale è stato attribuito inizialmente ad una possibile alterazione del microcircolo muscolare, consistente in una riduzione relativa del massimo flusso sanguigno nutrizionale
durante esercizio finché non è stata messa in evidenza una causa molto più rilevante del fenomeno,
e cioè il deterioramento della funzione del muscolo per effetto dell'ipossia cronica, consistente in
una compromissione della sua capacità ossidativa.
∆ VO2 max
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VO2 max
40
50
(ml•kg-1•min-1)
60
70
80
in normossia
Riduzione percentuale della massima potenza aerobica a 5.050 metri
di quota in rapporto al valore di O2max di partenza. Si può rilevare
che i soggetti Caucasici subiscono una riduzione maggiore dei nativi
di alta quota. Inoltre si dimostra che, indipendentemente dall'appartenenza etnica, i soggetti con caratteristiche di potenza aerobica più
spiccate (V•O2max più elevato a livello del mare o a bassa quota) presentano una riduzione relativa della massima potenza aerobica maggiore dei soggetti meno dotati.
Tratto da [5] mod.
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•
%VO2 max
%VO2 max
100
•
O2
O2
•
80
60
760
Aria
Ipossia
cronica
600
400
% fcmax (%Qmax)
O
120
760
Aria
600
PB (torr)
400
760
600
400
Quadrante di sinistra: Caduta media della massima potenza aerobica al campo base in un gruppo di 11 componenti della prima spedizione italiana che conquistò l'Everest (1973). Quadrante centrale: effetto della somministrazione acuta di ossigeno sugli stessi soggetti. Si riscontra un
incremento di potenza fino al 92% del valore osservato a livello del mare (fatto uguale al 100% del valore individuale). L'incremento è sensibilmente inferiore a quello atteso (cerchio bianco) sulla base dell'incremento della concentrazione di emoglobina nel sangue e del dato di massima gettata cardiaca rilevato su taluni dei soggetti. Quadrante di destra: andamento della massima frequenza cardiaca [9].
sto gas. Solo a metà degli anni '70 del secolo scorso, partendo dall'osservazione nel soggetto acclimatato del mancato recupero di potenza muscolare per effetto di una rapida riossigenazione, come
riportato in precedenza (Figura 4), ci si è resi conto
che l'ipossia cronica induce nei Caucasici acclimatati anche gravi alterazioni strutturali ed ultrastrutturali del tessuto muscolare, ossia del motore biologico. Si tratta di un'alterazione della sintesi proteica,
con conseguente sarcopenia e di una perdita di
massa mitocondriale, seguita da fenomeni degenerativi del tessuto, testimoniati dall'accumulo di lipofuscina (Figura 5), un pigmento derivante da alte-
P Cerretelli
Adattamenti dell'uomo all'alta quota - Human adaptation to high altitude
FIGURA 4
razioni mitocondriali, indicatore di danno da eccessiva produzione di specie reattive dell'ossigeno
(ROS), che può giustificare il mancato recupero
della massima potenza aerobica per effetto della
riossigenazione. I nativi dell'alta quota sono invece
indenni da danni da ROS a carico del muscolo oltre ad essere caratterizzati da un più elevato rapporto tra V̇O2max e massa mitocondriale, ad indicazione di un più efficiente funzionamento della macchina metabolica ossidativa del tessuto.
Recentemente è stata condotta nel nostro laboratorio un'analisi differenziale dell'espressione proteica
su campioni bioptici di muscolo vasto laterale pre-
FIGURA 5
Accumulo di lipofuscina (lf) nel muscolo vasto laterale di un alpinista reduce da una spedizione all'Everest (microfotografia di H. Hoppeler,
Università di Berna).
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levati da soggetti caratterizzati da una diversa storia
di esposizione all'altitudine [6]. I nativi Tibetani costituivano evidentemente il gruppo di riferimento
per questo tipo di indagine in quanto esposti, probabilmente da millenni e senza interruzione, all'ipossia. I soggetti di controllo, dello stesso sesso,
età, e abitudini motorie, sono stati scelti in una popolazione asiatica (Nepalesi di origine ariana) e in
un gruppo di Tibetani di seconda generazione nati
e viventi, come i Nepalesi, a 1.300 metri. La concentrazione delle proteine differenzialmente
espresse dal muscolo appare sotto forma di istogramma nella Figura 6. È interessante rilevare che
tra le proteine espresse in quantità statisticamente
differente, alcune hanno importante valenza metabolica trattandosi di enzimi coinvolti nel metabolismo aerobico - ∆-2 enoil CoA-idratasi (ECH),
NADH-ubichinone ossidoreduttasi (NUGM) - o
anaerobico (- gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi
(GAPDH), lattato-deidrogenasi (LDH), fosfoglicerato-mutasi (PGA). Nei nativi Tibetani risulta del
400% più elevata che nei Nepalesi la glutatione-Stransferasi P1-1: si tratta di un noto catalizzatore di
reazioni detossificanti e citoprotettive. La mioglobina (isoforma pI = 7,29, aumentata del 100%) potrebbe essere coinvolta nella regolazione dei livelli
di concentrazione intracellulare dell'ossido nitrico
(NO) e della conseguente attività della citocromo c
ossidasi, con positive influenze sul rendimento della fosforilazione ossidativa nel muscolo. Questi
promettenti risultati offrono una spiegazione a) dell'assenza di fenomeni degenerativi nel muscolo di
nativi tibetani (Figura 5) che sono efficacemente
protetti da antiossidanti endogeni, e b) del più elevato rendimento energetico della fosforilazione ossidativa (più elevato rapporto ≈ P/O) che si può tradurre, tra l'altro, in un più elevato rendimento energetico della locomozione [7].
Taluni dei dati ottenuti nello studio dell'acclimatazione all'ipossia possono fornire utili indicazioni
anche per la soluzione di problemi fisiopatologici
connessi con l'invecchiamento e con l'evoluzione
di broncopneumopatie croniche, condizioni che a
livello molecolare presentano analogie con le alterazioni riscontrate nei muscoli di soggetti Caucasici
esposti per alcuni mesi a severa ipossia. Lo studio
dell'uomo a grandi altezze può pertanto costituire
un interessante modello sperimentale per altre importanti indagini di fisiopatologia [8].
CONCLUSIONI
Come risulta da quanto esposto in precedenza, la
ricerca nel settore della fisiologia dell'altitudine ha
fatto notevoli progressi grazie sostanzialmente ad
un salto di qualità nell'organizzazione degli esperi-
FIGURA 6
5
*
*
*
4
N
*
Tib 1
Tib 2
*
u.a.
3
*
*
2
*
1
0
GST P1-1
ECH
GAPHD
2,5
N
Tib 1
*
*
Tib 2
2
*
*
*
*
*
*
*
u.a.
1,5
1
0,5
0
LDH
PGA
NUGM
Mb
Distribuzione quantitativa (unità arbitrarie) di proteine differenzialmente espresse nel muscolo vasto laterale di soggetti Tibetani di prima generazione (Tib1), di seconda generazione (Tib2) e di soggetti di controllo (N).
* p < 0,05
Legenda: ECH, δ 2-enoil CoA idratasi; GAPDH, gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi; GST P1-1, glutatione-S-transferasi P1-1; LDH, lattato deidrogenasi; Mb, mioglobina; NUGM, NADH-ubichinone ossidoreduttasi; PGA, fosfoglicerato mutasi; u.a., unità arbitrarie.
Tratto da [2] mod.
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profondire l'indagine a livello molecolare. Va da sé
che anche la ricerca amatoriale che è stata inizialmente alla base del progresso nelle conoscenze di
fisiologia di montagna avrà ancora un grande interesse ed un ruolo insostituibile specie nella raccolta di dati in condizioni estreme per cui sarà sempre
più necessaria l'interazione fra ricercatori e alpinisti di élite.
P Cerretelli
Adattamenti dell'uomo all'alta quota - Human adaptation to high altitude
menti che oggi si possono svolgere ad alta quota in
laboratori attrezzati e non solo sul terreno, come la
maggior parte degli studi precedenti, e alla disponibilità di strumenti di misura affidabili e facilmente
trasportabili offerti dal mercato in quanto utilizzati
per la maggior parte anche per la pratica clinica.
Inoltre, lo sviluppo e l'applicazione di tecniche d'avanguardia come quelle adottate per lo studio delle proteine del muscolo permetteranno di ap-
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Atti / Proceedings
Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello”
Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005
Imbibizione dell'interstizio polmonare
in alta quota
High altitude induced extravascular lung fluid
accumulation
Annalisa Cogo1,2, Federica Campigotto3, Alessandra Gennari2, Luca Pomidori1, Luciano Bernardi4
1
Centro Studi Biomedici Applicati allo Sport
Sezione di Malattie Respiratorie, Università di Ferrara
3
Sezione di Malattie Respiratorie, Università di Padova
4
Dipartimento di Medicina Interna, Università di Pavia-IRCCS Ospedale S. Matteo
2
RIASSUNTO
Con l'esposizione all'alta quota compaiono modificazioni nel
compartimento dei fluidi corporei e all'esame spirometrico suggestive per un accumulo di fluido polmonare extravascolare.
L'esercizio e l'ipossia possono avere un effetto additivo nello
spostamento dei fluidi corporei. È noto che l'esposizione all'alta quota induce cambiamenti nei valori spirometrici: incremento dei flussi e riduzione della capacità vitale lenta (VC) e forzata (FVC); in molti studi è stata documentata sia la riduzione
della FVC in toto sia la riduzione dei flussi nell'ultima parte della curva della FVC rispetto agli stessi valori misurati a livello del
mare. Per spiegare queste variazioni in quota sono stati ipotizzati i seguenti meccanismi: aumento del volume ematico, sviluppo di un edema interstiziale, affaticamento dei muscoli respiratori.
La presenza di edema polmonare interstiziale è confermata da
molti dati, specialmente dall'aumento del volume di chiusura,
che indica una compressione delle piccole vie aeree dovuta all'accumulo di liquido polmonare extravascolare; questo dato è
riportato nel 47% degli alpinisti amatoriali, misurato a 4.559m.
Il fluido polmonare extravascolare si disporrebbe lungo i vasi
polmonari e i bronchi, comprimendo le vie aeree ed incrementando quindi il volume di chiusura.
Un aumento della permeabilità endoteliale dei capillari potrebbe spiegare almeno in parte l'aumento di liquido nell'interstizio polmonare: recentemente un numero crescente di studi ha
dimostrato che l'ipossia aumenta la permeabilità capillare endoteliale sia in vivo sia in vitro.
Abbiamo eseguito recentemente degli studi allo scopo di verificare a quale quota appare l'imbibizione dell'interstizio polmonare e se questa si verifichi anche in alpinisti di élite. I risultati
Annalisa Cogo
Centro Studi Biomedici applicati allo Sport
Via Gramicia 76, 44100 Ferrara, Italia
email: [email protected]
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 3: 70-73
70 MRM
preliminari sembrano mostrare che le modificazioni appaiono
anche a quote più basse e si verificano anche in alpinisti di élite, ma la loro presenza non preclude la possibilità di salire a
quote estreme.
Parole chiave: Alta quota, circolo polmonare, edema, interstizio
polmonare, ipossia, spirometria.
ABSTRACT
Exposure to high altitude is associated with changes in body
fluid compartments, and spirometric changes suggestive of
extravascular lung fluid accumulation can appear. Both exercise
and hypoxia have been reported to have an additive effect on
body fluid shift. With regard to the extravascular lung fluid
accumulation, exposure to high altitude is known to induce
changes in spirometry, including an increase in flow rates, and
a fall in vital capacity (VC) and forced vital capacity (FVC): in
fact many papers report a reduction of FVC and of flows at the
last part of FVC at high altitude as compared to sea level. The
potential explanation for reduced FVC and VC at high altitude
can be summarized as follows: an increase in pulmonary blood
volume; the development of interstitial lung oedema; respiratory muscles weakness. The presence of interstitial lung oedema is supported by numerous data, especially the increase in
closing volume, indicating small airways compression by
extravascular lung fluid accumulation, reported in 74% of
recreational climbers at 4,559 m. According to this paper,
increased pulmonary extravascular lung fluid would track centrally along major pulmonary vessels and airways.
Peribronchial fluid accumulating in this way would be expect-
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Keywords: Edema, high altitude, hypoxia, lung circulation,
lung intersititium, spirometry.
L'ambiente montano è caratterizzato da particolari
condizioni climatiche che variano in relazione all'altitudine (tabella I) e che possono interferire con
la funzionalità respiratoria. L'esposizione a queste
diverse condizioni ambientali costituisce per l'organismo un evento stressante. La risposta all'altitudine è direttamente proporzionale all'entità e alla durata dello stress ipossico, che a sua volta è strettamente correlato all'abituale quota di residenza, a
quella raggiunta e al tempo trascorso a tale quota.
I meccanismi di adattamento all'ipossia sono molteplici e parzialmente conosciuti: in generale l'organismo si adatta alla quota coinvolgendo tutti gli
apparati. In particolare l'apparato cardiocircolatorio e l'apparato respiratorio svolgono un ruolo primario nella risposta all'ipossia [1,2]. L'adattamento
respiratorio richiesto per la conservazione di un'adeguata ossigenazione tissutale prevede la trasformazione del sistema di controllo della ventilazione
da un sistema efficiente e preciso, quale è a livello
del mare, in un sistema che necessita di continui
adattamenti; ciò può provocare sensazione di distress fisico [3].
L'incremento della ventilazione è immediato, diviene significativo al di sopra dei 3.000 m e continua
col progredire della quota. Solo ventilando elevati
volumi d'aria si riesce a far giungere in periferia una
quantità di ossigeno adeguata alle esigenze metaboliche dell'organismo anche in funzione dello
sforzo richiesto. L'apparato respiratorio risponde all'ipossia anche con la vasocostrizione polmonare
cui consegue un incremento della pressione in arteria polmonare.
Il polmone partecipa attivamente alla risposta di
adattamento all'ipossia, ma risente anche delle modificazioni indotte in altri organi dall'ipossia stessa,
in particolare le modificazioni dell'equilibrio idrico. È ben noto come in alta quota si abbia una modificazione del bilancio idrico dell'organismo: da
un lato l'iperventilazione di aria secca e l'incremento della sudorazione posso indurre disidratazione, dall'altro alterazioni metaboliche complesse
ed un'alterazione della permeabilità capillare fanno
sì che in un'elevata percentuale di soggetti nei pri-
TABELLA I: CARATTERISTICHE DEL CLIMA DI MONTAGNA
Pressione barometrica
Pressione inspiratoria di ossigeno
Temperatura
Densità dell'aria
Umidità assoluta
↓
↓
↓
↓
↓
mi giorni in alta quota compaiano edemi periferici
soprattutto agli occhi, al volto ed alle mani. Anche
il mal di montagna, patologia tipica di un mal adattamento all'altitudine, è in parte dovuta a modificazioni dell'equilibrio idrico.
Quando persone abitualmente residenti a livello
del mare si recano a quote superiori a 2.500-3.000
m possono comparire sintomi quali cefalea, vertigini, nausea, astenia, insonnia, in relazione ai fenomeni di adattamento alla quota: questi sono i sintomi del mal acuto di montagna (acute mountain
sickness, AMS), che in genere regrediscono rapidamente, talora possono preludere però a patologie
estremamente gravi quali l'edema polmonare acuto
(HAPE) e l'edema cerebrale (HACE).
In seguito ad una progressiva acclimatazione alla
quota, il mal di montagna ha abitualmente un decorso favorevole e si risolve spontaneamente. Per
definire la presenza, il decorso e la gravità dell'AMS
si può utilizzare un apposito questionario: il Lake
Louise score [4].
In una piccola percentuale di soggetti i sintomi peggiorano e possono comparire le due forme gravi del
mal di montagna: l'edema polmonare acuto (HAPE)
e l'edema cerebrale acuto (HACE). L'edema polmonare d'alta quota colpisce soggetti senza alcuna
preesistente patologia cardiopolmonare, dopo una
permanenza di qualche ora o qualche giorno in
quota. In genere si verifica quando un soggetto non
acclimatato sale rapidamente e si ferma alla nuova
altitudine per almeno 6-10 ore. Come abbiamo detto, comunque, anche nei soggetti che non presentano sintomi significativi di mal di montagna esiste
un'alterazione della permeabilità endoteliale ed
una diversa distribuzione dei fluidi nell'organismo
che potrebbe spiegare la presenza di imbibizione
dell'interstizio polmonare. L'alterazione della permeabilità endoteliale è dimostrata sia da lavori in
vitro sia su modello animale. È infatti stato riportato che l'ipossia severa induce un incremento della
permeabilità microvascolare in polmoni isolati di
cane [5], mentre in conigli la respirazione per sei
ore di una miscela ipossica (12% O2) porta ad un
aumento della pressione polmonare interstiziale
dovuta ad un incremento del contenuto di fluido
nell'interstizio [6]. A questo si accompagnano modificazioni ultrastrutturali (biochimiche, morfologiche e di segnale) a carico soprattutto delle cellule
endoteliali dei capillari polmonari che presentano
alterazioni a carico della membrana e che appaiono aumentate di volume. Analoghe alterazioni sono
state dimostrate in colture di cellule endoteliali
esposte all'ipossia [7-9].
Per quanto riguarda l'uomo ci sono evidenze indirette di aumentata permeabilità endoteliale. Infatti
in soggetti esposti a quote superiori a i 4.000 m, sia
dopo una notte di permanenza in quota, sia dopo
una salita rapida in elicottero, é stato dimostrato un
significativo incremento dell'albuminuria accompagnato da una perdita di liquidi dai capillari periferici [10,11].
Passiamo ora ad esaminare le modificazioni di funzionalità respiratoria che potrebbero indicare l'imbibizione dell'interstizio polmonare.
Nel passato numerosi studi hanno evidenziato che in
quota la ridotta densità dell'aria e le modificazioni
del tipo di flusso che da turbolento diventa lineare,
inducono una riduzione delle resistenze e una modificazione dei parametri della curva spirometrica.
A Cogo, F Campigotto, A Gennari, L Pomidori, L Bernardi
Alta quota e imbibizione dell'interstizio polmonare - High altitude and extravascular lung fluid accumulation
ed to compress airways increasing the volume at which airways close. An increased permeability of capillary endothelium
could at least in part explain the increase of interstitial lung
fluid. There is growing evidence that hypoxia increases capillary
endothelial permeability both in vivo and in vitro. Preliminary
data from our laboratory, aimed at investigating at which altitude the lung interstitial oedema appears and whether it
appears also in élite climbers, seem to show that these changes
in lung function appear also at lower altitudes but do not preclude successful climbing at extreme altitudes.
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Dopo le prime segnalazioni di Angelo Mosso alla
fine del XIX secolo [12] le prime modificazioni spirometriche (riduzione della CV ed incremento del
volume di chiusura) in soggetti appena giunti in alta quota vengono segnalate negli anni '70. West nel
1993, Cogo nel 1997 e Mason nel 2000 osservano
che, sia durante un trekking in alta quota, sia durante un'esposizione simulata (camera ipobarica), si
verifica in quasi tutti i soggetti una riduzione significativa della FVC, dei flussi parziali (FEF75), una riduzione dell'impedenza trans-toracica e un incremento del volume di chiusura anche se a quote ed
a tempi di acclimatazione diversi [13-15]. A queste
modificazioni si accompagnano un significativo incremento del volume di fluido toracico intravascolare ed un più lento e graduale incremento del volume di fluido extravascolare accumulatosi negli
spazi peribronchiali che causa un'imbibizione polmonare.
Anche la significativa riduzione della capacità vitale, in soggetti abitualmente residenti a livello del
mare durante l'esposizione all'alta quota è stata
successivamente descritta: le modificazioni iniziano già a 3.500 m e si protraggono per tempi variabili. Infatti, in alcuni studi è stato descritto un ritorno ai valori basali dopo circa 10 giorni di permanenza in quota mentre in un altro studio la riduzione della capacità vitale è rimasta invariata per 2 settimane.
In un recente studio che analizza una casistica di
circa 260 alpinisti, circa il 70% dei soggetti giunti
rapidamente alla Capanna Regina Margherita
(4.500 m) presenta un incremento del volume di
chiusura attribuito appunto all'incremento del liquido polmonare extravascolare [16]. Queste modificazioni compaiono senza la comparsa di edema
polmonare e sono verosimilmente dovute ad un
graduale incremento del volume di fluido extravascolare negli spazi peribronchiali.
Le anomalie segnalate della curva flusso volume e
del volume di chiusura sono quindi verosimilmente
dovute alla compressione meccanica delle vie aeree più periferiche da parte dell'edema interstiziale
e nella formazione di tale edema può giocare un
ruolo anche l'aumento della permeabilità endoteliale. Alla stato attuale, in letteratura, non è mai stata misurata contemporaneamente la spirometria e
la permeabilità endoteliale in modo da poter tentare una correlazione tra dati spirometrici ed incremento della permeabilità endoteliale stessa. Per
questo motivo si è prospettato uno studio che aveva lo scopo di chiarire alcuni aspetti dell'adatta-
mento all'ipossia tra cui la correlazione tra dati spirometrici ed incremento della permeabilità endoteliale. Lo studio ha coinvolto 18 soggetti durante 2
diversi periodi di studio con protocolli e profili di
salita simili. Durante la prima spedizione (Nepal
2003) sono stati studiati 9 alpinisti amatoriali, mentre durante la seconda spedizione in quota (Everest
2004) si sono resi disponibili allo studio 9 alpinisti
d'élite, tutti abitualmente residenti a quote inferiori
ai 1.200m.
Tutti i soggetti erano sani, non fumatori, e non assumevano alcuna terapia; sono stati valutati a livello
del mare, un mese prima della partenza e durante
l'esposizione alla quota. Nessuno di loro ha manifestato sintomi di mal di montagna (Lake Louise
score negativo).
Durante le due spedizioni si è cercato di mettere in
relazione la risposa ventilatoria con la presenza di
permeabilità endoteliale misurando i valori spirometrici e le proteine urinarie con il dosaggio della
microalbuminuria che, in assenza di altre cause,
può essere considerata un indice indiretto di permeabilità endoteliale.
Una preliminare analisi dei nostri dati, per quanto
riguarda i valori spirometrici, è in accordo con la
letteratura; i flussi espiratori migliorano significativamente. I meccanismi di tali modificazioni hanno
un'origine multifattoriale: la ridotta densità dell'aria
spiega l'incremento del picco di flusso espiratorio e
la riduzione delle resistenze delle vie aeree osservate a 3.500m. A tale quota si osserva già un significativo incremento della permeabilità endoteliale
dovuto all'ipossia, come dimostrato dalla presenza
di proteinuria; a 5.050m. diventano evidenti anche
le altre modificazioni spirometriche, in particolare
la riduzione della CV e del MEF25. La riduzione significativa del MEF25 supporta la tesi che l'imbibizione dell'interstizio non permetta una completa
distensione delle vie aeree e contrasti il miglioramento dei flussi che si verificherebbe in virtù della
ridotta densità dell'aria. I dati ottenuti hanno mostrato che, con il progredire della quota ci sono delle modificazioni delle curve spirometriche e un aumento della microalbuminuria che indicano la presenza di imbibizione interstiziale in assenza di segni o sintomi di mal di montagna.
Il risultato di questo studio sottolinea come l'imbibizione polmonare sia un fenomeno che si verifica
sia negli alpinisti amatoriali che negli alpinisti di
élite, è transitorio e non pregiudica eventualmente
la salita a quote estreme senza ossigeno supplementare.
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Alta quota e imbibizione dell'interstizio polmonare - High altitude and extravascular lung fluid accumulation
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Atti / Proceedings
Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello”
Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005
Infiammazione delle vie aeree e attività
sportiva
Airways inflammation and sport
Maria Rosaria Bonsignore
Dipartimento di Medicina, Pneumologia, Fisiologia e Nutrizione Umana (DIMPEFINU), Università di Palermo,
presso Ospedale V Cervello, Palermo
RIASSUNTO
L'asma bronchiale negli atleti di elite ha caratteristiche peculiari
quando l'attività di endurance comporta l'esposizione ad aria
fredda ed asciutta. In modelli sperimentali (cavallo, cane da slitta) le modificazioni infiammatorie e cellulari sono analoghe a
quanto si riscontra abitualmente nell'asma bronchiale. Negli
sciatori di fondo e nei maratoneti si riscontra invece un incremento dei neutrofili, in buona parte in apoptosi. L'incremento
delle cellule infiammatorie sarebbe conseguente a un danno diretto dell'epitelio bronchiale con ridotta espressione delle molecole di adesione. L'esercizio fisico potrebbe avere un effetto protettivo sullo sviluppo dell'iperreattività bronchiale che apre nuovi scenari potenzialmente applicabili anche in campo riabilitativo.
Parole chiave: Asma bronchiale, endurance, esercizio fisico, iperreattività bronchiale.
ABSTRACT
Bronchial asthma in élite athletes has peculiar characteristics
when the endurance activity involves exposure to cold, dry air.
In experimental models (horse, sleigh dogs) the inflammatory
and cellular changes are analogous to what is commonly found
in bronchial asthma. In cross-country skiers and marathon runners, on the other hand, an increase of neutrophils, mostly in
apoptosis, is observed. This increase of the inflammatory cells
is probably a consequence of a direct damage to the bronchial
epithelium with a reduced expression of adhesion molecules.
Physical exercise could have a protective effect on the development of bronchial hyperresponsiveness, a fact which opens up
new scenarios of potential application also in the rehabilitation
field.
Keywords: Bronchial asthma, bronchial hyperresponsiveness,
endurance, physical exercise.
L'infiammazione delle vie aeree nell'atleta è un argomento sviluppato soltanto di recente nell'ambito
della fisiologia dell'esercizio. Lo studio delle cellule delle vie aeree negli atleti è iniziato infatti con riguardo alla problematica della broncocostrizione
da sforzo, secondo l'ipotesi che, in analogia all'asma bronchiale, anche negli atleti fenomeni infiammatori potessero contribuire alla sintomatologia
evocata dall'esercizio. In particolare, atleti di endurance esposti ad aria fredda ed asciutta (come gli
sciatori di fondo) o ad aria umida (come i nuotatori) dimostrano un'elevata prevalenza d'iperreattività
bronchiale [1]. Mentre gli effetti del nuoto sono almeno in parte ascrivibili alle conseguenze dell'esposizione ad elevate concentrazioni di composti
del cloro durante l'esercizio [2,3], e sono reversibili all'interruzione dell'attività agonistica [4], il quadro che emerge dagli studi sugli sciatori di fondo
suggerisce l'esistenza di un “asma dello sciatore”
che è stato ben studiato sia nell'uomo che in alcuni modelli animali quali il cavallo [5] o i cani da
slitta [6]. L'analisi delle biopsie bronchiali ottenute
negli sciatori di fondo ha evidenziato aumento delle cellule infiammatorie e segni di rimodellamento
delle vie aeree [7-9]. Tuttavia, non è stata dimostrata alcuna correlazione tra la gravità dell'infiammazione delle vie aeree ed il verificarsi di sintomi da
sforzo o il grado di iperreattività alla metacolina in
questi atleti [9]. Infine, la somministrazione di steroidi inalatori non modificava le cellule delle vie
aeree per qualità o quantità, suggerendo che l'asma
dello sciatore fosse diverso dall'asma bronchiale tipico [10].
Gli studi sui modelli animali hanno fornito informazioni importanti sugli effetti dell'aria fredda ed
Maria Rosaria Bonsignore
Dipartimento di Medicina, Pneumologia, Fisiologia e Nutrizione Umana
(DIMPEFINU), Università di Palermo, c/o Ospedale V Cervello
Via Trabucco 180, 90146 Palermo, Italia
email: [email protected]
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tenutasi a Palermo alcuni giorni dopo un elevato
picco di ozono, come documentato dai dati
dell'Azienda Municipale per l'Igiene Ambientale
(AMIA). Pur in assenza di sintomi significativi, i
campioni di espettorato indotto di questi atleti dimostravano un numero elevato di cellule epiteliali
(25% del campione), due terzi delle quali erano
apoptotiche (65% TUNEL positive) [15]. Uno studio
longitudinale successivo ha esaminato in un gruppo di atleti le variazioni di composizione dell'espettorato a riposo e dopo gara in diverse stagioni
dell'anno, per valutare il ruolo delle condizioni climatiche sulle cellule delle vie aeree. I risultati preliminari [16] indicano che variazioni di circa 20°C
in ambito di clima moderato (da 7° in inverno a 27°
in estate) non modificano significativamente i risultati, mentre l'apoptosi delle cellule epiteliali bronchiali aumentava significativamente dopo sforzo indipendentemente dalle condizioni ambientali, seppure in misura molto inferiore a quella documentata dopo il picco di ozono [16]. Infine, i neutrofili
costituivano la maggioranza delle cellule apoptotiche in tutti i campioni esaminati, suggerendo la
possibilità che l'apoptosi potrebbe essere un meccanismo di controllo importante nei confronti della
flogosi delle vie aeree indotta dall'esercizio [16].
La presenza di un numero elevato di cellule infiammatorie nelle vie aeree dei maratoneti ci ha portato
ad ipotizzare che l'allenamento possa modificare la
reattività bronchiale negli atleti di endurance non
asmatici.
A tale scopo abbiamo studiato 20 maratoneti e 20
soggetti sedentari con normale reattività alla metacolina al test di broncoprovocazione standard (dosi
crescenti di metacolina, PC20 > 25 mg/ml).
Abbiamo quindi eseguito test di broncoprovocazione con metacolina in dose singola in assenza di respiri profondi, che è un test più sensibile rispetto a
quello classico, secondo un protocollo precedentemente utilizzato per lo studio di pazienti asmatici. I
maratoneti avevano una risposta ridotta rispetto ai
soggetti sedentari, in quanto non raggiungevano
modificazioni significative alla spirometria nonostante l'alta dose di metacolina usata nel test (75
mg/ml) [17]. Invece, i soggetti normali sedentari rispondevano al test con riduzioni significative della
capacità vitale inspiratoria anche alla dose di 40
mg/ml di metacolina [17]. Questi dati suggeriscono
che l'allenamento di endurance possa influenzare
positivamente la reattività bronchiale, con potenziale interesse per lo studio della broncoreattività
nei pazienti asmatici o con malattie respiratorie dopo riabilitazione cardiorespiratoria.
A tale proposito, dati preliminari ottenuti in bambini con asma lieve intermittente sottoposti ad un
programma di allenamento aerobico per 12 settimane indicano una tendenza alla riduzione della
gravità dell'iperreattività bronchiale dopo training
(in alcuni casi, normalizzazione della reattività alla
metacolina), in modo simile a quanto osservato negli atleti non asmatici [18]. Dati sperimentali nel topo sensibilizzato all'ovalbumina e sottoposto ad allenamento o ad un pattern di vita sedentario hanno
dimostrato una cospicua riduzione della flogosi
bronchiale nei topi allenati rispetto ai sedentari
[19].
Complessivamente, i dati disponibili indicano una
complessa modulazione da parte dell'esercizio abituale sulle vie aeree, che potrebbe essere rilevante
MR Bonsignore
Infiammazione delle vie aeree e attività sportiva - Airways inflammation and sport
asciutta sulle vie aeree. Nel cavallo, l'esposizione
all'aria fredda durante esercizio sottomassimale aumentava l'espressione delle citochine a livello delle
vie aeree secondo un pattern Th2 (IL-4, IL-5, IL-10,
IL-2) in accordo a quanto riscontrato nell'asma tipico [5]. Nei cani da slitta, l'esercizio prolungato a
temperature molto basse induceva danno epiteliale
e cospicuo afflusso di cellule infiammatorie nelle
vie aeree [6]. Il rilascio di fattori chemiotattici per i
neutrofili e gli eosinofili è stato osservato in cellule
epiteliali bronchiali in vitro dopo esposizione sia ad
un ambiente iperosmolare o a raffreddamento/riscaldamento, in accordo con le teorie più accreditate sulla patogenesi dell'asma da sforzo [11].
Nel primo studio da noi condotto sulle cellule delle vie aeree negli atleti, ci siamo chiesti se alterazioni analoghe a quelle documentate negli sciatori di
fondo si verificassero anche in atleti non esposti a
condizioni ambientali estreme durante lo sforzo.
Abbiamo perciò studiato le cellule dell'espettorato
indotto a riposo e dopo una maratona in atleti amatoriali non asmatici, documentando una cospicua
neutrofilia, particolarmente accentuata dopo la gara [12]. Tuttavia, i neutrofili dell'espettorato mostravano una bassa espressione di molecole di adesione subito dopo la maratona, che suggeriva bassa o
assente attivazione pro-infiammatoria di queste cellule in seguito all'esercizio [12]. Anche in altri atleti (nuotatori, canottieri) abbiamo documentato neutrofilia dell'espettorato e ridotta espressione di molecole di adesione dopo sforzo [3,13], che suggerisce l'esistenza di un meccanismo di controllo dell'infiammazione delle vie aeree negli atleti non
asmatici.
La possibile interpretazione dei nostri dati, anche
alla luce dei risultati osservati nelle cellule epiteliali in vitro [11], è che le cellule epiteliali bronchiali
possano liberare fattori chemiotattici in seguito all'aumento della ventilazione durante esercizio. Tale
aumento sarebbe responsabile di un insufficiente
condizionamento dell'aria inspirata, con conseguente iperosmolarità dello strato superficiale della
mucosa bronchiale. Tuttavia, l'iperosmolarità causa
anche la perdita delle molecole di adesione da parte dei neutrofili (come descritto in altri modelli in
vitro), possibilmente limitando gli effetti dell'afflusso di cellule infiammatorie nelle vie aeree [14].
Il passo successivo è stato lo studio delle modificazioni delle cellule dell'espettorato indotto in rapporto all'entità della ventilazione sotto sforzo [13].
Per questo protocollo abbiamo utilizzato test all-out
(sopra-massimali) in un campione di giovani canottieri agonisti. Lo studio ha dimostrato un trend all'aumento delle cellule epiteliali bronchiali nell'espettorato, già presente dopo pochi minuti di esercizio molto intenso e tendenzialmente correlato alla ventilazione massima raggiunta durante l'esercizio [13]. Questi dati suggeriscono che gli alti flussi
aerei durante sforzo sopramassimale possano ledere l'epitelio bronchiale evocando l'afflusso di cellule infiammatorie documentato negli studi precedenti.
Per quanto riguarda gli effetti delle condizioni ambientali sulle modificazioni delle cellule dell'espettorato indotto osservate nei soggetti allenati, il potenziale ruolo degli agenti inquinanti presenti nell'aria inspirata non può essere sottovalutato.
Abbiamo avuto l'opportunità di studiare maratoneti non asmatici dopo una gara di mezza maratona
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anche nei pazienti sottoposti a programmi di riabilitazione. In particolare, gli studi più recenti suggeriscono l'opportunità di indagare i meccanismi biologici degli effetti dell'esercizio fisico e dell'allena-
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12.
13.
14.
15.
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Atti / Proceedings
Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello”
Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005
β2-agonisti e doping
β2-agonists and doping
Antonio Todaro
Istituto di Medicina e Scienza dello Sport, CONI Servizi SpA, Roma
Società Italiana di Pneumologia dello Sport
RIASSUNTO
L'utilizzo di farmaci β2-agonisti è consentito dal Comitato
Olimpico Internazionale, dalla WADA, previa documentazione
della necessità per il trattamento di un asma bronchiale documentato. Il controllo della corrispondenza tra dosaggio urinario
e dosaggio terapeutico prescritto è fondamentale per evitare l'utilizzo a scopo dopante di queste sostanze. In realtà solo per il
salbutamolo è stato dimostrato un incremento delle prestazioni
sia di endurance che di potenza, in genere con dosaggi per os ampiamente superiori ai range terapeutici. Per gli altri tre β2-agonisti ammessi (terbutalina, salmeterolo, formoterolo) non sono disponibili studi che ne dimostrino la potenzialità dopante, specie
per i due a lunga durata in quanto utilizzati in tali studi a dosaggio terapeutico.
Parole chiave: Asma bronchiale, β2-agonisti, doping, esercizio fisico.
ABSTRACT
The use of β2-agonists is consented by the International
Olympic Committee, WADA, on presentation of a document
certifying the need for its use in the treatment of clinically
ascertained bronchial asthma. Controlling the correspondence
between urine levels and prescribed therapeutic dose is fundamental to avoid the use of these substances for doping purposes. In reality, only for salbutamol has an increase been demonstrated in performance, both endurance and strength, and generally at an oral dose far higher than the therapeutic range.
For the other three β2-agonists consented (terbutaline, salmeterol, formoterol) no available studies exist showing their
doping potential, in particular for the two long-acting drugs,
which have been utilized in such studies only at therapeutic
dosage.
Keywords: β2-agonists, bronchial asthma, doping, physical
exercise.
INTRODUZIONE
Il 10 Novembre 1999 per iniziativa del Comitato
Olimpico Internazionale fu istituita la World Anti-
Doping Agency (WADA) con lo scopo di promuovere e coordinare la lotta al doping. Compito della
WADA è anche quello di pubblicare ogni anno la
lista delle sostanze vietate perché considerate dopanti: in tale lista tutti i β2-agonisti sono inclusi tra
le sostanze stimolanti e anabolizzanti. Tuttavia per
venire incontro alle esigenze degli atleti asmatici il cui numero è in costante crescita - fu consentito
dapprima l'uso del salbutamolo e della terbutalina,
successivamente anche quello del salmeterolo e
più recentemente del formoterolo. L'assunzione di
uno di questi quattro farmaci, esclusivamente per
via inalatoria e a dosaggio terapeutico, da parte di
tutti gli atleti asmatici deve essere adeguatamente
certificata utilizzando il modulo WADA
(Therapeutic Use Exemptions; abbreviated process).
Lo scopo è quello di verificare da una parte la corrispondenza tra il dosaggio (terapeutico) certificato
e quello riscontrato nelle urine ai controlli antidoping, onde evitare un abuso doloso; dall'altra per
combatterne l'uso da parte di atleti non asmatici
con l'intento di migliorare la prestazione sportiva.
Asma e olimpiadi
Nella tabella I è riportata la percentuale di atleti che
hanno presentato la certificazione per l'uso di un
β2-adrenergico: è evidente la differenza tra
l'Olimpiade di Los Angeles, quella di Atlanta e
quella dopo quattro anni a Sydney; anche per
quanto riguarda i giochi invernali c'è differenza tra
Nagano e Salt Lake.
Nella tabella II è riportata la percentuale di atleti
asmatici, affetti da broncospasmo da esercizio fisico, nella squadra statunitense alle Olimpiadi di
Nagano. La maggior parte degli atleti effettua attività aerobiche, nelle quali l'impegno ventilatorio stimolo asmigeno - è elevato; riducendosi la richiesta ventilatoria, come nell'hockey e nella velocità,
diminuisce la percentuale di asmatici. Si sottolinea
l'assenza di atleti asmatici nella disciplina del
biathlon (sci di fondo, aerobico, e tiro con carabi-
Antonio Todaro
Via G. Pezzana 108, 00197 Roma, Italia
email: [email protected]
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 3: 77-79
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TABELLA I: INCIDENZA DEGLI ATLETI ASMATICI ALLE OLIMPIADI
ESTIVE E INVERNALI
OLIMPIADE
% Atleti asmatici
Los Angeles 1984
Atlanta 1996
Sydney 2000
Nagano 1998
Salt Lake 2002
1,7
3,6
5,5
5,6
6,6
na): questo potrebbe essere dovuto proprio al fatto
che i β2-agonisti possono indurre tremori alle mani
e tachicardia con ripercussioni sulla precisione
del tiro.
Sulla base di questi dati e per mettere un freno all'eccesso di richieste per l'uso di tali farmaci, il CIO
per le Olimpiadi di Atene ha richiesto, oltre a quella WADA, un'altra molto particolareggiata certificazione su apposito modulo, con descrizione degli
accertamenti funzionali effettuati a conferma della
diagnosi. L'uso del β2-agonista era accettata esclusivamente ad una delle seguenti condizioni: incremento del FEV1 ≥ 15% post salbutamolo rispetto al
valore basale; oppure una caduta di tale parametro
≥ 10% dopo test di broncostimolazione con esercizio fisico o con test di iperventilazione eucapnica,
oppure una PD20 ≤ 200 mcg di metacolina.
Siamo a conoscenza che per le Olimpiadi Invernali
di Torino 2006 sono state apportate delle modifiche: FEV1 post salbutamolo ≥ 12%, in accordo con
le linee guida internazionali, PD20 ≤ 400 mcg di
metacolina; invariati i limiti per gli altri test.
β2-agonisti e prestazione fisica
È fuori dubbio che i β2-agonisti, migliorando la pervietà bronchiale e inibendo i sintomi respiratori indotti dall'esercizio fisico, danno agli asmatici la
possibilità di competere in condizioni paritarie con
i soggetti sani [1]. Ne fanno fede la nota partecipazione di questi atleti alle Olimpiadi e le numerose
medaglie vinte. Alle Olimpiadi di Atene, per esempio, della nostra squadra facevano parte 36 atleti
asmatici (pari al 9,5%): alcuni di loro, tra sport individuali e di squadra, hanno potuto vincere 13
medaglie grazie anche all'uso corretto dei β2-agonisti (dati personali).
Ma quali vantaggi sulla prestazione di endurance e
su quella di potenza può avere un atleta non asmatico dall'assunzione di questi farmaci? I risultati degli studi sono discordanti.
TABELLA II: INCIDENZA DEL BRONCOSPASMO DA ESERCIZIO
FISICO NELLA SQUADRA USA ALLE OLIMPIADI DI NAGANO
Specialità
Sci di fondo
Pattinaggio fondo
Hockey
Pattinaggio velocità
Biathlon
Legenda: EIB, broncospasmo da esercizio fisico.
Tratto da [25] mod.
78 MRM
EIB
50%
43%
15%
9%
0%
Il salbutamolo - il più studiato dei β2-adrenergicialle dosi di 200-400-800-1.200 mcg assunto in
acuto in sportivi non asmatici non ha indotto alcuna variazione dei parametri ventilatori, della potenza aerobica e di quella anaerobica rispetto al placebo [2-8]. In contrasto con tali risultati, altri studi
hanno dimostrato un miglioramento della prestazione sia con l'assunzione in acuto che in cronico.
In acuto, in 15 ciclisti l'inalazione di 200 mcg di
salbutamolo rispetto al placebo ha prolungato di 37
secondi il tempo di sprint dopo un'ora di lavoro
submassimale [9]. In uno studio su 16 atleti, 800
mcg di salbutamolo per inalazione ha indotto un
miglioramento della performance di endurance durante un test al cicloergometro [10].
In 16 sportivi, l'assunzione di 4 mg per os 90 minuti prima di un test di endurance ha prolungato, rispetto al placebo, il tempo di esaurimento di 729
secondi in 10 soggetti; inoltre durante l'esercizio è
stato rilevato un aumento del lattato plasmatico ed
una riduzione della concentrazione di potassio nel
plasma, condizioni considerate favorenti la prestazione [11].
In cronico l'assunzione di salbutamolo (12 mg/die
per 3 settimane) vs placebo ha indotto un aumento
di 7 minuti del tempo di esaurimento a un test aerobico; inoltre, durante esercizio, è stata rilevata
una maggiore disponibilità e utilizzazione dei carboidrati ed un aumento dell'ormone della crescita
con un picco medio di 30 ng/ml alla fine dell'esercizio [12]: quest'ultimo dato per i suoi importanti
risvolti necessita di ulteriori studi.
Anche sulle prestazioni di potenza, caratteristicamente anaerobiche, sono stati riscontrati effetti positivi del salbutamolo. L'inalazione in acuto di 180
mcg ha indotto un aumento della potenza e un allungamento del tempo di induzione della fatica
[13]. L'assunzione di 4 mg per os ha indotto un aumento del picco di potenza, della potenza media,
della forza [14]. Un dosaggio di 12 mcg/die per os
per un periodo di 3 settimane ha indotto, in confronto al placebo, un aumento di questi stessi parametri, nonché del lattato non solo in soggetti molto
allenati ma anche in sedentari [15]. Martineau e
coll. in 12 soggetti che per 3 settimane avevano assunto 16 mg/die per os - studio in doppio cieco con
placebo - hanno riscontrato un aumento del 12 ±
3% della forza dei quadricipiti già al 14° giorno di
trattamento; tale incremento si manteneva al 21°
giorno ed era ancora presente, anche se in misura
ridotta, dopo un washout di 4 settimane [16].
Lo stesso dosaggio di 12 mg/die protratto per 6 settimane ha prodotto un aumento del picco di torque,
del lavoro totale, della potenza media rispetto allo
stesso test effettuato senza farmaco [17].
Ma oltre a questi effetti del salbutamolo sulla prestazione sportiva, sia essa di endurance che di potenza, ci sono studi che dimostrano un'azione di tale farmaco come antidepressivo [18,19].
La terbutalina, alla dose inalata di 3 mg, in 20 atleti di elite non asmatici impegnati in vari sport aerobici non ha indotto alcuna variazione significativa
rispetto al placebo della ventilazione, del massimo
consumo di ossigeno e del carico di lavoro; sono
state rilevate variazioni di scarso significato del lattato e del potassio sierico [20].
Per quanto riguarda gli altri β2-adrenergici consentiti (salmeterolo, formoterolo) non abbiamo riscontrato in letteratura studi che dimostrino una loro
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CONCLUSIONI
È dimostrato che il salbutamolo, soprattutto in cronico e con dosi notevolmente superiori a quelle te-
rapeutiche, ha degli effetti positivi sulla endurance
e sulla potenza anaerobica che ne giustificano l'inclusione nella lista delle sostanze dopanti.
Per quanto riguarda gli altri β2-agonisti permessi
non ci sono al momento evidenze scientifiche che
dimostrino una loro azione ergogenica se assunti a
dosaggio terapeutico: sono da verificare i loro effetti sulla prestazione se assunti a dosaggi superiori.
A Todaro
β2-agonisti e doping - β2-agonists and doping
azione ergogenica; facciamo presente, tuttavia, che
questi studi sono in numero esiguo e questi farmaci
sono stati utilizzati a dosaggio terapeutico: salmeterolo 42-50 mcg [21,22]; formoterolo 9-12 mcg [23,24].
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Atti / Proceedings
5th International Conference on Management and Rehabilitation
of Chronic Respiratory Failure (from ICU to home), Stresa, Italy,
March 22-25, 2006
La sindrome rinobronchiale:
una patologia comune
Rhinobronchial syndrome: a common pathology
Fernando De Benedetto1, Franco Chiaravalloti2
1
2
UOC Pneumologia, PO Clinicizzato “SS. Annunziata”, Chieti
UO Medicina, Modulo Pneumologia, Casa di Cura “G. Spatocco”, Chieti
RIASSUNTO
Numerosi studi hanno dimostrato che le vie aeree superiori ed
inferiori hanno non soltanto una continuità anatomica, ma adottano anche i medesimi meccanismi fisiopatologici per rispondere alle noxae patogene, devono perciò essere considerate un'unica entità morfofunzionale.
La flogosi mucosale rinosinusale è stata individuata come il principale meccanismo patogenetico dello sviluppo di una condizione morbosa a livello bronchiale.
La revisione della letteratura sulla relazione tra alte e basse vie
respiratorie consente di evidenziare molti dati sui rapporti tra
asma e rinite e/o rinosinusite, mentre del tutto recentemente è
emerso l'interesse sui rapporti tra rino-sinusite e riacutizzazioni
bronchitiche, in particolare sono state evidenziate correlazioni
fra alte e basse vie aeree del livello di infiammazione in termini
di concentrazione di citochine, presenza di cellule infiammatorie
e batteri. Acquista perciò grande importanza la scelta della terapia antibiotica.
I fluorochinoloni respiratori, in particolare la moxifloxacina, mostrano una superiorità nella cura (precoce risoluzione dei sintomi cardine), nella eradicazione batterica e negli outcome rispetto alla terapia standard.
Moxifloxacina inoltre, intervenendo sul rilascio di citochine
proinfiammatorie ed antiinfiammatorie dai neutrofili, svolge
un'importante attività immunomodulante che, integrandosi con
l'attività antibatterica, accelera la risoluzione dell'episodio infettivo, riducendo il danno d'organo.
ABSTRACT
Numerous studies have shown that the upper and lower airways not only possess anatomical continuity but also adopt
the same pathophysiological mechanisms in response to harmful pathogens. Hence they should be considered as a single
morpho-functional entity.
Rhinosinusal mucosal inflammation is the principal pathogenetic mechanism underlying the development of a morbose
bronchial condition.
From a review of the literature on the relationship between
upper and lower airways many reports emerge on the association between asthma and rhinitis and/or rhinosinusitis, whereas the link between rhinosinusitis and COPD exacerbation
appears to be of very recent interest. In particular correlations
in the level of inflammation between the upper and lower airways have been shown (chemokine concentration, inflammatory cells and bacteria). Therefore the choice of which antibiotic therapy to use is very important. The respiratory fluoroquinolones, in particular moxifloxacin, though equivalent to
standard treatment as regards clinical success, are superior to
standard treatment in terms of their capacity for early resolution of the key symptoms, bacterial eradication and outcomes.
Moxifloxacin, moreover, intervenes in the release of proinflammatory and anti-inflammatory chemokines from the
neutrophil cells, and so exerts an important immunomodulant
activity, accelerates resolution of the infectious process and
reduces the organ injury.
Parole chiave: Patologia, sindrome rinobronchiale, vie aeree
superiori ed inferiori.
Keywords: Pathology, rhinobronchial syndrome, upper and
lower airways.
Fernando De Benedetto
PO Clinicizzato “SS. Annunziata”
Via dei Vestini, 66100 Chieti, Italia
email: [email protected]
Nota: Lettura presentata nel simposio “Le vie aeree e le infezioni batteriche: nuove sfide e nuovi approcci terapeutici per garantire
il miglior trattamento”
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 3: 80-83
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Numerosi studi hanno dimostrato che le vie aeree
superiori ed inferiori hanno non soltanto una continuità anatomica, ma adottano anche i medesimi
meccanismi fisiopatologici per rispondere alle
noxae patogene [1], devono perciò essere considerate un'unica entità morfofunzionale.
Il Consensus-Report SIO-AIMAR del 2004 ha definito la Sindrome Rino-Bronchiale come un'entità
nosologica che si realizza quando un processo di
tipo iperreattivo, infiammatorio cronico o ricorrente, comunque indotto, o alterazioni anatomiche a carico del distretto rino-sinusale facilitano lo
sviluppo di uno stato infiammatorio, su base infettiva o immunologica, nelle vie aeree inferiori, che
può manifestarsi anche con compromissione della
funzione [2]. In questa prospettiva la flogosi mucosale rinosinusale e l'alterazione della clearance muco-ciliare con conseguente perdita dell'azione di
filtro, nonché l'inalazione diretta di mediatori prodotti dalla degranulazione mastocitaria con meccanismo IgE-mediato e/o con meccanismo indiretto e
il riflesso rino-bronchiale e/o oro-faringo-bronchiale, sono stati individuati come possibili meccanismi
patogenetici dello sviluppo di una condizione morbosa a livello bronchiale.
Il più importante tra questi meccanismi è, senza
ombra di dubbio, il processo infiammatorio cronico del distretto rino-sinusale. L'alterazione della
clearance mucociliare e la perdita dell'azione di filtro, anch'esse conseguenze della flogosi mucosale,
sono un fattore di aggravamento per lo sviluppo
della patologia nelle vie aeree inferiori. Al momento non vi sono evidenze per attribuire un ruolo significativo all'inalazione e/o ai meccanismi riflessi.
La revisione della letteratura sulla relazione tra alte
e basse vie respiratorie consente di evidenziare
molti dati sui rapporti tra asma e rinite e/o rinosinusite, mentre è del tutto recente l'interesse sui rapporti tra rino-sinusite e Broncopneumopatia
Cronica Ostruttiva (BPCO).
Patologia rinosinusale e BPCO
Hurst e coll. in un lavoro del 2005 [3] hanno indagato l'infiammazione esistente a livello di naso e
bronchi nei soggetti con BPCO, paragonando i risultati a quelli ottenuti in un gruppo di controllo. In
particolare campioni di sangue, fluido di lavaggio
nasale ed espettorato vennero prelevati da 47 soggetti affetti da BPCO e da 12 soggetti di controllo.
Furono analizzate la concentrazione di IL-6, IL-8
(citochina con un potente effetto chemiotattico e di
attivazione dei neutrofili), la conta leucocitaria e la
carica batterica. I risultati ottenuti furono i seguenti: la concentrazione media di IL-8 nel fluido di lavaggio nasale risultò significativamente più alta nei
soggetti affetti da BPCO rispetto ai soggetti di controllo, al contrario la differenza della concentrazione di IL-6, conta leucocitaria e carica batterica, sebbene sensibilmente più alta nei BPCO, non raggiunse la sensibilità statistica.
Questo è il primo studio che dimostra nella BPCO
una correlazione tra livello di infiammazione presente nelle vie aeree superiori ed inferiori (Figura 1).
La concentrazione di IL-8 nel fluido nasale risultò
inoltre positivamente correlata con la concentrazione presente nell'espettorato (r = 0,30; p = 0,039);
privi di correlazione positiva risultarono invece
l'IL-6, la carica batterica e la conta leucocitaria.
Infine la colonizzazione batterica delle vie aeree
inferiori da parte di microrganismi potenzialmente
patogeni (PPM) risultò associata a una carica batterica totale più elevata a livello del naso, con una similitudine di specie batterica dimostrata in entrambi i distretti (Figura 2).
Sempre lo stesso autore nel 2006 pubblicò uno studio nel quale analizzando il liquido di lavaggio nasale, l'espettorato e il siero di 41 soggetti con BPCO
riacutizzata dimostra un aumento significativo di
indici di infiammazione quali leucociti, mieloperossidasi e IL-6 nel liquido di lavaggio nasale, un
contemporaneo aumento significativo di leucociti,
MPO e IL-8 nell'espettorato e a dimostrazione che
il processo di flogosi bronchiale è un processo sistemico, un consensuale aumento di IL-6 e proteina C
reattiva nel siero [4].
In un altro recente studio, Vachier e coll. [5] hanno
avuto quale obiettivo principale quello di dimostrare se coesiste infiammazione nasale e bronchiale
nei soggetti affetti da BPCO, in questa ottica hanno
analizzato la cellularità (eosinofili, neutrofili, linfociti CD8+ e macrofagi) nelle biopsie nasali e bronchiali di 7 soggetti di controllo, 7 fumatori senza
BPCO e di 14 fumatori con BPCO.
Questi autori per primi hanno dimostrato che i fumatori, con e senza BPCO, presentano livelli significativi di infiammazione nasale caratterizzata da
aumento del numero dei linfociti T CD8+; inoltre, i
soggetti fumatori BPCO hanno nella mucosa nasale
un aumentato numero di neutrofili e macrofagi, paragonati con i soggetti fumatori senza BPCO, che
presentano invece un aumento degli eosinofili.
Questo pattern cellulare, con l'eccezione dei macrofagi, è simile sia nel naso che nei bronchi
(Tabella I).
Infine uno studio svedese del 2001 [6] che ha esaminato in un'ampia casistica la correlazione tra i
sintomi a carico delle alte vie respiratorie e quelli
relativi a asma e a BPCO, ha dimostrato che i sintomi nasali coesistono frequentemente, in percentua-
F De Benedetto, F Chiaravalloti
La sindrome rinobronchiale - Rhinobronchial syndrome
INTRODUZIONE
FIGURA 1: IL-8 NEL LIQUIDO DI LAVAGGIO NASALE DEI
PAZIENTI BPCO E NEL GRUPPO DI CONTROLLO
160
140
120
100
pg/ml
MRM 03-2007_def
80
BPCO
Controlli
60
40
20
0
Tratto da [3] mod.
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FIGURA 2: CARICA BATTERICA NEL LIQUIDO DI LAVAGGIO
NASALE DI 47 SOGGETTI AFFETTI DA BPCO
4
3,5
No
microrganismi
potenzialmente
patogeni nei
bronchi
3
2,5
cfu/ml
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 3: 80-83
MRM 03-2007_def
Presenza di
microrganismi
potenzialmente
patogeni nei
bronchi
2
1,5
1
0,5
0
Legenda: cfu, unità formanti colonia.
Tratto da [3] mod.
le sovrapponibile, sia con l'asma che con la BPCO:
infatti i sintomi delle alte vie respiratorie furono rilevati nel 46% dei soggetti asmatici e nel 40% dei
soggetti con BPCO.
Se nel corso degli anni passati i contributi scientifici in favore dell'associazione rinite e asma sono stati tantissimi, un argomento nuovo e di estremo interesse è la sostenuta relazione esistente tra rino-sinusite e ricorrenti riacutizzazioni flogistiche bronchiali, tra cui acquistano particolare interesse le riacutizzazioni di BPCO.
Patologia rinosinusale e riacutizzazioni della BPCO
La storia naturale della BPCO è costellata dal ripetersi, in modo più o meno frequente, di episodi di
riacutizzazione che si manifestano, essenzialmente, con un peggioramento di vario grado dei sintomi di base (dispnea, produzione e colore dell'espettorato, tosse) che alterano lo stato di quiescienza
della malattia e richiedono la modifica dell'abituale piano terapeutico [7]. Le esacerbazioni, in particolare quelle più gravi che richiedono in genere il
ricovero in ospedale, rappresentano eventi significativi per il paziente, essendo ormai confermato il
loro ruolo nell'accelerare il declino della funzionalità respiratoria. Ad ogni riacutizzazione, infatti, la
funzione polmonare dei pazienti con BPCO può diminuire mediamente di circa 50 ml con un andamento definito “a gradini” [8].
Tutti gli studi epidemiologici concordano sul fatto
che il 70% delle riacutizzazioni infettive è di origine batterica (Acute Bacterial Exacerbation Chronic
Bronchitis - ABECB); l'etiologia virale incide per il
30% dei casi, particolarmente durante i mesi invernali: tra i virus spiccano, per il ruolo sostenuto,
quelli influenzali, il respiratorio sinciziale, i rinovirus e i coronarovirus [9-11]. Tutte le casistiche, inoltre, sono concordi nell'affermare che i batteri più
frequentemente responsabili di AECOPD sono
l'Haemophilus influenzae, lo Streptococcus pneumoniae, la Moraxella catarrhalis. La presenza di
questi patogeni, comunemente definiti “infernal
trio”, che si riscontrano come patogeni prevalenti
anche nelle rinosinusiti, conferma gli stretti rapporti di interrelazione e interdipendenza tra i due distretti. È infatti esperienza clinica comune che spesso nei pazienti BPCO senza evidenti fattori di rischio (abitudine tabagica, esposizione lavorativa),
un'attenta anamnesi può far emergere una patologia, talora sfumata, delle vie aeree superiori.
Il cardine della terapia, dato il ruolo svolto dalle infezioni, è il trattamento con antibiotici che deve essere sempre preso in considerazione in presenza di
TABELLA I: NUMERO DI CELLULE INFIAMMATORIE NELLA MUCOSA NASALE E BRONCHIALE
Controlli
BPCO non fumatori (n = 7)
BPCO fumatori (n = 14)
p
Eosinofili
Naso
Bronchi
p
0 ± 0 (0-0)
0 ± 1 (0-0)
NS
10 ± 13 (9-14)
7 ± 9 (5-10)
0,60
3 ± 3 (0-6)
1 ± 1 (0-2)
0,11
0,0003
0,006
Neutrofili
Naso
Bronchi
p
0 ± 0 (0-0)
0 ± 0 (0-0)
NS
0 ± 1 (0-2)
0 ± 0 (0-1)
0,28
46 ± 87 (35-165)
48 ± 54 (0-100)
0,27
< 0,0001
0,004
Linfociti CD8+
Naso
Bronchi
p
0 ± 0 (0-0)
0 ± 0 (0-0)
NS
19 ± 17 (14-24)
30 ± 61 (21-78)
0,20
3 ± 9 (0-23)
17 ± 15 (3-24)
0,23
0,007
0,0004
Macrofagi
Naso
Bronchi
p
50 ± 51 (31-68)
45 ± 46 (40-50)
NS
20 ± 20 (6-35)
40 ± 39 (19-56)
0,02
45 ± 53 (35-62)
95 ± 99 (61-150)
0,01
0,01
0,001
I dati sono espressi come medie ± deviazione standard (intervallo di confidenza al 95%).
Tratto da [5] mod.
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CONCLUSIONI
Tutti i dati finora riportati supportano l'evidenza
che un processo infiammatorio cronico primitivo o
secondario delle vie aeree superiori può riverberarsi sulle vie aeree inferiori favorendo lo sviluppo di
asma bronchiale o bronchite cronica. È pertanto necessario che lo Pneumologo si impegni sempre attivamente nell'individuare la compromissione delle
vie aeree superiori, ricercando nell'anamnesi, oltre
ai ben noti fattori di rischio (fumo di tabacco, esposizioni ambientali e/o professionali), anche la presenza di eventuali sintomi rinosinusitici. Fra questi
merita particolare attenzione la tosse, sintomo molto frequente e comune ad entrambi i distretti, senza
trascurare la ricerca dei sintomi delle vie aeree superiori, in particolare: rinorrea, ostruzione nasale,
cefalea, anosmia, anisipidia, dolore alle emergenze
trigeminali. È fondamentale tener presente che questi sintomi devono essere ricercati con molta attenzione, sia perché sono spesso attenuati, sia perchè
il paziente tende ad ometterli nella sua descrizione
non ritenendoli direttamente correlati al quadro clinico principale.
Una volta sospettata la patologia delle vie aeree superiori lo Pneumologo dovrà sempre chiedere la
collaborazione del Collega ORL per completare
l'approccio diagnostico. L'integrazione di queste
due figure Specialistiche è determinante nella individuazione e corretta valutazione della sindrome rinobronchiale, nella sua gestione terapeutica e nel
monitoraggio a lungo termine.
F De Benedetto, F Chiaravalloti
La sindrome rinobronchiale - Rhinobronchial syndrome
almeno due dei tre sintomi cardinali di Anthonisen:
aumento della dispnea, aumento del volume dell'espettorato, aumento o comparsa della purulenza
dell'espettorato.
Tra le classi di antibiotici i fluorochinoloni respiratori, in particolare la moxifloxacina, pur equivalenti alla terapia standard per quanto riguarda il successo clinico, mostrano una superiorità nella cura
(precoce risoluzione dei sintomi cardine), nella eradicazione batterica e negli outcome rispetto alla terapia standard. Moxifloxacina, inoltre, intervenendo sul rilascio di citochine proinfiammatorie ed antiinfiammatorie dai neutrofili, svolge un'importante
attività immunomodulante che, integrandosi con
l'attività antibatterica, accelera la risoluzione dell'episodio infettivo, riducendo il danno d'organo.
Un'efficace terapia [12] implica importanti risvolti
farmacoeconomici: infatti un inadeguato trattamento ambulatoriale delle riacutizzazioni bronchitiche
può predisporre a ricadute, soprattutto in quei pazienti che presentano un alto livello di dispnea basale, coesistente cardiopatia ischemica ed hanno
effettuato un numero elevato di visite ambulatoriali
per problemi respiratori negli anni precedenti, sicché le conseguenze di un insuccesso si riflettono in
un aumento dei costi, nelle necessità di nuove visite mediche, di terapie con antibiotico alternativo, di
ulteriori indagini, di ricovero, di prolungata assenza dal lavoro e dalle attività abitudinarie con sensibile peggioramento della qualità della vita.
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y
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Atti / Proceedings
5th International Conference on Management and Rehabilitation
of Chronic Respiratory Failure (from ICU to home), Stresa, Italy,
March 22-25, 2006
“Use the best first”: a new therapeutic
approach for airway infections
“Usa il migliore per primo”: un nuovo approccio
terapeutico per le infezioni delle vie aeree
Marc Miravitlles
Servei de Pneumologia, Institut Clínic del Tòrax (IDIBAPS), Hospital Clínic, Barcelona, Spain
ABSTRACT
The importance of preventing development of resistance is
increasingly recognised. Most of the microorganisms involved in
the pathogenesis of lower respiratory tract infections (LRTIs)
have developed diverse degrees of resistance to the traditional
antibiotics used as first-line treatment. Development of resistance is caused by inadequate indication of the antibiotic and/or
inadequate administration of the treatment or compliance by
the patient.
There is a growing tendency to treat LRTI more aggressively with
shorter courses of antimicrobials to help in reducing antibiotic
resistance.
This is possible with the new generation fluoroquinolones.
Moxifloxacin is a fourth generation fluoroquinolone that has an
excellent in vitro activity against the most common respiratory
pathogens and, because of its fast bactericidal action, permits
short-course 5-day therapy for exacerbations of chronic bronchitis. In addition, its long half-life permits administration in single daily doses. The once-daily, short-course administration is a
guarantee for a better compliance on the part of the patient and
makes development of resistance less likely.
These findings have led to the development of the “use the
best first” concept, i.e. the most potent agent of the class
should be used as first line treatment to avoid the development of resistance to the entire class of antimicrobials, particularly in moderate to severe cases or those with risk factors for relapse or poor compliance.
RIASSUNTO
È sempre più riconosciuta l'importanza della prevenzione dell'antibiotico resistenza. La maggior parte dei microrganismi
coinvolti nella patogenesi delle infezioni delle basse vie aeree
ha sviluppato vari gradi di resistenza agli antibiotici tradizionali utilizzati come trattamento di prima linea. Lo sviluppo di resistenza è causato da una inadeguatezza nella indicazione all'antibiotico e/o nella somministrazione o nell'aderenza al trattamento da parte del paziente. Vi è perciò una tendenza crescente a trattare le infezioni delle basse vie aeree in modo più
aggressivo con cicli più brevi di antimicrobici per cercare di ridurre l'antibiotico resistenza. Questo è possibile con la nuova
generazione di fluorochinoloni. La moxifloxacina è un fluorochinolone di quarta generazione che ha un'eccellente attività
in vitro contro i più comuni patogeni respiratori e, grazie alla
sua rapida azione battericida, permette trattamenti di breve
durata (cinque giorni) per le riacutizzazioni della bronchite cronica. Inoltre la sua lunga emivita consente la somministrazione
in monodose giornaliera. La somministrazione in monodose per
un breve periodo è una garanzia di migliore aderenza da parte
del paziente e riduce le probabilità di sviluppo di resistenza.
Questi risultati hanno portato allo sviluppo del concetto "Usa
il migliore per primo", cioè l'agente più potente della classe dovrebbe essere utilizzato in prima linea per evitare lo sviluppo di
resistenza verso l'intera classe di antimicrobici, specialmente
nei casi da moderati a severi o quelli con fattori di rischio per
riacutizzazioni o bassa compliance.
Keywords: Antibiotic treatment, resistance, respiratory tract
infections.
Parole chiave: Antibioticoterapia, infezioni delle basse vie aeree, resistenza.
Marc Miravitlles
Servei de Pneumologia, Institut Clínic del Tòrax
Hospital Clínic Villarroel 170, 08036 Barcelona, Spain
email: [email protected]
Nota: lecture presented in the symposium “Le vie aeree e le infezioni batteriche: nuove sfide e nuovi approcci terapeutici per
garantire il miglior trattamento”
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ifloxacin and 62.8% with comparator (p = 0.05).
Significantly fewer patients required systemic
antimicrobials for the same episode of exacerbation
after moxifloxacin than comparators. In 405
patients with new exacerbations during the followup period, the mean time to event was 10 days
longer with moxifloxacin treatment (127.6 ± 68.1
days) than with comparators (116.7 ± 68.8), log
rank test showing a significant difference in favor of
moxifloxacin for up to 5 months of follow-up (p =
0.03). The authors concluded that there was a significantly greater response to moxifloxacin than to
current standard antimicrobial treatment for clinically relevant measures, and that while benefits
appeared to be visible for all subgroups, they were
greater especially in patients with more frequent
exacerbations.
One large, multicenter comparative study using a
two-year protocol (IMPAC study) showed a significant reduction in the time to recovery from exacerbations of moderate to severe COPD (E-COPD)
[12]. In 441 patients, the investigators treated 614
E-COPD with antibiotics (moxifloxacin = 111) and
503 with either amoxicillin/clavulanate, cefuroxime, or clarithromycin. Moxifloxacin was available
in the second study year only. In Year 2, E-COPD
treated with moxifloxacin resulted in a complete
recovery from symptoms in 4.6 days, compared
with 5.8 days for the other treatments administered
(p = 0.02). In the longitudinal analysis of 27
patients treated with moxifloxacin and who had
received other treatments in Year 1, mean time to
recovery from E-COPD was significantly reduced
from a mean of 6.8 to 3.7 days (p = 0.02). These
results were confirmed in another study with mild
to moderate COPD patients in primary care centers
[13]. A total of 1,456 patients received either
moxifloxacin (n = 575), amoxicillin/clavulanate
(n = 460) or clarithromycin (n = 421). Clinical success was observed in 97.2%, 93.1% and 94.4% of
cases respectively, without significant differences
among the groups. However, symptoms of purulence and volume of expectoration resolved a mean
of one day earlier with moxifloxacin compared with
the other groups.
The impact of the newer, more potent antibiotics in
the management of LRTI is becoming more evident
with the newly designed clinical trials. In addition,
the importance of preventing development of resistance is being increasingly recognised. Most of the
microorganisms involved in pathogenesis of LRTI
have developed diverse degrees of resistance to the
traditional antibiotics used as first-line treatment.
Development of resistance is caused by inadequate
indication of the antibiotic and/or inadequate
administration of the treatment or compliance by
the patient. There is a growing tendency to treat
LRTI more aggressively with shorter courses of
antimicrobials to help in reducing antibiotic resistance [14]. This is possible with the new generation
fluoroquinolones. Moxifloxacin is a fourth generation fluoroquinolone that has an excellent in vitro
activity against the most common respiratory
pathogens and, because of its fast bactericidal
action, permits short-course 5-day therapy for exacerbations of CB. In addition, its long half-life permits administration in single daily doses. The oncedaily, short-course administration is a guarantee for
a better compliance on the part of the patient and
M Miravitlles
New treatment approach in airway infections - Nuovo approccio terapeutico nelle infezioni delle vie aeree
Respiratory tract infections (RTIs) impose a significant burden in terms of morbidity and mortality,
and are associated with large social and economic
costs [1]. In addition, repeated respiratory infections have an impact on patient's quality of life that
may be persistent and irreversible [2].
It is widely believed that infections associated with
resistant organisms are associated with prolonged
morbidity, hospitalisation and mortality [3]. The
reason for this increased incidence of resistance in
community-borne pathogens is thought to be related to the extensive and inappropriate use of antibiotics, both in terms of using antibiotics when not
warranted, and the use of the wrong antibiotic
when one is required [4].
It is common practice to commence antibiotic treatment empirically. In view of the limits in the spectrum of activity of some antibiotics, as well as the
increasing prevalence of bacterial resistance to
older generation agents, multiple antibiotics are
administered in some cases of respiratory tract
infections or where resistant or polymicrobial infection is suspected [5]. There is a continued need to
find antibiotics that can be used in empiric treatment regimens so that the patient responds rapidly
and the risk of development of resistance is limited.
The most frequent indication for antibiotics in lower
respiratory tract infections (LRTI) is acute exacerbation of chronic bronchitis (AECB) or of chronic
obstructive pulmonary disease (COPD). Clinical
studies of antimicrobials in exacerbations of CB
have been limited by factors such as inadequate
information on patient condition prior to the exacerbation and lack of long-term follow-up, as well as
a lack of prospective control for steroid use, which
can positively affect the outcome of the episode [6],
and of prospective control for prognostic factors,
that can have a negative impact [7,8]. A study has
recently been performed using a design that specifically addresses these shortcomings (MOSAIC
study) [9,10]. The multicenter, multinational, randomized study of two parallel treatment arms
included outpatients aged > 45 years with stable
CB, history of smoking of ≥ 20 pack/years, ≥ 2 documented exacerbations of CB in the previous year,
and forced expiratory volume in 1 sec (FEV1) < 85%
of predicted value. Patients with Anthonisen's type I
[11] exacerbation of CB within 12 months of enrolment were randomized to moxifloxacin or current
standard antibiotic treatment. Patients were
assessed at screening, end of treatment and 7-10
days after treatment, and were contacted by phone
monthly until a new exacerbation occurred or maximum of 9 months. Clinical cure was defined as
return to pre-exacerbation status, and clinical success as cure and improvement combined, overall
and by strata of steroid use and prognostic factors.
Other efficacy measures were need for further
antimicrobials, time to next exacerbation of CB,
and bacteriological treatment success. Of 1935
enrolled patients, 733 (37.9%) had severe AECB
within 12 months of screening and were randomized, 730 receiving either moxifloxacin (n = 354) or
comparator (n = 376). Clinical success was seen in
83.0 - 87.6% of patients across treatment arms and
populations, with statistical equivalence in all populations except a significant difference in favor of
moxifloxacin in patients not receiving steroids.
However, clinical cure rates were 70.9% with mox-
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makes development of resistance less likely.
Moxifloxacin is 4-10 times more active than levofloxacin against S. pneumoniae, the leading cause
of community-acquired pneumonia. A greater
intrinsic activity is linked with faster eradication
and reduced susceptibility of development of resistance. In fact, some reports have described the
development of resistance of S. pneumoniae during
treatment with levofloxacin [15], but no reports
have shown the same phenomenon in patients
treated with more active fluoroquinolones such as
moxifloxacin or gatifloxacin.
Therefore, these findings lead to the development of
a “use the best first” concept [16]. The most potent
agent of the class should be used as first line treatment to avoid the development of resistance to the
entire class of antimicrobials, particularly in moderate to severe cases or those with risk factors for
relapse or poor compliance.
Fluoroquinolones have demonstrated better eradication in exacerbations of CB compared to standard
therapy, in particular compared to macrolides. The
complete eradication of bacteria present in the air-
ways is important for the prevention of resistance
development [17] and for clinical outcomes. The
persistence of bacteria after antibiotic treatment of
exacerbation has been associated with increased
inflammation, poorer evolution of the baseline disease and early recurrence of exacerbation.
Confirming these findings, the MOSAIC study
showed a significantly better eradication with moxifloxacin, together with an extended time to the
next exacerbation for patients treated with moxifloxacin compared to standard treatments.
The greatest challenge in the treatment of LRTI is to
identify the bacterial etiology based on clinical
grounds. The dissemination of clear guidelines for
suspecting the bacterial etiology may help to
reduce the unnecessary usage of antimicrobials for
treating viral or noninfectious respiratory conditions. Once the bacterial etiology is confirmed or
highly suspected, the administration of an efficacious antimicrobial in single daily doses and short
courses is the preferred strategy to assure clinical
cure and minimize the opportunity for the development of resistance.
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MRM 03-2007_def
24-09-2007
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Atti / Proceedings
5th International Conference on Management and Rehabilitation
of Chronic Respiratory Failure (from ICU to home), Stresa, Italy,
March 22-25, 2006
Body composition abnormalities in patients
with COPD: limitations and intervention
Alterazioni della composizione corporea nei pazienti
con BPCO: limitazioni e possibilità di intervento
Adriana Del Ponte1, Stefano Marinari2
1
2
Medicine and Ageing Science Department, SS. Annunziata Hospital, Chieti
Pneumology Department, S. Camillo de Lellis Hospital, Chieti
ABSTRACT
In COPD patients the measurement of body composition is
important because of the strict relationship between the nutritional depletion and poor prognosis. The conventional method
for assessing body composition, bioimpedance analysis (BIA), is
more reliable in early and/or stable phases of COPD than in
more advanced conditions. These cases more properly require
the evaluation of bioimpedance vector analysis (BIVA), which
better defines body compartments in 4 areas, distributed in a
reference ellipsis: athletic and obese subjects (upper and lower
left areas, respectively), lean and cachectic subjects (upper and
lower right areas, respectively). In 81 COPD male subjects, aged
71.2 ± 7.7 years, BMI 26.1 ± 5.1, BIA parameters of lean tissue
depletion showed a marked variability (from 7.4 to 41.9%),
while BIVA located only 11 patients (13.6%) in the malnutrition area (bivariated Z score graph). Moreover in 25 severe normal weight COPD patients mean BIVA indicated a more compromised nutritional condition in comparison with those with
moderate obstruction (Hotelling T2 test p < 0.04). These preliminary data demonstrate that the BIVA method better
defines nutritional depletion in advanced stages of pulmonary
disease.
RIASSUNTO
La misura della composizione corporea nei pazienti con BPCO è
importante a motivo della stretta relazione tra deficit nutrizionale e prognosi sfavorevole. La bioimpedenziometria elettrica
(BIA) è più affidabile nelle fasi precoci e/o stabili della BPCO
piuttosto che in condizioni più avanzate. In questi casi è più
adeguata la valutazione dell'analisi vettoriale di bioimpedenza
(BIVA) che meglio definisce i compartimenti corporei in 4 aree
distribuite in un'ellisse di riferimento: soggetti atletici ed obesi
(parte superiore ed inferiore di sinistra, rispettivamente), magri
e cachettici (parte superiore ed inferiore di destra rispettivamente). In 81 pazienti di sesso maschile con BPCO, di età media di 71,2 ± 7,7 anni e BMI 26,1 ± 5,1, i parametri BIA di deplezione nutrizionale hanno mostrato una rilevante variabilità (da
7,4 a 41,9%), mentre l'analisi vettoriale ha collocato nel settore di malnutrizione (Z score bivariato) solo 11 pazienti (13,6%).
Inoltre il vettorgramma BIA ha indicato nei 25 pazienti normopeso con grave ostruzione uno stato di maggiore compromissione nutrizionale rispetto a quelli che presentavano moderata
ostruzione (Hotelling T2 test p < 0,04). Questi dati preliminari
dimostrano che l'analisi vettoriale (BIVA) definisce meglio la
deplezione nutrizionale negli stadi più avanzati della malattia.
Keywords: BIA vector, body composition, COPD.
Parole chiave: BIA vettoriale, BPCO, composizione corporea.
Adriana Del Ponte
Ospedale Policlinico SS. Annunziata
Via dei Vestini 5, 66013 Chieti, Italia
email: [email protected]
Nota: lecture presented in the Workshop “New approaches to pulmonary rehabilitation”
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 3: 87-91
MRM
87
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 3: 87-91
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BACKGROUND
At present body composition is considered a fundamental measure of nutritional status in patients with
COPD, as it has been widely reported that fat-free
mass (FFM) depletion, and not body weight loss in
general, affects the morbidity and mortality of
patients with this pulmonary disease. As a result,
from a clinical viewpoint, the altered nutritional
status, especially represented by lean body mass
depletion, associated with the progressive impairment of the respiratory function, can be a serious
problem: hence the heavy burden of respiratory
failure due to frequent debilitating complications
(e.g. numerous episodes of acute exacerbations)
and the severe unfavourable effects on the overall
quality of patients' life [1].
Since 1967 [2] repeated epidemiologic observations on the close link between metabolic derangements and pulmonary disease have been reported.
One of the first studies on the clinical and pathogenetic differences among COPD patients, e.g.
between the "pink puffer" (generally underweight)
and the "blue bloater" (frequently overweight), was
carried out by Filley et al. [3]. In this study, two different types of COPD were described on the basis
of body weight, even if they had a similar severity.
Recently Celli et al. [4], introducing the BODE
index, described a multidimensional grading system that could assess the respiratory and systemic
expressions of COPD to better categorize and predict outcomes in these patients. Vestbo et al. [5],
confirming the prognostic value of body mass index
(BMI), nevertheless showed that the fat-free mass
(FFM) index (FFMI) is of greater importance in predicting mortality in normal weight COPD patients.
The introduction of reliable, inexpensive and easy
to perform methods of lean body mass evaluation
such as bioelectrical impedance analysis (BIA) and
dual-energy X-ray absorptiometry (DEXA) have
enabled a more accurate evaluation of nutritional
depletion [6,7]. By means of these two precise and
reproducible methods, and especially BIA (the most
widely used method), not only the assessment but
also the early identification and follow-up of nutritionally depleted patients has been made possible.
Still, one fact must be borne in mind: body weight
is not always synonymous with an excess of fat
mass (FM), e.g. being underweight can often be due
to greater body water losses. For this reason there
are some limitations to interpreting BIA data correctly.
Limitations
The conventional approach to BIA uses simple or
multiple regression equations to predict masses of
body compartments in subjects with fixed and normal 73% hydration of soft tissues. During stable
periods and/or in healthy conditions, relations
between body components are constant and correlated with each other, which makes it possible to
estimate, from a related measured property (bioimpedance), an unknown body component, e.g. total
88 MRM
body water (TBW), intracellular water (ICW), extracellular water (ECW), FFM, FM and body cellular
mass (BCM). This represents a bicompartmental
model by which the body is prevalently divided into
FM and FFM. Soft body tissues (i.e. lean plus soft fat
tissues, or the FFM without bone plus the FM) actually generate the body impedance and therefore
can be directly evaluated with BIA. Contribution of
bone to impedance is negligible and lean tissue
contributes more than fat tissue because
adipocytes, full of triglycerides, are non-conductors; thus FM is not directly measured by BIA, but is
calculated by the difference in body weight and is
not metabolically active.
In contrast BCM, obtained by BIA measurement and
structurally constituted by proteins, is responsible
for fundamental metabolic functions: O2 cell
uptake, Na/K cellular exchange and glucose oxidation, and actually characterizes the nutritional status of individuals. The control of body cellular mass
plays an important role in patients with chronic and
disabling diseases especially during long periods of
hospitalization. Among these, COPD seems to represent one of the most frequently occurring diseases
involving lean body mass through increasing catabolism, a feature associated with increasing morbidity and mortality.
Up to now the use of BIA measurements has provided a consistently good tool in obtaining the quantitative analysis of body compartments. However,
since every criterion method has its own errors,
very often the standard error of the estimate of the
best BIA regression equations is too large (95%
pred. interval > 3 to 6 Kg or L) to be useful in clinical settings [8]. Therefore some limitations to the
routine use of this technique could be the presence
of abnormal conditions, when these algorithms can
produce biased estimates of body compartments.
Very often COPD patients are observed in conditions of unstable phase of the pulmonary disease,
due to numerous causes that can lead to respiratory failure. These causes are predominantly recurrent
acute infectious episodes, chronic respiratory failure and concomitant left ventricular failure, kidney
or liver insufficiency and other pathological states,
when conditions of hyperhydration or, conversely,
dehydration can often be present. Fluid and electrolyte disorders are usually observed in COPD
patients; therefore the BIA measurement, if not adequately interpreted, could give incorrect results. The
introduction of the qualitative analysis based on the
analysis of vector BIA (BIVA) [9,10] is needed to
provide the correct estimation of both the body
fluid content and the actual lean body mass of the
subject.
Intervention: experimental data
We present here preliminary findings with the aim
of clarifying, among the various variables obtained
by BIA, what are the most consistent elements of
under/overestimation to be considered in the proper interpretation of nutritional data. A group of 81
male COPD patients (age: 71.2 ± 7.7 years; BMI:
15:08
Pagina 89
FIGURE 1: PERCENTAGES OF COPD PATIENTS (N. 81) WITH
MALNUTRITION EVALUATED ACCORDING TO
CONVENTIONAL BIA PARAMETERS
BMI
BCM<BCMI
FFMI
phA
41.9
40
35
3
2
1
0
-4
-3
-2
-1
0
1
2
3
4
Z(R)
-1
-2
95% tolerance
75% tolerance
50% tolerance
-3
-4
Definition of abbreviation: R, resistance; Xc, reactance
patients is significantly dislocated (Hotelling's T2
test: p < 0,04) in the decreased soft tissue area in
comparison with vectors of moderate (n = 13, A)
normal weight patients (figure 6).
CONCLUSIONS
The conventional approach to BIA is useful in making predictions of body mass in stable COPD subjects with fixed and normal 73% hydration of soft
tissues. In abnormal conditions and in particular
FIGURE 3: BIA VECTOR (RXC GRAPH) PATTERNS FOR
CLINICAL USE. THE ELLIPSIS IS DIVIDED INTO 4 AREAS:
ATHLETIC AND OBESE SUBJECTS (UPPER AND LOWER LEFT
AREAS, RESPECTIVELY), LEAN AND CACHECTIC (UPPER AND
LOWER RIGHT AREAS, RESPECTIVELY)
23.4
%
25
20
n
on
-3
,O
-2
R/H
-1
ce,
75%
tan
+2
Definition of abbreviations: BIA, bioimpedance analysis; BMI, body
mass index; BCM, body cellular mass; BCMI, body cellular mass index;
FFMI, fat-free mass index; phA, phase Angle; ECM/BCM, extracellular
mass/body cellular mass.
Res
is
n
Lea
+1
Malnourished COPD patients
0
50%
ese
Ob
Phase
0
tic
Athle
i
rat
cta
a
Re
+3
n
tio
ra
yd
rh
pe
Hy
5
/H
Xc
d
hy
11.1
,
ce
95%
9.8
7.4
m
m/
h
,O
De
15
10
4
ECM/BCM
45
30
FIGURE 2: TOLERANCE ELLIPSES FOR STATISTICAL
STANDARD PROCEDURES: BIVARIATED Z-SCORE GRAPH
A Del Ponte, S Marinari
Body composition abnormalities in COPD - Alterazioni della composizione corporea nella BPCO
26.1 ± 5.1) with moderate to severe obstruction
(FEV1: 41.2 ± 14.4% of pred.) underwent assessment of anthropometric measures and BIA. In figure
1, different percentages of patients (from 7.4 to
41.9%) are reported if all the parameters of nutritional evaluation are considered, thus showing a
great variability. The application of BIVA, as a stand
alone procedure based on patterns of direct impedance measurements, permits the measure of resistance R and reactance Xc, insofar as soft body tissues (FFM and FM) actually generate the body
impedance. The measurement of resistance R and
reactance Xc as components of a vector (RXc graph)
of a specific subject can be compared with the distribution of vectors obtained in the reference population (figure 2). By plotting the two components R
and Xc of our COPD patients as a mean impedance
vector with its 95% confidence ellipsis, we can
directly establish the mean vector position and variability in the corresponding healthy population (figure 3). The BIA vectors of each patient plotted in the
universal reference ellipsis are distributed according to the state of hydration and amount of soft tissue. Only the vectors corresponding to 11 patients
(13.6%) are placed in the right part of the graph (figure 4), showing evident reduction of lean body
mass. Moreover, the mean BIA vector (A) of normal
weight COPD patients of the same group shows a
significant deviation (Hotelling's T2 test: p < 0,000)
in comparison with the vector (B) of a healthy normal weight population (figure 5). Furthermore,
dividing the patients according to the level of severity, the vector of severe (n = 25, B) normal weight
Z(Xc)
24-09-2007
Probability density
MRM 03-2007_def
tic
Cachec
hm
/m
Definition of abbreviation: BIA, bioimpedance analysis.
MRM
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Pagina 90
circumstances such as exacerbations or in conditions of respiratory or cardiac failure, these algorithms can present consistent limitations to the
actual estimate of malnutrition. We propose bioelectrical vector analysis (BIVA) as a preferrable
method for assessing nutritional status in COPD
and for the follow-up of COPD patients, because it
eliminates biased estimates of body compartments,
especially in clearly abnormal conditions of hydration. In our opinion, this method can provide a useful aid in the therapeutic follow-up of COPD
patients.
FIGURE 4: BIVARIATED Z-SCORE GRAPH (N. 81 COPD
PATIENTS)
FIGURE 5: MEAN BIA VECTOR (RXC GRAPH) OF 97 NORMAL
WEIGHT HEALTHY SUBJECTS (A) COMPARED WITH MEAN
BIA VECTOR OF 38 NORMAL WEIGHT COPD PATIENTS (B).
HOTELLING'S T2 TEST: P < 0.000
Z(Xc)
4
3
60
A B
2
50
1
Xc/H, Ohm/m
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 3: 87-91
MRM 03-2007_def
0
-4
-3
-2
-1
0
1
2
-1
3
4
Z(R)
40
30
20
-2
95% tolerance
75% tolerance
50% tolerance
Group 6
-3
-4
10
0
0
100
200
300
400
R/H, Ohm/m
Definition of abbreviation: BIA, bioimpedance analysis.
FIGURE 6: MEAN BIA VECTOR (RXC GRAPH) OF 13 NORMAL
WEIGHT MODERATE COPD PATIENTS (A) COMPARED WITH
MEAN BIA VECTOR OF 25 NORMAL WEIGHT SEVERE COPD
PATIENTS (B). HOTELLING'S T2 TEST: P < 0.04
60
A
Xc/H, Ohm/m
50
40
B
30
20
10
0
0
100
200
300
R/H, Ohm/m
90 MRM
400
500
600
500
600
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Atti / Proceedings
5th International Conference on Management and Rehabilitation
of Chronic Respiratory Failure (from ICU to home), Stresa, Italy,
March 22-25, 2006
Electrical stimulation of peripheral muscles in
COPD: theory and practice
Stimolazione elettrica dei muscoli periferici nella
BPCO: teoria e pratica
Carolyn L. Rochester
Section of Pulmonary & Critical Care, Yale University School of Medicine, West Haven VA Medical Center, New
Haven, CT, USA
ABSTRACT
Skeletal muscle dysfunction is an important cause of exercise
limitation among patients with chronic obstructive pulmonary
disease (COPD). Although exercise training in pulmonary rehabilitation (PR) improves exercise tolerance in COPD, many
patients are unable or choose not to participate in PR.
Transcutaneous electrical stimulation of the peripheral muscles
(TCEMS), wherein muscle fibers are activated without the
requirement for conventional exercise, is an alternate rehabilitative strategy to achieve skeletal muscle training, without cardiac
or ventilatory demand. TCEMS is safe, well tolerated, and is suitable for either home or hospital-based use. Existing data show
that TCEMS improves muscle strength, endurance and exercise
tolerance of patients with COPD. Although the mechanisms by
which TCEMS confers these effects are incompletely understood,
TCEMS is a promising novel strategy for muscle training for
patients with chronic respiratory disease, especially those who
are too disabled or ill to participate in conventional exercise
training, or who otherwise lack access to a PR program.
migliora la tolleranza allo sforzo nei BPCO, tuttavia molti pazienti sono incapaci o scelgono di non partecipare a tali programmi. La stimolazione elettrica transcutanea dei muscoli periferici (TCEMS), con la quale le fibre muscolari sono attivate
senza la necessità dell'esercizio fisico convenzionale, è una
strategia alternativa di riabilitazione per ottenere un allenamento del muscolo-scheletrico, senza un incremento delle prestazioni cardiache o ventilatorie. La TCEMS è sicura, ben tollerata, adatta sia all'utilizzo domiciliare che ospedaliero. I dati disponibili mostrano che TCEMS migliora la forza muscolare, la
resistenza e la tolleranza allo sforzo nei pazienti con BPCO.
Nonostante il meccanismo attraverso il quale la TCEMS induce
questi effetti non siano ancora completamente conosciuti, la
TCEMS è una strategia nuova e promettente per l'allenamento
muscolare nei pazienti con patologie respiratorie croniche, specialmente coloro che sono in condizioni troppo scadenti per
partecipare a un programma di allenamento allo sforzo convenzionale, o che al contrario non hanno la possibilità di accedere a programmi di riabilitazione.
Keywords: COPD, exercise, rehabilitation, skeletal muscle, transcutaneous electrical stimulation.
Parole chiave: BPCO, esercizio fisico, muscolo-scheletrico, riabilitazione, stimolazione elettrica transcutanea.
RIASSUNTO
La disfunzione della muscolatura scheletrica è una causa importante di limitazione all'esercizio fisico per i pazienti con
broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). È indubbio che
l'allenamento all'esercizio fisico nella riabilitazione respiratoria
Exercise intolerance is a characteristic and disturbing symptom of chronic obstructive pulmonary disease (COPD). Exercise limitation in COPD patients
has a complex, multi-factorial basis. In recent years,
it has been recognized that skeletal muscle dys-
Carolyn L. Rochester
Section of Pulmonary & Critical Care, Yale University School of Medicine,
West Haven VA Medical Center
333 Cedar Street, BLDG LCI-105, New Haven, CT 06520, USA
email: [email protected]
Nota: lecture presented in the Workshop “New approaches to pulmonary rehabilitation”
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 3: 92-97
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conventional exercise training is usually not feasible during periods of acute illness. As such, for all
the reasons noted above, novel approaches to
maintaining and/or restoring muscle function are
needed.
Transcutaneous electrical stimulation of skeletal
muscle (TCEMS) is a method wherein muscle activity is created without the requirement for conventional muscle exercise. Muscle fibers are activated
artificially, thus bypassing events associated with
voluntary muscle contraction. Self-adhering surface
electrodes are placed on the skin over the muscles
intended for activation. Depending on the rationale
for use and the desired outcome, single muscles
may be selected or multiple muscles may be stimulated simultaneously. Electrical impulses are delivered to the muscle via the electrodes in a manner
that leads to muscle contraction. TCEMS differs in
this way from transcutaneous electrical nerve stimulation (TENS) used to manage some forms of
chronic pain, in that the electrical impulses are set
up so as NOT to induce muscle contraction in the
latter technique [26]. Both console-based and
smaller, portable, battery-powered TCEMS systems
are currently available [26]. A protocol for TCEMS
must be developed to achieve the desired muscle
response. Parameters that must be set on TCEMS
equipment prior to initiation of therapy include: a)
the electrical stimulus amplitude (intensity) - this
determines how strong the muscle contraction will
be; b) stimulus duration - the total time of each
electrical impulse; c) pulse frequency - the time
between the start of the stimulus and the start of the
next stimulus; d) the duration of groups (trains) of
pulses; e) the interval between trains of pulses; f) the
wave form of the stimulus [27]. As with conventional exercise, the total duration of TCEMS sessions,
number of training sessions per week, and total
training duration (days-weeks) must also be specified.
Clinical benefits of TCEMS have been demonstrated
following a broad range of TCEMS training regimens [28], including pulse frequencies 10-2500
Hz, session durations ranging from 10-15 contractions per day up to 8-12 hrs of continuous stimulation per day, 3 to 7 sessions per week, for 10 days
up to 6 weeks [28-31]. The stimulus intensity
(amplitude) is generally chosen based on individual
patient tolerance, or is delivered as a percentage of
a measured maximal voluntary contraction.
Stimulus amplitudes up to 100 mA typically lead to
muscle contraction and are well tolerated [31,32].
Pulse amplitudes greater than 100 mA or pulse frequencies greater than 5000 Hz may lead to intolerable muscle discomfort [26]. Although there is no
clear consensus guideline describing particular
TCEMS protocols in particular clinical settings, it is
important to note that the pattern of stimulation
during TCEMS impacts the types of muscle fibers
activated and in turn the physiologic effects of stimulation. For example, low frequency stimulation
(e.g. 1-10 Hz) may selectively improve resistance to
fatigue [33], whereas higher frequencies may more
selectively enhance power [34]. The intensity of
stimulation also impacts gains in muscle force
[34,35]. As such, some investigators suggest that a
combination approach, wherein various frequencies can be delivered simultaneously, may most
closely mimic normal motor neuron firing patterns
CL Rochester
Electrical stimulation of peripheral muscles in COPD - Elettrostimolazione dei muscoli periferici nella BPCO
function is another major factor that contributes to
exercise limitation in COPD [1,2]. This skeletal
muscle dysfunction is characterized by reductions
in muscle mass [3,4], atrophy of type I [5,6] and
type IIa muscle fibers [7], reduction in fiber capillarization [8] and oxidative enzyme capacity
[9,10]. Muscle metabolism is impaired both at rest
and during exercise [2,10,11]. Skeletal muscle dysfunction in COPD is the result of several processes,
including deconditioning and disuse, aging, nutritional imbalance with loss of fat free mass, systemic
inflammation and apoptosis [1,2,12]. Hypoxemia,
steroid myopathy and electrolyte disturbances may
also play a role in some individuals [1]. Skeletal
muscle dysfunction in COPD has important functional consequences, including reduced strength
[3,4], endurance [2,13], and impaired exercise
capacity [14-17]. It is also associated with
increased utilization of health care resources [18],
as well as reductions in quality of life and survival
[19].
Exercise training and pulmonary rehabilitation have
been shown convincingly to improve muscle dysfunction and exercise capacity in patients with
COPD [2,20]. Most rehabilitation programs provide
a combination of strength and endurance/aerobic
exercise training for the lower and upper extremities. Although the factors that determine which
COPD patients are most likely to benefit from rehabilitation are incompletely understood, existing
studies suggest that persons whose exercise tolerance is limited markedly by peripheral muscle dysfunction, but who do not reach limits of ventilatory
reserve, may achieve better gains from exercise
training than persons who have more pronounced
ventilatory limitation [21,22].
Although the benefits of rehabilitation in improving
exercise capacity of COPD patients are well established, many patients are unable or choose not to
participate in exercise training. Some patients with
extreme ventilatory limitation experience such disabling dyspnea or gas exchange disturbances with
exertion that they are reluctant or unable to undertake exercise, or they may be too disabled to leave
their home. Others may choose not to participate
due to fear and/or anxiety, or lack of motivation.
Moreover, logistic difficulties such as lack of transportation and travel distance to a rehabilitation
facility and financial considerations can lead to
lack of patient access to an exercise/rehabilitation
program. Importantly, also, many patients experience significant worsening of muscle function and
major decline in functional status during and after
COPD exacerbations. Persons who are significantly
immobilized during acute exacerbations of airflow
obstruction, respiratory infection, or episodes of
respiratory failure requiring mechanical ventilatory
assistance are especially at risk. Immobilization
associated with acute illness such as COPD exacerbation is well known to lead to striking increases in
skeletal muscle catabolism [23] and atrophy, with
associated reductions in muscle strength,
endurance and coordination [24]. Loss of muscle
mass during immobilization occurs despite adequate nutritional supplementation [25], and may be
further exaggerated in patients who have conditions
wherein adequate nutritional supplementation may
be temporarily unfeasible. However, although theoretically beneficial to prevent functional decline,
MRM
93
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 3: 92-97
MRM 03-2007_def
94 MRM
24-09-2007
15:08
Pagina 94
and may be optimal for stimulation of all fiber types
and have maximal impact on muscle function
[36,37]. Further research is needed to clarify the
optimal training regimens for selected patient
groups.
TCEMS has advantages over (or may be useful in
conjunction with) conventional exercise in several
situations. First, selected muscles that may be particularly impaired can be chosen for stimulation
therapy, such that particular aspects of impaired
function can be addressed. Second, TCEMS can
improve skeletal muscle function for persons with
severe ventilatory or cardiac limitation without posing additional ventilatory demand or requiring an
increase in cardiac output (that may lead to lifethreatening arrhythmias, decompensated heart failure or circulatory collapse) [38-40]. It is also suitable for use among persons who are immobilized
by acute illness [41], and as such cannot undertake
typical exercise training. Moreover, TCEMS does
not lead to dyspnea and bypasses the cognitive,
motivational and possibly fear/anxiety aspects that
can hinder or prevent effective exercise training
[30]. Importantly, portable electrical stimulators are
relatively inexpensive, suitable for home use, and
as such may benefit persons who are too disabled
to leave the home or who do not have access to traditional rehabilitation programs. Even for persons
who do have access to office or hospital based programs, home use of TCEMS may reduce costs associated with outpatient rehabilitation and or
enhance benefits achieved in such programs.
Finally, TCEMS protocols can be standardized and
the precise pattern of muscle stimulation controlled. Progress and complications can be monitored closely. As a result, TCEMS is a useful method
for providing muscle training in the context of clinical research.
TCEMS is generally safe and well tolerated. The
main adverse effect reported to date is discomfort
during the muscle contraction or muscle soreness
following stimulation sessions [38,40]. Muscle discomfort varies depending on the intensity of the
electrical stimulus and on individual patient tolerance. The training regimen can be adjusted to produce a stimulus that leads to obvious muscle contraction in the absence of pain. To date there are no
evidence-based guidelines documenting strict contraindications for TCEMS. Some clinical trials (in
varying patient groups) have documented patient
exclusion criteria, whereas others have not. Where
reported [38,40], patients excluded from receiving
TCEMS have been persons with a history of seizure
disorder, cardiac pacemaker or other implanted
electrical device, severe ventricular arrythmias,
unstable angina, intracranial clips, severe
osteoarthritis of joints to be mobilized by contraction of the targeted muscle groups, severe peripheral edema, diabetes mellitus, skin problems preventing desired placement of electrodes or other disorders wherein activation of the targeted muscles is
contraindicated. Although the precise consequences of using TCEMS in persons with the above
noted conditions is incompletely understood,
extreme caution is urged until further knowledge is
available.
The clinical benefits of TCEMS on muscle function
and exercise performance are well documented in
the medical literature, either when used alone or in
combination with traditional training methods.
TCEMS enhances exercise performance among
healthy athletes [31,34,42], and has been used
widely to improve, restore (or prevent decline in)
muscle function and exercise capacity among persons with orthopedic injury [30,32,43-46], neuromuscular diseases [47-50], following major abdominal surgery [46], or with severe exercise limitation
due to refractory heart failure [38,40]. Interestingly,
patients with chronic heart failure have evidence of
skeletal muscle dysfunction with morphological
and functional features similar to the muscle dysfunction found in COPD [51].
Three studies have, thus far, evaluated TCEMS as a
mode of exercise training for patients with COPD.
In the study by Neder and colleagues [52], 15
patients with severe COPD (mean FEV1 38-39%)
and severe breathlessness were randomized to
receive either 6 weeks of TCEMS or a 6 week control period before undergoing TCEMS. Electrical
stimulation was delivered to each leg in sequence,
at a frequency of 50 Hz with an incremental duty
cycle (# seconds on vs. # seconds off), and incremental stimulus amplitude (10-20 mA at study outset up to 100mA) as tolerated over time. Sessions
were conducted up to 30 min per leg, 5 times per
week. TCEMS led to significant improvements in
maximal isokinetic strength (peak torque) and muscle fatigue. An 84% increase in endurance capacity and 16% increase in V̇O2 max were also noted.
These benefits were associated with improved
scores in the “dyspnea” domain of the Chronic
Respiratory Disease Questionnaire as well as
reduced sense of leg effort during exercise.
Importantly, the four patients who experienced disease exacerbations during the study period were
able to continue the TCEMS training program
despite the exacerbations. We independently conducted a randomized, controlled, double blind trial
of TCEMS of the lower extremities in 18 medically
stable patients with severe COPD (FEV1 38% predicted), poor baseline exercise tolerance and low
ventilatory reserve [39]. Stimulation was performed
by delivering bursts of impulses at 50 Hz lasting
200 ms every 1.5 sec. Pulse intensity was delivered
initially at 55 mA to create visible muscle contraction and increased over time to a mean of 95 mA.
The control group received sham stimulation with
an identical set-up but received no active electrical
stimulation. Training was undertaken for 20 min on
each limb, 3 days per week for 6 weeks. In our
study, TCEMS also led to significant (30-40%)
improvement in maximum quadriceps and hamstring strength. The magnitude of strength gain was
similar to that reported by Neder [52]. Further, shuttle walk distance (an index of exercise endurance
and maximal exercise capacity) increased by 36%,
and modest reductions in dyspnea (assessed by
Borg scale of perceived exertion), were seen in the
treatment group. Trends toward increased V̇O2 max
and peak workload were noted following TCEMS
although these changes did not reach statistical significance in our study. Compliance with treatment
was 97%, and TCEMS was well tolerated.
Consistent with findings in other studies, 5 out of 9
patients in our treatment group reported mild selflimited muscle cramps. In the third study by Zanotti
and colleagues, the effects of TCEMS were evaluated in a group of 24 bed-bound patients with chron-
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uptake [66] and protein synthesis [46], prevention
of inactivity [46], and decreased sensitivity of muscle to catabolic hormones induced by stimulation
of muscle activity [67], muscle hypertrophy
[68,69], and enhanced neural recruitment [49] may
also play a role in the noted improvements in muscle strength, mass and function. Moreover, TCEMS
leads to reduction in protein breakdown among
patients immobilized as a result of post-operative
respiratory failure or CVA [70]. Finally, recent data
suggest that exposure of a variety of cell types to
electric or electromagnetic fields in vitro can lead
to alterations in cell membrane receptor expression
or trans-membrane signaling, with resultant stimulation of cytokine or growth factor synthesis [71].
Further work is needed to determine whether
TCEMS (as a biophysical stimulus) alters muscle
energy utilization, growth factors and/or cytokine
production that may affect morphologic and/or
functional characteristics of muscle in vivo.
In summary, TCEMS is a safe, well-tolerated and
inexpensive method of muscle activation and training that can be individualized and performed by
persons who may be unable or unwilling to undertake traditional forms of exercise training.
Significant improvements in muscle strength and
exercise performance can be achieved by COPD
patients and several other patient groups following
TCEMS. It may be particularly helpful for patients
with marked breathlessness and severe ventilatory
limitation, COPD exacerbations or episodes of
immobilization resulting from respiratory failure. Its
role as a routine adjunct to conventional pulmonary rehabilitation remains to be clarified.
Further research is also needed to understand the
cellular and molecular mechanisms by which
TCEMS confers its beneficial effects on skeletal
muscle.
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atrophy) who were receiving mechanical ventilation [41]. TCEMS combined with active limb mobilization significantly improved muscle strength, respiratory rate and time needed to perform transfer
from bed to chair compared with active limb mobilization alone in these patients [41]. Collectively,
these studies demonstrate that, as for other chronic
disorders, TCEMS is a safe and effective intervention
for improving muscle function and exercise capacity of patients with COPD, including those with
severe breathlessness, persons having exacerbations, and those with advanced respiratory failure
who are severely immobilized due to requirement
for mechanical ventilation.
The mechanisms by which TCEMS improves muscle
function and exercise capacity or performance are
incompletely understood. Animal studies have
demonstrated structural and biochemical changes
in muscle following electrical stimulation, including increased activity of oxidative enzymes and
reduced activity of glycolytic enzymes (suggesting a
fiber type shift towards endurance-type fibers) [5355], increased mitochondrial volume density [56],
fast to slow type myosin chain transformation
[54,57], increased capillary density in muscle
[53,58], and altered sarcoplasmic calcium metabolism [59]. Data documenting mechanisms of
improvement following TCEMS in humans is limited. Similar to animals, an increase in oxidative
enzyme capacity [60,61], increased capillarity [61]
and increased proportion of type I muscle fibers has
been reported [60,62]. Other studies have failed to
show alterations in structural or histologic characteristics of muscle following TCEMS [63]. Tissue
blood flow [64] and lactate transport are also
improved by TCEMS [65]. Increased amino acid
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Atti / Proceedings
5th International Conference on Management and Rehabilitation
of Chronic Respiratory Failure (from ICU to home), Stresa, Italy,
March 22-25, 2006
Ventilatory assistance as a coadjuvant
of whole body exercise
Assistenza ventilatoria come coadiuvante
dell'esercizio fisico
Nicolino Ambrosino
UO Pneumologia, Dipartimento Cardiotoracico AOUP, Pisa
ABSTRACT
Intensity of exercise training is of key importance in pulmonary
rehabilitation of patients with chronic obstructive pulmonary
disease (COPD). Extreme breathlessness and/or peripheral muscle fatigue may prevent more severe patients from achieving
higher levels of intensity. Although assisted ventilation during
exercise reduces dyspnea and work of breathing and enhances
exercise tolerance in COPD patients, up to now conflicting
results have been reported on its use in rehabilitation programs
because of the small study sample size and methodological variability. Larger prospective controlled studies are required to
determine if ventilatory assistance will eventually be a useful
adjunct to standard exercise protocols for dyspneic patients
with more advanced cardiopulmonary disease.
Keywords: COPD, pulmonary rehabilitation, ventilatory assistance, whole body exercise.
RIASSUNTO
L'intensità dell'allenamento all'esercizio fisico è d'importanza
chiave nella riabilitazione respiratoria dei pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). La dispnea eccessiva
e/o l'affaticamento della muscolatura periferica possono impedire ai pazienti più severi il raggiungimento dei livelli di intensità più elevati. Nonostante la ventilazione assistita durante
esercizio fisico riduca la dispnea e il lavoro respiratorio, migliorando la tolleranza allo sforzo nei pazienti BPCO, i risultati raccolti finora sul suo utilizzo in programmi di riabilitazione sono
contraddittori, a causa della bassa numerosità del campione e
della notevole variabilità metodologica. Sono perciò necessari
studi controllati prospettici più ampi per determinare se l'assistenza ventilatoria possa realmente costituire un utile aiuto
nei protocolli standard di esercizio fisico per i pazienti dispnoici con le patologie cardiorespiratorie più avanzate.
Parole chiave: BPCO, esercizio fisico, riabilitazione respiratoria, ventilazione.
Exercise training as a part of multidisciplinary pulmonary rehabilitation can improve both exercise
tolerance and health related quality of life in
patients with chronic obstructive pulmonary disease (COPD) [1]. Physiologic changes contribute to
these improvements: reduction of lactic acidosis,
minute ventilation and heart rate for a given work
rate, and enhanced activity of mitochondrial
enzymes and capillary density in the trained muscles. Intensity of exercise training is of key importance. High-intensity training has been shown to
improve both maximal and submaximal exercise
tests and induce both cardiorespiratory and peripheral muscle adaptations [2]. Nevertheless in these
patients extreme breathlessness and/or peripheral
muscle fatigue may prevent patients from achieving
higher levels of intensity. As a consequence of flow
limitation, to cope with the increased ventilatory
demands of exercise, these patients show a breathing pattern that ultimately places greater demands
on their inspiratory muscles. Indeed in these
patients a pattern of low tidal volume and high fre-
Nicolino Ambrosino
UO Pneumologia, Dipartimento Cardiotoracico, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana
Via Paradisa 2, 56124 Cisanello Pisa, Italia
email: [email protected]
Nota: lecture presented in the Workshop “New approaches to pulmonary rehabilitation”
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 3: 98-99
98 MRM
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health status when compared to training alone. At
difference Hawkins et al. [5] found that after ventilation assisted training mean training intensity and
peak work rate were higher in patients that used
PAV. Iso-workload lactataemia after training was
reduced in the assisted group more than in the
unassisted group. A significant inverse relationship
was found between reduction in iso-workload lactataemia after training during the constant work rate
test and peak work rate achieved during the last
week of training. In a randomised controlled study
[6], van't Hul and co-workers concluded that NPPV
may be considered as an adjunct during high-intensity exercise training.
Any conclusion about the potential clinical utility
of ventilatory assistance during training is difficult
to draw from existing studies because of the small
study sample size, variability of pathophysiological
abnormalities at study entry, differences in the ventilatory devices and operating characteristics of the
ventilators, differences in pressure optimisation protocols, or lack of optimisation, differences in
breathing circuit design with the potential for CO2
rebreathing and differences in exercise protocols
and evaluative methods of dyspnea. Larger prospective controlled studies are required to determine if
ventilatory assistance will eventually be a useful
adjunct to standard exercise protocols for dyspneic
patients with more advanced cardiopulmonary disease.
N Ambrosino
Ventilatory assistance and whole body exercise - Assistenza ventilatoria ed esercizio fisico
quency breathing is unlikely to be advantageous
but it is the only pattern available in the presence of
expiratory flow limitation and dynamic hyperinflation. Increased inspiratory muscle work may contribute to dyspnea and exercise limitation in such
patients even before their ventilatory ceiling is
attained.
To the extent that intrinsic mechanical loading and
functional inspiratory muscle weakness in COPD
contribute to dyspnea, assisted ventilation should
provide symptomatic benefit by unloading and
assisting such overburdened ventilatory muscles.
Reducing exercise dyspnea, by assisted ventilation
might allow for higher levels of exercise intensity.
Several studies have examined the acute effects of
different modalities of ventilatory assistance on dyspnea and exercise tolerance in advanced COPD.
The message of these physiological studies could be
summarised as follows: assisted ventilation delivered as non-invasive positive pressure ventilation
(NPPV) either continuous positive airway pressure
(CPAP), inspiratory pressure support (IPS) or proportional assist ventilation (PAV) during exercise
reduces dyspnea and work of breathing and
enhances exercise tolerance in COPD patients [3].
Up to now conflicting results have been reported on
the use of NPPV in rehabilitation programs. A randomised controlled study by Bianchi et al. [4] found
no additional benefit of assisted ventilation (in PAV
modality) on exercise tolerance, dyspnea and
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BPCO e tromboembolismo venoso
COPD and venous thromboembolism
Mauro Campanini
SCDO Medicina Interna e d'Urgenza, Dipartimento Emergenza ed Accettazione, ASO “Maggiore della Carità”,
Novara
RIASSUNTO
Il tromboembolismo venoso (TEV) con le sue principali manifestazioni cliniche, la trombosi venosa profonda (TVP) e l'embolia
polmonare (EP), costituisce una frequente complicanza nei pazienti ricoverati in ospedale per patologie internistiche. I pazienti con BPCO sono a particolare rischio di sviluppare un TEV che
spesso decorre in modo asintomatico, condizionando però un
peggioramento della prognosi. La presenza della BPCO complica
anche la diagnosi di EP richiedendo il ricorso con maggiore frequenza a metodiche quali l'angio-TC. Il trattamento profilattico
con eparina riduce la probabilità della comparsa del TEV.
Parole chiave: BPCO, eparina, tromboembolismo venoso.
ABSTRACT
Venous thromboembolism (VTE) - with its principal clinical
manifestations, deep vein thrombosis (DVT) and pulmonary
embolia (PE) - is a frequent complication in patients hospitalized for diseases of the internal organs. Patients with COPD are
at particular risk of developing VTE, which often develops in
asymptomatic mode though it nevertheless worsens the prognosis. The presence of COPD also complicates the diagnosis of
PE, necessitating more frequent recourse to methods such as
angio-CT. Preventive treatment with heparin reduces the probability of manifestation of VTE.
Keywords: COPD, heparin, venous thromboembolism.
Il tromboembolismo venoso (TEV) rappresenta
un'entità nosologica comune con un'incidenza annuale compresa tra due e tre casi per 1.000 abitanti [1].
Una manifestazione del TEV è costituita dalla trombosi venosa profonda (TVP) che può essere localizzata sia agli arti inferiori che a quelli superiori. La
storia naturale della malattia prevede che un'estensione prossimale di una TVP distale si verifichi nel
20-25% dei casi non trattati con eparina ed in genere avvenga entro 7 giorni dalla comparsa dei primi sintomi [2]. Questo spiega perché è fondamentale il trattamento tempestivo delle forme prossimali ma non di quelle distali che possono essere riesaminate dopo 7 giorni [3]. La necessità di un trattamento farmacologico tempestivo deriva dalla considerazione che in assenza del medesimo un'embolia polmonare si può manifestare anche nel 50%
dei casi entro tre mesi, da un'elevata tendenza alla
recidiva di TVP e dalla possibile comparsa di una
sindrome post-flebitica [4].
L'embolia polmonare (EP) è la complicanza più importante di una TVP e rappresenta la terza causa di
morte nei paesi occidentali. La diagnosi è spesso
misconosciuta in quanto i sintomi di presentazione
possono essere modesti e poco specifici; sappiamo
infatti che anche nella categoria dei pazienti ospedalizzati sia per patologie mediche che chirurgiche,
ad alto rischio di sviluppare una EP, la diagnosi è
spesso effettuata post-mortem. Risultati di autopsie
dimostrano infatti che circa il 60% di pazienti deceduti in ospedale hanno un'evidenza di PE e che
la diagnosi non viene effettuata in vita in circa il
70% dei casi [4].
Il rischio di TEV è aumentato di circa 10 volte nei
Mauro Campanini
SCDO Medicina Interna e d'Urgenza, Dipartimento Emergenza ed Accettazione, ASO “Maggiore della Carità”, Novara
Via Mazzini 18, 28100 Novara, Italia
email: [email protected]
Nota: Lettura presentata nel simposio congiunto AIMAR/FADOI (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri
Internisti): “BPCO e patologie associate”
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le in quanto i sintomi della BPCO possono mascherare quelli di EP. La BPCO riacutizzata determina
un'aumentata probabilità di sviluppare un TEV attraverso vari fattori quali: immobilizzazione, superinfezione bronchiale, insufficienza ventricolare
destra e disidratazione.
La presenza di BPCO condiziona però un aumento
di immagini scintigrafiche non diagnostiche. Infatti
se si confrontano pazienti con BPCO rispetto a pazienti senza BPCO la differenza di immagini non
diagnostiche è significativa e pari al 25% e questo
determina un maggiore ricorso all'angio-TC. Le
performance dell'angio-TC non sono influenzate
dalla presenza di BPCO. La presenza di BPCO non
sembra influenzare in modo significativo le risposte
dell'arteriografia polmonare [10]. In futuro potrà essere utilizzata la scinti-RMN che è in grado di visualizzare i vasi segmentari, dare informazioni sul
parenchima e di fornire un imaging dinamico perfusivo/ventilatorio; la RMN presenta inoltre una notevole specificità.
Fra i primi studi che hanno dimostrato che la profilassi con eparina riduce la mortalità bisogna citare
il lavoro di Haòlkin che trattando con eparina non
frazionata pazienti ricoverati in medicina generale
anche con BPCO, dimostrava una significativa riduzione della mortalità rispetto al placebo; la differenza aumentava in modo significativo con la durata
dell'ospedalizzazione. Anche Ibarra [10] dimostrava che il trattamento profilattico con eparina standard determinava una differenza significativa di
TVP, valutata con fibrinogeno marcato, rispetto al
placebo (3% versus 25%, p < 0,002). Più recentemente Fraisse [11] in 223 pazienti con BPCO riacutizzata e scompensata che richiedevano ventilazione meccanica dimostrava una differenza significativa del TEV fra il gruppo trattato con nadroparina
5.000 U rispetto al placebo.
Le linee guida dell'American College of Chest
Phisician [12] consigliano pertanto:
“In pazienti affetti da patologia medica acuta ricoverati in ospedale per scompenso cardiaco, severa
patologia respiratoria, o allettati con uno o più fattori di rischio aggiuntivi, come cancro attivo, precedente TEV, sepsi, malattia neurologica acuta, malattia infiammatoria cronica intestinale, si raccomanda
profilassi con eparina a basso peso molecolare oppure basse dosi di eparina non frazionata (Grado 1A).
In pazienti medici con fattori di rischio per TEV e
controindicazioni alla profilassi anticoagulante, si
raccomanda profilassi meccanica con calze elastiche oppure compressione pneumatica intermittente
(Grado 1C+)”.
M Campanini
BPCO e tromboembolismo venoso - COPD and venous thromboembolism
pazienti ospedalizzati per chirurgia maggiore, politraumi, o immobilizzati per patologie internistiche.
In molti casi il TEV rimane asintomatico, ma in almeno altrettanti può essere causa di importante
morbilità e mortalità: ancora oggi l'embolia polmonare fatale è tra le prime cause di morte prevenibili in ospedale.
Il razionale per la profilassi si basa proprio sul carattere clinicamente silente del TEV e sul fatto che
l'embolia polmonare fatale può esserne la prima
manifestazione.
Lo studio MEDENOX [5] ha dimostrato che l'incidenza di TEV nel paziente internistico è del 15%
(5% TVP prossimali) e che occorrono dosi “elevate”
di Enoxaparina (4000 U/die, come nell'artroprotesi
d'anca) per ridurre il rischio trombotico, essendo
inefficace la dose di 2000 U/die (validata nella chirurgia generale a rischio moderato). Dati più recenti di pari efficacia nella stessa tipologia di pazienti
derivano dallo studio PREVENT (Dalteparina 5000
U vs placebo) e dallo studio ARTEMIS (Fondaparinux
vs placebo) [6,7].
L'incidenza di una TVP nel paziente con BPCO riacutizzata è variabile a seconda delle casistiche considerate e può variare dal 5 al 26%. L'incidenza dipende da numerosi fattori quali: la numerosità del
campione arruolato, le caratteristiche dei pazienti
sia per severità di malattia che per fattori di rischio
associati, un diverso periodo di allettamento. Lo
studio di Schonhofer [8] conferma che non è solo il
tipo di patologia, ma anche la gravità della stessa a
condizionare il rischio di TEV. Infatti pazienti con
BPCO severa con FEV1 di 0,7 ± 0,21 L/sec presentano una TVP nel 10,7% quando questa venga valutata con indagine ultrasonografica. È inoltre interessante sottolineare che nel 70% questa decorre in
modo asintomatico.
Altro elemento da considerare è anche il periodo di
comparsa della TVP dopo il ricovero. Ibarra-Perez J
[9] in pazienti con patologia polmonare ad alto rischio, con età > 40 anni ed allettati per 3 o più giorni, dimostra una TVP, valutata con fibrinogeno marcato, nel 5,9%; metà dei pazienti sviluppò una TVP
nei primi 7 giorni e metà tra l'8° ed il 24° giorno.
I dati della prevalenza della EP sono pochi e spesso derivano da studi di piccole dimensioni e non
controllati, con un dato variabile dallo 0 al 29%.
L'embolia polmonare incide in modo negativo sulla prognosi dei pazienti con BPCO con un aumento della mortalità. Il sospetto clinico viene però posto solo in circa il 50% dei casi e non sono descritti sintomi specifici, confermando il dato che il sospetto clinico di EP in pazienti con BPCO è diffici-
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Epithelial secretory proteins as biomarkers
in COPD
Proteine secretorie epiteliali come marker biologici
nella BPCO
Yves Sibille, Charles Pilette
Pulmonary and Microbiology Unit, University of Louvain, Belgium
ABSTRACT
Biomarkers of diagnosis and disease progression in chronic
obstructive pulmonary disease (COPD) should provide useful
tools to prevent and treat the disease at an early stage. The
epithelial surface represents a critical interface between the respiratory tract and the environment. It is therefore likely that
secretory products from epithelial cells could be influenced by
environmental changes and disease states.
Using immunostaining, we specifically investigated secretory
component (SC) and Clara cell protein (CCP), both derived from
respiratory epithelial cells, in bronchial tissue from severe COPD
patients. SC and CCP were decreased in particular in small airways from COPD patients compared with smokers without
COPD, and the decrease of SC correlated with the degree of airway obstruction. Using Ki-67 as a marker of cell proliferation, we
observed an increase of proliferating cells in small airways from
COPD also correlating with severity of airway obstruction. By
contrast epithelial expression of galectin-3, a lectin known to
promote cell proliferation and actvation of inflammatory cells
was increased in airways of COPD.
These data illustrate changes in epithelium-derived products
associated with COPD suggesting their potential role as biomarkers in the diagnosis and follow-up of this disease.
Keywords: COPD, epithelium, immunoglobulin A, mucosal
immunity, secretory proteins.
RIASSUNTO
Individuare marker biologici di diagnosi e progressione della
broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) sarebbe di
estrema utilità nella prevenzione e trattamento della patologia
in uno stadio precoce. La superficie epiteliale rappresenta
un'interfaccia critica tra l'albero respiratorio e l'ambiente
esterno. È quindi verosimile che i prodotti di secrezione delle
cellule epiteliali possano essere influenzati da modificazioni
ambientali e da condizioni patologiche.
Con metodiche immuno-istologiche abbiamo specificamente
ricercato la componente secretoria (SC) e la proteina delle cellule di Clara (CCP), entrambe di derivazione dall'epitelio respiratorio, in tessuto bronchiale prelevato da pazienti con BPCO
grave. SC e CCP erano ridotte in particolare nelle piccole vie aeree dei pazienti con BPCO rispetto ai fumatori senza BPCO, e la
riduzione di SC correlava con l'entità dell'ostruzione delle vie
aeree. Utilizzando il Ki-67 come marker di proliferazione cellulare abbiamo osservato un incremento delle cellule in proliferazione nelle piccole vie aeree dei BPCO, anch'esso correlato
con l'entità dell'ostruzione delle vie aeree. Al contrario l'espressione epiteliale di galectina-3, una lectina nota per promuovere la proliferazione cellulare e l'attivazione delle cellule infiammatorie, era incrementata nelle vie aeree dei BPCO. Questi dati evidenziano modificazioni dei prodotti di derivazione epiteliale associate alla BPCO, che suggeriscono un loro potenziale
ruolo come marker biologici per diagnosi e follow-up di questa
patologia.
Parole chiave: BPCO, epitelio, immunità mucosale, immunoglobulina A, proteine secretorie.
Chronic inflammatory disorders of the airways are
associated with progressive lung function deterioration and represent a major cause of morbidity and
Yves Sibille
Pulmonary and Microbiology Unit, University of Louvain
54, Avenue Hippocrate, 1200-Brussels, Belgium
email: [email protected]
Nota: lecture presented in the Workshop “Biomarkers in COPD”
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mortality [1]. Although important advances have
been made in understanding the pathogenic
processes leading to chronic obstructive airway diseases such as asthma [2,3], in particular through
recent major progresses in immunology, key points
need to be addressed and clarified especially in
chronic obstructive pulmonary disease (COPD).
Firstly, since only 15% of heavy smokers will develop COPD [4], predicting factors and possible biomarkers need to be determined to prevent the disease in susceptible smokers by early intervention
before they display symptoms and irreversible airway damage. Second, future studies should define
determinants of the structural changes observed in
the COPD airway wall that are responsible for irreversible airflow limitation, as well as their relationship with inflammation. Transgenic animal models
have recently evolved as interesting tools to evaluate the mechanisms leading both to COPD- or asthma-related airway and lung damage and to airway
obstruction [5].
Despite an extensive literature devoted to the
description of the structural remodeling in the
COPD respiratory tract including infiltration by
immune cells such as neutrophils and CD8+ lymphocytes [6], clear information concerning secretory immunity is lacking in COPD. Thus, mucosal
production of secretory immunoglobulins (SIgs),
namely polymeric IgA and IgM, contributes in synergy with mucociliary clearance to the first-line of
defense in bronchi [7-9]. Several lines of evidence
suggest that this first-line of defense is defective in
COPD, as supported by chronic bacterial colonization of the airways. This is also supported by important epithelial changes among the different morphopathological features of the airway mucosa
from COPD patients.
Initial studies from our group performed on bronchoalveolar lavage suggest that changes in epithelial secretory proteins - namely secretory component (SC) and Clara cell protein (CCP) - can be
observed in various respiratory disorders [10-12].
In order to assess secretory immunity in COPD, we
performed quantitative immunohistology for the
polymeric Ig receptor/secretory component
(pIgR/SC) in lung specimens from severe COPD
patients compared to controls. This receptor
expressed on the basolateral pole of epithelial cells
assumes the transport of polymeric IgA and IgM synthetized by subepithelial plasma cells - into the
mucosal lumen. SC expression was strongly
decreased in the bronchial epithelium from COPD
patients as compared to controls, both in large
(including submucosal glands) and small airways.
Interestingly, decreased SC expression correlated in
small airways (membranous bronchioles) with
parameters of airflow limitation such as forced expiratory volume in 1 sec (FEV1), and in large airways
(cartilagineous bronchi) with the neutrophilic infiltration of bronchial glands [13]. Similarly, CCP was
also decreased in aiways from COPD patients but
no correlation with airflow limitation was observed.
This study demonstrates an impairment of bronchial
secretory immunity in COPD and suggests its implication in the disease pathogenesis.
In further studies, we investigated in COPD the
bronchial expression of galectins-1 and -3, two
lectins
that
regulate
epithelial
cell
proliferation/apoptosis and neutrophil activation.
Using similar immunostaining techniques, we
observed that epithelial galectin-1 immunostaining
was decreased in severe COPD as compared to
controls both in large and small airways [14]. In
contrast, epithelial expression of galectin-3 was
increased in COPD only in small airways. Galectin3 expression significantly correlated in small airways. Moreover, intraepithelial neutrophils in bronchioles from COPD strongly correlated with the
FEV1/FVC.
In conclusion, we suggest that, in COPD, impaired
epithelial functions and more specifically secretory
IgA deficiency associated with increased galectin-3
surface expression might contribute to bacterial
colonization, neutrophilic infiltration and structural
changes of the COPD airway mucosa.
Furthermore, correlation between decreased SC
expression and airway obstruction was observed in
bronchioles, supporting the previously suggested
concept assuming that small airways play an important role in the COPD pathophysiology. In vivo
studies of pIgR/SC-/- mice will probably allow to
confirm (or not) whether SC deficiency associated
with COPD is a susceptibility factor in developing
the disease.
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RUBRICA
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Interdisciplinary pages A CURA DI MARIO POLVERINO
Questa rubrica si propone come spazio interdisciplinare con lo scopo di raccogliere notizie, informazioni,
opinioni, contributi metodologici e casi clinici tratti dalle varie discipline che interagiscono con la Medicina
Respiratoria.
email: [email protected]
Spotlight on Fitness for Non-normobaric Conditions
Fitness for flying and diving
Idoneità al volo e all'attività subacquea
Heinrich Matthys
Department of Pneumology, University Hospital Freiburg, Germany
e-mail: [email protected]
ABSTRACT
Pressure changes due to different types of flying and diving
have many things in common concerning the evaluation of
psychological and physiological fitness. Due to the dramatic
increase of air transportation and the popularity of diving as a
leisure pursuit, medical practitioners are more likely to be
faced, as time progresses, with requests to comment on the fitness of individuals to fly and to dive. This article focuses on the
respiratory aspects of pressure changes in an air or water environment.
Keywords: Air flight, hyperbarism, hypobarism, scuba diving.
RIASSUNTO
Le modificazioni di pressione dovute ai differenti tipi di volo e
attività subacquea hanno molto in comune per quanto concerne la valutazione dell'idoneità psicofisica. In considerazione
dell'enorme incremento del trasporto aereo e della crescente
popolarità dell'attività subacquea come esercizio ludico, diviene sempre più frequente per il medico la possibilità che venga
richiesto un parere sull'idoneità di individui al volo e all'attività
subacquea. Quest'articolo mette a fuoco gli aspetti respiratori
connessi alle modificazioni di pressione nell'ambiente aereo e
subacqueo.
Parole chiave: Attività subacquea, iperbaria, ipobaria, volo
aereo.
Pressure changes due to different types of flying and
diving have many things in common concerning the
evaluation of psychological and physiological fitness. Due to the dramatic increase of air transportation and the popularity of diving as a leisure pursuit,
medical practitioners are more and more likely to
be faced now and in the future with requests to evaluate the fitness of individuals to fly and to dive (some typical situations are outlined in the Appendix).
The purpose of this article is to focus in particular
on the respiratory aspects of pressure changes in an
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air or water environment.
A summary of possible hypobaric, normobaric and
hyperbaric activities in water and air is shown in
Figure 1. The different types of underwater activity
(skin [snorkeling], breath hold, Scuba [self contained underwater breathing apparatus] and surface
supplied helmet diving [similar to Caisson workers
exposure]) as well as submarine escape training have many things in common independently of the
apparatus and gas mixture used. To be able to advise
on risks and possible accidents the physician
should know not only the patient's medical conditions but also the diving technique intended to be
used with its specific risks [1].
Skin diving
Swimming with a snorkel breathing surface air has
a small risk of immersion-induced pulmonary edema mostly of unknown aetiology, sometimes due to
too long a snorkel breath (hypobaric lung edema)
often associated with strenuous swimming (Figure
2). Recurrent episodes of lung edema are frequent
also in young healthy subjects with this disposition.
These patients should not be barred from further
swimming and diving [2].
Spirometry shows a restrictive ventilatory defect
lasting 2 weeks. Chest radiographs are usually normal, arterial hypoxia, sputum with hemoptysis (in
56%) and cough are documented after provocation
but not before.
Breath hold diving
The volume of air in non-ventilated body cavities
(e.g. lungs, sinuses, middle ear, intestine - see
Figure 3) will be compressed during descent and
expand during ascent.
A lung volume of 6 litres at sea level (1 bar) would
be compressed to 3 litres at 10 m depth (2 bar) and
to 2 litres at 20 m depth (3 bar) according to the law
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FIGURE 1: FITNESS FOR FLYING AND DIVING
Flying and diving have many things in common, in that the human body tissues are decompressed during ascent and recompressed during descent.
If we are breathing air the fractional content of gases remains constant, but the partial pressure changes due to the difference of ambient pressure applied, which is reduced with increasing altitude towards the stratosphere to zero and increased with every 10 m seawater depth by one
bar. The mechanical stress on the body can be avoided by breathing air under ambient pressure in a submarine, in a pressurised caisson, in a surface supplied helmet or from a self contained underwater breathing apparatus. During skin and breath hold diving the lungs are compressed due
to the volume loss induced by the ambient water pressure acting during immersion on the body. In air planes with partial or no increased cabin
pressure the fall of oxygen partial pressure causes diminished cerebral function already at 0.5 bar ambient pressure and at higher altitudes also
decompression symptoms are possible.
FIGURE 2: DANGER OF HYPOBARIC LUNG EDEMA IN SWIMMERS, DURING SNORKELLING AND SKIN DIVING
of Boyle-Mariotte. The non-compliant cavities (e.g.
sinuses and middle ear) need additional air from the
lungs or the stomach to compensate this volume
loss, otherwise the pressure differences lead to
symptoms like pain and fluid extravasation. The increasing partial pressure of oxygen at depth when
the lung volume is reduced allows longer bottom
times with the risk of loss of consciousness during
surfacing (Figure 4). The world record in breath
hold diving is 172 m which squeezes the lungs to a
volume of some ml. Under these circumstances
pulmonary barotrauma and embolic bubbles (arterial gas embolism) are also possible as with Scuba
diving.
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FIGURE 3: POSSIBLE BAROTRAUMA SEATS
Representation of the air containing cavities in the respiratory and intestinal tract which can cause barotraumas of the tissues involved, with typical symptoms due to insufficient ventilation of these spaces during changes of ambient pressures.
FIGURE 4: DANGER OF HYPERVENTILATION BEFORE APNOEA DIVING
Danger of voluntary hyperventilation before breath hold diving to increase bottom time, which may lead to loss of consciousness during ascent
with drowning due to a critical fall of the oxygen partial pressure.
Barotraumas are the consequence of compression
or expansion of gas filled body cavities during descent or ascent.
Scuba diving
Open, semi-closed or closed breathing apparatuses
are mostly used by recreational, military and professional divers with different gas mixtures of oxygen, nitrogen and helium. Neither the gas mixtures
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nor the apparatus (Scuba or surface supplied air)
nor the intended depth or duration of underwater
activity affects the medical principles of assessing
diving fitness (Tables I-II) [1].
The greater gas density at depth results in an increased
airway resistance of the diver and his equipment.
The augmentation of total pressure results in an increase of partial pressures which may induce impaired
cerebral function at greater depths.
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TABLE I: RESPIRATORY CONTRAINDICATIONS FOR DIVING
After history taking, physical, functional (spirometry, flowvolume curve) and chest X-ray investigation:
- Acute and manifest chronic respiratory diseases needing
therapy
- Patients with obstructive ventilatory defects e.g. asthma,
COPD, cystic fibrosis
- History of pneumothorax (spontaneous idiopathic or recurrent
symptomatic)
- Lung cysts, cavities, bullae of varying sizes with signs of air
trapping
- Patients with restrictive ventilatory defect of pulmonary,
pleural or thoracic origin
- Hyperventilation syndrome (claustrophobia and other mental
disorders)
TABLE II: CARDIOVASCULAR CONTRAINDICATIONS FOR
DIVING
After history taking, physical, functional (pulsoximetry, ECG,
blood pressure, ergometric and utrasonic flow measurements)
assessment
- Coronary artery disease with angina pectoris and/or abnormal
ECG
- Myocardial disorders post infarction, insufficient and artificial
heart valves
- Arrhythmias, ventricular, sick sinus syndrome, AV-Block II and III
- Aortic aneurysmas and arterial circulation problems
- Syncope also of diabetic and cerebral origin, epilepsy (EEG,
NMR, CT)
- Right-left shunts, pulmonary, open foramen ovale and septum
defects
Carbon dioxide toxicity: CO2 increases air hunger,
respiratory drive and dilates cerebral vessels with
the consequences of head aches, nausea, vertigo
and vomiting [3]. Closed or semiclosed circuit rebreathing divers are especially at risk.
Carbon monoxide toxicity: Mainly smokers have
increased HbCO-levels. From 10% CO on induces
headaches, dizziness, nausea, dyspnea, weakness
and tachycardia.
Nitrogen Narcosis: The clinical effect of N2 is similar to alcohol and starts at 30m depth with euphoria, clumsiness, impaired judgement and memory.
Oxygen toxicity: O2 especially during exercise may
lead to epilepsy and secondary drowning at O2 partial pressures of 2 bars or more.
Pulmonary edemas: They are a rare contraindication for diving and have also been seen in healthy
subjects swimming in warm or cold water without
any additional equipment (immersion pulmonary
edema) and during snorkel- and Scuba-diving (hypobaric pulmonary edema) (Figure 2).
Hyperoxic pulmonary edema due to increased O2partial pressures is not observed in recreational divers breathing air [4,5].
Hypoxic pulmonary edema as observed during rapid ascent to altitudes above 2500m are not observed in air planes with a cabin pressure below this
altitude.
Decompression illness (DCI):
All sorts of diving accidents happening during
ascent are summarised as DCI (Figure 5). They include otic, sinus, pulmonary and stomach barotraumas, arterial gas emboli (AGE) and decompression
sickness (DCS) type I and II.
FIGURE 5: DECOMPRESSION ILLNESS ACCIDENTS DURING ASCENT
Pathophysiology of the different causes of decompression illness (DCI) due to air bubbles entering the arterial circulation (Arterial Gas Emboli
[AGE]: aetiology of the bubbles due to supersaturation, right to left shunts and barotrauma of the lung) as well as decompression sickness (DCS)
caused by a local damage of the skin and musculoskeletal tissue (bends) with bleeding, lymphedema, itching as well as pain (DCS I) and/or neurological symptoms of the brain, spinal cord, inner ear often combined with cardiorespiratory (chokes) problems (DCS II).
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Otic barotraumas are the most frequent, pulmonary
barotraumas cause the most severe forms of diving
accidents. External ear, middle ear and especially
inner ear barotraumas with vertigo, nausea and vomiting can also lead to death due to secondary
drowning.
Arterial gas embolism is the second most common
cause of death in divers and is often due to pulmonary barotraumas (Figure 5) or the presence of right
to left shunts in the lungs and the heart due to an
overload with decompression bubbles.
An open foramen ovale or atrial septum defect is
seen in more than 60% of divers with DCI and
therefore this is an absolute contraindication for diving [5]!
Decompression sickness is the main reason for hospitalisation of Scuba divers: DCS type I 24%, type
II 67% and AGE 9% [6,7].
As the diver returns to the surface, the sum of the
partial pressures of the gas mixture in the body tissues may exceed the absolute ambient pressure
(especially when diving in lakes at high altitude see also Figure 1).
This leads to free gas liberation in the form of bubbles which can disturb organ function even when
decompression rules are not violated. After short
and deep dives we observe more accidents in the
nervous (Figure 6) and cardiorespiratory systems
(“chokes”) (DCS II).
After long shallow water dives (deeper than 10m)
more musculoskeletal pain (“bends”), skin rushes
and lymphoedema (DCS I) are observed. The clinical outcome is related to the peak serum creatine
kinase.
The helpline for divers consists of some safety precautions (Figure 7). Never dive alone, be trained for
rescue and cardiorespiratory resuscitation techniques. Prepare facilities for 100% O2 breathing,
FIGURE 6:
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know the location of the nearest recompression
chamber and consult the DAN (Divers Alert
Network) for diving medicine support.
Recompression chamber treatment is indicated in
all forms of DCI (AGE and DCS I and/or DCS II). In
AGE patients due to a barotrauma of the lung with
pneumothorax, mediastinal and skin emphysema a
chest tube drainage with one way valve (Matthys
Drain®) is mandatory (Figure 8).
Also emergency transport of patients with pneumothorax by aeroplane needs the same chest drainage
to avoid a life threatening decompression induced
tension pneumothorax (Figure 9).
Air travel
Flying with no, or partial, compensation of the environmental barometric pressures at cruising altitude exerts a different physiological stress and should
not be undertaken without knowing the subject's
previous medical altitude and diving history.
Previous episodes with hypoxemia complicated by
decompression-induced hypoxic stress (need for
additional oxygen breathing!) during take-off to
cruising altitude (COPD [7-9], chronic asthma, cystic fibrosis, thromboembolic, cardiac diseases,
especially with pulmonary hypertension, emotional
hyperventilation, pneumothorax) (Figure 10) and
landing-induced recompression (difficulties to ventilate the middle ear and sinuses in patients with
acute upper respiratory tract inflammations) constitute specific risks that should be carefully evaluated
in the medical consultation (Figure 11).
Professional flying and diving during pregnancy is
combined with an increased ratio of child malformations.
Patients with leg edema are more prone for thrombosis and lung emboli during long distance flights.
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FIGURE 7: HELPLINE FOR DIVERS
Helpline for divers: rescue with air-jacket, resuscitation, 100% O2 breathing with face mask, medical examination and eventually treatment in
recompression chamber in case of decompression sickness (DCS) and/or arterial gas emboli (AGE).
FIGURE 8: PULMONARY BAROTRAUMA: TENSION PNEUMOTHORAX WITH MEDIASTINAL AND SKIN EMPHYSEMA
Pulmonary barotrauma during emergency ascent with panic closure of the rima glottides, rupture of the right lung and the development of a tension pneumothorax. Patient with pneumothorax, mediastinal and massive skin emphysema needing subcutaneus and intrapleural chest tube with
suction therapy.
Appendix:
FAQ: typical situations in which doctors may need
to assess fitness for flying or diving
Question: You are in an aeroplane flying at a cruising altitude of 10,000 m and the stewardess asks
you to see a patient with acute pain in the left thorax radiating to the right lower abdomen and left
shoulder, and dyspneic breathing oxygen. Physical
examination demonstrates increased intercostal
spaces, hypersonic percussion and reduced
breathing sounds compared to the right side of the
thorax. The patient has a tachycardia of 120/min.
The captain announces landing in 40 minutes.
What is your diagnosis and what has to be done
and to be prepared?
Answer: Diagnosis: pneumothorax. No treatment
when the plane goes down for landing, because the
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FIGURE 9: PNEUMOTHORAX READY FOR AIRCRAFT TRANSPORT WITH MATTHYS-DRAIN®
Diver ready for emergency transport by aircraft to recompression chamber with pneumothorax, chest tube with one way valve to prevent tension
pneumothorax due to changes in ambient pressures during the flight (Matthys-Drain® Manufacturer: [email protected] or
[email protected]).
volume of air in the pleural space will be reduced.
Exception: Tension pneumothorax which needs an
immediate puncture in the 2nd intercostal space
mediclavicular (ideal would be with the MatthysDrain which prevents puncture of the lung and allows
re-expansion of the lung due to its one-way valve).
Q: An obese 55 year-old smoker, cyanotic, with
irregular pulse rate, varying oxygen saturation
between 86 and 90% (pulsoximetry) asks you for
advice to fly from Europe to the US to visit his
daughter. His FEV1 is 1.1 litres, his Tiffeneau Index
32% with no significant change after inhalation of
24 µg of formoterol. What is your recommendation,
diagnostic aim and treatment suggestion?
A: The patient will require oxygen for the whole
flight (the airline must be consulted before the
FIGURE 10: AIR TRAVEL AND COPD
COPD patients with a cabin pressure equivalent to an altitude of 2500 m. above sea level. They all increased mean pulmonary artery pressure
(Ppa) far more than normal subjects. One patient had already a pre-flight Pap of more than 30 mmHg (complete vascular recruitment!) and could
not stand the altitude exposure. Residual volume correlated best with Pap, all patients fell asleep during the hypobaric exposure and showed a
decrease in FEV1 from 1.08 to 0.78 litres, the FEV1/IVC ratio diminished from 45.7 to 40.2%. Arterial hypoxia and alveolar arterial O2-difference
did not restore to pre-exposure level as well as mean Pap one hour after altitude exposure.
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flight). COPD is the most probable diagnosis,
emphysematous bullae must be excluded by a CT
scan! The patient should inhale a rapid and longacting β2-agonist with a topical steroid, in particular immediately before the take off.
Q: A young man with asthma since childhood consults you for diving fitness. He is a computer specialist with exercise induced shortness of breath
and wants to go scuba-diving with his girl friend
during summer vacation. His forced expiratory vital
capacity is 0.5 litres smaller than his slow inspiratory VC with a marked decrease of end-expiratory
flows. Also in winter time, especially when skiing,
he experiences wheezing. What is your advice and
treatment including last control before summer
vacation at the Red Sea?
A: The patient has asthma with trapped air and is
poorly treated. He should inhale regularly a rapid
and long-acting β2-agonist (formoterol) combined
with a topical steroid till his lung function data are
normal, especially before diving. Many asthmatic
divers are known, and there exist no convincing
evidence-based data that they have a higher risk of
barotrauma than non-asthmatic patients.
Q: During a Valsalva manoeuvre a young sportsman demonstrates an opening of the foramen ovale
during ultrasonic investigation of the heart. Would
you confirm fitness for diving?
A: An open foramen ovale is a condition with an
increased risk for arterial gas emboli during decompression and recent data show that it also predisposes for high altitude edema. It should be
closed before confirming fitness for diving and
extreme high altitude exposure.
Q: A 48 year-old woman who is a regular jogger
complains of coughing especially at night since she
takes an ACE inhibitor against high blood pressure.
The medical history and examination, spirometry
and ergometry are otherwise normal. Would you
attest diving fitness and what would you advise her
to change first?
A: ACE-blockers are the most frequent cause of drug
induced cough. I would recommend a change to
AT1-blocker treatment. Because coughing during
diving is dangerous I would only attest diving fitness
after the cause of cough has been determined and
resolved.
FIGURE 11: FREQUENCY OF MEDICAL CONSULTATIONS (1/5000)
From [10], mod.
References
1. British Thoracic Society Fitness to Dive Group, Subgroup of
the British Thoracic Society Standards of Care Committee.
British Thoracic Society guidelines on respiratory aspects of
fitness for diving. Thorax 2003;58:3-13.
2. Adir Y, Shupak A, Gil A, Peled N, Keynan Y, Domachevsky
L, Weiler-Ravel D. Swimming-induced pulmonary edema:
clinical presentation and serial lung function. Chest
2004;126:394-399.
3. Cheshire WP Jr, Ott MC. Headache in divers. Headache
2001;41:235-247.
4. Elliott DH, Moon RE. Manifestation of decompression disorders. In: Bennett PB, Elliott DH eds. The Physiology and
Medicine of Diving. 4th ed. Philadelphia, PA: WB Sanders,
1993:218-505.
5. Moon RE. Treatment of diving emergencies. Crit Care Clin
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6. DeGorordo A, Vallejo-Manzur F, Chanin K, Varon J. Diving
emergencies. Resuscitation 2003;59:171-180.
7. Matthys H, Ernst HH, Volz E, Konietzko N. Hemodynamic
and ventilatory changes in patients with obstructive airway
disease exposed to a simulated altitude of 2500m. Prog
Resp Res 1975;9:187-194.
8. British Thoracic Society Standards of Care Committee.
Managing passengers with respiratory disease planning air
travel: British Thoracic Society recommendations. Thorax
2002;57:289-304.
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10. Mahony PH. Vortrag "In-Flight Medical Emergencies:
Implications für Cabin Safety", 21st International Aircraft
Cabin Safety Symposium, Februar 2004, Vancouver,
Canada.
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RUBRICA
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From Doctor to Patient A CURA DI STEFANO NARDINI
Un paziente informato è un migliore partner per il medico rispetto al soggetto passivo. Scopo di questa sezione è presentare le iniziative che possono arricchire il rapporto medico-paziente. Tutti i Colleghi sono invitati a contribuire a questa rubrica con le loro esperienze e i loro commenti su quanto riportato.
email: [email protected]
Un ricovero in ospedale per smettere di fumare
Intervista con il dr. Fabio Lugoboni, della Azienda Ospedaliera di Verona
Stefano Nardini
UO di Pneumotisiologia, Ospedale di Vittorio Veneto, ULSS 7 Sinistra Piave, Regione Veneto
Segretario Generale AIMAR
La disassuefazione dal fumo ha assunto, negli ultimi anni, la dignità di disciplina clinica a tutti gli effetti, uscendo dal limbo delle pratiche di nicchia e
di solo volontariato.
Essa si è anche diversificata in due distinti campi di
azione: il primo, quello della medicina preventiva
propriamente detta, che offre assistenza per la disassuefazione di fumatori “sani”, senza cioè altri
fattori di rischio oltre al fumo, il secondo, quello
della medicina curativa, che offre assistenza per la
disassuefazione di fumatori malati, di malattie legate al fumo. Pur essendo sempre costituito dalla
somministrazione contemporanea di terapia farmacologia e comportamentale, il tipo di trattamento
può diversificarsi tra questi due grandi gruppi di popolazione per la intensità, bassa nell'ambito preventivo, alta in quello curativo. All'interno di queste due grandi categorie, si ritrovano delle sottopopolazioni, definibili particolari, che necessitano di
approcci differenti da quello classico: ad esempio
le donne gravide o i fumatori appartenenti a etnie
extracomunitarie. Ad una categoria particolare appartengono i fumatori cosiddetti “compulsivi”, soggetti che, per lo più affetti da patologie di tipo neurologico o psichiatrico, arrivano a fumare 50 e più
sigarette al giorno. Abbiamo chiesto se esiste e quale possa essere l'approccio a questo tipo del tutto
particolare di fumatore - decisamente “difficile”- al
dr. Fabio Lugoboni, Direttore dell'Unità Operativa
Semplice di Medicina delle Dipendenze della
Azienda Ospedaliera di Verona, che è stato un precursore in questo campo.
Il dr. Lugoboni, laureatosi nel 1983, e specializzatosi in medicina interna nel 1988, dal 1987 ha dedicato la sua vita professionale alla medicina delle
dipendenze. Attualmente è anche professore a contratto presso la Scuola di Specializzazione in
Medicina Interna dell'Università di Verona.
Il suo interesse per il problema fumo risale al 1997:
dal 2001 dirige anche l'ambulatorio per la disassuefazione dal fumo nell'ambito della rete regionale veneta.
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Dr. Lugoboni, quali sono le sue attuali aree di
interesse?
Attualmente dirigo l'UO semplice di Medicina delle Dipendenze. Del fumo di tabacco ho iniziato a
interessarmi circa dieci anni fa, nell'ambito del
SerT di appartenenza.
Dal 2001 ho iniziato a lavorare nell'ambulatorio
del fumo del Servizio di Medicina delle
Dipendenze, in ambito SSN; ora l'ambulatorio per
smettere di fumare assorbe quasi tutte le mie energie, come si può immaginare se si pensa che ogni
anno tratta circa 350 pazienti in terapia singola e
un centinaio in gruppo.
Operativamente, il fumo occupa una parte rilevante della mia giornata lavorativa, anche ora che sono
diventato direttore della struttura; vi dedico circa 56 ore tutti i giorni e sono circa 7-8 i nuovi fumatori
che vedo alla settimana; i pazienti vengono visti per
circa 5-7 volte nell'arco di 2 mesi, ma i tempi sono
molto flessibili. Inoltre viene dedicata molta attenzione alla formazione degli studenti di medicina,
gli specializzandi ed i medici di medicina generale,
oltre a corsi avanzati per medici già impegnati in attività di trattamento del fumo.
Nella disassuefazione dal fumo, la nostra UO si caratterizza per la varietà delle risposte terapeutiche
(che su un terreno sperimentale possono includere
anche trattamenti non convenzionali) e per l'attenzione per i disturbi dell'umore: la nostra struttura si
caratterizza inoltre per il fatto che ricovera, per disassuefarli, certe categorie di pazienti.
Per quanto modificata rispetto al passato, l'opinione
generale (che è molto spesso anche quella dei
medici) considera il fumo poco più che un'abitudine, un problema cioè che ognuno può risolvere da
solo. In questa ottica appare spesso “esagerato” voler fornire ai fumatori assistenza psicologica e terapia farmacologica per smettere di fumare e, quindi,
può apparire addirittura “provocatorio” proporre
un ricovero ospedaliero per smettere.
Quale è il razionale di tale misura e quale è stato il
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percorso che ha guidato a concepire questa modalità terapeutica così inusuale?
Il nostro punto di partenza è che chiunque può
smettere di fumare se adeguatamente assistito, qualsiasi sia la sua comorbilità. Dire ad un paziente che
fumare per lui è il male minore è deontologicamente inaccettabile ed umanamente riprovevole.
D'altra parte è un fatto assodato che ci sono fumatori che con le metodiche convenzionali non riescono a smettere. È in questa sottopopolazione di pazienti che noi riteniamo di reclutare chi necessita di
ricovero quando deve smettere di fumare. Il ricovero per questi pazienti ha il significato, per noi positivo, di stravolgere completamente la loro routine,
aiutandoli in breve tempo ad abbandonare i comportamenti abituali. Inoltre il ricovero consente di
monitorare meglio sia la patologia organica sottostante sia l'effetto della terapia che si sta fornendo.
Gestendo 4 letti di degenza dedicati alle disassuefazione da sostanze d'abuso è stato naturale proporre il ricovero a quei casi di fumatori ritenuti particolarmente difficili. Questi casi venivano inizialmente definiti da almeno 3 caratteristiche: malattie
organiche fumo-correlate gravi, fallimento di precedenti tentativi di smettere, nonostante un supporto
adeguato, distanza dal nostro centro (ad esempio se
i pazienti provenivano da fuori regione).
Nonostante la disassuefazione riuscisse sempre (l'esperienza è del resto comune a tutti gli ambulatori
per smettere), spesso i pazienti ricadevano nel postdegenza anche per la difficoltà che avevamo di appoggiarli a strutture adeguate e alla necessità da
parte nostra di fornire un follow-up solo telefonico.
Alla luce delle prime esperienze, senz'altro molto
istruttive, abbiamo rivisto i criteri. Attualmente è indispensabile, oltre la malattia ed i falliti tentativi,
che ci sia un ambulatorio del fumo in grado di seguire il paziente nella sua area di residenza.
Puntiamo su ricoveri brevi, 4-5 gg al massimo, e i
nostri pazienti sono per lo più fumatori compulsivi
che, ovviamente, sono quelli che fumano un numero particolarmente alto di sigarette.
Non dirò che questo nostro lavoro sia privo di difficoltà, anche per il fatto che, per il ricovero per la disassuefazione dal fumo (cioè dalla nicotina), è previsto un DRG particolarmente basso e questo ha
rappresentato e tuttora rappresenta un freno per
qualsiasi struttura del nostro sistema sanitario.
Potrebbe spiegare meglio cosa intendete esattamente per “fumatori compulsivi”?
Sono i fumatori che non solo non riescono a controllare il fumo in alcun modo (qualsiasi sia la situazione nella quale si trovano, con cadenza regolare
si accendono e si fumano la loro sigaretta) ma che
dimostrano anche un rapporto del tutto “viscerale”
con la sigaretta; l'aspetto più caratteristico sono i
pensieri intrusivi per il fumo (“Quanto durerà questo viaggio in aereo senza poter fumare?”) con meccanismi adattivi di esitamento: il soggetto evita con
delle scuse le situazioni di astinenza forzata, generando un senso di impotenza e frustrazione che viene alleviato, paradossalmente, fumando più inten-
samente; un'altra caratteristica del fumatore compulsivo è il desiderio per la prossima sigaretta che
fumerà, anche se sta già fumando, con modalità
che ricordano quelle del cocainomane. Quasi sempre si tratta di soggetti che sono affetti da co-patologie di tipo psichiatrico. Ogni medico, non necessariamente psichiatra, ha avuto contatti nella sua vita professionale con soggetti di questo tipo e, come
ho detto prima, l'atteggiamento comune è di concludere che “la sigaretta è il male minore”. Oggi
credo che questo atteggiamento sia da considerare
residuale: tutti sanno che il fumo fa morire. Ritengo
che i fumatori compulsivi (che non vengono quasi
mai visti in genere da chi fa clinica per smettere di
fumare in modo tradizionale, dato che questi soggetti assai raramente si recano spontaneamente dal
professionista) siano una realtà presente e preoccupante, difficile in genere da approcciare con gli
schemi tradizionali (particolarmente difficile impostare un qualsiasi quitting day!).
Esistono altri criteri di selezione per l'ospedalizzazione di questi pazienti, oltre a quelli enunciati,
delle co-patologie e dei pregressi fallimenti, e quali
ne sono i vantaggi?
Oltre ai vantaggi già enunciati prima, il ricovero
breve in struttura specializzata ha dimostrato dropout particolarmente bassi nei primi giorni (i più temuti dal paziente) con percentuali di astensione a
distanza incoraggianti. Per dare un dato numerico:
su circa 80 ricoveri per fumo solo 1 paziente si è
autodimesso; si trattava di un paziente bipolare di
tipo 1 con 17 ricoveri psichiatrici in anamnesi ed
un passato di eroino-dipendenza. Date le caratteristiche dei nostri ricoveri, soprattutto di quelli passati, non abbiamo dati certi sulle percentuali di astinenza nel lungo termine.
Non sono in grado di fornire dei criteri oggettivi per
il ricovero. Nella nostra esperienza i pazienti. con
forte depressione unipolare possono essere trattati
con facilità su base ambulatoriale, a patto di curare
efficacemente la depressione. Anche i soggetti psicotici possono efficacemente essere trattati in ambulatorio.
Sarà la sensibilità del curante a individuare volta
per volta il caso da ospedalizzare, in base alla sua
esperienza.
Quali sono le modalità di riferimento al vostro
servizio e come organizzate il follow-up?
Prima di tutto è necessario chiarire che ogni paziente può accedere spontaneamente pur essendo
preferibile un intervento coordinato già sul nascere.
Per il resto, la nostra UO funziona come ogni altro
centro di riferimento per qualsiasi patologia (ad
esempio, qui da noi a Verona, il centro per la fibrosi cistica).
Se un ambulatorio specialistico pensa di inviarci un
paziente con le caratteristiche descritte basta contattarci telefonicamente. Il caso verrà valutato c/o il
nostro ambulatorio con “impegnativa” nel giro di 710 gg. Se ritenuto eligibile per un ricovero (il paziente deve essere motivato al tentativo in regime di
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ospedalizzazione) il ricovero verrà programmato in
genere 7-20 gg dopo, senza bisogno di documenti
ulteriori e del tutto gratuitamente.
Durante il ricovero (camere ad 1 letto, con servizi)
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è possibile studiare dal punto di vista organico il
paziente nei limiti di un ricovero breve.
Sarà l'ambulatorio inviante a garantire un adeguato
follow-up.
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R E P O RT
Di seguito riportiamo il resoconto di un incontro svoltosi a Roma, presso il Ministero della Salute, il 21 giugno scorso. Si è trattato del primo incontro ufficiale della GARD nel nostro Paese, cui hanno partecipato
tutte le istituzioni pubbliche e private, ivi comprese le società scientifiche e le associazioni dei pazienti,
coinvolte a vario titolo nella Medicina Respiratoria e nella prevenzione della salute pubblica.
Scopo dell'incontro è stato promuovere in Italia una politica comune per la prevenzione e il controllo delle patologie respiratorie, secondo quanto indicato dalle linee guida di prevenzione dell'OMS.
AIMAR ha partecipato all'incontro con un ruolo privilegiato, in qualità di prima società scientifica nazionale ad aver aderito alla GARD fin dalla sua fondazione, avvenuta 3 anni fa, e dopo aver svolto in questi
anni un'importante azione di divulgazione a livello italiano.
Presentation of GARD (Global Alliance against
chronic Respiratory Diseases) to the Ministry
of Health in Italy
A cura di Stefano Nardini
UO di Pneumotisiologia, Ospedale di Vittorio Veneto, ULSS 7 Sinistra Piave, Regione Veneto;
Segretario Generale AIMAR
e-mail: [email protected]
On Thursday June 21 2007, at the Supreme Health
Council in Rome, the first meeting of “GARD in
Italy” was held.
The Italian Ministry of Health (MoH), which
became a member of GARD in 2006, organized the
meeting to which were invited the GARD
Chairman, Prof. Jean Bousquet, and all the societies
and associations (professional and patients)
involved in respiratory medicine and allergy in Italy.
The main objective was to discuss the development
of a global chronic respiratory disease program in
Italy.
The meeting commenced with Dr. Francesca
Fratello, General Director of the Prevention Office
of the MoH, who emphasized the importance of the
event and remarked on the presence of a significant
number of scientific societies and patients associations. In her introduction, Dr. Fratello stressed the
increasing importance of chronic diseases - in particular respiratory diseases - and the need for everyone to work together, both at international and
national level, to reduce the burden. She concluded that in Italy this is not only a challenge but also
a great opportunity.
She then introduced the host, Prof. Jean Bousquet
from Montpellier, to present GARD.
The first part of the presentation was devoted to
underlining the need for GARD, which stems from
epidemiological considerations as well as political
commitment. GARD was formed in response to a
resolution of the World Health Assembly that recognized the burden of chronic diseases and requested
the Director General to continue giving priority to
the prevention and control of these diseases (WHA
Resolution 53.17, 2000). Thereafter, the World
Health Organization hosted several consultations
before launching GARD with the vision of "a world
where all people breathe freely". The GARD global
launch was held in Beijing, People's Republic of
China, 28 March 2006. Subsequently, much tangible progress has been made by GARD towards
achieving its main objectives: surveillance, advocacy, health promotion, prevention and control at
country level by providing support for national partnerships in the development of specific integrated
action plans in collaboration with the MoH.
Despite the fact that the WHA resolution 53.17
stressed the importance of dealing with all chronic
diseases, Jean Bousquet emphasized that GARD is
to date the only existing non-communicable,
chronic disease WHO Alliance.
Everyone in the world is exposed to risk factors
related to chronic respiratory diseases (CRDs). Three
billion people live in urban areas and are exposed
to outdoor air pollution. Two billion people, mainly
in developing countries, are exposed to biomass
fuel combustion. One billion people worldwide are
exposed to tobacco smoke and everyone is exposed
to allergens. According to WHO estimates, over 1
billion people (1/6 of the global population) are
currently suffering from CRDs.
GARD has been included among the major partnerships in the recent WHO medium-term strategic
plan (2008-2013).
The GARD vision is a world where all people can
breathe freely.
Given that comprehensive and integrated actions is
the only means of controlling CRDs, Bousquet outMRM
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lined the steps of GARD, from local epidemiology
to advocacy to better diagnosis and treatment. He
then presented the GARD flyer and website.
So far, Ministries of Health of 12 countries have
made the commitment to join GARD. In many other
countries, preliminary discussions have taken
place. GARD launches have been held in Latin
America (Buenos Aires), Brazil, Korea, Eastern
European Countries (Zacopane) and Francophone
Countries (Paris). GARD surveys on chronic respiratory diseases have been conducted in primary care
in Cape Verde, Russia, Georgia and in the
Philippines.
Forty-seven collaborating parties are active members of GARD and 24 new applications have been
received this year.
Bousquet then discussed the methods for implementing GARD in a country. He analyzed successful implementations at a national level throughout
the world, as an example of what can be achieved.
The second presentation was given by Dr. Filippo
Palumbo, Head of National Health Planning, who
presented the Italian situation and introduced the
National Health Plan.
This Plan was initiated as a result of the advanced
ageing of the national population, an epidemiologic and demographic situation which is shared in the
developed world with Japan (in the so-called fourth
phase of ageing people). Due to the progress of
medicine and care of patients, the population is living longer and a new concept of disability now
needs to be considered which includes disability of
neuromotor origins and of many chronic diseases
with several co-morbidities in the same patient.
The challenge of developed countries including
Italy is to confine in the later years of life the real
disability dissociating ageing and disability; otherwise health services will become over burdened.
The National Health Plan (“Dichiarazione di
Cernobbio”) has established the following priorities:
1. to set prevention at the top of the agenda at all
levels (National Plan for Prevention) centering it
on the management of the individual rather than
of the community;
2. to improve primary care by fostering its role in
preventing and managing disability control: primary care can modify the evolution of chronic
diseases, also by detecting failure before hospitalization becomes necessary;
3. to emphasize clinical governance, reviewing
diagnostic and therapeutic standards.
Dr Palumbo explained to the audience that the
National Health Plan recognized the importance of
CRDs and for this reason included them among the
four national priorities (together with cancer, diabetes and cardiovascular diseases).
Dr. Paolo d'Argenio, from the Directorate General
for Prevention of the MoH, discussed the organization of the Italian Health Service and emphasized
the importance of prevention: “Since the determinants of the current major diseases are lifestyles
and these come from the community, their management cannot be only a matter of assistance
118 MRM
inside the healthcare system.” He then illustrated
the role of the MoH branches in prevention and
stressed the importance of the National Center for
Disease Control (CCM) as a tool for coordinating
GARD.
The Italian societies and associations then presented the actions already carried out or planned for an
optimal approach to CRDs.
Dr. Stefano Nardini, General Secretary of AIMAR
(Italian Interdisciplinary Society for Research in
Respiratory Disease, GARD member since 2005),
examined the situation of CRDs in Italy and presented the projects finalized by AIMAR in 20062007: advocacy, professional education, coordination of different societies and the analysis of costeffectiveness of assistance to CRDs. This year,
AIMAR has published risk charts for Respiratory
Diseases and in October will host a Consensus
Conference on Respiratory Disease (Rome, October
3-6, 2007).
Dr. Lorenzo Corbetta then introduced LIBRA (Linee
guida Italiane BPCO, Rinite e Asma - Italian
Guidelines on COPD, Asthma, Rhinitis), a new
GARD member. This is an initiative aimed at disseminating, mainly through distance learning, the
adapted guidelines for COPD, asthma and rhinitis
(GOLD, GINA and ARIA). The program will be different for professionals of different disciplines and a
section of the website will be dedicated to patients.
LIBRA also produces a periodic newsletter.
Dr. Renato Cutrera introduced the Italian Society of
Paediatric Respiratory Diseases (SIMRI).
Mrs. Marta Lazzeri presented the actions carried
out by the Society of Respiratory Rehabilitators
(ARIR). She presented the results of a survey which
confirmed the lack in Italy of respiratory rehabilitation units and professionals.
Dr. Maurizio De Lisi from Rome presented a project
of clinical governance of COPD, coordinating the
role of hospitals and health districts.
Dr. Giovanna Moscato, representing the Italian
Society of Clinical Allergy and Immunology (SIAIC),
stressed the importance of prevention and control
of allergic diseases, giving priority to environmental
interventions.
Mrs. Maria Adelaide Franchi presented the Italian
association of COPD patients. She emphasized that
in Italy some 4 million people suffer from COPD,
62,000 patients receive domiciliary oxygen-therapy
and 20,000 home ventilation. The core message is
that notwithstanding these grim figures, the Italian
Government has not included COPD in the list of
chronic invalidating diseases (diabetes, for
instance) which gives special rights to patients.
Prof. Giovanni Viegi, past-president of the European
Respiratory Society (ERS), introduced the Society
and the role that it has carried out in Europe. ERS
actions included, among others, the publication of
a European Lung White Book, the first example of a
complete text on all aspects of respiratory health
(including economic and cost-effectiveness issues).
This document played a key role in securing the
recognition of Respiratory Diseases in the 7th
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Framework Programme of the European Union.
Viegi also suggested that the successful progress
and development of ERS should be an example for
Italy.
Dr. Francesco Forastiere of the Italian Epidemiological Society stressed the need to verify the real
compliance with the strict regulations protecting
people from passive smoking and environmental
pollution. In his experience, bans and laws on pollution are not always respected. He also stressed the
risk of the European Union revising the definition of
dangerous levels of pollution, increasing the
acceptable levels so as to facilitate compliance.
Finally, he showed that in Italy there are inequalities among different Italian regions in assisting the
same diseases.
Prof. Cesare Saltini representing the Italian Union
for Pneumology (UIP) emphasized the importance
of CRD in Italy. For this reason, the UIP has proposed that 2008 will be the “Year for Breathing”.
He suggested that the MoH should collaborate in
this initiative. His society is currently involved in
projects on oxygen therapy, rare respiratory diseases and asthma.
Dr. Antonino Mangiacavallo, President of the historic Federation against Tuberculosis and Lung
Disases (FIMPST), presented the activities of the
Pulmonary and Tuberculosis foundations, pointed
out the importance of the recognition of COPD as a
social emergency and thanked the MoH and Jean
Bousquet for having assembled all the respiratory
societies. FIMPST would like to promote further initiatives to coordinate all the societies for union in
pulmonary medicine, collaborating with the MoH
and GARD. A project on a National Campaign on
CRDs in schools was then presented.
Dr. Francesco Chiumeo presented the current project of the Italian National Society of Medical
Education for General Practitioners (SNAMID): a
study on the clinical management of chronic pulmonary diseases in primary care settings in the
Province of Trento (Northern Italy).
Finally, Bousquet in his concluding remarks
summed up the meeting in 8 points:
1. The meeting has been very important for many
reasons.
2. The commitment of the Italian MoH has been
shown at the highest level and CCM is a GARD
member.
3. Patients are a key element of any GARD action
plan since we are working for and with the
patients. They should be well represented and
part of the decision process.
4. All major partners were represented (as per
GARD recommendations) but several key figures
were missing (more GPs, pharmacists and health
professionals other than physiotherapists are
needed, e.g. nurses).
5. Fragmentation should be avoided in order to optimize resources. All the societies represented at
the meeting are welcome to join GARD.
6. Fratello and D'Argenio were congratulated for
the perfect organization of the meeting which
offered the chance to meet key persons at the
MoH.
7. Smoking cessation should be at the top of the
agenda. This is the most important health issue
and the most important single intervention today
in Italy. It is cost-effective and needs to be fostered with reimbursement. After congratulating
Italy for the early and excellent smoking ban
placing Italy at the forefront of the tobacco fight,
he suggested the need to reinforce control of
environmental tobacco smoke (ETS) in offices,
since the ban seems to work very well in bars and
restaurants but less in private offices.
8. A National plan for Italian GARD is now needed,
according to the WHO-GARD guidelines. An initiator could start to build up GARD Italy coordinating working groups and putting Italy in the
forefront. This could be a significant experience
worth demonstrating to other European
Countries.
At the end of the meeting, Fratello summarized the
morning's work and invited the audience to continue the efforts that are underway.
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RUBRICA
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Meeting Calendar A CURA DI STEFANO NARDINI
Questa rubrica informa i lettori dei prossimi eventi congressuali, nazionali ed internazionali, nell’ambito
della Medicina Respiratoria; fornisce un recapito a cui rivolgersi per ottenere ulteriori informazioni.
email: [email protected]
WHEN
WHERE
WHAT
WHO TO CONTACT
September, 24-25
(Italy)
Venezia
September, 28-29
Ragusa Ibla, RG
(Italy)
Gallipoli, LE
(Italy)
Roma
(Italy)
Sassari
(Italy)
Question Time COPD 2007
From myth to reality: clinical research
and clinical practice
Disease Management in Medicina Respiratoria.
VII Edizione
Highlights Pneumologia a Gallipoli
Evidenze Cliniche in Patologia Respiratoria
Conferenza Nazionale di Consenso
in Medicina Respiratoria - AIMAR
La Patologia Respiratoria nella pratica clinica
del Medico di Medicina Generale
Edizione 2007
CHEST 2007 - Annual Congress American
College of Chest Physicians
Il paziente ambulatoriale con infezione
delle vie respiratorie “Esperti a confronto”
VI Giornata Mondiale BPCO
II Conferenza Nazionale BPCO
“BPCO: uno sguardo positivo sul futuro”
Highlights in Allergy and Respiratory Deseases
2007
September, 29
October, 3-6
@
October, 7
October, 20-25
October, 27
November, 14
November, 16-17
November, 22-24
November, 29-30
November, 30
December, 1
December, 2-6
December, 4-7
December, 4-7
Chicago
(USA)
Bari
(Italy)
Roma
(Italy)
Genova
(Italy)
Taormina, ME
(Italy)
Pisa
(Italy)
Bari
(Italy)
Bangkok
(Thailandia)
Marseille
(France)
Firenze
(Italy)
December, 6-9
Athens
(Greece)
January, 24
Roma
(Italy)
Bologna
(Italy)
V Congresso AMP
“I grandi temi in Medicina Respiratoria:
presente e futuro”
IV Giornate pisane del torace
www.effetti.it
www.makevent.it
www.ideacpa.com
[email protected]
[email protected]
www.effetti.it
www.makevent.it
[email protected]
www.chestnet.og
www.meeting-planner.it
[email protected]
Progetto LIBRA
Tel. & Fax 06 35346840
[email protected]
www.ideacpa.com
[email protected]
[email protected]
Il Paziente Respiratorio: gestione combinata
ospedale-territorio, una realtà da attuare
World Allergy Organization 2007 Congress
D.G.M.P. srl
Tel. 050 989310 Fax 050 981264
www.meeting-planner.it
[email protected]
[email protected]
Thoracoscopy & Pleural Techniques
[email protected]
XXXIX Congresso Nazionale AIPO
VIII Congresso Nazionale UIP
Malattie respiratorie: emergenza sociale.
Le risposte della pneumologia
16th Annual Meeting of the Hellenic Thoracic
Society
www.ideacpa.com
[email protected]
www.frei.gr
2008
February, 8-9
April, 12
June, 11-13
Roma
(Italy)
Birmingham
(UK)
Workshop “Verso un Registro delle Malattie
Polmonari Rare”
VII Congresso Nazionale AIST
“Allarme Tosse” Focus su un problema
in espansione
Primavera AIMAR - Prima Videoconferenza
Nazionale in Medicina Respiratoria
6th International Meeting on COPD
www.aimarnet.it
[email protected]
www.iec-srl.it
[email protected]
www.effetti.it
www.makevent.it
www.copdconference.org
2009
120 MRM
Napoli
(Italy)
VI International Conference on Management
& Rehabilitation of Chronic Respiratory Failure
II Italian Conference on a Multidisciplinary
Approach to Respiratory Medicine
= evento AIMAR
www.effetti.it
www.makevent.it
= evento patrocinato da AIMAR
March, 4-7
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Cara/o Collega,
il Consiglio Direttivo di AIMAR mi ha incaricato qualche tempo fa di curare l'organizzazione di un sistema assembleare interno
all'Associazione, analogamente a quanto già presente in altre Società Scientifiche nazionali ed internazionali (ad esempio
European Respiratory Society).
Nell’accingermi al lavoro ho rilevato che circa il 40% degli iscritti non ha dichiarato la propria attività corrente e questo elemento
è imprescindibile da un tentativo di costituire Assemblee con caratteristiche dottrinali e pratiche soddisfacenti.
Poiché la nostra Associazione è largamente multidisciplinare appare fondamentale inquadrare al meglio il “corpus” societario prima di formulare delle proposte che dovrebbero per quanto possibile venire incontro alle attese.
Chiederei pertanto a tutti i soci di rispondere a questo breve e semplice questionario al fine di impostare i passi successivi
prima di sottoporli al vaglio del Consiglio Direttivo.
Un cordiale saluto
Lucio Casali
Coordinatore delle Aree Scientifiche e di Ricerca
e-mail [email protected]
QUESTIONARIO INFORMATIVO
Cognome: _______________________________________________________________________________________________________________________
Nome: ___________________________________________________________________________________________________________________________
Età: ______________________________________________________________________________________________________________________________
Sesso:____________________________________________________________________________________________________________________________
Anno di laurea: __________________________________________________________________________________________________________________
Titolo e anno delle specializzazioni conseguite (possibilmente in ordine cronologico):
1) ________________________________________________________________________________________________________________________________
2) ________________________________________________________________________________________________________________________________
3) ________________________________________________________________________________________________________________________________
4) ________________________________________________________________________________________________________________________________
5) ________________________________________________________________________________________________________________________________
Quale di queste specialità viene esercitata quotidianamente?
__________________________________________________________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________________________________________________________________
In quale delle seguenti categorie collochi la tua attività?
Università
Ospedale
Territorio
Medico di Medicina Generale
Specialista convenzionato
Sanità Pubblica
Altro (specificare): _____________________________________________________________________________________________________________
N.B. è possibile indicare più di una categoria (ad es. Università + Ospedale)
Oltre alla tua attività corrente svolgi anche ricerca?
SI
NO
Saltuariamente
In caso affermativo, in quale campo?
__________________________________________________________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________________________________________________________________
Come vorresti sviluppare in futuro la vita di un’Associazione come AIMAR?
__________________________________________________________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________________________________________________________________
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Certificazione ISO 9001-2000
N. IT-37575
Associazione Scientifica
Interdisciplinare per lo Studio
delle Malattie Respiratorie
Modulo di Iscrizione
da inviare alla segreteria
* campi obbligatori
Nome:* ________________________________________________________________________
Cognome:* _____________________________________________________________________
Specialità:* _____________________________________________________________________
Ente: ___________________________________________________________________________
Indirizzo:* ________________________________________________________ N. __________
Città:* _____________________________________ CAP:* ___________ Provincia:* ______
Regione:* __________________________________ Stato:* ____________________________
Tel. privato: _____________________________ Tel. Ente: _____________________________
Tel. mobile: _____________________________ Fax: __________________________________
e-mail:* _________________________________________________________________________
La quota per l’anno 2007 è:
t 50.00 per pneumologi
t 20.00 per non pneumologi
Modalità di pagamento - barrare l’opzione desiderata:
contanti
assegno:
Banca ____________________________________________
Estremi per Bonifico Bancario:
Banca d’appoggio:
Banca Intesa San Paolo - Filiale di Borgomanero (NO)
ABI 03069
CAB 45221
C/C 615290978770
Intestato a: Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Respiratorie (AIMAR)
Autorizzo l’invio di newsletter periodiche
Firma:* __________________________________________________
Data: _______________
Collegandosi al sito internet dell’Associazione (www.aimarnet.it), i Soci AIMAR potranno richiedere l’attivazione
di una propria casella di posta elettronica, nonché accedere gratuitamente a tutti i servizi offerti.
Segreteria: Via Monsignor Cavigioli, 10 - 28021 Borgomanero (NO)
Tel +39 0322 846549
Fax +39 0322 869737
e-mail: [email protected]
Informativa art. 13, d. lgs 196/2003
I Suoi dati saranno trattati, con modalità anche informatiche, da AIMAR - titolare del trattamento - Via Monsignor Cavigioli 10, 28021 Borgomanero (NO) - per
gestire la Sua iscrizione ad AIMAR e, laddove richiesto, per attivare la casella di posta elettronica, e per attività a ciò strumentali. Inoltre, previo consenso, i
Suoi dati saranno trattati per l’invio di newsletter periodiche. Le categorie di soggetti incaricati del trattamento dei dati per le finalità suddette sono gli addetti alla registrazione, modifica ed elaborazione dati, al confezionamento e spedizione di nostre riviste e newsletter, all’amministrazione, alla segreteria soci.
Ai sensi dell’art. 7, d. lgs 196/2003 può esercitare i relativi diritti fra cui consultare, modificare, aggiornare o cancellare i Suoi dati, nonché richiedere elenco aggiornato dei responsabili del trattamento rivolgendosi al titolare al succitato indirizzo.
Associazione Scientifica Interdisciplinare
per lo Studio delle Malattie Respiratorie
september
3
2007
Multidisciplinary Respiratory Medicine
Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB MILANO
Nardini S, Sanguinetti C.M., Spadari EA
Il progetto AIMAR-Thales per la ricerca in Medicina Respiratoria
in Italia
The AIMAR-Thales project for research in Respiratory Medicine in Italy
De Benedetto F , Sevieri G
Le nuove linee guida congiunte IDSA/ATS per la gestione
della polmonite acquisita in comunità dell'adulto
Spunti per il comportamento dello pneumologo e del generalista italiano
New joint IDSA/ATS guidelines for the management
of community-acquired pneumonia in adults
Highlights for the specialist and general medical practitioner in Italy
Rochester CL
Electrical stimulation of peripheral muscles in COPD: theory
and practice
Stimolazione elettrica dei muscoli periferici nella BPCO: teoria e pratica
Sibille Y, Pilette C
Epithelial secretory proteins as biomarkers in COPD
Proteine secretorie epiteliali come marker biologici nella BPCO
Matthys H
Fitness for flying and diving
Idoneità al volo e all'attività subacquea
anno 2 - n. 3 - Reg.Trib. Novara n.120 del 11/11/2005
ISSN 1828-695X
Multidisciplinary Respiratory Medicine
3/ september 2007
no.
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