4° film “Cineforum
Il posto delle fragole”
21° edizione
2014
LE MERAVIGLIE
Alice Rohrwacher
Fotografia: Hélène Louvart. Montaggio:
Marco Spoletini. Musica: Piero Crucitti.
Scenografia: Emita Frigato. Costumi:
Loredana Buscemi. Interpreti: Maria
Alexandra Lungu (Gerlsomina), Sam
Louwyck (Wolfgang), Alba Rohrwacher
(Angelica), Sabine Timoteo (Cocò),
Agnese Graziani (Marinella), Luis
Huilca Logronno (Martin), Eva Morrow
(Luna),
margarethe
Tiesel
(la
rappresentante di “Second Life”), Andre
M. Hennicke (Adrian), Monica Bellucci (Milly Catena), Carlo Tramati (Carlo Portarena).
Produzione: Carlo Cresto-Dina, Karl “Bumi” Baumgartner, Tiziana Soudani, Michael Weber per
Tempesta/Rai Cinema/Amka Films Productions/Pola Pandora Filmproduktions/RSIRadiotelevisione Svizzera/SRG SSR Idée Suisse//ZDF-Das Kleine Fernsehspiel. Distribuzione:
BIM. Durata: 111’. Origine: Italia/Svizzera/Germania, 2014.
Emiliano Morreale
Il secondo film di Alice Rohrwacher inizia nel buio, come il suo precedente. Anche qui fari
d’auto si fanno largo nella notte, e lo spettatore dal buio della sala e dello schermo deve
cominciare a orientarsi, a prendere possesso del mondo. Ma se Corpo celeste era passo passo il
percorso di un’educazione sensoriale, Le meraviglie è un film tutto costruito, più ancora che sui
corpi, sulle relazioni tra essi, e la regista non assume così direttamente il punto di vista di un solo
personaggio. Immediatamente sentiamo un calore, una prossimità ai personaggi, che diventa
anche qualcosa di buffo, di comico. Subito, nella scena in cui la piccola Marinella si alza nel
cuore della notte per cacare, e ha uno scambio sussurrato e di spiazzante verità con la maggiore
Gelsomina.
Il film, per oltre un’ora, procede nella descrizione di una strana famiglia alternativa, patriarcale
e piena di donne, libera dalle convenzioni e oppressa da costrizioni che si è imposta da sé. Il
capofamiglia è una specie di post hippie tedesco che si è trasferito in Italia, e vive con la moglie
e le quattro figlie femmine in una fattoria, dove insieme allevano le api, con metodi che ben
presto saranno considerati obsoleti. E bisogna intanto chiarire una cosa che pochi hanno
sottolineato, ossia il carattere storico del film, ambientato un po’ meno di vent’anni fa, e
riflessione tra le più interne e intense sulle estreme propaggini degli ideali degli anni Settanta. La
famiglia del film è davvero, per dirla con il titolo di una saggio di Christopher Lasch che
chiudeva i conti col ’68, un «rifugio in un mondo senza cuore», e le sue dinamiche interne, per
quanto diverse dalle famiglie della pubblicità o del cinema italiano consueto, ci risultano
immediatamente credibili, appassionanti. Wolfgang, il padre, non è né buono né cattivo, è forte e
debole nello stesso tempo, ha torto e ragione. La sua battaglia, ideologica e istintiva insieme, da
ultimo giapponese, è contro il consumismo che ormai ha stravinto, e in fondo anche contro la sua
versione colta e sinistrorsa, quella del biologico e del km zero, stile SlowFood-Farinetti-Nossiter.
Non a caso la conduttrice sceglie di ripetere, tra le poche cose farfugliate dall’apicultore in
diretta, la consolatoria «Ci sono cose che non si possono comprare», rimuovendo la frase più
dura e perentoria, «Il mondo sta per finire».
Anche la tv, che arriva un giorno a turbare questo mondo, è vista senza odio (in fondo, sembra
dire il film, sono meraviglie anche
quelle). Se in Corpo celeste si poteva
vedere qualche tocco un po’ sarcastico
nella visione delle catechiste e dei loro
balletti, qui la Bellucci in lurex e piume è
anzitutto una fata. Immaginate quanta
facile ironia poteva esserci, in un altro
regista, nei confronti dei balletti Non è la
Rai e di una troupe televisiva scalcinata e
volgare. Qui invece lo sguardo rimane lo
stesso, in
maniera
penosa
che
improvvisamente e sul più bello di una
recita grottesca mostra personaggi addobbati che sembrano usciti dal Satyricon di Fellini o dal
Fiore delle mille e una notte di Pasolini, e l’occhio si lascia rapire in un giro sulle luminarie che
decorano le pareti della grotta, posandosi infine sui piumaggi della Bellucci.
La regista ci piomba in mezzo a questi strani personaggi, e da subito ci sentiamo prossimi in
maniera totalmente non ideologica. Lo spazio in cui essi sono immersi, poi, disarma. Il lago in
cui fanno il bagno, le cascate in cui appare loro la troupe televisiva sono filmati in maniera
diversa da come il cinema di solito mostra “la natura”. E poche volte un film ce l’aveva fatto
sentire. Le meraviglie insomma, fin dal titolo, non è un film realista. Chi lo ha letto come tale
probabilmente scambia la verità dei tempi, degli accenti, e la palpabilità dei corpi, con il
realismo, che è essenzialmente un effetto, una costruzione, un patto con lo spettatore. Il film è,
questo sì, rosselliniano: ma non nel senso di neorealista ma in quello della ricerca della grazia.
Cos’è che ha impedito dunque alla critica di cogliere la grazia del film? Giacché il pubblico, da
parte suo, ha risposto in fondo bene. Forse non viene perdonato alla regista: di fare un cinema
fisico che arriva, con la semplicità del vero talento, a una dimensione quasi ludica, nella quale il
critico non trova immediate soddisfazioni intellettuali.
Dal documentario, che ha marginalmente frequentato, Rohrwacher e i suoi colleghi hanno
imparato non l’attenzione ai temi, o un maggiore realismo, ma soprattutto una lezione di messa
in scena. Quando tagliare, cosa tenere fuori campo, che suoni e che musiche far sentire, e
quando. E, inoltre, la non servitù al racconto, la possibilità della sua sospensione. Le cose non
vengono spiegate, né la provenienza dei personaggi; ma non ce n’è bisogno. E anche i luoghi,
come si diceva, subiscono lo stesso trattamento: i personaggi ci vivono dentro, e noi con loro.
C’è anche un altro aspetto. I registi migliori dei nostri hanno identificato nell’adolescenza,
luogo ambiguo ipersfruttato dai media, che sostituisce lo spazio dell’infanzia, da tempo
inesistente nel nostro cinema. Bellas mariposas o L’intervallo, Corpo celeste o Stop the
Pounding Heart hanno anche questo in comune. E qui, rinunciando come si diceva
all’identificazione del proprio sguardo con quello della protagonista, Rohrwacher conserva
l’attenzione per la corporeità fragile e goffa delle sue ragazzine e bambine, e le segue nella
distrazione, nell’ingrandire il dettaglio. Le quattro figlie ci stanno vicine, quasi promiscuamente,
e così possiamo prenderle per personaggi realistici, mentre sono semplicemente reali, come
accade agli esseri umani e ai luoghi quando vengono mostrati sullo schermo dai registi veri. Ma
la loro è anzitutto una fiaba: le quattro bambine, la fata, la grotta, il miele rovesciato, la barca di
nome Lucifero che porta in un’isola magica…
Se il cinema d’autore oggi ama i finali sospesi, Rohrwacher progetta invece un vero finale, di
piccola apocalissi. La famiglia vende tutto, si rifugia in un letto all’aria aperta e una panoramica
di trecentosessanta gradi mostra la casa fatiscente, e torna alla fine del circolo sul letto vuoto.
Prossimo film
giovedì 23 ottobre : STILL
LIFE
di Umberto Pasolini
Scarica

LE MERAVIGLIE Alice Rohrwacher - Il cineforum "Il posto delle fragole"