Presidenza del Consiglio dei Ministri
Dipartimento nazionale per le politiche antidroga
Forum PA 2005
Presidenza del Consiglio dei
Dipartimento Nazionale per le Politiche Antidroga
Ministri
Convegno – Politiche sociali e empowerment della famiglia
“PERCHE’ UNA FAMIGLIA SERENA SIA IL CENTRO DI UNA BUONA SOCIETA”
Non c’è indagine sociale, studio o ricerche sullo stato di salute di una
società che non evidenzi la centralità della famiglia nelle dinamiche
sociali. Al di là di ogni retorica come di ogni analisi tesa a denunciarne le
possibili patologie, la famiglia permane quale nevralgico connettivo,
come prima ed essenziale fonte di socialità. Una scuola di umanità, per
usare un’espressione della nostra tradizione culturale, di assoluta
evidenza. Riconoscerne la natura, la funzione, la rilevanza non solo in
astratto ma in concreto è la sfida che hanno dinanzi le politiche sociali.
Se sul piano delle enunciazioni non è difficile trovare un ampio consenso,
sul piano pratico, e dunque delle azioni, delle iniziative puntuali, tutto
diventa più complesso. Come non
constatare che larga parte del
pensiero dominante fa fatica ad assumere la famiglia come soggetto
sociale. L’approccio individualistico tipico della modernità, e di cui in
misura maggiore o minore siamo tutti intrisi, fa fatica a rendere ragione,
a comprendere operativamente la famiglia come soggetto sociale cui
riconoscere diritti, spazi, autonomia.
Il dato che ciascuno di noi impara a vivere in società attraverso la
famiglia, che è dentro la dimensione familiare che si sperimentano le
prime dimensioni di affettività, di responsabilità verso gli altri, di
solidarietà anche economiche, di cura, di tutela, di protezione e di
valorizzazione della persona, sebbene sia oggetto di tante riflessioni,
analisi e dibattiti, sembra però non sufficiente per comporre quel
complesso di misure di sostegno, quel riconoscimento politico di cui si
avverte il bisogno.
L’incontro di oggi sta a testimoniare la consapevolezza che occorre fare
un passo in avanti, che il tema delle politiche familiari quale capitolo
centrale delle politiche sociali, è tutt’altro che esaurito. Per quanti come
me si confrontano quotidianamente con le gravi problematiche delle
tossicodipendenze ed è impegnato sul fronte della lotta alla droga,
immediatamente e costantemente trovano dinanzi la questione famiglia.
La droga infatti, non lo si può negare, non è un affare privato. Non è
questione di sola pertinenza del singolo. Le sue connotazioni devastanti
hanno un ambito primario dove immediatamente si riverberano ed è
appunto quello della
famiglia. Se in taluni casi il fenomeno delle
tossicodipendenza è spia di un disagio familiare, sempre invece si
manifesta
come
“inferno”
delle
famiglie,
come
dimensione
potenzialmente implosiva o esplosiva del tessuto familiare, prima che
come lacerazione sociale in senso lato. Dalla capacità di risposta della
famiglia, dalla sua tenuta, dal modo in cui affronta il problema trova una
sua ridefinizione.
Per molti anni, forse troppi, le famiglie sono rimaste sole ad affrontare
questo problema. Oggi, certo molto è cambiato, si sono fatti indiscutibili
passi in avanti, la società nel suo complesso reagisce diversamente
davanti a questo fenomeno, sebbene la battaglia è lungi dall’esser vinta,
nonostante non siano diminuite le necessità di un potenziamento della
rete di aiuti, di sostegni, da destinare alla famiglia. Spesso è proprio dal
coraggio e dalla reazione di famiglie sane che sono nati fermenti ed
iniziative contro la droga. Basti pensare al fenomeno americano delle
madri di tossicodipendenti che hanno dato vita ad uno dei più efficaci
movimenti di lotta alla droga, non solo sul piano repressivo ma anche di
antagonismo alla “cultura della droga”, a quell’insieme di giustificazioni
quanto non di teorie che in nome di un allargamento della coscienza e di
una trasformazione della natura umana si facevano e si fanno promotori
dell’uso degli stupefacenti. Questa guerra chimica, che oggi nelle droghe
sintetiche sfoggia nuove e più insidiose armi, costituisce un’attentato
non solo alla salute dei singoli, alla tranquillità dell’ordine sociale, ma
ancora una volta alla famiglia, che per prima ne soffre implicazioni e
conseguenze. Se al centro della nostra attenzione e di quella del governo
c’è la cura e il recupero di quanti sono divenuti dipendenti dalle sostanze
stupefacenti, se il tema della repressione dei traffici e dei trafficanti di
droga costituisce l’impegno quotidiano delle forze dell’ordine, una
rinnovata attenzione va rivolta alle famiglie.
Per questa ragione ho desiderato offrire questo contributo, convinto che
sostenere le famiglie, articolare politiche per aiutarle, elaborare più
avanzate politiche sociali vuol dire muoversi con efficacia sul piano della
prevenzione e della promozione di un clima e di un ambiente ostile alla
diffusione e all’uso degli stupefacenti, come dell’abuso dell’alcool e di
sostanze più in generale nocive alla salute ed allo sviluppo armonico
della persona umana.
Sviluppare una cultura dell’accoglienza e della solidarietà senza venir
meno all’esigenza di disincentivare, scoraggiare e quando è il caso
reprimere i fenomeni di necrosi sociale emula peraltro un tratto tipico del
modo di agire di gran parte delle famiglie, così come noi le conosciamo.
Da questa cultura e da questo atteggiamento penso possa attendersi
un’azione politica, e di politica sociale in specie sempre più avanzata ed
efficace.
Convegno – Politiche sociali e empowerment della famiglia
NASCE LA “WAR ON DRUGS”. UNA SERA AD ATLANTA …
Ma come nasce il movimento della “tolleranza zero” tanto demonizzato?
La signora Sue Rusche, nata e cresciuta nell’Ohio, studia arte a New York dove si
sposa e vive fino a quando, con il marito Henry professore universitario, nel 1962, si
trasferisce ad Atlanta, dove lui prende possesso della cattedra di letteratura alla
Emory University.
Una sera nell’agosto del 1976, degli amici della famiglia Rusche danno una festa di
compleanno per la loro figlia tredicenne alla fine della quale trovano la figlia e i suoi
amici completamente inebetiti sotto l’effetto di cannabinoidi.
I genitori increduli chiamano a consulto i genitori degli altri ragazzi ed insieme
cercano di mettersi in contatto con delle autorità per avere maggiori informazioni a
riguardo, soprattutto su come tenere i propri figli lontano da queste sostanze. Si
preoccupano e si mobilitano anche se ancora però ben lontani dall’immaginare un
impegno sociale militante su scala nazionale.
Perché Sue Rusche e le sue amiche di Atlanta decidano di scendere in campo serve
infatti un altro shock, il che avviene esattamente un anno dopo. Uno studente della
locale Emory University, Robert Topping, figlio e nipote di importanti famiglie della
città, viene trovato morto a cause delle percosse di narcotrafficanti, a Miami, in
Florida, dove il giovane si era recato per trattare una grossa partita di cocaina, droga
che, si scoprirà, abitualmente spacciava all’intero del Campus dell’Università di
Atlanta.
La realtà aggredisce ormai queste tranquille famiglie borghesi fin dentro le loro case.
Mamme e papà iniziano quindi riunioni periodiche tra genitori che, discutendo tra di
loro, si rendono conto dell’influenza che hanno sui loro figli i messaggi veicolati dai
cd. “Head shop”, i negozi “alternativi” dove, accanto a libri e poster inneggianti ai
benefici dell’uso delle varie droghe, si vendono anche accessori connessi al consumo
di droga come, ad esempio, pipe per fumare hashish a forma di astronavi del film
“Guerre Stellari”, oppure pubblicistica orientata a giovanissimi: giornaletti a fumetti
dove i protagonisti insegnano come confezionarsi uno spinello o “sniffare” cocaina.
All’epoca sono attivi più di 30.000 di questi “negozi” sparsi in tutta la nazione che
non vendono le sostanze stupefacenti ma “spacciano” cultura antiproibizionista in
maniera più o meno subliminale.
L’indagine conoscitiva avviata del gruppo di genitori li porta a rendersi conto anche
che nelle camerette dei figli sono sempre presenti i veicoli di quella cultura popolare
di ispirazione psichedelica che allora va per la maggiore: dischi, poster e riviste
alternative come la diffusa “High Times”.
Anche la scuola non rappresenta più un luogo sicuro; sotto l’amministrazione Carter,
per esempio, inizia a essere diffuso materiale “educativo” che insegna agli
adolescenti l’”uso responsabile” di droga. Anche le istituzioni scolastiche sono ormai
permeabili alla ideologia antiproibizionista che si impone incontrastata. La massima
autorità istituzionale antidroga nominata da Carter, Peter Bounce, si impegna contro
gli “allarmismi”, e arriva a sostenere, durante tutto il suo mandato, che “la
marijuana e la cocaina non sono una vera minaccia”.
Con l’avanzare delle leggi di depenalizzazione in uno Stato dopo l’altro (sotto
l’Amministrazione di Jimmy Carter dal 1973 fino al 1978, undici stati depenalizzano i
cannabinoidi come la marijuana), le mamme decidono che non c’è più tempo perdere
e tutto il vicinato, compatto, dà vita al “DeKalb County Families in Action”.
Storicamente si tratta del primo nucleo di combattenti che dà vita alla “Guerra alla
droga
La legittima difesa delle famiglie: il Parent’s Movement scende in campo
Il primo obiettivo del programma di prevenzione delle mamme-coraggio è quello di
far cessare l’attività degli “Head shop”. Intorno a questo progetto concreto,
“Families in Action” diviene il catalizzatore di centinaia di gruppi locali che sorgono
in maniera spontanea in tutti gli Stati Uniti, lanciando una battaglia politico-culturale
contro ogni tipo di droga.
I gruppi di genitori sono tutti diversi tra loro per grandezza, tipo di struttura e di
approccio, ma tutti sono basati sui valori familiari naturali e tradizionali, e tutti sono
fermamente contrari a
qualsiasi uso di qualsiasi droga da parte dei minori.
Impossibili elencarli tutti: ricordiamo solo il PACT (Parents and Children Togheter), il
COPE (Concerned Organization of Parents to Educate), la Tough Love, e la famosa
Straight Inc. guidata dai coniugi Sembler.
L’aver sollevato questioni da un nuovo punto di vista ed animato un dibattito che non
si vuole più ad una sola voce, procura subito grandi risultati ad esempio come la
“conversione”, tra gli altri, del dott. DuPont che diventa uno dei maggiori alleati
della Rusche. Lo psichiatra Robert Dupont aveva, fino a quel momento, portato
avanti le istanze con la forza della sua carica di consigliere per le politiche sulla
droga alla Casa Bianca, e nel 1977 avvia il centro di ricerche “Institute for Behavior
and Health”, in Bethesda nello Stato del Maryland.
E’ sul piano educativo che viene condotta principalmente l’opera solidaristica. Il dott.
Thomas Gleaton, professore di Educazione Sanitaria alla “Georgia State University”,
fonda un gruppo locale nel 1977 con la dott.ssa Marscha Keith Schuchard,
sviluppandolo in una struttura formale chiamata PRIDE (Parents Resource Institute
for Drug Education), la cui azione si concentra tutta sull’educazione dei giovani. Il
gruppo crescerà fino a diventare una realtà internazionale con oltre 15.000 membri
attivi.
Nello stesso periodo si articola un altro progetto educativo il famoso DARE (Drug
Abuse Resistence Education), una serie di lezioni curriculari da tenere nelle scuole di
ogni ordine e grado da parte di esperti che formano il corpo docente e consigliano i
genitori degli alunni.
Questi nuovi programmi erano considerati molto sofisticati perchè basati su tecniche
psico-sociali innovative. Agli studenti infatti vengono forniti non solo informazioni
sul pericolo delle droghe, ma soprattutto tecniche per resistere alle pressioni dei pari
o provenienti da altre fonti, rafforzando, con esercizi appositi, i concetti di autostima
e autocontrollo.
Con il sostegno pubblico della first lady tutti i delegati, incontrano deputati, senatori
e dirigenti delle agenzie governative antidroga per ottenere un adeguato supporto.
A partire da quel meeting la collaborazione tra “la prima mamma d’America” e la
lobby dei genitori si sviluppa senza soluzione di continuità. L’importanza di questo
movimento viene sancito nel 1982 con l’emanazione del “Federal strategy for
prevention of drug abuse and drug trafficking” e dall’assistenza tecnica ai gruppi
locali fornita, su richiesta delle agenzie federali come la DEA e il NIDA. Questo nel
periodo iniziale, perché negli anni il movimento si sviluppa e, con l’esperienza,
diventa esso stesso fonte privilegiata del Know How antidroga.
L’efficacia (compassionevole) della lotta alla droga
A livello strategico, tre sono gli obiettivi, che fanno di sfondo a tutte le iniziative del
Parents movement: 1) Prevenire l’uso prima che incominci (prevenzione primaria);
2) convincere gli assuntori a cessare il vizio (dissuasione); 3) aiutare tutti coloro che
non riescono da soli a smettere e a trovare un trattamento idoneo alle loro esigenze
(recupero).
Tale esempio evidenzia come in pochi anni, la “lotta alla Droga” condotta in sinergia
esemplare dalle istituzioni e dalla società civile, riesce per la prima volta ad invertire
in maniera decisiva la tendenza, riducendo di oltre il 70%, ed in maniera stabile, il
numero dei consumatori americani di droga, sia tra gli adolescenti (12-17 anni) che
tra i giovani (18-25), minimizzando anche gli alti costi sociali, come crimini e
decessi, correlati all’uso di tossici.
Negli Stati Uniti, nello sforzo di recupero e di attenzione proprio del movimento della
“War on drugs”, sono state promosse, analoghe sperimentazioni che hanno prodotto
quella che ormai è una felice realtà: le Drug Court.
Le prime "Drug Court" sono comparse in via sperimentale in Florida all'inizio degli
anni Novanta in alternativa all'applicazione della legge in maniera tradizionale, come
suggerito da numerosi esperti e dal mondo delle associazioni non governative. Oggi
sono 1183 le Corti operative in tutti gli Stati federali, e ben presto diventeranno
parte integrante del sistema giudiziario centrale.
Le "Drug Court" si differenziano per il fatto che, oltre alla attività giudicante,
svolgono un'azione di supervisione giudiziaria combinata tra l'organo giudicante, la
pubblica accusa, la difesa, i servizi sociali, le forze dell'ordine e le comunità
terapeutiche.
Questo coordinamento tende a costringere i tossicomani e gli alcolisti, incappati in
reati strettamente legati alla loro situazione di vizio, ad utilizzare terapie di recupero
in alternativa alla carcerazione.
Convegno – Politiche sociali e empowerment della famiglia
GLI INSEGNAMENTI DI UNA VITA SPESA PER PER SALVARE
I GIOVANI DALLA DROGA
Lei fu una delle cofondatrici, negli anni ‘70, dell’ "Anti-Drug Parents’ Movement" (I
genitori contro la droga), il primo movimento di opinione pubblica che contrastò le
politiche libertarie. Perchè ha cominciato ad impegnarsi in prima persona a
combattere la droga?
La ragione per la quale ho cominciato ad occuparmene è stata che avevo scoperto
che uno dei miei figli fumava gli spinelli; questo è stato più di trent’anni fa, nel 1972.
A quel tempo non capivo cosa stesse succedendo a mio figlio, era cambiato, non ci
ascoltava più, non riuscivamo a capirlo, cominciava ad andare male a scuola. Era
insolente e si comportava in modo strano. Io non avevo nessuna informazione, ma
sapevo che c’era qualcosa che non andava nel suo comportamento, perciò l’ho
portato da un pediatra, da uno psichiatra, gli cambiai anche scuola, ma niente
sembrava migliorare la situazione.
Aveva quindici anni e non riuscivo a trovare una risposta al problema, non mi era
neanche mai venuto in mente che il ragazzo stesse fumando spinelli. Mio figlio? No.
Non aveva senso. Ma lessi per caso qualcosa sul giornale che attirò la mia attenzione
e lì riconobbi i sintomi del comportamento di mio figlio. Mio marito disse che non
poteva essere. Io insistetti: "ecco qui, ho trovato la risposta".
A quel punto lo portammo in un centro di riabilitazione, all’epoca si era ai primordi,
qualcosa di molto diverso da oggi. Ma funzionò.
Suo figlio tornò ad uno stile di vita responsabile lontano per sempre dalle sostanze
psicotrope?
Si. Lo mettemmo in questo programma ed in breve tempo lui cambiò completamente.
Rimase lì per nove mesi. Ne uscì bene perché è una ottima persona, Lui aveva una
reazione forte al THC (il principio attivo della marijuana.). E pensare che la
marijuana che si fumava a quei tempi aveva un contenuto di THC del circa 3%. Oggi
mediamente si ha il 30/35%. Uno spinello oggi è come 10 di allora.
Comunque, da quando è uscito dalla clinica fino ad oggi mio figlio è stato benissimo.
Siamo intervenuti prima che facesse qualcos’altro. E lo avrebbe fatto, ce lo ha
confessato. E’stato un grande successo.
L’ opera benemerita, in qualche caso eroica, delle comunità terapeutiche costituisce
il principale baluardo su cui incentrare risorse e mezzi nelle politiche antidroga?
Quanto è capitato a mio figlio è uno dei fatti che mi hanno fatto concentrare sulla
necessità della prevenzione.
Non si può vincere una guerra soltanto medicando i feriti. E’ un vecchio detto, ma è
vero. Non puoi abbandonare i feriti e devi medicarli, ma non può certamente essere
questo il modo per controllare le cose, tanto meno gli spacciatori. Devi essere in
grado di prevenire le cose. Allo stesso modo come preveniamo i nostri figli dalle
malattie.
Li vacciniamo contro il morbillo, li teniamo lontani dalle persone influenzate, questa
è una responsabilità dei genitori. Il bambino non và dalla madre a chiedere: "mi
faresti un vaccino antipolio?". Ma lo sa la madre, e come lo sa la madre? Lo sa perchè
viene informata, viene resa consapevole del fatto che è lei che deve prendere il
bambino e portarlo a fare il vaccino.
E’ così che sono giunta alla conclusione che fosse doveroso passare ad altri questa
conoscenza, ed è quello che ho realizzato in tutti questi anni. Ho lavorato nel campo
dell’istruzione attraverso il programma DARE (Drug Abuse Resistance in Education);
alle terapie attraverso la comunità STRAIGHT, che non esiste più, ed ho costituito la
"Drug Free America Foundation", tesa allo sviluppo di politiche di prevenzione.
Non deve essere stata una battaglia facile ...
Non è stato facile per niente. C’è gente che vuole legalizzare queste droghe. Perchè ?
Perchè danno dipendenza, lo sappiamo. La persona che ti vende le sigarette vuole
che tu continui a fumare, perchè facendo questo, compri da lui.
Chi produce alcool deve pubblicizzarlo ai giovani. Devono fare un marketing mirato
ai bambini, perchè sappiamo, come dato scientifico, che se una persona non fa uso di
sostanze per alterare la mente fino all’età di almeno 21 anni, a quel punto sarà
abbastanza al sicuro, e difficilmente comincerà a quell’età.
Esiste però anche una fascia di tossicomani che vengono irretiti anche a 30 anni?
Non voglio dire che non lo farà nessuno anche dopo quella età, ma le percentuali di
persone che cominceranno a farne uso ed abuso a quella età sono grandemente
ridotte.
Quello è il segmento di popolazione più a rischio, dalla nascita fino alla maturità, se
si riuscisse a proteggerli fino a quella età, non cominceranno a prendere sostanze o
a rovinare il proprio futuro perchè a quel punto, da adulti, essi cominceranno a
chiedersi "cosa farò per il resto della mia vita", mentre da ragazzini si pensa di
vivere per sempre.
Secondo lei, la guerra alla droga quindi è anche una guerra di parole, e del senso che
si vuole dare ad esse?
Negli ultimi 50 anni abbiamo creato una cultura in base alla quale le persone
possono alterare la propria coscienza, ed uso spesso questa frase perchè voler
alterare la propria coscienza non è necessariamente qualcosa di negativo; il
problema è di volerlo fare in maniera artificiale. Puoi infatti alterare la tua coscienza
facendo ginnastica, per mezzo della conversazione, della lettura, del lavoro, ma non
la si deve alterare artificialmente. Si gioca inoltre anche su altri fattori quali ad
esempio ciò che viene chiamato "riduzione del danno", idea che è molto seducente
perchè tutti noi facciamo cose per la "riduzione del danno". Sei venuto in macchina?
Cosa hai fatto una volta in macchina? Ti sei messo le cinture? Cos’e questo? E’
riduzione del danno. E’ un gesto automatico. Hai quindi praticato un tipo di
"riduzione del danno". La cosa intelligente, e la definirei abbastanza diabolica, è
proprio questa strategia.
Ci sono tanti tipi di cose che facciamo per prevenzione e che possono essere
interpretati come riduzione del danno.
Ci faccia un esempio concreto delle conseguenze di questa politica “riduzionista”?
Passando alle droghe sintetiche, all’ exctasy, io non sono mai stata in un exctasyclub, ma conosco un sacco di persone che hanno fatto indagini in questo senso. Cosa
si fa in questi posti? Ci troviamo di fronte a vari tipi di "riduzione del danno". Quando
prendi questo tipo di droghe il corpo si disidrata e la cosa che più si desidera è
l’acqua. Come fanno i soldi in questi posti? Vendendo le bottiglie di acqua a 5 dollari.
Queste droghe, exctasy, mdma , etc. ti fanno venire una sete tale da desiderare di
affogarti nell’acqua.
In più tengono parcheggiate le ambulanze fuori da questi club. In qualsiasi persona
razionale, questo procurerebbe una enorme paura. Tenere lì delle ambulanze
significa che tu sai e ti aspetti che qualche cosa potrebbe accadere.
Il concetto di riduzione del danno, a pensarci bene, è in realtà una "promozione del
danno". Lo fanno I produttori di sigarette con il filtro: Cosa ti dice ? "Va bene, posso
fumarla". E questo è il messaggio che tentano di inculcare, che possa essere davvero
così. Avete mai visto quel kit che è stato realizzato e distribuito negli Stati Uniti? si
chiama "Kit per fumare il crack in sicurezza".
Stà per arrivare anche in europa. E’ un pacchetto in una busta di plastica. Dentro ci
sono preservativi, disinfettanti, fogli che spiegano cosa fare e come fumare, e tutta
una serie di istruzioni che dovrebbero ridurre i rischi per chi fuma il crack. E’
orribile!!
Questo è il tipo di iniziative che la lobby Pro-Droga stanno facendo e, lasciatemelo
dire, stanno purtroppo vincendo.
Andrà a finire in una contrapposizione fra chi di noi è ancora sobrio, e chi non lo è.
Sarà terribile!
E’ pessimista riguardo alla situazione mondiale?
Sono pessimista fino a un certo punto, perchè non credo che il pessimismo sia utile
per agire, tutto sommato se sei pessimista finisci per indietreggiare. Penso che si
arriverà ad un punto critico.
Qualcuno da qualche parte dovrà rendersi conto di cosa significa un pericolo del
genere. Come dato scientifico noi sappiamo che, l’alcool causa un danno al DNA che
si trasmette attraverso le generazioni, e che la predisposizione all’alcool è senza
dubbio ereditaria. Questo danno è dovuto ad anni, a secoli di persone che hanno
bevuto.
Oggi ci troviamo di fronte allo stesso identico fenomeno per le persone i cui genitori
hanno fatto uso di droghe. Questa situazione non è più infrequente.
C’è certamente una differenza fra la dipendenza alla droga di tipo ereditario e la
predisposizione verso la droga, perché il danno al DNA significa che se usi sostanze
per alterare la mente, diventerai dipendente più in fretta perché hai già quella
predisposizione.
Ma il danno al DNA dovuto alle droghe è, ancora una volta, un dato di fatto. E’ una
cosa che deve fare molto riflettere, perché stiamo condannando una intera
generazione; le persone non si rendono conto di questo pericolo, non reagiscono a
questa minaccia, né fisicamente né mentalmente.
Ho parlato con tanti ragazzi che strabuzzavano gli occhi quando gli dicevo quello che
poteva loro accadere, e quello che è già capitato a tante altre persone.
In chiusura di intervista, cosa sente di aver tratto da un impegno per il prossimo così
intenso?
Ho un’esperienza di molti anni in questo settore; dopo 32 anni ne farei altri 32 se ne
avessi la forza. Fortunatamente ho incontrato tanta brava gente in giro per il mondo,
gente che si è istruita e che è uscita allo scoperto per aiutare altra gente. Persone
intelligenti, capaci, trovo che questa sia la cosa più importante che io abbia fatto
individualmente, l’aver promosso questa vocazione in altre persone.
Ho capito che se riesci a salvare anche un solo ragazzo, uno solo, hai fatto qualcosa.
Ed io sento di aver fatto qualcosa. Non mi adagerò di certo, ma sono soddisfatta di
aver portato a termine almeno una buona percentuale di quello che mi ero proposta
all’inizio, e sono stata anche in grado di influenzare la politica nazionale. Non quanto
avrei voluto, perchè ci sono ancora tante opinioni contrastanti su questo argomento,
ma almeno ora c’è maggior consapevolezza del problema.
SHORT LIST DI ORGANIZZAZIONI DI PARTICOLARE INTERESSE
Community Anti-Drug Coalitions of America (CADCA)
http://cadca.org/
Drug Prevention Network of the Americas
http://www.dpna.org/
National Families
http://www.nationalfamilies.org/
Parents. The anti drug
http://www.theantidrug.com/
Parent Corps
http://www.parentcorps.org/
Roma, 12 maggio 2005
Presidenza del Consiglio
dei Ministri
Dipartimento Nazionale per le Politiche Antidroga
Presentazione a cura: M.llo capo G. di F. Cosimo Corso
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Convegno – Politiche sociali e empowerment della famiglia