Seconda parte
4) L’accertamento dei redditi di impresa (art. 39 DPR 600/73)
L’art. 39 del DPR 600/73 si occupa dell’accertamento dei “Redditi determinati in base alle
scritture contabili” come recita il titolo dell’articolo.
L’incipit dell’art. 39 (“Per i redditi di impresa delle persone fisiche ….”) può lasciare intendere
ad una limitata portata di tale articolo, che – invece – ha una portata generale.
Infatti:
• Il 3° comma dell’art. 39 stabilisce che: “Le disposizioni dei commi precedenti valgono, in
quanto applicabili, anche per i redditi delle imprese minori e per quelli derivanti dall'
esercizio di arti e professioni”;
• L’art. 40 del DPR 600/73, a sua volta, dispone che: “[1] Alla rettifica delle
dichiarazioni presentate dai soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche si
procede con unico atto agli effetti di tale imposta e dell'imposta locale sui redditi, con
riferimento unitario al reddito complessivo imponibile ma tenendo distinti i redditi fondiari.
Per quanto concerne il reddito complessivo imponibile si applicano le disposizioni dell' art.
39 relative al reddito d'impresa (…)”[2] Alla rettifica delle dichiarazioni presentate dalle
società e associazioni indicate nell' art. 5 del D.P.R. 29-9-1973, n. 597, si procede con unico
atto ai fini dell' imposta locale sui redditi dovuta dalle società stesse e ai fini delle imposte
sul reddito delle persone fisiche o delle persone giuridiche dovute dai singoli soci o associati.
Si applicano le disposizioni del primo comma del presente articolo o quelle dell'art. 38
secondo che si tratti di società in nome collettivo, in accomandita semplice ed equiparate
ovvero di società semplici o di società o associazioni equiparate”.
Dunque l’art. 39 contiene sostanzialmente le regole per l’accertamento (rectius: per le varie
tipologie di accertamento):
•
•
•
•
•
Sia dei redditi di impresa delle persone fisiche;
Che dei redditi delle imprese in contabilità semplificata;
Che dei redditi derivanti dall’esercizio di arti e professioni;
Che dei redditi di impresa delle società di persone;
Che dei redditi di impresa delle persone giuridiche.
4.1) Il primo comma dell’art. 39 del DPR 600/73
L’art. 39, 1° comma, descrive almeno 5 tipi di accertamento (corredati da sottotipi):
1) Accertamento analitico-contabile (art. 39, 1° c., lett. a) quando i dati indicati in
dichiarazione dei redditi non corrispondono a quelli del bilancio, e dunque a quelli
delle scritture contabili (Questa norma è strettamente correlata alla determinazione
del reddito di impresa a partire dal risultato dell’esercizio esposto nel bilancio. A
tale riguardo cfr. artt. 56 e 83 del DPR 917/86 sulla determinazione del reddito di
impresa);
A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012
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Seconda parte
2) Accertamento analitico-contabile (art. 39, 1° c., lett. b) quando si riscontra una
violazione di una norma in materia di reddito di impresa (ad esempio quote
ammortamento dedotte in misura eccessiva, deduzione di costi non inerenti);
3) Accertamento analitico-contabile (art. 39, 1° c., lett. c) quando l’incompletezza o la
falsità dei indicati in dichiarazione dei redditi si evince - in modo certo e diretto dai questionari e dai verbali di cui all’art. 32 del DPR 600/73, dai documenti e
registri trasmessi in risposta ad inviti, nonché da dichiarazioni di terzi e verbali
relativi a terzi;
4) Accertamento analitico-contabile (art. 39, 1° c., lett. d, primo periodo) quando
“l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei
relativi allegati risulta dall'ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all'
articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni
contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all'impresa nonchè
dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio nei modi previsti dall’ articolo 32” (ad esempio
sulla scorta delle movimentazioni bancarie).
5) Accertamento analitico-induttivo (art. 39, 1° c., lett. d, secondo periodo) quando
“L'esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile
anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”
Si osservi che fra gli accertamenti analitico-induttivi di cui all’art., 39, 1° comma, lett. d),
secondo periodo, rientrano anche quelli ai quali fa riferimento l’art. 62-sexies del D.L.
331/1993 convertito con L. 427/93:
“[3] Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del decreto del Presidente della
Repubblica 29-9-1973, n. 600, e successive modificazioni, e 54 del decreto del Presidente della
Repubblica 26-10-1972, n. 633, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull'
esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli
fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica
attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell' articolo 62-bis del presente
decreto”.
4.2) Il secondo comma dell’art. 39 del DPR 600/73
L’accertamento analitico, anche se di tipo analitico-induttivo, richiede e presuppone
l’attendibilità complessiva della contabilità.
Assai diverso è il caso dell’accertamento induttivo-extracontabile previsto dal 2° comma
del DPR 600/73, da adottare quando la contabilità è complessivamente inattendibile
oppure si verificano altre circostanze di una certa gravità.
Elenco tassativo dei casi legittimanti accertamento induttivo:
1) Mancata presentazione della dichiarazione dei redditi;
2) Mancata tenuta scritture contabili o sottrazione delle stesse all’ispezione;
3) Scritture contabili complessivamente inattendibili;
A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012
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Seconda parte
4) Mancata risposta al questionario o mancata trasmissione di documenti;
5) Scritture contabili indisponibili per cause di forza maggiore;
6) Indicazione di dati infedeli in sede di compilazione degli studi di settore.
In presenza di tali situazioni, all’Agenzia sono attribuite tre facoltà:
• Avvalersi “dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza”;
• Prescindere in tutto o in parte dalle risultanze delle scritture contabili;
• Avvalersi di presunzioni prive dei squisiti di gravità, precisione e
concordanza.
4.3) Gli accertamenti analitico-induttivo e induttivo extracontabile:
presunzioni semplici e presunzioni semplicissime
4.3.1) LA PRESUNZIONE SEMPLICE
La presunzione semplice utilizzabile nel procedimento tributario altro non è che la figura
disciplinata dall’art. 2729 cod.civ., il quale prevede che:
<<1. Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non
deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti.
2. Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per
testimoni>>.
Tale articolo si trova nel LIBRO VI (Della tutela dei diritti), TITOLO II (Delle prove), CAPO IV
(Delle presunzioni).
E’ pacifico in dottrina che la presunzione semplice sia una prova, e che su di essa possa
fondarsi l’accertamento.
E’ riconosciuta tutela giuridica all’interesse del contribuente all'essere soggetto solo giusto
tributo, sicché che le presunzioni semplici non sono utilizzabili soltanto contro di esso, ma
anche a suo favore, con la conseguenza che l’ammissione delle presunzioni semplici é
comunque coerente ai principi generali, e non incompatibile con essi.
La presunzione semplice è una inferenza che parte e prende le mosse da un fatto noto per
giungere, ricostruendolo logicamente, al fatto ignorato.
Un fatto è noto se risulta con la certezza che l’ordinamento considera sufficiente perché sia
fissato nella sentenza:
• Se è provato;
• Se è non contestato;
• Se è notorio.
Il fatto notorio è il fatto che rientra nella normale conoscenza dell’uomo medio in un
determinato luogo e periodo di tempo.
A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012
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Seconda parte
Il riconoscimento ad un fatto di tale qualità (notorietà) é operazione delicata, posto che
consente di tenerne conto ai fini del giudizio anche se non provato in contraddittorio tra le
parti. Si comprendono dunque le raccomandazioni della dottrina circa l'opportunità di un
uso prudente di tale nozione.
E’ diffusamente affermato in dottrina e giurisprudenza il divieto di presunzioni a catena
(praesumptum de praesumpto), cioè di una inferenza che parte da un fatto accertato, a sua
volta, per via di presunzione semplice (ex multis Cass. 3568/2010; Cass. 7931/96, in cui si
legge: Resta in ogni caso fondamentale l'esigenza che il presupposto della presunzione risulti con
carattere di certezza e non sia a sua volta il prodotto di una presunzione, non potendo il giudice
trarre presunzione da altra presunzione ("praesumptiones de praesumpto")).
Il motivo del divieto della presunzione a catena è costituito, essenzialmente, dalla
osservazione che dalla doppia presunzione scaturirebbe solo la possibilità di esistenza del
fatto presunto, giacché combinando due probabilità il fatto presunto finale non sarebbe
ragionevolmente certo almeno in termini di elevata probabilità.
I requisiti di gravità, precisione e concordanza: l'interpretazione di tali requisiti può
comportare alcuni problemi interpretativi ma tali problemi risultano notevolmente
ridimensionati qualora si capovolga la norma: si otterrebbe un precetto secondo il quale
non sarebbero ammesse le presunzioni deboli, imprecise e discordanti.
In definitiva, il nucleo centrale di questa disposizione è ovvio: una circostanza può essere
accertata in via induttiva purché in modo convincente.
Cass. Civ., sez. I, 28-08-1996, n. 7931
<<Come è noto, il procedimento presuntivo consiste nella interpretazione di un fatto certo - in
quanto pacificamente riconosciuto o acclarato dal giudice attraverso i mezzi di prova legittimamente
acquisiti, o desumibile dalle nozioni di fatto che rientrano nell' ambito della comune esperienza - per
risalire a un fatto ignoto, che costituisce in sè stesso oggetto del "thema probandum" e che viene
ritenuto provato in quanto correlato con logica conseguenzialità al primo. Devesi tener presente al
riguardo: che "gravi" sono gli elementi presuntivi oggettivamente e intrinsecamente consistenti e
come tali resistenti alle possibili obiezioni, "precisi" sono quelli dotati di specificità e concretezza e
non suscettibili di diversa altrettanto (o più) verosimile interpretazione, e "concordanti" sono
quelli non confliggenti tra loro e non smentiti da altri dati ugualmente certi. In altre parole, la
gravità dell'elemento indiziario ne esprime la capacità dimostrativa in funzione del tema della
prova, la precisione risponde a una esigenza di univocità, e la concordanza soddisfa la necessità di
una valutazione integrata e complessiva di tutti gli elementi che presentino singolarmente una
almeno parziale rilevanza probatoria positiva>>.
L'unico ulteriore problema interpretativo si pone relativamente all'aggettivo concordanti
qualora si ritenesse necessaria la convergenza tra piu’ di una presunzione e l'insufficienza
di una sola.
In ipotesi <<sarebbe necessaria una pluralità di elementi indizianti su cui innestare più
presunzioni che concorrano tutte, come una raggiera percorsa a partire dalla circonferenza e verso il
centro, nella direzione del fatto ignorato da provare. Tale opinione si può dire definitivamente
respinta da una giurisprudenza ormai consolidata. Rimane il problema del significato attribuibile,
allora, a “concordanti”. Esso è evidentemente limitato all'eventualità di più presunzioni, in
A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012
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Seconda parte
presenza di più fatti indizianti: esse in tal caso non debbono smentirsi l’un con l'altra. Adattare
invece tale qualità al caso di un unico elemento indiziante non va oltre alla individuazione delle
requisito di univocità. Questo però aggiunge poco alla gravità e alla precisione. In definitiva, la
presunzione deve dare un risultato plausibile, che indichi in modo specifico il fatto da provare, priva
di contraddizioni logiche e ragionevolmente univoca>> (A.MARCHESELLI, Accertamenti
tributari difesa del contribuente, Milano, 2010, p. 174.).
Cass. civ., sez. Tributaria, 06-08-2009, n. 18021
<<Il procedimento valutativo della prova per presunzioni, come chiarito da questa sezione (sentenza
16 maggio 2007 n. 11206 da cui gli excerpta, che richiama "Cass. 1, 13 ottobre 2005 n. 19894; id,
trib., 18 settembre 2003 n. 13819"), invero, "si articola in due indefettibili momenti" per i quali il
giudice del merito deve, innanzi tutto, "valutare in maniera analitica ognuno degli elementi
indiziari (1) per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e (2) per conservare quelli che,
presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravita, ossia presentino una
positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria" e, di poi, "procedere a una
valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e
se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non
potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi".
Gli elementi assunti a fonte di prova, inoltre (Cass. 1^, 11 settembre; 2007 n. 19088), non debbono
essere necessariamente più d'uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo
elemento purchè grave e preciso, dovendosi il requisito della "concordanza" ritenersi menzionato
dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi
presuntivi>>.
Sulla necessità di una pluralità di presunzioni, si veda – al contrario – la giurisprudenza
più datata della Corte di Cassazione (Cass., Sez. I Civ., Sent. 1° giugno 1994, dep.
15/2/1995, n. 1628; Cass., Sez. I Civ, Sent. 17-12-1994, n. 10850):
“L’insufficienza del singolo fatto noto a dar fondamento alla prova presuntiva discende dalla stessa
formulazione dell’art. 2729 c.c., che fa riferimento a più presunzioni “concordanti”, confermando
così che il giudizio critico deve applicarsi ad una valutazione globale dei fatti storicamente
verificabili”.
A questo punto rimane solo da chiarire se per poter dare per accertato in via presuntiva il
thema probandum sia richiesta una implicazione necessaria tra un fatto noto ed un fatto
ignorato (una certezza per imprescindibili ragioni logiche), oppure se sia sufficiente una
ragionevolezza ed elevata probabilità del risultato conoscitivo raggiunto.
Sembra ormai consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale non occorre
che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità
causale, come è stato affermato da Cass. 7931/96:
<<Peraltro, non si richiede che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire
l'esistenza del fatto ignorato come l'unica conseguenza possibile secondo un legame di necessarietà
assoluta ed esclusiva, essendo sufficiente invece che, alla luce di regole di esperienza e secondo l"id
quod plerumque accidit", il fatto ignoto sia desumibile alla stregua di un canone di probabilità con
riferimento a una connessione di accadimenti ragionevolmente verosimile in base a un criterio di
normalità (v. per l' applicazione del detto principio in materia tributaria: Cass. I 14-8-1992 n.
9583; Cass. I 26-11-1994 n. 10058 ; Cass. I 3-12-1994 n. 10408)>>.
A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012
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Seconda parte
Per completezza, appare opportuno ricordar che le “percentuali medie di settore”, sovente
poste dall’Agenzia delle Entrate a base di accertamenti analitico-induttivi (cioè fondati su
presunzioni che siano gravi, precise e concordanti) costituiscono, per univoco indirizzo
giurisprudenziale, presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza,
non potendo essere considerate un fatto “noto” storicamente provato, dal quale
argomentare con giudizio critico quello “ignoto”, ma il mero risultato di una
estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, che fissa soltanto una regola
di esperienza. Si veda, al riguardo, la seguente breve rassegna di giurisprudenza della
Suprema Corte:
Analogamnte si veda Cass. civ., sez. Tributaria, 06-08-2009, n. 18021
<<non occorre, peraltro (Cass. 1^, 1^ agosto 2007 n. 16993), che tra il fatto noto e quello ignoto
sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da
provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un
criterio di normalità, essendo cioè sufficiente che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e
quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione
possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole
di esperienza>>.
Per aversi una dimostrazione sufficientemente attendibile, è sufficiente – dunque – che il
fatto presunto si presenti come il più probabile tra quelli ipoteticamente verificatisi;
insomma é necessario che non esista un’altra probabilità dotata di uguale verosimiglianza,
perché l’accertamento possa ritenersi sufficientemente attendibile (A.MARCHESELLI, cit.,
p. 181).
La giurisprudenza di legittimità ha affermato che le percentuali medie riscontrabili nel
settore di appartenenza di un determinato soggetto non possono mai, di per sé sole,
costituire presunzioni gravi, precise e concordanti.
Cass. civ., sez. Trib., 06-08-2009, n. 18020:
<<Sulla questione, comunque, va ricordato che (Cass., trib., 14 maggio 2007 n. 10960)
"in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riferimento all'accertamento
analitico-induttivo del reddito d'impresa, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600,
art. 39, comma 1, lett. d, i valori percentuali medi del settore rappresentano non tanto
un "fatto noto" storicamente verificato, sul quale è possibile fondare una presunzione di
reddito ex art. 2727 c.c., ma, piuttosto, il risultato di una estrapolazione statistica di
una pluralità di dati disomogenei, che fissa soltanto una regola di esperienza" per cui
"tali valori in nessun caso possono giustificare presunzioni qualificabili come
gravi e precise, indicando, diversamente dai risultati valutativi emergenti da medie
elaborate con riferimento all'andamento economico della specifica impresa interessata,
solo in via ipotetica la redditività dell'attività dell'impresa medesima, cosicchè, laddove
non confortati da altre risultanze, si rivelano assolutamente inidonei ad integrare i
presupposti di cui all'art. 39 citato” (Cass. 8535/98 e 18038/05)>>.
Cass. Civ., sez. Trib., 07-04-2009, n. 8418:
<<"in tema di IVA" (per le imposte dirette cfr., Cass., trib., 13 gennaio 2006 n. 643,
con richiamo dei precedenti conformi) "l'infedeltà dei dati indicati nella dichiarazione,
che può essere indirettamente desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purchè
gravi, precise e concordanti (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54), non può essere
A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012
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Seconda parte
desunta dal fatto che la percentuale di valore aggiunto dichiarato (cioè la percentuale di
ricarico applicata sul costo della merce venduta) è notevolmente inferiore a quella media
riscontrabile nel settore specifico di attività in aziende similari, atteso che le medie di
settore non costituiscono un fatto noto storicamente provato, dal quale argomentare con
giudizio critico quello ignoto, costituente l'oggetto della dimostrazione da fornire, e che
peraltro, da solo, è insufficiente a dar fondamento alla prova presuntiva, ma il risultato
di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati che fissa una regola di
esperienza, in base alla quale poter ritenere, statisticamente, meno frequenti i casi che si
allontanano dai valori medi, rispetto a quelli che si avvicinano" (Cass., trib., 19
novembre 2001 n. 14500, che richiama "Cass. 17/12/94 n. 10850; 15/02/95 n. 1628;
06/05/95 n. 4976; 28/06/2001 n. 8835")>>.
Cass. Sez. Trib, Sent., 16/12/2005, n° 643:
<<Considerato che il ricorso è manifestamente fondato, in considerazione del
consolidato orientamento di questa corte, espresso nelle sentenze n° 10850 del 1994, n°
1628 del 1995, n° 8835 del 2001 e n° 15334 del 2002, nonché nello specifico precedente
(n° 15929 del 2001) intercorso fra le stesse parti (…) che secondo tale principio, in
materia di accertamento IVA, l’infedeltà dei dati indicati nella dichiarazione, che può
essere anche indirettamente desunta, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi,
precise e concordanti (art. 54, comma 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n° 633) non può
essere inferita dalla sola circostanza costituita dal fatto che la percentuale di ricarico
applicata sul costo della merce venduta è notevolmente inferiore a quella media,
riscontrabile nel settore specifico di attività in aziende similari, in quanto le “medie di
settore” non integrano un “fatto noto”, storicamente provato, da quale argomentare,
con giudizio critico, quello “ignoto”, costituente l’oggetto del thema probandum, ma il
risultato di una extrapolazione statistica di una pluralità di dati che fissa una regola di
esperienza (…) e secondo cui, il richiamo a tale regola di esperienza, non
comporta neppure un inversione dell’onere della prova addossando al contribuente
l’onere di dimostrare le ragioni specifiche della divergenza dei propri dati da quelli medi
(…)>>.
4.3.2) LE PRESUNZIONI SEMPLICISSIME
Nel procedimento tributario vi é una parte (il fisco) che si trova in una situazione di
costante inferiorità conoscitiva perché estraneo al presupposto di imposta, e l'altra parte (il
contribuente) che ha rilevanti doveri di collaborazione all'accertamento: il contribuente
deve documentare le sue operazioni nell'interesse del fisco (ad esempio con la contabilità),
deve autodenunciarsi (con le dichiarazioni), deve fornire documenti e informazioni (in
risposta a richieste e questionari, o in sede di ispezione).
Poiché il fisco può trovarsi in situazione di inferiorità conoscitiva non solo perché estraneo
al presupposto di imposta, ma anche per effetto della omessa collaborazione del
contribuente, lo standard probatorio nel diritto tributario può variare a seconda di quanto
sia stato collaborativo il contribuente.
Come si ricorderà, il 2° comma dell’art. 39 del DPR 600/73 contiene l’elenco tassativo dei
casi legittimanti accertamento induttivo:
1) Mancata presentazione della dichiarazione dei redditi;
A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012
16
Seconda parte
2)
3)
4)
5)
6)
Mancata tenuta scritture contabili o sottrazione delle stesse all’ispezione;
Scritture contabili complessivamente inattendibili;
Mancata risposta al questionario o mancata trasmissione di documenti;
Scritture contabili indisponibili per cause di forza maggiore;
Indicazione di dati infedeli in sede di compilazione degli studi di settore.
Nei suddetti casi di mancata collaborazione, dolosa o colposa, posso essere utilizzate
presunzioni semplicissime cioè prive dei requisiti di gravità, precisione concordanza.
Ma se sono prive dei requisiti di gravità, precisione concordanza, le presunzioni
semplicissime possono essere “arbitrarie, imprecise e discordanti”?
Se così fosse, si legittimerebbe una imposizione non accompagnata dalla ragionevole
certezza – sia del an che del quantum - con riferimento al verificarsi del presupposto di
imposta, e ciò in contrasto con gli artt. 3 , 53, 97 Cost.
In dottrina è stato affermato come
“l’accertamento induttivo–extracontabile non possa giustificare determinazioni avulse dallo
specifico contesto imprenditoriale”, considerando pertanto in errore chi “individuasse in tale
strumento il mezzo per giustificare una inversione dell’onere della prova, come se l’Ufficio potesse
affermare un imponibile qualsiasi, che il giudice dovrebbe comunque confermare in assenza di prove
contrarie allegate dal contribuente” (R. LUPI, Diritto tributario, p.gen., Milano, 1996, pag. 165).
<<La soluzione va allora individuata sul terreno quantitativo, di una plausibilità attenuata, sul
piano dell'approssimazione. E’ legittimo un accertamento fondato su un tasso di probabilità
inferiore allo standard normalmente richiesto, ma esso deve essere comunque dotato di intrinseca
ragionevolezza (…).
Se si analizzano le fattispecie nelle quali le presunzioni ultrasemplici sono espressamente
menzionata dalla legge, emerge che si tratta di situazioni nelle quali il contesto conoscitivo a
disposizione del fisco è particolarmente povero, significativamente più povero, che nei casi in cui
esse non sono previste. Si tratta di situazioni nelle quali, o per colpa del contribuente, o per fatto
obiettivo, i dati valorizzabili per ricostruire la ricchezza sono di carattere labile, sommario.
In definitiva esse corrispondono a una necessità materiale e non a una scelta di arbitrio legislativo:
in un contesto in cui sono disponibili informazioni meno precise, la ricostruzione non può che avere
un maggior tasso di sommarietà (…).
Si possono poi individuare alcuni ulteriori fattori su cui fondare una diagnosi di attendibilità. Come
sempre in materia di presunzioni, possono venire qui in rilievo nozioni di comune esperienza e dati
relativi al contribuente, e l'intreccio di tali elementi può determinare risultati accettabili.
Come e più frequentemente che non nell'ipotesi delle presunzioni semplici, i valori ricostruiti
possono essere semplici ordine di grandezza o valori approssimati (…).
Allo stesso modo, il fatto che nella fattispecie di presunzioni semplicissime l’ufficio si muove in un
contesto conoscitivo particolarmente povero fa sì che sussista una ulteriore differenza rispetto al
caso di presunzioni semplici. Comparativamente sarà consentito all'ufficio provare il reddito con un
più largo richiamo a dati e valori desunti dalla comune esperienza e da situazioni di contribuenti in
condizioni “simili”, che non a dati individuali del contribuente.
Nelle situazioni estreme in considerazione potrà essere giustificata una tendenziale minore
individualizzazione dell'accertamento sulle particolarità della singola fattispecie, per il fatto che
esse, per definizione, sono meno controllabili (…).
A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012
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Seconda parte
Nell'impossibilità di pervenire a una determinazione precisa si addiviene a una determinazione
approssimata, ragionevole e prudente, come è proprio di istituti relativi ad altri settori giuridici che
prevedono determinazioni di tipo equitativo nell'impossibilità di accertamento analitico. Si tratta, é
evidente, di una equità procedimentale-processuale, come ragionevole approssimazione della prova
dell'impossibilità di fare diversamente. Non si tratta di qualità sostanziale consistente in un
compromesso tra valori (…)>> (A.MARCHESELLI, cit., pp. 183-187).
4.4) Particolari tipologie di accertamento analitico-induttivo: art. 62-sexis
del D.L. 331/1993
Come anticipato, fra gli accertamenti analitico-induttivi di cui all’art., 39, 1° comma, lett.
d), secondo periodo, rientrano anche quelli ai quali fa riferimento l’art. 62-sexies del DL
331/1993 convertito con L. 427/93:
“[3] Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del decreto del Presidente della
Repubblica 29-9-1973, n. 600, e successive modificazioni, e 54 del decreto del Presidente della
Repubblica 26-10-1972, n. 633, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull'
esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli
fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica
attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell' articolo 62-bis del presente
decreto”.
Ma che cosa si intende per “gravi incongruenze”, per “fondatamente” è quale è la relazione
esistente fra “gravi incongruenze” e “presunzioni gravi, precise concordanti”?
In tale prospettiva, appare interessante la lettura della Circolare Ministero Finanze n° 44E
del 4/5/1994, emanata pochi mesi dopo la novella legislativa recata dall’art. 62-sexies del
DL 331/93.
Circolare Min. Fin. Dip. Ent. Dir. Centr. Accertamento 04-05-1994, n. 44/E-II-4-108
<<Il comma 3 dell' art. 62 sexies del citato DL n. 331/1993 consente agli Uffici delle imposte dirette
e dell'IVA di disattendere i dati contabili a seguito di gravi incongruenze tra il giro d'affari
contabilizzato e quello desumibile dalle condizioni di esercizio dell'attività, ovvero dallo studio di
settore.
In tali ipotesi, viene pertanto ad attenuarsi il vincolo e la cautela legislativa nell'uso delle
presunzioni.
Gli Uffici finanziari non dovranno più considerare il metodo indiretto di controllo come tecnica
accertativa residuale ed eccezionale, ma come procedura valida ai fini dell'accertamento, praticabile
al pari di quella analitica.
Occorre, infatti, considerare che, quando si tratta di piccole imprese e professionisti, il problema
della prova si presenta in modo del tutto particolare.
Non sussiste quasi mai una controversia sulla veridicità di specifici fatti o specifici documenti, ma
vengono in evidenza circostanze ammesse in contraddittorio da entrambe le parti del procedimento
di accertamento (ad esempio, ubicazione dell' esercizio, merci vendute, numero dei dipendenti) come
parametro di credibilità del volume d'affari dichiarato. (…) La presunzione va utilizzata quando è
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persuasiva, quando cioè corrisponde, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza, e
segnatamente di quella della Corte costituzionale, a "canoni di giustificabilità razionale".
E', pertanto, necessario mettere al centro dell'attività di controllo delle piccole imprese e dei
professionisti la ragionevolezza dei ricavi e dei corrispettivi dichiarati avuto riguardo alle
caratteristiche della impresa, procedendo alla rettifica indiretta esclusivamente quando esistono
rilevanti differenze tra i ricavi dichiarati e quelli ricostruiti indirettamente.
Altro punto di rilevanza essenziale nel controllo indiretto è, poi, l'utilizzo di una motivazione
adeguata. Motivare l'accertamento eseguito indirettamente ai sensi degli artt. 39, DPR n. 600/1973
e 54, DPR n. 633/1972, così come novellati dall' art. 62 sexies, richiederà un notevole impegno da
parte del funzionario tributario accertatore, in quanto dovrà essere rappresentata chiaramente la
ricorrenza degli indizi di evasione, la quantificazione del giro d'affari ricostruito indirettamente, la
citazione eventuale dello studio di settore applicato, la spiegazione delle ragioni per cui il reddito
presunto è più verosimile e credibile rispetto a quello dichiarato, l'indicazione degli elementi
rilevanti ai fini della tassazione, assunti in contraddittorio con il contribuente. (…).
La non plausibilità di scritture formalmente regolari - Sono invece sempre più diffuse contabilità
formalmente regolari da cui però risultano ricavi inverosimili rispetto alle caratteristiche dell'
attività svolta. Numerosi soggetti operanti in queste condizioni hanno confidato nel sopra descritto
quadro normativo per dichiarare giri d'affari assolutamente non persuasivi, ed irrealistici rispetto
alle caratteristiche dell'attività e a nozioni di comune esperienza sui vari settori del commercio e dei
servizi. Un' indagine puramente cartacea e documentale è spesso insufficiente nei confronti dei
soggetti in esame; l'occultamento dei corrispettivi è infatti un comportamento puramente omissivo,
che raramente lascia tracce scritte, consistendo solo nella materiale apprensione, da parte del
contribuente, delle somme non contabilizzate. Tali somme andranno in genere ad alimentare
consumi privati dell' imprenditore o del professionista, e non saranno quindi rintracciabili neppure
attraverso indagini bancarie. D'altra parte solo pochissimi di questi consumi sono individuabili e
quantificabili ai fini dell' accertamento con metodo sintetico, che può perciò rivelarsi anch' esso
inidoneo a contrastare il fenomeno in esame.
Quanto precede dimostra l'importanza, nei confronti di tali soggetti, della rettifica indiretta del
volume d'affari, intendendo per tale quella che prescinde dal reperimento di prove documentali di
specifici ricavi non contabilizzati, ma smentisce le risultanze contabili argomentando in base alle
loro incongruenze rispetto alla caratteristica dell' attività svolta. Questo tipo di rettifica non può
avere ovviamente la pretesa di individuare l'esatto ammontare dei ricavi, e procede ovviamente per
ordini di grandezza. (…).
Il controllo indiretto come fonte di presunzioni potenzialmente persuasive - Questa interpretazione
doveva considerarsi già raggiungibile, in quanto rispondente ad elementari criteri di logicità, anche
prima della precisazione introdotta dall'articolo 62 sexies dal citato DL n. 331/1993, il quale
comunque conferma che le presunzioni gravi precise e concordanti di infedeltà delle
risultanze contabili possono derivare anche da gravi sproporzioni tra il giro d'affari
dichiarato e quello desumibile dalle caratteristiche dell' attività. Ovviamente, occorrerà
stabilire caso per caso quando le sproporzioni in esame debbano considerarsi "gravi". Ove
lo siano può trovare ingresso qualunque determinazione dei ricavi appaia più attendibile di quella
dichiarata (…).
Prima di procedere alla rettifica indiretta occorre avere riguardo alla plausibilità del giro d'affari
dichiarato dal contribuente rispetto alle caratteristiche dell'attività svolta. Ciò proprio in quanto la
rettifica indiretta serve a dimostrare, in modo globale, la presenza di gravi infedeltà contabili, cioè
l'incompatibilità tra il giro d' affari dichiarato e le caratteristiche dell' attività.
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E' perciò improprio attendersi dal controllo indiretto un preciso importo di ricavi non
contabilizzati, spesso sconosciuti, nella loro reale entità, persino al contribuente. L'obiettivo del
controllo indiretto è invece prima di tutto dimostrare che il giro d'affari dichiarato è inattendibile.
E' chiaro che la determinazione indiretta stabilisce un ordine di grandezza, cioè l'ammontare
minimo che il giro d'affari dovrebbe avere per essere plausibile rispetto alle caratteristiche
dell'attività, alle percentuali di ricarico direttamente rilevate alle attrezzature, ecc.
Su queste basi è pertanto opportuno ricorrere alla determinazione indiretta solo nei casi in cui le
incongruenze tra giro d'affari dichiarato e caratteristiche dell'attività siano ragionevolmente
attribuibili alla mancata contabilizzazione di una parte significativa dei corrispettivi. Quando i
ricavi determinati indirettamente non si discostano significativamente da quelli
dichiarati, la persuasività dell'eventuale rettifica si indebolisce perché la differenza è
spiegabile con le inevitabili imprecisioni del calcolo indiretto>>.
In dottrina é stato altresì affermato che:
<<(…) attraverso il c.d. "controllo indiretto" del giro d'affari, che si concretizza in una
ricostruzione presuntiva basata, come dice il citato art. 62-sexies, sulle caratteristiche strutturali e
sull'effettive condizioni di esercizio dell'attività.
Questa ricostruzione deve, in definitiva, condurre all'individuazione del volume dei ricavi,
compensi e corrispettivi ragionevolmente riconducibile alla potenzialità produttiva messa in campo
dal contribuente, volume che, ove si discosti da quello dichiarato, potrà essere posto a base di una
rettifica analitica della dichiarazione. Si tratta, quindi, di una rettifica che prescinde dal
reperimento di prove circa la mancata contabilizzazione di specifici ricavi, compensi o corrispettivi,
"ma smentisce le risultanze contabili argomentando in base alle loro incongruenze rispetto alle
caratteristiche dell'attività svolta" Non ci si deve, tuttavia, nascondere che questo particolare
metodo accertativo presenta un punto di forte debolezza. Se, infatti, il controllo indiretto può, anche
agevolmente, consentire di stabilire che il giro d'affari dichiarato è inverosimile, esso non consente
con altrettanta facilità di individuare quello esattamente attribuibile al contribuente. In altre parole,
attraverso il controllo indiretto si giunge alla certezza che una evasione vi è stata, permanendo la
difficoltà di provare in modo persuasivo l'ammontare dell'evasione medesima>> (L. MAGISTRO,
Accertamento fondato sugli studi di settore e sui parametri, in Corr. Trib. n.42/2001, pag. 3170).
Sulla scorta della lettura della prassi amministrativa e della dottrina sopra richiamate
possiamo delineare la seguente lettura della norma in esame:
Fondatamente: è un avverbio riferito al procedimento di ricostruzione dell'imponibile.
Insomma, é necessario che il procedimento di ricostruzione presuntiva dei ricavi che
conduce all'accertamento sia plausibile, credibile, privo di vizi logici, improntato a “canoni
di giustificabilità razionale”.
Gravi incongruenze: la differenza fra volume di ricavi dichiarati e ricavi ricostruiti deve
essere di entità non lieve. In dottrina è stato affermato che:
<<Resta da stabilire il significato del requisito della gravità. In effetti, solo se questo requisito ha un
significato autonomo assume rilievo la motivazione sul punto. Come noto, la giurisprudenza di
merito ha ritenuto talora che tale aggettivo indichi la necessità del superamento di una soglia
minima, talvolta espressamente fissata (Comm. trib prov. Milano, Sez. VIII, Sent. 13 aprile 2005
ritiene che essa debba ammontare almeno al 25-30%.). Questa soluzione è indubbiamente corretta
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linguisticamente. Nel linguaggio giuridico l'aggettivo "grave ", contrapposto a "lieve ", segnala un
requisito quantitativo: il fatto che una grandezza non sia di piccola entità. Come tutti i concetti
relativi, è però arbitrario fissare una volta per tutte la soglia superata la quale si arrivi alla gravità.
Nei valori esiste una serie continua e non discreta e la gravità, comunque, è qualità che dipende dal
contesto complessivo. L'affermazione secondo la quale un accertamento fondato sugli studi di
settore dovrebbe portare a un risultato di almeno 1/4 (o qualsiasi altro valore, ovviamente) superiore
al dichiarato è immotivata e aprioristica>> (A.MARCHSELLI, La pretesa "autosufficienza " degli
studi di settore, in GT - Rivista di giurisprudenza tributaria n. 9 /2007, pag. 801).
Se è vero che la norma non fissa una percentuale di scostamento al verificarsi della quale
diviene automatico il verificarsi di una “grave incongruenza”, è anche vero che altre norme
tributarie prevedono implicitamente il concetto di “grave sproporzione”, come è il caso
dell’art. 38, 6° c., DPR 600/73, che legittima l’accertamento sintetico - nei confronti delle
persone fisiche - qualora si registri per un biennio uno scostamento fra reddito dichiarato e
reddito accertabile in base al “redditometro” ed alla “spesa globale” almeno pari al 20%.
Anche in altri settori del nostro ordinamento esiste il concetto di grave sproporzione, come
nel caso:
• della stima dei conferimenti in natura (art. 2343 Cod.civ.), in cui la soglia di
rilevanza è fissata al 20%;
• delle revocatorie fallimentari (art. 67 L.F.), in cui la soglia di significatività è
prevista nella misura del 25%;
• del reato di “falso in bilancio” (Art. 2621, 4° c., Cod.civ.), con una soglia di allarme
fissata al 10%.
Una volta che il volume di ricavi desumibile dalle caratteristiche dell’attività svolta è stato
fondatamente ricostruito con un metodo presuntivo che possa essere ritenuto razionale e
credibile, e qualora tale volume di ricavi presenti, sotto un profilo quantitativo, gravi
incongruenze rispetto ai ricavi dichiarati, allora verrà ad essere integrata la prova per
presunzioni, gravi, precise e concordanti di cui all’art. 39, 1° c., lett. d).
4.5) Un particolare accertamento ex art. 62-sexis del D.L. 331/93:
accertamento basato sugli “Studi di Settore”
Lo Studio di Settore è uno strumento di accertamento “presuntivo” e “standardizzato” che:
• E’ normativamente previsto e disciplinato;
• E’ stato realizzato con una metodologia dichiarata pubblicamente, intelligibile, e
messa a disposizione di tutti gli operatori sul sito internet della SOSE - Società per
gli Studi di Settore S.p.A. (la quale è posseduta al 88% dal Ministero dell’Economia
ed al 12% da Bankitalia);
• E’ stato realizzato con procedure di elaborazione statistica codificate, previa
suddivisione della platea dei contribuenti in raggruppamenti omogenei per
caratteristiche (clusters).
<<In particolare le imprese sono divise in gruppi omogenei (clusters) in base una molteplicità di
fattori (modelli organizzativi, tipo di clientela, area di mercato, modalità di svolgimento
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dell'attività). Sulla base di tali elaborazioni e valutando la situazione di campioni significativi
contribuenti appartenenti ciascun gruppo omogeneo, é individuata la relazione matematica tra le
caratteristiche dell'attività (capitale investito, prezzi ordinari praticati, costo medio di acquisto di
beni servizi, numero di addetti, ecc.) e l'ammontare presunto dei ricavi o compensi. L'elemento
caratteristico degli studi di settore é dunque la relazione matematica con cui, per ciascun cluster,
muovendo dai dati contabili strutturali (variabili indipendenti) si calcola la variabile dipendente
cioè l'importo presunto dei ricavi o dei compensi (…).
Ogni contribuente che appartenga ad una categoria alla quale si applicano gli studi di settore deve
presentare, insieme con la dichiarazione dei redditi,un modello con cui comunica i dati (contabili ed
extracontabili) rilevanti ai fini degli studi. I moduli si compiano si trasmettono attraverso un
software che applica automaticamente lo studio di settore e indica: cluster di appartenenza
congruità e coerenza, oltre che volume di ricavi o compensi previsti dallo studio. (…).
Con l'uso del software, ogni contribuente può controllare la propria posizione reddituale alla luce
dello studio di settore che lo riguarda.
Al contribuente é anche consentito di “adeguarsi” al risultato degli studi: se in sede di
presentazione della dichiarazione il contribuente si avvede che il risultato delle proprie scritture
contabili é inferiore a quello previsto dello studio di settore, può innalzare il valore dei propri ricavi,
indicando dichiarazione quello risultato dagli studi e pagando una piccola maggiorazione del 3%.
(…) Gli studi di settore sono “atti amministrativi generali di organizzazione”. Essi non possono
essere applicati in via automatica per rettificare i ricavi dichiarati (e quindi reddito), essendo
necessario che l'ufficio svolga un’attività istruttoria in contraddittorio con il contribuente, per
verificare se vi sono, nel caso concreto, ragioni che confermano i ricavi indicati negli studi di settore
o ragioni che giustificano la produzione di ricavi in misura inferiore. Secondo la giurisprudenza, gli
studi di settore costituiscono un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e
concordanza non è determinata ex lege, ma nasce dal contraddittorio con il contribuente, da attivare
obbligatoriamente, pena la nullità dell'avviso di accertamento, che deve essere motivato esponendo
le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell'attività accertativa siano stati disattesi>>.
(F.TESAURO, Istituzioni di Diritto Tributario, part.gen., Milano, 2011, pag. 222).
Oggi tale lettura appare pacifica, ma per lungo tempo l’Agenzia delle Entrate ha espresso
l’avviso che le risultanze dello Studio di Settore costituissero una “presunzione legale”
determinando una inversione dell’onere della prova in capo al contribuente.
Come conseguenza, l’Agenzia delle Entrate provvedeva a notificare un avviso di
accertamento a tutti i contribuenti per i quali si verificava uno scostamento, anche minimo,
fra ricavi determinabili in base allo Studio di Settore e ricavi dichiarati, motivandoli con
stereotipate formule di stile nelle quali si faceva riferimento:
• Alle risultanze dello Studio di Settore;
• All’esito negativo del contraddittorio;
• Al fatto che le giustificazioni addotte dal contribuente fossero state in generale
ritenute non credibili.
Tale solco interpretativo è stato spazzato via dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, nel
2009:
Sentenza Cassazione civile, sez. Unite, 18-12-2009, n. 26635
<<In buona sostanza, gli studi di settore - come, peraltro, in precedenza i parametri, anche se
caratterizzati quest'ultimi da una minore approssimazione probabilistica - rappresentano la
predisposizione di indici rilevatori di una possibile anomalia del comportamento fiscale, evidenziata
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dallo scostamento delle dichiarazioni dei contribuenti relative all'ammontare dei ricavi o dei
compensi rispetto a quello che l'elaborazione statistica stabilisce essere il livello "normale" in
relazione alla specifica attività svolta dal dichiarante. Lo scostamento non deve essere "qualsiasi",
ma testimoniare una "grave incongruenza" (come espressamente prevede il D.L. n. 331 del 1993,
art. 62 sexies, comma 3, e come deve interpretarsi, in una lettura costituzionalmente orientata al
rispetto del principio della capacità contributiva, la L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 1, nel quale
pur essendo presente un diretto richiamo alla norma precedentemente citata, non compare in
maniera e-spressa il requisito della gravità dello scostamento): tanto legittima l'avvio di una
procedura finalizzata all'accertamento nel cui quadro i segnali emergenti dallo studio di settore (o
dai parametri) devono essere "corretti", in contraddittorio con il contribuente, in modo da
"fotografare" la specifica realtà economica della singola impresa la cui dichiarazione
dell'ammontare dei ricavi abbia dimostrato una significativa "incoerenza" con la "normale
redditività" delle imprese omogenee considerate nello studio di settore applicato.
8.3. Ancora una volta, quindi, è il contraddittorio - previsto espressamente dalla L. n. 146 del 1998,
art. 10, come modificato dalla L. n. 301 del 2004, art. 1, comma 409, lett. b), e comunque già
affermato come indefettibile, a prescindere dalla espressa previsione, dalla giurisprudenza, in
ossequio al principio del giusto procedimento amministrativo (v. Cass. n. 17229 del 2006), e dalla
prassi amministrativa - l'elemento determinante per adeguare alla concreta realtà economica del
singolo contribuente l'ipotesi dello studio di settore.
8.4. Altrimenti lo studio di settore si trasformerebbe da mezzo di accertamento in mezzo di
determinazione del reddito, con una illegittima compressione dei diritti emergenti dagli artt. 3, 24 e
53 Cost.: se appare ammissibile la predisposizione di mezzi di contrasto all'evasione fiscale che
rendano più agile e, quindi, più efficace l'azione dell'Ufficio, come indubbiamente sono i sistemi di
accertamento per standard (parametri e studi di settore), il limite della utilizzabilità degli stessi sta,
da un lato, nella impossibilità di far conseguire, alla eventuale incongruenza tra standard e ricavi
dichiarati, un automatismo dell'accertamento, che eluderebbe lo scopo precipuo dell'attività
accertativa che è quello di giungere alla determinazione del reddito effettivo del contribuente in
coerenza con il principio di cui all'art. 53 Cost.; dall'altro, nel riconoscimento della partecipazione
del contribuente alla fase di formazione dell'atto di accertamento mediante un contraddittorio
preventivo, che consente di adeguare il risultato dello standard alla concreta realtà economica del
destinatario dell'accertamento, concedendo a quest'ultimo, nella eventuale fase processuale, la più
ampia facoltà di prova (anche per presunzioni), che sarà, unitamente agli elementi forniti
dall'Ufficio, liberamente valutata dal giudice adito.
9. Alla luce di tali considerazioni quello dell'accertamento per standard appare un sistema unitario
con il quale il legislatore, nel quadro di un medesimo disegno funzionale ad agevolare l'attività
accertatrice nel perseguire Invasione fiscale, ha individuato strumenti di ricostruzione per
elaborazione statistica della normale redditività, di determinate attività catalogate per settori
omogenei. Tali strumenti, rilevando, rispetto ai redditi dichiarali, eventuali significative
incongruenze, legittimano l'avvio delle procedure di accertamento a carico del contribuente con
invito a quest'ultimo, nel rispetto delle regole del giusto procedimento e del principio di
cooperazione tra amministrazione finanziaria e contribuente, a fornire, in contraddittorio, i propri
chiarimenti e gli elementi giustificativi del rilevato scostamento o dell'inapplicabilità nella specie
dello standard. (…).
Si può, pertanto, affermare il seguente principio di diritto: "La procedura di accertamento
standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce
un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege
determinata in relazione ai soli standard in sè considerati, ma nasce procedimentalmente
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in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità
dell'accertamento, con il contribuente (che può tuttavia, restare inerte assumendo le
conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo
alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla
concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità)
della motivazione dell'accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i
rilievi del destinatario dell'attività accertativa siano state disattese. Il contribuente ha,
nel giudizio relativo all'impugnazione dell'atto di accertamento, la più ampia facoltà di
prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto
l'applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall'ente
impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente">>.
Dunque, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sopra riportata Sent. n° 26635
del 19 dicembre 2009, hanno definitivamente stabilito che:
1. Gli studi di settore sono una elaborazione statistica, il cui frutto è una ipotesi
probabilistica che può solo costituire una mera presunzione semplice (e non una
presunzione legale);
2. Lo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto alle risultanze dello Studio di settore
non deve essere “qualsiasi”, ma testimoniare una “grave incongruenza”;
3. Deve essere preventivamente obbligatoriamente attivato il contraddittorio con il
contribuente, pena la nullità dell’accertamento;
4. Nella motivazione dell’accertamento vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi
del destinatario dell’attività accertativa siano stati disattesi al termine del
contraddittorio, pena la carenza di motivazione (e la conseguente nullità)
dell’accertamento.
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art. 39 DPR 600/73