05/07/2012
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Francesco Mattei
Tracce di paideia
Abbondanza e privazione
nell’avventura dell’educazione
Francesco Mattei è ordinario di Filosofia dell’Educazione
nell’Università di Roma Tre - Dipartimento di Scienze dell’Educazione.
TRACCE DI PAIDEIA
Etwas fehlt, scriveva Bloch in Tracce. E in effetti, qualcosa continua ancora a mancare. Anche in educazione
e anche nella dizione di quell’esperienza. Sempre incerta, sempre avventurosa, sempre problematica. Heidegger parlava di sentieri interrotti, di pensiero
poetante, di linguaggio come cammino dell’essere,
dell’ánthropos come pastore dell’essere. Platone scriveva pagine indimenticabili sulla genealogia di Eros e
sulle sue ascendenze in Póros e Penía, in abbondanza
e privazione, in ricchezza e povertà. Di recente, un po’
stupefatto e indispettito dalle quotidiane dissolvenze
dell’educazione, e dalla leggera volatilità della riflessione pedagogica, avevo scritto di una Sfibrata paideia,
riandando metaforicamente ad una tela platonica che
mi appariva e (mi appare) piuttosto lisa e fuori tempo.
Ma mi rendo conto che non c’è educazione senza speranza. Senza fiducia nel futuro. Senza facitori di verità
storico-reale e testimoni di un altro mondo possibile, per
usare iperbole spesso abusata. Perciò mi sono limitato
qui a gettare sguardi non distratti su fenomeni e figure
positive che poco hanno retorizzato e molto hanno operato o pensato. Di qualunque fede. Di qualunque
chiesa. Di qualunque scuola.
Francesco Mattei
Copertina:Layout 1
€ 21,00
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A mo’ di introduzione
Sbiadite tracce, incerti percorsi
Quas dederis, solas semper habebis opes.
(Marziale, Epigrammi, V, 43)
A
ncora una silloge. E ancora una volta sotto il
segno del retrosguardo (o del retropensiero)
su recenti percorsi. So bene che le nuove docimologie
(aspiranti) scientifiche e ardentemente classificatorie vieterebbero questo genere letterario. Volentieri però vi ricorro: perché genere letterario sempre in uso in tempi di
accademia non incolta, e perché molti tra i grandi Maestri l’hanno praticato. E dunque, anche ai minori, spero,
sia concesso.
Tracce, dunque. E tracce di paideia. Percorsi e incerti percorsi. E allora, se la parola risuona – e in ambito
culturale necessariamente risuona –, l’assonanza rinvierebbe a tracce blochiane e a sentieri heideggeriani,
confondendo le une e le altre e riecheggiando diverse
consonanze e altrettante significative dissonanze. E intreccerebbe, quel logos interrogante, percorsi antichi e
nuove piste: sempre ansiosi, i tentati e standardizzati
neotratturi didattico-pedagogici, di aprirsi strade nuove e “aggiornate” tra i camminamenti frastagliati del
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Francesco Mattei
sempre dannato farsi adulto ed educato dell’uomo. Questo, mi sembra, lo stato di incertezza che attraversa la
ricerca attuale in educazione. Essa rincorre, ma forse è
condannata a rincorrere, una modernità che stenta a definirsi e che inevitabilmente sollecita ansie, desideri, appagamenti, pulsioni: pulsioni sempre impellenti e indissolubilmente legate ad una modernità mai calma e mai
sazia, una modernità che un presente insoddisfatto e
orfano rende irrimediabilmente “mancante”.
la lega certamente a
, ma senza per questo renderla
sorella di 
, avendo
distrattamente disertato
le spiagge della fertile ricchezza storico-concettuale dei
giorni dell’homo viator, dell’homo faber o dell’homo cogitans. E lo dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, il tripudio crescente dei “post”, dei “non-ancora”, degli “oltre”. Che, se hanno in sé una carica di sana insoddisfazione, sono anche rivelatori di una nevrosi del presente
che non appaga e non rende sufficiente ragione di una
modernità sana condannata all’operosità e al pensiero.
E allora, come scriveva Bloch, Etwas fehlt. Qualcosa manca. Ma qualcosa continua purtroppo ancora a
mancare. Sul terreno storico-politico e, per quanto ci
riguarda, anche sul terreno arido e assetato dell’educazione: a cui poca acqua apporta, purtroppo, la reiterata invocazione quaresimale dell’emergenza educativa.
Sarebbe facile, infatti, fecondare la dissezione stralunata del soggetto e la sua solitudine tra la folla sociale
e socializzante (che lo educa) con l’invocazione ai valori e con il dovere all’interezza di sé e della comunità
di cui è (necessariamente e storicamente) parte. Ma le
invocazioni, anche quelle pedagogico-educative, han8
Sbiadite tracce, incerti percorsi
no bisogno di un Dio o di un santo o di un intero di cui
non si vede traccia. Mentre è solare, purtroppo, il senso di smarrimento, la mancanza di un paradigma educativo, lo sfibramento di un canone culturale occidentale di cui non si fa che celebrare l’estinzione. Mentre
si esalta, le fughe hanno molte metamorfosi, una ibridazione culturale mondialistica che svolge anche funzione di de-responsabilizzazione dalla storia concreta,
dalla quotidianità dovuta, dal lavoro artigiano e ascetico che ognuno deve esercitare su di sé se vuole farsi
uomo dal volto umano.
E con ciò, non intendo certo unirmi al coro dei
laudatores temporis acti o demonizzare un presente fatto di incroci, meticciati, intersezioni, dialettiche necessitate. Vorrei invece guardare con realismo al tempo
presente e ricordare a me stesso - e ai classici cinque
lettori, come usa dire - che il tempo che ci è dato vivere è anche ricco e affascinante, ma necessita, come
sempre nella storia della costruzione umana, di uomini veri, di educatori non omologati, di giovani non ligi
al vezzo delle pecore senechiane del De vita beata che
vanno non quo eundum est, sed quo itur, come ricordava l’austero Kant nella Fondazione della metafisica dei
costumi. E ciò si traduce, nella circostanza, con una
reiterata riflessione sul senso, il significato, il lessico e
la logica del linguaggio educativo. Ma si traduce, anche e ancor più, con la riproposizione di autori e temi
che hanno portato aria nuova e freschezza non di maniera (o solo lessicale) sul terreno della formazione.
Perciò ripropongo lezioni dalla storia della cultura che
hanno avuto significato nuovo per me, prima che per
gli alunni a cui negli anni ho presentato temi e figure
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secondo me interessanti. E, al di là di argomenti delicati e nevralgici, come la possibilità della dizione dell’«Etsi deus» o la fisiologia logica del discorso pedagogico o la potenza di
in educazione, mi piace
ricordare figure della cultura che hanno rotto schemi,
mutato interpretazioni, inventato paradigmi. Ed è il
caso di Huarte o, in miniatura, di Piaget. Ma aggiungo,
perché scoperta per me affascinante, la lunga operosità dell’ANIMI, una associazione poco nota che ha visto
cooperare grandi e noti meridionalisti, giovani cattolici modernisti del Nord, oscuri e benemeriti maestri
del Sud, antifascisti veri e non di maniera. Una scoperta per me illuminante e rinfrancante. Che dà speranza. Che invoglia a fare la propria parte nel grande o
piccolo gioco della tradizione educante. E aggiungo,
non dovuto e fuori moda, ma non fuori contesto, un
breve commento alla Spe salvi di Benedetto XVI.
Di qualunque scuola o di qualunque fede, riproporre con forza calma (debole, avrebbe detto Edda
Ducci) il tema della speranza credo sia stato un merito.
Perché l’educazione non può fare a meno della speranza. E i giovani di oggi, ma anche gli adulti, di speranza hanno bisogno, oltre che di lavoro, pane ed educazione. Speranza declinata in molte lingue, in molte
culture, in molte filosofie, in molte prassi. Ma che speranza sia. Perciò rileggo Bloch. E perciò conservo nella fotina della quarta di copertina un momento di amicizia con il collega Mario Manno. Che ripensa spesso
Bloch e che mi obbliga a rileggerlo. E lascia tracce e
interroga sulla speranza. E dunque sull’educazione.
F.M.
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nell’avventura dell’educazione
Francesco Mattei è ordinario di Filosofia dell’Educazione
nell’Università di Roma Tre - Dipartimento di Scienze dell’Educazione.
TRACCE DI PAIDEIA
Etwas fehlt, scriveva Bloch in Tracce. E in effetti, qualcosa continua ancora a mancare. Anche in educazione
e anche nella dizione di quell’esperienza. Sempre incerta, sempre avventurosa, sempre problematica. Heidegger parlava di sentieri interrotti, di pensiero
poetante, di linguaggio come cammino dell’essere,
dell’ánthropos come pastore dell’essere. Platone scriveva pagine indimenticabili sulla genealogia di Eros e
sulle sue ascendenze in Póros e Penía, in abbondanza
e privazione, in ricchezza e povertà. Di recente, un po’
stupefatto e indispettito dalle quotidiane dissolvenze
dell’educazione, e dalla leggera volatilità della riflessione pedagogica, avevo scritto di una Sfibrata paideia,
riandando metaforicamente ad una tela platonica che
mi appariva e (mi appare) piuttosto lisa e fuori tempo.
Ma mi rendo conto che non c’è educazione senza speranza. Senza fiducia nel futuro. Senza facitori di verità
storico-reale e testimoni di un altro mondo possibile, per
usare iperbole spesso abusata. Perciò mi sono limitato
qui a gettare sguardi non distratti su fenomeni e figure
positive che poco hanno retorizzato e molto hanno operato o pensato. Di qualunque fede. Di qualunque
chiesa. Di qualunque scuola.
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