Notiziario settimanale n. 535 del 22/05/2015
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Questa versione stampabile del notiziario settimanale contiene, in forma integrale, gli articoli più significativi pubblicati nella
versione on-line, che è consultabile sul sito dell'Accademia Apuana della Pace
La pagina dell'AAdP.......................................4
Riunione del Senato dell'Accademia Apuana della Pace del 12 maggio
2015 (di AAdP).......................................................................................... 4
Approfondimenti.............................................4
12 mosse per rimettere in moto l'Italia (di Sbilanciamoci)......................... 4
Che cos’è stata la Resistenza? (di Pietro Polito)......................................... 6
Riflessione sulla "festa d'aprile" (di Massimo Michelucci)........................ 7
Agorà pedagogica (di Alain Goussot)....................................................... 8
Morire in mare, uno studio sulle vittime (di Paolo Cuttitta)....................... 9
I black bloc e la Sinistra incapace di difendersi (di Umberto Mazzantini)
................................................................................................................. 10
La politica estera del governo Renzi: solo vuote parole (di Piergiorgio
Cattani )................................................................................................... 10
Se il linguaggio cambia l'ordine del mondo (di Margherita Sabrina
PerraElisabetta Ruspini)........................................................................... 11
Notizie dal mondo......................................... 12
Primo accordo tra Vaticano e Stato di Palestina. È un riconoscimento
ufficiale (di Redazione Nena Newsletter)................................................. 12
Associazioni................................................... 13
Il sole filtra... anche dalle sbarre: il volontariato visto da chi è stato accolto
(di AVAA)................................................................................................ 13
Editoriale
23/05/2015: Anniversario della strage di Capaci del 23 maggio 1992.
25/05/2015: Giornata europea "Bambini scomparsi"
«Sono uomini e donne come noi, fratelli nostri che cercano una vita
migliore. Affamati, perseguitati, feriti, sfruttati, vittime di guerre. Cercano
una vita migliore. Cercavano la felicità. Invito a pregare in silenzio prima
e poi tutti insieme per questi fratelli e sorelle»
Papa Francesco
Indice generale
Editoriale......................................................... 1
Documento per la manifestazione di sabato 23 a Massa (di CGIL Massa
Carrara - Arci Massa Carrara - Anpi Massa Carrara - M5S Massa e
Montignoso - Rifondazione Comunista Massa Carrara - SEL Massa
Carrara - Accademia Apuana della Pace)................................................... 1
Un’onda di Sindaci italiani per la Difesa Nonviolenta! (di Rete Italiana per
il disarmo).................................................................................................. 2
Democrazia e dissenso (di Marco Rovelli)................................................. 2
Appello UE-Libia: "Dell'elmo di Scipio si è cinta la testa" (di Alex
Zanotelli)................................................................................................... 2
Evidenza...........................................................3
ARCI Massa Carrara aderisce al corteo "Contro le violenze della polizia,
contro il razzismo! " (di ARCI Massa Carrara).......................................... 3
Fermiamo le stragi..................................................................................... 3
1
Documento per la manifestazione di sabato 23 a
Massa (di CGIL Massa Carrara - Arci Massa
Carrara - Anpi Massa Carrara - M5S Massa e
Montignoso - Rifondazione Comunista Massa
Carrara - SEL Massa Carrara - Accademia Apuana
della Pace)
I fatti che sono accaduti a Massa sabato scorso rappresentano un atto
grave, sembra quasi che ormai in questo paese non ci sia più il diritto a
dissentire. Giovani ragazzi, lavoratori, antifascisti che pacificamente
stavano manifestando un proprio dissenso hanno subito violenze causate
da una gestione dell'ordine pubblico che si è dimostrata non all'altezza e
molto approssimativa.
Sabato saremo in piazza, con le nostre modalità pacifiche e non violente,
affinché si crei una rete che colleghi e dia energia all'indignazione e ai
sentimenti di solidarietà presenti nel nostro territorio. Leggendo i
quotidiani sembra quasi che tutto si riconduca ad una questione che attiene
alla libertà di vivere la città il sabato pomeriggio, diritto sacrosanto anche
se pensiamo sia ancor più sacrosanto il diritto all'agibilità democratica di
manifestare nelle piazze nel nostro Paese. In Italia milioni di nuovi
cittadini stanno diventando le vittime dell'insicurezza economica e del
disagio sociale. Abbiamo assistito negli ultimi mesi a vere e proprie
campagne di criminalizzazione contro immigrati e rom. Lo straniero, il
diverso, l'escluso è diventato troppo spesso vittima di violenza. La paura
non può che creare violenza. E le parole che anche sabato scorso abbiamo
sentito pronunciare da Piazza Garibaldi durante il comizio di Matteo
Salvini si inseriscono in questo alveo. Chi alimenta il razzismo e la
xenofobia attraverso la diffusione di informazioni fuorvianti e campagne
di criminalizzazione fa prima di tutto un danno al Paese. Molte
associazioni hanno deciso di reagire in maniera democratica e non
violenta. Tante associazioni, di ogni estrazione, con storie diverse ma con
un solo obiettivo:
uno sforzo collettivo e concreto per dare voce e credibilità a un messaggio
di "lungo respiro" che sappia creare e supportare una reazione coordinata
al razzismo e alla paura. Una società che si chiude sempre di più in se
stessa, che cede alla paura degli stranieri e delle differenze, è una società
meno libera, meno democratica e senza futuro. Non si possono difendere i
nostri diritti senza affermare i diritti di ogni individuo, a cominciare da chi
è debole e spesso straniero. Il benessere e la dignità di ognuno di noi sono
strettamente legati a quelli di chi ci vive accanto, chiunque esso sia.
CGIL Massa Carrara - Arci Massa Carrara - Anpi Massa Carrara - M5S
Massa e Montignoso - Rifondazione Comunista Massa Carrara - SEL
Massa Carrara - Accademia Apuana della Pace
Un’onda di Sindaci italiani per la Difesa
Nonviolenta! (di Rete Italiana per il disarmo)
A poche ore dalla consegna ufficiale delle firme raccolte è già comunque
chiaro uno dei primi risultati politici raggiunti dalla mobilitazione per
“Un’altra difesa possibile”: la grande adesione di numerosi sindaci ed
amministratori locali alla Legge di Iniziativa popolare avanzata delle sei
principali Reti italiane della pace, del disarmo, del servizio civile. Un
segno forte del sostegno forte dei territori locali verso questa proposta.
Fin dal suo inizio la Campagna che (va ricordato) propone l’istituzione di
un Dipartimento per la difesa civile non armata e nonviolenta ha ritenuto
che gli Enti Locali fossero preziosi alleati in questo percorso di
allargamento del concetto stesso di difesa. Perché sono spesso e volentieri
proprio i Comuni e le realtà amministrative territoriali a difendere i
cittadini garantendo un aiuto concreto nelle problematiche quotidiane.
Ancora una volta è dunque importante ripetere come la vita e i diritti degli
abitanti di questo Paese siano oggi difesi maggiormente da welfare, da
lavoro, da sanità, da istruzione piuttosto che da armi o cacciabombardieri!
Con grande soddisfazione, in tale prospettiva, la Campagna registra quindi
l’adesione e la firma di moltissimi Sindaci da nord a sud dell’Italia, di cui
trovate le immagini in coda a questo pezzo e nei canali “social” della
Campagna. A partire da quelli delle due principali città italiane: Ignazio
Marino a Roma e Giuliano Pisapia a a Milano. Per passare poi a Luigi De
Magistris a Napoli e Marco Doria a Genova. Senza dimenticare le
significative adesioni di Renato Accorinti a Messina e di Filippo Nogarin
a Livorno. Anche l’Emilia-Romagna è stata protagonista della
mobilitazione sia con la firma dei sindaci di capoluogo Paolo Dosi
(Piacenza), Luca Vecchi (Reggio Emilia) e Gian Carlo Muzzarelli
(Modena) sia con l’approvazione in Consiglio Regionale di un documento
di sostegno alla Campagna “Un’altra difesa possibile” (iniziativa replicata
in molti consigli comunali). In Lombardia oltre a Milano hanno firmato i
sindaci di due capoluoghi: Mario Lucini a Como e Massimo Depaolia
Pavia, oltre che la presidente della Provincia di Como Maria Rita Livio. In
Veneto ha sottoscritto la Campagna il sindaco di Vicenza Achille Variati e
in Sardegna (anche se non immortalato da una foto!) il Sindaco di Cagliari
Massimo Zedda.
Moltissimi poi i Sindaci di centri più piccoli che hanno voluto far sentire
la propria voce: tra questi ricordiamo Claudio Bizzozero di Cantù (CO),
Maurizio Mangialardi di Senigallia (AN), Antonio Trebeschi di Collebeato
(BS), Mauro Alessandridi Monterotondo (nonché Vice Sindaco della Città
Metropolitana di Roma Capitale), Elena Carletti di Novellara (RE), Carlo
Della Pepa di Ivrea (TO).
La speranza ora è che questa grande azione di sostegno da parte di
Amministratori locali tutta Italia, che si accompagna allo sforzo per la
Campagna messo in atto su tutti i territori da numerosissime associazioni
appartenenti alle Reti promotrici, venga preso in considerazione
positivamente dal Parlamento italiano. Al quale “passerà la palla” di
questo percorso e di questa proposta, una volta presentate formalmente
alla Camera dei Deputati le firme per la Legge di iniziativa popolare. I
promotori della Campagna e tutti coloro che sognano un’altra difesa
possibile sperano ci sia una risposta positiva, sapendo però con certezza di
avere numerosi alleati nelle città e nei paesi d’Italia.
2
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per contatti ed ulteriori informazioni: info@difesacivilenonviolenta 328/3399267
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2283
Democrazia e dissenso (di Marco Rovelli)
Leggo che nei resoconti della manifestazione di sabato si parla di
guerriglia. Ora, la parola guerriglia significa conflitto armato fatto di
assalti a sorpresa o imboscate. Cosa di cui non c’è stata traccia, sabato.
Nessuna arma, nessuna imboscata. Solo uova e pomodori lanciati, che non
hanno peraltro colpito nessuno. Perché dare dunque l’impressione di
qualcosa che non c’è stato? A chi serve? A cosa serve?
Unicamente a dire che il dissenso non può e non deve essere tollerato –
come la polizia del resto ha mostrato con i fatti, con una carica a freddo
totalmente ingiustificata, visto che non c’è stato, come invece è stato
detto, alcuno sfondamento del cordone da parte dei manifestanti
(diciamolo chiaro: l’unico soggetto a esercitare violenza, sabato
pomeriggio, è stata la polizia).
Qualcuno dice che i contestatori non sono democratici perché volevano
negare la libertà di parola a Salvini. Paradossale: Salvini è ad ogni ora del
giorno e della notte in televisione, dove dice quello che vuole, dando
libero sfogo alla sua orribile propaganda razzista e autoritaria. Non mi
pare che chi dissente da lui abbia la stessa libertà di parola. Forse è su
questo, allora, su cui bisognerebbe riflettere: che cos’è, oggi, in senso
sostanziale, la libertà di parola, e, in ultima analisi, che cosa è la
democrazia.
Ma poi: uno dei padri nobili della patria, Sandro Pertini, rivendicava il
libero fischio in libero Stato. Lo rivendicava perché credeva fermamente
che la manifestazione del dissenso fosse sintomo privilegiato di una
democrazia reale. Oggi, invece, l’esercizio del dissenso non viene
tollerato, viene immediatamente tacciato di eversione. E questo è del resto
normale in un paese dove il governo deve essere saldamente nelle mani di
un grande partito della Nazione dalle magnifiche sorti e progressive.
Marco Rovelli
Pubblicato su www.altracitta.org
(fonte: L'AltraCittà - giornale della periferia)
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2280
Appello UE-Libia: "Dell'elmo di Scipio si è cinta la
testa" (di Alex Zanotelli)
L’Alto Rappresentante della politica estera della UE, Federica Mogherini,
sostenuta a spada tratta dal governo Renzi, da settimane sta premendo per
ottenere dall’ONU il mandato per un’azione militare con lo scopo di
distruggere i barconi degli scafisti nelle acque libiche e bloccare così
l’esodo dei profughi. L’Italia sta brigando per essere capofila di questa
coalizione militare che, con un’operazione navale e anche terrestre (così
sostiene il Guardian) andrà a colpire gli scafisti.
Eppure se c’è una nazione che dovrebbe defilarsi è proprio l’Italia,
particolarmente odiata dai libici come ex-potenza coloniale. Quando la
Libia è stata una nostra colonia, noi italiani abbiamo impiccato e fucilato
oltre centomila libici. Non contenti abbiamo partecipato attivamente a
quella assurda guerra, iniziata dalla Francia e dall’Inghilterra nel 2011 per
abbattere il regime di Gheddafi, che ha portato all’attuale situazione
caotica della Libia. Ed ora l’Italia si prepara a guidare un’altra azione
militare che, con il pretesto di salvare i profughi da morte nel
Mediterraneo, creerà un altro disastro umano. Infatti anche se riuscissimo
a distruggere i barconi degli scafisti(non sarà così facile!), non faremo
altro che aggravare la situazione di milioni di profughi sub-sahariani,
mediorientali e asiatici intrappolati ora in un paese in piena guerra civile.
Amnesty International, in un suo recente rapporto parla di massacri, abusi,
violenze sessuali, torture e persecuzioni (49 cristiani provenienti dall’
Egitto e dall’Etiopia sono stati decapitati) , perpetrate contro i profughi.
Non è più possibile chiudere gli occhi- afferma Philip Luther di Amnestye limitarsi a distruggere le imbarcazioni dei trafficanti senza predisporre
rotte alternative e sicure. Altrimenti condanneremo a morte migliaia e
migliaia di rifugiati, ma questo avverrà lontano dai ‘ casti ‘occhi degli
europei e dai media.
Il governo di Tobruk del generale Khalifa Haftar (sostenuto dall’Egitto) ha
risposto :”Bombarderemo le navi non autorizzate.” E anche
l’ambasciatore libico all’ONU ha parlato di intenzioni “poco chiare e
molto preoccupanti.”Purtroppo le intenzioni sono ben chiare: è guerra!
E' necessario ribadire con la più ampia partecipazione popolare, che la
violenza inaccettabile è quella di esponenti politici razzisti come Salvini
che fomentano l'odio sociale quotidianamente nei confronti di coloro che
ritengono diversi.
E' inoltre necessario stigmatizzare il fatto che per garantire il diritto a
proclamare questo odio sociale vengano impiegate ingenti forze di polizia
che arrivano a caricare i manifestanti che esercitano il loro legittimo diritto
al dissenso alla luce del sole.
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2282
Noi invece diciamo un NO ad un altro intervento militare della UE ,
capitanata dall’Italia. E’ mai possibile che questa nuova avventura militare
italiana avvenga senza una discussione in Parlamento? E’ mai possibile il
silenzio quasi totale dei partiti politici su questo argomento?
Dobbiamo chiedere invece alla UE e all’Italia di imporre un embargo sulla
vendita di armi ai ‘signori della guerra’ in Libia. Chiediamo altresì alla UE
perché faccia pressione sulla Tunisia e sull’Egitto perché questi due paesi
confinanti aprano le loro frontiere per accogliere i rifugiati intrappolati in
Libia. Ma la UE dovrà poi concordare con l’Egitto e la Tunisia l’apertura
dei corridoi umanitari per permettere ai rifugiati di arrivare in Europa.
Questa sì sarebbe una vera soluzione per i profughi e segnerebbe la
sconfitta degli scafisti e delle organizzazioni criminali.
Ma la via che noi stiamo seguendo è un’altra. E’ quella del Processo di
Khartoum:trattare con i governi dei paesi da cui provengono i profughi e
costruirvi campi di raccolta nei paesi di origine, come il Sudan o l’Eritrea.
Perseguendo questa politica, l’Unione Europea ,tramite il Fondo Europeo
per lo Sviluppo, elargirà entro il 2020, 312 milioni di euro al governo
eritreo, senza richiedere il rispetto dei diritti umani. Questi fondi sono stati
sbloccati grazie alla visita in Eritrea di una delegazione italiana (24-26
marzo 2015) . Come italiani dobbiamo solo vergognarci! Purtroppo i
nostri parlamentari ,che dovrebbero controllare la nostra politica estera
,dormono sonni tranquilli.
Chi pagherà questo protagonismo bellico italiano? Saranno proprio i
profughi che il governo di Tripoli, vicino ai Fratelli Musulmani,
incomincia già ad arrestare e a mettere in nuovi campi di concentramento.
Saranno proprio i rifugiati a pagare più pesantemente per questa azione
militare, inventata per salvare vite umane! Infatti il documento presentato
all’ONU parla di “danni collaterali”. Quanta ipocrisia! “Si pensa di punire
chi si occupa dell’ultimo tratto del viaggio- ha scritto il generale Fabio
Mini- e non i governi degli stati che alimentano la violenza, la corruzione
e la guerra creando le condizioni dalle quali i migranti vogliono fuggire.”
Per questo mi appello a tutto il movimento della Pace , perché abbia il
coraggio di dire NO a questo rigurgito di spirito guerrafondaio nel nostro
paese. E’ ora di urlare che “la guerra è una follia” (come dice Papa
Francesco).
Alex Zanotelli
Napoli, 15 maggio 2015
(fonte: Rete della Pace)
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2277
Evidenza
ARCI Massa Carrara aderisce al corteo "Contro le
violenze della polizia, contro il razzismo! " (di ARCI
Massa Carrara)
Il comitato provinciale Arci Massa-Carrara aderisce ed invita tutti soci ad
aderire al corteo cittadino del 23 Maggio convocato a Massa alle ore
17,00.
Tale corteo, in risposta ai fatti di violenza subiti dai manifestanti che
stavano contestando il comizio di Salvini e che sono stati caricati dalla
polizia, può costituire la migliore reazione alla tesi che una cattiva
informazione ed una complice equidistanza vorrebbero alimentare quella
di due opposti estremismi che si scontrano in piazza.
3
Fermiamo le stragi
Noi associazioni e reti di volontariato internazionale, attive nella
promozione della pace, il rispetto reciproco e i diritti umani, lanciamo un
appello alle Istituzioni nazionali ed internazionali per cambiare la rotta
delle politiche attuali sull’immigrazione, che stanno causando la morte e la
sofferenza di migliaia di persone.
Il 19 aprile scorso oltre 800 migranti sono morti nel canale di Sicilia nel
tentativo di raggiungere le coste dell’Europa. E' solo la più grave delle
numerose stragi che attraversano il Mediterraneo e che testimoniano il
fallimento delle politiche nazionali e comunitarie di governo delle
migrazioni: anni di chiusura delle frontiere, di controllo dei mari, di
respingimenti illegittimi, di detenzioni arbitrarie, di violazioni dei diritti
umani non hanno affatto fermato gli arrivi dei migranti in Europa, pur
essendo stati al centro dell’impegno pubblico a livello politico, normativo
e anche finanziario. Nei fatti il più efficace strumento di lotta
all’immigrazione “irregolare” è la facilitazione dell’ingresso legale sul
territorio sia dei migranti economici che delle persone bisognose di
protezione internazionale. Nessuna legge può fermare chi rischia la
propria vita nel proprio paese e fugge da guerre e persecuzioni.
Il diritto di arrivare e di chiedere asilo
La “Fortezza” Europa mette a rischio ogni anno la vita di migliai di
persone. E’ indispensabile:
•
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•
•
facilitare l’ingresso “legale” nell’Unione Europea per motivi di
lavoro e di ricerca di lavoro;
aprire immediatamente corridoi umanitari che consentano ai
profughi di giungere in Europa senza dover mettere a rischio la
propria vita;
varare un’operazione europea che abbia come unico obiettivo la
salvezza delle vite umane grazie alle attività di ricerca e
soccorso in mare;
sospendere il Regolamento Dublino III e abolire l’obbligo di
presentare richiesta di asilo nel primo paese di arrivo;
sospendere gli accordi esistenti con i paesi che non offrono
adeguate ed effettive garanzie del rispetto dei diritti umani;
predisporre un programma di accoglienza dei profughi
coordinato a livello europeo destinandovi risorse adeguate.
La stipulazione di nuovi accordi con paesi terzi dovrebbe essere
subordinata alla garanzia del diritto di asilo, al divieto di espulsioni
collettive e all’impegno al rispetto del principio di non-refoulement.
Noi associazioni attive nel movimento del volontariato internazionale,
riconoscendo i diritti umani per tutti e ripudiando qualsiasi forma di
intolleranza e discriminazione, non accettiamo che le politiche nazionali
ed europee causino la morte di migliaia di persone in cerca di un futuro
migliore.
Per questo lanciamo un appello alla comunità internazionale ed alle
istituzioni europee affinchè si agisca al più presto per cambiare rotta.
Legambiente (IT), Lunaria (IT), YAP (IT), Veraldarvinir/Worldwide
Friends (IS), Volunteer Action for Peace (UK), Estyes (EE), Volunteers for
Peace (US), Chantiers Sociaux Marocains (MA), Vive Mexico (MX),
Subir al Sur (AR), Genctur (TK), Compagnons Bâtisseurs Belgium (BE),
Internationale Begegnung in Gemeinschaftsdiensten (DE), Inex Slovakia
(SK), Ass. Informagiovani (IT), Xchange Scotland (UK), Workcamp
Switzerland (CH), Vereinigung Junger Freiwilliger (DE), Compagnons
Bâtisseurs France (FR), Voluntarios Internacionales México (MX), Kenya
Voluntary Development Association (KEN), Unarec Etudes et chantiers
(FR), Stowarzyszenie Promocji Wolontariatu – FIYE (PL), De Amicitia
(ES), JAVVA (BE), Never-ending International Workcamps Exchange
(JP), YOUNG RESEARCHES OF SERBIA – YRS, Inex SDA (CZ),
Citizens in Action (GR), Pro-International e.V. (DE), Concordia (FR),
Coordinating Committee for International Voluntary Service – CCIVS,
Solidaritès Jeunesses (FR), Concordia (UK), Jeunesse et Reconstruction
(FR), ICJA Freiwilligenaustausch (DE), SCI International, Fundacion
Proyecto Ecologico Chiriboga (Ecuador), Center for International
Voluntary Service (KEN), Vrijwillige Internationale Aktie (BE), UNA
Exchange (UK), COCAT (ES), Grenzenlos (AT), IBO (IT), ICYE Ghana
(GH), See Beyond Borders – SEEDS (IS), DaLaa (TH), Cambodian Youth
Action (KH), AJOV (MZ), Association Tunisienne d’ Action Volontaire
(TUN), Alliance Burundaise Du Service Burundaise (BURUNDI)
Info: www.lunaria.org
(fonte: Sbilanciamoci Info)
link: http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/Fermiamo-le-stragi-29642
La pagina dell'AAdP
Riunione del Senato dell'Accademia Apuana della
Pace del 12 maggio 2015 (di AAdP)
La riunione si svolge presso l'Arci-Focus a Massa alle ore 21.15.
Presenti: Marina Amadei, M. Stella Buratti, Luca Marzario, Enrica
Medici, Adriana Riccardi.
O.d.G.:
1. Organizzazione del senato (gruppi tematici e distribuzione delle
competenze)
2. Intervento prof. Dal Lago (giugno) sugli odierni venti di guerra
3. Profughi e immigrazione (quale seguito alla riunione fatta a Carrara?)
4. Aggiornamento sulla situazione e prosecuzione del sostegno ai Sinti di
Mirteto
5. Estate a Castagnara (incluso parco e bilancio partecipato)
1. Il primo punto viene rinviato, in considerazione del fatto che la metà dei
senatori è assente e si tratta proprio dei membri di nuova nomina (Paolo e
Angela hanno comunicato la loro impossibilità per impedimenti
sopraggiunti. Barbara è a Firenze. Nino probabilmente non è stato
avvisato per tempo. L'Azione Cattolica non ha ancora individuato il suo
rappresentante. Severino, come da accordi, il più delle volte ci seguirà a
distanza.).
2. Viene proposta come sede dell'incontro la Villa della Rinchiostra
(dentro o fuori, a seconda delle condizioni atmosferiche); il mese di
giugno coincide opportunamente anche con
l'anniversario della
fondazione dell'AAdP. I presenti sono favorevoli a far intervenire, insieme
al prof. Dal lago, uno o due relatori, per dar vita ad una vera e propria
tavola rotonda che possa offrire un ampio ventaglio di punti di vista.
Adriana, sentito anche Gino, potrebbe individuare forse un paio di
nominativi (tramite Emergency ed un'Associazione di Pisa).
Stella si accorderà con Gino per sollecitare il prof. Dal lago a fissare una
data e a pronunciarsi sull'opportunità che intervengano con lui anche altri
relatori.
3. Ilaria, dell'Arci, nei giorni scorsi ci ha fatto sapere che finalmente anche
nel Comune di Massa è partito il progetto Sprar. Il problema è che in
tempi molto stretti bisogna trovare un appartamento per 6 persone a Massa
da utilizzare per l'accoglienza dei richiedenti asilo. Ci ha invitato però a
non trattare di questo argomento per mail.
Gino fa sapere di aver inviato una bozza di testo, come concordato a
Carrara, a Matteo e Roberto, ma non ci sono stati poi altri sviluppi. Marina
chiederà a Roberto.
4
4. La questione dei Sinti di Mirteto vive una situazione di forte stallo (a
dire di Nadia l'aggiunta di un nucleo familiare avrebbe reso insufficienti
gli spazi individuati), mentre si aggravano le situazioni di altri nuclei
familiari al di fuori del parcheggio (lo sfratto di Maria, i problemi di
Jacqueline, la difficoltà di Caterina a Ronchi, la situazione irregolare di
Mirka a Remola) e Benedetti anche nel consiglio comunale straordinario
di oggi pomeriggio torna a proporre interpellanze sul problema.
Ci si risolve a chiedere un nuovo incontro con
l'Amministrazione (possibilmente con le stesse persone – Volpi, Fiori,
Tognocchi, Bellé – che più di tre mesi fa hanno convocato le famiglie
Sinti in Comune e promesso loro formalmente una soluzione entro ... 15
giorni), per chiedere chiarimenti ed esprimere il rammarico e la delusione
per la gestione della questione.
Stella prenderà un appuntamento e lo comunicherà quanto prima.
5. Luca riferisce della prima riunione per il Bilancio partecipato che si è
tenuta a Poggi; il 22 maggio l'assemblea sarà a Castagnara e il 25 a Ortola.
Pur esprimendo riserve sull'impianto stesso del progetto comunale,
nell'impossibilità di essere presenti nelle tre periferie, si decide di provare
a concentrare le energie su Castagnara.
Per competenza, la persona più idonea è Paolo Panni o qualcuno da lui
individuato all'interno di Legambiente; poiché stasera non ha potuto
venire, Stella provvederà a chiedergli quale disponibilità possa dare.
L'AAdP ha presentato la richiesta di un contributo per un progetto a
Castagnara alla Fondazione della Cassa di Risparmio di Carrara: Luca
riferisce che, probabilmente, fino a settembre non conosceremo l'esito
della richiesta; l'eventuale contributo non ha però valore retroattivo e
copre gli interventi fatti a partire dalla data della elargizione per la durata
di un anno.
Ci si orienta comunque a fare qualche iniziativa autogestita,
compatibilmente con le poche disponibilità economiche, a partire da
quelle che l'anno scorso hanno avuto un maggior consenso tra la
popolazione: karaoke e Pedrasamba.
Stella comunica che nel frattempo presso la sede di Via Formentini è stato
aperto (una volta la settimana, il martedì dalle 16 alle 18) lo Spazio
Donna, mentre il Comune non ha ancora autorizzato con delibera di
Giunta l'uso della stanza.
La portavoce
M. Stella Buratti
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2278
Approfondimenti
Economia
12 mosse per rimettere in moto l'Italia (di
Sbilanciamoci)
Buon lavoro/Dall'occupazione per tutti al reddito minimo. Come fare
ripartire il paese in poche mosse e rimettere in moto l'economia.
Attraverso lo Stato
250 mila nuovi posti di lavoro pubblici
È necessario un intervento pubblico sul terreno della creazione di
occupazione che affronti la contraddizione tra disoccupazione record e
bisogni insoddisfatti. Il governo può lanciare un Piano per il lavoro con
nuove assunzioni nel settore pubblico in alcuni settori chiave: istruzione e
salute pubbliche di qualità, servizi per le persone, mobilità pubblica
sostenibile, interventi contro il dissesto idro-geologico, manutenzione del
patrimonio artistico e culturale, sviluppo delle infrastrutture culturali e
sostegno alla ricerca pubblica. Con un investimento annuo di 5 miliardi, si
potrebbero creare circa 250mila posti lavoro aggiuntivi l’anno.
Una politica per nuove attività economiche e lavori di qualità
Un piano d’investimenti pubblici e privati per uno sviluppo di qualità
potrebbe essere avviato utilizzando fondi europei, la liquidità creata dalla
BCE con il Quantitative Easing, il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti,
fondi pensione e d’investimento, con incentivi pubblici e sgravi fiscali per
le imprese. Gli interventi dovrebbero delineare una nuova politica
industriale del paese, con lo sviluppo di attività economiche in tre ambiti
prioritari: a) la sostenibilità ambientale, le energie rinnovabili, il risparmio
energetico, la bio-edilizia; b) la diffusione di applicazioni delle tecnologie
dell’informazione e comunicazione; c) il settore della salute, del welfare e
delle attività di cura, in cui va rilanciato il ruolo dei servizi pubblici.
Investimenti,
infrastrutture
e
percorsi
di
formazione
e
professionalizzazione potrebbero inoltre sostenere utilmente le molteplici
forme di altraeconomia – dal commercio equo alla finanza etica,
all’agricoltura biologica, alle produzioni culturali indipendenti – che in
questi anni hanno mostrato grandi potenzialità di sviluppo.
Ridurre gli orari, redistribuire il lavoro
Anche se le misure sopra indicate venissero adottate, non sarebbero
sufficienti ad annullare l’eccesso strutturale della domanda di lavoro
rispetto all’offerta. È dunque ragionevole avviare una riduzione
generalizzata dell’orario di lavoro, ma come si possono affrontare le
conseguenze sui salari e sui costi delle imprese? Si potrebbe calibrare il
carico fiscale e contributivo sul salario a seconda della durata dell’orario,
alleggerendolo per gli orari ridotti e aggravandolo per quelli di più lunga
durata. Si potrebbe prevedere una prima fascia oraria (e il reddito
monetario corrispondente) esente da ogni onere fiscale e contributivo
tanto per il lavoratore che per l’impresa; per gli orari di lavoro più lunghi,
l’incidenza fiscale e contributiva aumenterebbe fino a corrispondere, per
orari normali di 40 ore settimanali, all’ammontare attualmente vigente.
la tutela piena del lavoratore e il suo reintegro sul posto di lavoro nei casi
di licenziamento illegittimo.
Tuteliamo il contratto nazionale
Occorre rafforzare la contrattazione nazionale abolendo la norma del
D.L.138/2011 che ha introdotto la possibilità di introdurre contratti
aziendali o territoriali di prossimità, con condizioni peggiori rispetto al
Contratto nazionale di lavoro e alla legislazione sul lavoro, concepiti come
un grimaldello con cui demolire l’ordinamento del lavoro.
La riduzione delle tipologie contrattuali
Una riforma del sistema delle tipologie contrattuali dovrebbe prevedere la
drastica riduzione delle forme contrattuali. Il Jobs Act si limita ad
eliminare il job sharing, l’alternanza di due lavoratori su una stessa
postazione lavorativa, e l’associato in partecipazione. Andrebbero invece
cancellati anche il job on call, che porta alle estreme conseguenze la
mercificazione del lavoro, e lo staff leasing, la somministrazione di lavoro
a tempo indeterminato, che secondo quanto prevede il Jobs Act in futuro
sarà utilizzabile per qualsiasi attività e in tutti i settori produttivi.
I contratti di lavoro dovrebbero essere ridotti ai seguenti:
a) Il contratto a tempo indeterminato, con il ripristino dell’articolo 18 e la
sua estensione alle imprese sotto i 15 dipendenti;
b) il contratto a termine, suscettibile di un solo rinnovo, con la
reintroduzione della giustificazione causale;
c) il contratto di apprendistato, condizionato all’assunzione di almeno il
50% degli apprendisti già impiegati;
Stabilizzare i lavoratori precari nelle pubbliche amministrazioni.
Con i blocchi delle assunzioni generalizzati, le amministrazioni pubbliche
per assolvere le funzioni previste dalla legge devono ricorrere sempre più
spesso al lavoro precario. Un piano di stabilizzazione dei lavoratori
precari presenti nella pubblica amministrazione nell’arco di tre anni,
accompagnato da una programmazione delle assunzioni in linea con gli
obblighi di funzionamento previsti per legge, migliorerebbe la quantità e
la qualità del lavoro, l’efficienza della pubblica amministrazione darebbe
uno stimolo per i consumi.
150mila ragazzi e ragazze nel Servizio Civile Nazionale
Il Servizio Civile Nazionale, su base volontaria per cittadini italiani di
entrambi i sessi fra i 18 e i 28 anni, nato come sviluppo di quello degli
obiettori di coscienza al servizio militare, è la principale azione pubblica
rivolta ai giovani. Favorisce l’inserimento nel mercato del lavoro in
particolare nei lavori di cura, negli interventi di inclusione sociale, di
valorizzazione del patrimonio ambientale, artistico e culturale. La bozza di
disegno di legge delega di riforma del Terzo settore, attualmente in
discussione in Parlamento, prevede la trasformazione del Servizio Civile
Nazionale in Servizio Civile Universale. Il governo intende partire dal
2017 con 100.000 giovani coinvolti. Nel periodo 2007-2011 i posti messi
a bando sono stati quasi 156.000, ma le domande presentate sono state
432.000. Al momento la dotazione prevista è di 113 milioni per il 2016 e
per il 2017, ma per garantire anche solo 50mila posti nel 2016
servirebbero almeno 300 milioni di euro. Sbilanciamoci! propone che un
finanziamento annuale di 840 milioni di euro sia destinato ad attivare circa
150mila giovani l’anno in attività utili alla collettività.
No alla possibilità di licenziare
Il diritto di lavorare in condizioni eque, umane e dignitose non può essere
sacrificato al diritto arbitrario di licenziare. È quest’ultimo che il Jobs Act
ha sancito consegnando il contratto di lavoro nelle mani del datore di
lavoro. Le modifiche all’art.18 dovrebbero essere cancellate ripristinando
5
d) il contratto part-time, ampiamente riformato in modo tale da impedirne
l’utilizzo discrezionale da parte del datore di lavoro e facilitare la
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori;
e) una gamma ridotta di tipologie di lavoro di autonomo cui dovrebbero
essere estese alcune tutele di base (gravidanza, malattia, infortunio);
f) il ricorso al lavoro accessorio retribuito con i voucher andrebbe
ricondotto all’originaria funzione, consistente nel fornire ai datori di
lavoro non imprenditori, in particolare alle persone fisiche, uno strumento
per retribuire in modo regolare le attività di piccola manutenzione
domestica, il giardinaggio, le lezioni private sporadiche, o i servizi alla
persona occasionali.
Lavoro autonomo e partite Iva
Nell’ambito del lavoro autonomo “puro” andrebbero introdotte due tipi di
tutele: una che sottragga il lavoro autonomo a partita Iva al ricatto della
committenza, l’altra per assicurare un insieme di protezioni di base per
freelance e professionisti. La prima dovrebbe tutelare i lavoratori da
committenti che abusino della propria posizione dominante, imponendo
clausole vessatorie e ritardando i dovuti pagamenti. La seconda dovrebbe
assicurare ai lavoratori autonomi le protezioni sociali previste per i
lavoratori dipendenti in caso di gravidanza, malattia, infortunio,
disoccupazione, ma anche per il bisogno di formazione e di
aggiornamento professionale. Sarebbe inoltre auspicabile una riforma del
trattamento fiscale riservato ai lavoratori a partita Iva che preveda
l’esonero dal pagamento dell’Irap, l’applicazione degli stessi parametri
utilizzati per i dipendenti in materia di detrazioni sui redditi più bassi,
l’eliminazione della maggiorazione Iva dell’1% sui versamenti trimestrali.
La pensione per tutti
Le riforme pensionistiche varate negli ultimi anni, con il passaggio al
sistema contributivo, riescono a garantire una pensione dignitosa solo ai
lavoratori titolari di aliquote contributive elevate e di un rapporto di lavoro
stabile e continuativo. Le spinte ad abbassare il costo del lavoro e
l’intermittenza dei periodi di occupazione condannano gran parte delle
generazioni presenti e future a prestazioni pensionistiche molto basse.
Un modello pensionistico meno ingiusto dovrebbe muoversi in due
direzioni. La prima è adeguare il sistema di ammortizzatori sociali,
istituendo un reddito minimo che offra idonea copertura a tutti coloro che,
temporaneamente o per lunghi periodi, non trovano un lavoro; offrendo
adeguati servizi per l’impiego e per la formazione; garantendo contributi
pensionistici figurativi, per compensare tutti i periodi di non lavoro e
garantire la continuità nel tempo della contribuzione. La seconda è
l’introduzione di una pensione universalistica, non sottoposta alla prova
dei mezzi, sostanzialmente un assegno sociale (attualmente fra 460 e 640
euro mensili) pagato a tutti gli anziani, a prescindere dall’aver o meno
contribuito al sistema pensionistico. Su questa pensione si innesterebbe
poi la pensione contributiva, il che permetterebbe anche di abbassare, a
parità di prestazione erogata, le aliquote pensionistiche, perché la pensione
di base verrebbe finanziata attraverso la fiscalità generale.
Un reddito minimo per tutti
Le trasformazioni che hanno interessato il mercato del lavoro rendono
necessario assicurare un reddito minimo universale e incondizionato a
tutti. L’introduzione di tale misura deve tener conto, con modalità
sperimentali e risorse crescenti nel tempo, di una realtà in cui una larga
parte dei lavoratori sono costretti nell’arco della loro vita a passare da un
posto di lavoro all’altro; deve quindi strutturarsi in maniera tale da rendere
economicamente sostenibili anche modalità di lavoro intermittenti. Il
sussidio deve essere tendenzialmente universale - rivolto all’ampia platea
degli “occupabili” (lavoratori sia effettivi che potenziali, sia dipendenti
che indipendenti - ma deve essere anche incondizionato, in quanto
giustificato dalla condizione del lavoratore. Il “reddito minimo” così
inteso diventerebbe un elemento unificante del sistema di protezione
sociale, offrirebbe il riconoscimento di un diritto di cittadinanza e avrebbe
l’effetto di ridurre le disuguaglianze. Diverse proposte di legge sono state
avanzate e rappresentano una base di partenza per la discussione su come
realizzarlo. Sarebbe richiesto un impegno redistributivo particolarmente
ampio e quindi un sistema fiscale più progressivo e più efficiente.
Fare memoria
Che cos’è stata la Resistenza? (di Pietro Polito)
“Come fenomeno europeo, la Resistenza è stata un moto di liberazione
nazionale contro il nazismo: in quanto tale la nostra Resistenza non
differisce da quella di altri paesi. Come fenomeno italiano, la guerra
contro il nazismo è stata insieme una lotta di liberazione dalla dittatura
fascista in nome dei diritti inviolabili – così li chiama la nostra
Costituzione – dell’uomo. Ma la Resistenza ha avuto anche un significato
universale: in quanto guerra popolare, spontanea, non comandata
dall’alto, essa è stata un grande moto di emancipazione umana, che
mirava molto più lontano e i cui effetti, proprio per questo, non sono
ancora finiti: a una società internazionale più giusta, ispirata agli ideali
di pace e di fraternità tra i popoli”.
Norberto Bobbio
Questa definizione della Resistenza si trova in un rapido appunto scritto
da Bobbio per una dichiarazione alla radio trasmessa l’8 settembre 1963.
Essa fa parte delle riflessioni che Bobbio è venuto svolgendo tra il 1955 e
il 1999 sul significato della Resistenza (in larga parte inedite, ma ora si
possono leggere nel recente volume Eravamo ridiventati uomini, Einaudi,
Torino 2015. La citazione è a p. 56).
Le pagine di Bobbio consentono di abbozzare una risposta
sufficientemente chiara e definita alla domanda: “Che cosa è stata la
Resistenza?”.
Bobbio si pone esplicitamente la domanda in un discorso per il 25 aprile
1961, chiarendo che è insufficiente interpretare la nostra Resistenza
“soltanto” come “un movimento italiano” contro il fascismo e insistendo
sul nesso tra la “nostra Resistenza” (la formula è di Bobbio) e il “grande
movimento europeo di liberazione contro l’oppressione nazista”.
Riprendendo la definizione posta all’inizio, secondo Bobbio, la Resistenza
è stata un movimento europeo, nazionale, universale. Così intesa essa può
essere definita e valutata sotto tre aspetti: 1. le anime; 2. gli attori e gli
scopi; 3. i risultati.
Le anime della Resistenza
Tempi di vita e di lavoro
Il Jobs Act rinvia l’estensione del congedo di maternità alle donne
lavoratrici non dipendenti successivamente alla realizzazione di "una
ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie". In sostanza le
misure di conciliazione restano ancora privilegio delle lavoratrici e dei
lavoratori dipendenti e pensate prevalentemente per le donne.
Sbilanciamoci! propone di assicurare un assegno di maternità universale
per cinque mesi, pari al 150% della pensione sociale, a tutte le madri,
indipendentemente dal fatto che siano dipendenti o autonome, che siano
stabili o precarie, che lavorino o che siano disoccupate. L’assegno di
maternità dovrebbe comprendere il riconoscimento di cinque mesi di
contributi figurativi da distribuire su entrambi i genitori. L’assegno
dovrebbe essere posto a carico della fiscalità generale. E’ necessario
inoltre offrire pari opportunità introducendo il congedo per i padri,
indipendentemente dal contratto e dalla tipologia di azienda. Le misure di
conciliazione dovrebbero essere affiancate da un sistema pubblico per
l’infanzia in grado di garantire a tutte le bambini e i bambini un percorso
scolastico sin dai primi anni di età.
La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata
la fonte: www.sbilanciamoci.info.
(fonte: Sbilanciamoci Info)
link: http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/12-mosse-per-rimettere-in-moto-lItalia-29582
Come movimento europeo, la Resistenza italiana è stata “un episodio,
l’ultimo episodio della tragica e nobile storia della libertà europea
rivendicata”; come movimento italiano, “la nostra Resistenza” si distingue
dalle altre: mentre negli altri paesi è stata prevalentemente un movimento
di liberazione dallo straniero, in Italia la Resistenza è stata al tempo stesso
“un movimento patriottico e antifascista, contro il nemico esterno e contro
il nemico interno”; come movimento universale di emancipazione sociale,
la Resistenza è stata una “guerra popolare”, “un moto popolare, l’unico
grande moto popolare nella storia dell’Italia moderna”.
Naturalmente l’espressione “guerra popolare” non viene usata nel senso di
guerra di popolo, combattuta da un popolo, ma nel senso della lotta di una
minoranza, “la lotta impari e disperata” di una minoranza che “non
sarebbe stata possibile senza il consenso e la collaborazione degli operai
nelle città, dei contadini nelle campagne, di intellettuali, di amministratori,
di professionisti che costituirono una fitta rete protettiva delle bande
armate e dei gruppi d’azione partigiana”.
Nell’animo di una parte importante e attiva dei partigiani la Resistenza è
stata una guerra rivoluzionaria”: in questo terzo significato, può essere
considerata “un movimento universale, che trascende l’occasione che l’ha
generata e i risultati raggiunti”.
Gli attori e gli scopi.
Le finalità della Resistenza furono molteplici.
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La guerra patriottica, fu combattuta da quella parte dell’esercito rimasta
fedele alla Monarchia con lo scopo della restaurazione dell’indipendenza
nazionale; la guerra antifascista dai partiti antifascisti riuniti nei Comitati
di liberazione nazionale con l’obiettivo della riconquista della libertà
politica; la guerra rivoluzionaria da un partito che preesisteva se pure di
poco al fascismo, il Partito comunista, e da un partito nuovo, nato con la
Resistenza, il Partito d’azione, con il fine dell’instaurazione dello stato
nuovo. Il Partito d’Azione e il Partito comunista furono i partiti
militarmente più organizzati, i più decisi e i più audaci, i principali
organizzatori della guerra per bande.
I risultati della Resistenza.
I risultati vanno valutati in base agli scopi.
Il principale scopo della guerra patriottica, la liberazione dell’Italia dal
dominio straniero, è stato raggiunto. L’Italia deve alla guerra patriottica il
suo essere ridiventata una nazione libera, democratica, inserita a pieno
diritto nella comunità internazionale.
Pure la guerra antifascista ha raggiunto i suoi scopi. Certo la sconfitta del
fascismo non può essere ascritta a merito esclusivo dei partigiani, ma “la
Resistenza italiana ebbe il merito di inserirsi nella direzione giusta della
lotta al momento giusto”.
Naturalmente il giudizio è più controverso per quel che riguarda la
Resistenza come rivoluzione sociale tendente alla trasformazione radicale
della società italiana. Scriveva Bobbio nel lontano 25 aprile 1961:
“Orbene, la democrazia che è stata attuata in Italia è soltanto quella
apparente, non quella sostanziale. La democrazia sostanziale c’è, sì, negli
articoli della Costituzione, ma non c’è nella realtà. L’Italia continua ad
essere la nazione delle grandi sperequazioni, tra classe e classe, tra regione
e regione”.
E oggi?
(fonte: Centro Studi Sereno Regis)
link: http://serenoregis.org/2015/05/08/3-che-cose-stata-la-resistenza-pietro-polito/
Riflessione sulla "festa d'aprile" (di Massimo
Michelucci)
Anche questo aprile la destra ha ripetuto la sua vulgata, il giudizio
negativo sui partigiani, la resistenza e l'antifascismo. Le uscite polemiche
e strumentali di alcuni politici, come quella di abolire il 25 aprile, non
preoccupano per i contenuti perché rivelano scopertamente un fine
demagogico ed elettorale, ma preoccupa di più la tendenza fascistoide che
penetra tra i giovani, anche tra i non militanti di associazioni o partiti di
destra.
Tale tendenza si fonda su argomentazioni che sono trite parole d'ordine
che l'antifascismo affronta e subisce da decine di anni, e che purtroppo
sembrano quasi impossibili da superare, perché si ripetono e ripresentano
indefessamente, senza possibilità di confronto. Di fronte ad esse
comunque mi ostino a offrire una ennesima riflessione pubblica, che vuol
essere la più oggettiva possibile e che non vuol certo essere supponente,
ma aperta.
Prima di tutto credo sia molto utile ricordare questa frase di Italo Calvino,
un autore nazionale, apprezzato anche a destra tanto è universale, un po'
come Pasolini.
"Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più
idealista,
c'erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le
deportazioni e l'Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più
spietato,
c'era la lotta per una società pacifica e democratica,
ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, ché di
queste non ce ne sono."
La frase è significativa perché dimostra che c'è sempre stata coscienza di
errori anche da parte partigiana, e che bisogna saper distinguere tra livello
individuale e livello politico. Una persona rappresenta un qualcosa a
7
entrambi i livelli ed il valore dei due aspetti può anche essere in
contraddizione, niente lo vieta. Ma il giudizio storico ha il compito
precipuo di inquadrare la valutazione in uno spettro più ampio di ragioni.
In questo senso la condanna del giovane militare fascista, i famosi ragazzi
di Salò, è oggettivamente inconfutabile, si trattò infatti di un esercito
mercenario, al soldo di un esercito straniero occupante il paese, e
utilizzato soprattutto in azioni contro la popolazione ai fini della lotta
partigiana, la qual cosa provocò anche la cosiddetta guerra civile. Preciso
che la qualifica "mercenario" non è metaforica, ma è usata in senso
letterale a significare che il soldato repubblichino che consegnava ai
tedeschi un disertore rastrellato riceveva un compenso in denaro. Poi che a
livello individuale ci sia stato un giovane fascista più buono di un giovane
partigiano di nuovo nessuno lo vieta di pensare.
La letteratura è più incisiva del saggio storico nello spiegare, o meglio nel
far capire, le cose, perché permette di far emergere direttamente quello che
si vuole dire, non di dimostrarlo. In tal senso è utile un piccolo rinvio
letterario, l'invito alla lettura di "Una questione privata", di Beppe
Fenoglio, uno dei migliori libri sulla nostra Resistenza.
Comunque c'è sempre anche il fare storia ad aiutarci, ne cito un buon
esempio. In primavera è ritornata fuori, come ogni anno, l'accusa della
destra sulla negatività dell'attentato di via Rasella a Roma da parte dei
partigiani, dimenticando e trascurando il dato che la guerriglia era
necessariamente l'unico tipo di guerra consentito alle forze resistenti, e che
era espressamente indicato e sostenuto dagli stessi alleati, che chiedevano
di fare agguati, attentati e di attaccare il nemico alle spalle. L'accusa ai
partigiani di non essersi presentati fa capire che non è purtroppo
conosciuto un libro basilare sulla vicenda: Alessandro Portelli, "L'ordine è
già stato eseguito", che ha dimostrato, attraverso una memoria corale della
gente di Roma, come i tedeschi risposero immediatamente con la
rappresaglia e con la strage delle Fosse Ardeatine, prima di cercare
responsabili. L'ordine di presentarsi agli attentatori non è mai esistito!
Esiste poi una riflessione storica che comporta un giudizio politico. Per
esempio Enzo Collotti, la cui autorità è indiscussa e si esplica in
ragionamenti molto semplici, ha parlato del "fascismo quotidiano dei
nostri giorni", ritenendolo anche forse più pericoloso di quello del
ventennio istituzionalizzato nello stato. Proprio in ragione di ciò ha detto
che "il 25 aprile deve essere una riflessione permanente", che comporta
indubbiamente atteggiamenti conseguenti, capaci di affrontare i fatti e gli
argomenti nel loro sviluppo. Per tale metodo il richiamo al 25 aprile non
potrà mai essere espressione di un legame ideologico.
Su questa questione di sostanza mi piace citare anche Franco Cordero, un
giurista riconosciuto, che ha spiegato come:
"Fascismo e Resistenza non rappresentano solo due momenti storici, ma
costituiscono due 'antropologie' radicalmente agli antipodi, divise da
un'alterità incolmabile. Purtroppo, però, mentre l'antropologia fascista
sembra parte integrante del corredo 'genetico' degli italiani, lo 'spirito della
Resistenza' - che impone capacità critica, libertà di pensiero, autonomia - è
stato un'anomalia per il nostro paese. Che non a caso, infatti, l'ha
sostanzialmente lasciato cadere nell'oblio. Pensare, nel fascismo, era un
vizio, come pericoloso era l'abito morale che implica dubbi, dissensi,
scelte divergenti. La legge 19 gennaio 1939, n. 129 abolì la Camera dei
Deputati e la sostituì con la Camera dei Fasci e delle Corporazioni nella
quale i voti erano sempre palesi e i componenti erano scelti per le cariche
ricoperte nel PNF o nelle Corporazioni".
Ma per questo aspetto non posso non ricordare il partigiano di Carrara
Lino Rovetti (Linè), assieme a lui anni fa tenni una conferenza ai giovani
delle superiori in Palazzo Ducale a Massa. Lino fu affascinante, ad un
certo punto tirò fuori il portafoglio, e da questo un pezzetto sgualcito e
ingiallito di un foglio di un vecchio quaderno a quadretti, e spiegò:
"Nell'estate del 1944 formammo una squadra e dopo un po' emerse la
necessità di nominare tra noi un responsabile. Eravamo sui monti nei
boschi, un amico strappò dei fogli da un quaderno e ne diede un
rettangolino a tutti proponendo di scriverci il nome di chi dovesse essere il
responsabile, e di farlo ognuno per conto proprio, dietro un castagno. Io
scrissi il Memo, che divenne il nostro capo. Quel fogliettino da quel
giorno l'ho sempre tenuto con me, rappresenta il senso della mia libertà,
era la prima volta nella mia vita che sceglievo qualcosa, che contavo come
gli altri, che votavo!"
Una lezione indimenticabile!
Oltre alla violenza della guerra che è oggettiva perché non esiste una
guerra giusta, se non appunto e forse, come affermava Don Milani, quella
partigiana, quella cioè di chi si ribella, chi si rivolta contro una violenza
maggiore e insopportabile che rende l'uomo schiavo, rimane anche la
questione della violenza nei dopoguerra, che è tema che non voglio
sfuggire, in modo che la riflessione non abbia lacune e sia la più completa
possibile secondo le mie capacità.
Ebbene io sono molto legato ad una frase del musicologo Massimo Mila
che fu partigiano di Giustizia e Libertà nel Canavese e che nella relazione
finale sull'attività, che fu una specie di commiato da parte del comando ai
partigiani della terza zona, scrisse, in data 13 maggio 1945: >La grande
avventura volge al termine, la poesia della nostra giovinezza è finita. Ora
comincia l'opera del lavoro virile, nei campi, nelle officine, negli uffici,
dove necessariamente ci troveremo a fianco di uomini i quali non hanno
nel loro passato questa forma di gloria che è la guerra partigiana. Non
importa: noi non saremo superbi, non accamperemo pretese e
rivendicazioni, in una parola non saremo "squadristi" e "marcia su
Roma"< . Lo si trova citato in: Bruno Rolando, La Resistenza di Giustizia
e Libertà nel Canavese, a cura di Gino Viano, Enrico Editore, Ivrea/Aosta,
1981. Ma anche su questo argomento ho un ricordo più particolare di
altrettanta valenza che viene dai miei studi e del quale sono innamorato.
Nello stesso periodo, maggio 1945, il CLN Apuano affrontava la
questione di un giovane partigiano in una frazione della montagna
carrarina che esprimeva pubblicamente, armi in mano, la volontà di farsi
giustizia da sé. Il CLN scrisse quindi al capo della formazione:
"Conosciamo bene il tuo giovane, capiamo anche il suo desiderio di
vendetta, sappiamo che la sua intera famiglia in quanto antifascista ha
subito per vent'anni dal regime vessazioni e violenze di ogni genere. Ma
non può far da sé, devi fermarlo! Devi fargli capire che noi non dobbiamo,
non possiamo e non vogliamo essere come loro!". Non so se il capo ci
riuscì, sicuramente sì, se era un capo che anche quel giovane aveva scelto
e che quindi rispettava. Come esperienza personale (non certo riferita alla
Resistenza) posso solo aggiungere che qualsiasi tipo di violenza che si
commette nella vita, anche leggera e non certo motivata come quelle di un
tale periodo, alla fine ti ritorna fuori nella coscienza non facendoti mai
stare bene del tutto. Meglio, quindi, se si può, evitare.
particolare dal mondo degli insegnanti che sono a contatto quotidiano con
gli alunni è un atteggiamento miope e che denota una concezione
profondamente antidemocratica del governo.
Infine per concludere, è certo veramente importante intenderci bene su
cosa sia l'antifascismo, perché molti lo interpretano come una posizione
di parte politica, mentre è un principio che sta alla base della politica, e
quindi dovrebbe abitare nelle coscienze di tutti. Nella sostanza, infatti,
l'antifascismo è né più né meno che la "possibilità di scelta", che è
garantita dalla Costituzione che parla di "legittimità delle differenze". Ma
anche la Costituzione purtroppo oggi è dileggiata, senza essere mai stata
compiutamente applicata.
Se solo si accettasse questa semplice verità si capirebbe tutti davvero
come sia sbagliato contrapporre antifascismo e democrazia. Non può
esserlo, l'uno sostanzia l'altra, ne è la base.
Speriamo che in Italia si arrivi a capirlo tutti, ma i segnali non sono buoni.
Credo che gli insegnanti debbano trasformare le loro scuole in bastioni
della difese della democrazia e del diritto per tutti di accedere
all’istruzione, devono fare delle loro scuole un Agorà pedagogica che
sappia diventare spazio di discussione e dialogo educativo progettuale tra
insegnanti, insegnanti alunni e genitori.
Massimo Michelucci - Vice Presidente dell'Istituto Storico della
Resistenza Apuana
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2281
Formazione, pedagogia, scuola
Agorà pedagogica (di Alain Goussot)
In questo momento sta crescendo il movimento di protesta degli
insegnanti contro il progetto del governo Renzi-Giannini, un progetto che,
nei fatti trasforma la scuola in una azienda e legittima le diseguaglianze
sociali contraddicendo in questo modo la carta costituzionale
È molto probabile che il governo e il ministero rimangano completamente
sordi alla protesta e che facciano passare il disegno di legge, tenuto conto
delle tredici deleghe in bianco che ha a disposizione si capisce che farà
quello che vuole. Ma non ascoltare quello che sale dalla società e in
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Tuttavia, dal movimento di protesta nelle scuole contro il disegno di legge
la Buona scuola potrebbe nascere un nuovo progetto democratico per la
scuola italiana, un progetto pedagogico serio che affronti le questioni
dell’eguaglianza delle opportunità nell’accesso ai sapere e alle
conoscenze, all’istruzione per tutti, della formazione culturale generale e
solida di un cittadino consapevole e in grado di pensare con la propria
testa, di una integrazione tra un recupero dell’identità umanistica della
cultura italiana e una serie formazione scientifica, di una scuola
accogliente e davvero inclusiva, di una scuola ormai multiculturale e
meticcia. Un grande progetto di rinnovamento della scuola che sappia
mettere al centro la pedagogia e una didattica ricca e viva, che sappia
preparare gli insegnanti sia per entrare nella professione docente che per
continuare ad aggiornarsi durante la carriera, una scuola che sappia
dialogare con la comunità e le famiglie in una prospettiva co-educativa
costruendo una grande alleanza pedagogica per un futuro di democrazia e
di sviluppo umano basato sulla solidarietà, la giustizia, l’eguaglianza , il
riconoscimento delle differenze e la libertà responsabile.
Per aiutarsi la scuola, gli insegnanti possono ispirare dal grande e ricco
patrimonio d’idee prodotte dalla storia dell’educazione attiva, basta
pensare a Maria Montessori, Mario Lodi, Gianni Rodari, Bruno Ciari,
Dina Bertone Jovine, Aldo Visalberghi, Lamberto Borghi, Don Lorenzo
Milani, Antonio Banfi, Piero Bertolini, Giovanni Maria Bertin ma anche
John Dewey, Ovide Decroly, Adolphe Ferrière, Edouard Claparède, Roger
Cousinet, Célestin Freinet, Lev Vygotskij, Anton Makarenko, Paulo Freire
ecc. Insomma l’esperienza ricca e diretta di migliaia di insegnanti nelle
loro scuole e nell’attività quotidiana combinata con le fonti storiche delle
pedagogie attive e critiche (per arrivare fino ad oggi) può favorire un
Rinascimento pedagogico che sappia rilanciare e ridare vitalità alla scuola
democratica, meticcia e pluralista della Repubblica! La protesta radicale
diventerà in questo modo progetto collettivo che interpella tutta la società
e farà della scuola l’epicentro del rinnovamento culturale e sociale
autentico del paese.
Anton Makarenko, il grande pedagogista ed educatore sovietico dopo la
rivoluzione del 1917, parlava di collettivi pedagogici cioè di spazi
organizzati dove educatori, insegnanti, genitori e anche ragazzi si
confrontavano sulle grandi questioni della formazione dei futuri cittadini e
dell’accesso di tutti ai sapere e alle conoscenze necessarie per essere delle
donne e degli uomini effettivamente autonomie liberi. Paulo Freire, il
grande pedagogista brasiliano, parlava di circoli culturali e pedagogici
aperti a tutti come spazi di partecipazione democratica alla riflessione sui
grandi temi dell’istruzione, dell’educazione, della giustizia, dell’ambiente,
della democrazia partendo dalla formazione scolastica.
I collettivi pedagogici nelle scuole possono essere dei luoghi di
elaborazione progettuale e anche di presa di coscienza collettiva e di
sensibilizzazione di tutta la comunità sull’importanza della scuola come
bene comune. I collettivi pedagogici possono essere composti da
insegnanti, educatori, cittadini interessati e anche alunni. Luoghi aperti in
cui si riflette e si costruisce assieme il futuro della scuola e questo in ogni
territorio. Credo che sia la migliore risposta da dare, accompagnando le
proteste, le manifestazioni e il movimento in atto nella direzione della
costruzione partecipata dal basso di quel intellettuale collettivo di cui
parlava Antonio Gramsci.
Collettivi pedagogici di diverse scuole possono collegarsi tra di loro e
condividere argomenti di discussione e proposte questo sia nella
medesima comunità che tra comunità territoriali diverse. In questo modo
la protesta diventa un attore riflessivo e davvero rivoluzionario.
*Alain Goussot è docente di pedagogia speciale presso l’Università di
Bologna. Pedagogista, educatore, filosofo e storico, collaboratore di
diverse riviste, attento alle problematiche dell’educazione e del suo
rapporto con la dimensione etico-politica, privilegia un approccio
interdisciplinare (pedagogia, sociologia, antropologia, psicologia e storia).
Ha pubblicato: La scuola nella vita. Il pensiero pedagogico di Ovide
Decroly (Erickson); Epistemologia, tappe costitutive e metodi della
pedagogia speciale (Aracneeditrice); L’approccio transculturale di
Georges Devereux (Aracneeditrice); Bambini «stranieri» con bisogni
speciali (Aracneeditrice); Pedagogie dell’uguaglianza (Edizioni del
Rosone). Il suo ultimo libro è L’Educazione Nuova per una scuola
inclusiva (Edizioni del Rosone)
(fonte: Comune-info)
link: http://comune-info.net/2015/04/agora-pedagogica-scuola/
Immigrazione
Morire in mare, uno studio sulle vittime (di Paolo
Cuttitta)
Nei giorni in cui gli ennesimi, immani disastri hanno riportato il tema
della morte alle frontiere all’attenzione dell’opinione pubblica, la Vrije
Universiteit di Amsterdam ha portato a termine un censimento delle
persone morte durante il tentativo di raggiungere l’Europa e registrate
presso gli uffici dello stato civile o presso i registri cimiteriali in Italia,
Spagna, Grecia, Malta e Gibilterra.
Tra maggio 2014 e gennaio 2015 undici ricercatori – coordinati da Tamara
Last sotto la supervisione di Thomas Spijkerboer – hanno esaminato oltre
due milioni di certificati di morte nei registri di 559 diverse località dei
suddetti Paesi (mentre gli uffici di altre 35 località, pari al 6% del totale,
hanno negato loro l’accesso agli archivi).
I risultati saranno presentati a metà maggio. Da quel giorno la banca dati
con tutte le informazioni raccolte sarà liberamente accessibile online,
accompagnata da una visualizzazione grafica che renderà più facilmente
leggibili i principali risultati della ricerca.
Il significato più importante del lavoro non risiede tanto nel dato statistico
relativo al numero totale di morti di frontiera registrati nei diversi Paesi.
Tale dato, infatti, è evidentemente parziale rispetto al numero totale dei
morti nel Mediterraneo, perché non comprende né i decessi avvenuti e/o
registrati sull’altra sponda (nei paesi dai quali le persone si sono messe in
viaggio per raggiungere l’Europa), né i dispersi (il cui numero – è il caso
di ricordarlo – si stima essere di parecchio superiore a quello dei corpi
rinvenuti).
Tra gli elementi più significativi della ricerca va menzionato in primo
luogo il fatto che essa si è basata su una metodologia chiara e omogenea,
che fa riferimento non a fonti giornalistiche ma a dati istituzionali. Le pur
importantissime informazioni raccolte sinora dalle banche dati di United
Against Racism e di Fortress Europe sono, invece, inevitabilmente
incomplete, approssimative e disomogenee perché tratte da fonti
giornalistiche o da canali più o meno informali.
Inoltre, i dati raccolti comprendono (almeno nei casi in cui le autorità
hanno potuto e voluto raccoglierle e registrarle) informazioni preziose per
restituire un’identità e una storia alle persone defunte, che in moltissimi
casi risultano essere non identificate. Tutte le informazioni che i
ricercatori hanno potuto raccogliere negli atti ufficiali esaminati (le
variabili più importanti sono: nome, età, genere e origine del defunto;
luogo di morte, luogo di ritrovamento, luogo di registrazione, luogo di
sepoltura; causa della morte e altri dettagli sull’incidente) permettono di
tracciare non solo una geografia della morte alle frontiere ma anche un
ritratto collettivo (e innumerevoli ritratti individuali) dei caduti di questa
guerra che continua a essere combattuta sottotraccia e sotto silenzio, salvo
tornare a fare notizia e provocare commozione nei casi più eclatanti.
Inoltre i ricercatori hanno raccolto informazioni sui differenti approcci
9
burocratici alla morte adottati dalle diverse autorità dei paesi in esame. Il
loro lavoro fornisce quindi anche un quadro del modo con il quale le
diverse autorità trattano la morte in generale e le morti di frontiera in
particolare. Peraltro la ricerca sul campo ha anche evidenziato che tali
procedure – quelle normalmente previste in caso di morte nei diversi paesi
– vengono a volte disattese quando si tratta di morti di frontiera, e che
perciò i migranti devono in certi casi subire forme particolari di
discriminazione anche da morti.
Immergendosi per quasi un anno in quella parte della burocrazia
dell’Europa mediterranea che interagisce con la morte di frontiera, i
ricercatori hanno anche interagito, essi stessi, con realtà di diverso tipo:
dalle imprese di pompe funebri (con i loro non trascurabili interessi
specifici) ai privati cittadini che curano di loro iniziativa le tombe di chi è
costretto a riposare lontano dai propri cari.
Benché vi siano alcuni aspetti di privacy ancora da chiarire (nella versione
del database che andrà online tutti i profili individuali saranno
anonimizzati), è auspicabile che il lavoro fatto possa servire per facilitare
le identificazioni di alcuni dei tanti morti ancora senza nome e per
consentire ai familiari di alcune delle vittime di avere finalmente certezza
sul destino dei propri cari. Ciò potrebbe avvenire anche attraverso una
collaborazione con il programma “Family Links Network” della Croce
Rossa.
Gli autori del censimento, inoltre, auspicano di reperire fondi per svolgere
un’analoga ricerca nei paesi di partenza, dall’altra parte del Mediterraneo.
Essi, infine, chiedono l’istituzione di un osservatorio europeo sui morti di
frontiera, sotto l’egida del Consiglio d’Europa, che si occupi di raccogliere
i dati in tutti i paesi coinvolti. Su tale punto è facile prevedere resistenze.
Il governo tedesco, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, ha
affermato un anno fa che “non c’è alcun bisogno di una sistematica
rilevazione” dei dati riguardanti i morti alle frontiere. Solo
apparentemente più possibilista il Ministro dell’Interno italiano Alfano,
che nel settembre scorso, anch’egli in risposta a un’interrogazione alla
Camera, non escludeva l’istituzione di una banca dati ufficiale, ma
riteneva “difficile ipotizzarne la condivisione con organismi di
volontariato sociale”, e poi lasciava cadere la proposta nell’oblio.
Di certo bisognerà evitare che anche il censimento realizzato dalla Vrije
Universiteit finisca per essere strumentalizzato dal confine “umanitario”,
dalla retorica sviluppata negli ultimi quindici anni dalle istituzioni statali e
comunitarie. Tale retorica si è appropriata del tema della morte e l’ha
utilizzato, alla rovescia, per legittimare il sistema di controllo delle
frontiere da essi creato e perfezionato. Chi ha costruito l’attuale regime
migratorio internazionale rifiuta infatti ogni responsabilità per gli effetti
nefasti che esso produce, rovesciandola su altri: i fornitori di servizi di
viaggio non autorizzati (accomunati tutti, indistintamente, nella figura
criminale del trafficante), colpevoli di mandare al massacro i propri clienti
pur di gonfiare i propri portafogli. La lotta contro gli spietati trafficanti
diventa così la parola d’ordine per giustificare il regime di frontiera,
mentre quest’ultimo viene riconfezionato come sistema per salvare vite
umane (anche grazie a operazioni come Mare Nostrum). Le parole
pronunciate da Renzi il 19 aprile in occasione dell’ultima strage sono
eloquenti: “Il punto chiave è bloccare il traffico degli esseri umani”, e
“tutti i nostri sforzi sono diretti a individuare lo scafista che ha condotto la
nave”. Il punto chiave, invece, è permettere alle persone di viaggiare senza
dovere ricorrere ai servizi dei trafficanti e senza dovere salire in novecento
su una barca di venti metri.
Mentre bisognerà evitarne ogni strumentalizzazione, la ricerca
dell’università olandese andrà valorizzata, al contrario, in opposizione alla
logica che, da un lato, esalta il ruolo salvifico delle istituzioni
(nascondendone quello più inumano e violento), e, dall’altro, mostra i
migranti come persone solo quando e nella misura in cui le loro vite sono
in pericolo, e per il resto li oscura, anonimizzandoli o presentandoli come
vittime passive del crimine organizzato. Restituire nomi ai corpi,
contenuto e senso alle storie individuali e collettive, e ricordare che tutto
ciò accade non solo e non tanto per la malvagità dei trafficanti e per
l’imperdonabile imprudenza di chi si mette in viaggio, ma soprattutto per
l’assurdità di politiche migratorie che impongono di rischiare la vita a chi
voglia raggiungere un determinato territorio pur non possedendo, per pura
sfortuna, il passaporto giusto: riuscire in questo sarebbe già un risultato
apprezzabile.
Paolo Cuttitta
(fonte: Corriere delle migrazioni)
link:
http://www.corrieredellemigrazioni.it/2015/04/24/elenco-delle-vittime-nelmare/
Politica e democrazia
I black bloc e la Sinistra incapace di difendersi (di
Umberto Mazzantini)
La Milano pulita è scesa in strada per rimediare alla devastazione di un
pezzo di città fatta con metodica follia dai soliti black bloc. Tra i volontari
di questa Milano solidale c’erano anche molti di quelli che hanno
partecipato al corteo no-Expo del primo maggio, quasi ad espiare la colpa
di un’insensata organizzazione che ha consentito che il solito gruppo di
nichilisti militarmente organizzati si impadronisse dell’agenda politica
della sinistra nonviolenta alternativa, e ne strappasse sfrontatamente le
pagine in diretta televisiva, buttandole nelle fiamme delle utilitarie
bruciate per le strade meneghine.
La verità che bisogna dirsi è che lo slogan di ieri, “Nessuno tocchi
Milano”, doveva essere la parola d’ordine del primo maggio; quello che
amaramente bisogna dirsi è che il corteo è stato lasciato da organizzatori
“ingenui” in balia di teppisti ormai noti, dei nemici dichiarati della sinistra
che vedono come troppo moderata, complice del sistema, rispetto al loro
disegno di disintegrazione di ogni convivenza civile.
Si è detto e scritto che è la follia dei figli di papà col rolex, con le felpe, le
scarpe firmate e i costosi caschi lasciati per terra per liberarsi del loro
camuffamento da talebani neri della rabbia satolla… ma sono cose note,
almeno da Genova, ed è imperdonabile che parte del movimento sia
contiguo e tolleri la presenza di questi provocatori in un corteo che parlava
– avrebbe dovuto parlare – di giustizia, sovranità alimentare, lotta allo
strapotere delle multinazionali del cibo e dell’agricoltura.
Per una mamma africana quello spreco finale, quelle fiamme insensate,
non sono meno scandalose del luccicante spreco dell’Expo che dovrebbe
parlare di cibo per tutti; per un contadino nepalese, se potesse distogliere
lo sguardo dalla macerie del terremoto, sarebbero solo l’altra faccia
dell’inspiegabile spreco occidentale.
Alla fine di un’ordinaria giornata di follia, insieme alle macchine di
qualche povero cristo e alle vetrine di qualche negoziante in crisi, sono
andate in fiamme e frantumi le ragioni di un intero movimento di
giustizia. I popoli che si voleva difendere, quelli con i quali si erano strette
faticose alleanze, sono tornati ad essere le folkloristiche comparse in
vestiti tradizionali di un grande spettacolo mediatico finanziato da Nestlè,
Coca Cola e McDonald, e che è stato santificato dal puzzo delle molotov.
L’immagine tranquilla delle migliaia di cittadini in fila per andare alla
mega fiera dell’Expo mentre in televisione scorrevano le immagini di una
guerriglia apparentemente priva di qualsiasi ragione (ma le ragioni ci
sono) è la più grande sconfitta degli organizzatori del corteo no-Expo e
della sinistra alternativa milanese e italiana. E’ esattamente quello che
volevano i black bloc, è quello che avevano ordinato i loro capi che hanno
in testa una strategia militaresca che viene attuata con una coordinazione
di azioni che non può essere frutto del caso.
Come invece è frutto del caso, dell’assoluta mancanza di organizzazione
politica, di una mancanza di leadership condivisa e riconosciuta, la
scellerata scelta di lasciare che una grande manifestazione pacifica, con
ragioni forti e nobili, sia stata lasciata massacrare, fatta a pezzi, irrisa,
masticata e rivomitata in una piazza da poche centinaia di teppisti spaccatutto che in altri tempi i servizi d’ordine della sinistra vera avrebbero
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messo a posto con ben assestati calci in culo.
Se i black bloc si tengono ben lontani dai cortei della FIOM un motivo ci
sarà; eppure questa sinistra si è velletariamente buttata in bocca alla
trappola preparata dai black bloc – una trappola annunciata e ormai
stranota nei suoi meccanismi di scatto – senza uno straccio di servizio
d’ordine, senza dimostrare di sapersi difendere dai suoi eterni nemici
nichilisti. Ed è inutile ora lamentarsi se i media hanno parlato solo delle
volenze del blocco nero, e ignorato le ragioni del movimento: funziona
così e far finta di non saperlo è un’altra cosa imperdonabile. Così si
permette di fare l’equazione black bloc = sinistra.
Però ci sono due verità che bisogna dirsi: la prima è che nel “movimento”
c’è una parte – minoritaria e forse contigua – che pensa che la rabbia
distruttrice dei black bloc non sia aliena alle ragioni di chi vuole un
mondo più giusto; la seconda è che la disorganizzazione e frammentazione
della cosiddetta sinistra radicale ha portato ad una situazione che, nella
scomparsa della sinistra “istituzionale”, rischia di essere semplicemente un
blob di sigle inconcludenti, gelose di un’autonomia che è quasi onanismo
e non in grado di esprimere un progetto condiviso a livello locale e
nazionale. Un comitatismo permanente che si scinde per convinzioni
contigue ma non condivise, quasi per sfumature, ed in grado di mettersi
insieme solo su obiettivi molto generali e al limite del generico. E’ così
che a questa mal rattoppata bandiera arcobaleno si è aggiunto un colore
non presente in natura: il nero.
Manca ora più che mai la politica vera, quella che organizza, che dà
obiettivi comuni e diffonde e difende un’idea condivisa. Manca chi non
solo dà voce ai lavoratori e ai meno fortunati, ma li organizza per
cambiare le cose, per conquistare il futuro, per cambiare il mondo che era
ingiusto prima dell’Expo e lo sarà anche dopo. Manca il partito del lavoro
nuovo e della nuova società, che la smetta con i feticci e dica come si esce
da una disuguaglianza crescente e da una crisi del capitalismo che genera
ingiustizia e giovani mostri con le maschere anti-gas che spaccano a
mazzate ogni possibilità di progresso, trasformando tutto in
un’impossibile lotta disperata contro il moloch liberista.
Manca una forza organizzata in grado di difendere la sua gente e le sue
ragioni, e di trasformarle in sentire comune. Speriamo che gli inutili
partitucoli della sinistra e gli improvvidi organizzatori di cortei con ottime
ragioni e pessima gestione se ne rendano conto, facciano un passo indietro
e liberino la sinistra del futuro di tutto questo ciarpame, nel quale si
rotolano con allegra ferocia da videogioco i neri teppisti che giocano a
distruggere la sinistra della speranza
Umberto Mazzantini da Greenreport.it
(fonte: Unimondo newsletter)
link:
http://www.unimondo.org/Notizie/I-black-bloc-e-la-Sinistra-incapace-didifendersi-150715
Politica internazionale
La politica estera del governo Renzi: solo vuote
parole (di Piergiorgio Cattani )
Mentre Matteo Renzi riesce a far approvare a colpi di fiducia la nuova
legge elettorale, raggiungendo un traguardo insperato, il governo nel suo
insieme non sembra in grado di affrontare le emergenze del momento. La
propaganda e la retorica vogliono evidenziare come con Renzi l’Italia
riaccende i motori: il giovane premier inaugura baldanzoso Expo
(circostanza fortunata), ma poi deve subire lo sciopero della scuola, la
scissione del PD, il record della disoccupazione, un’economia che non
riesce a ripartire. Renzi cerca di fare riforme, discutibili certamente, ma
comunque segno di una volontà di rinnovamento. È in politica estera però
che il governo delude maggiormente. Alcuni episodi recenti lo dimostrano
in maniera incontrovertibile.
In un aula “sorda e grigia”, il 24 aprile scorso, deserta dai deputati già
partiti per il consueto weekend lungo, il ministro degli esteri Gentiloni ha
informato i pochi onorevoli superstiti dal troppo lavoro sull’uccisione del
cooperante Lo Porto, colpevole di essere stato rapito da “terroristi” colpiti
da un drone americano. Lo Porto è vittima di “fuoco amico”, un effetto
collaterale della politica degli assassini “mirati” (una pratica fuori da ogni
regola e legge internazionale, ma ormai consueta, che si sta
pericolosamente diffondendo). Pochi giorni prima le pacche sulle spalle, i
sorrisi, i convenevoli, i saluti giovanilisti non si sprecavano tra Obama e
Renzi. Il nostro premier – come prima Letta, Monti, Berlusconi, Prodi,
Berlusconi – in visita alla Casa Bianca trovava grande riconoscimento per
l’azione dell’Italia e la solita retorica riservata a qualsiasi ospite. Tutti i
Presidenti USA fanno così, ma qualcuno da noi crede ancora nella
“enorme stima” americana verso una politica – la nostra – che faticano
pure a decifrare.
Renzi però è sempre così. Lo stile assomiglia davvero a quello di
Berlusconi. O del primo Craxi. Grandi proclami, poca concretezza; grandi
gesti, nessuna sostanza. E poi, spiace dirlo, il travisamento della realtà,
insuccessi spacciati per riconoscimenti del “ruolo internazionale” ritrovato
dall’Italia. L’episodio – imbarazzante e doloroso – dell’ostaggio ucciso è
soltanto l’ultimo, forse il meno grave data la prassi americana di non
guardare in faccia nessuno. Pensiamo alla questione terrorismo e alla
questione immigrazione. Davvero il quadro è scoraggiante.
A metà febbraio l’Italia stava per affrontare un’invasione. L’ISIS era alle
porte. La Libia a un passo dal diventare la nuova provincia del califfato di
Al Baghdadi. Arriveranno. Molto prima di quello che si credeva.
Addirittura prima delle previsione di Feltri e Sallusti. Sirte era conquistata.
Le minacce quotidiane. Il ministro Gentiloni, fresco di nomina, non si
spaventa. “L’Italia è pronta a combattere in un quadro di legalità
internazionale” – queste le prime dichiarazioni del ministro. L’Italia la
guiderà, parola di ministra della difesa, pardon della guerra, Pinotti.
Un’intervista del 15 febbraio della ministra (o ministro come si dica)
dimostra il livello generale dei nostri governanti. Un delirio farneticante,
affermazioni da dilettanti. Sembrava questione di ore per un intervento
militare: bisognava decidere se entrare o meno con le nostre truppe di terra
in Libia. Cinquemila uomini erano pronti.
E poi? Il nulla. Anzi la raffica – questa sì uscita da mitragliatrici ben oliate
– delle smentite, del non è vero, dell’azione militare come “opzione sul
tavolo” (altra espressione da pappagalli, tipica dei Presidenti USA
commander in chief quando stanno per bombardare qualcuno). Poi altre
dichiarazioni sulla priorità della diplomazia, sul grande ruolo dell’Italia
nel Mediterraneo… Infine l’attenzione scema, la Libia è ancora uno Stato
“fallito” con due governi, con varie presenze di gruppi “terroristici”, con
l’ISIS che mette qualche bandiera nera e lancia qualche proclama contro il
povero ministro “piacione” Gentiloni che diventa un improbabile crociato.
Passiamo alla cosiddetta emergenza sbarchi. Va dato atto che questo
governo non tratta i migranti come pericolosi assalitori e cerca di salvare
quante più vite umane possibili. Probabilmente però a spingere in questa
direzione sono le continue denunce di papa Francesco piuttosto che una
precisa volontà politica. Perché, concretamente, vere soluzioni non si
mettono in campo. Meglio la retorica. Le parole vuote. Il nemico assoluto
c’è: sono gli “scafisti”. I nuovi spregevoli mercanti di essere umani.
Quando pronunciava queste parole il viso teatrale di Renzi cercava la
massima espressione di indignazione, salvo poi ridere salutando Angela,
Francoise o David – come orrendamente chiama i primi ministri ai vertici
europei. Occorre colpire le navi degli scafisti. Come? Magari con il drone
che ha ucciso Lo Porto? Pensiamo a un blocco navale. Per fare cosa? Per
salvare meglio i naufraghi piazziamo corvette pronte a sparare agli
scafisti. Renzi è riuscito a convocare apposta un vertice europeo sulla
questione: bravo, ma gli esiti sono stati totalmente deludenti.
Questa è la nostra politica estera. È così da anni. Rimpiangiamo davvero
Prodi. Adesso la situazione è molto peggiorata. Qualcuno ricorda che cosa
ha fatto Renzi durante la sbandierata presidenza italiana dell’Unione
Europea? Qualcuno sa che cosa sta facendo “l’alto commissario” della
11
politica estera UE Mogherini? Ma il problema sono le parole al vento del
nostro governo a suscitare apprensione.
Piergiorgio Cattani
Nato a Trento il 24 maggio 1976, dove risiede tuttora. Laureato in Lettere
Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005)
presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero
professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Fa parte
della Fondazione Fontana Onlus dal 2010. Dal 2013 è direttore del portale
Unimondo. È attivo nel mondo del volontariato e della cultura come
presidente dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi
su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri
inerenti ai suoi campi di interesse.
(fonte: Unimondo newsletter)
link: http://www.unimondo.org/Notizie/La-politica-estera-del-governo-Renzi-solovuote-parole-150737
Questione di genere
Se il linguaggio cambia l'ordine del mondo (di
Margherita Sabrina PerraElisabetta Ruspini)
Il linguaggio costituisce un elemento centrale nella definizione delle
identità individuali e collettive. Una consapevolezza che emerge
dall’esperienza biografica, ma anche dalla cultura popolare, dalla
letteratura, dalla musica. Come dimenticare la narrazione fatta da Elias
Canetti[1] sul modo un cui la lingua materna ha intrecciato le biografie
dell’autore e di sua madre, non solo nella vita quotidianamente condivisa,
ma anche nei ricordi e nelle esperienze dell’intera vita dello scrittore?
Il linguaggio, formato da complessi codici di comunicazione (segni
verbali, diretti e indiretti, e non verbali – ad esempio gesti, espressioni del
volto, posture, movimenti del corpo, abbigliamento – come Erving
Goffman[2] insegna, tutti di importanza strategica) consente di
comunicare con noi stessi/e con gli/le altri/e, al contempo, di definire la
realtà, nominandola, raccontandola, descrivendola e interpretandola. In
ogni tempo, in ogni luogo, si impiegano e si intrecciano linguaggi diversi
che, in forma scritta, orale, grafica, per immagini e suoni, non solo
simboleggiano e rappresentano la realtà sociale, ma costruiscono gli
elementi materiali e immateriali della cultura, oltre che i sentieri delle
realtà possibili e di quelle futuribili.
Il linguaggio è poi, come Peter e Brigitte Berger sostengono[3],
l’istituzione sociale per eccellenza, costituendo un modello regolatore che
la società impone alle condotte individuali, un codice di comportamento
sul quale si radicano le altre istituzioni.
Queste considerazioni sono condivise anche nella cultura popolare. Un
vecchio adagio sentenziava “dimmi come parli e ti dirò chi sei” lasciando
intendere che il linguaggio segnala le appartenenze di ciascuno: il genere,
la classe sociale, il gruppo etnico, ma anche l’esperienza biografica sono
segnalate dai nostri usi linguistici. Nella vita quotidiana, i linguaggi
segnano i confini e le similitudini, ma ancora di più le distinzioni sociali;
inoltre, i linguaggi rafforzano le disuguaglianze e le reificano descrivendo
le realtà sociali come naturali, immanenti e immutabili. Gli esempi di
questi processi sono tanti: nelle relazioni familiari i linguaggi esprimono
l’intimità, l’amore, ma anche i conflitti e le disparità; nei gruppi dei pari, i
linguaggi sono convenzioni che definiscono l’appartenenza, ma troppo
spesso anche i processi di esclusione dei non-membri; nelle organizzazioni
sociali i linguaggi possono ridisegnare le mappe dei rapporti di dominio,
ma anche edificare barriere insormontabili; i linguaggi del potere politico
definiscono la cittadinanza, e con essa chi non ha o non può chiedere
diritti, e più di tutto le modalità che conducono tanti e tante ad essere
stranieri/e ogni giorno. Come nel passato, e forse mai prima d’ora, gli usi
linguistici non solo definiscono le comunità dei/delle parlanti, ma sono
considerati gli strumenti attraverso i quali queste possono essere estese e
ridefinite.
L’incessante capacità creatrice riconosciuta al linguaggio ha fatto e
continua a fare di quest’ultimo un medium del potere (individuale, di
gruppo, istituzionale) e per questo non esente dal conflitto e dalla lotta per
il dominio. Nella contemporaneità, le capacità comunicative sono
considerate distintive delle leadership politiche, culturali e religiose. Se in
passato era la retorica a rappresentare la modalità espressiva privilegiata di
questi processi, negli ultimi anni, si apprezza l’uso dei linguaggi
finalizzati al rafforzamento delle gerarchie negli ordinamenti sociali,
prime fra tutte quelle che originano dalle differenze tra corpi sessualmente
definiti. Le profonde – benché parziali – trasformazioni delle
rappresentazioni sociali del genere e dell’orientamento sessuale avvenute
negli ultimi decenni si accompagnano a modesti cambiamenti degli usi
linguistici del tutto inadeguati e non ancora stabilizzati sia sul piano
pubblico-istituzionale, sia su quello individuale.
Non solo. La maggiore visibilità di soggettività considerate non conformi
alle norme sociali prevalenti è ritenuta, in tante società, un pericoloso
attacco ai sistemi di genere socialmente preferiti ed incoraggiati. Per
queste ragioni, la presenza nello spazio pubblico delle donne e dei soggetti
che esprimono identità di genere non egemoni deve essere rallentata,
ostacolata e, in primo luogo, occultata.
Questo processo di negazione si manifesta anche nella scelta di linguaggi
declinati persistentemente al maschile e che simboleggiano gerarchie
sociali fortemente patriarcali. A tale proposito, negli ultimi tempi, anche in
Italia, sembra in corso qualche mutamento. È caso della lettera inviata, in
occasione dello scorso 8 marzo, a tutti i Deputati e le Deputate, dalla
Presidente della Camera, che esorta all’uso dei femminili nell’indicazione
dei ruoli politici, degli incarichi amministrativi e istituzionali. Si tratta
evidentemente di un gesto di grande valenza simbolica, soprattutto perché
interviene a spezzare il legame tra linguaggio e sistemi simbolici condivisi
dai/delle parlanti rispetto ai ruoli attribuiti al maschile e al femminile. Il
riconoscimento della presenza delle donne nelle istituzioni è il primo
passo verso la de-costruzione delle rappresentazioni culturali che ancora
riguardano il binomio genere-potere.
Seppure la deriva culturalista e il linguistic turn, in particolare, abbiano
rischiato di fare credere che le disuguaglianze fossero oramai soltanto un
problema linguistico, vi è oggi una maggiore consapevolezza del fatto che
queste persistono in ragione dell'iniqua distribuzione delle risorse
materiali e immateriali e del potere che ad esse viene attribuito. La
dimensione simbolica delle disuguaglianze non deve essere trascurata.
Anche se vi è una maggiore sensibilità rispetto all’uso sessista del
linguaggio, la sua portata è ancora sottovalutata perché non si mettono in
discussione le visioni del mondo che queste nascondono rispetto alla
mascolinità e alla femminilità, oltre che a identità di genere e orientamenti
sessuali. Alcuni tra questi sono definiti sovvertitori degli ordinamenti
sociali considerati legittimi perché costruiti su differenze 'naturali' o, più
precisamente, incorporate. Per questo tutti i tentativi di costruire e
diffondere nuove culture di genere, anche mediante i linguaggi, sono
osteggiate mediante la mistificazione del potere del linguaggio nella
costruzione di rappresentazioni sociali, dei sistemi simbolici e degli
universali culturali.
Si parla così del linguaggio come di un fattore eversivo se usato per
cambiare 'l’ordine naturale del mondo' e finalizzato alla costruzione di
società 'non umane'. A tale proposito si può ricordare che già dalla fine
degli anni ’90, il Vaticano ha intrapreso una campagna di discredito nei
confronti degli studi di genere. A detta delle gerarchie cattoliche che,
coadiuvate da alcune decine di "esperti", hanno pubblicato nel 2003 il
Lexicon dei termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche,
tali ricerche opererebbero attraverso una "manipolazione linguistica" per
sovvertire "l’alfabeto dell’umano" e produrre la "colonizzazione della
natura umana"[4]. Di recente, come già segnalato su questa rivista da un
articolo di Barbara Poggio, queste posizioni si stanno ampliando in vere e
proprie forme di controllo e censura rispetto ad una fantomatica “ideologia
del genere” la cui unica colpa sembra essere quella di volere de-costruire i
tanti pregiudizi sui generi da cui originano fenomeni di violenza, bullismo
12
tra i/le più giovani, linguaggi e comportamenti omofobici/transfobici. Al
di là delle motivazioni religiose che hanno innescato l’allarme di una parte
del mondo cattolico e dell’associazionismo ad esso legato – soggetti, ai
quali, come tutti, deve essere riconosciuta la piena libertà di espressione –
questi comportamenti assumono i contorni sempre più nitidi di una vera e
propria crociata. Essa ci appare ingiustificata e scarsamente comprensibile
soprattutto perché, quali che siano i nobili valori che la ispirano, produce e
produrrà il rafforzamento di disuguaglianze sociali basate sulle
appartenenze di genere e di orientamento sessuale che impediranno a
uomini e donne di esprimere pienamente le proprie soggettività.
NOTE
[1] E.Canetti, La lingua salvata. Storia di una giovinezza, Adelphi, 1991,
15 edizione.
[2] E Goffman, Relations in Public: Microstudies of the Public Order,
New York: Harper and Row, 1971. Trad it. Relazioni in pubblico.
Bompiani 1981.
[3] P.L. Berger, B. Berger, Sociology: A Biographical Approach, New
York, Basic Books, 1975.
[4] Consiglio Pontificio per la Famiglia, 2003
(fonte: InGenere: donne e uomini per la società che cambia)
link: http://www.ingenere.it/articoli/se-il-linguaggio-cambia-ordine-del-mondo
Notizie dal mondo
Palestina e Israele
Primo accordo tra Vaticano e Stato di Palestina. È
un riconoscimento ufficiale (di Redazione Nena
Newsletter)
Il trattato deve essere ancora siglato dalle parti, ma l’intesa sul testo è stata
raggiunta. Delusione di Israele. Nel week end Abbas incontrerà Papa
Francesco.
Dal Vaticano arriva il via libera al primo accordo con lo Stato di Palestina.
Un riconoscimento che ha fatto infuriare Israele.
Il trattato, infatti, apre una nuova pagina nei rapporti tra la Santa Sede e i
palestinesi, ma soprattutto riconosce la Palestina. L’intesa sul testo è stata
raggiunta e sarà siglata a breve, dopo l’approvazione delle rispettive
autorità.
Il ministero israeliano degli Esteri si è detto “deluso”, aggiungendo che
“una tale decisione non riporterà i palestinesi al tavolo del negoziato”
Intanto, sabato il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas (Abu Mazen), sarà
ricevuto dal Papa e domenica assisterà alla canonizzazione, in San Pietro,
delle prime due sante palestinesi. I due eventi sono “indipendenti”, ha
sottolineato il Vaticano.
Nel 2012, la Santa Sede accolse con favore la decisione dell’Assemblea
generale dell’Onu di riconoscere lo Stato di Palestina, ma il trattato ha il
valore legale di documento negoziato tra le parti, e quindi costituisce un
riconoscimento ufficiale.
Nena News
(fonte: Nena News - agenzia stampa vicino oriente)
link:
http://nena-news.it/primo-accordo-tra-vaticano-e-stato-di-palestina-e-unriconoscimento-ufficiale/
Associazioni
Iniziative
Il sole filtra... anche dalle sbarre: il volontariato
visto da chi è stato accolto (di AVAA)
Venerdì 22 maggio prossimo, alle ore 21.15, a Massa, presso la Villa della
Rinchiostra, in Via Mura della Rinchiostra Nord, si terrà l'ultimo degli
appuntamenti del ciclo "L'incontro con l'altro... oltre il pregiudizio e i
timori", organizzati dall'Associazione Volontari Ascolto e Accoglienza.
Il tema che verrà approfondito venerdì sarà "Il sole filtra... anche dalle
sbarre: il volontariato visto da chi è stato accolto"; ci accompagnerà in
questa riflessione Pompeo Giannini, scrittore che abita a Firenze, a partire
proprio da alcune esperienze di accoglienza che esistono in questa città.
La storia personale di Pompeo ci offre l'occasione unica di riflettere sul
tema dell'accoglienza partendo dalla prospettiva e dal punto di vista di chi
in prima persona si è trovato a chiedere aiuto e a fruire di servizi offerti
dal volontariato.
Troppo spesso infatti, sia nel terzo settore che nelle strutture pubbliche,
tendiamo a modellare i servizi proposti in base ai nostri parametri, a
rileggerli poi sempre a partire dal nostro punto di vista, a valutarli infine in
rapporto alle nostre chiavi di lettura.
Troppo spesso riduciamo il nostro obiettivo all'erogazione di un un
servizio, rischiando di non avere cura della persona che abbiamo di fronte,
più disponibili a cercare di risolvere la richiesta immediata di aiuto che ad
ascoltare la complessità di bisogni di cui è portatrice quella persona.
Troppo spesso costruiamo e organizziamo servizi a nostra immagine e
somiglianza, senza tenere conto delle persone che vi si rivolgono, della
loro vita, dei loro bisogni, e della necessità di rendere quei luoghi
accoglienti e inclusivi.
L'iniziativa di venerdì vuole invece dare voce a chi quei servizi li ha
utilizzati e può leggerli, quindi, dall'altro punto di vista, aiutando anche
noi a cogliere prospettive e angolazioni nuove con cui vivere il nostro
approccio all'altro, costruendo relazioni più significative e renderendo più
caldi e umani gli spazi in cui operiamo.
In tale ottica l'appuntamento del 22 non è rivolto solo a volontari od
operatori, ma è un'occasione preziosa per riflettere e confrontarci sulle
nostre capacità di accoglienza, sia a livello personale che di strutture.
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2276
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Notiziario settimanale n. 535 del 22/05/2015