Gli Stereotipi ed i Folk-models alimentari Cultura, Tradizione, Cibo Il Mercato di Ballarò La Tradizione cerimoniale Storyboard Il Mercato Verifica modulo project work Misura d’uomo La Tradizione a tavola La nostra esperienza rielaborativa… A Tavola con le culture altre Il Crudo e il Cotto Cibo e comunicazione Corso IFTS Cipe Corso IFTS CIPE Valorizzazione dei Prodotti Tipici e della Cultura Enogastronomica Tradizionale PROJECT WORK “A tavola con la tradizione” Docente Prof.ssa Annamaria Amitrano Tutor di campo Dott. Giovanni Badagliacca Tutor d’aula Valentina Martorana La classe Boscaino Sandra, Calaiò Loredana, Faugera Ettore, Ferrante Tiziana, Ferrara Rita, Girgenti Ignazio, La Mattina Fabio Mario, Li Mandri Anna Lisa, Lo Bianco Stefania, Marino Alexandra, Prestigiacomo Girolamo, Prestigiacomo Rosalia, Puglisi Luigi, Vasta Gianmarco La classe GRUPPO DI ELABORAZIONE Ferrante Tiziana Vasta Gianmarco Cultura, tradizione, cibo VALORIZZAZIONE DEI PRODOTTI TIPICI TRADIZIONALI cultura, tradizione, cibo Significato moderno di “CULTURA” Complesso di conoscenze, tradizioni e saperi che si considerano fondamentali e che si trasmette alle generazioni successive TRADIZIONE Sostantivo latino derivato dal verbo tradere, che significa affidare, consegnare, trasmettere Senso traslato di tramandare, trasmettere ricordi e memorie da un’epoca all’altra; quindi trasmissione nel tempo Nel linguaggio di tutti i giorni indica una consuetudine di comportamenti o di credenze che si tramanda nel tempo, come quando affermiamo che alcune feste o determinati usi hanno una tradizione secolare TERRITORIO Il territorio è lo spazio in cui si insedia l’uomo che lo difende fortemente e lo abbandona solo in caso di forza maggiore. Il territorio definito come habitat contiene elementi fortemente identitari. Esso non è soltanto uno spazio geografico, ma rappresenta un capitale in termini di natura ed ambiente, da cui l’uomo trae spunti per elaborare schemi culturali. IL CRUDO E IL COTTO Gli uomini primitivi si cibavano prevalentemente di tuberi, bacche e frutti spontanei. Sapevano individuare i nidi degli uccelli per mangiarne le uova. L’apporto calorico era dato anche dalla capacità che essi avevano di succhiare il midollo delle ossa delle carcasse. Attorno al fuoco nacque la parola per raccontare la caccia. Studiando gli ominidi, si è scoperto – attraverso i loro denti, gli attrezzi, i resti dei falò e della caccia – come mangiavano, cacciavano, pensavano. LA CONSERVAZIONE DEI CIBI Si definisce conservazione il modo attraverso cui si preservano gli alimenti dall’inevitabile processo di deterioramento. Tali modi sono: DISIDRATAZIONE ED ESSICCATURA AFFUMICAMENTO SALAGIONE REFRIGERAZIONE CONGELAMENTO STERILIZZAZIONE TRAMITE IL CALORE ANTISETTICI CONSENTITI DALLA LEGGE TIPICITA’ DEI PRODOTTI Il concetto di tipico richiama altri elementi relativi ai concetti di caratteristico e distintivo. Il prodotto tipico deve avere caratteri di originalità che permettono di distinguerlo da altri prodotti similari. Nella connotazione dei prodotti tipici tradizionali si fa riferimento al luogo come luogo di produzione originario. La produzione tipica, quindi, deve essere specifica di un territorio e non di un altro. CONCETTO DI ECO-ERGO-SISTEMA L’ eco-ergo-sistema è l’esito delle interrelazioni che si determinano tra l’uomo e l’ambiente in cui vive dal momento che egli, per sopravvivere, incide culturalmente sulla natura in cui vive. Tale incidenza si può configurare come l’elemento perturbatore dei vari ecosistemi: ambientale vegetale faunistico MISURA D’UOMO A fronte di un iniziale equilibrio frutto di un prelievo delle risorse naturali estremamente controllato, perché esito di un intervento a misura d’uomo, oggi sono visibili gravi alterazioni degli ecosistemi sopra citati. La misura d’uomo si parametra su l’equilibrio delle esigenze di consumo e sulla forza trasformativa che deve essere di tipo manuale. Oggi si è interrotto il circuito virtuoso di un prelievo legato al consumo di sussistenza, per rispondere ad uno sfruttamento delle risorse ambientali, vegetali e faunistiche legate alle esigenze di un mercato globale. MERCATO Istituzione economica organizzata per promuovere lo scambio dei prodotti e facilitarne la distribuzione. Il termine in origine nasce proprio per sottolineare lo scambio di generi alimentari. Esso ha lo scopo di adattare la produzione dei beni ai bisogni dei consumatori. Il consumatore sceglie i prodotti e i servizi in funzione dell’evoluzione del gusto e del progresso tecnico e in base ad una valutazione dei propri bisogni. Il mercato consumistico non ha alcun legame con la tradizione o i prodotti territoriali tipici. Esso induce ad un consumo quantitativo e non qualitativo. I PRODOTTI TERRITORIALI DI NICCHIA Il concetto di prodotto di nicchia rimanda ad una visione tradizionale del mercato, quando l’operazione di scambio dei generi alimentari era governata dal baratto. Si producevano pochi prodotti: originali perché originari; cioè strettamente legati al territorio e frutto dei processi produttivi (tecniche di lavoro) assolutamente artigianali. Oggi si tende a valorizzare tali prodotti attraverso marchi di qualità (DOC, DOP, etc…), anche se per essi si pongono problemi di costo elevato e di commercializzazione. MERCATO MULTICENTRICO I costi elevati sono dovuti alla eccezionalità del prodotto artigianale rispetto ad una equivalente produzione industriale. La commercializzazione richiede la scelta di una pluralità di mercati, dove finalizzare i propri prodotti. Questi, essendo di costo elevato, non possono essere assorbiti dal corrente consumo di massa. Bisogna cioè progettare un mercato multicentrico DIVULGAZIONE, DIFFUSIONE, VALORIZZAZIONE Il progetto di divulgazione e diffusione dei prodotti tipici tradizionali si lega alla capacità di incidere sulle scelte di mercato dei consumatori, che devono essere indotti a conoscere e consumare tali prodotti “di nicchia” attraverso le più moderne forme di pubblicità e di marketing. LA VALORIZZAZIONE DEI PRODOTTI TIPICI TRADIZIONALI La valorizzazione dei prodotti tipici tradizionali deve collegarsi a forme di diffusione sostenute da indagini di mercato volta a vendere la qualità intrinseca di tali produzioni alimentari. Tale qualità si articola su almeno 3 punti: 1) Conoscenza della tipicità dei prodotti 2) Conoscenza delle tecniche di lavoro tradizionali che si sono sviluppate nel tempo per la produzione di tali prodotti 3) Conoscenza della relazione storica che si è determinata nel tempo tra il territorio e la cultura trasformativa dell’uomo IL MERCATO DI BALLARO’ “… non è dunque discutibile la funzione dei mercati come snodi decisivi della storia dell’uomo...” Basti pensare che non sono stati e non sono luoghi solo per l’esercizio della vita economica delle comunità interessate. “… Scambiare beni materiali significa anche scambiare beni immateriali: parole ed idee, usi e costumi, quanto chiamiamo cultura…” … una passeggiata fra le bancarelle di questo mercato è l’occasione per esplorare la Sicilia del passato, ritrovare gli odori e i sapori… Che lo scambio di merci sia quanto meno uno dei fattori essenziali del processo di civilizzazione, è provato dallo sviluppo che ebbero le prime grandi concentrazioni urbane, dell’area Mesopotamica per passare subito dopo ai primi regni dei Sumeri e degli Assiro - Babilonesi. L’agricoltura, come sistema produttivo primario, ha determinato il progressivo passaggio dal nomadismo alla stanzialità. Ha determinato anche l’esigenza della conservazione delle eccedenze produttive, come riserva da consumarsi nel corso dell’anno o in presenza da qualcuno. Il mercato porta alla nascita del valore simbolico dei prodotti; alla nascita della moneta e alla nascita dei soggetti impegnati nella intermediazione: mercanti, trasportatori, addetti a vario titolo a regolare e gestire le dinamiche di scambio. Il mercato si afferma come snodo decisivo della storia dell’uomo. Scambiare beni materiali significa anche scambiare beni immateriali: parole e idee, usi e costumi, quanto chiamiamo cultura. Nel cuore dell’Albergheria nasce, il mercato di Ballarò tra i più antichi mercati risalente all’epoca araba, che viene cosi chiamato da Bahlara, villaggio presso Monreale da dove provenivano le merci. Secondo la testimonianza del viaggiatore arabo Ibn Hawqual, già nel X secolo esisteva un grande mercato proprio dove oggi si trova Ballarò; anche se il documento più antico dove si trova citato è un documento notarile del 1287. Il nome deriva – secondo Michele Amari – dall’arabo suq-al Balarî, ed indicava il luogo dove vendevano le loro mercanzie i contadini provenienti dal casale Balarâ, nei pressi di Monreale. Una passeggiata fra le bancarelle di Ballarò è l’occasione per esplorare il passato e la tradizione del cibo. Ritrovare gli odori e i sapori e per vedere come le strade sono invase da cassette di legno con dentro la merce che viene continuamente abbanniata Le strade sono affollate di gente. Le cassette di legno si affacciano sulla strada. Le merci vengono continuamente abbanniate… Lo stile è quello delle città arabe con una interferenza tra lo spazio esterno dove sono esposte le merci e quello interno della bottega I colori, le forme, la qualità dei prodotti segnalano il trionfo del territorio palermitano. TUTTI INSIEME AL MERCATO DI BALLARO’ Stage 4/10/08 Le Nostre esperienze Tiziana Ferrante Il 4/10/08 siamo andati al mercato di Ballarò con il tutor Badagliacca per conoscere e scoprire quali sono i prodotti tipici della nostra terra. Quel giorno è stato molto formativo per la mia conoscenza, perché ho visitato un posto mai visto prima, che fa parte della cultura palermitana. Con l’aiuto del tutor, nonostante la pioggia, abbiamo visto la vera “Palermo” con i suoi difetti e i suoi pregi. Ho percepito che in questo luogo si rivive la tradizione della Sicilia, i suoi odori, la sua tradizione e i suoi sapori. Quello che più mi ha colpito è stata la gente che, con una “sbalorditiva disinvoltura”, interagiva con gli altri. In poche parole non aveva nessun riguardo nel non urlare, nel chiacchierare, nel “fare confusione”, usando una dialettica tipica delle vecchie borgate. Nonostante ciò l’ambiente colpisce subito, non solo per le persone, ma anche perché le bancarelle con i loro colori accesi creano un’atmosfera strana che suscita allegria. Ignazio Girgenti Il 4 Ottobbre, io e la classe del corso I.F.T.S, sotto il consiglio della nostra insegnante di corso AnnaMaria Amitrano e in collaborazione con il tutor Giovanni Badagliacca siamo stati al mercato di Ballarò, icona importantissima dell’identità gastronomica e non, palermitana. Ci siamo cimentati nell’andare a trovare, gli Elementi-Alimenti che caratterizzano il nostro territorio. E’ stato un modo per conoscersi in un ambiente non scolastico e anche per cerare di studiare ed approfondire le varie tipologie di lavorazione, esposizione e vendita di vari prodotti. Ovviamente il posto è molto suggestivo ,vi si trovano una vastità immensa di colori ,odori , sapori che si intrecciano perfettamente l’uno con l’altro. Io personalmente provo una forte emozione ogni volta che vi faccio ritorno, specialmente quando qualche odore mi riporta indietro nel tempo; ed è molto bello. E’ curioso vedere come la gente stia li, non solamente di passaggio per acquistare quello che serve e poi ritornare a casa, ma viverci, stare qualche minuto in più, dialogare su come possa essere cucinato quell’alimento, a volte anche alterandosi o innervosendosi per un pensiero diverso l’uno dall’altro, per una modalità di cottura o preparazione di un piatto tipico. Anche questo, oltre la vendita, fa parte del mercato di Ballarò. Secondo me la suggestività del luogo la identifica soprattutto. Pane ca meusa, frittola, mussu, caiccagnolo e lingua, stigliola… solamente a nominarli viene la acquolina in bocca; pensa se li dovessimo mangiare tutti… ci vulissi un portafoglio chinu ri picciuli ! Cosi avrebbe detto quel vecchietto seduto in disparte davanti alla classica taverna, con il suo bicchiere di vino, gustato come se fosse l’ultimo, ma invece era solo il primo della lunga giornata . Anche questo ne fa un pezzo di Ballarò. Oltre i colori gli odori e i sapori che si intrecciano, è realmente testato che anche il singolo scarto di broccolo sotto la bancarella di frutta e verdura mi suggestiona . Sono sicuro di ritornare ancora una volta a Ballarò. Anna lisa Li Mandri Il 4 - 04 - 08 noi ragazzi del corso I.F.T.S ci siamo recati ad uno dei mercati storici palermitani: “BALLARO”. Già altre volte io ed i miei compagni eravamo stati al mercato ma ovviamente questa volta è stata diversa. Il nostro scopo è stato quello di riscoprire, attraverso prodotti e ambienti, ciò che di tipico e tradizionale ancora si conserva in mercati come questi. L’esperienza ha risvegliato tutti i nostri sensi: le urla dei venditori che incitano all’acquisto, gli odori che si susseguono ad ogni passo, i colori accesi che dipingono la via… Infine abbiamo degustato qualche pietanza tipica. Per concludere, il percorso ci ha permesso di conoscere e saper individuare i prodotti e pietanze tipiche palermitane. Girolamo Prestigiacomo Visitando Ballarò si può notare la confusione che c’è per strada. I passanti si fermano lungo la via per comprare e sentire i commercianti che abbanniano la propria merce. Il pescivendolo: avimo i sardi frischi frischi facitivi a pasta. Il fruttivendolo: u’ finucchieddo! facitivi a pasta cu i sardi! Addentrandosi sempre di più nel cuore del mercato si sentono armonie di profumi che confondono i nostri sensi e le grida di tutti ci distraggono. E’ come trovarsi in una guerra tra commercianti e compratori, a chi ha i prodotti migliori per prezzo e freschezza. Verso l‘ora di punta si nota la calca di uomini e ragazzi davanti a una cesta: è il frittolaro che vende panini. La confusione circonda anche il mevusaro che vende le sue splendide focacce ca’ meusa. Rosalia Prestigiacomo La mia esperienza al mercato di Ballaro’ è stata abbastanza positiva. In questo mercato si respira la tipicità e la semplicità di un ambiente prettamente legato all’antica cultura palermitana. Si trova di tutto, ed è impossibile tralasciare qualcosa, perché i venditori con la loro abbanniata si fanno sempre sentire. Le numerosissime bancarelle offrono frutta fresca, verdura, pesce e tante specialità… Non mancano le piccole trattorie, dov’è possibile degustare tutto ciò che la cucina palermitana può offrire, dai primi piatti ai dolci e tanto altro. Gianmarco Vasta Quando sono stato a Ballarò pioveva e per affrontare quella giornata mi sono dovuto alzare di prima mattina. Fra le bancarelle di Ballarò è stata occasione per un’esplorazione nel passato dell’Isola, non quello dei grandi uomini e delle famose battaglie, ma quello degli uomini della strada che, esattamente come noi, dovevano nutrirsi ogni giorno e avevano le loro predilezioni e le loro debolezze. Con un uso di origine araba, la strada è letteralmente invasa da cassette di legno che contengono la merce che viene continuamente abbanniata; pochi ne comprendono il significato letterale, ma tutti sanno che quelle grida, cantilenate con cadenze orientali, intendono reclamizzare la buona qualità e il buon prezzo dei prodotti. Davanti a un’osteria di Ballarò, mi sono incuriosito per un grande cesto coperto da uno straccio a quadri bianchi e blu. Gli irriducibili “aficionados” del cibo di strada sanno che in esso si tengono in caldo i grassi di maiale, la cosiddetta frittola, che, insieme al musso e alla quarume, sono cibi apprezzati dagli iniziati. Nel mercato, inoltre, si aggira il venditore della riffa, lotteria organizzata fra gli abitanti del quartiere. Non lontano da Ballarò, le piccole fabbriche a conduzione familiare producono cannoli, caramelle di carrubba, candele. I pochi artigiani che ancora impagliano sedie e fabbricano setacci (crivi), ci danno un’idea, a dire il vero un po’ pallida, delle arti e dei mestieri che arricchivano un tempo la vita del centro storico di Palermo. Beh non credo ci sia in giro un mercato più caratteristico della città di Palermo in grado di rappresentare tanti prodotti tipici riuscendo ad esaltare la grande storia culinaria e non del nostro paese. Abbiamo trovato… Antipasto siciliano (acciughe,olive, tuma, pomodori secchi, caciocavallo, salame) Babbaluci a’ picchipacchi Cipollata (cipolle rosse e bianche) Crocchè Estratto di pomodoro Fichi d’india Frittola Melenzane (prodotti ed ortaggi stagionali) Mussu Origano Pomodori essiccati Pane ca’ meusa Panelle Polpo bollito Quarume Rascatura Sarde (pesce azzurro) scacciu Sfincione Stigghiola Strutto Solamente a nominarli questi alimenti – elementi viene la acquolina in bocca. Pensa se dovessimo mangiarli tutti, ci vulissi un portafoglio chinu ri picciuli. Cosi avrebbe detto quel vecchietto seduto in disparte davanti alla classica taverna, con il suo bicchiere di vino, gustato come se fosse l’ultimo! Invece era solo il primo della lunga giornata! Anche questo è un pezzo di Ballarò. Oltre ai colori, agli odori e ai sapori che si intrecciano nel mercato, è realmente testato che, anche il singolo scarto di broccolo sotto la bancarella di frutta e verdura suggestiona. Sono sicuro di ritornare ancora una volta a Ballarò. e poi i dolci… Cannoli Cassata al forno Pasta reale Ma Ballarò non offre solo specialità culinarie, ma anche cultura, infatti sono presenti chiese di grande bellezza tra cui Casa professa. Inoltre, è possibile acquistare arnesi da lavoro usati, vestiti, scarpe. e con essi cuciniamo… babbaluci a picchipacchio Ingredienti: babbaluci (lumachine) - pomodori maturi - cipolle - olio di oliva - crusca - sale e pepe. Mettere le lumache in una scatola di cartone bucherellata, con un pò di crusca sul fondo al fine di farle spurgare per una intera settimana. Oppure acquistarle già spurgate. Quindi lavarle in acqua corrente e poi in acqua e aceto, cambiandola spesso, finchè non faranno più schiuma. Metterli in una pentola, coprirli con acqua e farli cuocere a fuoco lento. Intanto, in un tegame si sarà fatto appassire nell'olio la cipolla tritata e i pomodori a tocchetti. Salare, pepare e lasciare cuocere per 15 minuti circa. Versare la salsa ottenuta sulle lumache ben sgocciolate, e cuocere ancora, mescolando il tutto per almeno altri 5 minuti. La variante più nota e maggiormente adoperata nel palermitano, spesso nel periodo di ferragosto, è quella dei babbaluci fatti solo con aglio e prezzemolo. cipollata Preparazione Sbucciare le cipolle ed affettarle, quindi metterle in una casseruola assieme all'olio. insaporire, senza soffriggere, salare, pepare ed unire il pomodoro. Cuocere a fuoco basso, per almeno un'ora, versando acqua a poco a poco, in modo da ottenere una minestra non troppo liquida da servire con fette di pane abbrustolito. Ingredienti 400 gr di cipolle, 100 gr di pomodoro passato, cinque cucchiai di olio extravergine d'oliva, pepe, sale crocchè I cazzilli sono delle piccole e soffici crocchè di patate che devono il loro nome alla loro caratteristica forma fallica. Rappresentano una delle pietanze di strada più tipiche del palermitano, derivano dalla combinazione di pochi e poveri ingredienti, capaci tuttavia di deliziare il palato. Il più delle volte accompagnano le panelle all'interno delle classiche pagnotte, creando in tal modo un connubio perfetto. In qualsiasi friggitoria palermitana che si rispetti, sia fissa che ambulante, i cazzilli non mancano mai e sono tra gli alimenti più gettonati. I cazzilli sono una sorta di supplì di patate semplificati, ottenuti setacciando un kg. di patate bollite e aggiungendo alla purea piuttosto denza poco aglio tritato, prezzemolo, sale e pepe. Si formano poi delle crocchette ovali, che si friggono in olio di semi ben caldo. Nella Sicilia Orientale usano passare crocchette nella chiara d'uovo battuta e nel pangrattato, prima di friggerle. La friggitoria offre piatti che rientrano nell’ambito del cibo di strada e uno dei motivi per cui ormai rappresenta una caratteristica imprescindibile della città di Palermo è da imputare al fatto che contenga e concili in sé due elementi altrove e in altro modo inconciliabili: la rapidità e la comodità tipica del fast food e la bontà, il gusto, il rispetto per le pietanze, per la loro stagionalità e le loro origini locali sostenuta dallo slow food. La friggitoria offre infatti la possibilità di gustare non soltanto alimenti tipici della cultura culinaria siciliana, ma anche le loro versioni originali nella loro semplicità e nelle loro caratteristiche più tipiche. Se i protagonisti indiscussi sul bancone di ogni friggitoria sono le panelle e le crocchè, non mancano, quando le stagioni lo permettono le cosiddette quaglie. Nella gastronomia palermitana il nome quaglia non ha nulla a che vedere con il settore ornitologico, ma si riferisce piuttosto alla melanzana interamente fritta nell’olio. melanzane Togliete il gambo delle melanzane e, dalla parte opposta, senza sbucciarle, tagliate 4 fette parallele tra loro, senza completare il taglio sino in fondo. In senso normale alle prime, tracciate altri 4 tagli in modo che la melanzane risulti suddivisa in 16 bastoncini uniti alla base. Così preparate, senza bagnarle, friggetele in abbondante olio finché saranno di un bel colore dorato scuro. Si salano dopo fritte. La caponata è uno dei prodotti più tipici e celebri della gastronomia siciliana. Si tratta di un insieme di ortaggi fritti (per lo più melanzane), conditi con sugo di pomodoro, sedano, olive e capperi in salsa agrodolce. Diffusasi in tutto il Mar Mediterraneo, oggi è generalmente utilizzata come contorno o antipasto, ma sin dal 1700 costituiva un piatto unico, accompagnata dal pane. L'etimologia deriverebbe dal "capone", nome con il quale in alcune zone della Sicilia viene chiamata la Lampuga, un pesce dalla carne pregiata ma piuttosto asciutta che veniva servito nelle tavole dell'aristocrazia condito con la salsa agrodolce tipica della caponata. Diventa a questo punto probabile che il popolo, non potendo permettersi il costoso pesce, iniziò a sostituirlo con le più economiche melanzane. Ma la parola caponata potrebbe anche essere legata a quella latina "caupona", ossia taverna. Seguendo una tale interpretazione, si ritiene che la caponata sia fatta di "cose varie" ed, anche al di là dalla stagionalità degli ortaggi, è possibile ipotizzare l’esistenza di due grandi formule di caponate: quella a base di verdure (dei poveri) e quella a base di pesce. La caponata siciliana vegetariana, "dei poveri", si é evoluta con la presenza di melanzane, sedano, cipolle, olive, capperi e, raramente, carciofi, in salsa agrodolce. pani ca’ meusa Il "Pani ca’ meusa", è un esempio di tradizione gastronomica italiana nel campo del cosiddetto "cibo da strada". Questa pietanza, tradizione esclusiva di Palermo, consiste in una pagnotta morbida, sormontata da una spruzzata di sesamo, che viene imbottita di pezzetti di milza e polmone di vitello. La milza e il polmone vengono prima bolliti e poi, una volta tagliati a pezzetti, soffritti brevemente nella sugna. Il panino può essere integrato con caciocavallo grattuggiato oppure semplice. Tipica l'attrezzatura del meusaro: una forchetta senza i denti centrali per non sbriciolare le fettine di milza, una pentola inclinata all'interno della quale frigge lo strutto mentre in alto attendono le fettine di milza e polmone che devono essere fritte solo al momento. Una forchetta con due denti per carpire le fettine fritte, che vanno scolate brevemente e ficcate nella vastella anch'essa calda, e per questo custodita sotto un telo. Il panino va servito caldo, in mano all'avventore, in carta di pane. L'origine di questo panino sembra risalire al medioevo, quando gli ebrei palermitani, impegnati nella macellazione della carne, non potendo, per loro stessa fede religiosa, percepire denaro per il proprio lavoro, trattenevano come ricompensa le interiora che rivendevano come farcitura insieme a pane e formaggio: usavano bollire e sterilizzare le frattaglie, unendole al pane e arricchendo il tutto con ricotta o formaggio, per poi vendere il cibo così creato ai "gentili", ovvero ai cristiani, che le mangiavano per strada e con le mani, seguendo un'usanza ereditata dai musulmani che mangiavano senza l’uso di posate. panelle Le panelle sono uno dei cibi più celebri di Palermo, si presentano come piccole schiacciate fritte e, pur nella loro semplicità di preparazione, rivestono un importante ruolo dal punto di vista degli usi e dei costumi siciliani, nonché nella storia della gastronomia palermitana. L'origine della pietanza è da far risalire agli Arabi, dominatori in Sicilia tra il IX e l'XI secolo, i quali erano soliti ricavare dalla farina di ceci mescolata all'acqua un impasto che veniva cotto in un tegame per ottenere un composto cremoso e in seguito schiacciato, tagliato in piccoli pezzi e infine fritto, fintanto che raggiungesse quel suo caratteristico colore dorato. Oggigiorno le panelle accompagnate dal pane e dai cosiddetti cazzilli (le crocchette di patate) rappresentano lo spuntino di strada più consumato a Palermo e dintorni, reperibile nelle friggitorie fisse o presso le panellerie ambulanti. Fate sciogliere in un tegame piuttosto largo gr. 200 di farina di ceci in mezzo litro d'acqua e aggiungete sale, pepe e prezzemolo tritato. Quando la farina è ben sciolta e non vi sono grumi, mettete il tegame su fuoco moderato e rimestate continuamente sino ad ottenere un impasto denso che si stacchi dal fondo. Versatelo in una teglia, e spianando bene con una paletta di legno inumidita, fatene uno strato. Quando è freddo, tagliatelo in rettangoli e friggetelo. pomodori secchi Il pomodoro è uno degli ingredienti principali della cucina mediterranea, ed è protagonista di infinite ricette. Le sue origini si fanno comunemente risalire all’America, e la sua diffusione in Europa viene attribuita agli spagnoli, attorno al XVI secolo. Tuttavia furono necessari quasi due secoli affinchè il pomodoro, sino ad allora considerato solo una pianta ornamentale e molto velenosa, conquistasse un posto d’onore fra i nostri ingredienti tipici. Da sempre nella tradizione mediterranea, le prelibatezze di stagione vengono sapientemente conservate per essere gustate durante tutto l’anno. Tra le infinite modalità di conservazione del pomodoro, una delle più antiche è quella dell’essiccazione al sole. Durante i mesi di luglio, agosto e settembre i nostri pomodori, tagliati in due per il senso della lunghezza e cosparsi di sale marino, vengono disposti su telai allineati nei campi e lasciati essiccare per una settimana. La lenta essiccazione al caldo sole dell’estate siciliana conferisce ai pomodori un colore intenso ed un gusto deciso e tradizionale, adatto a moltissime ricette. Oltre che per la particolarità del gusto e della consistenza, il nostro pomodoro secco è un prodotto speciale soprattutto grazie a ricette artigianali tramandate di generazione in generazione, che siamo riusciti a preservare nonostante le esigenze di mercato richiedano una produzione su scala industriale. "Quarume" o "Caldume" nome che significa pietanza calda è un piatto tipico da strada composto dai visceri del bovino cotti in brodo. Si trova facilmente già cotto e pronto alla degustazione in quasi tutti i mercati rionali del centro storico di Palermo, dove si può consumare sul posto accompagnato da un buon bicchiere di vino o di passito. Ecco la ricetta: Kh. 2 di caldume ( ziniere, ventra, centopelle, matruzza ) che ci faremo fornire dal nostro macellaio di fiducia, due cipolle, due carote, una costa di sedano, prezzemolo, sale, pepe. Lavare molto bene i visceri di vitello con acqua e sale, metterli a bollire in una pentola con acqua salata per circa 30 minuti. Dopo questa prima cottura, rilavare i visceri metterli in una pentola con dell'acqua fredda, con le cipolle, le carote, il sedano, il prezzemolo, sale e pepe e fare cuocere fino a quando le varie parti di carne saranno cotte. quarume Questo piatto è ritenuto un classico della cucina siciliana e forse il più originale. Gli elementi che lo compongono ne fanno un piatto unico: essi vanno dalla pasta al pesce, dalle verdure alla frutta. Ciò che lo caratterizza maggiormente è il contrasto tra piccante e dolce, tipico della cucina siculoaraba. L'origine del piatto è leggendaria: la sua paternità viene attribuita al cuoco del generale arabo Eufemio che sbarcato in Sicilia alla conquista dell'isola si trovò a dovere sfamare le sue truppe in condizioni precarie. Il cuoco aguzzò l'ingegno mettendo insieme quello che la natura dei luoghi gli offriva e cioè il pesce ed i finocchietti. Leggenda a parte, riteniamo che il piatto alla sua origine non dovette essere completo così come noi lo conosciamo, ma appare verosimile che esso sia il frutto di progressivi perfezionamenti attraverso i secoli. È probabile anche che l'uso di aromatizzare il pesce con il finochietto selvatico risalga ai Greci o ai Romani: si pensi tra l'altro come i Romani facessero largo uso di pesce per ricavarne il 'liquamen' ed il 'garum' con le quali salse condivano persino i dolci. sarde scacciu La calia e simenza è un tipico alimento consumato in tutta la Sicilia in occasione delle feste patronali o altri eventi di grande rilievo, solitamente nelle feste rionali e durante le processioni sia in estate che in inverno. La calia si prepara caliannu (tostando) dei ceci nella sabbia bollente e salata. La simenza, invece, si ricava dai semi di zucca secchi, che subiscono la stessa preparazione della calia. Solitamente, calia e simenza vengono mangiati in compagnia durante le processioni o le semplici passeggiate nelle vie della città. Sono vendute da venditori ambulanti che le preparano sul posto in quanto sono più buone mangiate tiepide e croccanti. Tutti questi prodotti vengono accomunati in dialetto siciliano con il termine scacciu Lo sfincione (sfinciuni in siciliano) è un prodotto tipico della gastronomia palermitana. Il nome si fa derivare dal latino spongia, "spugna" oppure dall'arabo "sfang" col quale si indica una frittella di pasta addolcita con il miele. Si tratta di una antica ricetta che vede come ingrediente cardine il pane pizza (morbido e lievitato, simile appunto ad una spugna) con sopra una salsa a base di pomodoro, cipolla, e pezzetti di formaggio tipico siciliano (chiamato caciocavallo). Lo sfincione più originale viene però prodotto artigianalmente nei pressi del centro storico, e commercializzato da ambulanti che spaziano per le vie della città a bordo di motoveicoli a tre ruote (conosciuti meglio come “lapini") i quali invitano ad assaporare il loro prodotto gridando a voce alta o attraverso un amplificatore. sfinciuni strattu Procedimento: Dopo aver ottenuto una salsa di pomodoro abbastanza densa, si fa raffreddare bene e si sistema in piatti di terracotta. Disporre i vassoi al sole mescolando spesso, evitando di ottenere una crosta in superficie. Quando e' tutto ben asciutto si conserva in barattoli di vetro con un po' d'olio e basilico. Ingredienti: - Pomodori olio q.b. basilico q.b. sale q.b. Lo strutto (o sugna) è un grasso alimentare ricavato dalla fusione a vapore dei tessuti adiposi interni del maiale. È una pasta bianca, compatta e translucida; si differenzia dal lardo, ottenuto dal grasso del dorso dei suini e dal guanciale. Lo strutto emulsionato non è che strutto trattato in modo da avere un buon potere emulsionante; quando viene miscelato all'impasto, lega più facilmente le maglie del glutine, consentendo un volume maggiore; viene impiegato dall'industria alimentare per la preparazione di molti prodotti da forno (grissini, pan carré ecc.). L'emulsione provoca un'alveolatura più fine e omogenea, trattiene meglio i gas e distribuisce meglio sull'impasto l'anidride carbonica che è alla base della lievitazione. Viene usato anche negli impasti di pizza sia al taglio sia classica. Oltre al potere emulsionante, conferisce all'impasto più sapore e più fragranza perché aiuta (ad alta temperatura) la cottura interna della pizza. Lo strutto ha un punto di fumo alto, maggiore addirittura di quello dell'olio di oliva, e quindi si presta bene ai prodotti da forno. strutto e ancora… Sarde a beccafico Pasta cu l’anciuova Mussu Pulpu Stigghiola Cassata al forno Cannoli siciliani Frutta di martorana Biscotti quaresimali Sfince di San Giuseppe Taralli LA TRADIZIONE A TAVOLA I Prodotti Tipici Siciliani Elenco dei prodotti tipici segnalati in internet cannoli cassata crocchè frittola pane ca’ meusa panelle pasta con le sarde polpo bollito sfinciuni quarumi stigghiole Elenco dei piatti tipici segnalati in internet ANTIPASTI Acciughe Caciu caponata di melanzane Crocchè Olive Panelle pumaroro siccu vrocculi e carduna a pastedda PRIMI pasta ca’ anciova pasta cu maccu pasta o’ furnu pasta pumaroru e milinciani pasta chi sardi SECONDI DI PESCE Baccalà mirruzzi fritti purpetti ri sardi purpiceddi murati purpetti ri nunnata todani fritti SECONDI DI CARNE agneddu aggrassatu bollito bruciuluni involtini alla siciliana n’zalata patate o furnu pittinicchia cu sucu purpetti sasizza spezzatino trippa DOLCI cucciddati cannoli cassata gelo di melone sfince i San Giuseppe Elenco dei ristoranti tipici segnalati in internet A cuccagna Ai normanni Capricci di Sicilia Ci voleva Focacceria San Francesco Il capriccetto Il gattopardo La casa del brodo La corte dei mangioni La panoramica Lo strascino Osteria dei vespri Parco dei principi Peppino Trattoria altri tempi Trattoria conte di cagliostro Trattoria dietro l’angolo La nostra esperienza rielaborativa… 31/10/2008 La mia esperienza rielaborativa sui concetti fino a questo momento preparati 1. Rapporto cibo – cultura – tradizione 2. Quale funzione ha la ricerca sul campo in questo settore? 3. L’alimentazione tradizionale è conveniente? 4. Perché è salutare? 5. La valorizzazione dei prodotti tipici può rappresentare una risorsa economica? 1. Durante questo percorso ho appreso che cibo, cultura e tradizione sono strettamente collegati tra loro e li possiamo definire la carta di identità di un popolo. Infatti tramite questi elementi si identifica il territorio, la cultura e la tradizione che si è sviluppata. 2. La ricerca ha una funzione basilare. Infatti tramite essa possiamo risalire all’origine e scoprire le radici di questi tre elementi (cibo, cultura e tradizione). Inoltre tramite la ricerca tutte le scoperte di ricette e/o tradizioni diventano patrimonio della collettività. 3. L’alimentazione tradizionale è molto conveniente perché tramite essa si realizzano dei piatti tipici fatti con delle materie prime semplici e quindi a basso costo. 4. L’alimentazione tradizionale è molto salutare perché fa riferimento a ricette antiche basandosi su alementi semplici e genuini; pertanto la possiamo definire antagonista all’obesità. 5. La valorizzazione dei prodotti tipici ha sempre rappresentato una risorsa economica e continuerà ad esserlo. Penso che il nostro paese dovrebbe valorizzare molto di più questo nostro settore perché oltre ad essere la nostra storia, rappresenta il nostro futuro. Inoltre per un paese è strettamente vitale valorizzare i suoi tre elementi salienti, cioè il cibo, la cultura e la tradizione perché questi rappresentano la chiave di lettura. Calaiò Loredana 1. Il rapporto cibo – cultura - tradizione è molto importante. Infatti questi tre elementi racchiudono l’identificazione di un territorio e della cultura e della tradizione che si è sviluppata in quel luogo. 2. La mia esperienza al mercato storico di Ballarò è stata molto istruttiva perché è stato come fare un viaggio a ritroso nel tempo. Inoltre reputo che la ricerca sia basilare per fare in modo che tutte le scoperte nel settore diventino patrimonio della collettività. 3. L’alimentazione tradizionale è molto conveniente perché tramite essa si realizzano dei piatti tipici fatti con delle materie prime semplici e di conseguenza a basso costo. 4. L’alimentazione tradizionale è molto salutare perché ripete ricette antiche basandosi su elementi semplici e genuini; pertanto la possiamo definire antagonista all’obesità. 5. La valorizzazione dei prodotti tipici ha sempre rappresentato una risorsa economica per il nostro paese. Penso che il nostro paese dovrebbe valorizzare molto di più questo settore perché oltre ad essere la nostra storia, rappresenta il nostro futuro. Faugera Ettore 1. Il rapporto con il cibo passa attraverso il meccanismo del piacere. A mio parere, vi è un piacere conoscitivo, legato alla conoscenza di una determinata pietanza ed un piacere antropologico in quanto il cibo diventa “identità” del popolo e del suo territorio. 2. La ricerca sul campo in questo settore ha lo scopo di mettere in pratica le nozioni forniteci. Infatti, per arricchire le nostre esperienze abbiamo fatto una visita guidata al mercato di Ballarò, trasformando tutte le nostre affermazioni in certezze. Così abbiamo accertato quali fossero le nostre tradizioni e quali persistessero ancora nel nostro territorio. 3. L’alimentazione tradizionale è per certi aspetti conveniente e per altri no. Tra gli aspetti positivi non posso non ricordare la qualità degli alimenti tradizionali, in quanto non trattati chimicamente e la convenienza dal punto di vista economico. 4. Oggi si ha sempre meno la possibilità di scegliere i prodotti alimentari per la loro territorialità e stagionalità. Infatti, se da un lato il progresso industriale ha permesso alla gente di avere qualsiasi prodotto in qualsiasi periodo dell’anno, dall’altro è innegabile che la società desidera riscoprire i prodotti tipici locali rispettando il ritmo stagionale dei raccolti. 5. La valorizzazione dei prodotti tipici comprende tutte quelle iniziative destinate a consolidare l’immagine che una produzione ha assunto sul mercato nel tempo e per tradizione. Gli strumenti utili per la valorizzazione possono essere le denominazioni ed i marchi. Le denominazioni sono assegnate da enti pubblici e sanciscono il legame esistente tra le caratteristiche qualitative di un prodotto, le tecniche di produzione e l’area geografica di provenienza. I marchi consentono, invece, di personalizzare e tutelare con nomi e/o simboli grafici l’immagine da fornire al consumatore del binomio prodotto – azienda. Ferrante Tiziana 1. La mia esperienza sui concetti assimilati in questo corso è stata positiva. L’ho dedotto dal fatto che in collaborazione con i miei colleghi di corso e con l’aiuto dei proff. Annamaria Amitrano e Giovanni Badagliacca, siamo riusciti creare un lavoro in power point. All’inizio del modulo abbiamo parlato di cibo come alimento – elemento facendo riferimento ai concetti di tradizione e cultura. Il cibo, infatti, è collegato sia alla cultura che alla tradizione di un territorio. 2. Per arricchire le nostre esperienze abbiamo fatto una esperienza sul campo al mercato di Ballarò. Infatti siamo andati a visionare gli alimenti – elementi tradizionali siciliani. 3. La tradizionalità dell’alimentazione di un territorio è delimitata da aspetti convenienti e non. Facendo uso di alimenti tradizionali si va incontro ad una scelta obbligata di alimenti ove la varietà dei prodotti è ridotta o per meglio dire è sempre la stessa. Dal punto di vista salutare è conveniente perché si hanno dei prodotti qualitativamente sani e migliori, grazie alla loro crescita in ambienti quasi incontaminati in assenza di additivi e in temperature adeguate o ideali per la salubrità del prodotto stesso. 4. Oggi a causa del processo di industrializzazione si ha una vasta scelta dei prodotti perché si ha il vantaggio di trovarli sul mercato in qualsiasi periodo dell’anno, ma è innegabile che tali prodotti sono il frutto di mangimi e fertilizzanti chimici che ne assicurano una buona ed una continua riuscita a discapito della nostra stessa salute. 5. Per me si, perché grazie alle denominazione DOC, DOP, DOCG, IGP etc… si possono valorizzare dei prodotti che risultano genuini ed a un prezzo sostanzialmente elevato. Girgenti Fabio • • • • • Il rapporto cibo – cultura – tradizione è indissolubile perché il cibo, tramandato di generazione in generazione, racchiude in se un valore simbolico che identifica un popolo ed il suo territorio. La ricerca sul campo è per me molto importante perché ci permette di osservare e analizzare gli alimenti – elementi da vicino. Spesso si commette un grave errore perché si tende a studiare solo ciò che è possibile osservare nel quotidiano senza mai domandarsi come quel determinato prodotto sia arrivato nelle nostre tavole. La ricerca ci permette di effettuare delle ricerche specifiche relative alla nascita ed alla evoluzione di un piatto. Un’altra tematica sulla quale abbiamo focalizzato la nostra attenzione è stata l’alimentazione tradizionale. Il primo aspetto che è emerso è stato sicuramente la convenienza di tale alimentazione, sia dal punto di vista economico, in quanto si tratta di alimenti “poveri” e quindi a basso costo, sia dal punto di vista salutare. La salubrità degli alimenti tradizionali è una componente intrinseca. Oggi più che mai si riscopre questo aspetto perché siamo sempre di più esposti a cibi precotti e congelati; l’alimentazione tradizionale, invece, conserva tutte le qualità tipiche di un vero alimento. Sicuramente questo aspetto salutare dei prodotti è messo in risalto da molti consorzi ed agriturismi che traducono questa componente in una risorsa economica. Inoltre anche attraverso le sagre si permette di effettuare un investimento economico perché si va a risaltare la conoscenza del luogo. Li Mandri Anna lisa 1. Il cibo, che consumiamo giornalmente, rispecchia la nostra cultura ed è strettamente legato alla tradizione del nostro paese. 2. Visitando il mercato di Ballarò si può riscontrare come la nostra tradizione viene tramandata da padre in figlio. 3. L’alimentazione tradizionale è molto conveniente perché si basa su alimenti semplici quindi a basso costo. 4. L’alimentazione tradizionale è molto salutare perché si basa sulla stagionalità dei prodotti. 5. La valorizzazione dei prodotti tipici rappresenterebbe una vera risorsa economica per il nostro paese se solo fosse organizzata in maniera migliore. A mio parere, infatti, tutti i prodotti tipici dovrebbero essere pubblicizzati di più. Prestigiacomo Girolamo 1. I concetti elaborati durante il corso hanno arricchito le mie conoscenze. Tra i vari argomenti trattati ci siamo soffermati sul rapporto cibo – cultura – tradizione, che sottolinea l’importanza che ha assunto il cibo tradizionale nella cultura e nel territorio. 2. La ricerca sul campo ha una funzione importantissima, perché osservando e ricercando direttamente tutti gli alimenti tipici ampliamo notevolmente le nostre conoscenze. 3. L’alimentazione tradizionale è molto conveniente perché nasce dalle piccole cose, da quei prodotti che pur non avendo costi elevati, racchiudono sapori unici e genuini. 4. L’alimentazione tradizionale è salutare proprio per la sua semplicità. Non si tratta di cibi “standard” che contengono ingredienti artificiali, ma solo prodotti genuini. 5. La valorizzazione dei prodotti tipici può rappresentare una grande risorsa economica in quanto favorisce la vendita nei ristoranti e sicuramente, piuttosto che gustare sempre gli stessi cibi, per il turista è importante poter gustare i prodotti tipici di un territorio. Prestigiacomo Rosalia 1. IL cibo è stato da sempre uno dei bisogni primari dell’uomo perché senza di esso la vita non potrebbe fare il suo ciclo. Con il tempo l’uomo oltre a nutrirsi col cibo ha saputo creare tramite vari popoli una forma di cultura che diede vita a diverse specialità culinarie che ancora oggi noi troviamo nelle nostre tavole. Piatti tipici della tradizione che i vostri vecchi hanno voluto lasciarci come eredità. 2. La ricerca sul campo in questo settore ha una funzione decisamente importante perché l’uomo cerca sempre di trovare quel qualcosa di innovativo per dare un’immagine più particolare alla propria azienda. Le esperienze che si vivono danno la possibilità di capire che la ricerca è un’operazione fondamentale per far risaltare ciò che abbiamo nel nostro settore. 3. L’alimentazione tradizionale è decisamente conveniente perché essa racchiude cibi semplici e di stagione che identificano un tipo di cucina all’antica. Questi alimenti se combinati in maniera ottimale a prodotti di origine animale danno vita a piatti di facile consumo da parte del popolo italiano e soprattutto questo modello alimentare assicura un’alimentazione valida ed equilibrata. 4. Questa alimentazione è salutare perché vengono utilizzati soltanto quei prodotti che non creano disturbi in quanto genuini. 5. La valorizzazione dei prodotti tipici risulta sicuramente una grande risorsa economica di cui i produttori si avvalgono per dare modo al consumatore di conoscere e far conoscere questi prodotti tipici al mondo. E così facendo l’economia ne prenderà giovamento. Molti prodotti sono sostituiti con altri non esattamente corrispondenti come nome ma non come qualità e quindi ci sono controlli continui per dare la possibilità ai prodotti dop,doc,docg, di mantenere una tale denominazione. Gianmarco Vasta GLI STEREOTIPI EI FOLK-MODELS ALIMENTARI Si mangia ovunque allo stesso modo… ma la qualità non ha prezzo! ANTIPASTI Pietanze tradizionali di massa SECONDI DI PESCE Acciughe Caciu SECONDI DI CARNE caponata di melanzane Crocchè Olive Panelle agneddu aggrassatu bollito bruciuluni involtini alla siciliana pumaroro siccu vrocculi e carduna a pastedda n’zalata patate o furnu pittinicchia cu sucu purpetti sasizza PRIMI spezzatino trippa pasta ca’ anciova pasta cu maccu pasta o’ furnu pasta pumaroru e milinciani pasta chi sardi Baccalà mirruzzi fritti purpetti ri sardi purpiceddi murati purpetti ri nunnata totani fritti DOLCI cucciddati cannoli cassata gelo di melone sfince i San Giuseppe ANTIPASTI Panelle di Fave Ingredienti Fave, cipolla ,cime di finocchio selvatico, sale, olio Preparazione Ammollare le fave secche, per una notte; il mattino dopo farle lessare in acqua con sale, la cipolla tagliata a grosse fette ed alcune cimette di finocchietto selvatico. Cuocere a lungo, finché le fave si sfaldino in purea; passate al setaccio e sistemate l’impasto, già denso, sul marmo di cucina ben oliato; Con il matterello fare assumere uno spessore uniforme di circa due centimetri. Appena l’impasto è freddo, tagliare a strisce le “panelle” che vanno fritte in olio bollente. Servirle calde, e se piace, spolverare di peperoncino. PRIMI Caserecce al pistacchio di Bronte Ingredienti Pasta caserecce, panna, pesto al pistacchio di Bronte, pistacchi tagliati grossolanamente, pancetta, cipolla, burro. Preparazione Tagliare la cipolla e la pancetta e soffriggerli con il burro; amalgamare bene la panna al pesto e unirli al soffritto. Lessare le caserecce in abbondante acqua salata, scolarle al dente e mescolare con la salsa già preparata. Servire con il rimanente pistacchio tritato. SECONDI Arrosto di maiale all’arancia di Sicilia Ingredienti Lonza di maiale, Cipolla, Arance di Sicilia, Vino bianco d’ insolia, brandy, margarina , farina, aglio, rosmarino, olio extravergine di oliva sigillo verde , sale, pepe nero Preparazione : Spremere il succo di 1 arancia,pulire l’ aglio e la cipolla, sminuzzateli finemente,pulite la lonza da eventuali pezzi di grasso. Inseriteci al centro il rametto di rosmarino,passatela nella farina,scaldate l’olio e la margarina in una casseruola da forno rosolare la cipolla e l’ aglio,unite l’arrosto e doratelo su tutti i lati,bagnatelo con il brandy ed il vino lasciate sfumare a fuoco vivo,irrorate poi con il succo d’ arancia,regolate di sale e pepe abbassate la fiamma,fate cuocere per 30 minuti voltate il pezzo di tanto in tanto affettate una volta cotto con il sugo di cottura,guarnite con fettine dell’arancia rimasta. Servite DOLCI Gelo di fichi d’ india Ingredienti Dosi per 10 persone 2 litri di succo di fichi d’ india 350 di zucchero 180 di amido 50 di cioccolato fondente 50 di zuccata 50 di pistacchi Preparazione: Passare a setaccio la polpa di fichi d’ india mature per ottenere il succo necessario,aggiungere lo zucchero l’amido,e mescolare per eliminare i grumi,mettere tutto sul fuoco mescolando senza interruzione. Fate addensare e versatelo in coppette dove avrete precedentemente distribuito il cioccolato e la zuccata tritata. Spolverate i pistacchi tritati e ponete il gelo in frigo per qualche ora VINI: ETNA BIANCO DOC VITTORIA DOC MALVASIA DELLE LIPARI DOC FERRANTE TIZIANA ANTIPASTI Pomodori secchi ripieni fritti Pomodori secchi, Pangratto, Caciocavallo grattugiato, Aglio tritato, Primosale, Capperi, Origano, Prezzemolo, Olio extravergine d’oliva. Fare rinvenire mettendoli in ammollo in acqua i pomodori secchi. Quando saranno ammorbiditi spremerli privandoli dell’acqua e asciugarli con un tovagliolo. Formare un impasto con il pangrattato, il formaggio grattugiato, l’aglio a pezzetti, il primosale a piccoli pezzettini, i capperi tritati, l’origano il prezzemolo tritato e poco olio. Deve risultare un impasto da poter maneggiare. Imbottire i pomodori con l’impasto in modo da formare dei sandwiches. Friggerli in padella con poco olio e servire dopo averli fatti raffreddare. PRIMI Tagliatelle fresche con ragoût di cinghiale e ricotta fresca Tagliatelle fresche, cinghiale, passato di pomodoro, ricotta, vino rosso, cipolla, sedano, carote, foglie di alloro, sale e pepe. Tagliate il cinghiale a piccoli pezzi, ponetelo in una bacinella capiente; aggiungete: la carota, la cipolla, il sedano e l'alloro, ricoprite il tutto con il vino rosso e lasciate marinare per circa 12 ore. Recuperate gli odori,lavateli accuratamente, tritateli e fate un soffritto, quando sarà rosolato aggiungete la carne del cinghiale tritata.Fate cuocere per circa 10 minuti, unite sale e pepe, poi aggiungete mezzo bicchiere di vino rosso, fatelo evaporare, quindi versateci il passato di pomodoro, coprite e fate bollire per circa 3 ore.Cuocete in abbondante acqua salata le pappardelle.Una volta scolate conditele con il sugo di cinghiale e la ricotta fresca. SECONDI Suino delle Madonie con erbe di campagna Stinco di suino dei Nebrodi, rametti di rosmarino, foglie di salvia, aglio,alloro,bacche di ginepro schiacciate, olio d’oliva, vino rosso, verdure selvatiche. Prendete lo stinco lavatelo, asciugatelo,e sfregate la superfice con un misto di sale e pepe nero. Mettetelo in un recipiente adatto con tutti gli odori un pò d'olio e il vino. Coprite il contenitore con carta stagnola, e lasciate marinare per una nottata in frigo. Poi tiratelo fuori dalla marinatura e rosolatelo in un tegame capiente con olio,girandolo senza usare forchette in modo che i succhi della carne non fuoriescano. Quando si è ben colorato,mettetelo in teglia da forno con tutta la marinata,coprite per la prima ora con stagnola per evitare che secchi e mettete in forno già caldo a 200° Poi passata l'ora,uscitelo dal forno eliminate la stagnola e girandolo,2 3 volte, lasciate completare la cottura per altri 30 minuti. Impiattare lo stinco, servito col suo sughetto di cottura,passato al colino in modo da eliminare le erbe aromatiche. Accompagnare con le verdure selvatiche lesse e saltate in padella con un po’ d’aglio. DOLCI Cosi chini Farina di mandorle, mandorle, nocciole, pistacchi, cedrata, zucchero a velo, glucosio, albumi, acqua, vaniglia, essenza di mandorle. Lavorare la farina di mandorle, lo zucchero a velo, il glucosio,gli albumi, la vaniglia e l’essenza di mandorle. Non appena l’impasto avrà assunto una consistenza omogenea formare delle piccole palline e farcirle col la cedrata e la frutta secca tritata grossolanamente. Richiuderle accuratamente e sistemarle singolarmente su una teglia con carta da forno. Infornare a circa 200° per 5-6 minuti fino a che non prendano un colore dorato.Lasciarle raffreddare, e spolverizzarle con zucchero a velo. Sistemarle in apposite pirottine di carta e servire il dolce freddo. Vini: MERLOT MONREALE Doc MOSCATO DI SIRACUSA Doc FERRARA RITA Antipasto Crostini di crostacei preparare una besciamella base e aggiungiamo della polpa di granchio tritata, affettare del pane raffermo,e spalmare il composto chiudendo le fette di pane modo toast. Preparare una lega di acqua e farina ,aggiungiamo sale e pepe,acquisendo un composto non troppo denso. Immergere il crostino nella lega e passarlo nel pan grattato, successivamente friggerlo in olio caldo. Gamberi in pastella ai semi di papavero sgusciare del gambero rosso di prima taglia , preparare una pastetta con, acqua ,farina , lievito di birra ,sale e semi di papavero dopo aver fatto lievitare la pastetta ,immergere i gamberi nell’impasto e friggerli in olio caldo Primi Cappellacci di zucca rossa con salsa al burro ,asparagi e mazzancolle tagliare la zucca rossa a quadrucci, saltare in padella con della cipolla tritata e del burro ,lasciare raffreddare. Sgusciare le mazzancolle e spuntare gli asparagi precedentemente lessati ,preparare della pasta all’uovo,stendere la pasta e depositare il ripieno di zucca rossa , crearne dei ravioloni a forma ovale,fatti riposare i cappellacci , fare scioglierei il burro, aggiungere le mazzancolle e gli asparagi farli amalgamare con un pò di acqua di pasta. Sbollentare i cappellacci in acqua salata e distenderli in una teglia versare il condimento e infornare per circa 10 min. a 180 c°. Secondi Seppioline gratinate Pulire le seppioline e adagiarle in una teglia riempiendole della mollica aromatizzata all’aglio,origano e olio d’oliva,fare cuocere in forno a 180 c° fino ad ottenere la gratinatura. Spatola al cartoccio, con olive nere e filetti di pomodoro Sfilettare la spatola ,stendere i filetti in carta stagnola e versare sopra i filetti di pomodoro,olive nere, olio, sale, pepe. Chiudere il foglio di stagnola in modo tale non avere una fuori uscita di liquidi. Infornare a vapore per 35 min. a 180 c° DOLCI Mousse di ricotta su vellutata in crema di pistacchi di Bronte Macinare i pistacchi di Bronte, immergerli in una pentola contenente del latte zuccherato, fare bollire il tutto aggiungendo una stecca di vaniglia sino a quando vi si ha un composto cremoso e denso, fare raffreddare il tutto in abbattitore . Prendere la mousse di ricotta e con un cucchiaio creare delle quenelles da adagiare sul piatto dove precedentemente è stata stesa la crema creando una vellutata verde. Spolverare il tutto con la cannella. VINI SCIACCA BIANCO PASSITO DI PANTELLERIA GIRGENTI FABIO IGNAZIO Antipasti Bruschette a comu e ghiè (ingredienti: bruschette con caponata di zucchine, bruschette con patè di olive e concetrato di pomodoro) Primi piatti pasta cu finucchieddu friscu (ingredienti: finocchiello selvatico, sarde, olive nere) pasta alla vastasa (ingredienti: pomodoro fresco,salsiccia alla pizzaiola, caciocavallo stagionato,melanzane nostrane, funghi porcini, olive nere, zucchine) Secondi filetti al cioccolato fondente (ingredienti: filetto, cioccolato fondente e uva passa) “Rattata” al limone. Dolci cestelli di gelo di melone e pistacchi caramellati al limone. Vini: SYRAH MONREALE Doc MALVASIA DELLE LIPARI Doc. LA MATTINA FABIO Antipasti insalata di carciofi di Cerda ingredienti: carciofi di cerda cipolline scalogne olio d’oliva sale pepe prezzemolo preparazione: Pulite e affettate in spicchi i carciofi poi soffrigeteli in una padella ; poneteli in un’insalatiera e conditeli con l’olio d’oliva, sale e pepe. Tagliate a julienne la cipolla scalogna e infine cospargetela di trito di prezzemolo e servitela. Storia: Il 25 Aprile, sagra del carciofo di cedra, il giorno della commerazione della liberazione dal regime fascista. Una data davvero molto importante per gli italiani, anche (e soprattutto) per noi che siamo arrivati “dopo”. Primi Anelletti con capperi di Pantelleria, panna e finocchietto Ingredienti: Anelletti Capperi di Pantelleria Finocchietto Panna Pepe Sale Prezzemolo preparazione: Far cuocere la pasta; nel frattempo far soffriggere in una padella i capperi e il finocchietto rosolati con l’olio e cospargere di prezzemolo. Quando la pasta e pronta, unirla al condimento. Storia: Il cappero è una pianta perenne che cresce spontaneamente sulle rupi e sui muri di vecchie case, nelle zone bagnate dal Mar Mediterraneo. Prodotto noto ed apprezzato fin dall'antichità, le sue virtù vengono citate addirittura nella Bibbia. L’ambiente più adatto al suo sviluppo è il clima caldo e secco dell’isola di Pantelleria. Qui la coltivazione del cappero, oltre ad avere una lunga tradizione, è particolarmente importante sino a fregiarsi del marchio di qualità Igp (Indicazione Geografica Protetta). Il terreno di Pantelleria, infatti, di origine vulcanica, è il posto ideale per la coltivazione di questo pregiato arbusto. Secondi Pesce spada con capperi di Pantelleria Ingredienti: pesce spada capperi di Pantelleria olio d’oliva sale pepe origano preparazione: cuocere il pesce spada in una padella; nel frattempo rosolare i capperi con olio, sale e pepe; quando tutto è cotto unire le due pietanze e servire in un piatto grande cospargendolo di prezzemolo. Dolce Cannoli di gelo al gelsomino Ingredienti: cannoli gelo di gelsomino zucchero a velo preparazione: Fate fondere il fiore di gelsomino e. versate il succo ottenuto in una casseruola, aggiungendo l'amido, lo zucchero e l'infuso di gelsomino. Mettete la casseruola sul fuoco e fate restringere il tutto, cuocendo a fuoco molto basso e mescolando sempre. Non appena sarà leggermente addensato, versatelo in stampini dalla forma voluta, oppure dentro le coppette di plastica per alimenti. Lasciate raffreddare per un'ora circa. A questo punto avrete ottenuto il gelo,. Guarnite il tutto con altro fiore di gelsomino appena cotto. Farcire i cannoli con il gelo e servite in un piatto con zucchero a velo. VINI BIANCO DI PANTELLERIA LIMONCELLO LI MANDRI ANNA LISA Antipasti Caponata con crostoni di pane fritto ……………………… Verdure in pastella croccante ……………………… Primi Timballo di pasta con broccoli Bucatini con sarde ……………………… Secondo Falso magro al sugo Spatola alla griglia ………………… Dessert Semifreddo al pistacchio di Bronte VINI: SICILIA IGT BIANCO FRIZZANTE ALCAMO DOC ROSSO PASSITO DI PANTELLERIA DOC Presentare la caponata usando melanzane tipiche; la lungarella e capperi di Pantelleria. Accompagnata da crostoni di pane raffermo di grano duro. Per le verdure usare solamente carciofi di Cerda, i cardi di Collesano e nostri broccoli nostrani. Per la pastella aggiungere un po’di scorzetta di mandarini di ciaculli. Per la pasta usare un broccolo fresco con acciughe di Cefalu’; poi presentare la nostra pasta in timballo. Per la pasta con le sarde usare il nostro finocchietto selvatico di montagna, le sarde di Sciacca e uva passa e pinnoli. Per il nostro falsomagro o brociolone usare una fetta di scamone e imbottirlo con mollica tostata, pancetta e uova sode; cuocerlo in salsa di pomodoro di Valledolmo. Per la spatola, sfilettarla passarla in olio extra vergine d’oliva rosmarino e mollica e cuocerla alla carbonella. Per il semifreddo usare esclusivamente pistacchio di Bronte che emana una fragranza e un sapore eccezionale. Montare la panna con un po di zucchero, aggiungere i tuorli e in seguito anche gli albumi. Una volta freddo aggiungere il trito di pistacchi di cui metà caramellati. Raffreddare in frigo. PRESTIGIACOMO GIROLAMO Antipasti Caciocavallo fritto Cardi pastellati Vastedde ripiene di olio e formaggio a pezzetti Primi piatti Pasta con i broccoli arriminati Pasta con i tenerumi Secondi piatti Cotoletta alla palermitana Braciolette alla griglia Dolci Spongato alla ricotta e pistacchio Il caciocavallo viene fritto senza olio mentre i cardi verranno pastellati e fritti; le vastedde, ovvero focaccine di pane, saranno condite con olio e pezzettini di caciocavallo. Pasta con i broccoli: i broccoli verranno cucinati in un tegame in umido, con pinoli e uva passa; poi i bucatini al dente, verranno accotturati con i broccoli. Pasta con i tenerumi: è una minestra preparata con i tenerumi, tipica verdura palermitana, con aggiunta di una salsa di pomodoro con soffritto di aglio. Cotoletta alla palermitana: cotoletta panata con mollica olio e origano. Braciolette alla griglia: braciolette di cinta, tipica carne di maiale siciliana, arrostita con rosmarino. Lo spongato, gelato in coppa, verra’ proposto in una coppa di ferro con panna e pistacchio tipico di Bronte. VINI: CERASUOLO DI VITTORIA DOCG MOSCATO DI NOTO DOC PRESTIGIACOMO ROSALIA ANTIPASTO Bruschette alla palermitana Tostare il pane ed aggiungere pomodoro, aglio, basilico. Servire ben calde ALCAMO BIANCO DOC Cuori di carciofo impastellati e fritti Tagliare i carciofi, ricoprirli con la pastella e friggerli in olio bollente ALCAMO BIANCO DOC Tris di marinati (acciughe, tonno, spada) Marinare a crudo per dare il sapore che contraddistingue tale piatto ETNA BIANCO DOC PRIMI Penne alla norma Per il sugo di pomodoro scottate brevemente i pomodori, passarli sotto l'acqua fredda, pelarli, dividerli a metà, privateli dei semi e tagliate la polpa a dadini. Sbucciate le cipolle e l'aglio e tritateli finemente. In una casseruola scaldate 4 cucchiai d'olio e soffriggete dolcemente i dadini di cipolla e l'aglio; aggiungete i pomodori, condite con sale e pepe e far sobbollire finchè il liquido è quasi completamente evaporato. Lavate la melanzana e tagliatela a fette di 1 cm. condirle con sale e pepe. In una padella scaldare il restante olio e doratevi da ambo i lati le fette di melanzana finchè diventano croccanti. Cuocete le penne al dente in acqua salata in ebollizione, scolatele, fatele sgocciolare bene e conditele con il sugo di pomodoro. Suddividete la pasta nei piatti e sistematevi sopra le fette di melanzana. Cospargete con le foglie di basilico, abbondante ricotta infornata e servite. ROSATO DI SALAPARUTA Linguine con sarde Preparazione: Pulire il finocchietto selvatico e bollirlo in abbondante acqua salata. Scolarlo e tritarlo, conservando l’acqua di cottura per cuocere la pasta. Sciogliere i pistilli di zafferano in poca acqua calda. Soffriggere nell’olio l’aglio, la cipolla tritata, le acciughe e i pinoli. Aggiungere il pomodoro fresco a dadini, cuocere per qualche minuto e unire le sarde fresche, il finocchietto, l’uvetta, il brodo e lo zafferano. Lasciar cuocere per circa 8 minuti, aggiungere il sale e il peperoncino quanto basta e lasciar riposare. Cuocere la pasta nell’acqua di cottura del finocchietto, scolarla e saltarla in padella con il condimento. Completare il piatto con pangrattato tostato in padella con un filo d’olio. ETNA BIANCO SECONDI Involtini di pesce spada alla palermitana Sbucciate la cipolla e tritatela. Lavate i pezzetti di spada, mescolateli insieme alla cipolla e rosolateli in un tegame con l'olio caldo. Poi bagnate con il brandy, salate, lasciate evaporare e spegnete il fuoco. Cospargete di pan grattato. Lavate le fette di pesce, asciugatele e inserite un po' del composto in ognuna; sopra adagiatevi una fettina di mozzarella, profumate con timo, basilico e una macinata di pepe. Arrotolate le fette su sè stesse in modo da formare degli involtini e legateli con uno spaghino da cucina. Cuocete per 15 min. sulla griglia calda su fiamma dolce. Intanto preparate la salsa salmoriglio: in una ciotolina, emulsionate l'olio con il succo di limone; unite un pizzico di sale, il prezzemolo e l'origano. Sbattete per bene con una forchetta. Portate il pesce in tavola, irrorandolo con la salsa ottenuta. ETNA BIANCO Tortino di sarde con spuma di ricotta e pomodorini Deliscare le sarde e togliere le teste, lasciando solo il filetto. Cercare di lasciarle il meno possibile sotto l'acqua. Prendere una padella, versare un goccio d'olio e alternare uno strato di sarde con uno di prezzemolo, aglio tritato, un pizzico di sale, succo di limone e pangrattato. L'ultimo strato dev'essere con il pangrattato. Coprire con un coperchio e lasciar cuocere per circa 15 minuti a fuoco basso. A parte unire in una contenitore un po’ ricotta assemblandola con cubetti di pomodori. Infornare per 10 minuti a 170°. DESSERT CANNOLO Preparazione: Disponete la farina a fontana, mettete al centro lo zucchero, il sale, il cacao unite il vino poco alla volta e lavorate bene fino a formare un composto consistente che avvolgerete in un panno e lascerete riposare per un paio d'ore. Tirate l'impasto a sfoglie sottili, tagliate dei quadrati e avvolgeteli sugli speciali cannelli cilindrici (di latta o di canna). Portate l'olio al massimo grado di frittura in una padella dai bordi alti e immergetevi i cannelli ricoperti di pasta. Quando saranno dorati al punto giusto, sgocciolateli, lasciateli intiepidire e sfilate i cannelli. Riempite con il composto di ricotta e spolverizzate con zucchero a velo. PASSITO DI PANTELLERIA Doc GELO DI MELONE Preparazione Versate la metà del succo d'anguria in un pentolino e unite lo zucchero; incorporate al succo rimasto l'amido e stemperate con cura. Riunite i due composti e cuocete a fuoco moderato, continuando a rimestare con un cucchiaio di legno fino a quando la crema si rapprende. Versate in coppette monodose e lasciate intiepidire, poi aggiungete la frutta candita e l'acqua di fiori di gelsomino. Conservate in frigorifero fino al momento di servire. Cospargete con pochissimo cioccolato fondente. MALVASIA DELLE LIPARI Doc VASTA GIANMARCO La Sicilia è l'unica regione italiana dove si produce il pistacchio (della specie botanica "pistacia vera") e Bronte, con oltre tremila ettari in coltura specializzata, ne esprime l'area di coltivazione principale (più dell'80% della superficie regionale). L'«oro verde», così è denominato il "pistacchio verde di Bronte", rappresenta la principale risorsa economica del vasto territorio della cittadina etnea. Concorreranno la terra e le sciare dell'Etna, la temperatura o il portainnesto, le tradizioni di coltura tramandate da padre in figlio, fatto è che la pistacchicoltura brontese, a differenza dei prodotti di provenienza americana o asiatica, in massima parte con semi di colore giallo, produce frutti di alto pregio, molto apprezzati e richiesti nei mercati europei e giapponesi per le dimensioni e l'intensa colorazione verde. Il pistacchio brontese è dolce, delicato, aromatico. Soprattutto è unico. Fra le varie qualità coltivate nel Mediterraneo e nelle Americhe possiede colori e qualità organolettiche che ne fanno un unicum in tutto il mondo con un suo sapore soave che i frutti prodotti altrove non hanno. Viene apprezzato nei mercati italiani ed esteri per l'originalità del gusto e l'adattabilità in cucina e in pasticceria. E' usato nell'industria dolciaria sopratutto per preparare torte, paste, torroni, mousse, confetti, gelati, e granite, ma è squisito anche nei primi e secondi piatti o arancini; è utilizzato anche nella preparazione degli insaccati (ottimo nelle mortadelle e nelle soppressate) e nel settore cosmetico. A Bronte se ne raccolgono oltre 30 mila quintali. L'ottanta per cento del prodotto brontese è esportato all'estero, sopratutto in Europa (Francia e Germania in testa), il restante 20% trova impiego nell'industria nazionale. Il frutto viene commercializzato sotto diverse forme: Tignosella (pistacchio non sgusciato, i brontesi lo chiamano "babbalucella"), pelato (sgusciato e privato dell'endocarpo), granella, farina, bastoncini, affettato o pasta di pistacchio. La peculiarità del pistacchio brontese è il colore uniformemente verde vivo della sua pasta, nonchè la sua pronunciata aromaticità, per cui è senz'altro privilegiato nella manifattura dei torroni, dei prodotti dolciari e dei gelati ma soprattutto delle carni insaccate di pregio e nella gastronomia di alta classe. Ogni anno in alcune viuzze e piazze del centro storico di Bronte si svolge da parecchi anni una sagra (la Sagra del Pistacchio). Dal pesto alla crema, dalla torta al gelato, dall'arancino alla salsiccia la Sagra è il trionfo del pistacchio in tutte le sue varianti; si celebra nel mese di settembre e nella scorsa edizione ha richiamato ben 100 mila visitatori. E' l’occasione che la città offre ai numerosi visitatori per fare conoscere le raffinate prerogative e le proprietà dell'"oro di Bronte". Il clou della Sagra sono le degustazioni del frutto e dei prodotti che vanno dalla salsiccia alla pasta al pistacchio, dalle torte ai torroni, al gelato, alle crepes, alla filletta, oltre a numerose altre prelibate dolcezze. A Bronte alcune cooperative ed una decina di aziende esportatrici, in concorrenza fra loro, alcune ottimamente attrezzate e con avanzata tecnologia, si occupano della lavorazione e della commercializzazione del pistacchio. Si è costituita anche un’associazione di pasticceri che utilizzano il frutto esaltandolo nei loro tradizionali prodotti (paste, torte, gelati, torroni, fillette, panettoni e colombe, torroncini, creme, pesto, ...). Il "pistacchio verde di Bronte", perennemente minacciato da importazioni di qualità assolutamente inferiore, ha oggi conquistato il dovuto riconoscimento di prodotto DOP: il Disciplinare di produzione è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale fin dall'Ottobre 2001. BARCHETTE AL PISTACCHIO Ingredienti: 200 g di farina 00, 140 g di burro, 1 tuorlo, 75 g di zucchero, 1 cucchiaio di Marsala, la scorza grattugiata di 1/2 limone biologico. Per la crema: 4 tuorli, 200 g di pistacchi, 100 g di zucchero, 40 g di farina 00, 5 dl di latte, 30 g di burro, 2 cucchiai di Rum. Difficoltà: media - Preparazione: 30 minuti più 30 minuti di riposo della pasta e il tempo di raffreddamento della crema - Cottura: 40 minuti. Preparate la pasta. Disponete la farina a fontana sulla spianatoia e ponetevi al centro 100 g di burro, ammorbidito a temperatura ambiente e ridotto a pezzetti, lo zucchero, il tuorlo, il Marsala e la scorza di limone. Lavorate velocemente l'impasto con la punta delle dita, formate una palla, avvolgetela in un foglio di pellicola trasparente e lasciatela riposare per 30 minuti. Riprendete la pasta e stendetela con il matterello in una sfoglia di circa 3 mm di spessore. Rivestite con la sfoglia il fondo e le pareti di 6 stampi per tartellette ben imburrati. Bucherellate la pasta con i rebbi di una forchetta, mettete gli stampini nel forno già caldo a 220 °C e fate cuocere per 15 minuti. Sfornate le barchette e lasciate raffreddare. Intanto preparate la crema. Fate tostare nel forno già caldo a 180 °C i pistacchi, poi strofinateli bene con un telo in modo da staccare le pellicine, quindi tritateli finemente oppure pestateli nel mortaio. Mettete i tuorli con lo zucchero in una casseruola e sbatteteli con una frusta, su fuoco basso, per circa 10 minuti, poi unite la farina e i pistacchi tritati e mescolate. Versate, poco alla volta, il latte caldo nella casseruola e proseguite la cottura, su fuoco medio, sempre mescolando per 15 minuti, finché la crema avrà assunto una consistenza densa. Lavorate in una ciotola il burro con il Rum, unitelo alla crema, amalgamatelo e lasciate raffreddare. Sformate le barchette, farcitele con la crema preparata, disponetele su un piatto da portata e servitele in tavola. FERRANRE TIZIANA Il cappero è una pianta perenne che cresce spontaneamente sulle rupi e sui muri di vecchie case, nelle zone bagnate dal Mar Mediterraneo. Prodotto noto ed apprezzato fin dall'antichità, le sue virtù vengono citate addirittura nella Bibbia. L’ambiente più adatto al suo sviluppo è il clima caldo e secco dell’isola di Pantelleria. Qui la coltivazione del cappero, oltre ad avere una lunga tradizione, è particolarmente importante sino a fregiarsi del marchio di qualità IGP (Indicazione Geografica Protetta). Il terreno di Pantelleria, infatti, di origine vulcanica, estremamente arido per le scarse piogge, è il posto ideale per la coltivazione di questo pregiato arbusto, che costituisce una fonte di reddito notevole per l'isola. Le parti della pianta che vengono raccolte e consumate, i capperi, non sono altro che i germogli di un bellissimo fiore bianco e rosato somigliante a una piccola orchidea. Questa pianta, “Capparis spinosa”, cresce a forma di cespuglio e ha le foglie carnose di colore verde scuro. I capperi più piccoli sono quelli di qualità migliore e in cucina sono usati per impreziosire le pietanze donando un gusto unico e forte che stimola il palato e lo spirito di chi lo assaggia. L'isola di Pantelleria Pantelleria è un luogo tutto da scoprire ricco di bellezze naturali. Offre molto a coloro che vogliono visitarla: dalle varie escursioni all'interno della Riserva naturale orientata al mare cristallino, dagli incantevoli paesaggi alle particolari abitazioni chiamate Dammusi, dai piatti tipici della tradizione pantesca al pregiato vino liquoroso Passito. La ricchezza dei fondali, le coste frastagliate, i versanti scoscesi ricchi di colture a terrazze, la natura incontaminata conferiscono una bellezza eccezionale all’isola che il colore del suolo, formato per lo più da rocce basaltiche, ha fatto soprannominare la "Perla Nera del Mediterraneo". Pantelleria, infine, non è semplicemente un'isola da visitare ma più di ogni altra cosa una memorabile esperienza da vivere. Il cappero è un arbusto con un'altezza media di 30-50 cm con dei fiori molto vistosi bianchi e rosa con punte di viola. Tra la fine di maggio e settembre comincia la fioritura e con essa la raccolta dei bottoni floreali non ancora aperti. Devono essere raccolti in modo tempestivo, prima dell'alba e appena germogliati. Quelli di dimensioni minori divengono, dopo la maturazione, il prodotto migliore. Una volta raccolti vengono messi a maturare in salamoia in sale marino. La maturazione è un passaggio obbligato, allo stato fresco i capperi sono amari e di gusto sgradevole. I capperi messi a maturare nel sale marino (circa il 40% del loro peso) vi restano 10 giorni durante i quali vengono periodicamente rimescolati. Una volta scolati vengono posti nuovamente sotto sale (circa il 20% del loro peso) per altri 10 giorni. Piatto tipico di Pantelleria: Sciakisciuka Ingredienti: 1 cipolla; basilico; 50 gr. di capperi al sale di Pantelleria; 4 zucchine piccole; 4 pomodori ben maturi; un pizzico di origano; sale; pepe; 4 cucchiai abbondanti di olio d’oliva; 50 gr. di formaggio stagionato; 4 uova. Preparazione: Ungete con l’olio un tegame basso e largo, aggiungete la cipolla tagliata sottile e ponete sul fuoco. Unite i pomodori tagliati a pezzetti e senza semi, le zucchine tagliate a piccoli cubi e lasciate cuocere per 5 minuti. Mescolate e aggiungete il basilico, i capperi dissalati, mezzo bicchiere d’acqua, pepe, origano e sale q. b. Lasciate cuocere a fuoco lento mescolando ogni tanto. Quando le zucchine sono quasi cotte aggiungete il formaggio tagliato a piccoli dadi e le uova. Finite la cottura e servite. Primi Pesto alla pantesca crudo Ingredienti: 400 gr. di spaghetti; 50 gr. di capperi di Pantelleria; 5 olive verdi snocciolate; 100 gr. di tonno all'olio d'oliva. Preparazione: Tritate finemente tutti gli ingredienti e aggiungete a filo l'olio d'oliva fino a formare una salsa. A piacimento si può aggiungere peperoncino rosso e foglie di salvia. Condite gli spaghetti precedentemente cotti e lasciati al dente. LI MANDRI ANNA LISA Il carciofo è un frutto che la terra Imerese dona da tanti anni. E’ grazie a questo elemento che Cerda, Collesano, etc.. sono ricordati e stimati per i loro piatti che, come base, hanno questo prodotto. Il periodo nel quale possiamo trovarli sia in commercio che a tavola parte da Dicembre per finire i primi di Maggio. Per quanto riguarda la chiusura del periodo di raccolta e vendita non possiamo dimenticare le sagre che si esercitano proprio in questi luoghi . In particolare a Cerda dove, per la festa del 1 maggio, si svolge la sagra del Carciofo, conosciuta sia nel territorio siciliano e non. ANTIPASTI Carciofi Arrostiti, Carciofi Fritti, Carciofi Villanella, Agrodolce di Carciofi PRIMI Pasta Fresca alla Francescana Risotto ai Carciofi e Ricotta SECONDI Frittata di Carciofi, Carciofi Attuppati Spezzatino di agnello e carciofi CONTORNI Carciofi all’aglio Carciofi gratinati Carciofi ripieni con mozzarella di vaccina DESSERT Carciofi canditi, aromatizzati alla menta Frutta di stagione con gelato al carciofo Acqua, Vino, Caffè, Amaro al carciofo GIRGENTI IGNAZIO FABIO A Favignana ogni anno, nel periodo primaverile, tra maggio e giugno si svolge la pesca del Tonno. Si deve agli Arabi l'organizzazione e l'infallibile funzionalità della tonnara, così come araba è la terminologia delle parole ed i canti scanditi nei momenti culminanti della cattura. Schematicamente l'isola, così come viene chiamato l'insieme delle reti della tonnara, è costituita da due grandi barriere, che si sviluppano parallele, le mura sono interrotte ortogonalmente da altre reti mobili dette "Porte" che delimitano le camere della tonnara, l'ultima di queste porte mette in comunicazione il "Corpu", l'unica camera ad avere le reti anche sul fondo, che viene sollevata per portare in superficie i tonni. Il "Rais", il capo assoluto della tonnara a bordo della barca "Muciara" piccola imbarcazione in legno, al centro del quadrato creato dalle barche "Vascelli", con gesti delle braccia dirige i tonnaroti e dà il via alla mattanza. "E' una breve scena di spruzzi, voci, arpioni, pinne, canti di cialome e sull'istinto di riproduzione del Tonno prevale l'istinto di sopravvivenza dell'uomo". Ricette Fusilli Donna Anna Ingredienti: 100 g di tonno affumicato (a listelle) 100 g di zucchine genovesi 400 g di fusilli 1 spicchio d'aglio, prezzemolo, olio d'oliva, peperoncino dolce Preparazione: Fare soffriggere l'aglio, aggiungere le zucchine tagliate a strisce sottili e cuocere a fiamma media, aggiungere il tonno affumicato, prezzemolo, peperoncino e sale a piacere, condire la pasta e servire. Pennette "du Zu Michele" Ingredienti per 4 persone: gr 400 di pennette, gr 90 di passione di Favignana, prezzemolo, pecorino grattugiato, olio, sale. Preparazione: Fare cuocere in acqua le pennette, a cottura ultimata aggiungere la Passione di Favignana, l'olio, il pecorino e servire. Diluendola solo con aglio diventa una salsetta ottima su lessi, su crostini e su bruschette. PRESTIGIACOMO GIROLAMO L'ulivo Nocellara del Belice è una varietà di albero d'oliva che cresce unicamente nella Valle del Belice con Castelvetrano e Selinunte per ettari coltivati e produzione. Un olivo a doppia attitudine, capace cioè di produrre sia olive da mensa che per olio. L'Olio Nocellara del Belice è un olio extravergine di oliva prodotto dalle olive della varietà detta "Nocellara del Belice" una delle più pregiate e prestigiose del mondo. L’olio rientra nella categoria D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta) l'unica riconosciuta per le olive da mensa a livello Europeo, inoltre recentemente ha ricevuto anche il marchio I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta). La Nocellara presenta un’acidità massima dello 0,50% ed una densità di valore medio. Il suo colore è verde con riflessi giallo oro ed ha un profumo d’oliva appena frantumata con sentori di erba. Il suo sapore è fruttato, appena lievemente amaro e piccante con un retrogusto di mandorla, ineguagliabile e pregiatissimo al palato. L'ulivo Nocellara è una pianta antica di queste terre è da sempre ne rappresenta e ne segna le tradizioni, la storia e l'economia. Secolari olivastri nocellari ombreggiavano infatti le pause degli operai addetti all'estrazione nelle Cave di Cusa della pietra per la costruzione della città di Selinunte. Grosse macine di frantoio rinvenute nella zona archeologica di Selinunte, testimoniano la lavorazione delle olive già 500 anni prima di Cristo. Selinunte di queste macine ne faceva largo uso, e l'Olio Nocellara era già allora oggetto di commercio con tutto il mondo ellenico, proprio a confermare la posizione di Selinunte quale emporio dell'olio dell'antichità. Proprio qui a Selinunte, la coltivazione dell'ulivo, con la selezione della "cultivar Nocellara del Belice", trovò condizioni ambientali e di coltivazioni talmente uniche da fare primeggiare l'olio e e le olive di Castelvetrano. La raccolta della Nocellara avviene esclusivamente a mano, con il metodo della brucatura. Il periodo di raccolta comincia alla fine di Settembre e prosegue ad Ottobre, Novembre quando le campagne di Castelvetrano si riempiono di uomini e donne che come una grande festa in un rito antico di migliaia di anni raccolgono il prezioso frutto a mano tra le fronde delle foglie verde-argento dell'ulivo Nocellara. La raccolta, per limitare gli scarti ed ottenere olio pregiato, viene fatta nella fase denominata invaiatura del frutto, cioè quando la drupa sta iniziando il processo di maturazione. Le olive rendono circa il 19% in olio, questo viene estratto con sistemi di molitura tradizionale con un ciclo continuo a freddo entro 24 ore circa dalla consegna al frantoio. Curiosità: L'olio di oliva è l'unico che si possa ottenere dalla semplice spremitura del frutto, senza alcuna manipolazione chimica. L'Olio extra vergine di oliva Nocellara del Belice, si consuma sia crudo che cotto. Ottimo da usare crudo per minestroni, passati di verdure, nelle insalate; in cottura invece è prelibato per la preparazione di salse, arrosti sia di carne che di pesce ma anche per le fritture, poichè il suo punto di fumo è più alto che in tutti gli altri olii. Le olive invece molto grosse e ricche di polpa sono adatte per mensa e spuntini, possono essere preparate in diversi modi, sotto salamoia, schiacciate e condite con olio e pezzettini d'aglio o più semplicemente in salamoia; una variante particolarmente apprezzata è l'oliva nera, il cosidetto "passuluni", ovvero la drupa viene raccolta quando è molto matura assumendo un colorito nerastro, dopodichè viene messa sott'olio e sotto sale e schiacciata con pesi o presse, risulta gustosissima da gustare a tavola e nelle insalate. Le qualità dell'oliva nocellara rendono indubitabilmente quest'olio uno dei migliori in assoluto, elemento principe in una dieta equilibrata ma attenta al gusto quale quella mediterranea, riconosciuta a livello mondiale come la migliore possibile. Numerosi studi hanno dimostrato le qualità straordinarie dell'olio d'oliva, in grado di: ridurre il colesterolo, rischi di occlusione delle arterie, la pressione arteriosa, il tasso di zucchero nel sangue, l'arteriosclerosi, infarto del miocardio, etc... l'olio extravergine nocellara possiede infatti grassi altamente digeribili. PRESTIGIACOMO ROSALIA La combattività del pesce spada: La combattività di questo pesce è documentata fin dall’antichità da notizie di attacchi alle imbarcazioni, a volte con il ferimento dei marinai. Nello Stretto di Messina nel corso delle sue migrazioni primaverili percorre il tratto di mare tra Scilla, Bagnara e Palmi in Calabria, per la riproduzione, poi all’inizio dell’estate inverte la rotta costeggiando lo stretto dal lato della Sicilia. La sua pesca è una tra le più antiche che si conoscano: viene descritta da Omero nel canto XII dell’Odissea, menzionata da Strabone e descritta dettagliatamente da Polibio. Fino agli anni ‘60 del XX secolo questa pesca veniva praticata come descritta da Polibio e quindi con le stesse modalità dell’epoca greca, ed ancora oggi molti termini dialettali usati dai pescatori non sono altro che inequivocabili corruzioni dei corrispondenti termini greci. In questo tipo di pesca ormai non più praticata le barche dette “luntri” o “schifi” erano manovrate da cinque robusti rematori, che facevano procedere la barca con la poppa, sopra la quale stava il lanciatore - ‘u lanzaturi; due dei quattro lunghissimi remi, quelli più verso poppa, poggiavano su scalmi ricurvi sporgenti circa un metro dai bordi della barca per meglio equilibrarne il movimento ed imprimerle una maggiore velocità. Il rematore centrale, detto “mezziere”, a differenza degli altri impugnava i due remi insieme; il “falerotu”, o “ntinneri”, dalla cima del piccolo albero posto al centro della barca, dirigeva le operazioni di avvicinamento alla preda seguendo le indicazioni che la vedetta, appostata su un’altura in riva al mare (”guardiola”) o sulla antenna della feluca (”ntinneri”) - gli trasmetteva a voce agitando una bandierina bianca. Ritto in piedi stava ‘u lanzaturi con la lancia in mano, che generalmente era il capociurma, “u patruni”, a cui tutto l’equipaggio doveva cieca ubbidienza, dato che su di lui incombeva la responsabilità del felice esito del lancio, effettuato anche a distanza di sette, otto metri dalla preda. La fase che precedeva la cattura: Questa fase era caratterizzata dal continuo vociare della vedetta e poi del “falerotu” che, oltre a dare le necessarie indicazioni sulla rotta, incitava i compagni alla voga. La lancia d’elce, e non di quercia o di abete come ai tempi i Polibio, era incastrata con una estremità al corpo dell’arpione; a circa dieci o quindici centimetri dalla punta di questo erano - ed il sistema di costruzione viene adottato ancora oggi - collocate quattro alette, che una volta penetrate nel corpo del pesce impedivano all’arpione di sfilarsi. Appena arpionato il pesce, l’uomo del faliere scendeva dall’albero del “luntro” e correva ad aiutare il lanciatore a manovrare la sagola a cui era ormai attaccato il pesce spada (o tonno, o anche squalo o aguglia imperiale). La pesca con l’arpione oggi è quasi soppiantato da quella con i “palangresi”, lunghe lenze con centinaia di ami che operano in tutte le stagioni e catturano anche gli “spadelli” (”puddicinedda”), i piccoli pesci spada di pochi chilogrammi. Tra la primavera e l'estate, i pesci spada, che abitualmente vivono in acque profonde, si avvicinano alla costa, dove la temperatura è superiore ai 15 gradi, per attendere alla riproduzione ed arrivano anche nello stretto di Messina, esattamente nel tratto di mare prospiciente Palmi, Scilla e Cannitello da un lato e Messina dall'altro. La pesca del pesce spada nelle acque dello Stretto di Messina, è un’arte-mestiere praticata da antichissimo Tempo. Non si hanno notizie certe sulla sua origine e perciò resta difficile stabilire come e quando i pescatori dello Stretto iniziarono a dare la caccia ai pesci spada che da tempo immemore fanno dello Stretto di Messina la loro prediletta via verso le più tiepide acque dello Ionio. Il pesce spada è un pesce lungo fino a 4 metri e pesante, a volte, anche 3 quintali privo di squame di pinne ventrali e di denti. Ha un colore grigio scuro sul dorso e argento nella parte ventrale. Si nutre preferibilmente di seppie e calamari. Pesce spada alla scogliera Preparazione Tagliare quattro fette di pesce spada da 200 g cadauno e passarle nella farina. Quindi farlo dorare in padella con 100 g di burro, dopo di che metterlo in una pirofila, che sarà tenuta in caldo. Preparare la salsa in padella facendo rosolare con il burro un po' di cipolla ed una punta di aglio, aggiungere quindi i gamberi le cozze e le vongole, facendo cuocere pochi minuti; quindi sfumare con vino bianco attendendo il tempo necessario per farlo evaporare; quindi aggiungere il pomodoro, il prezzemolo tritato, il sale ed il pepe quanto basta. Fare cuocere per circa 10 minuti e versare questa salsa sul pesce, che così e pronto per essere servito. Rotolino di spada con caponata di melanzane e riso allo zafferano Preparazione Preparare il riso pilaf con zafferano. Rosolare olio e cipolla, unirvi l'involtino di pesce spada, salare, pepare e spolverare di pangrattato, bagnare col vino. A parte rosolare aglio, olio, acciughe e unirvi la melanzana a cubetti. Fare uno stampino col riso e servire capovolto sul piatto col pesce e la caponata A tavola con le Culture “Altre” La cucina argentina I tratti distintivi della cucina argentina in relazione ad altri paesi dell'America latina, sono i piatti tipici della dieta mediterranea. La cucina argentina tradizionale è fondata essenzialmente sulla carne e subito dopo sulla farina di frumento. La cucina argentina ha sommato varietà, delicatezze e natura con un ampia scelta di pietanze legate alla storia e alla tradizione. Gli emigranti procedenti dal sud d'Europa all'epoca della colonizzazione costituirono, il più importante contingente di persone emigrate tra la metà del XIX secolo, e la prima parte del secolo XX. Grazie ai contributi di tante culture culinarie che hanno conformato il mosaico di razze, che oggi si materializza nel menu di qualsiasi ristorante del paese, nonostante ciò, non perdendo la genuinità del sapore originario, di quelle radici che hanno saputo assimilare sapori tanto diversi e gustosi della gastronomia nazionale variabile come identità culturale proprie. Prima della colonizzazione spagnola nel secolo XVI, questo meraviglioso paese era abitato da un esiguo gruppo di " indios " nomadi, che non hanno lasciato nessuna traccia di civilizzazione. Gli argentini sono per la maggior parte d' origine europea essendo i loro antenati dei coloni italiani e spagnoli. Nonostante ciò, la loro cucina ha poco in comune con quella dei loro rispettivi paesi d' origine, in quanto hanno adattato molto velocemente il loro retaggio gastronomico dei prodotti di questa vastissima nazione: la carne in primo luogo, seguita della zucca, i fagioli ed il mais. Dachè delle diverse regioni offre piatti tipici che congiunge cultura, tradizioni e valori a un obiettivo unico, tale come formare parte della storia, attraverso una diversità di aromi, colori, e sapori, illimitati. Il piatto nazionale per eccellenza argentino è l'arrosto. Che viene dall'usanza che i "gauchos" avevano di cucinare la carne, questo è rimasta uguale fino ai nostri giorni. L' arrosto è un pasto che richiede molta cura e tempo per la preparazione. Sebbene ci siano dei cuochi specializzati nell'arrosto, è il padrone di casa, gentilmente si incarica di prepararlo. Nell' attesa che la carne sia pronta, vengono servite le " empanadas " accompagnate da un buon vino rosso. Questo costituisce un vero rituale gastronomico, perchè intorno alla sua preparazione, si sviluppano sulla variante regionale, diversi costumi abituali della Pampa Argentina. Un' altra protagonista della tavola argentina è il mangiare regionale, molto importante e gustoso nelle diverse zone del territorio, tanto decantate da famosi viaggiatori stranieri. Terra delle carrube, il granoturco, la patata, le pipe e la "llama. Pure del mangire semplice come il "locro", la "empanada" (pasticcio di carne avvolto in pasta), uova, vegetali, con un' infinità di varianti e sapori nel resto delle altre regioni. Contorni cotti come la purea de mais: "humitas", un insieme di mais, latte, uova, páprika e il sale, frullate fino ad ottenere un impasto omogeneo e spesso; poi, in una padella si scioglie il burro e poi si aggiunge la cipolla che si fa cuocere stando attenti a non farla bruciare, versare poi la crema di mais e farla cuocere in modo che la purea diventi ben spessa. Per ultimo aggiungere il parmigiano e servire subito accompagnandola con la carne, e anchè il "tamal". I guaraní hanno influenziato sulla regione del nordest. Loro si basarono sul mangiare con la "mandioca", la zucca, il " mamón" (succhione), il formaggio créolo, e nell' abbondanza dei pesci di fiume d' acqua dolce, come il "dorado", il "surubí "e il "patí". Asado L'asado (arrosto) è un piatto tipico argentino fatto con carne di manzo cotta alla brace. Per la preparazione può essere utilizzato il taglio reale da brodo, che una volta cotto alla griglia risulta molto saporito. Tipici dell'asado sono inoltre le interiora (entrañas o achuras), le salcicce chiamate chorizos e le salciccie di sangue dette morcillas. Condimento dell'asado è il chimichurri (pron. it.: "cimiciurri"), miscela di spezie fresche con olio, aceto e limone che si applica a fine cottura. In generale l'asado sudamericano è l'equivalente della nostra grigliata mista che può essere accompagnato da verdure e salse. Per risaltarne il sapore e la consistenza, la carne deve essere cotta lentamente, anche per ore: per questo motivo l'Asado può essere considerato anche come una maniera di familiarizzare, un rito sociale. Ingredienti: 8 chorizo, 4 salsicce, 1/2 bicchiere di vino rosso, 1 manciata di prezzemolo, 1 cipollina, 1 peperoncino, sale, pepe, cumino, origano, 1/2 bicchiere d'olio Preparazione Pestate nel mortaio tutte le erbe e le verdure, aggiungendo l'olio e il vino, sale e pepe, diluite poi il tutto con un bicchiere d'acqua. Prima di arrostirle, tenerle a bagno per un certo tempo, poi bucherellarle, infine cuocerle a fuoco vivo con le salsicce, spennellandole con la marinata. Arroz con leche Ingredienti 100g di riso, 3 bicchieri di latte, 3 cucchiai di zucchero, sale, 1 limone, cannella in polvere Preparazione Mettete in un pentolino il riso con il latte e lasciate riposare il tutto per almeno 6 ore. Quindi fate sobbollire il riso nel latte per 8 minuti. Trascorso questo tempo aggiungetevi lo zucchero, un pizzico di sale, la scorza di limone grattugiata e proseguite la cottura (aggiungendo dell'altro latte caldo se il riso apparisse troppo asciutto). Servite freddo, in coppe, spolverate in superficie di cannella in polvere. Asado Arroz con leche Ristoranti argentini presenti nel territorio: Milonga Patagonia Steak house La cucina cinese - giapponese Alcuni resoconti della storia della cucina cinese riportano i suoi inizi all'età della pietra cinese, dove la coltivazione del riso e la produzione di "noodles", entrambi tipici esempi di cucina cinese come da noi oggi conosciuta, sono noti da ritrovamenti archeologici. Attraverso i secoli, quando nuove fonti di cibo e nuove tecniche furono inventate, la cucina cinese si modificò gradatamente. A titolo di esempio, l'uso delle bacchette di diversi materiali ed utilizzate come utensili per mangiare, un altro segno distintivo della cucina cinese, risale almeno dalla dinastia Zhou, mentre i piatti di "frittura saltata" sono divenuti popolari durante la dinastia Tang. La cottura col metodo "frittura saltata" fu inventata in seguito alla necessità di conservare la legna da ardere. I più famosi piatti che oggi si possono trovare sono stati inventati durante la dinastia Qing ed i primi anni della Repubblica Cinese. Poco tempo dopo l'espansione dell'Impero Cinese durante la dinastia Qin e la dinastia Han, scrittori cinesi annotano la grande differenza di pratiche culinarie fra persone provenienti da differenti parti del regno. Queste differenze, dovute ad una grossa estensione, alle variazioni di clima ed alla disponibilità di risorse di cibo in Cina, possono essere molto numerose in realtà, ma sono state anticamente classificate in liste di cucina cinese, le cui quattro più conosciute sono: La cucina del Nord e del Sud, antica distinzione, è una di quelle più utilizzate anche oggi, anche se la cultura del cibo nella Cina del Nord e nella Cina del Sud si è ovviamente molto evoluta rispetto alla prima distinzione fatta. Le "Quattro scuole", ovvero Lu, Chuan, Yang e Yue. Spesso tradotte come le cucine di Shandong, Sichuan, Jiangsu and Guangdong, questa distinzione, in uso durante la dinastia Ming, in effetti comprende molte più zone rispetto le attuali provincie. Le "Quattro scuole" sono la classificazione tradizionale della cucina cinese, e sulla loro base si sono sviluppate le "otto scuole" e le "dieci scuole". Le "Otto scuole", che si aggiungono alle quattro sopra citate (o meglio, suddivisesi dalle quattro precedenti) le cucine delle provincie di Hunan, Fujian, Anhui e Zhejiang. Le "Dieci scuole", che aggiungono alle otto sopra citate le cucine di Pechino e di Shanghai. Tra le ricette più note, il riso cantonese. La cucina cinese ha origine a quattro grandi aree: quella a nord (Pechino) quella a sud (Canton), quella orientale (Shanghai e lo Yangtze) e quella dell’ovest (Sichuan). Nord-Pechino: i piatti tipici sono basati su frumento e cereali, quindi spaghetti e ravioli al vapore (jiaozi). Il piatto tipico di Pechino è l’anatra laccata (kaoya). Sud-Canton: è la cucina cinese diffusa in Italia. Propone piatti a base di carne e crostacei e involtini ripieni cotti nel bambù. Oriente-Shanghai: i piatti tipici sono l’anguilla e le minestre di pollo. Ovest-Sichuan: i piatti sono molto speziati come il pollo al pepe, le melanzane all’aglio, il manzo al peperoncino secco e il tofu al chili. La particolarità della cucina cinese è la totale assenza di privazioni di carattere religioso e l’assoluta valorizzazione dei suoi elementi. TEMPURA Ingredienti : 6 gamberoni 12 fagiolini 4 foglie di shiso 4 fettine sottili di zucchina 2 cappelli di shiltaké (funghi cinesi) tagliati in due olio di semi per friggere Ricetta : Sguscia i gamberoni lasciando la coda e tagliali lungo la cavità ventrale. Tamponali bene con un foglio di carta assorbente. Prepara la pastella. In una terrina metti il rosso d'uovo e sbattilo molto delicatamente con una forchetta. Versa l'acqua fredda, mescola 2 volte e aggiungi la farina sempre mescolando. Fai scladare l'olio a 175°C (th.6). Immergi i gamberoni e la verdura servendoti di una schiumaiola e adagiali su carta assorbente. Servi la frittura ben calda Consigli : La Tempura si serve accompagnata da spicchi di limone, sale e pepe oppure con la tradizionale salsa composta da 1/5 di salsa di soia, 1/5 di mirin et 3/5 di dashi. Jiaozi Ingredienti • Per il ripieno: • 100 gr. macinato di maiale • 2 o 3 porri • salsa di soja • olio di sesamo (o olio di semi normale) Preparazione Prendete i porri crudi e tagliateli in pezzettini molto piccoli, incorporateli alla carne di maiale macinata fine, aggiungete abbondante salsa di soia e un filo di olio. Mescolate bene poi coprite con la pellicola e lasciate macerare il composto per qualche ora in frigorifero. Ogni tanto rimestatelo un pochino. Intanto mescolate la farina col sale e l'acqua come se doveste fare una pizza ma senza lievito, fino a fare una palla di pasta compatta. Stendete la pasta piuttosto sottile (attenzione che non si rompa), tagliatela a dischetti (io uso un bicchiere capovolto per questa operazione) e mettete nel centro poco ripieno facendo attenzione a lasciare molta pasta attorno per poterli chiudere bene. Chiudete quindi i ravioli schiacciando molto la pasta sui bordi (eventualmente tirandola per farla più sottile) e cuocete in acqua bollente poco salata. Quando vengono a galla io li lascio ancora un pochino dentro perchè la carne si cuocia bene. Sevite caldi con salsa di soia. Maki sushi INGREDENTI (per 4 persone) 120 gr di filetto fresco di tonno 1 cetriolo piccolo 4 foglie di alga nori 640 gr di riso per il sushi (sushi gohan) 20 gr di wasabi o di peperoncino (1 cucchiaio raso) 100 gr di zenzero (conservato in agrodolce e affettato) salsa di soia PROCEDIMENTO Tagliare il tonno a strisce lunghe circa 5 cm e larghe circa 1,5 cm. Lavare e sbucciare il cetriolo. Dividerlo a metà e procedere come già fatto per il tonno. Spianare le foglie di alga e dimezzarle per la larghezza con un paio di forbici da cucina. Disporre la mezza foglia di alga su cui cospargere uno strato di sushi gohan spesso 1/2 cm, lasciando libero un bordo di 1 cm. Stendere il wasabi in uno strato sottile e mettere in mezzo una striscia di tonno oppure 3 di cetrioli. Avvolgere l’alga aiutandosi con la stuoia, premendola leggermente in modo da ottenere una forma squadrata. Tagliare i rotoli così ottenuti in larghe fette di uguali dimensioni. Ornare il piatto con qualche fettina di zenzero. Jiaozi Riso cantonese Tempura Ristoranti cinesi presenti nel territorio Maki sushi Ristorante Asia di Yang Ximao Hong Kong Ristorante Cinese Ristorante Cinese Felice Di Chen Zhi Hong Ristorante Cinese Hua Li Du Di Zhang Airong Ristorante Cinese Shang Hong Pizzeria Ristorante Cinese Can Ton Xu Jianlong La cucina mauriziana La cucina mauriziana o creola è rinomata grazie al suo eccellente mélange di cucine asiatiche, africane ed europee. I suoi sapori sono forti e decisi, le salse piccanti e aromatiche. I frutti di mare ed i pesci sono generalmente cotti con spezie o alla cinese o semplicemente al curry, oltre al metodo tradizionale francese. Il pesce rimane comunque il piatto dominante: l'Oceano Indiano infatti è ricco di aragoste, ostriche, granchi, gamberi e gamberoni che qui vengono cucinati alla griglia o in cari. La selvaggina, la cacciagione o i volatili vengono spesso cotti alla griglia, al curry o in salsa. La specialità locale è sicuramente il Camaron in salsa rossa servito su un letto di cuori di palma. Il cari è un tipico modo di cucinare la carne (pollo, montone, cervo o capretto), la verdura o il pesce, in olio, aglio, cipolla, pomodoro, zafferano ed altre spezie. Di solito si accompagna con riso bollito senza sale oppure con rougail, una salsa piccantissima a base di pomodori, peperoncino, zenzero, cipolle, aglio e sale, ma anche con dalla verdura, cavoli e cipolle oppure con limoni verdi sott'olio e zenzero. A Mauritius si gusta molta carne di cervo, cucinata al forno, con verdure, riso e legumi vari. Nella stagione della caccia si mangia ottima carne di lepre e barbecue di cinghiale. Mauritius è un paradiso di frutti tropicali che vanno dall’ananas al melone passando per mango, litchies, papaia e banana. Una varietà di legumi tradizionali e locali accompagna i piatti mauriziani, la fricassée de chouchou o gli achard légumes. Un po’ ovunque, potrete gustare i vari faratas, gateaux piment o badjahs. Bhajas Ingredienti: 25gr di farina, ½ cucchiaino di peperoncino in polvere, 1 cucchiaino di polvere di curcuma, 1 cucchiaino di lievito, sale a piacere, ½ cucchiaino di semi di cumino sminuzzati grossolanamente, 2 grosse cipolle affettate finemente, 2 peperoni verdi tritati finemente, 2 cucchiai di foglie di coriandolo tritate, olio vegetale per frittura. Preparazione: in una ciotola, miscelare insieme la farina, il peperoncino, la curcuma, il lievito e il sale a piacere. Aggiungere i semi di cumino sminuzzati grossolanamente, la cipolla, i peperoncini verdi e le foglie di coriandolo. Miscelare tutto bene insieme. Molto gradualmente miscelare in acqua fredda sufficiente fino a creare una pasta spessa che avvolga tutti gli ingredienti. Scaldare olio sufficiente in un wok o in una padella per frittura simile. Versare l'impasto a cucchiaiate nell'olio caldo e friggere fino a doratura. Lasciare abbastanza spazio per voltare le frittelle. Scolare bene e servirle calde. (Come alternativa, immergere pezzi di verdura nell'impasto prima di friggere nell'olio). Gateaux piments Ingredienti: 250gr di piselli schiacciati, 2 o 3 peperoncini rossi o verdi (quantità a piacere), 2 cucchiai di foglie di coriandolo tritate, 2 cucchiai cipolle novelle finemente tritate, sale a piacere, ½ cucchiaino di semi di cumino interi o cumino in polvere, olio per frittura. Preparazione: lavare i piselli in acqua corrente. Lasciarli immersi in acqua per minimo 3-4 ore. Scolare i piselli completamente mettendoli in un setaccio e lasciando scolare per qualche minuti. Mettere in un miscelatore e miscelare ottenendo una consistenza più o meno omogeneo. (Come alternativa comprare dei piselli già macinati, né in maniera troppo raffinata né troppo grossolanamente, e lasciarli in ammollo prima dell'uso). Deve comunque esserci una parte abbastanza fine per poter creare l'impasto della torta al peperoncino. Aggiungere tutti gli altri ingredienti ai piselli polverizzati e miscelarli bene insieme. Aggiungere un po' d'acqua se necessario. Scaldare bene l'olio a fuoco medio. Dare forma di palline all'impasto e friggere in gruppi fino a doratura. Assicurarsi che tutta la torta sia cotta. Regolare il calore se necessario per assicurare la cottura completa. Scolare e disporre su diversi piani di carta assorbente per raccogliere l'olio in eccesso. Servire caldi con pane fresco o mangiarli come snack. Gateaux piments Bhajas Non sono presenti a Palermo ristoranti mauriziani. Penso che ciò sia dovuto al fatto che la cucina mauriziana manca di una vera e propria identità. Tale cucina, infatti, non è altro che l’insieme di elementi/alimenti appartenenti a cucine diverse, come ad esempio, quella indiana. La cucina messicana Prendere qualche ingrediente azteco e qualche condimento maya; mischiare con prodotti tipici spagnoli, aggiungere un tocco di caraibi e una spruzzata di francese. Il risultato, colorato, piccante e imperdibile, è la cucina messicana. Ogni paese, a tavola, risente dell’alterazione delle tradizioni e dei prodotti locali, effettuata dalle contaminazioni straniere. Se in luoghi che per secoli sono stati chiusi alle influenze del mondo esterno, come il Giappone, la gastronomia locale è riuscita a mantenersi originale e quasi del tutto incontaminata, è anche vero che ci sono nazioni che hanno visto, per buona parte della loro storia, un susseguirsi di conquistatori, invasioni, flussi migratori e cuochi. La civiltà precolombiana, termine con cui si designa la varietà di popoli originari delle Americhe che furono sterminati dopo che Colombo toccò terra e dalla vecchia Europa partì l’assalto al Nuovo Mondo, è conosciuta per gli splendori dell’oreficeria, il mistero delle costruzioni, l’inquietante ritualità di alcune religioni; raramente ci si sofferma sul fatto che Maya, Inca, Aztechi e compagnia, oltre a costruire città dorate e piramidi immense, come tutti, mangiavano. E avevano le loro tradizioni culinarie, che prevedevano principalmente il mais, il peperoncino, i fagioli, la zucca, ma anche i pomodori, le patate e il cacao; in gran parte cibi che, se Colombo avesse sbagliato strada, da noi non sarebbero mai arrivati. Quando i conquistatori spagnoli sbarcarono nell’America Centrale, si trovarono nella necessità, tra uno sterminio e l’altro di popoli millenari con tradizioni meravigliose che vennero letteralmente massacrati, di dover mangiare qualcosa. Molti cibi se li erano portati da casa, come il riso, carni varie che spaziavano dal manzo al maiale al pollo, le cipolle e il vino; altri li presero in loco. Nel corso degli anni poi arrivarono anche le influenze della cucina caraibica e di quella francese. Il risultato è che la cucina messicana è uno dei più splendidi e saporiti esempi di contaminazione culturale gastronomica. Se per alcune ricette è facile risalire alla provenienza (i piatti a base di serpenti a sonagli sono di origine tipicamente locale, quelli di maiale sono stati importati), per altri la commistione tra generi è tale che è del tutto inutile cercare di capire chi ha contribuito con cosa. Ormai quella messicana è una cucina a sé, che si è andata costruendo una precisa identità nel corso dei secoli, tale da essere una delle più amate e rinomate al mondo. Come in tutti i paesi, anche in Messico le abitudini alimentari differiscono a seconda della regione; la parte più settentrionale del paese consuma moltissima carne, soprattutto di manzo; la cucina della parte più meridionale invece fa molto uso di verdure, è leggermente più piccante (in una nazione in cui, comunque, la piccantezza di un piatto è qualcosa di abbastanza scontato), mentre le ricette a base di prodotti ittici fanno parte di una scuola di cucina chiamata stile Veracruz. In generale, se si parla di piatti tipici, al Messico si associano i tacos, i burritos, le tortillas, il guacamole, il tutto mandato giù con abbondante tequila o mezcal, ma anche liquados, specie di frappè alla frutta. La frutta è presente in tantissime varietà ed è molto amata. La ricetta nazionale più complicata da realizzare è il Mole Poblano: la tradizione vuole che sia stato inventato dalle monache di un convento che, per onorare la visita di un vescovo, non avendo piatti speciali da offrire, decisero di bollire insieme più o meno tutto quello che trovarono in dispensa, circa cinquanta ingredienti, dal cacao al peperoncino, dal pane allo strutto, ottenendo una salsa saporitissima con cui condire il tacchino. Però, in genere, quando si parla del Messico si pensa alla tortilla. La famosissima focaccia a base di farina di mais ricopre il ruolo che da noi è dato al pane, ma anche alla pasta: può infatti servire da accompagnamento ai piatti, ma spesso e volentieri li racchiude, cambiando nome a seconda del condimento. È difficile fare un parallelismo fra la cucina messicana e quella, ad esempio, italiana, poiché i piatti e i gusti sono così diversi che ci sono non poche difficoltà a paragonare, come antipasti, le pannocchie di mais al chili con una bruschetta; o come primi, un burrito con un piatto di pasta. Però ci sono anche affinità: in Messico, grazie anche alla passione per le verdure, spesso si inizia il pasto con una zuppa, che può spaziare dal tipo con la sola presenza di verdure, a quello con l’aggiunta di carne; per cui un pasto si può aprire con una zuppa a base di pomodoro e mais, o piselli e carne bianca. La carne, come detto, è molto consumata soprattutto al nord: agnello, manzo, maiale e pollo sono protagonisti sia di pietanze a sé, sia di creazioni a base di pasta lievitata o racchiuse in tortillas o tacos, come le empanadas o i tacos con carne. Il pesce, come ovvio in un paese che si affaccia sul mare, è molto amato, così come i crostacei e i frutti di mare. Attenzione a non confondere la cucina messicana pura con altri generi, come il Cal-Mex, tipico della zona confinante con la California, o il famosissimo Tex-Mex, una commistione di gastronomia messicana e texana, a cui si devono il famosissimo chili con carne e le enchiladas. Chiles rellenos Fiori di zucca...................400 gr Strutto.............................150 gr Chiles Poblanos................8 formaggio fresco...............8 fettine Cipolla tritata....................1 cucchiaio Epazote tritato..................1 cucchiaio Uova...............................3 Tostare i peperoni in forno e spellarli dopo averli fatti sudare in una busta di plastica. Aprirli leggermente per poter togliere i semi quindi riempirli con fiori di zucca, una fettina di formaggio fresco, la cipolla e l'epazote. Sbattere l'albume delle uova ed in seguito aggiungervi i tuorli a loro volta sbattuti con un cucchiaio di farina. Passare i peperoni ripieni nel composto ottenuto e dunque friggerli nello strutto ben caldo. Servire con guacamole I chiles poblanos possono essere sostituiti con dei peperoni verdi nostrani. Guacamole Avocados...................2 Pomodori...................1 Chile serrano..............1 Cilantro tritato............1 cucchiaio Cipolla tritata..............1 cucchiaio Succo di lime..............1 cucchiaio Olio d'oliva.................1/2 cucchiaio Ridurre tutti gli ingredienti in un purè grossolano. Il cilantro può essere sostituito dal prezzemolo. Esistono diverse ricette per realizzare il guacamole. In genere il segreto per ottenere una buona salsa risiede nella scelta degli avocados, che devono essere molto ben maturi. Se si vuole ottenere una salsa più delicata è possibile aggiungere agli ingredienti un cucchiaio di panna da cucina. Tostadas Tortillas di mais.....................24 Fagioli neri "refritos"..............250 gr Olio di mais..........................200 gr Petto di pollo cotto................1 Panna da cucina....................1/4 di litro Lattuga.................................1 Chiles chipotles.....................10 Formaggio tipo Feta...............100 gr Friggere in olio ben caldo le tortillas di mais ed aggiungere su ognuna un sottile strato di frijoles refritos. Sui fagioli si dispongono a strati il pollo finemente sminuzzato, la panna, la lattuga tagliata in finissime striscioline ed infine il formaggio ed il chile chipotle a pezzetti. Aggiustare di sale. Questa ricetta è molto semplice da realizzare, ma al contempo molto gustosa. Nella ricetta originale il pollo può essere sostituito con la carne della zampa di maiale spezzettata. E' anche possibile aggiungere a piacere del pomodoro a pezzetti e della cipolla a rondelle o tritata. Guacamole Tostadas Chiles rellenos Ristoranti messicani presenti nel territorio: El Mezcalito La cucina spagnola La cucina spagnola è fortemente radicata nelle tradizioni più antiche e ha il merito di aver promosso all'inizio del 1500 l'ingresso di prodotti nuovi (patata, pomodoro, mais, cacao ecc.) provenienti dalle americhe. La gastronomia delle regioni affacciate sul mare (Catalogna, Valencia, Andalusia, Isole Canarie) comprende preparazioni a base di pesce e di carne ed è più varia e fantasiosa di quella all'interno, fondata essenzialmente sulla carne (maiale, agnello) e dai legumi. Tra gli antipasti (entremeses), i frutti di mare (mariscos), olive verdi e nere, salumi (serranos di trevelez e il salchichon di Vich) sono le preparazioni più tipiche. Gli aperitivi sono noti anche come Pincho. Tra gli antipasti caldi ricordiamo la tortilla (frittata con patate) che si serve soprattutto come piatto forte e preparata secondo molte varianti. Tra le minestre la più classica è la sopa de ajo (zuppa d'aglio) e il gazpacho (zuppa di vegetali crudi servita fredda). Anche le preparazioni di carne e pesce sono varie e gustose. la paella, la preparazione più famosa della cucina spagnola è il prototipo del piatto unico, preparata con riso, carne (pollo, salsiccia e coniglio), pesce (gamberoni e scampi), frutti di mare (mitili e vongole), verdure (pomodori, peperoni, piselli, olive) e altri ingredienti. Il termine spagnolo "paella" si riferisce alla padella che si usa per cucinare questa pietanza, la "paellera" (padella di ferro larga e dai bordi bassi munita di 2 manici). Altro piatto importante di origine contadina è il cocido, un bollito misto preparato con tipi diversi di carne a seconda delle regioni e con differenti verdure e legumi. Per finire le preparazioni a base di carne. Una preparazione caratteristica è il cochinillo (porcellino neonato) arrostito nel forno. I piatti di pesce, invece, trovano le migliori caratteristiche nella zuppa zarzuela, nel baccalà alla vizcayna e nel merluzzo alla basca. Come contorno il più importante è il pisto manchego (pomodori, cipolle, melanzane e zucchine tagliati a pezzi e cucinate in padella con olio per circa 30 minuti). Per quanto riguarda i dessert, sono ben rappresentati e alcuni ricordano da vicino le produzioni siciliane. L' aspetto vinicolo in Spagna è imponente e di qualità. I più famosi sono i vini di Rioja e di Navarra, quelli di Jerez, i vini molto alcolici Valdepenas e i pregiati vini spumanti della Catalogna. Derivato del vino è invece la sangria. Paella INGREDIENTI -riso -carne: pollo, maiale -pesce: crostacei, molluschi, anguille -verdura: fagioli, carciofi, piselli, peperoni, cipolle -zafferano La paella è il simbolo della tradizione culinaria spagnola. Le ricette di questo piatto possono variare, in quanto la particolarità della paella non sta negli ingredienti ma nella cottura del riso. Il principio fondamentale per la preparazione di questo piatto sta nella cottura armoniosa del riso insieme agli altri ingredienti, durante la quale il chicco prende tutta la sua morbidezza. La presenza dello zafferano diversifica la paella dalla tradizionale zuppa di pesce marsigliese. Curiosità: Il piatto prende il nome da paella, che in lingua originale significa padella, ovvero il basso recipiente di ferro a due manici nella quale viene cucinata e servita direttamente in tavola la paella. La paella fu inventata nel XIX socolo, nella zona dell'Albufera, e in origine era un riso con carciofi, o piselli, fave o peperoni amalgamato a pezzi di pollo e coniglio. Il suo segreto, come per tutti i risi valenciani, è la particolare morbidezza del riso. Funghi al chorizo Ingredienti: 6 grandi funghi champignons mandorle tostate 25 g chorizo 60 g pangrattato 25 g un paio di cucchiai di olio di oliva 1 limone per servire Preparazione: Staccate i gambi dai funghi puliti e tritateli nel mixer, tenendo le cappelle da parte. Unire al composto nel mixer le mandorle e il pangrattato e frullarli inisiee, in modo da ottenere una poltiglia. Mescolate in una terrina il chirizo con il composto frullato; grazie ai funghi il composto sarà umido abbastanza da rimanere legato e quindi da poter essere lavorato con le mani. In caso fosse secco aggiungete poco olio di oliva. Spennellate ogni cappella di olio, sia dentro che fuori. Diponeteli su una teglia da forno e farciteli con il composto di pangrattato, con l’aiuto di un cucchiaino. Portate il grill a calore medio, mettervi i funghi e cuocete per qualche minuto, fino a che la salsiccia non si rosolerà e i funghi non si cuoceranno bene, ma attenzione a non cuocerli troppo o perderanno la forma. Serviteli ben caldi, guarnendo con spicchi di limone e spruzzandone un po’ di succo sulle cappelle prima di mangiarli Funghi al chorizo Ristoranti spagnoli presenti nel territorio: La Cueva Paella La cucina tedesca La cucina tedesca, a differenza dell’opinione diffusa, è una cucina molto ricca e varia. Sarebbe errato voler ridurre il tutto a Würstchen, Kartoffel, und Bier (salsicce, patate e birra), anche se, devo riconoscerlo, vi è abbondanza e varietà di salumi, patate e birra. Ogni regione è orgogliosa della propria birra. In Baviera viene chiamata das flussige Brot, il pane liquido. Ma la cucina tedesca non è solo questo. Richiede tempo e pazienza: è ricca di ingredienti, fedele ai cicli della natura, diversificata da nord a sud, da est ad ovest, con tipici piatti stagionali. La componente nordica si fonde con quella meridionale e con la tradizione ebraica. La cucina del Sud più ricca di carne e di cacciagione, quella del Nord di pesce. Le verdure, dai cavoli ai cavolfiori, alle verze al cavolo cappuccio alle rape bianche e rosse, arricchiscono le tavole dei periodi freddi. Settembre è il mese dei funghi: i “finferli”, molto amati; solo adesso si stanno imponendo i porcini. Maggio è il mese degli asparagi, rigorosamente bianchi. Giugno e luglio sono i mesi dei frutti di bosco. I banconi dei verdurai sono inondati da fragoline selvatiche, fragole, ciliegie, amarene, mirtilli, more, lamponi, ribes rossi e bianchi, uva spina: una sinfonia di colori. Le portate normalmente non sono più di tre. Come primo piatto sono diffusi i brodi o le creme di verdure, segue il piatto principale e il dolce. Il pasto serale nella maggior parte delle famiglie continua tuttora ad essere freddo, l’Abendbrot (pane serale): la versione tedesca del panino imbottito italiano accompagnato al massimo da insalate. Sacro è invece il rito del Kaffe und Kuchen (caffè e torta). I tedeschi sono molto socievoli: è uso invitare amici e parenti verso le 15.30 e le 16.00 a conversare davanti ad una tazza di caffè e una fetta di torta, rigorosamente fatta in casa. Crauti Ingredienti 1 scatola di crauti da 1 kg, una cipolla tritata fine, 4-5 coccole di ginepro, 2 bicchieri di spumante secco, sale e pepe. Preparazione Soffriggere la cipolla, mettere i crauti, appianandoli con due forchette. Aggiungere il ginepro, lo spumante, salare e pepare. Fare cuocere per 2030 minuti. Fischierete laibchen Ingredienti 500 g di carne tritata mista, 100 g di speck, 1 cipolla, 1 spicchio d'aglio, olio di semi, 2 panini raffermi, noce moscata, maggiorana, basilico, prezzemolo, 1 uovo, sale e pepe. Preparazione Ammollare i panini in acqua. Strizzarli e mescolarli alla carne con la cipolla, l'aglio e lo speck, tirtati e rosoltati nel burro (a parte), l'uovo battuto con sale e pepe un trito di erbe aromatiche e noce moscata grattugiata. Manipolare l'impasto a lungo; quindi dividerlo in porzioni e farne delle polpette da schiacciare e friggere in padella, in olio bollente. Nel territorio non vi sono, al momento, ristoranti ma è presente una birreria: Birreria warsteiner La cucina tunisina La cucina tunisina è un misto di cucine europee, orientali e delle tradizioni culinarie dei popoli del deserto. La presenza di spezie forti gli deriva dalle vicine nazioni affacciate sul Mediterraneo e dalle molte civiltà che hanno dominato il territorio tunisino – i Fenici, i Romani, gli Arabi, i Turchi, i Francesi e i Berberi nativi. Molti degli stili culinari e degli utensili iniziarono a prendere forma quando ancora le tribù antiche erano nomadi. I nomadi avevano una cucina limitata fatta di casseruola fatte in loco e pentole che potevano trasportare nelle migrazioni. TAGINE è il nome originario dato a una casseruola conica dotata di coperchio, anche se oggigiorno questo termine viene utilizzato per il cibo cucinato con questo utensile. A differenza di altre cucine nord-africane, la cucina tunisina è molto speziata e piccante. Esiste una storia che narra di una donna anziana che diceva che un uomo poteva giudicare l'amore della moglie dalla quantità di peperoncino piccante utilizzato nella preparazione dei piatti. Se il cibo diventava blando, allora un uomo poteva sospettare che la moglie non l'amasse più. Ad ogni modo quando un piatto viene preparato per degli ospiti la quantità di peperoncino diminuisce per accontentare anche i palati più delicati. Il couscous è il piatto nazionale tunisino e può essere preparato in una miriade di modi. Viene cotto in una specie di bollitore soppio speciale chiamato Couscousiere. La carne e le verdure sono cotte nella parte inferiore, la parte superiore è dotata di buchi attraverso i quali sale il vapore con il quale viene cotto il grano che viene versato proprio in questa sezione del bollitore. Cotto in questa maniere il grano acquisisce il sapore di ciò che sta cocendo nella parte inferiore. Il grano utilizzato solitamente è quello di semolino. Ricca di profumi e di sapori particolari la cucina tunisina è molto varia e arricchita da un gran utilizzo di spezie come l’anice, la menta ed il cumino. Tra i piatti tipici ricordiamo oltre ai famosi spiedini e al Coucous, l’agnello cucinato in anfore di terracotta, il Brik, una specie crepe ripiena di uova, verdura e carne. Abbondante è il consumo di frutta e soprattutto dei dolcissimi datteri. Chi ama il pesce, potrà assaggiare il corrtplet de poisson, pesce fritto o alla griglia con contorni e uova fritte, o degli ottimi gamberoni giganti, oppure della cernia preparata con limone, finocchio ed erbe aromatiche. Tra i primi piatti, il più tipico è il brick, una sottilissima pasta triangolare, detta malsouka, farcita con un uovo o con ripieno di erbe, che nelle trattorie viene preparata e fritta davanti al cliente. Altra specialità è la salade mechouia, composta da pomodori e peperoni alla griglia, tagliati a pezzetti e mescolati con tonno, uova, capperi e sedano e conditi con olio d'oliva e limone. Fra i piatti forti regna il cous cous, una sorta di semolino fatto in casa che si cuoce a vapore su uno spezzatino di carne (o pesce) e verdure; si mangia poi tutto insieme, aggiungendo a piacere la famosa hai issa, una deliziosa salsa piccante a base di peperoncino rosso e olio di oliva, che accompagna molti piatti tunisini. Tra i piatti di verdure, infine, il più tipico è la chakchouka, che ricorda la ratatouille francese ed è costituita da un misto di verdure cotte in olio a fuoco lento e viene a volte servita con un uovo in camicia. Tra i formaggi il più particolare è il numidia di Mateur, simile al gorgonzola. Fra i dessert i gelati e le creme sono davvero squisiti, mentre i dolci, tutti a base di miele, possono risultare un po' stucchevoli, tanto sono zuccherati. La frutta, infine, è tutta deliziosa: la varietà maggiore si ha in estate, quando si può scegliere fra uva moscato, fragole, mele, cocomeri e pesche; in inverno invece si può optare per arance, clementini e datteri. Cous cous Uno dei primi riferimenti scritti al cuscus viene dall'anonimo autore di un libro di cucina dell'Andalusia musulmana del XIII secolo, il Kitāb al-tabīkh fī al-Maghrib wa l-Andalus, che dà una ricetta per il cuscus che era "ben noto in tutto il mondo". Il modo in cui in quest'opera compare il nome dell'alimento (preceduto dall'articolo al- ma senza valore determinativo) dimostra che era una parola berbera e non araba. Il cuscus era noto anche nel regno nasride di Granada. Sempre nel XIII secolo uno storico siriano di Aleppo cita il cuscus in quattro occasioni. Queste citazioni così antiche mostrano che il cuscus si diffuse rapidamente, ma che in generale esso era comune soprattutto nell'occidente islamico fino alla Tripolitania, mentre più ad est, a partire dalla Cirenaica, la cucina era soprattutto di tipo egiziano, in cui il cuscus costituiva solo un piatto occasionale. Oggi, il cuscus è conosciuto in Egitto e nel Vicino Oriente, ma in Marocco, Algeria, e Tunisia, il cuscus è il piatto-base. Uno dei primi riferimenti al cuscus in Europa settentrionale è in Bretagna, in una lettera datata 12 gennaio 1699. Ma già molto tempo prima esso aveva fatto la sua comparsa in Provenza, dove il viaggiatore Jean Jacques Bouchard scrive di averlo mangiato a Tolone nel 1630. Da qualche anno in Sicilia, a San Vito Lo Capo, in settembre si svolge il Cous Cous Fest www.couscousfest.it, rassegna internazionale di cultura ed enogastronomia del mediterraneo, cui partecipano decine di rappresentanti delle tradizioni culinarie dei paesi mediterranei e dell'Africa occidentale, che si confrontano nella preparazione dei loro Cous Cous. chicchi di cuscus vengono fatti con la semola (grano duro macinato grossolanamente) o, in alcune regioni, da orzo o miglio macinati grossolanamente. La semola viene aspersa d'acqua e lavorata con le mani per farne pallottoline, che vengono asperse di semola asciutta per tenerle separate, e poi passate al setaccio. Le pallottoline che sono troppo piccole per costituire i chicchi di cuscus passano attraverso il setaccio e vengono di nuovo asperse di semola asciutta e lavorate a mano. Questo processo continua fino a che tutta la semola è stata trasformata nei minuscoli chicchi del cuscus. Questo procedimento richiede una lavorazione molto prolungata. Nella società tradizionale le donne solevano radunarsi a gruppi per vari giorni per preparare insieme una grande quantità di cuscus in grani. Questi ultimi, seccati al sole, potevano poi durare per parecchi mesi. Al giorno d'oggi, la produzione del cuscus è in gran parte meccanizzata, e questo prodotto viene venduto sui mercati di tutto il mondo. Allo stesso modo si possono preparare le pallottoline di berkukes, che si differenziano per essere più grosse dei chicchi del cuscus normale. Il cuscus dovrebbe essere passato al vapore due o anche tre volte. Quando è cotto come si deve è morbido e leggero, non dovrebbe essere gommoso né formare grumi. Il cuscus che si trova in vendita nei supermercati occidentali è solitamente passato al vapore una prima volta e poi essiccato, e le istruzioni sulla confezione consigliano di aggiungervi un po' di acqua bollente per renderlo pronto al consumo. Questo metodo è rapido e facile da preparare: basta mettere il cuscus in una ciotola e versarvi sopra l'acqua o il brodo bollente, coprendo poi la ciotola con un foglio di plastica. Cuscussiera Il metodo tradizionale del Nordafrica prevede l'uso di un recipiente per la cottura a vapore chiamato taseksut in berbero, kiska:s in arabo o cuscussiera (couscoussier o couscoussière in francese). La base è una pentola di metallo allungata a forma bombata in cui si cuocciono le verdure e la carne in umido. Sopra questa base viene collocato il recipiente dal fondo forato in cui il cuscus si cuoce a vapore assorbendo i sapori del brodo sottostante. Se l'incastro tra il il bordo della pentola inferiore e il recipiente superiore non è ermetico, spesso viene posto uno strofinaccio umido per non far fuoriuscire il vapore dai lati. Non vi sono molte prove archeologiche di un uso antico del cuscus, ma può darsi che questo si debba al fatto che le cuscussiere antiche erano fatte di materiali organici, destinati a non sopravvivere. In Algeria, Tunisia e Marocco, il cuscus viene generalmente servito con verdure (carote, rape, ecc.) lessate in un brodo più o meno piccante, e qualche tipo di carne (di solito, pollo, agnello o montone); in Marocco, sul cuscus si può trovare anche del pesce in salsa agrodolce con uvetta e cipolle; in alcune regioni della Libia si usano anche pesce e calamari. il brodo della carne in Tunisia è rosso, con pomodoro e peperoncino. Cous cous I ristoranti tunisini presenti nel territorio: Al-Duar Amira La Medina La mensa del popolo Birreria tedesca Tutto comincia cinquecento anni fa, quando il Duca Guglielmo IV di Baviera emana il cosiddetto Reinheitsgebot (editto della purezza): prima, nel 1485 per la città di Monaco, dopo, nel 1516, per tutta la Baviera. L'intenzione era di regolamentare l'industria della birra. La spinta a questa regolamentazione venne da una grande preoccupazione tra i bavaresi: i cattivi raccolti del grano avevano avuto come conseguenza anche un incontrollato aumento del prezzo della birra. La birra era un alimento importante per la popolazione e il principe voleva garantire per tutti una bevanda dal costo accessibile. Un'altra causa della preoccupazione nella popolazione era la paura non soltanto per le malattie, ma anche per il pericolo di avvelenamento per alimenti alterati. Ma al di là degli scandali delle frodi, c'era anche un problema insito nella birra stessa: il risultato della fermentazione naturale del malto di per sé non aveva un gusto molto gradevole, essendo abbastanza insipido. Da tanto tempo, quindi, si sperimentavano altri ingredienti oltre l'acqua e l'orzo per dare alla birra un sapore migliore. A tal fine si erano utilizzate sostanze di ogni genere, come ad esempio erbe, radici, funghi; persino sostanze organiche come il sangue di bue... Per quanto il luppolo fosse già conosciuto da tanto tempo come conservante naturale e come sostanza per aromatizzare la bevanda, c'erano tanti birrai che cercavano di migliorarne il gusto con altre sostanze - spesso pericolose per la salute. L'intenzione del principe bavarese fu quella di proteggere la popolazione da quegli abusi. Un terzo motivo per l'emanazione dell'editto del 1485 ha un sapore moderno: il Principe volle condizionare i produttori di birra a livello economico, concedendo il privilegio come una prerogativa speciale. Sotto la prospettiva moderna del "marketing", si può dire che la birra bavarese diventò così un "marchio di qualità". Il primo risultato di questa politica economica dei principi bavaresi fu che i produttori di birra guadagnarono un prestigio sociale molto alto. Le conseguenze dell'editto furono importanti: il prezzo massimo per una "misura" ("Maß" - circa un litro, espressione usata ancora oggi in Baviera per il tipico boccale di birra) fu fissato a 2 Pfennig d'argento - quando ad esempio la carne di vitello costava per chilo circa 5 Pfennig, un pollo 4 Pfennig o dieci uova 2 Pfennig. Per fare un confronto: un falegname guadagnava a quell'epoca circa 24 Pfennig al giorno. Il prezzo della birra è sempre stato un affare quasi "politico". Nel 1844 la popolazione a Monaco fece una rivolta contro l'aumento arbitrario del prezzo della birra. Quando le masse popolari insorsero contro le fabbriche di birra, il governo tentò una repressione militare che fallì perché i soldati, soffrendo essi stessi per i prezzi impossibili della birra, fraternizzarono con i rivoltosi... Un’altra conseguenza dell'editto fu la fissazione dei controlli. A Monaco per esempio c'era, dopo l'emanazione dell'editto, una commissione comunale per controllare la qualità ed anche l’igiene del processo di fabbricazione. I produttori dovettero prestare giuramento e così furono obbligati al rispetto delle regole dell'editto. I sofisticatori di birra venivano regolarmente puniti; ma mentre nell'antica Babilonia venivano annegati nella propria birra, in Baviera erano imprigionati e forzati a bere per un bel po' di tempo la birra da loro stessi alterata... Anche l'aspetto della "politica economica" fu coronato dal successo, e non soltanto a livello di mercato (la birra bavarese è stata sempre un prodotto importante della esportazione!). Un bell'esempio del prestigio goduto dai produttori di birra fu il comportamento del padre di Federico II di Prussia. Era usanza della corte Prussiana di avviare tutti i figli alla conoscenza di un mestiere "borghese". Così il re spinse il principe ereditario allo studio dell'arte della birra. Fu così che Federico II conobbe bene il mestiere del birraio! Per tanti secoli i produttori non ebbero una conoscenza scientifica, nel senso moderno del termine, del processo di fermentazione. Fin dall'inizio dell'epoca moderno tante credenze popolari dovevano aiutare a spiegare che cosa succedeva quando si trasformava il malto in alcool. Nella regione corrispondente all’odierna Svizzera si credeva che la fermentazione fosse opera delle "streghe della birra"; invece i Germani erano convinti che il dio Wotan dovesse sputare nella birra per innescare il processo... Ma alla fine si capì che era quella sostanza che saliva in superficie, il lievito, a provocare la fermentazione. Solo nel secolo scorso, però, fu scoperto da Louis Pasteur, che si trattava di microrganismi, cioè funghi, che trasformavano il malto in alcool ed anidride carbonica. Project work CIBO E COMUNICAZIONE Il wine - bar Il wine-bar è un locale in cui si possono degustare vini talvolta accompagnati da assaggi gastronomici Cosa si rileva alla fine della mia ricerca? I wine bar siciliani non posseggono siti esaustivi relativi alle loro attività e talvolta non hanno proprio un sito Internet. Secondo me locali del genere dovrebbero porre l’attenzione centrale sul vino accostando ad esso piccoli stuzzichini come salumi e formaggi. Spesso l’attività che si definisce wine bar è un vero e proprio ristorante e questo, ovviamente, distoglie dalla funzione comunicatrice che invece dovrebbe rappresentare. Sempre in ambito siciliano, scarsa è la cultura del vino al bicchiere, poca differenziazione e prezzi alti. Diversa è la funzione dell’enoteca: non vi è mescita se non limitata alla degustazione di vini acquistati e portati via. Elaborazione: Rita Ferrara Il cibo povero mangiato in strada Un panino con la milza, una vera bontà. Se poi siete seduti in una piazza, con una birra, dei panini con panelle e degli arancini e c'è caldo e siete a Palermo, il tutto oscilla tra la normalità e il piacere. Il nostro panino lo abbiamo mangiato da Franco 'U Vastiddaru di Corso Vittorio, una focacceria che a vederla non le daresti due soldi e che sforna focacce con milza, panini con panelle e crocchè buone e fresche. Di locali come questo Palermo è piena, alcuni sono classici ed eleganti come l'Antica Focacceria San Francesco, altri, come U Vastiddaru sono indirizzi che ti danno gli amici perché tu, straniero, mica ti ci fermeresti. A parte il fatto che Franco ha lavorato una ventina d'anni alla Focacceria San Francesco e la mano si sente. Grazie all'arte dei monsù, anche la cucina popolare ha avuto modo di evolversi in preparazioni raffinatissime a dispetto della povertà degli ingredienti. Storico e sociologico il motivo di questa omologazione gastronomica tra classi: i palazzi dei centri storici di città e paesi prevedevano una stretta fusione tra nobiltà e popolo. I signori stavano al primo piano, detto "Piano Nobile", mentre al pianterreno e in soffitta alloggiava stabilmente la servitù che, oltre a servire i padroni di casa, svolgeva nei locali della corte interna attività artigianali e di piccolo commercio. Una separazione fittizia, con tutti che entravano e uscivano dallo stesso portone, attraversavano gli stessi cortili, salivano e scendevano le stesse scale. La popolana si spostava con un brevissimo tragitto dalle sue povere stanze al piano nobile dove manipolava le costose prelibatezze della cucina patrizia e una volta tornata a casa non mancava di copiarla sostituendo gli ingredienti troppo cari per le sue finanze con succedanei a buon mercato. Forse così sono nate le melanzane a "quaglia", un umido nel quale le costose quaglie venivano sostituite con le modeste melanzane e le melanzane impanate, in tutto identiche alle cotolette tranne che per l'assenza totale di carne. E così sono probabilmente nate le sarde a beccafico, che con la loro forma arrotolata e la piccola coda svettante ricordano i preziosi uccelletti dalle carni pregiatissime che si nutrono di fichi. Naturalmente, la sguattera del monsù non tralasciava di proporre ai padroni la "sua cucina", quella povera, e questi l'accettavano di buon grado anche perché era puntualmente richiesta dal padrone di casa quando mangiava in privato e non era costretto a esibire le esotiche raffinatezze francesi tanto di moda ma fatalmente lontane dagli amati, forti sapori della terra natale. I monsù non resistevano alla tentazione di impreziosire le ricette popolane con i preziosi pistacchi, l'ancor più prezioso zafferano o l’uvetta sultanina, e il risultato finale veniva a sua volta riassorbito dalla popolana che aveva inizialmente fornito le ricette. Le sguattere, quindi, non avevano soggezione né sacro terrore per il pasto aristocratico ed è anche grazie a loro che oggi la cucina baronale coincide con quella di tutti i giorni. A proposito, va ricordato che molti piatti tradizionali si presentano con una serie di varianti più o meno ricche proprio per via di questo intenso va-e-vieni interclassista di ricette. E’ così per la caponata, che partendo da una base povera di melanzane, pomodoro, sedano, cipolla, capperi e olive, può arricchirsi di asparagi, polipetti, pesce spada, bottarga, gamberi e perfino di preziose aragoste. Lo stesso avviene per il falsomagro, un enorme involtino di carne di vitellone rosolato e poi cotto in umido nel vino bianco o nel sugo di pomodoro. Come anticipa il suo nome, si tratta di una preparazione “a sorpresa”, perché dentro alla fetta di carne magra c’è una vera e propria cornucopia di delizie: salsiccia, piselli, carne tritata, prosciutto, provolone, uova sode, cipollotti. Tutti gli ingredienti possono essere sostituiti da equivalenti più poveri: il prosciutto con la mortadella, la provola col primo sale, la carne con frittatine di verdura secondo il consueto uso di succedanei poveri nel quale le massaie siciliane sono imbattibili. LA TRADIZIONE CERIMONIALE I pupi a cena I pupi a cena Secondo la consuetudine palermitana, durante la festa dei morti, si prepara u’ cannistru, un ricco cesto composto da dolciumi e da frutta secca. Tradizionalmente la forma classica è quella rotonda e di una certa ampiezza, riempito da “pupatelli” semplici biscotti farciti di mandorle, da nucatoli, mustazzuola che rappresentano le ossa dei morti, taralli, ciambelle biscottate rivestiti di glassa zuccherata e tanti altri dolcetti… Il tutto viene abbellito con frutta secca (nocciole, noci nostrane e americane, mandorle, fichi, datteri, fave abbrustolite, castagne, calia e simenza…) e martorana. Al centro del cesto e avviluppato intono ai piedi di tutto punto, con la sua presenza lo sovrasta silenzioso “u’ pupu ri zuccaru o a’ pupaccena”. Un baldanzoso pupo di zucchero che raffigura il classico paladino, figura eroica dei mitici paladini del teatro popolare di cui vanno fieri i dolcieri palermitani. Questa figura antropomorfica che richiama l’uso di certi riti pagani, è assoggettata alla credenza di ricevere doni dai cari defunti, siano essi nonni, zii, parenti prossimi o lontani, ai più piccoli del nucleo familiare. Il pupo di zucchero viene modellato in stampi creativi di gesso o di terracotta, da appositi artigiani gissara, che creano il modello desiderato dividendo il calco in due parti, il fronte che è la parte più intarsiata e la parte posteriore che di solito risulta disadorna. Anticamente era lo stesso dolciere che si apprestava a realizzare la forma desiderata, dividendo il calco in due parti, avanti e retro, ed essa risultava esclusiva. La prima fase della realizzazione avviene proprio con le forme che vengono preparate per accogliere lo zucchero fuso. Disposte le formelle di gesso, i calchi legati con dei lacci per tenere unite le due parti, in un grande tavolo si allineano tutti i formati di ogni tipo e, disposti sottosopra per essere riempite. Lo zucchero viene lavorato per fusione, è sciolto in acqua ad alta temperatura in un tegame di rame, il tipo usato è quello bianco da barbabietola italiana che viene mescolato ad un concentrato di limone ”cremortartaro” per assicurare la necessaria sbiancatura. Una volta fuso lo zucchero viene introdotto all’interno delle forme, che singolarmente con una tecnica particolare si fa si che occupi con un sottile spessore la parete e resti vuota la parte interna dello stampo. Si lascia raffreddare per qualche minuto e non appena è freddo lo zucchero si vede che incomincia a solidificarsi. A questo punto si aprono le due parti della formella, con una lama di coltello si procede a raffinare “il pupo” da ogni avanzo di stampo. Successivamente si passa alla colorazione della parte intarsiata con una pittura dai vivaci colori naturali ed eseguita rigorosamente a mano per ogni singolo pezzo. Vengono utilizzati colori alimentari: il giallo si ricava dallo zafferano, rosso dal pomodoro, azzurro brillante dal miglio di tinte vegetali, il bianco dal latte e farina, il bruno dal cacao, il nero brillante dalla seppia, il verde brillante da alcune verdure, la mescolanza crea i colori tenui. Dopo l’asciugatura si passa alla decorazione dove la statuetta viene “impupata” con lustrini di carta colorata incollata con della farina, zucchero a velo per decorare i bordi, carta stagnola per creare l’effetto luccichio, palline argentate, mentre la base si ricopre con carte colorate o bianche merlettate. Rigide ed impalate, le dolci statuette tutte decorate attendono di essere trasferite nei luoghi di vendita, per poi proseguire il loro momento, quello di essere addentate festosamente dai bambini. Esposti comunemente nelle vetrine delle pasticcerie, esse vengono vendute soprattutto in piazza, nella baracchella allestita all’occorrenza tutta raffigurativa, tappezzata di bianco, con delle bandierine tricolori e sopra si realizzano delle scalinate dove vengono sistemate questi pupi ri zuccaru, solitamente sono i turrunara che si organizzano nella tradizionale “fiera dei morti”. A’ pupaccena come la definiamo noi palermitani è un retaggio della nazione Veneziana che nel 1574 per onorare la visita di Enrico III, figlio di Caterina dei medici, fu organizzata una cena che all’occasione si doveva mostrare qualcosa di particolare, si pensò alla bottega del Sansovino che creò tramite i suoi apprendisti delle sculture di zucchero che ebbero subito il favore e lo stupore degli intervenuti. Alcuni marinai palermitani che avevano trasportato lo zucchero in quella città, ricevettero la notizia che grazie a loro si poterono realizzare quei pupi a cena, da qui il correttivo di “pupaccena”. Giunti nella nostra città, la cosa arrivò all’orecchio dei nostri dolcieri che impersonarono a modo loro realizzando dei particolari “pupi” dipinti con i colori del carretto. Questa figura antropomorfica che tradizionalmente è Palermitana ha un suo riscontro nella vicina città tunisina di Nabeul che regalano questa statuetta dolce per festeggiare il capodanno islamico e, richiamare l’Egira l’emigrazione del profeta Maometto a Medina, festa unicamente religiosa e familiare. I maestri tunisini le preparano nella identica pratica a quella palermitana, le due comunità a loro insaputa creano questa affinità che sicuramente è da riscontrare ad un fatto commerciale dove esiste una via dello zucchero che attraversa il Mediterraneo. Alcuni soggetti richiamano forme di simbolismo augurale, altre figure rappresentano combinazioni di vita quotidiana. Il primo giorno dell’anno, i “pupi” vengono sistemati al centro di una alzatine i “methred”, circondate da un misto di noci, datteri, mandorle e uva passa, caramelle e confetti che lo completeranno per essere regalati ai bambini che sicuramente romperanno subito per mangiarne i pezzi. Pupi di zucchero: ingredienti: Farina 1 kg Zucchero 300 gr Strutto 250 gr 3 uova Procedimento: Impastate tutti gli ingredienti con un po' d'acqua fino ad ottenere un impasto simile a quello della pasta del pane. Utilizzare le apposite formine o modellare l'impasto con la forma desiderata, riporre in una teglia da forno precedentemente imburrata, infornare e colorare a cottura avvenuta dopo che le statuine si sono ben raffreddate con colori per alimenti. Incorporare lo zucchero nella pasta, dividerla in pezzi dando la forma di pupazzetti. Su ognuno mettere un uovo con il guscio che fermerete con una strisciolina di pasta e metterli su una piastra da forno. Gli occhi e la bocca dei pupazzi saranno fatti con le mandorle. Spennellarli con uovo battuto e lasciarli lievitare per un'oretta. Cuocerli in forno caldissimo sino a quando saranno imbionditi. Storyboard Prof.ssa Annamaria Amitrano CORSO IFTS CIPE La valorizzazione dei prodotti tipici e della Cultura enogastronomica tradizionale Project work “A tavola con la tradizione” Indicazioni del: docente, dei tutor, della classe e del gruppo di elaborazione CULTURA TRADIZIONE CIBO La relazione si attiva attraverso l’indicazione di alcune unità tematiche che riprendono il materiale didattico offerto durante il corso e che è stato oggetto di verifica Numero 15 slides che costituiscono la mappa concettuale Relazione di feedwork Il mercato di Ballarò Gli studenti dovranno recarsi nel mercato di Ballarò per una verifica sul campo e per il controllo dei cibi tradizionali lì presenti. Lo stage è occasione perché possano riportare impressioni, idee, annotazioni su una mappatura dei prodotti tradizionali. Segue l’elaborazione di un elenco degli alimenti – elementi più rappresentativi con l’indicazione delle pietanze e delle ricette tradizionali La tradizione a tavola I ragazzi devono produrre l’elenco dei: prodotti tipici più comuni e convenzionali • piatti tipici più comuni e convenzionali • ristoranti tipici più convenzionali • ricettario dei piatti tradizionali convenzionali Gli stereotipi ed i Folk-models alimentari Si mangia ovunque allo stesso modo… Indicare le pietanze tradizionali di “massa” Ma la qualità non ha prezzo… Lo studente deve inventare un menù territorialmente e stagionalmente tradizionale La nonna racconta… Il percorso gastronomico va completato con l’abbinamento dei vini Alla fine della sua esperienza lo studente deve indicare un “percorso del gusto” A tavola con le culture Altre Porre in elenco i piatti tipici tradizionali delle cucine: • • • • Argentina Cinese Messicana Tunisina La ristorazione interculturale Indicare la ristorazione tipica presente nel nostro territorio: • • • • La birreria tedesca Il ristorante tunisino Argentino Messicano Il menu degli altri Cibo e comunicazione Il wine – bar Il cibo povero da strada La tradizione cerimoniale I pupi a cena: un esempio del cibo della festa Verifica modulo project work È assai radicato nella storia di ogni popolo il legame che quest’ultimo tesse e costruisce lentamente con il proprio territorio e con le proprie origini che si collocano e nascono dall’ intersezione di più fattori identitari di un’ anima popolare. L’anima di un popolo vive nella gente che condivide gli stessi usi, gli stessi costumi ed il medesimo codice linguistico. La tradizione gastronomica di un popolo è testimonianza dello stretto nesso che si stabilisce tra cultura scritta e cultura orale e che travalicando questo binomio concettuale giunge di generazione in generazione nelle case di ogni uomo, che è il fruitore di messaggi, segni, mutamenti e persistenze tematiche nel tempo in un mondo che cambia continuamente. Per quanto concerne il concetto di persistenze, considerando la tradizione della cucina siciliana, e in particolar modo di quella palermitana, è ben evidente come sia presente una forte valorizzazione di prodotti tipicamente appartenenti alla tradizione e alla produzione alimentare siciliana. Nel percorso di lavoro attivatosi durante gli incontri presieduti dalla Professoressa Amitrano è stato, con grande interesse, rilevata con quanta frequenza, confrontando dei campioni di menù, siano stati proposti le stesse scelte gastronomiche e gli stessi abbinamenti enologici. Ci si domanda se questa eccessiva spettacolarizzazione del fenomeno “tradizione” non condurrà ad una volgarizzazione e lento smarrimento di quel sentimento popolare che un tempo si assegnava in quei prodotti che erano i “frutti” di una storia. Scelte gastronomiche ricorrenti, rilevate durante le osservazioni del gruppo di lavoro, sono ricondotte su prodotti antichi, prodotti semplici ma nel contempo composti come la più tipica “Pasta con le sarde”, “la Cassata siciliana”, “i Cannoli”, “i Cucciddati”, “le Sfinge di san Giuseppe”. Molti ristoranti hanno mal interpretato il valore di un’ arte gastronomica che si è tramandata di padre in figlio, di nonna in nipote, non garantendo quella continuità e conservazione dell’ antica ricetta di ogni piatto tipico stravolgendone il sapore o esasperandolo con ingredienti che lo stereotipizzano. Nel corso dell’ultimo ventennio sono sorti innumerevoli realtà ristorative, figlie di più nuovi meccanismi di natura economica e scelte del nuovo mercato. nche nel contesto palermitano ,sempre più in fretta, sono approdati e diffusi ristoranti cinesi, messicani, spagnoli, tedeschi , argentini e messicani. Un’altra importante parte di questo modulo riguarda la cucina di strada. Questa viola apertamente molte delle regole “di casa”. Il consumo è al tempo stesso un fatto privato (spesso ci si ciba da soli, contrariamente a quando si va al ristorante o al bar, accompagnati da amici o parenti), e un evento pubblico, perchè avviene per strada o in locali aperti agli sguardi di tutti, quindi legato alla collettività. Si è da soli e insieme agli altri nello stesso tempo, e ciò crea un’atmosfera di complicità tra avventori, per cui sovente si scambiano due parole, una battuta, perchè la situazione induce un senso di confidenza non comune. La cucina di strada è in somma un’arte della comunicazione. Infine non potevano mancare i tradizionali pupi di zucchero,che fanno parte della cultura palermitana. Questi erano, e sono,una tradizionale pietanza che oggi si continua a produrre nel capoluogo siciliano per la “festa dei morti”. In conclusione posso dire che per la prima volta in questo corso abbiamo veramente prodotto qualcosa noi alunni. Un progetto che ha coinvolto tutti,ma soprattutto ci ha fatto interessare. Una lezione attiva, dove non si stava li ad ascoltare e guardare passivamente, ma dove ognuno di noi poteva e doveva dare qualcosa di se e della sua esperienza. Il modulo più interessante del corso. Tiziana Ferrante Dal lavoro e dalle indagini eseguite insieme ad i colleghi di corso e monitorati dalla Prof.ssa Amitrano e dal Dott. Badagliacca ne è risultato il lavoro seguente: La cultura e la tradizione sono elementi identificativi che legano ad un determinato territorio i gruppi sociali, in questo contesto il cibo si rileva come elemento importantissimo di trasmissione dei saperi e delle culture popolari. Ogni popolazione tende a valorizzare gli alimenti “originali” e quindi “originari” del territorio di appartenenza trasmettendo agli altri il proprio patrimonio gastronomico. Come già accennato il cibo si rivela un importante veicolo di cultura, infatti, di madre in figlia le ricette si insegnano e si trasmettono, preservando quella tradizione che contraddistingue ogni giorno ciò che viene servito quotidianamente “la propria tavola”. Da qui i piatti tradizionali siciliani, preparazioni inventate o nate per caso… accanto alla ricetta si accompagna la nascita e la storia di uno o tal altro piatto… Ed ecco così che “u ficatu ri setti cannoli” ovvero la zucca fritta in agrodolce riempiva lo stomaco e deliziava il palato di coloro i quali non potevano permettersi il fegato…oppure di quelle “sarde a beccafico” che volevano emulare la cacciagione e la selvaggina che trionfava solamente sulle tavole della borghesia. Ma quali sono i prodotti tipici più comuni e convenzionali? Sicuramente le panelle, le crocche…il tipico cibo da strada.. La pasta con le sarde, gli anelletti al forno, i spitina, la cassata, i cannoli, la caponata, l’alivi cunzati e tante altre prelibatezze “più o meno nobili” che riescono a soddisfare tutti i palati….o quasi tutti!!!! Purtroppo la ricerca su Internet dichiara molti ristoranti tipici anche se alla fine la realtà non è questa: la tradizione siciliana puo’ essere “gustata” presso “La casa del brodo”, “A’ cuccagna”, I capricci di Sicilia e allo “Strascino”. Anche le ricette su internet non sono proprio convenzionali, anche perché da zona a zona, a volte anche da quartiere a quartiere, un piatto viene rivisitato aggiungendo o sottraendo qualche ingrediente. A Palermo, diverse culture si sono integrate ed è così che sono presenti ristoranti stranieri come l’argentino, il cinese, il messicano, l’indiano, il tunisino, il marocchino e tanti altri… A caratterizzare l’Argentina sarà sicuramente la carne “l’Angus” e le sue grigliate di carne. Chi non ha mai provato la squisita cucina cinese con il suoi involtini primavera, il pollo alle mandorle e il gelato fritto? La salsa guacamole, i tacos, i nachos e la tortilla…colorano le tavole dei ristoranti messicani. Il cous- cous è principe della cultura tunisina…ma è condito diversamente da quello trapanese, qui non vi è il pesce ma la carne di montone, verdure e pollame. Tutte culture gustosissime ma poco conosciute e spesso poco apprezzate dal popolo palermitano. Spesso queste realtà diventano momenti d’incontro dei giovani palermitani e sicuramente momento di confronto tra la nostra tradizione e le “loro” tradizioni. IL WINE BAR Purtroppo da indagini effettuate su internet, veri e propri ristoranti si dichiarano “wine bar”… in realtà, però, non è così perchè piccoli assaggini di formaggi e salumi dovrebbero solamente accompagnare il vino che qui viene degustato…la figura centrale è il vino e come tale qui dovrebbe essere il “principe” della tavola. Panelle, cazzilli, sfincione, quarume, mussu, frittola, carcagnolo, pani ca’ meusa colorano gli angoli delle strade di Palermo e riempiono il palato dei Palermitani o dei turisti curiosi che si addentrano nei mercati popolari di questa meravigliosa terra. Come non parlare poi dei pupi a cena? Ormai riproducono personaggi più o meno conosciuti del mondo dei cartoni animati o del mondo dello spettacolo.. si perde così la vera tradizione di quelle pupe e di quei carretti siciliani che coloravano i cesti che “i morti” portavano in dono ai più piccini. Rita Ferrara Al termine del modulo della professoressa Amitrano è stato prodotto, con l’ausilio di tutti i partecipanti e del tutor, un project work. Il nostro percorso è cominciato così: come si evince dal lavoro, dalla cultura, tradizione e cibo siciliani perché è da questi punti fondamentali che si può sviluppare una tematica incentrata sull’uomo e sui suoi percorsi che via via hanno sviluppato una letteratura della valorizzazione dei prodotti tipici. È stato necessario riscoprire le tradizioni della nostra “tavola” per poi concentrarsi agli stereotipi ed i folk-models alimentari costituitisi con il trascorrere del tempo. Ovviamente è stato opportuno, anche per effettuare un raffronto tra diverse culture, osservare uno scenario più vasto e cosi abbiamo parlato di culture altre quali: Messicani, Cinesi, Spagnoli, Argentini, Tedeschi. In fine non abbiamo potuto non argomentare un’altra problematica valida quale il cibo e la comunicazione relativamente al wine bar e alla cucina di strada che non può essere trascurata perché abbiamo visto anche attraverso la visita al mercato che queste usanze sono rimaste consolidate; Secondo me queste tradizioni sono giustamente state tramandate perché altrimenti si rischierebbe di dimenticare la nostra storia che ci fa uomini. Anche i piatti tipici giustamente sono stati tramandati quali per esempio: cassata, cannoli, pasta con le sarde; Grazie a questo corso ho riscoperto e scoperto ciò che i piatti cercano di raccontarci. Anna Lisa Li Mandri Nel far riferimento alla tradizione culinaria di Palermo e della Sicilia, in generale, dobbiamo innanzi tutto partire dal concetto di territorio definito come area storico-geografica dove selezioniamo saperi e sapori. All’interno del territorio troviamo la cultura, intesa come cultura storica che ci porta sicuramente alla conoscenza di ciò che le diverse dominazioni ci hanno donato nel tempo. Questo miscuglio di diversi usi e costumi ci ha portato alla tradizione culinaria che Palermo oggi vanta. Le esperienze fatte all’interno di questo percorso di studi ci hanno mostrato gli usi abituali della vita comune. Il palermitano medio è chiaramente un gagliardo mangiatore; appena se ne presenta l’occasione egli mangia con vorace piacere, in abbondanza. Ma il palermitano è anche persona abbastanza esigente, che sa scegliere fra i diversi cibi della ricca tradizione locale. Alcune specialità che abbiamo ritrovato nelle slides ci hanno permesso per un attimo di assaporare i veri sapori di strada. Le focacce con la meusa, per apprezzarle degnamente bisogna condirle di storia. Mangiarle, cioè, dove la tradizione è ancora viva: “le guastedde alla meusa e ricotta”sono tuttora un’esclusiva dell’Antica Focacceria San Francesco. Più comune, un cibo che non ha mai perso d’attualità: una colazione con pane, panelle e crocchette, è solitamente preda di studenti e operai che non hanno tempo da perdere; mentre le stigghiola, piatto forte del palermitano di stomaco inossidabile, stile mordi e fuggi; E poi le irresistibili arancine. Per finire con lo “sfincione”, che indifferentemente apre e chiude le ricchezze del banchetto tradizionale. Questo, definito cibo di strada, sicuramente non si può inserire nella giusta alimentazione, poiché ricco di grassi. Passando dal banco del friggitore di strada alla trattoria, la varietà dei cibi compie salti di qualità. Offre piatti ormai famosi dappertutto, primo fra tutti la “pasta con le sarde” e – nell’ambito della pasticceria siciliana - la colorita frutta martorana, i sontuosi cannoli e l’affascinante cassata siciliana. Per quanto riguarda il moderno abbiamo riscontrato che i locali di oggi sono diventati si luoghi di incontro dove non si fa più riferimento alla tradizionalità poiché il bere è diventato l’unico obbiettivo. La costruzione di questo percorso ci ha portato a parlare di un argomento molto importante di cui abbiamo fatto riferimento all’inizio, cioè la cultura, ma questa volta non del nostro paese ma ben si quella altrui. E’ stato abbastanza interessante sapere cosa e come mangiano gli altri paesi del mondo e così abbiamo avuto la possibilità di conoscere saperi e sapori nuovi. I punti che abbiamo trattato sono stati di fondamentale importanza perché hanno arricchito il mio sapere nell’ambito dell’alimentazione internazionale ma soprattutto in quello della mia terra mettendomi a conoscenza di ciò che ancora non avevo scoperto. Stefania Lo Bianco La presentazione in power point realizzata dalla professoressa Amitrano e dal tutor Badagliacca è stata curata nei minimi dettagli e contiene informazioni utili per capire il ruolo che assume la tradizione nella sfera culinaria. Attraverso ricerche sul campo abbiamo analizzato l’origine di alcuni piatti e si è evidenziato quanto la tradizione ha influito, nel corso degli anni, alla loro realizzazione. Abbiamo analizzato altresì la presenza di culture altre nel nostro territorio focalizzando l’attenzione su alcune pietanze tipiche tunisine, cinesi, argentine etc etc… studiandone tipicità e realizzazione. Infine ci siamo soffermati sul cibo povero mangiato in strada e come questi alimenti, un tempo appartenenti solo ed esclusivamente ad un universo maschile, siano oggi entrati prepotentemente nelle nostre tavole etichettati come alimenti tipici tradizionali. Girolamo Prestigiacomo Guardando la presentazione realizzata dalla professoressa Amitrano e dal tutor Badagliacca, ho avuto modo di ripercorrere tutto il lavoro svolto durante le ore di corso. Il lavoro è stato realizzato in modo dettagliato e preciso. Si evidenzia l’importanza del rapporto tra cibo – cultura e tradizione e come questi tre elementi siano strettamente connessi. Sono stati analizzati piatti e menù tipici per comprendere cosa si può celare dietro l’elaborazione di certe pietanze che possono sembrare più o meno semplici e, per fare ciò, molto utile è stata la ricerca sul campo fatta presso il mercato storico di Ballarò. Ci si è soffermati inoltre: sulle culture altre analizzandone, attraverso lo studio di alcune pietanze, tipicità e tradizionalità; sulla tradizione cerimoniale analizzando il cibo della festa ed in particolare modo i pupi di zucchero; il wine-bar ed infine il cibo povero mangiato in strada. Rosalia Prestigiacomo Questo è stato un lavoro che ha i impegnato parecchio sia i corsisti sia la professoressa Amitrano e il nostro tutor Badagliacca, che ha perfezionato il nostro lavoro con una meticolosità veramente straordinaria e dopo quasi due mesi siamo riusciti a creare una presentazione in power point che ci ha permesso di analizzare gran parte della storia culinaria siciliana con tutti i suoi prodotti di nicchia che caratterizzano il nostro territorio. Oltre a tutto questo abbiamo inserito sia la preparazione di tutti i piatti tipici sia menù che raffiguravano cibi della tradizione palermitana. Inoltre abbiamo aggiunto i ristoranti tipici ed i loro menù tradizionali. E per completare in grande si sono aggiunti anche le culture Altre per rendere ancora più marcato il paragone fra tali culture culinarie. Gianmarco Vasta Significato moderno di cultura Tradizione Territorio Concetto di Eco-ergo-sistema La conservazione dei cibi Tipicità dei prodotti I prodotti territoriali di nicchia La valorizzazione dei prodotti tipici tradizionali Il mercato multicentrico Il mercato Tutti insieme al mercato abbiamo trovato… Le nostre esperienze: Ferrante Tiziana Girgenti Ignazio Li Mandri Anna Lisa Prestigiacomo Girolamo Prestigiacomo Rosalia Vasta Gianmarco Prodotti tipici Piatti tipici Ristoranti tipici Gli stereotipi ed i folk-models alimentari Pietanze tradizionali di massa La nonna racconta: il menù e l’abbinamento dei vini Il percorso del gusto A tavola con le Culture Altre Piatti tipici tradizionali della cucina: argentina cinese - giapponese mauriziana messicana spagnola tedesca tunisina Ristorazione tipica delle Culture Altre a Palermo: birreria tedesca Project work cibo e comunicazione Il wine- bar Il cibo povero mangiato in strada La tradizione cerimoniale I pupi a cena Storyboard Cultura, tradizione, cibo La tradizione a tavola Gli stereotipi ed i Folk-models alimentari A tavola con le culture Altre La ristorazione interculturale Cibo e comunicazione La tradizione cerimoniale Verifica modulo project work Ferrante Tiziana Ferrara Rita Li Mandri Anna Lisa Lo Bianco Stefania Prestigiacomo Girolamo Prestigiacomo Rosalia Vasta Gianmarco