Gli Stereotipi ed i Folk-models alimentari
Cultura, Tradizione, Cibo
Il Mercato di Ballarò
La Tradizione cerimoniale
Storyboard
Il Mercato
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project work
Misura d’uomo
La Tradizione a tavola
La nostra esperienza rielaborativa…
A Tavola con le culture altre
Il Crudo e il Cotto
Cibo e comunicazione
Corso IFTS Cipe
Corso IFTS CIPE
Valorizzazione dei Prodotti Tipici
e della
Cultura Enogastronomica Tradizionale
PROJECT WORK
“A tavola con la tradizione”
Docente
Prof.ssa Annamaria Amitrano
Tutor di campo
Dott. Giovanni Badagliacca
Tutor d’aula
Valentina Martorana
La classe
Boscaino Sandra, Calaiò Loredana, Faugera Ettore,
Ferrante Tiziana, Ferrara Rita, Girgenti Ignazio, La
Mattina Fabio Mario, Li Mandri Anna Lisa, Lo Bianco
Stefania, Marino Alexandra, Prestigiacomo Girolamo,
Prestigiacomo Rosalia, Puglisi Luigi, Vasta Gianmarco
La classe
GRUPPO DI ELABORAZIONE
 Ferrante Tiziana
 Vasta Gianmarco
Cultura, tradizione, cibo
VALORIZZAZIONE
DEI PRODOTTI TIPICI TRADIZIONALI
cultura, tradizione, cibo
Significato moderno di
“CULTURA”

Complesso di conoscenze, tradizioni e
saperi che si considerano fondamentali e
che si trasmette alle generazioni successive
TRADIZIONE
 Sostantivo latino derivato dal verbo tradere, che
significa affidare, consegnare, trasmettere
 Senso traslato di tramandare, trasmettere
ricordi e memorie da un’epoca all’altra; quindi
trasmissione nel tempo
 Nel linguaggio di tutti i giorni indica una
consuetudine di comportamenti o di credenze
che si tramanda nel tempo, come quando
affermiamo che alcune feste o determinati usi
hanno una tradizione secolare
TERRITORIO
Il territorio è lo spazio in cui si insedia l’uomo che
lo difende fortemente e lo abbandona solo in caso
di forza maggiore.
Il territorio definito come habitat contiene
elementi fortemente identitari.
Esso non è soltanto uno spazio geografico, ma
rappresenta un capitale in termini di natura ed
ambiente, da cui l’uomo trae spunti per elaborare
schemi culturali.
IL CRUDO E IL COTTO
Gli uomini primitivi si cibavano prevalentemente di
tuberi, bacche e frutti spontanei. Sapevano
individuare i nidi degli uccelli per mangiarne le
uova.
L’apporto calorico era dato anche dalla capacità
che essi avevano di succhiare il midollo delle ossa
delle carcasse.
Attorno al fuoco nacque la parola per raccontare
la caccia. Studiando gli ominidi, si è scoperto –
attraverso i loro denti, gli attrezzi, i resti dei falò e
della caccia – come mangiavano, cacciavano,
pensavano.
LA CONSERVAZIONE
DEI CIBI
Si definisce conservazione il modo attraverso cui
si preservano gli alimenti dall’inevitabile processo
di deterioramento.
Tali modi sono:







DISIDRATAZIONE ED ESSICCATURA
AFFUMICAMENTO
SALAGIONE
REFRIGERAZIONE
CONGELAMENTO
STERILIZZAZIONE TRAMITE IL CALORE
ANTISETTICI CONSENTITI DALLA LEGGE
TIPICITA’ DEI PRODOTTI
Il concetto di tipico richiama altri elementi relativi ai
concetti di caratteristico e distintivo.
Il prodotto tipico deve avere caratteri di originalità che
permettono di distinguerlo da altri prodotti similari.
Nella connotazione dei prodotti tipici tradizionali si fa
riferimento al luogo come luogo di produzione
originario.
La produzione tipica, quindi, deve essere specifica di
un territorio e non di un altro.
CONCETTO DI
ECO-ERGO-SISTEMA
L’ eco-ergo-sistema è l’esito delle interrelazioni che si
determinano tra l’uomo e l’ambiente in cui vive dal
momento che egli, per sopravvivere, incide
culturalmente sulla natura in cui vive.
Tale incidenza si può configurare come l’elemento
perturbatore dei vari ecosistemi:
 ambientale
 vegetale
 faunistico
MISURA D’UOMO
A fronte di un iniziale equilibrio frutto di un prelievo
delle risorse naturali estremamente controllato,
perché esito di un intervento a misura d’uomo, oggi
sono visibili gravi alterazioni degli ecosistemi sopra
citati.
La misura d’uomo si parametra su l’equilibrio delle
esigenze di consumo e sulla forza trasformativa che
deve essere di tipo manuale.
Oggi si è interrotto il circuito virtuoso di un prelievo legato
al consumo di sussistenza, per rispondere ad uno
sfruttamento delle risorse ambientali, vegetali e
faunistiche legate alle esigenze di un mercato globale.
MERCATO
Istituzione economica organizzata per promuovere lo
scambio dei prodotti e facilitarne la distribuzione.
Il termine in origine nasce proprio per sottolineare lo
scambio di generi alimentari.
Esso ha lo scopo di adattare la produzione dei beni ai
bisogni dei consumatori.
Il consumatore sceglie i prodotti e i servizi in funzione
dell’evoluzione del gusto e del progresso tecnico e in base
ad una valutazione dei propri bisogni.
Il mercato consumistico non ha alcun legame con la
tradizione o i prodotti territoriali tipici.
Esso induce ad un consumo quantitativo e non qualitativo.
I PRODOTTI TERRITORIALI DI
NICCHIA
Il concetto di prodotto di nicchia rimanda ad una visione
tradizionale del mercato, quando l’operazione di
scambio dei generi alimentari era governata dal baratto.
Si producevano pochi prodotti: originali perché
originari; cioè strettamente legati al territorio e frutto
dei processi produttivi (tecniche di lavoro)
assolutamente artigianali.
Oggi si tende a valorizzare tali prodotti attraverso
marchi di qualità (DOC, DOP, etc…), anche se per essi si
pongono problemi di costo elevato e di
commercializzazione.
MERCATO
MULTICENTRICO
I costi elevati sono dovuti alla eccezionalità del
prodotto artigianale rispetto ad una equivalente
produzione industriale.
La commercializzazione richiede la scelta di una
pluralità di mercati, dove finalizzare i propri prodotti.
Questi, essendo di costo elevato, non possono essere
assorbiti dal corrente consumo di massa.
Bisogna cioè progettare un mercato multicentrico
DIVULGAZIONE, DIFFUSIONE,
VALORIZZAZIONE
Il progetto di divulgazione e diffusione dei
prodotti tipici tradizionali si lega alla capacità
di incidere sulle scelte di mercato dei
consumatori, che devono essere indotti a
conoscere e consumare tali prodotti “di
nicchia” attraverso le più moderne forme di
pubblicità e di marketing.
LA VALORIZZAZIONE
DEI PRODOTTI TIPICI
TRADIZIONALI
La valorizzazione dei prodotti tipici tradizionali deve
collegarsi a forme di diffusione sostenute da indagini di
mercato volta a vendere la qualità intrinseca di tali
produzioni alimentari.
Tale qualità si articola su almeno 3 punti:
1) Conoscenza della tipicità dei prodotti
2) Conoscenza delle tecniche di lavoro tradizionali che si
sono sviluppate nel tempo per la produzione di
tali prodotti
3) Conoscenza della relazione storica che si è determinata
nel tempo tra il territorio e la cultura trasformativa
dell’uomo
IL MERCATO DI
BALLARO’
“… non è dunque discutibile la funzione dei
mercati come snodi decisivi della storia
dell’uomo...”
Basti pensare che non sono stati e non sono
luoghi solo per l’esercizio della vita economica
delle comunità interessate.
“… Scambiare beni materiali significa anche
scambiare beni immateriali: parole ed idee, usi e
costumi, quanto chiamiamo cultura…”
… una passeggiata fra le bancarelle di
questo mercato è l’occasione per esplorare
la Sicilia del passato, ritrovare gli odori e i
sapori…
Che lo scambio di merci sia quanto meno
uno dei fattori essenziali del processo di
civilizzazione, è provato dallo sviluppo che
ebbero le prime grandi concentrazioni
urbane, dell’area Mesopotamica per passare
subito dopo ai primi regni dei Sumeri e
degli Assiro - Babilonesi.
L’agricoltura, come sistema produttivo
primario, ha determinato il progressivo
passaggio dal nomadismo alla stanzialità.
Ha determinato anche l’esigenza della
conservazione delle eccedenze produttive,
come riserva da consumarsi nel corso
dell’anno o in presenza da qualcuno.
Il mercato porta alla nascita del valore
simbolico dei prodotti; alla nascita della
moneta e alla nascita dei soggetti
impegnati nella intermediazione:
mercanti, trasportatori, addetti a vario
titolo a regolare e gestire le dinamiche di
scambio.
Il mercato si afferma come snodo decisivo
della storia dell’uomo.
Scambiare beni materiali significa anche
scambiare beni immateriali: parole e idee,
usi e costumi, quanto chiamiamo cultura.
Nel cuore dell’Albergheria nasce, il mercato di
Ballarò tra i più antichi mercati risalente
all’epoca araba, che viene cosi chiamato da
Bahlara, villaggio presso Monreale da dove
provenivano le merci.
Secondo la testimonianza del viaggiatore arabo
Ibn Hawqual, già nel X secolo esisteva un grande
mercato proprio dove oggi si trova Ballarò; anche
se il documento più antico dove si trova citato è
un documento notarile del 1287.
Il nome deriva – secondo Michele Amari –
dall’arabo suq-al Balarî, ed indicava il luogo dove
vendevano le loro mercanzie i contadini
provenienti dal casale Balarâ, nei pressi di
Monreale.
Una passeggiata fra le bancarelle di
Ballarò è l’occasione per esplorare il
passato e la tradizione del cibo.
Ritrovare gli odori e i sapori e per
vedere come le strade sono invase da
cassette di legno con dentro la merce
che viene continuamente abbanniata
Le strade sono
affollate di gente.
Le cassette di legno
si affacciano sulla
strada.
Le merci vengono
continuamente
abbanniate…
Lo stile è quello delle
città arabe con una
interferenza tra lo
spazio esterno dove
sono esposte le merci
e quello interno della
bottega
I colori, le forme, la qualità
dei prodotti segnalano il
trionfo del territorio
palermitano.
TUTTI INSIEME
AL
MERCATO DI BALLARO’
Stage 4/10/08
Le Nostre esperienze
Tiziana Ferrante
Il 4/10/08 siamo andati al mercato di Ballarò con il tutor
Badagliacca per conoscere e scoprire quali sono i prodotti tipici
della nostra terra. Quel giorno è stato molto formativo per la
mia conoscenza, perché ho visitato un posto mai visto prima,
che fa parte della cultura palermitana.
Con l’aiuto del tutor, nonostante la pioggia, abbiamo visto la
vera “Palermo” con i suoi difetti e i suoi pregi.
Ho percepito che in questo luogo si rivive la tradizione della
Sicilia, i suoi odori, la sua tradizione e i suoi sapori.
Quello che più mi ha colpito è stata la gente che, con una
“sbalorditiva disinvoltura”, interagiva con gli altri.
In poche parole non aveva nessun riguardo nel non urlare, nel
chiacchierare, nel “fare confusione”, usando una dialettica
tipica delle vecchie borgate.
Nonostante ciò l’ambiente colpisce subito, non solo per le
persone, ma anche perché le bancarelle con i loro colori accesi
creano un’atmosfera strana che suscita allegria.
Ignazio Girgenti
Il 4 Ottobbre, io e la classe del corso I.F.T.S, sotto il consiglio
della nostra insegnante di corso AnnaMaria Amitrano e in
collaborazione con il tutor Giovanni Badagliacca siamo stati al
mercato di Ballarò, icona importantissima dell’identità
gastronomica e non, palermitana.
Ci siamo cimentati nell’andare a trovare, gli Elementi-Alimenti
che caratterizzano il nostro territorio.
E’ stato un modo per conoscersi in un ambiente non scolastico e
anche per cerare di studiare ed approfondire le varie tipologie di
lavorazione, esposizione e vendita di vari prodotti.
Ovviamente il posto è molto suggestivo ,vi si trovano una vastità
immensa di colori ,odori , sapori che si intrecciano
perfettamente l’uno con l’altro.
Io personalmente provo una forte emozione ogni volta che vi
faccio ritorno, specialmente quando qualche odore mi riporta
indietro nel tempo; ed è molto bello.
E’ curioso vedere come la gente stia li, non solamente di
passaggio per acquistare quello che serve e poi ritornare a casa,
ma viverci, stare qualche minuto in più, dialogare su come
possa essere cucinato quell’alimento, a volte anche alterandosi
o innervosendosi per un pensiero diverso l’uno dall’altro, per
una modalità di cottura o preparazione di un piatto tipico. Anche
questo, oltre la vendita, fa parte del mercato di Ballarò.
Secondo me la suggestività del luogo la identifica soprattutto.
Pane ca meusa, frittola, mussu, caiccagnolo e lingua, stigliola…
solamente a nominarli viene la acquolina in bocca; pensa se li
dovessimo mangiare tutti… ci vulissi un portafoglio chinu ri
picciuli ! Cosi avrebbe detto quel vecchietto seduto in disparte
davanti alla classica taverna, con il suo bicchiere di vino,
gustato come se fosse l’ultimo, ma invece era solo il primo della
lunga giornata .
Anche questo ne fa un pezzo di Ballarò.
Oltre i colori gli odori e i sapori che si intrecciano, è realmente
testato che anche il singolo scarto di broccolo sotto la
bancarella di frutta e verdura mi suggestiona .
Sono sicuro di ritornare ancora una volta a Ballarò.
Anna lisa Li Mandri
Il 4 - 04 - 08 noi ragazzi del corso I.F.T.S ci siamo recati ad
uno dei mercati storici palermitani: “BALLARO”.
Già altre volte io ed i miei compagni eravamo stati al mercato
ma ovviamente questa volta è stata diversa.
Il nostro scopo è stato quello di riscoprire, attraverso prodotti e
ambienti, ciò che di tipico e tradizionale ancora si conserva in
mercati come questi.
L’esperienza ha risvegliato tutti i nostri sensi: le urla dei
venditori che incitano all’acquisto, gli odori che si susseguono
ad ogni passo, i colori accesi che dipingono la via…
Infine abbiamo degustato qualche pietanza tipica.
Per concludere, il percorso ci ha permesso di conoscere e saper
individuare i prodotti e pietanze tipiche palermitane.
Girolamo Prestigiacomo
Visitando Ballarò si può notare la confusione che c’è per strada.
I passanti si fermano lungo la via per comprare e sentire i
commercianti che abbanniano la propria merce.
Il pescivendolo: avimo i sardi frischi frischi facitivi a pasta.
Il fruttivendolo: u’ finucchieddo! facitivi a pasta cu i sardi!
Addentrandosi sempre di più nel cuore del mercato si sentono
armonie di profumi che confondono i nostri sensi e le grida di
tutti ci distraggono.
E’ come trovarsi in una guerra tra commercianti e compratori, a
chi ha i prodotti migliori per prezzo e freschezza.
Verso l‘ora di punta si nota la calca di uomini e ragazzi davanti a
una cesta: è il frittolaro che vende panini.
La confusione circonda anche il mevusaro che vende le sue
splendide focacce ca’ meusa.
Rosalia Prestigiacomo
La mia esperienza al mercato di Ballaro’ è stata abbastanza
positiva.
In questo mercato si respira la tipicità e la semplicità di un
ambiente prettamente legato all’antica cultura palermitana.
Si trova di tutto, ed è impossibile tralasciare qualcosa, perché i
venditori con la loro abbanniata si fanno sempre sentire.
Le numerosissime bancarelle offrono frutta fresca, verdura,
pesce e tante specialità… Non mancano le piccole trattorie, dov’è
possibile degustare tutto ciò che la cucina palermitana può
offrire, dai primi piatti ai dolci e tanto altro.
Gianmarco Vasta
Quando sono stato a Ballarò pioveva e per affrontare quella
giornata mi sono dovuto alzare di prima mattina.
Fra le bancarelle di Ballarò è stata occasione per
un’esplorazione nel passato dell’Isola, non quello dei grandi
uomini e delle famose battaglie, ma quello degli uomini della
strada che, esattamente come noi, dovevano nutrirsi ogni giorno
e avevano le loro predilezioni e le loro debolezze.
Con un uso di origine araba, la strada è letteralmente invasa da
cassette di legno che contengono la merce che viene
continuamente abbanniata; pochi ne comprendono il significato
letterale, ma tutti sanno che quelle grida, cantilenate con
cadenze orientali, intendono reclamizzare la buona qualità e il
buon prezzo dei prodotti.
Davanti a un’osteria di Ballarò, mi sono incuriosito per un
grande cesto coperto da uno straccio a quadri bianchi e blu. Gli
irriducibili “aficionados” del cibo di strada sanno che in esso si
tengono in caldo i grassi di maiale, la cosiddetta frittola, che,
insieme al musso e alla quarume, sono cibi apprezzati dagli
iniziati.
Nel mercato, inoltre, si aggira il venditore della riffa, lotteria
organizzata fra gli abitanti del quartiere.
Non lontano da Ballarò, le piccole fabbriche a conduzione
familiare producono cannoli, caramelle di carrubba, candele.
I pochi artigiani che ancora impagliano sedie e fabbricano
setacci (crivi), ci danno un’idea, a dire il vero un po’ pallida,
delle arti e dei mestieri che arricchivano un tempo la vita del
centro storico di Palermo.
Beh non credo ci sia in giro un mercato più caratteristico della
città di Palermo in grado di rappresentare tanti prodotti tipici
riuscendo ad esaltare la grande storia culinaria e non del nostro
paese.
Abbiamo trovato…
 Antipasto siciliano (acciughe,olive, tuma, pomodori
secchi, caciocavallo, salame)
 Babbaluci a’ picchipacchi
 Cipollata (cipolle rosse e bianche)
 Crocchè
 Estratto di pomodoro
 Fichi d’india
 Frittola
 Melenzane (prodotti ed ortaggi stagionali)
 Mussu
 Origano
 Pomodori essiccati










Pane ca’ meusa
Panelle
Polpo bollito
Quarume
Rascatura
Sarde (pesce azzurro)
scacciu
Sfincione
Stigghiola
Strutto
Solamente a nominarli questi alimenti – elementi viene la acquolina in
bocca.
Pensa se dovessimo mangiarli tutti, ci vulissi un portafoglio chinu ri
picciuli. Cosi avrebbe detto quel vecchietto seduto in disparte davanti alla
classica taverna, con il suo bicchiere di vino, gustato come se fosse
l’ultimo! Invece era solo il primo della lunga giornata!
Anche questo è un pezzo di Ballarò.
Oltre ai colori, agli odori e ai sapori che si intrecciano nel mercato, è
realmente testato che, anche il singolo scarto di broccolo sotto la
bancarella di frutta e verdura suggestiona.
Sono sicuro di ritornare ancora una volta a Ballarò.
e poi i dolci…
 Cannoli
 Cassata al forno
 Pasta reale
Ma Ballarò non offre solo specialità culinarie,
ma anche cultura, infatti sono presenti chiese di
grande bellezza tra cui Casa professa.
Inoltre, è possibile acquistare arnesi da lavoro
usati, vestiti, scarpe.
e con essi cuciniamo…
babbaluci a picchipacchio
Ingredienti:
babbaluci (lumachine) - pomodori maturi - cipolle - olio di oliva
- crusca - sale e pepe. Mettere le lumache in una scatola di
cartone bucherellata, con un pò di crusca sul fondo al fine di
farle spurgare per una intera settimana. Oppure acquistarle
già spurgate. Quindi lavarle in acqua corrente e poi in acqua e
aceto, cambiandola spesso, finchè non faranno più schiuma.
Metterli in una pentola, coprirli con acqua e farli cuocere a
fuoco lento. Intanto, in un tegame si sarà fatto appassire
nell'olio la cipolla tritata e i pomodori a tocchetti. Salare,
pepare e lasciare cuocere per 15 minuti circa. Versare la salsa
ottenuta sulle lumache ben sgocciolate, e cuocere ancora,
mescolando il tutto per almeno altri 5 minuti. La variante più
nota e maggiormente adoperata nel palermitano, spesso nel
periodo di ferragosto, è quella dei babbaluci fatti solo con aglio
e prezzemolo.
cipollata
Preparazione
Sbucciare le cipolle ed
affettarle, quindi metterle
in una casseruola
assieme all'olio.
insaporire, senza
soffriggere, salare,
pepare ed unire il
pomodoro. Cuocere a
fuoco basso, per almeno
un'ora, versando acqua a
poco a poco, in modo da
ottenere una minestra
non troppo liquida da
servire con fette di pane
abbrustolito.
Ingredienti
400 gr di cipolle, 100 gr di
pomodoro passato, cinque
cucchiai di olio extravergine
d'oliva, pepe, sale
crocchè
I cazzilli sono delle piccole e
soffici crocchè di patate che
devono il loro nome alla loro
caratteristica forma fallica.
Rappresentano una delle
pietanze di strada più tipiche del
palermitano, derivano dalla
combinazione di pochi e poveri
ingredienti, capaci tuttavia di
deliziare il palato. Il più delle
volte accompagnano le panelle
all'interno delle classiche
pagnotte, creando in tal modo
un connubio perfetto. In
qualsiasi friggitoria palermitana
che si rispetti, sia fissa che
ambulante, i cazzilli non
mancano mai e sono tra gli
alimenti più gettonati.
I cazzilli sono una sorta di supplì di patate
semplificati, ottenuti setacciando un kg. di
patate bollite e aggiungendo alla purea piuttosto
denza poco aglio tritato, prezzemolo, sale e
pepe. Si formano poi delle crocchette ovali, che
si friggono in olio di semi ben caldo. Nella Sicilia
Orientale usano passare crocchette nella chiara
d'uovo battuta e nel pangrattato, prima di
friggerle.
La friggitoria offre piatti
che rientrano nell’ambito del cibo di
strada e uno dei motivi per cui ormai
rappresenta una caratteristica
imprescindibile della città di Palermo
è da imputare al fatto che contenga e
concili in sé due elementi altrove e in
altro modo inconciliabili: la rapidità
e la comodità tipica del fast food e la
bontà, il gusto, il rispetto per le
pietanze, per la loro stagionalità e le
loro origini locali sostenuta dallo
slow food. La friggitoria offre infatti
la possibilità di gustare non soltanto
alimenti tipici della cultura culinaria
siciliana, ma anche le loro versioni
originali nella loro semplicità e nelle
loro caratteristiche più tipiche. Se i
protagonisti indiscussi sul bancone
di ogni friggitoria sono le panelle e
le crocchè, non mancano, quando le
stagioni lo permettono le cosiddette
quaglie. Nella gastronomia
palermitana il nome quaglia non ha
nulla a che vedere con il settore
ornitologico, ma si riferisce piuttosto
alla melanzana interamente fritta
nell’olio.
melanzane
Togliete il gambo delle melanzane e,
dalla parte opposta, senza sbucciarle,
tagliate 4 fette parallele tra loro,
senza completare il taglio sino in
fondo. In senso normale alle prime,
tracciate altri 4 tagli in modo che la
melanzane risulti suddivisa in 16
bastoncini uniti alla base. Così
preparate, senza bagnarle, friggetele
in abbondante olio finché saranno di
un bel colore dorato scuro. Si salano
dopo fritte.
La caponata è uno dei prodotti più tipici e celebri
della gastronomia siciliana. Si tratta di un insieme di
ortaggi fritti (per lo più melanzane), conditi con sugo
di pomodoro, sedano, olive e capperi in salsa
agrodolce. Diffusasi in tutto il Mar Mediterraneo,
oggi è generalmente utilizzata come contorno o
antipasto, ma sin dal 1700 costituiva un piatto
unico, accompagnata dal pane. L'etimologia
deriverebbe dal "capone", nome con il quale in
alcune zone della Sicilia viene chiamata la Lampuga,
un pesce dalla carne pregiata ma piuttosto asciutta
che veniva servito nelle tavole dell'aristocrazia
condito con la salsa agrodolce tipica della caponata.
Diventa a questo punto probabile che il popolo, non
potendo permettersi il costoso pesce, iniziò a
sostituirlo con le più economiche melanzane. Ma la
parola caponata potrebbe anche essere legata a
quella latina "caupona", ossia taverna. Seguendo una
tale interpretazione, si ritiene che la caponata sia
fatta di "cose varie" ed, anche al di là dalla
stagionalità degli ortaggi, è possibile ipotizzare
l’esistenza di due grandi formule di caponate: quella
a base di verdure (dei poveri) e quella a base di
pesce. La caponata siciliana vegetariana, "dei
poveri", si é evoluta con la presenza di melanzane,
sedano, cipolle, olive, capperi e, raramente, carciofi,
in salsa agrodolce.
pani ca’ meusa
Il "Pani ca’ meusa", è un esempio di
tradizione gastronomica italiana nel
campo del cosiddetto "cibo da strada".
Questa pietanza, tradizione esclusiva
di Palermo, consiste in una pagnotta
morbida, sormontata da una spruzzata
di sesamo, che viene imbottita di
pezzetti di milza e polmone di vitello.
La milza e il polmone vengono prima
bolliti e poi, una volta tagliati a
pezzetti, soffritti brevemente nella
sugna. Il panino può essere integrato
con caciocavallo grattuggiato oppure
semplice.
Tipica l'attrezzatura del meusaro: una forchetta senza i denti
centrali per non sbriciolare le fettine di milza, una pentola
inclinata all'interno della quale frigge lo strutto mentre in alto
attendono le fettine di milza e polmone che devono essere
fritte solo al momento. Una forchetta con due denti per
carpire le fettine fritte, che vanno scolate brevemente e
ficcate nella vastella anch'essa calda, e per questo custodita
sotto un telo. Il panino va servito caldo, in mano all'avventore,
in carta di pane.
L'origine di questo panino sembra risalire al medioevo,
quando gli ebrei palermitani, impegnati nella macellazione
della carne, non potendo, per loro stessa fede religiosa,
percepire denaro per il proprio lavoro, trattenevano come
ricompensa le interiora che rivendevano come farcitura
insieme a pane e formaggio: usavano bollire e sterilizzare le
frattaglie, unendole al pane e arricchendo il tutto con ricotta
o formaggio, per poi vendere il cibo così creato ai "gentili",
ovvero ai cristiani, che le mangiavano per strada e con le
mani, seguendo un'usanza ereditata dai musulmani che
mangiavano senza l’uso di posate.
panelle
Le panelle sono uno dei cibi più
celebri di Palermo, si presentano
come piccole schiacciate fritte e, pur
nella loro semplicità di preparazione,
rivestono un importante ruolo dal
punto di vista degli usi e dei costumi
siciliani, nonché nella storia della
gastronomia palermitana. L'origine
della pietanza è da far risalire agli
Arabi, dominatori in Sicilia tra il IX e
l'XI secolo, i quali erano soliti
ricavare dalla farina di ceci
mescolata all'acqua un impasto che
veniva cotto in un tegame per
ottenere un composto cremoso e in
seguito schiacciato, tagliato in
piccoli pezzi e infine fritto, fintanto
che raggiungesse quel suo
caratteristico colore dorato.
Oggigiorno le panelle accompagnate
dal pane e dai cosiddetti cazzilli (le
crocchette di patate) rappresentano
lo spuntino di strada più consumato
a Palermo e dintorni, reperibile nelle
friggitorie fisse o presso le
panellerie ambulanti.
Fate sciogliere in un tegame piuttosto
largo gr. 200 di farina di ceci in
mezzo litro d'acqua e aggiungete sale,
pepe e prezzemolo tritato. Quando la
farina è ben sciolta e non vi sono
grumi, mettete il tegame su fuoco
moderato e rimestate continuamente
sino ad ottenere un impasto denso
che si stacchi dal fondo. Versatelo in
una teglia, e spianando bene con una
paletta di legno inumidita, fatene uno
strato. Quando è freddo, tagliatelo in
rettangoli e friggetelo.
pomodori secchi
Il pomodoro è uno degli ingredienti
principali della cucina
mediterranea, ed è protagonista di
infinite ricette.
Le sue origini si fanno
comunemente risalire all’America, e
la sua diffusione in Europa viene
attribuita agli spagnoli, attorno al
XVI secolo. Tuttavia furono
necessari quasi due secoli affinchè
il pomodoro, sino ad allora
considerato solo una pianta
ornamentale e molto velenosa,
conquistasse un posto d’onore fra i
nostri ingredienti tipici.
Da sempre nella tradizione
mediterranea, le prelibatezze di
stagione vengono sapientemente
conservate per essere gustate
durante tutto l’anno.
Tra le infinite modalità di conservazione del pomodoro,
una delle più antiche è quella dell’essiccazione al sole.
Durante i mesi di luglio, agosto e settembre i nostri
pomodori, tagliati in due per il senso della lunghezza e
cosparsi di sale marino, vengono disposti su telai
allineati nei campi e lasciati essiccare per una
settimana.
La lenta essiccazione al caldo sole dell’estate siciliana
conferisce ai pomodori un colore intenso ed un gusto
deciso e tradizionale, adatto a moltissime ricette. Oltre
che per la particolarità del gusto e della consistenza, il
nostro pomodoro secco è un prodotto speciale
soprattutto grazie a ricette artigianali tramandate di
generazione in generazione, che siamo riusciti a
preservare nonostante le esigenze di mercato
richiedano una produzione su scala industriale.
"Quarume" o "Caldume" nome che significa
pietanza calda è un piatto tipico da strada
composto dai visceri del bovino cotti in
brodo.
Si trova facilmente già cotto e pronto alla
degustazione in quasi tutti i mercati rionali del
centro storico di Palermo, dove si può
consumare sul posto accompagnato da un
buon bicchiere di vino o di passito.
Ecco la ricetta:
Kh. 2 di caldume ( ziniere, ventra, centopelle,
matruzza ) che ci faremo fornire dal nostro
macellaio di fiducia, due cipolle, due carote,
una costa di sedano, prezzemolo, sale, pepe.
Lavare molto bene i visceri di vitello con
acqua e sale, metterli a bollire in una pentola
con acqua salata per circa 30 minuti. Dopo
questa prima cottura, rilavare i visceri metterli
in una pentola con dell'acqua fredda, con le
cipolle, le carote, il sedano, il prezzemolo, sale
e pepe e fare cuocere fino a quando le varie
parti di carne saranno cotte.
quarume
Questo piatto è ritenuto un classico della
cucina siciliana e forse il più originale. Gli
elementi che lo compongono ne fanno un
piatto unico: essi vanno dalla pasta al pesce,
dalle verdure alla frutta. Ciò che lo
caratterizza maggiormente è il contrasto tra
piccante e dolce, tipico della cucina siculoaraba. L'origine del piatto è leggendaria: la
sua paternità viene attribuita al cuoco del
generale arabo Eufemio che sbarcato in
Sicilia alla conquista dell'isola si trovò a
dovere sfamare le sue truppe in condizioni
precarie. Il cuoco aguzzò l'ingegno mettendo
insieme quello che la natura dei luoghi gli
offriva e cioè il pesce ed i finocchietti.
Leggenda a parte, riteniamo che il piatto alla
sua origine non dovette essere completo così
come noi lo conosciamo, ma appare
verosimile che esso sia il frutto di
progressivi perfezionamenti attraverso i
secoli. È probabile anche che l'uso di
aromatizzare il pesce con il finochietto
selvatico risalga ai Greci o ai Romani: si
pensi tra l'altro come i Romani facessero
largo uso di pesce per ricavarne il 'liquamen'
ed il 'garum' con le quali salse condivano
persino i dolci.
sarde
scacciu
La calia e simenza è un tipico alimento consumato
in tutta la Sicilia in occasione delle feste patronali
o altri eventi di grande rilievo, solitamente nelle
feste rionali e durante le processioni sia in estate
che in inverno. La calia si prepara caliannu
(tostando) dei ceci nella sabbia bollente e salata.
La simenza, invece, si ricava dai semi di zucca
secchi, che subiscono la stessa preparazione della
calia.
Solitamente, calia e simenza vengono mangiati in
compagnia durante le processioni o le semplici
passeggiate nelle vie della città. Sono vendute da
venditori ambulanti che le preparano sul posto in
quanto sono più buone mangiate tiepide e
croccanti.
Tutti questi prodotti vengono accomunati in dialetto
siciliano con il termine scacciu
Lo sfincione (sfinciuni in
siciliano) è un prodotto tipico
della gastronomia palermitana.
Il nome si fa derivare dal latino
spongia, "spugna" oppure
dall'arabo "sfang" col quale si
indica una frittella di pasta
addolcita con il miele. Si tratta
di una antica ricetta che vede
come ingrediente cardine il
pane pizza (morbido e lievitato,
simile appunto ad una spugna)
con sopra una salsa a base di
pomodoro, cipolla, e pezzetti di
formaggio tipico siciliano
(chiamato caciocavallo).
Lo sfincione più originale viene
però prodotto artigianalmente
nei pressi del centro storico, e
commercializzato da ambulanti
che spaziano per le vie della
città a bordo di motoveicoli a tre
ruote (conosciuti meglio come
“lapini") i quali invitano ad
assaporare il loro prodotto
gridando a voce alta o
attraverso un amplificatore.
sfinciuni
strattu
Procedimento:
Dopo aver ottenuto una
salsa di pomodoro
abbastanza densa, si fa
raffreddare bene e si
sistema in piatti di
terracotta. Disporre i
vassoi al sole
mescolando spesso,
evitando di ottenere una
crosta in superficie.
Quando e' tutto ben
asciutto si conserva in
barattoli di vetro con un
po' d'olio e basilico.
Ingredienti:
-
Pomodori
olio q.b.
basilico q.b.
sale q.b.
Lo strutto (o sugna) è un grasso
alimentare ricavato dalla fusione a vapore
dei tessuti adiposi interni del maiale. È
una pasta bianca, compatta e translucida;
si differenzia dal lardo, ottenuto dal
grasso del dorso dei suini e dal
guanciale.
Lo strutto emulsionato non è che strutto
trattato in modo da avere un buon potere
emulsionante; quando viene miscelato
all'impasto, lega più facilmente le maglie
del glutine, consentendo un volume
maggiore; viene impiegato dall'industria
alimentare per la preparazione di molti
prodotti da forno (grissini, pan carré
ecc.). L'emulsione provoca un'alveolatura
più fine e omogenea, trattiene meglio i
gas e distribuisce meglio sull'impasto
l'anidride carbonica che è alla base della
lievitazione. Viene usato anche negli
impasti di pizza sia al taglio sia classica.
Oltre al potere emulsionante, conferisce
all'impasto più sapore e più fragranza
perché aiuta (ad alta temperatura) la
cottura interna della pizza. Lo strutto ha
un punto di fumo alto, maggiore
addirittura di quello dell'olio di oliva, e
quindi si presta bene ai prodotti da forno.
strutto
e ancora…
Sarde a beccafico
Pasta cu l’anciuova
Mussu
Pulpu
Stigghiola
Cassata al forno
Cannoli siciliani
Frutta di martorana
Biscotti quaresimali
Sfince di San Giuseppe
Taralli
LA TRADIZIONE
A
TAVOLA
I Prodotti Tipici Siciliani
Elenco dei prodotti tipici segnalati in internet
cannoli
cassata
crocchè
frittola
pane ca’ meusa
panelle
pasta con le sarde
polpo bollito
sfinciuni
quarumi
stigghiole
Elenco dei piatti tipici segnalati in internet
ANTIPASTI
Acciughe
Caciu
caponata di melanzane
Crocchè
Olive
Panelle
pumaroro siccu
vrocculi e carduna a pastedda
PRIMI
pasta ca’ anciova
pasta cu maccu
pasta o’ furnu
pasta pumaroru e milinciani
pasta chi sardi
SECONDI DI PESCE
Baccalà
mirruzzi fritti
purpetti ri sardi
purpiceddi murati
purpetti ri nunnata
todani fritti
SECONDI DI CARNE
agneddu aggrassatu
bollito
bruciuluni
involtini alla siciliana
n’zalata
patate o furnu
pittinicchia cu sucu
purpetti
sasizza
spezzatino
trippa
DOLCI
cucciddati
cannoli
cassata
gelo di melone
sfince i San Giuseppe
Elenco dei ristoranti tipici segnalati in internet
A cuccagna
Ai normanni
Capricci di Sicilia
Ci voleva
Focacceria San Francesco
Il capriccetto
Il gattopardo
La casa del brodo
La corte dei mangioni
La panoramica
Lo strascino
Osteria dei vespri
Parco dei principi
Peppino
Trattoria altri tempi
Trattoria conte di cagliostro
Trattoria dietro l’angolo
La nostra esperienza rielaborativa…
31/10/2008
La mia esperienza rielaborativa sui concetti
fino a questo momento preparati
1. Rapporto cibo – cultura – tradizione
2. Quale funzione ha la ricerca sul campo in questo
settore?
3. L’alimentazione tradizionale è conveniente?
4. Perché è salutare?
5. La valorizzazione dei prodotti tipici può
rappresentare una risorsa economica?
1. Durante questo percorso ho appreso che cibo, cultura e tradizione
sono strettamente collegati tra loro e li possiamo definire la carta
di identità di un popolo. Infatti tramite questi elementi si identifica
il territorio, la cultura e la tradizione che si è sviluppata.
2. La ricerca ha una funzione basilare. Infatti tramite essa possiamo
risalire all’origine e scoprire le radici di questi tre elementi (cibo,
cultura e tradizione). Inoltre tramite la ricerca tutte le scoperte di
ricette e/o tradizioni diventano patrimonio della collettività.
3. L’alimentazione tradizionale è molto conveniente perché tramite
essa si realizzano dei piatti tipici fatti con delle materie prime
semplici e quindi a basso costo.
4. L’alimentazione tradizionale è molto salutare perché fa riferimento
a ricette antiche basandosi su alementi semplici e genuini; pertanto
la possiamo definire antagonista all’obesità.
5. La valorizzazione dei prodotti tipici ha sempre rappresentato una
risorsa economica e continuerà ad esserlo. Penso che il nostro
paese dovrebbe valorizzare molto di più questo nostro settore
perché oltre ad essere la nostra storia, rappresenta il nostro
futuro. Inoltre per un paese è strettamente vitale valorizzare i suoi
tre elementi salienti, cioè il cibo, la cultura e la tradizione perché
questi rappresentano la chiave di lettura.
Calaiò Loredana
1. Il rapporto cibo – cultura - tradizione è molto importante. Infatti
questi tre elementi racchiudono l’identificazione di un territorio e
della cultura e della tradizione che si è sviluppata in quel luogo.
2. La mia esperienza al mercato storico di Ballarò è stata molto
istruttiva perché è stato come fare un viaggio a ritroso nel tempo.
Inoltre reputo che la ricerca sia basilare per fare in modo che tutte
le scoperte nel settore diventino patrimonio della collettività.
3. L’alimentazione tradizionale è molto conveniente perché tramite
essa si realizzano dei piatti tipici fatti con delle materie prime
semplici e di conseguenza a basso costo.
4. L’alimentazione tradizionale è molto salutare perché ripete ricette
antiche basandosi su elementi semplici e genuini; pertanto la
possiamo definire antagonista all’obesità.
5. La valorizzazione dei prodotti tipici ha sempre rappresentato una
risorsa economica per il nostro paese. Penso che il nostro paese
dovrebbe valorizzare molto di più questo settore perché oltre ad
essere la nostra storia, rappresenta il nostro futuro.
Faugera Ettore
1. Il rapporto con il cibo passa attraverso il meccanismo del piacere. A mio
parere, vi è un piacere conoscitivo, legato alla conoscenza di una
determinata pietanza ed un piacere antropologico in quanto il cibo diventa
“identità” del popolo e del suo territorio.
2. La ricerca sul campo in questo settore ha lo scopo di mettere in pratica le
nozioni forniteci. Infatti, per arricchire le nostre esperienze abbiamo fatto
una visita guidata al mercato di Ballarò, trasformando tutte le nostre
affermazioni in certezze. Così abbiamo accertato quali fossero le nostre
tradizioni e quali persistessero ancora nel nostro territorio.
3. L’alimentazione tradizionale è per certi aspetti conveniente e per altri no.
Tra gli aspetti positivi non posso non ricordare la qualità degli alimenti
tradizionali, in quanto non trattati chimicamente e la convenienza dal punto
di vista economico.
4. Oggi si ha sempre meno la possibilità di scegliere i prodotti alimentari per
la loro territorialità e stagionalità. Infatti, se da un lato il progresso
industriale ha permesso alla gente di avere qualsiasi prodotto in qualsiasi
periodo dell’anno, dall’altro è innegabile che la società desidera riscoprire
i prodotti tipici locali rispettando il ritmo stagionale dei raccolti.
5. La valorizzazione dei prodotti tipici comprende tutte quelle iniziative
destinate a consolidare l’immagine che una produzione ha assunto sul
mercato nel tempo e per tradizione. Gli strumenti utili per la valorizzazione
possono essere le denominazioni ed i marchi. Le denominazioni sono
assegnate da enti pubblici e sanciscono il legame esistente tra le
caratteristiche qualitative di un prodotto, le tecniche di produzione e l’area
geografica di provenienza. I marchi consentono, invece, di personalizzare e
tutelare con nomi e/o simboli grafici l’immagine da fornire al consumatore
del binomio prodotto – azienda.
Ferrante Tiziana
1. La mia esperienza sui concetti assimilati in questo corso è stata positiva.
L’ho dedotto dal fatto che in collaborazione con i miei colleghi di corso e
con l’aiuto dei proff. Annamaria Amitrano e Giovanni Badagliacca, siamo
riusciti creare un lavoro in power point. All’inizio del modulo abbiamo
parlato di cibo come alimento – elemento facendo riferimento ai concetti di
tradizione e cultura. Il cibo, infatti, è collegato sia alla cultura che alla
tradizione di un territorio.
2. Per arricchire le nostre esperienze abbiamo fatto una esperienza sul campo
al mercato di Ballarò. Infatti siamo andati a visionare gli alimenti –
elementi tradizionali siciliani.
3. La tradizionalità dell’alimentazione di un territorio è delimitata da aspetti
convenienti e non. Facendo uso di alimenti tradizionali si va incontro ad
una scelta obbligata di alimenti ove la varietà dei prodotti è ridotta o per
meglio dire è sempre la stessa. Dal punto di vista salutare è conveniente
perché si hanno dei prodotti qualitativamente sani e migliori, grazie alla
loro crescita in ambienti quasi incontaminati in assenza di additivi e in
temperature adeguate o ideali per la salubrità del prodotto stesso.
4. Oggi a causa del processo di industrializzazione si ha una vasta scelta dei
prodotti perché si ha il vantaggio di trovarli sul mercato in qualsiasi
periodo dell’anno, ma è innegabile che tali prodotti sono il frutto di
mangimi e fertilizzanti chimici che ne assicurano una buona ed una
continua riuscita a discapito della nostra stessa salute.
5. Per me si, perché grazie alle denominazione DOC, DOP, DOCG, IGP etc… si
possono valorizzare dei prodotti che risultano genuini ed a un prezzo
sostanzialmente elevato.
Girgenti Fabio
•
•
•
•
•
Il rapporto cibo – cultura – tradizione è indissolubile perché il cibo,
tramandato di generazione in generazione, racchiude in se un valore
simbolico che identifica un popolo ed il suo territorio.
La ricerca sul campo è per me molto importante perché ci permette di
osservare e analizzare gli alimenti – elementi da vicino. Spesso si commette
un grave errore perché si tende a studiare solo ciò che è possibile
osservare nel quotidiano senza mai domandarsi come quel determinato
prodotto sia arrivato nelle nostre tavole. La ricerca ci permette di effettuare
delle ricerche specifiche relative alla nascita ed alla evoluzione di un piatto.
Un’altra tematica sulla quale abbiamo focalizzato la nostra attenzione è
stata l’alimentazione tradizionale. Il primo aspetto che è emerso è stato
sicuramente la convenienza di tale alimentazione, sia dal punto di vista
economico, in quanto si tratta di alimenti “poveri” e quindi a basso costo,
sia dal punto di vista salutare.
La salubrità degli alimenti tradizionali è una componente intrinseca. Oggi
più che mai si riscopre questo aspetto perché siamo sempre di più esposti
a cibi precotti e congelati; l’alimentazione tradizionale, invece, conserva
tutte le qualità tipiche di un vero alimento.
Sicuramente questo aspetto salutare dei prodotti è messo in risalto da
molti consorzi ed agriturismi che traducono questa componente in una
risorsa economica. Inoltre anche attraverso le sagre si permette di
effettuare un investimento economico perché si va a risaltare la
conoscenza del luogo.
Li Mandri Anna lisa
1. Il cibo, che consumiamo giornalmente, rispecchia la nostra
cultura ed è strettamente legato alla tradizione del nostro
paese.
2. Visitando il mercato di Ballarò si può riscontrare come la
nostra tradizione viene tramandata da padre in figlio.
3. L’alimentazione tradizionale è molto conveniente perché si basa
su alimenti semplici quindi a basso costo.
4. L’alimentazione tradizionale è molto salutare perché si basa
sulla stagionalità dei prodotti.
5. La valorizzazione dei prodotti tipici rappresenterebbe una vera
risorsa economica per il nostro paese se solo fosse organizzata
in maniera migliore. A mio parere, infatti, tutti i prodotti tipici
dovrebbero essere pubblicizzati di più.
Prestigiacomo Girolamo
1. I concetti elaborati durante il corso hanno arricchito le mie
conoscenze. Tra i vari argomenti trattati ci siamo soffermati sul
rapporto cibo – cultura – tradizione, che sottolinea l’importanza
che ha assunto il cibo tradizionale nella cultura e nel territorio.
2. La ricerca sul campo ha una funzione importantissima, perché
osservando e ricercando direttamente tutti gli alimenti tipici
ampliamo notevolmente le nostre conoscenze.
3. L’alimentazione tradizionale è molto conveniente perché nasce
dalle piccole cose, da quei prodotti che pur non avendo costi
elevati, racchiudono sapori unici e genuini.
4. L’alimentazione tradizionale è salutare proprio per la sua
semplicità. Non si tratta di cibi “standard” che contengono
ingredienti artificiali, ma solo prodotti genuini.
5. La valorizzazione dei prodotti tipici può rappresentare una grande
risorsa economica in quanto favorisce la vendita nei ristoranti e
sicuramente, piuttosto che gustare sempre gli stessi cibi, per il
turista è importante poter gustare i prodotti tipici di un territorio.
Prestigiacomo Rosalia
1. IL cibo è stato da sempre uno dei bisogni primari dell’uomo perché senza
di esso la vita non potrebbe fare il suo ciclo. Con il tempo l’uomo oltre a
nutrirsi col cibo ha saputo creare tramite vari popoli una forma di cultura
che diede vita a diverse specialità culinarie che ancora oggi noi troviamo
nelle nostre tavole. Piatti tipici della tradizione che i vostri vecchi hanno
voluto lasciarci come eredità.
2. La ricerca sul campo in questo settore ha una funzione decisamente
importante perché l’uomo cerca sempre di trovare quel qualcosa di
innovativo per dare un’immagine più particolare alla propria azienda. Le
esperienze che si vivono danno la possibilità di capire che la ricerca è
un’operazione fondamentale per far risaltare ciò che abbiamo nel nostro
settore.
3. L’alimentazione tradizionale è decisamente conveniente perché essa
racchiude cibi semplici e di stagione che identificano un tipo di cucina
all’antica. Questi alimenti se combinati in maniera ottimale a prodotti di
origine animale danno vita a piatti di facile consumo da parte del popolo
italiano e soprattutto questo modello alimentare assicura un’alimentazione
valida ed equilibrata.
4. Questa alimentazione è salutare perché vengono utilizzati soltanto quei
prodotti che non creano disturbi in quanto genuini.
5. La valorizzazione dei prodotti tipici risulta sicuramente una grande risorsa
economica di cui i produttori si avvalgono per dare modo al consumatore
di conoscere e far conoscere questi prodotti tipici al mondo. E così facendo
l’economia ne prenderà giovamento. Molti prodotti sono sostituiti con altri
non esattamente corrispondenti come nome ma non come qualità e quindi
ci sono controlli continui per dare la possibilità ai prodotti dop,doc,docg, di
mantenere una tale denominazione.
Gianmarco Vasta
GLI STEREOTIPI
EI
FOLK-MODELS ALIMENTARI
Si mangia ovunque allo stesso modo…
ma la qualità non ha prezzo!
ANTIPASTI
Pietanze tradizionali di massa
SECONDI DI PESCE
Acciughe
Caciu
SECONDI DI CARNE
caponata di
melanzane
Crocchè
Olive
Panelle
agneddu aggrassatu
bollito
bruciuluni
involtini alla siciliana
pumaroro siccu
vrocculi e
carduna a
pastedda
n’zalata
patate o furnu
pittinicchia cu sucu
purpetti
sasizza
PRIMI
spezzatino
trippa
pasta ca’ anciova
pasta cu maccu
pasta o’ furnu
pasta pumaroru e
milinciani
pasta chi sardi
Baccalà
mirruzzi fritti
purpetti ri sardi
purpiceddi murati
purpetti ri nunnata
totani fritti
DOLCI
cucciddati
cannoli
cassata
gelo di melone
sfince i San
Giuseppe
ANTIPASTI
Panelle di Fave
Ingredienti
Fave, cipolla ,cime di finocchio selvatico, sale, olio
Preparazione
Ammollare le fave secche, per una notte; il mattino dopo farle lessare in acqua
con sale, la cipolla tagliata a grosse fette ed alcune cimette di finocchietto
selvatico. Cuocere a lungo, finché le fave si sfaldino in purea; passate al
setaccio e sistemate l’impasto, già denso, sul marmo di cucina ben oliato; Con
il matterello fare assumere uno spessore uniforme di circa due centimetri.
Appena l’impasto è freddo, tagliare a strisce le “panelle” che vanno
fritte in olio bollente. Servirle calde, e se piace, spolverare di peperoncino.
PRIMI
Caserecce al pistacchio di Bronte
Ingredienti
Pasta caserecce, panna, pesto al pistacchio
di Bronte, pistacchi tagliati
grossolanamente, pancetta, cipolla, burro.
Preparazione
Tagliare la cipolla e la pancetta e soffriggerli con il burro; amalgamare
bene la panna al pesto e unirli al soffritto. Lessare le caserecce in
abbondante acqua salata, scolarle al dente e mescolare con la salsa
già preparata. Servire con il rimanente pistacchio tritato.
SECONDI
Arrosto di maiale all’arancia di Sicilia
Ingredienti
Lonza di maiale, Cipolla, Arance di Sicilia, Vino bianco d’ insolia, brandy,
margarina , farina, aglio, rosmarino, olio extravergine di oliva sigillo verde ,
sale, pepe nero
Preparazione :
Spremere il succo di 1 arancia,pulire l’ aglio e la cipolla, sminuzzateli
finemente,pulite la lonza da eventuali pezzi di grasso.
Inseriteci al centro il rametto di rosmarino,passatela nella farina,scaldate
l’olio e la margarina in una casseruola da forno rosolare la cipolla e l’
aglio,unite l’arrosto e doratelo su tutti i lati,bagnatelo con il brandy ed il vino
lasciate sfumare a fuoco vivo,irrorate poi con il succo d’ arancia,regolate di
sale e pepe abbassate la fiamma,fate cuocere per 30 minuti voltate il pezzo di
tanto in tanto affettate una volta cotto con il sugo di cottura,guarnite con
fettine dell’arancia rimasta. Servite
DOLCI
Gelo di fichi d’ india
Ingredienti
Dosi per 10 persone
2 litri di succo di fichi d’ india
350 di zucchero
180 di amido
50 di cioccolato fondente
50 di zuccata
50 di pistacchi
Preparazione:
Passare a setaccio la polpa di fichi d’ india mature per ottenere il succo
necessario,aggiungere lo zucchero l’amido,e mescolare per eliminare i grumi,mettere
tutto sul fuoco mescolando senza interruzione. Fate addensare e versatelo in coppette
dove avrete precedentemente distribuito il cioccolato e la zuccata tritata. Spolverate i
pistacchi tritati e ponete il gelo in frigo per qualche ora
VINI:
ETNA BIANCO DOC
VITTORIA DOC
MALVASIA DELLE LIPARI DOC
FERRANTE TIZIANA
ANTIPASTI
Pomodori secchi ripieni fritti
Pomodori secchi, Pangratto, Caciocavallo grattugiato, Aglio tritato,
Primosale, Capperi, Origano, Prezzemolo, Olio extravergine d’oliva.
Fare rinvenire mettendoli in ammollo in acqua i pomodori secchi.
Quando saranno ammorbiditi spremerli privandoli dell’acqua e
asciugarli con un tovagliolo.
Formare un impasto con il pangrattato, il formaggio grattugiato,
l’aglio a pezzetti, il primosale a piccoli pezzettini, i capperi tritati,
l’origano il prezzemolo tritato e poco olio. Deve risultare un
impasto da poter maneggiare.
Imbottire i pomodori con l’impasto in modo da formare dei
sandwiches. Friggerli in padella con poco olio e servire dopo averli
fatti raffreddare.
PRIMI
Tagliatelle fresche con ragoût di cinghiale e ricotta fresca
Tagliatelle fresche, cinghiale, passato di pomodoro, ricotta, vino
rosso, cipolla, sedano, carote, foglie di alloro, sale e pepe.
Tagliate il cinghiale a piccoli pezzi, ponetelo in una bacinella
capiente; aggiungete: la carota, la cipolla, il sedano e l'alloro,
ricoprite il tutto con il vino rosso e lasciate marinare per circa 12
ore.
Recuperate gli odori,lavateli accuratamente, tritateli e fate un
soffritto, quando sarà rosolato aggiungete la carne del cinghiale
tritata.Fate cuocere per circa 10 minuti, unite sale e pepe, poi
aggiungete mezzo bicchiere di vino rosso, fatelo evaporare, quindi
versateci il passato di pomodoro, coprite e fate bollire per circa 3
ore.Cuocete in abbondante acqua salata le pappardelle.Una volta
scolate conditele con il sugo di cinghiale e la ricotta fresca.
SECONDI
Suino delle Madonie con erbe di campagna
Stinco di suino dei Nebrodi, rametti di rosmarino, foglie di salvia,
aglio,alloro,bacche di ginepro schiacciate, olio d’oliva, vino rosso,
verdure selvatiche.
Prendete lo stinco lavatelo, asciugatelo,e sfregate la superfice con
un misto di sale e pepe nero. Mettetelo in un recipiente adatto con
tutti gli odori un pò d'olio e il vino. Coprite il contenitore con carta
stagnola, e lasciate marinare per una nottata in frigo.
Poi tiratelo fuori dalla marinatura e rosolatelo in un tegame
capiente con olio,girandolo senza usare forchette in modo che i
succhi della carne non fuoriescano. Quando si è ben
colorato,mettetelo in teglia da forno con tutta la marinata,coprite
per la prima ora con stagnola per evitare che secchi e mettete in
forno già caldo a 200° Poi passata l'ora,uscitelo dal forno eliminate
la stagnola e girandolo,2 3 volte, lasciate completare la cottura per
altri 30 minuti. Impiattare lo stinco, servito col suo sughetto di
cottura,passato al colino in modo da eliminare le erbe aromatiche.
Accompagnare con le verdure selvatiche lesse e saltate in padella
con un po’ d’aglio.
DOLCI
Cosi chini
Farina di mandorle, mandorle, nocciole, pistacchi, cedrata,
zucchero a velo, glucosio, albumi, acqua, vaniglia, essenza di
mandorle.
Lavorare la farina di mandorle, lo zucchero a velo, il glucosio,gli
albumi, la vaniglia e l’essenza di mandorle. Non appena l’impasto
avrà assunto una consistenza omogenea formare delle piccole
palline e farcirle col la cedrata e la frutta secca tritata
grossolanamente. Richiuderle accuratamente e sistemarle
singolarmente su una teglia con carta da forno. Infornare a circa
200° per 5-6 minuti fino a che non prendano un colore
dorato.Lasciarle raffreddare, e spolverizzarle con zucchero a velo.
Sistemarle in apposite pirottine di carta e servire il dolce freddo.
Vini:
MERLOT MONREALE Doc
MOSCATO DI SIRACUSA Doc
FERRARA RITA
Antipasto
Crostini di crostacei
preparare una besciamella base e aggiungiamo della polpa di
granchio tritata, affettare del pane raffermo,e spalmare il composto
chiudendo le fette di pane modo toast.
Preparare una lega di acqua e farina ,aggiungiamo sale e
pepe,acquisendo un composto non troppo denso.
Immergere il crostino nella lega e passarlo nel pan grattato,
successivamente friggerlo in olio caldo.
Gamberi in pastella ai semi di papavero
sgusciare del gambero rosso di prima taglia , preparare una
pastetta con, acqua ,farina , lievito di birra ,sale e semi di papavero
dopo aver fatto lievitare la pastetta ,immergere i gamberi
nell’impasto e friggerli in olio caldo
Primi
Cappellacci di zucca rossa con salsa al burro ,asparagi e mazzancolle
tagliare la zucca rossa a quadrucci, saltare in padella con della
cipolla tritata e del burro ,lasciare raffreddare.
Sgusciare le mazzancolle e spuntare gli asparagi precedentemente
lessati ,preparare della pasta all’uovo,stendere la pasta e
depositare il ripieno di zucca rossa , crearne dei ravioloni a forma
ovale,fatti riposare i cappellacci , fare scioglierei il burro,
aggiungere le mazzancolle e gli asparagi farli amalgamare con un
pò di acqua di pasta.
Sbollentare i cappellacci in acqua salata e distenderli in una teglia
versare il condimento e infornare per circa 10 min. a 180 c°.
Secondi
Seppioline gratinate
Pulire le seppioline e adagiarle in una teglia riempiendole della
mollica aromatizzata all’aglio,origano e olio d’oliva,fare cuocere in
forno a 180 c° fino ad ottenere la gratinatura.
Spatola al cartoccio, con olive nere e filetti di pomodoro
Sfilettare la spatola ,stendere i filetti in carta stagnola e versare
sopra i filetti di pomodoro,olive nere, olio, sale, pepe.
Chiudere il foglio di stagnola in modo tale non avere una fuori uscita
di liquidi.
Infornare a vapore per 35 min. a 180 c°
DOLCI
Mousse di ricotta su vellutata in crema di pistacchi di Bronte
Macinare i pistacchi di Bronte, immergerli in una pentola contenente
del latte zuccherato, fare bollire il tutto aggiungendo una stecca di
vaniglia sino a quando vi si ha un composto cremoso e denso, fare
raffreddare il tutto in abbattitore .
Prendere la mousse di ricotta e con un cucchiaio creare delle
quenelles da adagiare sul piatto dove precedentemente è stata stesa la
crema creando una vellutata verde.
Spolverare il tutto con la cannella.
VINI
SCIACCA BIANCO
PASSITO DI PANTELLERIA
GIRGENTI FABIO IGNAZIO
Antipasti
Bruschette a comu e ghiè
(ingredienti: bruschette con caponata di zucchine, bruschette con patè di olive e concetrato di
pomodoro)
Primi piatti
pasta cu finucchieddu friscu
(ingredienti: finocchiello selvatico, sarde, olive nere)
pasta alla vastasa
(ingredienti: pomodoro fresco,salsiccia alla pizzaiola, caciocavallo stagionato,melanzane
nostrane, funghi porcini, olive nere, zucchine)
Secondi
filetti al cioccolato fondente
(ingredienti: filetto, cioccolato fondente e uva passa)
“Rattata” al limone.
Dolci
cestelli di gelo di melone e pistacchi caramellati al limone.
Vini:
SYRAH MONREALE Doc
MALVASIA DELLE LIPARI Doc.
LA MATTINA FABIO
Antipasti
insalata di carciofi di Cerda
ingredienti:
carciofi di cerda
cipolline scalogne
olio d’oliva
sale
pepe
prezzemolo
preparazione:
Pulite e affettate in spicchi i carciofi poi soffrigeteli in una padella ;
poneteli in un’insalatiera e conditeli con l’olio d’oliva, sale e pepe.
Tagliate a julienne la cipolla scalogna e infine cospargetela di trito di prezzemolo e
servitela.
Storia:
Il 25 Aprile, sagra del carciofo di cedra, il giorno della commerazione della
liberazione dal regime fascista. Una data davvero molto importante per gli italiani,
anche (e soprattutto) per noi che siamo arrivati “dopo”.
Primi
Anelletti con capperi di Pantelleria, panna e finocchietto
Ingredienti:
Anelletti
Capperi di Pantelleria
Finocchietto
Panna
Pepe
Sale
Prezzemolo
preparazione:
Far cuocere la pasta; nel frattempo far soffriggere in una padella i capperi e il finocchietto
rosolati con l’olio e cospargere di prezzemolo. Quando la pasta e pronta, unirla al condimento.
Storia:
Il cappero è una pianta perenne che cresce spontaneamente sulle rupi e sui muri di vecchie
case, nelle zone bagnate dal Mar Mediterraneo. Prodotto noto ed apprezzato fin dall'antichità, le
sue virtù vengono citate addirittura nella Bibbia. L’ambiente più adatto al suo sviluppo è il
clima caldo e secco dell’isola di Pantelleria. Qui la coltivazione del cappero, oltre ad avere una
lunga tradizione, è particolarmente importante sino a fregiarsi del marchio di qualità Igp
(Indicazione Geografica Protetta). Il terreno di Pantelleria, infatti, di origine vulcanica, è il
posto ideale per la coltivazione di questo pregiato arbusto.
Secondi
Pesce spada con capperi di Pantelleria
Ingredienti:
pesce spada
capperi di Pantelleria
olio d’oliva
sale
pepe
origano
preparazione:
cuocere il pesce spada in una padella;
nel frattempo rosolare i capperi con olio, sale e pepe;
quando tutto è cotto unire le due pietanze e servire in un piatto grande
cospargendolo di prezzemolo.
Dolce
Cannoli di gelo al gelsomino
Ingredienti:
cannoli
gelo di gelsomino
zucchero a velo
preparazione:
Fate fondere il fiore di gelsomino e. versate il succo ottenuto in una
casseruola, aggiungendo l'amido, lo zucchero e l'infuso di gelsomino. Mettete
la casseruola sul fuoco e fate restringere il tutto, cuocendo a fuoco molto
basso e mescolando sempre. Non appena sarà leggermente addensato,
versatelo in stampini dalla forma voluta, oppure dentro le coppette di plastica
per alimenti. Lasciate raffreddare per un'ora circa. A questo punto avrete
ottenuto il gelo,. Guarnite il tutto con altro fiore di gelsomino appena cotto.
Farcire i cannoli con il gelo e servite in un piatto con zucchero a velo.
VINI
BIANCO DI PANTELLERIA
LIMONCELLO
LI MANDRI ANNA LISA
Antipasti
Caponata con crostoni
di pane fritto
………………………
Verdure in pastella
croccante
………………………
Primi
Timballo di pasta
con broccoli
Bucatini con sarde
………………………
Secondo
Falso magro al sugo
Spatola alla griglia
…………………
Dessert
Semifreddo al pistacchio
di Bronte
VINI:
SICILIA IGT BIANCO FRIZZANTE
ALCAMO DOC ROSSO
PASSITO DI PANTELLERIA DOC
Presentare la caponata usando melanzane tipiche; la
lungarella e capperi di Pantelleria. Accompagnata da crostoni
di pane raffermo di grano duro.
Per le verdure usare solamente carciofi di Cerda, i cardi di
Collesano e nostri broccoli nostrani. Per la pastella
aggiungere un po’di scorzetta di mandarini di ciaculli.
Per la pasta usare un broccolo fresco con acciughe di Cefalu’;
poi presentare la nostra pasta in timballo.
Per la pasta con le sarde usare il nostro finocchietto selvatico
di montagna, le sarde di Sciacca e uva passa e pinnoli.
Per il nostro falsomagro o brociolone usare una fetta di
scamone e imbottirlo con mollica tostata, pancetta e uova
sode; cuocerlo in salsa di pomodoro di Valledolmo.
Per la spatola, sfilettarla passarla in olio extra vergine d’oliva
rosmarino e mollica e cuocerla alla carbonella.
Per il semifreddo usare esclusivamente pistacchio di Bronte
che emana una fragranza e un sapore eccezionale.
Montare la panna con un po di zucchero, aggiungere i tuorli e
in seguito anche gli albumi. Una volta freddo aggiungere il
trito di pistacchi di cui metà caramellati. Raffreddare in frigo.
PRESTIGIACOMO GIROLAMO
Antipasti
Caciocavallo fritto
Cardi pastellati
Vastedde ripiene di olio
e formaggio a pezzetti
Primi piatti
Pasta con i broccoli
arriminati
Pasta con i tenerumi
Secondi piatti
Cotoletta alla
palermitana
Braciolette alla griglia
Dolci
Spongato alla ricotta e
pistacchio
Il caciocavallo viene fritto senza olio mentre i cardi
verranno pastellati e fritti; le vastedde, ovvero focaccine
di pane, saranno condite con olio e pezzettini di
caciocavallo.
Pasta con i broccoli: i broccoli verranno cucinati in un
tegame in umido, con pinoli e uva passa; poi i bucatini al
dente, verranno accotturati con i broccoli.
Pasta con i tenerumi: è una minestra preparata con i
tenerumi, tipica verdura palermitana, con aggiunta di
una salsa di pomodoro con soffritto di aglio.
Cotoletta alla palermitana: cotoletta panata con mollica
olio e origano.
Braciolette alla griglia: braciolette di cinta, tipica carne
di maiale siciliana, arrostita con rosmarino.
Lo spongato, gelato in coppa, verra’ proposto in una
coppa di ferro con panna e pistacchio tipico di Bronte.
VINI:
CERASUOLO DI VITTORIA DOCG
MOSCATO DI NOTO DOC
PRESTIGIACOMO ROSALIA
ANTIPASTO
Bruschette alla palermitana
Tostare il pane ed aggiungere pomodoro, aglio, basilico. Servire ben calde
ALCAMO BIANCO DOC
Cuori di carciofo impastellati e fritti
Tagliare i carciofi, ricoprirli con la pastella e friggerli in olio bollente
ALCAMO BIANCO DOC
Tris di marinati (acciughe, tonno, spada)
Marinare a crudo per dare il sapore che contraddistingue tale piatto
ETNA BIANCO DOC
PRIMI
Penne alla norma
Per il sugo di pomodoro scottate brevemente i pomodori, passarli sotto
l'acqua fredda, pelarli, dividerli a metà, privateli dei semi e tagliate la
polpa a dadini. Sbucciate le cipolle e l'aglio e tritateli finemente. In una
casseruola scaldate 4 cucchiai d'olio e soffriggete dolcemente i dadini
di cipolla e l'aglio; aggiungete i pomodori, condite con sale e pepe e far
sobbollire finchè il liquido è quasi completamente evaporato. Lavate la
melanzana e tagliatela a fette di 1 cm. condirle con sale e pepe. In una
padella scaldare il restante olio e doratevi da ambo i lati le fette di
melanzana finchè diventano croccanti. Cuocete le penne al dente in
acqua salata in ebollizione, scolatele, fatele sgocciolare bene e
conditele con il sugo di pomodoro. Suddividete la pasta nei piatti e
sistematevi sopra le fette di melanzana. Cospargete con le foglie di
basilico, abbondante ricotta infornata e servite.
ROSATO DI SALAPARUTA
Linguine con sarde
Preparazione:
Pulire il finocchietto selvatico e bollirlo in abbondante acqua salata.
Scolarlo e tritarlo, conservando l’acqua di cottura per cuocere la
pasta. Sciogliere i pistilli di zafferano in poca acqua calda. Soffriggere
nell’olio l’aglio, la cipolla tritata, le acciughe e i pinoli. Aggiungere il
pomodoro fresco a dadini, cuocere per qualche minuto e unire le
sarde fresche, il finocchietto, l’uvetta, il brodo e lo zafferano. Lasciar
cuocere per circa 8 minuti, aggiungere il sale e il peperoncino quanto
basta e lasciar riposare. Cuocere la pasta nell’acqua di cottura del
finocchietto, scolarla e saltarla in padella con il condimento.
Completare il piatto con pangrattato tostato in padella con un filo
d’olio.
ETNA BIANCO
SECONDI
Involtini di pesce spada alla palermitana
Sbucciate la cipolla e tritatela. Lavate i pezzetti di spada, mescolateli
insieme alla cipolla e rosolateli in un tegame con l'olio caldo. Poi
bagnate con il brandy, salate, lasciate evaporare e spegnete il fuoco.
Cospargete di pan grattato.
Lavate le fette di pesce, asciugatele e inserite un po' del composto in
ognuna; sopra adagiatevi una fettina di mozzarella, profumate con
timo, basilico e una macinata di pepe. Arrotolate le fette su sè stesse in
modo da formare degli involtini e legateli con uno spaghino da cucina.
Cuocete per 15 min. sulla griglia calda su fiamma dolce. Intanto
preparate la salsa salmoriglio: in una ciotolina, emulsionate l'olio con il
succo di limone; unite un pizzico di sale, il prezzemolo e l'origano.
Sbattete per bene con una forchetta. Portate il pesce in tavola,
irrorandolo con la salsa ottenuta.
ETNA BIANCO
Tortino di sarde con spuma di ricotta e pomodorini
Deliscare le sarde e togliere le teste, lasciando solo il filetto. Cercare
di lasciarle il meno possibile sotto l'acqua.
Prendere una padella, versare un goccio d'olio e alternare uno strato
di sarde con uno di prezzemolo, aglio tritato, un pizzico di sale, succo
di limone e pangrattato. L'ultimo strato dev'essere con il pangrattato.
Coprire con un coperchio e lasciar cuocere per circa 15 minuti a
fuoco basso. A parte unire in una contenitore un po’ ricotta
assemblandola con cubetti di pomodori. Infornare per 10 minuti a
170°.
DESSERT
CANNOLO
Preparazione:
Disponete la farina a fontana, mettete al centro lo zucchero, il sale, il cacao
unite il vino
poco alla volta e lavorate bene fino a formare un composto consistente che
avvolgerete
in un panno e lascerete riposare per un paio d'ore. Tirate l'impasto a sfoglie
sottili,
tagliate dei quadrati e avvolgeteli sugli speciali cannelli cilindrici (di latta o di
canna).
Portate l'olio al massimo grado di frittura in una padella dai bordi alti e
immergetevi i
cannelli ricoperti di pasta. Quando saranno dorati al punto giusto,
sgocciolateli, lasciateli
intiepidire e sfilate i cannelli. Riempite con il composto di ricotta e
spolverizzate con
zucchero a velo.
PASSITO DI PANTELLERIA Doc
GELO DI MELONE
Preparazione
Versate la metà del succo d'anguria in un pentolino e unite lo zucchero;
incorporate al succo rimasto
l'amido e stemperate con cura.
Riunite i due composti e cuocete a fuoco moderato, continuando a rimestare con
un cucchiaio di legno
fino a quando la crema si rapprende.
Versate in coppette monodose e lasciate intiepidire, poi aggiungete la frutta
candita e l'acqua di fiori di
gelsomino.
Conservate in frigorifero fino al momento di servire.
Cospargete con pochissimo cioccolato fondente.
MALVASIA DELLE LIPARI Doc
VASTA GIANMARCO
La Sicilia è l'unica regione italiana dove si produce il pistacchio (della specie
botanica "pistacia vera") e Bronte, con oltre tremila ettari in coltura
specializzata, ne esprime l'area di coltivazione principale (più dell'80% della
superficie regionale).
L'«oro verde», così è denominato il "pistacchio verde di Bronte", rappresenta la
principale risorsa economica del vasto territorio della cittadina etnea.
Concorreranno la terra e le sciare dell'Etna, la temperatura o il portainnesto, le
tradizioni di coltura tramandate da padre in figlio, fatto è che la
pistacchicoltura brontese, a differenza dei prodotti di provenienza americana o
asiatica, in massima parte con semi di colore giallo, produce frutti di alto
pregio, molto apprezzati e richiesti nei mercati europei e giapponesi per le
dimensioni e l'intensa colorazione verde.
Il pistacchio brontese è dolce, delicato, aromatico. Soprattutto è unico.
Fra le varie qualità coltivate nel Mediterraneo e nelle Americhe possiede colori e
qualità organolettiche che ne fanno un unicum in tutto il mondo con un suo
sapore soave che i frutti prodotti altrove non hanno.
Viene apprezzato nei mercati italiani ed esteri per l'originalità del gusto e
l'adattabilità in cucina e in pasticceria.
E' usato nell'industria dolciaria sopratutto per preparare torte, paste, torroni,
mousse, confetti, gelati, e granite, ma è squisito anche nei primi e secondi
piatti o arancini; è utilizzato anche nella preparazione degli insaccati (ottimo
nelle mortadelle e nelle soppressate) e nel settore cosmetico.
A Bronte se ne raccolgono oltre 30 mila quintali.
L'ottanta per cento del prodotto brontese è esportato all'estero, sopratutto in
Europa (Francia e Germania in testa), il restante 20% trova impiego
nell'industria nazionale.
Il frutto viene commercializzato sotto diverse forme: Tignosella (pistacchio non
sgusciato, i brontesi lo chiamano "babbalucella"), pelato (sgusciato e privato
dell'endocarpo), granella, farina, bastoncini, affettato o pasta di pistacchio.
La peculiarità del pistacchio brontese è il colore uniformemente verde vivo
della sua pasta, nonchè la sua pronunciata aromaticità, per cui è senz'altro
privilegiato nella manifattura dei torroni, dei prodotti dolciari e dei gelati
ma soprattutto delle carni insaccate di pregio e nella gastronomia di alta
classe. Ogni anno in alcune viuzze e piazze del centro storico di Bronte si
svolge da parecchi anni una sagra (la Sagra del Pistacchio). Dal pesto alla
crema, dalla torta al gelato, dall'arancino alla salsiccia la Sagra è il trionfo
del pistacchio in tutte le sue varianti; si celebra nel mese di settembre e
nella scorsa edizione ha richiamato ben 100 mila visitatori.
E' l’occasione che la città offre ai numerosi visitatori per fare conoscere le
raffinate prerogative e le proprietà dell'"oro di Bronte".
Il clou della Sagra sono le degustazioni del frutto e dei prodotti che vanno
dalla salsiccia alla pasta al pistacchio, dalle torte ai torroni, al gelato, alle
crepes, alla filletta, oltre a numerose altre prelibate dolcezze. A Bronte
alcune cooperative ed una decina di aziende esportatrici, in concorrenza
fra loro, alcune ottimamente attrezzate e con avanzata tecnologia, si
occupano della lavorazione e della commercializzazione del pistacchio.
Si è costituita anche un’associazione di pasticceri che utilizzano il frutto
esaltandolo nei loro tradizionali prodotti (paste, torte, gelati, torroni,
fillette, panettoni e colombe, torroncini, creme, pesto, ...).
Il "pistacchio verde di Bronte", perennemente minacciato da importazioni di
qualità assolutamente inferiore, ha oggi conquistato il dovuto
riconoscimento di prodotto DOP: il Disciplinare di produzione è stato
pubblicato sulla Gazzetta ufficiale fin dall'Ottobre 2001.
BARCHETTE AL PISTACCHIO
Ingredienti: 200 g di farina 00, 140 g di burro, 1 tuorlo, 75 g di zucchero, 1
cucchiaio di Marsala, la scorza grattugiata di 1/2 limone biologico.
Per la crema: 4 tuorli, 200 g di pistacchi, 100 g di zucchero, 40 g di farina 00, 5 dl
di latte, 30 g di burro, 2 cucchiai di Rum.
Difficoltà: media - Preparazione: 30 minuti più 30 minuti di riposo della pasta e il
tempo di raffreddamento della crema - Cottura: 40 minuti.
Preparate la pasta. Disponete la farina a fontana sulla spianatoia e ponetevi al
centro 100 g di burro, ammorbidito a temperatura ambiente e ridotto a pezzetti, lo
zucchero, il tuorlo, il Marsala e la scorza di limone.
Lavorate velocemente l'impasto con la punta delle dita, formate una palla, avvolgetela
in un foglio di pellicola trasparente e lasciatela riposare per 30 minuti. Riprendete la
pasta e stendetela con il matterello in una sfoglia di circa 3 mm di spessore.
Rivestite con la sfoglia il fondo e le pareti di 6 stampi per tartellette ben imburrati.
Bucherellate la pasta con i rebbi di una forchetta, mettete gli stampini nel forno già
caldo a 220 °C e fate cuocere per 15 minuti. Sfornate le barchette e lasciate
raffreddare.
Intanto preparate la crema. Fate tostare nel forno già caldo a 180 °C i pistacchi, poi
strofinateli bene con un telo in modo da staccare le pellicine, quindi tritateli
finemente oppure pestateli nel mortaio.
Mettete i tuorli con lo zucchero in una casseruola e sbatteteli con una frusta, su
fuoco basso, per circa 10 minuti, poi unite la farina e i pistacchi tritati e mescolate.
Versate, poco alla volta, il latte caldo nella casseruola e proseguite la cottura, su
fuoco medio, sempre mescolando per 15 minuti, finché la crema avrà assunto una
consistenza densa. Lavorate in una ciotola il burro con il Rum, unitelo alla crema,
amalgamatelo e lasciate raffreddare.
Sformate le barchette, farcitele con la crema preparata, disponetele su un piatto da
portata e servitele in tavola.
FERRANRE TIZIANA
Il cappero è una pianta perenne che cresce spontaneamente
sulle rupi e sui muri di vecchie case, nelle zone bagnate dal
Mar Mediterraneo. Prodotto noto ed apprezzato fin
dall'antichità, le sue virtù vengono citate addirittura nella
Bibbia. L’ambiente più adatto al suo sviluppo è il clima caldo
e secco dell’isola di Pantelleria. Qui la coltivazione del
cappero, oltre ad avere una lunga tradizione, è
particolarmente importante sino a fregiarsi del marchio di
qualità IGP (Indicazione Geografica Protetta). Il terreno di
Pantelleria, infatti, di origine vulcanica, estremamente arido
per le scarse piogge, è il posto ideale per la coltivazione di
questo pregiato arbusto, che costituisce una fonte di reddito
notevole per l'isola.
Le parti della pianta che vengono raccolte e consumate, i
capperi, non sono altro che i germogli di un bellissimo fiore
bianco e rosato somigliante a una piccola orchidea. Questa
pianta, “Capparis spinosa”, cresce a forma di cespuglio e ha
le foglie carnose di colore verde scuro.
I capperi più piccoli sono quelli di qualità migliore e in cucina
sono usati per impreziosire le pietanze donando un gusto
unico e forte che stimola il palato e lo spirito di chi lo
assaggia.
L'isola di Pantelleria
Pantelleria è un luogo tutto da scoprire ricco di bellezze naturali.
Offre molto a coloro che vogliono visitarla: dalle varie escursioni all'interno
della Riserva naturale orientata al mare cristallino, dagli incantevoli
paesaggi alle particolari abitazioni chiamate Dammusi, dai piatti tipici della
tradizione pantesca al pregiato vino liquoroso Passito.
La ricchezza dei fondali, le coste frastagliate, i versanti scoscesi ricchi di
colture a terrazze, la natura incontaminata conferiscono una bellezza
eccezionale all’isola che il colore del suolo, formato per lo più da rocce
basaltiche, ha fatto soprannominare la "Perla Nera del Mediterraneo".
Pantelleria, infine, non è semplicemente un'isola da visitare ma più di ogni
altra cosa una memorabile esperienza da vivere.
Il cappero è un arbusto con un'altezza media di 30-50 cm con dei fiori
molto vistosi bianchi e rosa con punte di viola.
Tra la fine di maggio e settembre comincia la fioritura e con essa la
raccolta dei bottoni floreali non ancora aperti. Devono essere raccolti in
modo tempestivo, prima dell'alba e appena germogliati. Quelli di dimensioni
minori divengono, dopo la maturazione, il prodotto migliore.
Una volta raccolti vengono messi a maturare in salamoia in sale marino. La
maturazione è un passaggio obbligato, allo stato fresco i capperi sono
amari e di gusto sgradevole. I capperi messi a maturare nel sale marino
(circa il 40% del loro peso) vi restano 10 giorni durante i quali vengono
periodicamente rimescolati. Una volta scolati vengono posti nuovamente
sotto sale (circa il 20% del loro peso) per altri 10 giorni.
Piatto tipico di Pantelleria: Sciakisciuka
Ingredienti: 1 cipolla; basilico; 50 gr. di capperi al sale di Pantelleria; 4
zucchine piccole; 4 pomodori ben maturi; un pizzico di origano; sale; pepe;
4 cucchiai abbondanti di olio d’oliva; 50 gr. di formaggio stagionato; 4
uova.
Preparazione: Ungete con l’olio un tegame basso e largo, aggiungete la
cipolla tagliata sottile e ponete sul fuoco. Unite i pomodori tagliati a
pezzetti e senza semi, le zucchine tagliate a piccoli cubi e lasciate cuocere
per 5 minuti. Mescolate e aggiungete il basilico, i capperi dissalati, mezzo
bicchiere d’acqua, pepe, origano e sale q. b. Lasciate cuocere a fuoco lento
mescolando ogni tanto. Quando le zucchine sono quasi cotte aggiungete il
formaggio tagliato a piccoli dadi e le uova. Finite la cottura e servite.
Primi
Pesto alla pantesca crudo
Ingredienti: 400 gr. di spaghetti; 50 gr. di capperi di Pantelleria; 5
olive verdi snocciolate; 100 gr. di tonno all'olio d'oliva.
Preparazione: Tritate finemente tutti gli ingredienti e aggiungete a filo
l'olio d'oliva fino a formare una salsa. A piacimento si può aggiungere
peperoncino rosso e foglie di salvia. Condite gli spaghetti
precedentemente cotti e lasciati al dente.
LI MANDRI ANNA LISA
Il carciofo è un frutto che la terra Imerese dona da tanti anni.
E’ grazie a questo elemento che Cerda, Collesano, etc.. sono
ricordati e stimati per i loro piatti che, come base, hanno
questo prodotto.
Il periodo nel quale possiamo trovarli sia in commercio che a
tavola parte da Dicembre per finire i primi di Maggio.
Per quanto riguarda la chiusura del periodo di raccolta e
vendita non possiamo dimenticare le sagre che si esercitano
proprio in questi luoghi .
In particolare a Cerda dove, per la festa del 1 maggio, si
svolge la sagra del Carciofo, conosciuta sia nel territorio
siciliano e non.
ANTIPASTI
Carciofi Arrostiti, Carciofi Fritti, Carciofi Villanella, Agrodolce di Carciofi
PRIMI
Pasta Fresca alla Francescana
Risotto ai Carciofi e Ricotta
SECONDI
Frittata di Carciofi,
Carciofi Attuppati
Spezzatino di agnello e carciofi
CONTORNI
Carciofi all’aglio
Carciofi gratinati
Carciofi ripieni con mozzarella di vaccina
DESSERT
Carciofi canditi, aromatizzati alla menta
Frutta di stagione con gelato al carciofo
Acqua, Vino, Caffè, Amaro al carciofo
GIRGENTI IGNAZIO FABIO
A Favignana ogni anno, nel periodo primaverile, tra maggio e
giugno si svolge la pesca del Tonno. Si deve agli Arabi
l'organizzazione e l'infallibile funzionalità della tonnara, così
come araba è la terminologia delle parole ed i canti scanditi nei
momenti culminanti della cattura.
Schematicamente l'isola, così come viene chiamato l'insieme
delle reti della tonnara, è costituita da due grandi barriere, che
si sviluppano parallele, le mura sono interrotte ortogonalmente
da altre reti mobili dette "Porte" che delimitano le camere della
tonnara, l'ultima di queste porte mette in comunicazione il
"Corpu", l'unica camera ad avere le reti anche sul fondo, che
viene sollevata per portare in superficie i tonni.
Il "Rais", il capo assoluto della tonnara a bordo della barca
"Muciara" piccola imbarcazione in legno, al centro del quadrato
creato dalle barche "Vascelli", con gesti delle braccia dirige i
tonnaroti e dà il via alla mattanza. "E' una breve scena di spruzzi,
voci, arpioni, pinne, canti di cialome e sull'istinto di riproduzione
del Tonno prevale l'istinto di sopravvivenza dell'uomo".
Ricette
Fusilli Donna Anna
Ingredienti:
100 g di tonno affumicato (a listelle)
100 g di zucchine genovesi
400 g di fusilli
1 spicchio d'aglio, prezzemolo, olio d'oliva, peperoncino dolce
Preparazione:
Fare soffriggere l'aglio, aggiungere le zucchine tagliate a strisce sottili e
cuocere a fiamma media, aggiungere il tonno affumicato, prezzemolo,
peperoncino e sale a piacere, condire la pasta e servire.
Pennette "du Zu Michele"
Ingredienti per 4 persone:
gr 400 di pennette, gr 90 di passione di Favignana, prezzemolo, pecorino
grattugiato, olio, sale.
Preparazione:
Fare cuocere in acqua le pennette, a cottura ultimata aggiungere la Passione di
Favignana, l'olio, il pecorino e servire. Diluendola solo con aglio diventa una
salsetta ottima su lessi, su crostini e su bruschette.
PRESTIGIACOMO GIROLAMO
L'ulivo Nocellara del Belice è una varietà di albero d'oliva che cresce
unicamente nella Valle del Belice con Castelvetrano e Selinunte per
ettari coltivati e produzione. Un olivo a doppia attitudine, capace cioè di
produrre sia olive da mensa che per olio. L'Olio Nocellara del Belice è
un olio extravergine di oliva prodotto dalle olive della varietà detta
"Nocellara del Belice" una delle più pregiate e prestigiose del mondo.
L’olio rientra nella categoria D.O.P. (Denominazione di Origine
Protetta) l'unica riconosciuta per le olive da mensa a livello Europeo,
inoltre recentemente ha ricevuto anche il marchio I.G.P. (Indicazione
Geografica Protetta). La Nocellara presenta un’acidità massima dello
0,50% ed una densità di valore medio. Il suo colore è verde con riflessi
giallo oro ed ha un profumo d’oliva appena frantumata con sentori di
erba. Il suo sapore è fruttato, appena lievemente amaro e piccante con
un retrogusto di mandorla, ineguagliabile e pregiatissimo al palato.
L'ulivo Nocellara è una pianta antica di queste terre è da sempre ne
rappresenta e ne segna le tradizioni, la storia e l'economia. Secolari
olivastri nocellari ombreggiavano infatti le pause degli operai addetti
all'estrazione nelle Cave di Cusa della pietra per la costruzione della
città di Selinunte. Grosse macine di frantoio rinvenute nella zona
archeologica di Selinunte, testimoniano la lavorazione delle olive già
500 anni prima di Cristo. Selinunte di queste macine ne faceva largo
uso, e l'Olio Nocellara era già allora oggetto di commercio con tutto il
mondo ellenico, proprio a confermare la posizione di Selinunte quale
emporio dell'olio dell'antichità. Proprio qui a Selinunte, la coltivazione
dell'ulivo, con la selezione della "cultivar Nocellara del Belice", trovò
condizioni ambientali e di coltivazioni talmente uniche da fare
primeggiare l'olio e e le olive di Castelvetrano.
La raccolta della Nocellara avviene esclusivamente a mano,
con il metodo della brucatura. Il periodo di raccolta comincia
alla fine di Settembre e prosegue ad Ottobre, Novembre
quando le campagne di Castelvetrano si riempiono di uomini
e donne che come una grande festa in un rito antico di
migliaia di anni raccolgono il prezioso frutto a mano tra le
fronde delle foglie verde-argento dell'ulivo Nocellara. La
raccolta, per limitare gli scarti ed ottenere olio pregiato,
viene fatta nella fase denominata invaiatura del frutto, cioè
quando la drupa sta iniziando il processo di maturazione. Le
olive rendono circa il 19% in olio, questo viene estratto con
sistemi di molitura tradizionale con un ciclo continuo a
freddo entro 24 ore circa dalla consegna al frantoio.
Curiosità: L'olio di oliva è l'unico che si possa ottenere dalla
semplice spremitura del frutto, senza alcuna manipolazione
chimica.
L'Olio extra vergine di oliva Nocellara del Belice, si consuma sia
crudo che cotto. Ottimo da usare crudo per minestroni, passati di
verdure, nelle insalate; in cottura invece è prelibato per la
preparazione di salse, arrosti sia di carne che di pesce ma anche
per le fritture, poichè il suo punto di fumo è più alto che in tutti gli
altri olii. Le olive invece molto grosse e ricche di polpa sono adatte
per mensa e spuntini, possono essere preparate in diversi modi,
sotto salamoia, schiacciate e condite con olio e pezzettini d'aglio o
più semplicemente in salamoia; una variante particolarmente
apprezzata è l'oliva nera, il cosidetto "passuluni", ovvero la drupa
viene raccolta quando è molto matura assumendo un colorito
nerastro, dopodichè viene messa sott'olio e sotto sale e schiacciata
con pesi o presse, risulta gustosissima da gustare a tavola e nelle
insalate. Le qualità dell'oliva nocellara rendono indubitabilmente
quest'olio uno dei migliori in assoluto, elemento principe in una
dieta equilibrata ma attenta al gusto quale quella mediterranea,
riconosciuta a livello mondiale come la migliore possibile. Numerosi
studi hanno dimostrato le qualità straordinarie dell'olio d'oliva, in
grado di: ridurre il colesterolo, rischi di occlusione delle arterie, la
pressione arteriosa, il tasso di zucchero nel sangue,
l'arteriosclerosi, infarto del miocardio, etc... l'olio extravergine
nocellara possiede infatti grassi altamente digeribili.
PRESTIGIACOMO ROSALIA
La combattività del pesce spada: La combattività di questo pesce è
documentata fin dall’antichità da notizie di attacchi alle imbarcazioni, a
volte con il ferimento dei marinai. Nello Stretto di Messina nel corso delle
sue migrazioni primaverili percorre il tratto di mare tra Scilla, Bagnara e
Palmi in Calabria, per la riproduzione, poi all’inizio dell’estate inverte la
rotta costeggiando lo stretto dal lato della Sicilia.
La sua pesca è una tra le più antiche che si conoscano: viene descritta da
Omero nel canto XII dell’Odissea, menzionata da Strabone e descritta
dettagliatamente da Polibio.
Fino agli anni ‘60 del XX secolo questa pesca veniva praticata come
descritta da Polibio e quindi con le stesse modalità dell’epoca greca, ed
ancora oggi molti termini dialettali usati dai pescatori non sono altro che
inequivocabili corruzioni dei corrispondenti termini greci.
In questo tipo di pesca ormai non più praticata le barche dette “luntri” o
“schifi” erano manovrate da cinque robusti rematori, che facevano
procedere la barca con la poppa, sopra la quale stava il lanciatore - ‘u
lanzaturi; due dei quattro lunghissimi remi, quelli più verso poppa,
poggiavano su scalmi ricurvi sporgenti circa un metro dai bordi della barca
per meglio equilibrarne il movimento ed imprimerle una maggiore velocità.
Il rematore centrale, detto “mezziere”, a differenza degli altri impugnava i
due remi insieme; il “falerotu”, o “ntinneri”, dalla cima del piccolo albero
posto al centro della barca, dirigeva le operazioni di avvicinamento alla
preda seguendo le indicazioni che la vedetta, appostata su un’altura in riva
al mare (”guardiola”) o sulla antenna della feluca (”ntinneri”) - gli
trasmetteva a voce agitando una bandierina bianca.
Ritto in piedi stava ‘u lanzaturi con la lancia in mano, che generalmente era
il capociurma, “u patruni”, a cui tutto l’equipaggio doveva cieca
ubbidienza, dato che su di lui incombeva la responsabilità del felice esito
del lancio, effettuato anche a distanza di sette, otto metri dalla preda.
La fase che precedeva la cattura: Questa fase era caratterizzata dal continuo
vociare della vedetta e poi del “falerotu” che, oltre a dare le necessarie
indicazioni sulla rotta, incitava i compagni alla voga.
La lancia d’elce, e non di quercia o di abete come ai tempi i Polibio, era
incastrata con una estremità al corpo dell’arpione; a circa dieci o quindici
centimetri dalla punta di questo erano - ed il sistema di costruzione viene
adottato ancora oggi - collocate quattro alette, che una volta penetrate nel
corpo del pesce impedivano all’arpione di sfilarsi.
Appena arpionato il pesce, l’uomo del faliere scendeva dall’albero del
“luntro” e correva ad aiutare il lanciatore a manovrare la sagola a cui era
ormai attaccato il pesce spada (o tonno, o anche squalo o aguglia
imperiale).
La pesca con l’arpione oggi è quasi soppiantato da quella con i
“palangresi”, lunghe lenze con centinaia di ami che operano in tutte le
stagioni e catturano anche gli “spadelli” (”puddicinedda”), i piccoli pesci
spada di pochi chilogrammi.
Tra la primavera e l'estate, i pesci spada, che abitualmente vivono in acque
profonde, si avvicinano alla costa, dove la temperatura è superiore ai 15
gradi, per attendere alla riproduzione ed arrivano anche nello stretto di
Messina, esattamente nel tratto di mare prospiciente Palmi, Scilla e
Cannitello da un lato e Messina dall'altro.
La pesca del pesce spada nelle acque dello Stretto di Messina,
è un’arte-mestiere praticata da antichissimo Tempo. Non si
hanno notizie certe sulla sua origine e perciò resta difficile
stabilire come e quando i pescatori dello Stretto iniziarono a
dare la caccia ai pesci spada che da tempo immemore fanno
dello Stretto di Messina la loro prediletta via verso le più
tiepide acque dello Ionio.
Il pesce spada è un pesce lungo fino a 4 metri e pesante, a
volte, anche 3 quintali privo di squame di pinne ventrali e di
denti. Ha un colore grigio scuro sul dorso e argento nella
parte ventrale. Si nutre preferibilmente di seppie e calamari.
Pesce spada alla scogliera
Preparazione
Tagliare quattro fette di pesce spada da 200 g cadauno e passarle nella
farina.
Quindi farlo dorare in padella con 100 g di burro, dopo di che metterlo in
una pirofila, che sarà tenuta in caldo.
Preparare la salsa in padella facendo rosolare con il burro un po' di cipolla
ed una punta di aglio, aggiungere quindi i gamberi le cozze e le vongole,
facendo cuocere pochi minuti; quindi sfumare con vino bianco attendendo
il tempo necessario per farlo evaporare; quindi aggiungere il pomodoro, il
prezzemolo tritato, il sale ed il pepe quanto basta.
Fare cuocere per circa 10 minuti e versare questa salsa sul pesce, che così
e pronto per essere servito.
Rotolino di spada con caponata di melanzane e riso allo zafferano
Preparazione
Preparare il riso pilaf con zafferano.
Rosolare olio e cipolla, unirvi l'involtino di pesce spada, salare, pepare e
spolverare di pangrattato, bagnare col vino.
A parte rosolare aglio, olio, acciughe e unirvi la melanzana a cubetti.
Fare uno stampino col riso e servire capovolto sul piatto col pesce e la
caponata
A tavola con le Culture “Altre”
La cucina argentina
I tratti distintivi della cucina argentina in relazione ad altri paesi dell'America
latina, sono i piatti tipici della dieta mediterranea. La cucina argentina
tradizionale è fondata essenzialmente sulla carne e subito dopo sulla farina di
frumento. La cucina argentina ha sommato varietà, delicatezze e natura con un
ampia scelta di pietanze legate alla storia e alla tradizione. Gli emigranti
procedenti dal sud d'Europa all'epoca della colonizzazione costituirono, il più
importante contingente di persone emigrate tra la metà del XIX secolo, e la
prima parte del secolo XX. Grazie ai contributi di tante culture culinarie che
hanno conformato il mosaico di razze, che oggi si materializza nel menu di
qualsiasi ristorante del paese, nonostante ciò, non perdendo la genuinità del
sapore originario, di quelle radici che hanno saputo assimilare sapori tanto
diversi e gustosi della gastronomia nazionale variabile come identità culturale
proprie.
Prima della colonizzazione spagnola nel secolo XVI, questo meraviglioso paese
era abitato da un esiguo gruppo di " indios " nomadi, che non hanno lasciato
nessuna traccia di civilizzazione. Gli argentini sono per la maggior parte d'
origine europea essendo i loro antenati dei coloni italiani e spagnoli.
Nonostante ciò, la loro cucina ha poco in comune con quella dei loro rispettivi
paesi d' origine, in quanto hanno adattato molto velocemente il loro retaggio
gastronomico dei prodotti di questa vastissima nazione: la carne in primo
luogo, seguita della zucca, i fagioli ed il mais.
Dachè delle diverse regioni offre piatti tipici che congiunge cultura, tradizioni e
valori a un obiettivo unico, tale come formare parte della storia, attraverso una
diversità di aromi, colori, e sapori, illimitati.
Il piatto nazionale per eccellenza argentino è l'arrosto. Che viene
dall'usanza che i "gauchos" avevano di cucinare la carne, questo è rimasta
uguale fino ai nostri giorni. L' arrosto è un pasto che richiede molta cura e
tempo per la preparazione.
Sebbene ci siano dei cuochi specializzati nell'arrosto, è il padrone di casa,
gentilmente si incarica di prepararlo.
Nell' attesa che la carne sia pronta, vengono servite le " empanadas "
accompagnate da un buon vino rosso. Questo costituisce un vero rituale
gastronomico, perchè intorno alla sua preparazione, si sviluppano sulla
variante regionale, diversi costumi abituali della Pampa Argentina.
Un' altra protagonista della tavola argentina è il mangiare regionale, molto
importante e gustoso nelle diverse zone del territorio, tanto decantate da
famosi viaggiatori stranieri.
Terra delle carrube, il granoturco, la patata, le pipe e la "llama. Pure del
mangire semplice come il "locro", la "empanada" (pasticcio di carne avvolto
in pasta), uova, vegetali, con un' infinità di varianti e sapori nel resto delle
altre regioni. Contorni cotti come la purea de mais: "humitas", un insieme
di mais, latte, uova, páprika e il sale, frullate fino ad ottenere un impasto
omogeneo e spesso; poi, in una padella si scioglie il burro e poi si
aggiunge la cipolla che si fa cuocere stando attenti a non farla bruciare,
versare poi la crema di mais e farla cuocere in modo che la purea diventi
ben spessa. Per ultimo aggiungere il parmigiano e servire subito
accompagnandola con la carne, e anchè il "tamal".
I guaraní hanno influenziato sulla regione del nordest. Loro si basarono sul
mangiare con la "mandioca", la zucca, il " mamón" (succhione), il formaggio
créolo, e nell' abbondanza dei pesci di fiume d' acqua dolce, come il
"dorado", il "surubí "e il "patí".
Asado
L'asado (arrosto) è un piatto tipico argentino fatto con carne di manzo
cotta alla brace.
Per la preparazione può essere utilizzato il taglio reale da brodo, che
una volta cotto alla griglia risulta molto saporito.
Tipici dell'asado sono inoltre le interiora (entrañas o achuras), le
salcicce chiamate chorizos e le salciccie di sangue dette morcillas.
Condimento dell'asado è il chimichurri (pron. it.: "cimiciurri"), miscela
di spezie fresche con olio, aceto e limone che si applica a fine cottura.
In generale l'asado sudamericano è l'equivalente della nostra grigliata
mista che può essere accompagnato da verdure e salse.
Per risaltarne il sapore e la consistenza, la carne deve essere cotta
lentamente, anche per ore: per questo motivo l'Asado può essere
considerato anche come una maniera di familiarizzare, un rito sociale.
Ingredienti:
8 chorizo, 4 salsicce, 1/2 bicchiere di vino rosso, 1 manciata di
prezzemolo, 1 cipollina, 1 peperoncino, sale, pepe, cumino, origano,
1/2 bicchiere d'olio
Preparazione
Pestate nel mortaio tutte le erbe e le verdure, aggiungendo l'olio e il
vino, sale e pepe, diluite poi il tutto con un bicchiere d'acqua.
Prima di arrostirle, tenerle a bagno per un certo tempo, poi
bucherellarle, infine cuocerle a fuoco vivo con le salsicce,
spennellandole con la marinata.
Arroz con leche
Ingredienti
100g di riso, 3 bicchieri di latte, 3 cucchiai di zucchero, sale, 1
limone, cannella in polvere
Preparazione
Mettete in un pentolino il riso con il latte e lasciate riposare il tutto per
almeno 6 ore. Quindi fate sobbollire il riso nel latte per 8 minuti.
Trascorso questo tempo aggiungetevi lo zucchero, un pizzico di sale, la
scorza di limone grattugiata e proseguite la cottura (aggiungendo
dell'altro latte caldo se il riso apparisse troppo asciutto).
Servite freddo, in coppe, spolverate in superficie di cannella in polvere.
Asado
Arroz con leche
Ristoranti argentini presenti nel territorio:
 Milonga
 Patagonia
 Steak house
La cucina cinese - giapponese
Alcuni resoconti della storia della cucina cinese riportano i
suoi inizi all'età della pietra cinese, dove la coltivazione del
riso e la produzione di "noodles", entrambi tipici esempi di
cucina cinese come da noi oggi conosciuta, sono noti da
ritrovamenti archeologici. Attraverso i secoli, quando nuove
fonti di cibo e nuove tecniche furono inventate, la cucina
cinese si modificò gradatamente. A titolo di esempio, l'uso
delle bacchette di diversi materiali ed utilizzate come utensili
per mangiare, un altro segno distintivo della cucina cinese,
risale almeno dalla dinastia Zhou, mentre i piatti di "frittura
saltata" sono divenuti popolari durante la dinastia Tang. La
cottura col metodo "frittura saltata" fu inventata in seguito
alla necessità di conservare la legna da ardere. I più famosi
piatti che oggi si possono trovare sono stati inventati durante
la dinastia Qing ed i primi anni della Repubblica Cinese.
Poco tempo dopo l'espansione dell'Impero Cinese durante la
dinastia Qin e la dinastia Han, scrittori cinesi annotano la grande
differenza di pratiche culinarie fra persone provenienti da differenti
parti del regno. Queste differenze, dovute ad una grossa estensione,
alle variazioni di clima ed alla disponibilità di risorse di cibo in
Cina, possono essere molto numerose in realtà, ma sono state
anticamente classificate in liste di cucina cinese, le cui quattro più
conosciute sono:
 La cucina del Nord e del Sud, antica distinzione, è una di quelle più
utilizzate anche oggi, anche se la cultura del cibo nella Cina del Nord e
nella Cina del Sud si è ovviamente molto evoluta rispetto alla prima
distinzione fatta.
 Le "Quattro scuole", ovvero Lu, Chuan, Yang e Yue. Spesso tradotte
come le cucine di Shandong, Sichuan, Jiangsu and Guangdong, questa
distinzione, in uso durante la dinastia Ming, in effetti comprende molte
più zone rispetto le attuali provincie. Le "Quattro scuole" sono la
classificazione tradizionale della cucina cinese, e sulla loro base si
sono sviluppate le "otto scuole" e le "dieci scuole".
 Le "Otto scuole", che si aggiungono alle quattro sopra citate (o meglio,
suddivisesi dalle quattro precedenti) le cucine delle provincie di Hunan,
Fujian, Anhui e Zhejiang.
 Le "Dieci scuole", che aggiungono alle otto sopra citate le cucine di
Pechino e di Shanghai.
Tra le ricette più note, il riso cantonese.
La cucina cinese ha origine a quattro grandi aree: quella a
nord (Pechino) quella a sud (Canton), quella orientale
(Shanghai e lo Yangtze) e quella dell’ovest (Sichuan).
Nord-Pechino: i piatti tipici sono basati su frumento e
cereali, quindi spaghetti e ravioli al vapore (jiaozi). Il
piatto tipico di Pechino è l’anatra laccata (kaoya).
Sud-Canton: è la cucina cinese diffusa in Italia. Propone
piatti a base di carne e crostacei e involtini ripieni cotti nel
bambù.
Oriente-Shanghai: i piatti tipici sono l’anguilla e le
minestre di pollo.
Ovest-Sichuan: i piatti sono molto speziati come il pollo al
pepe, le melanzane all’aglio, il manzo al peperoncino secco
e il tofu al chili.
La particolarità della cucina cinese è la totale assenza di
privazioni di carattere religioso e l’assoluta valorizzazione
dei suoi elementi.
TEMPURA
Ingredienti :
6 gamberoni
12 fagiolini
4 foglie di shiso
4 fettine sottili di zucchina
2 cappelli di shiltaké (funghi cinesi) tagliati in due
olio di semi per friggere
Ricetta :
Sguscia i gamberoni lasciando la coda e tagliali lungo la cavità ventrale.
Tamponali bene con un foglio di carta assorbente.
Prepara la pastella.
In una terrina metti il rosso d'uovo e sbattilo molto delicatamente con una
forchetta. Versa l'acqua fredda, mescola 2 volte e aggiungi la farina sempre
mescolando.
Fai scladare l'olio a 175°C (th.6). Immergi i gamberoni e la verdura
servendoti di una schiumaiola e adagiali su carta assorbente. Servi la
frittura ben calda
Consigli :
La Tempura si serve accompagnata da spicchi di limone, sale e pepe
oppure con la tradizionale salsa composta da 1/5 di salsa di soia, 1/5 di
mirin et 3/5 di dashi.
Jiaozi
Ingredienti
• Per il ripieno:
• 100 gr. macinato di maiale
• 2 o 3 porri
• salsa di soja
• olio di sesamo (o olio di semi normale)
Preparazione
Prendete i porri crudi e tagliateli in pezzettini molto piccoli, incorporateli
alla carne di maiale macinata fine, aggiungete abbondante salsa di soia e
un filo di olio. Mescolate bene poi coprite con la pellicola e lasciate
macerare il composto per qualche ora in frigorifero. Ogni tanto rimestatelo
un pochino. Intanto mescolate la farina col sale e l'acqua come se doveste
fare una pizza ma senza lievito, fino a fare una palla di pasta compatta.
Stendete la pasta piuttosto sottile (attenzione che non si rompa), tagliatela
a dischetti (io uso un bicchiere capovolto per questa operazione) e mettete
nel centro poco ripieno facendo attenzione a lasciare molta pasta attorno
per poterli chiudere bene. Chiudete quindi i ravioli schiacciando molto la
pasta sui bordi (eventualmente tirandola per farla più sottile) e cuocete in
acqua bollente poco salata. Quando vengono a galla io li lascio ancora un
pochino dentro perchè la carne si cuocia bene. Sevite caldi con salsa di
soia.
Maki sushi
INGREDENTI (per 4 persone)
120 gr di filetto fresco di tonno
1 cetriolo piccolo
4 foglie di alga nori
640 gr di riso per il sushi (sushi gohan)
20 gr di wasabi o di peperoncino (1 cucchiaio raso)
100 gr di zenzero (conservato in agrodolce e affettato)
salsa di soia
PROCEDIMENTO
Tagliare il tonno a strisce lunghe circa 5 cm e larghe circa 1,5 cm.
Lavare e sbucciare il cetriolo.
Dividerlo a metà e procedere come già fatto per il tonno.
Spianare le foglie di alga e dimezzarle per la larghezza con un paio di
forbici da cucina.
Disporre la mezza foglia di alga su cui cospargere uno strato di sushi
gohan spesso 1/2 cm, lasciando libero un bordo di 1 cm.
Stendere il wasabi in uno strato sottile e mettere in mezzo una striscia di
tonno oppure 3 di cetrioli.
Avvolgere l’alga aiutandosi con la stuoia, premendola leggermente in modo
da ottenere una forma squadrata.
Tagliare i rotoli così ottenuti in larghe fette di uguali dimensioni.
Ornare il piatto con qualche fettina di zenzero.
Jiaozi
Riso cantonese
Tempura
Ristoranti cinesi presenti nel territorio
Maki sushi
 Ristorante Asia di Yang Ximao
 Hong Kong Ristorante Cinese
 Ristorante Cinese Felice Di Chen Zhi Hong
 Ristorante Cinese Hua Li Du Di Zhang Airong
 Ristorante Cinese Shang Hong Pizzeria
 Ristorante Cinese Can Ton Xu Jianlong
La cucina mauriziana
La cucina mauriziana o creola è rinomata grazie al suo eccellente mélange
di cucine asiatiche, africane ed europee. I suoi sapori sono forti e decisi, le
salse piccanti e aromatiche. I frutti di mare ed i pesci sono generalmente
cotti con spezie o alla cinese o semplicemente al curry, oltre al metodo
tradizionale francese. Il pesce rimane comunque il piatto dominante:
l'Oceano Indiano infatti è ricco di aragoste, ostriche, granchi, gamberi e
gamberoni che qui vengono cucinati alla griglia o in cari.
La selvaggina, la cacciagione o i volatili vengono spesso cotti alla griglia, al
curry o in salsa. La specialità locale è sicuramente il Camaron in salsa
rossa servito su un letto di cuori di palma. Il cari è un tipico modo di
cucinare la carne (pollo, montone, cervo o capretto), la verdura o il pesce,
in olio, aglio, cipolla, pomodoro, zafferano ed altre spezie. Di solito si
accompagna con riso bollito senza sale oppure con rougail, una salsa
piccantissima a base di pomodori, peperoncino, zenzero, cipolle, aglio e
sale, ma anche con dalla verdura, cavoli e cipolle oppure con limoni verdi
sott'olio e zenzero. A Mauritius si gusta molta carne di cervo, cucinata al
forno, con verdure, riso e legumi vari. Nella stagione della caccia si mangia
ottima carne di lepre e barbecue di cinghiale. Mauritius è un paradiso di
frutti tropicali che vanno dall’ananas al melone passando per mango,
litchies, papaia e banana. Una varietà di legumi tradizionali e locali
accompagna i piatti mauriziani, la fricassée de chouchou o gli achard
légumes. Un po’ ovunque, potrete gustare i vari faratas, gateaux piment o
badjahs.
Bhajas
Ingredienti:
25gr di farina, ½ cucchiaino di peperoncino in polvere, 1 cucchiaino di
polvere di curcuma, 1 cucchiaino di lievito, sale a piacere, ½
cucchiaino di semi di cumino sminuzzati grossolanamente, 2 grosse
cipolle affettate finemente, 2 peperoni verdi tritati finemente, 2
cucchiai di foglie di coriandolo tritate, olio vegetale per frittura.
Preparazione:
in una ciotola, miscelare insieme la farina, il peperoncino, la curcuma,
il lievito e il sale a piacere. Aggiungere i semi di cumino sminuzzati
grossolanamente, la cipolla, i peperoncini verdi e le foglie di
coriandolo. Miscelare tutto bene insieme.
Molto gradualmente miscelare in acqua fredda sufficiente fino a creare
una pasta spessa che avvolga tutti gli ingredienti.
Scaldare olio sufficiente in un wok o in una padella per frittura simile.
Versare l'impasto a cucchiaiate nell'olio caldo e friggere fino a
doratura. Lasciare abbastanza spazio per voltare le frittelle. Scolare
bene e servirle calde. (Come alternativa, immergere pezzi di verdura
nell'impasto prima di friggere nell'olio).
Gateaux piments
Ingredienti:
250gr di piselli schiacciati, 2 o 3 peperoncini rossi o verdi (quantità a
piacere), 2 cucchiai di foglie di coriandolo tritate, 2 cucchiai cipolle
novelle finemente tritate, sale a piacere, ½ cucchiaino di semi di
cumino interi o cumino in polvere, olio per frittura.
Preparazione:
lavare i piselli in acqua corrente. Lasciarli immersi in acqua per
minimo 3-4 ore. Scolare i piselli completamente mettendoli in un
setaccio e lasciando scolare per qualche minuti. Mettere in un
miscelatore e miscelare ottenendo una consistenza più o meno
omogeneo. (Come alternativa comprare dei piselli già macinati, né in
maniera troppo raffinata né troppo grossolanamente, e lasciarli in
ammollo prima dell'uso). Deve comunque esserci una parte abbastanza
fine per poter creare l'impasto della torta al peperoncino.
Aggiungere tutti gli altri ingredienti ai piselli polverizzati e miscelarli
bene insieme. Aggiungere un po' d'acqua se necessario.
Scaldare bene l'olio a fuoco medio. Dare forma di palline all'impasto e
friggere in gruppi fino a doratura. Assicurarsi che tutta la torta sia
cotta. Regolare il calore se necessario per assicurare la cottura
completa. Scolare e disporre su diversi piani di carta assorbente per
raccogliere l'olio in eccesso. Servire caldi con pane fresco o mangiarli
come snack.
Gateaux piments
Bhajas
Non sono presenti a Palermo ristoranti mauriziani.
Penso che ciò sia dovuto al fatto che la cucina mauriziana manca di una
vera e propria identità. Tale cucina, infatti, non è altro che l’insieme di
elementi/alimenti appartenenti a cucine diverse, come ad esempio,
quella indiana.
La cucina messicana
Prendere qualche ingrediente azteco e qualche condimento maya;
mischiare con prodotti tipici spagnoli, aggiungere un tocco di caraibi e una
spruzzata di francese. Il risultato, colorato, piccante e imperdibile, è la
cucina messicana.
Ogni paese, a tavola, risente dell’alterazione delle tradizioni e dei prodotti
locali, effettuata dalle contaminazioni straniere. Se in luoghi che per secoli
sono stati chiusi alle influenze del mondo esterno, come il Giappone, la
gastronomia locale è riuscita a mantenersi originale e quasi del tutto
incontaminata, è anche vero che ci sono nazioni che hanno visto, per
buona parte della loro storia, un susseguirsi di conquistatori, invasioni,
flussi migratori e cuochi.
La civiltà precolombiana, termine con cui si designa la varietà di popoli
originari delle Americhe che furono sterminati dopo che Colombo toccò
terra e dalla vecchia Europa partì l’assalto al Nuovo Mondo, è conosciuta
per gli splendori dell’oreficeria, il mistero delle costruzioni, l’inquietante
ritualità di alcune religioni; raramente ci si sofferma sul fatto che Maya,
Inca, Aztechi e compagnia, oltre a costruire città dorate e piramidi
immense, come tutti, mangiavano. E avevano le loro tradizioni culinarie,
che prevedevano principalmente il mais, il peperoncino, i fagioli, la zucca,
ma anche i pomodori, le patate e il cacao; in gran parte cibi che, se
Colombo avesse sbagliato strada, da noi non sarebbero mai arrivati.
Quando i conquistatori spagnoli sbarcarono nell’America Centrale, si
trovarono nella necessità, tra uno sterminio e l’altro di popoli millenari con
tradizioni meravigliose che vennero letteralmente massacrati, di dover
mangiare qualcosa. Molti cibi se li erano portati da casa, come il riso, carni
varie che spaziavano dal manzo al maiale al pollo, le cipolle e il vino; altri li
presero in loco. Nel corso degli anni poi arrivarono anche le influenze della
cucina caraibica e di quella francese. Il risultato è che la cucina messicana
è uno dei più splendidi e saporiti esempi di contaminazione culturale
gastronomica. Se per alcune ricette è facile risalire alla provenienza (i
piatti a base di serpenti a sonagli sono di origine tipicamente locale, quelli
di maiale sono stati importati), per altri la commistione tra generi è tale
che è del tutto inutile cercare di capire chi ha contribuito con cosa. Ormai
quella messicana è una cucina a sé, che si è andata costruendo una
precisa identità nel corso dei secoli, tale da essere una delle più amate e
rinomate al mondo.
Come in tutti i paesi, anche in Messico le abitudini alimentari differiscono a
seconda della regione; la parte più settentrionale del paese consuma
moltissima carne, soprattutto di manzo; la cucina della parte più
meridionale invece fa molto uso di verdure, è leggermente più piccante (in
una nazione in cui, comunque, la piccantezza di un piatto è qualcosa di
abbastanza scontato), mentre le ricette a base di prodotti ittici fanno parte
di una scuola di cucina chiamata stile Veracruz.
In generale, se si parla di piatti tipici, al Messico si associano i tacos, i
burritos, le tortillas, il guacamole, il tutto mandato giù con abbondante
tequila o mezcal, ma anche liquados, specie di frappè alla frutta. La frutta è
presente in tantissime varietà ed è molto amata.
La ricetta nazionale più complicata da realizzare è il Mole Poblano: la
tradizione vuole che sia stato inventato dalle monache di un convento che,
per onorare la visita di un vescovo, non avendo piatti speciali da offrire,
decisero di bollire insieme più o meno tutto quello che trovarono in
dispensa, circa cinquanta ingredienti, dal cacao al peperoncino, dal pane
allo strutto, ottenendo una salsa saporitissima con cui condire il tacchino.
Però, in genere, quando si parla del Messico si pensa alla tortilla. La
famosissima focaccia a base di farina di mais ricopre il ruolo che da noi è
dato al pane, ma anche alla pasta: può infatti servire da accompagnamento
ai piatti, ma spesso e volentieri li racchiude, cambiando nome a seconda
del condimento. È difficile fare un parallelismo fra la cucina messicana e
quella, ad esempio, italiana, poiché i piatti e i gusti sono così diversi che ci
sono non poche difficoltà a paragonare, come antipasti, le pannocchie di
mais al chili con una bruschetta; o come primi, un burrito con un piatto di
pasta. Però ci sono anche affinità: in Messico, grazie anche alla passione
per le verdure, spesso si inizia il pasto con una zuppa, che può spaziare dal
tipo con la sola presenza di verdure, a quello con l’aggiunta di carne; per
cui un pasto si può aprire con una zuppa a base di pomodoro e mais, o
piselli e carne bianca. La carne, come detto, è molto consumata soprattutto
al nord: agnello, manzo, maiale e pollo sono protagonisti sia di pietanze a
sé, sia di creazioni a base di pasta lievitata o racchiuse in tortillas o tacos,
come le empanadas o i tacos con carne. Il pesce, come ovvio in un paese
che si affaccia sul mare, è molto amato, così come i crostacei e i frutti di
mare. Attenzione a non confondere la cucina messicana pura con altri
generi, come il Cal-Mex, tipico della zona confinante con la California, o il
famosissimo Tex-Mex, una commistione di gastronomia messicana e
texana, a cui si devono il famosissimo chili con carne e le enchiladas.
Chiles rellenos
Fiori di zucca...................400 gr
Strutto.............................150 gr
Chiles Poblanos................8
formaggio fresco...............8 fettine
Cipolla tritata....................1 cucchiaio
Epazote tritato..................1 cucchiaio
Uova...............................3
Tostare i peperoni in forno e spellarli dopo averli fatti sudare in una
busta di plastica. Aprirli leggermente per poter togliere i semi quindi
riempirli con fiori di zucca, una fettina di formaggio fresco, la cipolla e
l'epazote. Sbattere l'albume delle uova ed in seguito aggiungervi i tuorli
a loro volta sbattuti con un cucchiaio di farina. Passare i peperoni
ripieni nel composto ottenuto e dunque friggerli nello strutto ben
caldo. Servire con guacamole
I chiles poblanos possono essere sostituiti con dei peperoni verdi
nostrani.
Guacamole
Avocados...................2
Pomodori...................1
Chile serrano..............1
Cilantro tritato............1 cucchiaio
Cipolla tritata..............1 cucchiaio
Succo di lime..............1 cucchiaio
Olio d'oliva.................1/2 cucchiaio
Ridurre tutti gli ingredienti in un purè grossolano.
Il cilantro può essere sostituito dal prezzemolo.
Esistono diverse ricette per realizzare il guacamole. In genere il
segreto per ottenere una buona salsa risiede nella scelta degli
avocados, che devono essere molto ben maturi.
Se si vuole ottenere una salsa più delicata è possibile aggiungere agli
ingredienti un cucchiaio di panna da cucina.
Tostadas
Tortillas di mais.....................24
Fagioli neri "refritos"..............250 gr
Olio di mais..........................200 gr
Petto di pollo cotto................1
Panna da cucina....................1/4 di litro
Lattuga.................................1
Chiles chipotles.....................10
Formaggio tipo Feta...............100 gr
Friggere in olio ben caldo le tortillas di mais ed aggiungere su ognuna
un sottile strato di frijoles refritos. Sui fagioli si dispongono a strati il
pollo finemente sminuzzato, la panna, la lattuga tagliata in finissime
striscioline ed infine il formaggio ed il chile chipotle a pezzetti.
Aggiustare di sale.
Questa ricetta è molto semplice da realizzare, ma al contempo molto
gustosa. Nella ricetta originale il pollo può essere sostituito con la
carne della zampa di maiale spezzettata.
E' anche possibile aggiungere a piacere del pomodoro a pezzetti e della
cipolla a rondelle o tritata.
Guacamole
Tostadas
Chiles rellenos
Ristoranti messicani presenti nel territorio:
 El Mezcalito
La cucina spagnola
La cucina spagnola è fortemente radicata nelle tradizioni più antiche e ha il
merito di aver promosso all'inizio del 1500 l'ingresso di prodotti nuovi
(patata, pomodoro, mais, cacao ecc.) provenienti dalle americhe. La
gastronomia delle regioni affacciate sul mare (Catalogna, Valencia,
Andalusia, Isole Canarie) comprende preparazioni a base di pesce e di
carne ed è più varia e fantasiosa di quella all'interno, fondata
essenzialmente sulla carne (maiale, agnello) e dai legumi.
Tra gli antipasti (entremeses), i frutti di mare (mariscos), olive verdi e
nere, salumi (serranos di trevelez e il salchichon di Vich) sono le
preparazioni più tipiche. Gli aperitivi sono noti anche come Pincho. Tra gli
antipasti caldi ricordiamo la tortilla (frittata con patate) che si serve
soprattutto come piatto forte e preparata secondo molte varianti. Tra le
minestre la più classica è la sopa de ajo (zuppa d'aglio) e il gazpacho
(zuppa di vegetali crudi servita fredda). Anche le preparazioni di carne e
pesce sono varie e gustose. la paella, la preparazione più famosa della
cucina spagnola è il prototipo del piatto unico, preparata con riso, carne
(pollo, salsiccia e coniglio), pesce (gamberoni e scampi), frutti di mare
(mitili e vongole), verdure (pomodori, peperoni, piselli, olive) e altri
ingredienti. Il termine spagnolo "paella" si riferisce alla padella che si usa
per cucinare questa pietanza, la "paellera" (padella di ferro larga e dai
bordi bassi munita di 2 manici).
Altro piatto importante di origine contadina è il cocido, un bollito
misto preparato con tipi diversi di carne a seconda delle regioni e
con differenti verdure e legumi. Per finire le preparazioni a base di
carne. Una preparazione caratteristica è il cochinillo (porcellino
neonato) arrostito nel forno. I piatti di pesce, invece, trovano le
migliori caratteristiche nella zuppa zarzuela, nel baccalà alla
vizcayna e nel merluzzo alla basca.
Come contorno il più importante è il pisto manchego (pomodori,
cipolle, melanzane e zucchine tagliati a pezzi e cucinate in padella
con olio per circa 30 minuti). Per quanto riguarda i dessert, sono
ben rappresentati e alcuni ricordano da vicino le produzioni
siciliane. L' aspetto vinicolo in Spagna è imponente e di qualità. I
più famosi sono i vini di Rioja e di Navarra, quelli di Jerez, i vini
molto alcolici Valdepenas e i pregiati vini spumanti della Catalogna.
Derivato del vino è invece la sangria.
Paella
INGREDIENTI
-riso
-carne: pollo, maiale
-pesce: crostacei, molluschi, anguille
-verdura: fagioli, carciofi, piselli, peperoni, cipolle
-zafferano
La paella è il simbolo della tradizione culinaria spagnola. Le ricette di
questo piatto possono variare, in quanto la particolarità della paella
non sta negli ingredienti ma nella cottura del riso. Il principio
fondamentale per la preparazione di questo piatto sta nella cottura
armoniosa del riso insieme agli altri ingredienti, durante la quale il
chicco prende tutta la sua morbidezza. La presenza dello zafferano
diversifica la paella dalla tradizionale zuppa di pesce marsigliese.
Curiosità: Il piatto prende il nome da paella, che in lingua originale
significa padella, ovvero il basso recipiente di ferro a due manici nella
quale viene cucinata e servita direttamente in tavola la paella. La paella
fu inventata nel XIX socolo, nella zona dell'Albufera, e in origine era un
riso con carciofi, o piselli, fave o peperoni amalgamato a pezzi di pollo
e coniglio. Il suo segreto, come per tutti i risi valenciani, è la
particolare morbidezza del riso.
Funghi al chorizo
Ingredienti:
6 grandi funghi champignons
mandorle tostate 25 g
chorizo 60 g
pangrattato 25 g
un paio di cucchiai di olio di oliva
1 limone per servire
Preparazione:
Staccate i gambi dai funghi puliti e tritateli nel mixer, tenendo le cappelle
da parte. Unire al composto nel mixer le mandorle e il pangrattato e
frullarli inisiee, in modo da ottenere una poltiglia. Mescolate in una terrina
il chirizo con il composto frullato; grazie ai funghi il composto sarà umido
abbastanza da rimanere legato e quindi da poter essere lavorato con le
mani. In caso fosse secco aggiungete poco olio di oliva. Spennellate ogni
cappella di olio, sia dentro che fuori. Diponeteli su una teglia da forno e
farciteli con il composto di pangrattato, con l’aiuto di un cucchiaino.
Portate il grill a calore medio, mettervi i funghi e cuocete per qualche
minuto, fino a che la salsiccia non si rosolerà e i funghi non si cuoceranno
bene, ma attenzione a non cuocerli troppo o perderanno la forma. Serviteli
ben caldi, guarnendo con spicchi di limone e spruzzandone un po’ di succo
sulle cappelle prima di mangiarli
Funghi al chorizo
Ristoranti spagnoli presenti nel territorio:
 La Cueva
Paella
La cucina tedesca
La cucina tedesca, a differenza dell’opinione diffusa, è una cucina molto
ricca e varia. Sarebbe errato voler ridurre il tutto a Würstchen, Kartoffel,
und Bier (salsicce, patate e birra), anche se, devo riconoscerlo, vi è
abbondanza e varietà di salumi, patate e birra. Ogni regione è orgogliosa
della propria birra. In Baviera viene chiamata das flussige Brot, il pane
liquido. Ma la cucina tedesca non è solo questo. Richiede tempo e pazienza:
è ricca di ingredienti, fedele ai cicli della natura, diversificata da nord a
sud, da est ad ovest, con tipici piatti stagionali. La componente nordica si
fonde con quella meridionale e con la tradizione ebraica. La cucina del Sud
più ricca di carne e di cacciagione, quella del Nord di pesce. Le verdure,
dai cavoli ai cavolfiori, alle verze al cavolo cappuccio alle rape bianche e
rosse, arricchiscono le tavole dei periodi freddi. Settembre è il mese dei
funghi: i “finferli”, molto amati; solo adesso si stanno imponendo i porcini.
Maggio è il mese degli asparagi, rigorosamente bianchi. Giugno e luglio
sono i mesi dei frutti di bosco. I banconi dei verdurai sono inondati da
fragoline selvatiche, fragole, ciliegie, amarene, mirtilli, more, lamponi,
ribes rossi e bianchi, uva spina: una sinfonia di colori. Le portate
normalmente non sono più di tre. Come primo piatto sono diffusi i brodi o
le creme di verdure, segue il piatto principale e il dolce. Il pasto serale
nella maggior parte delle famiglie continua tuttora ad essere freddo,
l’Abendbrot (pane serale): la versione tedesca del panino imbottito italiano
accompagnato al massimo da insalate. Sacro è invece il rito del Kaffe und
Kuchen (caffè e torta). I tedeschi sono molto socievoli: è uso invitare amici
e parenti verso le 15.30 e le 16.00 a conversare davanti ad una tazza di
caffè e una fetta di torta, rigorosamente fatta in casa.
Crauti
Ingredienti
1 scatola di crauti da 1 kg, una cipolla tritata fine, 4-5 coccole di ginepro,
2 bicchieri di spumante secco, sale e pepe.
Preparazione
Soffriggere la cipolla, mettere i crauti, appianandoli con due forchette.
Aggiungere il ginepro, lo spumante, salare e pepare. Fare cuocere per 2030 minuti.
Fischierete laibchen
Ingredienti
500 g di carne tritata mista, 100 g di speck, 1 cipolla, 1 spicchio d'aglio,
olio di semi, 2 panini raffermi, noce moscata, maggiorana, basilico,
prezzemolo, 1 uovo, sale e pepe.
Preparazione
Ammollare i panini in acqua.
Strizzarli e mescolarli alla carne con
la cipolla, l'aglio e lo speck, tirtati e rosoltati
nel burro (a parte), l'uovo battuto con sale e pepe
un trito di erbe aromatiche e noce
moscata grattugiata.
Manipolare l'impasto a lungo; quindi dividerlo
in porzioni e farne delle polpette da schiacciare
e friggere in padella, in olio bollente.
Nel territorio non vi sono, al momento, ristoranti ma è presente una birreria:
 Birreria warsteiner
La cucina tunisina
La cucina tunisina è un misto di cucine europee, orientali e delle tradizioni
culinarie dei popoli del deserto. La presenza di spezie forti gli deriva dalle
vicine nazioni affacciate sul Mediterraneo e dalle molte civiltà che hanno
dominato il territorio tunisino – i Fenici, i Romani, gli Arabi, i Turchi, i Francesi
e i Berberi nativi. Molti degli stili culinari e degli utensili iniziarono a prendere
forma quando ancora le tribù antiche erano nomadi. I nomadi avevano una
cucina limitata fatta di casseruola fatte in loco e pentole che potevano
trasportare nelle migrazioni. TAGINE è il nome originario dato a una casseruola
conica dotata di coperchio, anche se oggigiorno questo termine viene utilizzato
per il cibo cucinato con questo utensile.
A differenza di altre cucine nord-africane, la cucina tunisina è molto speziata e
piccante. Esiste una storia che narra di una donna anziana che diceva che un
uomo poteva giudicare l'amore della moglie dalla quantità di peperoncino
piccante utilizzato nella preparazione dei piatti. Se il cibo diventava blando,
allora un uomo poteva sospettare che la moglie non l'amasse più. Ad ogni modo
quando un piatto viene preparato per degli ospiti la quantità di peperoncino
diminuisce per accontentare anche i palati più delicati.
Il couscous è il piatto nazionale tunisino e può essere preparato in una miriade
di modi. Viene cotto in una specie di bollitore soppio speciale chiamato
Couscousiere.
La carne e le verdure sono cotte nella parte inferiore, la parte superiore è
dotata di buchi attraverso i quali sale il vapore con il quale viene cotto il grano
che viene versato proprio in questa sezione del bollitore. Cotto in questa
maniere il grano acquisisce il sapore di ciò che sta cocendo nella parte
inferiore. Il grano utilizzato solitamente è quello di semolino.
Ricca di profumi e di sapori particolari la cucina tunisina è molto varia e
arricchita da un gran utilizzo di spezie come l’anice, la menta ed il cumino.
Tra i piatti tipici ricordiamo oltre ai famosi spiedini e al Coucous, l’agnello
cucinato in anfore di terracotta, il Brik, una specie crepe ripiena di uova,
verdura e carne. Abbondante è il consumo di frutta e soprattutto dei dolcissimi
datteri.
Chi ama il pesce, potrà assaggiare il corrtplet de poisson, pesce fritto o alla
griglia con contorni e uova fritte, o degli ottimi gamberoni giganti, oppure della
cernia preparata con limone, finocchio ed erbe aromatiche.
Tra i primi piatti, il più tipico è il brick, una sottilissima pasta triangolare, detta
malsouka, farcita con un uovo o con ripieno di erbe, che nelle trattorie viene
preparata e fritta davanti al cliente. Altra specialità è la salade mechouia,
composta da pomodori e peperoni alla griglia, tagliati a pezzetti e mescolati con
tonno, uova, capperi e sedano e conditi con olio d'oliva e limone. Fra i piatti
forti regna il cous cous, una sorta di semolino fatto in casa che si cuoce a
vapore su uno spezzatino di carne (o pesce) e verdure; si mangia poi tutto
insieme, aggiungendo a piacere la famosa hai issa, una deliziosa salsa piccante
a base di peperoncino rosso e olio di oliva, che accompagna molti piatti
tunisini.
Tra i piatti di verdure, infine, il più tipico è la chakchouka, che ricorda la
ratatouille francese ed è costituita da un misto di verdure cotte in olio a fuoco
lento e viene a volte servita con un uovo in camicia.
Tra i formaggi il più particolare è il numidia di Mateur, simile al gorgonzola.
Fra i dessert i gelati e le creme sono davvero squisiti, mentre i dolci, tutti a
base di miele, possono risultare un po' stucchevoli, tanto sono zuccherati.
La frutta, infine, è tutta deliziosa: la varietà maggiore si ha in estate, quando si
può scegliere fra uva moscato, fragole, mele, cocomeri e pesche; in inverno
invece si può optare per arance, clementini e datteri.
Cous cous
Uno dei primi riferimenti scritti al cuscus viene dall'anonimo autore di un
libro di cucina dell'Andalusia musulmana del XIII secolo, il Kitāb al-tabīkh fī
al-Maghrib wa l-Andalus, che dà una ricetta per il cuscus che era "ben noto
in tutto il mondo". Il modo in cui in quest'opera compare il nome
dell'alimento (preceduto dall'articolo al- ma senza valore determinativo)
dimostra che era una parola berbera e non araba. Il cuscus era noto anche
nel regno nasride di Granada. Sempre nel XIII secolo uno storico siriano di
Aleppo cita il cuscus in quattro occasioni. Queste citazioni così antiche
mostrano che il cuscus si diffuse rapidamente, ma che in generale esso era
comune soprattutto nell'occidente islamico fino alla Tripolitania, mentre più
ad est, a partire dalla Cirenaica, la cucina era soprattutto di tipo egiziano,
in cui il cuscus costituiva solo un piatto occasionale. Oggi, il cuscus è
conosciuto in Egitto e nel Vicino Oriente, ma in Marocco, Algeria, e Tunisia,
il cuscus è il piatto-base.
Uno dei primi riferimenti al cuscus in Europa settentrionale è in Bretagna,
in una lettera datata 12 gennaio 1699. Ma già molto tempo prima esso
aveva fatto la sua comparsa in Provenza, dove il viaggiatore Jean Jacques
Bouchard scrive di averlo mangiato a Tolone nel 1630.
Da qualche anno in Sicilia, a San Vito Lo Capo, in settembre si svolge il
Cous Cous Fest www.couscousfest.it, rassegna internazionale di cultura ed
enogastronomia del mediterraneo, cui partecipano decine di rappresentanti
delle tradizioni culinarie dei paesi mediterranei e dell'Africa occidentale,
che si confrontano nella preparazione dei loro Cous Cous.
chicchi di cuscus vengono fatti con la semola (grano duro macinato
grossolanamente) o, in alcune regioni, da orzo o miglio macinati
grossolanamente. La semola viene aspersa d'acqua e lavorata con le
mani per farne pallottoline, che vengono asperse di semola asciutta
per tenerle separate, e poi passate al setaccio. Le pallottoline che sono
troppo piccole per costituire i chicchi di cuscus passano attraverso il
setaccio e vengono di nuovo asperse di semola asciutta e lavorate a
mano. Questo processo continua fino a che tutta la semola è stata
trasformata nei minuscoli chicchi del cuscus.
Questo procedimento richiede una lavorazione molto prolungata. Nella
società tradizionale le donne solevano radunarsi a gruppi per vari
giorni per preparare insieme una grande quantità di cuscus in grani.
Questi ultimi, seccati al sole, potevano poi durare per parecchi mesi. Al
giorno d'oggi, la produzione del cuscus è in gran parte meccanizzata, e
questo prodotto viene venduto sui mercati di tutto il mondo.
Allo stesso modo si possono preparare le pallottoline di berkukes, che
si differenziano per essere più grosse dei chicchi del cuscus normale.
Il cuscus dovrebbe essere passato al vapore due o anche tre volte. Quando
è cotto come si deve è morbido e leggero, non dovrebbe essere gommoso
né formare grumi. Il cuscus che si trova in vendita nei supermercati
occidentali è solitamente passato al vapore una prima volta e poi essiccato,
e le istruzioni sulla confezione consigliano di aggiungervi un po' di acqua
bollente per renderlo pronto al consumo. Questo metodo è rapido e facile
da preparare: basta mettere il cuscus in una ciotola e versarvi sopra
l'acqua o il brodo bollente, coprendo poi la ciotola con un foglio di plastica.
Cuscussiera
Il metodo tradizionale del Nordafrica prevede l'uso di un recipiente per la
cottura a vapore chiamato taseksut in berbero, kiska:s in arabo o
cuscussiera (couscoussier o couscoussière in francese). La base è una
pentola di metallo allungata a forma bombata in cui si cuocciono le verdure
e la carne in umido. Sopra questa base viene collocato il recipiente dal
fondo forato in cui il cuscus si cuoce a vapore assorbendo i sapori del
brodo sottostante. Se l'incastro tra il il bordo della pentola inferiore e il
recipiente superiore non è ermetico, spesso viene posto uno strofinaccio
umido per non far fuoriuscire il vapore dai lati. Non vi sono molte prove
archeologiche di un uso antico del cuscus, ma può darsi che questo si
debba al fatto che le cuscussiere antiche erano fatte di materiali organici,
destinati a non sopravvivere.
In Algeria, Tunisia e Marocco, il cuscus viene generalmente servito con
verdure (carote, rape, ecc.) lessate in un brodo più o meno piccante, e
qualche tipo di carne (di solito, pollo, agnello o montone); in Marocco, sul
cuscus si può trovare anche del pesce in salsa agrodolce con uvetta e
cipolle; in alcune regioni della Libia si usano anche pesce e calamari. il
brodo della carne in Tunisia è rosso, con pomodoro e peperoncino.
Cous cous
I ristoranti tunisini presenti nel territorio:
 Al-Duar
 Amira
 La Medina
 La mensa del popolo
Birreria tedesca
Tutto comincia cinquecento anni fa, quando il Duca Guglielmo IV di
Baviera emana il cosiddetto Reinheitsgebot (editto della purezza):
prima, nel 1485 per la città di Monaco, dopo, nel 1516, per tutta la
Baviera. L'intenzione era di regolamentare l'industria della birra.
La spinta a questa regolamentazione venne da una grande
preoccupazione tra i bavaresi: i cattivi raccolti del grano avevano avuto
come conseguenza anche un incontrollato aumento del prezzo della
birra. La birra era un alimento importante per la popolazione e il
principe voleva garantire per tutti una bevanda dal costo accessibile.
Un'altra causa della preoccupazione nella popolazione era la paura non
soltanto per le malattie, ma anche per il pericolo di avvelenamento per
alimenti alterati. Ma al di là degli scandali delle frodi, c'era anche un
problema insito nella birra stessa: il risultato della fermentazione
naturale del malto di per sé non aveva un gusto molto gradevole,
essendo abbastanza insipido.
Da tanto tempo, quindi, si sperimentavano altri ingredienti oltre
l'acqua e l'orzo per dare alla birra un sapore migliore. A tal fine
si erano utilizzate sostanze di ogni genere, come ad esempio
erbe, radici, funghi; persino sostanze organiche come il sangue
di bue... Per quanto il luppolo fosse già conosciuto da tanto
tempo come conservante naturale e come sostanza per
aromatizzare la bevanda, c'erano tanti birrai che cercavano di
migliorarne il gusto con altre sostanze - spesso pericolose per la
salute. L'intenzione del principe bavarese fu quella di proteggere
la popolazione da quegli abusi.
Un terzo motivo per l'emanazione dell'editto del 1485 ha un
sapore moderno: il Principe volle condizionare i produttori di
birra a livello economico, concedendo il privilegio come una
prerogativa speciale. Sotto la prospettiva moderna del
"marketing", si può dire che la birra bavarese diventò così un
"marchio di qualità". Il primo risultato di questa politica
economica dei principi bavaresi fu che i produttori di birra
guadagnarono un prestigio sociale molto alto.
Le conseguenze dell'editto furono importanti: il prezzo massimo per una
"misura" ("Maß" - circa un litro, espressione usata ancora oggi in Baviera
per il tipico boccale di birra) fu fissato a 2 Pfennig d'argento - quando ad
esempio la carne di vitello costava per chilo circa 5 Pfennig, un pollo 4
Pfennig o dieci uova 2 Pfennig. Per fare un confronto: un falegname
guadagnava a quell'epoca circa 24 Pfennig al giorno.
Il prezzo della birra è sempre stato un affare quasi "politico". Nel 1844 la
popolazione a Monaco fece una rivolta contro l'aumento arbitrario del
prezzo della birra. Quando le masse popolari insorsero contro le fabbriche
di birra, il governo tentò una repressione militare che fallì perché i soldati,
soffrendo essi stessi per i prezzi impossibili della birra, fraternizzarono con
i rivoltosi...
Un’altra conseguenza dell'editto fu la fissazione dei controlli. A Monaco per
esempio c'era, dopo l'emanazione dell'editto, una commissione comunale
per controllare la qualità ed anche l’igiene del processo di fabbricazione. I
produttori dovettero prestare giuramento e così furono obbligati al rispetto
delle regole dell'editto. I sofisticatori di birra venivano regolarmente puniti;
ma mentre nell'antica Babilonia venivano annegati nella propria birra, in
Baviera erano imprigionati e forzati a bere per un bel po' di tempo la birra
da loro stessi alterata...
Anche l'aspetto della "politica economica" fu coronato dal successo, e non
soltanto a livello di mercato (la birra bavarese è stata sempre un prodotto
importante della esportazione!). Un bell'esempio del prestigio goduto dai
produttori di birra fu il comportamento del padre di Federico II di Prussia.
Era usanza della corte Prussiana di avviare tutti i figli alla conoscenza di
un mestiere "borghese". Così il re spinse il principe ereditario allo studio
dell'arte della birra. Fu così che Federico II conobbe bene il mestiere del
birraio!
Per tanti secoli i produttori non ebbero una conoscenza scientifica, nel
senso moderno del termine, del processo di fermentazione. Fin
dall'inizio dell'epoca moderno tante credenze popolari dovevano aiutare
a spiegare che cosa succedeva quando si trasformava il malto in
alcool. Nella regione corrispondente all’odierna
Svizzera si credeva che la
fermentazione fosse opera
delle "streghe della birra";
invece i Germani erano convinti
che il dio Wotan dovesse sputare
nella birra per innescare il
processo...
Ma alla fine si capì che era
quella sostanza che saliva
in superficie, il lievito, a
provocare la fermentazione.
Solo nel secolo scorso, però, fu scoperto
da Louis Pasteur, che si trattava
di microrganismi, cioè funghi, che trasformavano il malto in alcool ed
anidride carbonica.
Project work
CIBO E COMUNICAZIONE
Il wine - bar
Il wine-bar è un locale in cui si possono degustare vini talvolta
accompagnati da assaggi gastronomici
Cosa si rileva alla fine della mia ricerca?
I wine bar siciliani non posseggono siti esaustivi relativi alle loro
attività e talvolta non hanno proprio un sito Internet.
Secondo me locali del genere dovrebbero porre l’attenzione centrale
sul vino accostando ad esso piccoli stuzzichini come salumi e
formaggi.
Spesso l’attività che si definisce wine bar è un vero e proprio
ristorante e questo, ovviamente, distoglie dalla funzione
comunicatrice che invece dovrebbe rappresentare.
Sempre in ambito siciliano, scarsa è la cultura del vino al bicchiere,
poca differenziazione e prezzi alti.
Diversa è la funzione dell’enoteca: non vi è mescita se non limitata
alla degustazione di vini acquistati e portati via.
Elaborazione: Rita Ferrara
Il cibo povero mangiato in strada
Un panino con la milza,
una vera bontà. Se poi
siete seduti in una piazza,
con una birra, dei panini
con panelle e degli
arancini e c'è caldo e siete
a Palermo, il tutto oscilla
tra la normalità e il
piacere.
Il nostro panino lo
abbiamo mangiato da
Franco 'U Vastiddaru di
Corso Vittorio, una
focacceria che a vederla
non le daresti due soldi e
che sforna focacce con
milza, panini con panelle e
crocchè buone e fresche.
Di locali come questo Palermo è piena, alcuni sono classici ed
eleganti come l'Antica Focacceria San Francesco, altri, come U
Vastiddaru sono indirizzi che ti danno gli amici perché tu, straniero,
mica ti ci fermeresti. A parte il fatto che Franco ha lavorato una
ventina d'anni alla Focacceria San Francesco e la mano si sente.
Grazie all'arte dei monsù, anche la cucina popolare ha avuto modo
di evolversi in preparazioni raffinatissime a dispetto della povertà
degli ingredienti. Storico e sociologico il motivo di questa
omologazione gastronomica tra classi: i palazzi dei centri storici di
città e paesi prevedevano una stretta fusione tra nobiltà e popolo. I
signori stavano al primo piano, detto "Piano Nobile", mentre al
pianterreno e in soffitta alloggiava stabilmente la servitù che, oltre
a servire i padroni di casa, svolgeva nei locali della corte interna
attività artigianali e di piccolo commercio.
Una separazione fittizia, con tutti che entravano e uscivano dallo
stesso portone, attraversavano gli stessi cortili, salivano e
scendevano le stesse scale. La popolana si spostava con un
brevissimo tragitto dalle sue povere stanze al piano nobile dove
manipolava le costose prelibatezze della cucina patrizia e una volta
tornata a casa non mancava di copiarla sostituendo gli ingredienti
troppo cari per le sue finanze con succedanei a buon mercato.
Forse così sono nate le melanzane a "quaglia", un umido nel quale
le costose quaglie venivano sostituite con le modeste melanzane e
le melanzane impanate, in tutto identiche alle cotolette tranne che
per l'assenza totale di carne. E così sono probabilmente nate le
sarde a beccafico, che con la loro forma arrotolata e la piccola
coda svettante ricordano i preziosi uccelletti dalle carni
pregiatissime che si nutrono di fichi.
Naturalmente, la sguattera del monsù non tralasciava di proporre ai padroni la
"sua cucina", quella povera, e questi l'accettavano di buon grado anche perché
era puntualmente richiesta dal padrone di casa quando mangiava in privato e
non era costretto a esibire le esotiche raffinatezze francesi tanto di moda ma
fatalmente lontane dagli amati, forti sapori della terra natale. I monsù non
resistevano alla tentazione di impreziosire le ricette popolane con i preziosi
pistacchi, l'ancor più prezioso zafferano o l’uvetta sultanina, e il risultato finale
veniva a sua volta riassorbito dalla popolana che aveva inizialmente fornito le
ricette.
Le sguattere, quindi, non avevano soggezione né sacro terrore per il pasto
aristocratico ed è anche grazie a loro che oggi la cucina baronale coincide con
quella di tutti i giorni.
A proposito, va ricordato che molti piatti tradizionali si presentano con una
serie di varianti più o meno ricche proprio per via di questo intenso va-e-vieni
interclassista di ricette. E’ così per la caponata, che partendo da una base
povera di melanzane, pomodoro, sedano, cipolla, capperi e olive, può
arricchirsi di asparagi, polipetti, pesce spada, bottarga, gamberi e perfino di
preziose aragoste. Lo stesso avviene per il falsomagro, un enorme involtino di
carne di vitellone rosolato e poi cotto in umido nel vino bianco o nel sugo di
pomodoro. Come anticipa il suo nome, si tratta di una preparazione “a
sorpresa”, perché dentro alla fetta di carne magra c’è una vera e propria
cornucopia di delizie: salsiccia, piselli, carne tritata, prosciutto, provolone,
uova sode, cipollotti. Tutti gli ingredienti possono essere sostituiti da
equivalenti più poveri: il prosciutto con la mortadella, la provola col
primo sale, la carne con frittatine di verdura secondo il consueto uso di
succedanei poveri nel quale le massaie siciliane sono imbattibili.
LA TRADIZIONE CERIMONIALE
I pupi a cena
I pupi a cena
Secondo la consuetudine palermitana, durante la festa dei morti, si prepara u’
cannistru, un ricco cesto composto da dolciumi e da frutta secca.
Tradizionalmente la forma classica è quella rotonda e di una certa ampiezza,
riempito da “pupatelli” semplici biscotti farciti di mandorle, da nucatoli,
mustazzuola che rappresentano le ossa dei morti, taralli, ciambelle biscottate
rivestiti di glassa zuccherata e tanti altri dolcetti… Il tutto viene abbellito con
frutta secca (nocciole, noci nostrane e americane, mandorle, fichi, datteri, fave
abbrustolite, castagne, calia e simenza…) e martorana.
Al centro del cesto e avviluppato intono ai piedi di tutto punto, con la sua
presenza lo sovrasta silenzioso “u’ pupu ri zuccaru o a’ pupaccena”.
Un baldanzoso pupo di zucchero che raffigura il classico paladino, figura eroica
dei mitici paladini del teatro popolare di cui vanno fieri i dolcieri palermitani.
Questa figura antropomorfica che richiama l’uso di certi riti pagani, è
assoggettata alla credenza di ricevere doni dai cari defunti, siano essi nonni,
zii, parenti prossimi o lontani, ai più piccoli del nucleo familiare.
Il pupo di zucchero viene modellato in stampi creativi di gesso o di terracotta,
da appositi artigiani gissara, che creano il modello desiderato dividendo il calco
in due parti, il fronte che è la parte più intarsiata e la parte posteriore che di
solito risulta disadorna.
Anticamente era lo stesso dolciere che si apprestava a realizzare la forma
desiderata, dividendo il calco in due parti, avanti e retro, ed essa risultava
esclusiva.
La prima fase della realizzazione avviene proprio con le forme che vengono
preparate per accogliere lo zucchero fuso.
Disposte le formelle di gesso, i calchi legati con dei lacci per tenere unite le
due parti, in un grande tavolo si allineano tutti i formati di ogni tipo e,
disposti sottosopra per essere riempite.
Lo zucchero viene lavorato per fusione, è sciolto in acqua ad alta
temperatura in un tegame di rame, il tipo usato è quello bianco da
barbabietola italiana che viene mescolato ad un concentrato di limone
”cremortartaro” per assicurare la necessaria sbiancatura.
Una volta fuso lo zucchero viene introdotto all’interno delle forme, che
singolarmente con una tecnica particolare si fa si che occupi con un sottile
spessore la parete e resti vuota la parte interna dello stampo.
Si lascia raffreddare per qualche minuto e non appena è freddo lo zucchero
si vede che incomincia a solidificarsi.
A questo punto si aprono le due parti della formella, con una lama di
coltello si procede a raffinare “il pupo” da ogni avanzo di stampo.
Successivamente si passa alla colorazione della parte intarsiata con una
pittura dai vivaci colori naturali ed eseguita rigorosamente a mano per ogni
singolo pezzo.
Vengono utilizzati colori alimentari: il giallo si ricava dallo zafferano, rosso
dal pomodoro, azzurro brillante dal miglio di tinte vegetali, il bianco dal
latte e farina, il bruno dal cacao, il nero brillante dalla seppia, il verde
brillante da alcune verdure, la mescolanza crea i colori tenui.
Dopo l’asciugatura si passa alla decorazione dove la statuetta viene
“impupata” con lustrini di carta colorata incollata con della farina,
zucchero a velo per decorare i bordi, carta stagnola per creare l’effetto
luccichio, palline argentate, mentre la base si ricopre con carte colorate o
bianche merlettate.
Rigide ed impalate, le dolci statuette tutte decorate attendono di essere
trasferite nei luoghi di vendita, per poi proseguire il loro momento, quello
di essere addentate festosamente dai bambini.
Esposti comunemente nelle vetrine delle pasticcerie, esse vengono vendute
soprattutto in piazza, nella baracchella allestita all’occorrenza tutta
raffigurativa, tappezzata di bianco, con delle bandierine tricolori e sopra si
realizzano delle scalinate dove vengono sistemate questi pupi ri zuccaru,
solitamente sono i turrunara che si organizzano nella tradizionale “fiera
dei morti”.
A’ pupaccena come la definiamo noi palermitani è un retaggio della nazione
Veneziana che nel 1574 per onorare la visita di Enrico III, figlio di Caterina
dei medici, fu organizzata una cena che all’occasione si doveva mostrare
qualcosa di particolare, si pensò alla bottega del Sansovino che creò
tramite i suoi apprendisti delle sculture di zucchero che ebbero subito il
favore e lo stupore degli intervenuti.
Alcuni marinai palermitani che avevano trasportato lo zucchero in quella
città, ricevettero la notizia che grazie a loro si poterono realizzare quei
pupi a cena, da qui il correttivo di “pupaccena”.
Giunti nella nostra città, la cosa arrivò all’orecchio dei nostri dolcieri che
impersonarono a modo loro realizzando dei particolari “pupi” dipinti con i
colori del carretto.
Questa figura antropomorfica che tradizionalmente è Palermitana ha un
suo riscontro nella vicina città tunisina di Nabeul che regalano questa
statuetta dolce per festeggiare il capodanno islamico e, richiamare l’Egira
l’emigrazione del profeta Maometto a Medina, festa unicamente religiosa e
familiare.
I maestri tunisini le preparano nella identica pratica a quella
palermitana, le due comunità a loro insaputa creano questa
affinità che sicuramente è da riscontrare ad un fatto
commerciale dove esiste una via dello zucchero che
attraversa il Mediterraneo.
Alcuni soggetti richiamano forme di simbolismo augurale,
altre figure rappresentano combinazioni di vita quotidiana.
Il primo giorno dell’anno, i “pupi” vengono sistemati al
centro di una alzatine i “methred”, circondate da un misto di
noci, datteri, mandorle e uva passa, caramelle e confetti che
lo completeranno per essere regalati ai bambini che
sicuramente romperanno subito per mangiarne i pezzi.
Pupi di zucchero:
ingredienti:
Farina 1 kg
Zucchero 300 gr
Strutto 250 gr
3 uova
Procedimento:
Impastate tutti gli ingredienti con un po' d'acqua fino ad ottenere un
impasto simile a quello della pasta del pane.
Utilizzare le apposite formine o modellare l'impasto con la forma
desiderata, riporre in una teglia da forno precedentemente imburrata,
infornare e colorare a cottura avvenuta dopo che le statuine si sono ben
raffreddate con colori per alimenti.
Incorporare lo zucchero nella pasta, dividerla in pezzi dando la forma di
pupazzetti.
Su ognuno mettere un uovo con il guscio che fermerete con una
strisciolina di pasta e metterli su una piastra da forno.
Gli occhi e la bocca dei pupazzi saranno fatti con le mandorle.
Spennellarli con uovo battuto e lasciarli lievitare per un'oretta.
Cuocerli in forno caldissimo sino a quando saranno imbionditi.
Storyboard
Prof.ssa Annamaria Amitrano
CORSO IFTS CIPE
La valorizzazione dei prodotti tipici
e della
Cultura enogastronomica tradizionale
Project work
“A tavola con la tradizione”
Indicazioni del:
docente, dei tutor, della classe e del gruppo di elaborazione
CULTURA TRADIZIONE CIBO
La relazione si attiva attraverso l’indicazione
di alcune unità tematiche che riprendono il
materiale didattico offerto durante il corso e
che è stato oggetto di verifica
Numero 15 slides che costituiscono la
mappa concettuale
Relazione di feedwork
Il mercato di Ballarò
Gli studenti dovranno recarsi nel mercato di Ballarò
per una verifica sul campo e per il controllo dei cibi
tradizionali lì presenti.
Lo stage è occasione perché possano riportare
impressioni, idee, annotazioni su una mappatura dei
prodotti tradizionali.
Segue l’elaborazione di un elenco degli alimenti –
elementi più rappresentativi con l’indicazione delle
pietanze e delle ricette tradizionali
La tradizione a tavola
I ragazzi devono produrre l’elenco dei:
prodotti tipici più comuni e convenzionali
• piatti tipici più comuni e convenzionali
• ristoranti tipici più convenzionali
• ricettario dei piatti tradizionali convenzionali
Gli stereotipi
ed i
Folk-models alimentari
Si mangia ovunque allo stesso modo…
Indicare le pietanze tradizionali di “massa”
Ma la qualità non ha prezzo…
Lo studente deve inventare un menù
territorialmente e stagionalmente
tradizionale
La nonna racconta…
Il percorso gastronomico va
completato con l’abbinamento dei vini
Alla fine della sua esperienza lo
studente deve indicare un
“percorso del gusto”
A tavola con le culture Altre
Porre in elenco i piatti tipici tradizionali delle cucine:
•
•
•
•
Argentina
Cinese
Messicana
Tunisina
La ristorazione interculturale
Indicare la ristorazione tipica presente nel nostro territorio:
•
•
•
•
La birreria tedesca
Il ristorante tunisino
Argentino
Messicano
Il menu degli altri
Cibo e comunicazione
Il wine – bar
Il cibo povero da strada
La tradizione cerimoniale
I pupi a cena:
un esempio del cibo della festa
Verifica modulo project work
È assai radicato nella storia di ogni popolo il legame che
quest’ultimo tesse e costruisce lentamente con il proprio territorio
e con le proprie origini che si collocano e nascono dall’
intersezione di più fattori identitari di un’ anima popolare.
L’anima di un popolo vive nella gente che condivide gli stessi usi, gli
stessi costumi ed il medesimo codice linguistico.
La tradizione gastronomica di un popolo è testimonianza dello
stretto nesso che si stabilisce tra cultura scritta e cultura orale e
che travalicando questo binomio concettuale giunge di generazione
in generazione nelle case di ogni uomo, che è il fruitore di
messaggi, segni, mutamenti e persistenze tematiche nel tempo in
un mondo che cambia continuamente.
Per quanto concerne il concetto di persistenze, considerando la
tradizione della cucina siciliana, e in particolar modo di quella
palermitana, è ben evidente come sia presente una forte
valorizzazione di prodotti tipicamente appartenenti alla tradizione e
alla produzione alimentare siciliana.
Nel percorso di lavoro attivatosi durante gli incontri presieduti dalla
Professoressa Amitrano è stato, con grande interesse, rilevata con
quanta frequenza, confrontando dei campioni di menù, siano stati
proposti le stesse scelte gastronomiche e gli stessi abbinamenti
enologici.
Ci si domanda se questa eccessiva spettacolarizzazione del fenomeno
“tradizione” non condurrà ad una volgarizzazione e lento smarrimento di
quel sentimento popolare che un tempo si assegnava in quei prodotti che
erano i “frutti” di una storia.
Scelte gastronomiche ricorrenti, rilevate durante le osservazioni del gruppo
di lavoro, sono ricondotte su prodotti antichi, prodotti semplici ma nel
contempo composti come la più tipica “Pasta con le sarde”, “la Cassata
siciliana”, “i Cannoli”, “i Cucciddati”, “le Sfinge di san Giuseppe”.
Molti ristoranti hanno mal interpretato il valore di un’ arte gastronomica
che si è tramandata di padre in figlio, di nonna in nipote, non garantendo
quella continuità e conservazione dell’ antica ricetta di ogni piatto tipico
stravolgendone il sapore o esasperandolo con ingredienti che lo
stereotipizzano.
Nel corso dell’ultimo ventennio sono sorti innumerevoli realtà ristorative,
figlie di più nuovi meccanismi di natura economica e scelte del nuovo
mercato.
nche nel contesto palermitano ,sempre più in fretta, sono approdati e
diffusi ristoranti cinesi, messicani, spagnoli, tedeschi , argentini e
messicani.
Un’altra importante parte di questo modulo riguarda la cucina di strada.
Questa viola apertamente molte delle regole “di casa”. Il consumo è al
tempo stesso un fatto privato (spesso ci si ciba da soli, contrariamente a
quando si va al ristorante o al bar, accompagnati da amici o parenti), e un
evento pubblico, perchè avviene per strada o in locali aperti agli sguardi di
tutti, quindi legato alla collettività.
Si è da soli e insieme agli altri nello stesso tempo, e ciò crea
un’atmosfera di complicità tra avventori, per cui sovente si
scambiano due parole, una battuta, perchè la situazione induce un
senso di confidenza non comune.
La cucina di strada è in somma un’arte della comunicazione.
Infine non potevano mancare i tradizionali pupi di zucchero,che
fanno parte della cultura palermitana.
Questi erano, e sono,una tradizionale pietanza che oggi si continua
a produrre nel capoluogo siciliano per la “festa dei morti”.
In conclusione posso dire che per la prima volta in questo corso
abbiamo veramente prodotto qualcosa noi alunni.
Un progetto che ha coinvolto tutti,ma soprattutto ci ha fatto
interessare.
Una lezione attiva, dove non si stava li ad ascoltare e guardare
passivamente, ma dove ognuno di noi poteva e doveva dare
qualcosa di se e della sua esperienza.
Il modulo più interessante del corso.
Tiziana Ferrante
Dal lavoro e dalle indagini eseguite insieme ad i colleghi di corso e
monitorati dalla Prof.ssa Amitrano e dal Dott. Badagliacca ne è risultato il
lavoro seguente:
La cultura e la tradizione sono elementi identificativi che legano ad un
determinato territorio i gruppi sociali, in questo contesto il cibo si rileva
come elemento importantissimo di trasmissione dei saperi e delle culture
popolari.
Ogni popolazione tende a valorizzare gli alimenti “originali” e quindi
“originari” del territorio di appartenenza trasmettendo agli altri il proprio
patrimonio gastronomico.
Come già accennato il cibo si rivela un importante veicolo di cultura,
infatti, di madre in figlia le ricette si insegnano e si trasmettono,
preservando quella tradizione che contraddistingue ogni giorno ciò che
viene servito quotidianamente “la propria tavola”.
Da qui i piatti tradizionali siciliani, preparazioni inventate o nate per caso…
accanto alla ricetta si accompagna la nascita e la storia di uno o tal altro
piatto…
Ed ecco così che “u ficatu ri setti cannoli” ovvero la zucca fritta in
agrodolce riempiva lo stomaco e deliziava il palato di coloro i quali non
potevano permettersi il fegato…oppure di quelle “sarde a beccafico” che
volevano emulare la cacciagione e la selvaggina che trionfava solamente
sulle tavole della borghesia.
Ma quali sono i prodotti tipici più comuni e convenzionali? Sicuramente le
panelle, le crocche…il tipico cibo da strada..
La pasta con le sarde, gli anelletti al forno, i spitina, la cassata, i cannoli,
la caponata, l’alivi cunzati e tante altre prelibatezze “più o meno nobili” che
riescono a soddisfare tutti i palati….o quasi tutti!!!!
Purtroppo la ricerca su Internet dichiara molti ristoranti tipici anche se
alla fine la realtà non è questa: la tradizione siciliana puo’ essere “gustata”
presso “La casa del brodo”, “A’ cuccagna”, I capricci di Sicilia e allo
“Strascino”.
Anche le ricette su internet non sono proprio convenzionali, anche perché
da zona a zona, a volte anche da quartiere a quartiere, un piatto viene
rivisitato aggiungendo o sottraendo qualche ingrediente.
A Palermo, diverse culture si sono integrate ed è così che sono presenti
ristoranti stranieri come l’argentino, il cinese, il messicano, l’indiano, il
tunisino, il marocchino e tanti altri…
A caratterizzare l’Argentina sarà sicuramente la carne “l’Angus” e le sue
grigliate di carne. Chi non ha mai provato la squisita cucina cinese con il
suoi involtini primavera, il pollo alle mandorle e il gelato fritto? La salsa
guacamole, i tacos, i nachos e la tortilla…colorano le tavole dei ristoranti
messicani.
Il cous- cous è principe della cultura tunisina…ma è condito diversamente
da quello trapanese, qui non vi è il pesce ma la carne di montone, verdure
e pollame.
Tutte culture gustosissime ma poco conosciute e spesso poco apprezzate
dal popolo palermitano.
Spesso queste realtà diventano momenti d’incontro dei giovani palermitani
e sicuramente momento di confronto tra la nostra tradizione e le “loro”
tradizioni.
IL WINE BAR
Purtroppo da indagini effettuate su internet, veri e propri ristoranti si
dichiarano “wine bar”… in realtà, però, non è così perchè piccoli assaggini
di formaggi e salumi dovrebbero solamente accompagnare il vino che qui
viene degustato…la figura centrale è il vino e come tale qui dovrebbe
essere il “principe” della tavola.
Panelle, cazzilli, sfincione, quarume, mussu, frittola, carcagnolo, pani ca’
meusa colorano gli angoli delle strade di Palermo e riempiono il palato dei
Palermitani o dei turisti curiosi che si addentrano nei mercati popolari di
questa meravigliosa terra.
Come non parlare poi dei pupi a cena? Ormai riproducono personaggi più o
meno conosciuti del mondo dei cartoni animati o del mondo dello
spettacolo.. si perde così la vera tradizione di quelle pupe e di quei carretti
siciliani che coloravano i cesti che “i morti” portavano in dono ai più
piccini.
Rita Ferrara
Al termine del modulo della professoressa Amitrano è stato prodotto, con
l’ausilio di tutti i partecipanti e del tutor, un project work.
Il nostro percorso è cominciato così: come si evince dal lavoro, dalla
cultura, tradizione e cibo siciliani perché è da questi punti fondamentali
che si può sviluppare una tematica incentrata sull’uomo e sui suoi percorsi
che via via hanno sviluppato una letteratura della valorizzazione dei
prodotti tipici.
È stato necessario riscoprire le tradizioni della nostra “tavola” per poi
concentrarsi agli stereotipi ed i folk-models alimentari costituitisi con il
trascorrere del tempo.
Ovviamente è stato opportuno, anche per effettuare un raffronto tra diverse
culture, osservare uno scenario più vasto e cosi abbiamo parlato di culture
altre quali: Messicani, Cinesi, Spagnoli, Argentini, Tedeschi.
In fine non abbiamo potuto non argomentare un’altra problematica valida
quale il cibo e la comunicazione relativamente al wine bar e alla cucina di
strada che non può essere trascurata perché abbiamo visto anche
attraverso la visita al mercato che queste usanze sono rimaste consolidate;
Secondo me queste tradizioni sono giustamente state tramandate perché
altrimenti si rischierebbe di dimenticare la nostra storia che ci fa uomini.
Anche i piatti tipici giustamente sono stati tramandati quali per esempio:
cassata, cannoli, pasta con le sarde;
Grazie a questo corso ho riscoperto e scoperto ciò che i piatti cercano di
raccontarci.
Anna Lisa Li Mandri
Nel far riferimento alla tradizione culinaria di Palermo e della Sicilia, in
generale, dobbiamo innanzi tutto partire dal concetto di territorio definito come
area storico-geografica dove selezioniamo saperi e sapori. All’interno del
territorio troviamo la cultura, intesa come cultura storica che ci porta
sicuramente alla conoscenza di ciò che le diverse dominazioni ci hanno donato
nel tempo. Questo miscuglio di diversi usi e costumi ci ha portato alla
tradizione culinaria che Palermo oggi vanta.
Le esperienze fatte all’interno di questo percorso di studi ci hanno mostrato gli
usi abituali della vita comune. Il palermitano medio è chiaramente un gagliardo
mangiatore; appena se ne presenta l’occasione egli mangia con vorace piacere,
in abbondanza. Ma il palermitano è anche persona abbastanza esigente, che sa
scegliere fra i diversi cibi della ricca tradizione locale. Alcune specialità che
abbiamo ritrovato nelle slides ci hanno permesso per un attimo di assaporare i
veri sapori di strada. Le focacce con la meusa, per apprezzarle degnamente
bisogna condirle di storia. Mangiarle, cioè, dove la tradizione è ancora viva: “le
guastedde alla meusa e ricotta”sono tuttora un’esclusiva dell’Antica Focacceria
San Francesco. Più comune, un cibo che non ha mai perso d’attualità: una
colazione con pane, panelle e crocchette, è solitamente preda di studenti e
operai che non hanno tempo da perdere; mentre le stigghiola, piatto forte del
palermitano di stomaco inossidabile, stile mordi e fuggi; E poi le irresistibili
arancine. Per finire con lo “sfincione”, che indifferentemente apre e chiude le
ricchezze del banchetto tradizionale. Questo, definito cibo di strada,
sicuramente non si può inserire nella giusta alimentazione, poiché ricco di
grassi.
Passando dal banco del friggitore di strada alla trattoria, la varietà dei cibi
compie salti di qualità. Offre piatti ormai famosi dappertutto, primo fra tutti la
“pasta con le sarde” e – nell’ambito della pasticceria siciliana - la colorita
frutta martorana, i sontuosi cannoli e l’affascinante cassata siciliana.
Per quanto riguarda il moderno abbiamo riscontrato che i locali
di oggi sono diventati si luoghi di incontro dove non si fa più
riferimento alla tradizionalità poiché il bere è diventato l’unico
obbiettivo.
La costruzione di questo percorso ci ha portato a parlare di un
argomento molto importante di cui abbiamo fatto riferimento
all’inizio, cioè la cultura, ma questa volta non del nostro paese
ma ben si quella altrui. E’ stato abbastanza interessante sapere
cosa e come mangiano gli altri paesi del mondo e così abbiamo
avuto la possibilità di conoscere saperi e sapori nuovi.
I punti che abbiamo trattato sono stati di fondamentale
importanza perché hanno arricchito il mio sapere nell’ambito
dell’alimentazione internazionale ma soprattutto in quello della
mia terra mettendomi a conoscenza di ciò che ancora non avevo
scoperto.
Stefania Lo Bianco
La presentazione in power point realizzata dalla professoressa
Amitrano e dal tutor Badagliacca è stata curata nei minimi dettagli
e contiene informazioni utili per capire il ruolo che assume la
tradizione nella sfera culinaria.
Attraverso ricerche sul campo abbiamo analizzato l’origine di alcuni
piatti e si è evidenziato quanto la tradizione ha influito, nel corso
degli anni, alla loro realizzazione.
Abbiamo analizzato altresì la presenza di culture altre nel nostro
territorio focalizzando l’attenzione su alcune pietanze tipiche
tunisine, cinesi, argentine etc etc… studiandone tipicità e
realizzazione. Infine ci siamo soffermati sul cibo povero mangiato
in strada e come questi alimenti, un tempo appartenenti solo ed
esclusivamente ad un universo maschile, siano oggi entrati
prepotentemente nelle nostre tavole etichettati come alimenti tipici
tradizionali.
Girolamo Prestigiacomo
Guardando la presentazione realizzata dalla professoressa
Amitrano e dal tutor Badagliacca, ho avuto modo di
ripercorrere tutto il lavoro svolto durante le ore di corso. Il
lavoro è stato realizzato in modo dettagliato e preciso.
Si evidenzia l’importanza del rapporto tra cibo – cultura e
tradizione e come questi tre elementi siano strettamente
connessi. Sono stati analizzati piatti e menù tipici per
comprendere cosa si può celare dietro l’elaborazione di certe
pietanze che possono sembrare più o meno semplici e, per
fare ciò, molto utile è stata la ricerca sul campo fatta presso
il mercato storico di Ballarò. Ci si è soffermati inoltre: sulle
culture altre analizzandone, attraverso lo studio di alcune
pietanze, tipicità e tradizionalità; sulla tradizione cerimoniale
analizzando il cibo della festa ed in particolare modo i pupi di
zucchero; il wine-bar ed infine il cibo povero mangiato in
strada.
Rosalia Prestigiacomo
Questo è stato un lavoro che ha i impegnato parecchio sia i
corsisti sia la professoressa Amitrano e il nostro tutor
Badagliacca, che ha perfezionato il nostro lavoro con una
meticolosità veramente straordinaria e dopo quasi due mesi
siamo riusciti a creare una presentazione in power point che
ci ha permesso di analizzare gran parte della storia culinaria
siciliana con tutti i suoi prodotti di nicchia che caratterizzano
il nostro territorio. Oltre a tutto questo abbiamo inserito sia
la preparazione di tutti i piatti tipici sia menù che
raffiguravano cibi della tradizione palermitana. Inoltre
abbiamo aggiunto i ristoranti tipici ed i loro menù
tradizionali. E per completare in grande si sono aggiunti
anche le culture Altre per rendere ancora più marcato il
paragone fra tali culture culinarie.
Gianmarco Vasta
Significato moderno di cultura
Tradizione
Territorio
Concetto di Eco-ergo-sistema
La conservazione dei cibi
Tipicità dei prodotti
I prodotti territoriali di nicchia
La valorizzazione dei prodotti tipici tradizionali
Il mercato multicentrico
Il mercato
Tutti insieme al mercato
abbiamo trovato…
Le nostre esperienze:
Ferrante Tiziana
Girgenti Ignazio
Li Mandri Anna Lisa
Prestigiacomo Girolamo
Prestigiacomo Rosalia
Vasta Gianmarco
Prodotti tipici
Piatti tipici
Ristoranti tipici
Gli stereotipi ed i folk-models alimentari
Pietanze tradizionali di massa
La nonna racconta:
il menù e l’abbinamento dei vini
Il percorso del gusto
A tavola con le Culture Altre
Piatti tipici tradizionali della cucina:
argentina
cinese - giapponese
mauriziana
messicana
spagnola
tedesca
tunisina
Ristorazione tipica delle Culture Altre a Palermo:
birreria tedesca
Project work cibo e comunicazione
Il wine- bar
Il cibo povero mangiato in strada
La tradizione cerimoniale
I pupi a cena
Storyboard
Cultura, tradizione, cibo
La tradizione a tavola
Gli stereotipi ed i Folk-models alimentari
A tavola con le culture Altre
La ristorazione interculturale
Cibo e comunicazione
La tradizione cerimoniale
Verifica modulo project work
Ferrante Tiziana
Ferrara Rita
Li Mandri Anna Lisa
Lo Bianco Stefania
Prestigiacomo Girolamo
Prestigiacomo Rosalia
Vasta Gianmarco
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