La poesia italiana del primo ‘900
Caratteristica comune è la distanza dai codici della tradizione letteraria italiana,
in forme più o meno “violente”
Crepuscolarismo
Futurismo
Espressionismo
• distanza dal modello
dannunziano
• rinnovamento del
linguaggio poetico e
dei temi (oggetti della
quotidianità borghese)
• registro colloquiale
basso
• distruzione della
tradizione
• libertà metrica e
tipografica
• centralità della
metafora e
dell’analogia
• eversione dei codici
linguistici o stilistici
consueti
• scrittura fatta di versi
spezzati
• prosa frammentaria ad
alta densità lirica
a questi movimenti si dà il nome di AVANGUARDIE che hanno una breve durata, ma
che influenzano le tendenze successive dell’intera letteratura: poesia, narrativa,
teatro.
La poesia italiana della prima metà del ‘900 (antecedente la 2° guerra mondiale)
si caratterizza per la dialettica tra sperimentazione avanguardistica e
ritorno alla classicità e determina, fondamentalmente, due linee di
tendenza
La linea della poesia pura di
matrice simbolista alla quale
si ricollega il filone
“ermetico” (Quasimodo, in
parte Ungaretti e Montale)
- Linguaggio evocativo
- gusto analogico-simbolico
- esistenzialismo
- ricerca del noumeno e
dell’esperienza epifanica
La linea classicista che si
richiama alla tradizione (Saba)
e mantiene
- le forme metriche, le scelte
lessicali e sintattiche della
tradizione lirica
- andamento narrativo della
tradizione letteraria
presimbolista
ANTINOVECENTISMO: Sandro Penna, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni
La poesia crepuscolare nasce e si sviluppa nei primi anni del Novecento (19051915) e trova l'origine del proprio nome in un articolo di Giuseppe
Antonio Borgese sulla "Stampa" del settembre 1910, dove, commentando la recente
produzione in versi, il critico parla di "mite [...] crepuscolo" dopo la grande
stagione che riuniva Carducci, Pascoli, D'Annunzio.
L'abbassamento della poesia al racconto dell'ordinaria quotidianità conosce forme
diverse tra i principali autori crepuscolari:
•Sergio Corazzini si rifugia nel mondo della poesia, rappresentando la propria tragedia
quotidiana e rinunciando all'etichetta di poeta (come nella sua Desolazione del povero
poeta sentimentale;
• Marino Moretti trae ispirazione da Pascoli per la sua poesia, legata a oggetti familiari
e quotidiani (come in A Cesena)
• Guido Gozzano (1883-1916) si distingue per l'ironia quando accosta oggetti comuni e
quotidiani con gli emblemi della tradizione poetica (Dante, Carducci o D'Annunzio),
come ne La signorina Felicita ovvero la felicità dove, sempre proseguendo questo
gioco di disconoscimento ironico, il poeta ammette: “io mi vergogno, | sì, mi vergogno
d’essere un poeta!”.
Guido Gozzano, Totò Merumeni, da “I colloqui”, 1911
I. Col suo giardino incolto, le sale vaste, i bei
balconi secentisti guarniti di verzura,
la villa sembra tolta da certi versi miei,
sembra la villa-tipo, del Libro di Lettura...
Pensa migliori giorni la villa triste, pensa
gaie brigate sotto gli alberi centenari,
banchetti illustri nella sala da pranzo immensa
e danze nel salone spoglio da gli antiquari.
Ma dove in altri tempi giungeva Casa Ansaldo,
Casa Rattazzi, Casa d'Azeglio, Casa Oddone,
s'arresta un'automobile fremendo e sobbalzando,
villosi forestieri picchiano la gorgòne.
S'ode un latrato e un passo, si schiude cautamente
la porta... In quel silenzio di chiostro e di caserma
vive Totò Merùmeni con una madre inferma,
una prozia canuta ed uno zio demente.
II. Totò ha venticinque anni, tempra sdegnosa,
molta cultura e gusto in opere d'inchiostro,
scarso cervello, scarsa morale, spaventosa
chiaroveggenza: è il vero figlio del tempo nostro.
Non ricco, giunta l'ora di «vender parolette»
(il suo Petrarca!...) e farsi baratto o gazzettiere,
Totò scelse l'esilio. E in libertà riflette
ai suoi trascorsi che sarà bello tacere.
Non è cattivo. Manda soccorso di danaro
al povero, all'amico un cesto di primizie;
non è cattivo. A lui ricorre lo scolaro
pel tema, l'emigrante per le commendatizie.
Gelido, consapevole di sé e dei suoi torti,
non è cattivo. È il buono che derideva il Nietzsche
«...in... verità derido l'inetto che si dice
buono, perché non ha l'ugne abbastanza forti...»
Dopo lo studio grave, scende in giardino, gioca
coi suoi dolci compagni sull'erba che l'invita;
i suoi compagni sono: una ghiandaia rôca,
un micio, una bertuccia che ha nome Makakita
III. La Vita si ritolse tutte le sue promesse.
Egli sognò per anni l'Amore che non venne,
sognò pel suo martirio attrici e principesse
ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne.
Quando la casa dorme, la giovinetta scalza,
fresca come una prugna al gelo mattutino,
giunge nella sua stanza, lo bacia in bocca, balza
su lui che la possiede, beato e resupino...
IV. Totò non può sentire. Un lento male indomo
inaridì le fonti prime del sentimento;
l'analisi e il sofisma fecero di quest'uomo
ciò che le fiamme fanno d'un edificio al vento.
Ma come le ruine che già seppero il fuoco
esprimono i giaggioli dai bei vividi fiori,
quell'anima riarsa esprime a poco
a pocouna fiorita d'esili versi consolatori...
V.Così Totò Merùmeni, dopo tristi vicende,
quasi è felice. Alterna l'indagine e la rima.
Chiuso in se stesso, medita, s'accresce, esplora, intende
la vita dello Spirito che non intese prima.
Perché la voce è poca, e l'arte prediletta
immensa, perché il Tempo - mentre ch'io parlo! - va,
Totò opra in disparte, sorride, e meglio aspetta.
E vive. Un giorno è nato. Un giorno morirà.
Ungaretti dagli esordi agli anni ‘30:
dalla parola nuda al recupero della tradizione
Ne L'allegria di naufragi del 1919 viene sviluppato il
nucleo originario dei testi pubblicati ne Il porto
sepolto (1916).
L'elemento comune a tutti i componimenti è
soprattutto quello autobiografico: Ungaretti stesso
definiva L'allegria un diario (vedi la scansione in
capitoli dell’opera : Ultime, Il porto
sepolto, Naufragi, Girovago, Prime).
Protagonista indiscussa è la parola adamitica,
scavata, considerata veicolo fondamentale nella
riscoperta dell'io (cfr. Il porto sepolto)
Principali soluzioni tecniche:
• abolizione radicale della punteggiatura
• ricorso insistito allo spazio bianco sulla pagina, che
isola i versi e spezza le misure strofiche classiche.
• uso del verso libero che smonta dall’interno le
strutture metriche tradizionali, modellando
l’espressione poetica sull’urgenza comunicativa
dell’io
• impiego della figura retorica dell’analogia per
consegnare sulla pagina immagini particolarmente
icastiche e pregnanti.
Sentimento del tempo (1933) inaugura una nuova
fase della poesia ungarettiana.
T ema principale è la percezione dello scorrere del
tempo tra passato e presente e del rapporto tra la
finitezza dell’uomo e il senso dell’assoluto, su cui si
innesta la riflessione sulla condizione dell’essere
umano e la malinconia per la perdita di affetti e
persone. Ungaretti si muove nella direzione
della ripresa della lezione dei classici della tradizione
lirica (quindi soprattutto Leopardi e Petrarca) e
del recupero dei versi e delle misure metriche più
convenzionali
Principali soluzioni tecniche:
•sintassi più elaborata
•ripristino gli endecasillabi e i settenari
•Recupero di forme strofiche (come quella dell’inno)
•Reintroduzione della punteggiatura
“Non era l’endecasillabo del tale, non il novenario, non il settenario
del talaltro che cercavo: era l’endecasillabo, era il novenario, era il
settenario, era il canto italiano, era il canto della lingua italiana che
cercavo nella sua costanza attraverso i secoli [...]: era il battito del
mio cuore che volevo sentire in armonia con il battito del cuore dei
miei maggiori di una terra disperatamente amata”
Il porto sepolto
Mariano il 29 giugno 1916 1.
Vi 2 arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde 3
Di questa poesia 4
mi resta
quel nulla
di inesauribile segreto
1
Come in molte altre poesie del Porto sepolto e poi dell’Allegria di naufragi, il testo è preceduto dall’indicazione di
data e luogo di composizione, quasi che le poesie debbano comporre un diario lirico dell’esperienza di guerra.
2 Vi: il pronome allude proprio al “porto sepolto”, a quel mondo misterioso dove solo il poeta può giungere.
3 Dietro questa operazione c’è una concezione magico-orfica del ruolo della poesia, che è intesa come il disvelamento
di un segreto che solo l’ispirazione poetica può penetrare.
4 questa poesia: dopo il momento dell’illuminazione dei primi tre versi, gli ultimi quattro affrontano il problema della
perdita della rivelazione. Ungaretti, cui resta un “nulla | di inesauribile segreto”, sottolinea così che ogni discesa
nel “porto sepolto” non è mai definitiva e che il mistero dell’animo umano può essere attinto solo per fugaci
apparizioni.
Montale. Sperimentalismo e tradizione
Con la sua prima raccolta “Ossi di seppia” del 1925 Montale rifiuta la
tradizione a lui antecedente (quella di discendenza romantico-decadente,
ben rappresentata da Gabriele D'Annunzio) della fusione tra l'io poetico e il
mondo naturale.
La realtà stessa appare incomprensibile e inesprimibile e il poeta non può
che mettere in evidenza questa percezione negativa del suo stare al mondo,
scegliendo volutamente un paesaggio aspro e scabro e un linguaggio poetico
che si modella su tale profonda inquietudine. Di qui il rifiuto della funzione di
poeta-vate (Non chiederci la parola)
Soluzioni tecniche
•lessico antilirico quotidiano con l’inserimento sporadico di forme auliche
•sintassi tendenzialmente prosastica
•Fitta tessitura fono-simbolica
•Impiego del correlativo oggettivo inizialmente elaborato da Thomas Stearns
Eliot
Non chiederci la parola, Ossi di Seppia, 1925
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato 1
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco 2
lo dichiari e risplenda come un croco 3
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola 4
stampa sopra uno scalcinato muro 5!
Non domandarci la formula 6 che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca 7 come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
1
L’animo è “informe” in quanto disgregato: di quest’alienazione e scissione dell’io non si può dare conto se non attraverso una parola
altrettanto alienata e disgregata, ben diversa dalla parola assoluta, “che squadra” e definisce in maniera perentoria ed asseverativa.
2 lettere di fuoco: impresse indelebilmente. Sono le parole del poeta-vate, figura anacronistica e già contestata nell’incipit de I limoni, non più
adatta a esprimere la condizione contemporanea.
3 croco: è il fiore dello zafferano, che con il suo colore acceso stride nello squallore desolante del “polveroso prato” della contemporaneità.
4 canicola: è il sole di mezzogiorno, che disegna l’immagine di colui che passa sul muro.
5 Il muro, come in Meriggiare pallido e assorto, è nella poesia montaliana emblema del limite. Qui c’è un’ulteriore connotazione desolante,
espressa dall’attributo "scalcinato".
6 Non domandarci la formula: il poeta torna, con variatio, a ribadire quanto già espresso nel primo verso. Quella che prima però era una
“parola” (cioè una massima, una legge di vita universale) è qui una “formula”: per Montale, sia i valori umanistici sia l’indagine
scientifico-matematica del mondo non possono più assicurare alcun tipo di certezza.
7 storta sillaba e secca: il periodare ellittico e l’ipallage ben si adeguano, a livello stilistico, a una parola che può esprimersi solo in
modo stentato, conforme ad una poesia che rifugge ogni retorica in favore di una forma scarna ed essenziale.
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