Paolo Borsellino e Giovanni falcone. Sono due dei tanti nomi che al solo udito ci
provocano i brividi, sono due delle tante persone che associamo automaticamente e
anche ingenuamente alla lista delle persone che sono state capaci di fare ciò che
nessuno aveva mai fatto prima. Persone che pensiamo come un’idea remota,
lontana dalla nostra quotidianità. Tutto questo è un errore... La lotta alla mafia, la
criminalità, lo spirito di lotta che contraddistingueva questi grandi personaggi è a un
passo da noi, è una cosa che ci riguarda personalmente, è la base di ciò che siamo e
della società che viviamo. Ogni volta che taciamo, che opprimiamo le nostre idee e
che le facciamo soccombere nell’abisso del silenzio, andiamo contro questi grandi,
contro i loro ideali... Contro persone che in fin dei conti sono,anzi erano persone
come noi, che hanno avuto il coraggio di portare avanti le loro idee, ma pur sempre
persone come noi. TUTTI dobbiamo essere Falcone e Borsellino, tutti dobbiamo
lasciare che il loro spirito ci faccia agire, nel nostro piccolo. LA MAFIA, non è
un’idea astratta e lontana, è talmente tangibile da poter essere riscontrata in ogni
singola bomba fatta esplodere, in ogni corpo morto di persone come queste, in ogni
loquace silenzio di chi ha preferito lasciare cadere i propri pensieri in quell’abisso,
e ha taciuto appoggiando i mafiosi. Questa è la mafia, una cosa tanto grande da far
paura e influenzare vite, e tanto piccola da essere a portata di mano. E questo è lo
spirito di questi personaggi.. Uno spirito tanto grande da portarti a vivere sempre in
bilico tra la vita e la morte, ma allo stesso tempo tanto piccolo da poter essere
attuato ogni volta che scegliamo di far valere le nostre idee, ribellandoci a chi vuole
il nostro silenzio.
“E se la mafia fa saltare in aria le persone
voi fate saltare in aria i pensieri, le idee,
le gesta di quei grandi uomini… Fate
saltare in aria il loro ricordo, il loro
coraggio, gridatelo a tutti e affidatelo
nelle mani tenere e innocenti che si
affacciano a questo mondo. Possiamo
soffocare la mafia solo respirando
l’onestà e vivendo di legalità: questo è il
modo migliore di ricordare chi ha
sacrificato la vita per i propri ideali e i
pensieri a cui fermamente credeva;
questo è il modo migliore per ricordare
grandi che hanno fatto grandi cose.. Che
hanno sacrificato la loro vita per una
società migliore.”
GIOVANNI
FALCONE
“Chi tace e chi piega la testa
muore ogni volta che lo fa, chi
parla e chi cammina a testa alta
muore una volta sola”
Era il 23 maggio 1992 quando Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta (Montinaro, Schifani e
Dicillo) morì nella strage di Capaci per opera di Cosa Nostra. Con il collega e amico Paolo Borsellino è stata una delle personalità
di spicco nella lotta contro la mafia in Italia e all’estero.
La biografia di Giovanni Falcone non è breve ma ricca di azioni che hanno cercato di contrastare la mafia. Una delle frasi più
celebri di Giovanni Falcone dice: “La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà
anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non
pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni“.
La storia insegna che i grandi atti giusti eroici restano impressi nella memoria di tutti e si tramandano di generazione in
generazione. Nessuno potrà mai dimenticare il coraggio e la giustizia di Giovanni Falcone.
PAOLO
BORSELLINO
“È normale che esista la paura, in ogni uomo,
l'importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non
bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti
diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti.”
Paolo Borsellino: Un campione della lotta alla mafia che portò avanti al costo della vita, lasciando, insieme con il
collega e amico Giovanni Falcone, un esempio insuperabile di difensore della legalità e di servitore dello Stato.
Palermitano doc come Falcone, a quest'ultimo fu legato da una vecchia amicizia, nata in tenera età, quando i due
giocavano a calcio nell'oratorio del quartiere Kalsa. Nello stesso quartiere abitava Tommaso Buscetta, il pentito di
mafia più eccellente della storia, che circa trent'anni più tardi incrociarono da magistrati. In quel periodo, sotto la
guida del giudice Antonio Caponnetto, entrò a far parte del celebre pool antimafia che, coordinando le diverse
attività d'indagine dei suoi componenti, riuscì a condurre una capillare azione di contrasto al fenomeno mafioso,
suggellata nel 1986 con il maxiprocesso di Palermo. Premiato per questo con la nomina a procuratore della
repubblica di Marsala, Borsellino prese il posto di Falcone come procuratore aggiunto di Palermo nel dicembre
del 1991. Sette mesi più tardi, poche settimane dopo l'assassinio di Falcone, trovò la morte in un terrificante
attentato mafioso, eseguito a via D'Amelio (davanti all'abitazione della madre) e in cui persero la vita cinque
agenti della sua scorta. Era il 19 luglio del 1992.
"Lo stato e la mafia, sono due poteri che occupano lo
stesso territorio, o si fanno la guerra, o si mettono
d’accordo"
BORIS
GIULIANO
Boris Giuliano è stato uno dei più grandi investigatori italiani... Caparbio, brillante, molto intuitivo e
soprattutto innovativo nei metodi d'indagine, è stato una grossa spina nel fianco per l'allora crescente
gruppo dei corleonesi! Nato il 22 Ottobre 1930, fece una lunga ed onorata carriera nella Polizia di
Stato, fino a diventare Capo della squadra mobile di Palermo, incarico che ricopriva quando fu ucciso,
la mattina del 21 Luglio 1979; Fu freddato in un bar, colpito vigliaccamente alle spalle da una raffica di
pallottole sparate da Leoluca Bagarella in persona; aveva con se due pistole Giuliano, e sapeva usarle
molto bene, per questo il mafioso codardo decise di attaccarlo senza dargli nessuna possibilità di
difendersi...
Sapeva parlare l'Inglese molto bene, e questo gli consentì di intrattenere importanti rapporti di
collaborazione con la DEA americana.
Fu grazie alla collaborazione con gli americani che Giuliano riuscì ad approfondire le sue indagini sul
traffico internazionale di droga.
Fra i suoi successi anche la scoperta del covo di Leoluca Bagarella, avvenuto pochi giorni prima del suo
assassinio, episodio che probabilmente fu la goccia che fece traboccare il vaso.
MARIO
FRANCESE
Francese iniziò la carriera come telescriventista dell'ANSA, successivamente iniziò a collaborare come
giornalista e scrisse per il quotidiano "La Sicilia" di Catania.
Di simpatie monarchiche, nel 1958 venne assunto all'ufficio stampa dell'assessorato ai Lavori Pubblici
della Regione Siciliana. Nel frattempo intraprese una collaborazione con "Il Giornale di Sicilia"
di Palermo. Nel 1968 si licenziò dalla Regione per lavorare a pieno nel giornale dove si occupò della
cronaca giudiziaria, entrando in contatto con gli scottanti temi del fenomeno mafioso.
Divenuto giornalista professionista si occupò della strage di Ciaculli, del processo ai corleonesi
del 1969 a Bari, dell'omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e fu l'unico giornalista a
intervistare la moglie di Totò Riina, Antonietta Bagarella. Nelle sue inchieste entrò profondamente
nell'analisi dell'organizzazione mafiosa, delle sue spaccatture, delle famiglie e dei capi, specie del
corleonese legata a Luciano Liggio e Totò Riina.
La sera del 26 gennaio 1979 venne assassinato a Palermo, davanti casa. Per l'assassinio sono stati
condannati: Totò Riina, Leoluca Bagarella, Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco e Bernardo
Provenzano. Le motivazioni della condanna nella sentenza d'appello furono: «Il movente dell' omicidio
Francese è sicuramente ricollegabile allo straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto
un'approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni '70».
FILADELFIO
APARO
Filadelfo Aparo fu assassinato in un agguato di mafia, la mattina dell'11
gennaio, a Palermo, in Piazza Ten. Anelli, con numerosi colpi di lupara. Si
era arruolato nel 1956 ed aveva prestato servizio a Bari, Taranto, Nettuno
e, da ultimo, alla Questura di Palermo, Squadra Mobile, prima nella
sezione antirapine e poi alla catturandi. Per il suo coraggio e la dedizione
al dovere meritò numerosi premi e riconoscimenti. In particolare gli fu
riconosciuto l'avanzamento al grado di appuntato, conseguito nel 1968
per il coraggio dimostrato nel corso di un'operazione conclusasi con la
cattura di un rapinatore nonché un encomio solenne riconosciutogli nel
1978, quando, in servizio con altri colleghi, riconobbe due pericolosi
latitanti e con decisiva e coraggiosa azione riuscì a bloccare l'autovettura
dei malviventi, arrestandoli dopo una violenta colluttazione. Il suo
assassinio, quasi certamente, si deve alla vendetta delle cosche o alla
decisione di eliminare un “segugio” particolarmente efficiente e pericoloso
o, probabilmente, ad entrambi i motivi. Lasciò la moglie e tre bambini, il
più piccolo dei quali di 1 anno.
PIO LA TORRE
Pio La Torre nasce a Palermo, il 24 dicembre 1927. Il suo impegno politico comincia con l'iscrizione
al Partito Comunista nell'autunno del 1945 e con l'apertura di una sezione del partito nella sua
borgata e in quelle vicine. Diventa funzionario della Federterra nel 1947, e successivamente
responsabile giovanile della Cgil e del Pci, partecipando attivamente alle lotte dei contadini. Nel luglio
1949 diventa membro del Consiglio Federale del Partito Comunista e dall'interno dello stesso dà
l'avvio ufficiale al movimento di occupazione delle terre da parte dei contadini, lanciando lo slogan "la
terra a tutti". La protesta messa in atto dai braccianti, e guidata da Pio La Torre, prevedeva la confisca
delle terre incolte o mal coltivate e l'assegnazione in parti uguali a tutti i contadini che ne avessero
bisogno.
Durante i duri scontri che si scatenano l'anno successivo fra occupanti e forze dell'ordine La Torre viene arrestato e condotto in carcere,
dove resterà dall'11 marzo 1950 al 23 agosto 1951. All'uscita dal carcere riprende le lotte contadine . Nel maggio 1972 fa il suo ingresso
alla Camera dei deputati, dove resterà partecipando ai lavori delle commissioni Bilancio e Agricoltura e della Commissione parlamentare
d'inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia. In quest'ultima sede porterà avanti il lavoro più importante, giungendo alla presentazione
di una proposta di legge volta all'inserimento nel codice penale del reato di associazione mafiosa, fino a quel momento non passibile di
condanna. La proposta prevedeva inoltre la confisca dei beni riconducibili alle attività illecite dei condannati ed una volta approvata è
divenuta nota come legge Rognoni-La Torre. Nel 1981 rientra in Sicilia, dove intraprende la sua ultima battaglia politica contro
l'installazione di missili Nato nella base militare di Comiso, nei pressi di Ragusa.
La mattina del 30 aprile 1982 viene assassinato a Palermo mentre sta raggiungendo la sede del partito a bordo di una macchina guidata
dal compagno di partito Rosario Di Salvo, che perde la vita insieme a lui. Dalle rivelazioni di un collaboratore di giustizia, è stato peraltro
possibile identificare i mandanti dell'omicidio nelle persone di Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Bernardo Brusca
ROCCO
CHINNICI
Rocco Chinnici nasce a Misilmeri il 19 gennaio 1925 e, dopo la maturità classica, si
iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza a Palermo, laureandosi il 10 luglio 1947. Nel 1952
entra in magistratura, al Tribunale di Trapani. Nel novembre 1979 viene promosso
Consigliere Istruttore presso il Tribunale di Palermo. Rocco Chinnici ha consentito la
realizzazione del primo maxiprocesso alla mafia ed è considerato il padre del Pool
Antimafia, chiamando a se magistrati come Falcone, Borsellino e Di Lello. Chinnici
pertecipò anche a molti congressi e convegni perchè credeva che i giovani fossero molto
importanti nella lotta alla mafia.
Fu il primo magistrato a parlare agli studenti della mafie e delle droghe.
Il 29 luglio 1983 una Fiat 127 imbottita di esplosivo fu parcheggiata davanti alla sua casa in via Pipitone Federico a Palermo e fu fatta
esplodere dal killer mafioso Antonino Madonia, uccidendo Rocco Chinnici, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l'appuntato
Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e il portiere dello stabile di via Pipitone Federico Stefano Li Sacchi.
“Parlare ai giovani, alla gente, raccontare chi
sono e come si arricchiscono i mafiosi, diceva,
fa parte dei doveri di un giudice. Senza una
nuova coscienza, noi, da soli, non ce la
faremo mai“.
PEPPINO
IMPASTATO
Giuseppe (“Peppino”) Impastato nasce a Cinisi (Palermo) il 5 gennaio 1948 da Felicia
Bartolotta e Luigi Impastato. La sua è una famiglia facente parte del sistema mafioso
locale, sistema che lo stesso Peppino tenterà di scardinare nell’arco di tutta la sua breve
vita, mediante una temeraria lotta condotta pubblicamente, tramite iniziative politiche e
sociali a sostegno della legalità. Nel 1965 fonda “L’idea socialista”, un giornale di denuncia
e partecipa alle manifestazioni di protesta al fianco dei disoccupati e dei contadini ai quali
vengono espropriati terreni per conto di interessi nel settore dell’edilizia, compresi quelli
riguardanti la costruzione dell’aeroporto di Palermo, interessi facenti capo al potere
mafioso.
Nel 1976 promuove la formazione di un’associazione culturale
denominata “Musica e cultura” e un anno dopo fonda “Radio Aut”,
un’emittente radiofonica libera, in cui Peppino opera un’audace azione di
denuncia nei confronti dei boss locali, in particolare del capomafia
Gaetano Badalamenti, e dei traffici di droga gestiti da questi ultimi grazie
al controllo dell’aeroporto di Palermo. I suoi interventi in diretta
radiofonica sono sagaci, satirici, sarcastici e non risparmiano nessun
mafioso o politico coinvolti.
La notte tra l’8 e il 9 maggio di quello stesso anno viene barbaramente
ucciso, legato ai binari ferroviari con una carica di tritolo sotto il suo
corpo. Nel 2002 la Corte di giustizia italiana condanna Gaetano
Badalamenti, detto “Don Tano”, all’ergastolo per l’omicidio di Peppino
Impastato. Nei giorni successivi all’assassinio di Giuseppe Impastato i
suoi concittadini di Cinisi votano il suo nome e lo eleggono
simbolicamente nel consiglio comunale.
DON PINO
PUGLISI
Don Pino Puglisi nasce il 15 Settembre 1937 a Brancaccio, alla periferia di Palermo. Nel 1953 entra
nel seminario e il 2 luglio 1960 sarà ordinato prete. Nel 1961 diventa vicario presso una parrocchia
nela borgata di Settecannoli, ed in seguito rettore della Chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi. In
questi anni Pino Puglisi comincia la sua attività educativa per i giovani. Il 1 Ottobre 1970 diventa
parroco a Godrano, un paesino interessato da una lotta tra due famiglie mafiose, dove Puglisi riesce
a far riconciliare le due famiglie. Il 31 luglio 1978 lascia Godrano. Il 29 settembre 1990 viene
nominato parroco a San Gaetano, a Brancaccio, quartiere comandato dalla Mafia dei fratelli
Graviano, legati ai Bagarella. Don Pino Puglisi inizia la sua lotta alla mafia, cercando di liberare i
bambini che vivono in strada con attività e giochi per fargli capire che si può essere rispettati anche
senza essere mafiosi, ma credendo nei propri ideali. Nelle sue omelie si rivolgeva spesso ai mafiosi, i
quali lo consideravano come un ostacolo perchè toglieva giovani alla mafia e deciserlo di ucciderlo,
avvertendolo con una serie di minacce di cui Puglisi non ne parlò con nessuno. Il 15 settembre 1993
alle 20.45 in piazza Anita Garibaldi scende dalla sua Fiat Uno bianca e si avvicina alla porta di casa.
In quel momento viene chiamato, lui si gira e viene ucciso da più colpi alla nuca. Il 28 giugno 2012
Papa Benedetto XVI ha concesso la promulgazione del decreto di beatificazione per il martirio "in
odio alla fede".
ROSARIO
LIVATINO
Rosario Livatino è nato a Canicattì il 3 ottobre 1952. Rosario conseguì la laurea in
Giurisprudenza.
Nel frattempo però partecipa con successo al concorso in magistratura e superatolo lavora
a Caltanissetta quale uditore giudiziario passando poi al Tribunale di Agrigento, dove per
oltre un decennio come Sostituto Procuratore della Repubblica, si occupa delle più delicate
indagini antimafia, di criminalità comune ma anche di quella che poi negli anni '90 sarebbe
scoppiata come la "Tangentopoli siciliana".
Fu proprio Rosario Livatino, assieme ad altri colleghi, ad interrogare per primo un ministro
dello Stato. Molto rari gli interventi pubblici così come le immagini. Rosario Livatino fu
ucciso, in un agguato mafioso, la mattina del 21 settembre '90 sul viadotto Gasena senza
scorta e con la sua Ford Fiesta mentre si recava in Tribunale. Per la sua morte sono stati
individuati, i componenti del commando omicida e i mandanti che sono stati tutti
condannati, in tre diversi processi nei vari gradi di giudizio, all'ergastolo con pene ridotte
per i "collaboranti". Rimane ancora oscuro il contesto in cui è maturata la decisione di
eliminare un giudice ininfluenzabile e corretto.
LIBERO GRASSI
Libero Grassi era un imprenditore coraggioso. Cosa nostra lo ha ucciso il 29
agosto del 1991. Lui si era rifiutato di versare nelle casse della mafia il pizzo,
cioè parte dei suoi legittimi guadagni. Era di origini catanesi ma lavorava a
Palermo dove aveva fondato l'impresa tessile Sigma. Rapine, intimidazioni,
richieste di pizzo erano stati sempre più frequenti. "Non mi piace pagare (il
pizzo) - disse a Samarcanda su Rai3 pochi giorni prima del suo assassinio perché è una rinunzia alla mia dignità di imprenditore: io divido le mie scelte
con il mafioso". Dopo la sua scomparsa, sono nati movimenti, associazioni. Tano
Grasso, imprenditore di Capo d'Orlando costituisce la Fondazione Antiracket.
Nascono Libera e AddioPizzo.
CARLO
ALBERTO
DALLA CHIESA
Il generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa è ucciso il 3 settembre del 1982 a Palermo,
vittima di un agguato mafioso insieme con la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente di scorta
Domenico Russo. Carabiniere figlio di carabiniere, Dalla Chiesa ha passato la sua vita a combattere
la malavita del nord, la mafia siciliana e le brigate rosse. Il giovane Carlo Alberto a 22 anni indossa
la divisa dei carabinieri. Riceve il suo primo incarico in Campania, alle prese con il bandito La
Marca. Arriva poi in Sicilia. Per l'isola sono anni duri: a Palermo scompare il giornalista Mauro de
Mauro (16 settembre 70), viene ucciso il procuratore Pietro Scaglione (5 maggio 71). Dalla Chiesa
indaga sui due casi e tira fuori il rapporto dei 114, una mappa dei nuovi e vecchi capimafia
siciliana, in cui compaiono per la prima volta nomi che torneranno spesso nelle cronache di fatti
mafiosi e che allora erano ignoti ai più: Frank Coppola, i cugini Greco di Ciaculli, Tommaso
Buscetta, Gerlando Alberti. Nel 1973 Dalla Chiesa diventa generale e assume la guida della
divisione Pastrengo a Milano, c'è da fronteggiare l'era sanguinosa del terrorismo rosso che si fa
strada. Dopo il sequestro del giudice Sossi a Genova, il generale infiltra nelle br un suo uomo,
Silvano Girotto, detto ‘’frate mitra’’, e arresta i padri storici del brigatismo, tra cui Renato Curcio e
Alberto Franceschini. Nel 1975 i carabinieri di Dalla Chiesa, nel corso di una operazione che porta
alla liberazione dell'industriale Gancia, uccidono la moglie di Curcio, Margherita Cagol. Tempo
dopo il generale riprende Curcio e altri brigatisti evasi dal carcere di Casale Monferrato. Ed è sua
l'idea di rinchiudere i brigatisti nelle carceri di massima. Nel 1981 Dalla Chiesa diventa
vicecomandante dell'Arma; poi il 2 maggio 1982 la nomina a prefetto di Palermo. Ed qui che solo
quattro mesi dopo troverà la morte.
“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con la
biro … l’uomo con la pistola è un uomo morto”.
-Roberto Benigni
“Se la gioventù le negherà il consenso, anche
l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un
incubo.”
-Paolo Borsellino
Scarica

la sicilianita` e` cosa nostra