Roma, 6 novembre 2013
Archimede
tra mito e scienza
ENRICO GIUSTI
IL GIARDINO DI ARCHIMEDE, FIRENZE
Parte prima: il mito
Gerone, re di Siracusa, volendo dedicare una corona d’oro agli dei, consegnò
una grande quantità d’oro a un orefice. L’opera risultò bellissima, e in un primo
tempo venne approvata dal re. Ma dopo un po’ gli venne il sospetto che
l’orefice avesse sostituito una certa quantità d’oro con dell’argento. Non
sapendo però come fare per provare il furto, interpellò Archimede. Questi,
mentre rifletteva sul da farsi, un giorno andò al bagno, e si accorse che quanto
il suo corpo si immergeva nell’acqua, tanta acqua fuoriusciva dalla vasca. Così
avendo trovato la spiegazione, non continuò il bagno, ma ne uscì con un balzo
e tutto nudo se ne corse a casa gridando: eureka, eureka!
Sulla base di questa idea fece due masse dello stesso peso della corona, una
d’oro, l’altra d’argento. Ciò fatto, riempì d’acqua un vaso fino all’orlo, e vi
immerse la massa d’argento. .. E così trovò quanta acqua corrispondeva a un
certo peso d’argento. Poi immerse lo stesso peso d’oro, e trovò che era
uscita una quantità d’acqua minore, in quanto un corpo d’oro è più piccolo
di uno d’argento dello stesso peso. Infine, immersa la corona, trovò che
l’acqua che tracimava era maggiore di quella dell’oro, e da questa differenza
dedusse quanto argento era mescolato all’oro, e smascherò il furto
dell’orefice.
Vitruvio, L’architettura
Archimede scrisse un giorno al re Gerone, di cui era parente e
amico, che era possibile muovere qualsiasi peso con una data
forza. … Gerone meravigliato lo pregò che mettesse in opera
questa dimostrazione, e gli mostrasse il modo di smuovere un
corpo grande con una piccola forza.
Allora Archimede, presa una nave da carico, la fece tirare a terra con
gran fatica e l’impiego di molte persone, vi imbarcò molti uomini oltre
al carico normale, poi si sedette lontano e senza nessuno sforzo,
muovendo tranquillamente con la mano un sistema di carrucole, la tirò
a sé facilmente e senza sussulti, come se volasse sulle onde del mare.
Plutarco, Vita di Marcello
L’irrigazione si fa per lo straripamento
annuale del Nilo, con il quale ogni si
introduce sulle terre una nuova melma;
e per portarne l’acqua sulla terra gli
abitanti adoperano una certa macchina
inventata da Archimede siracusano, la
quale prende il nome di coclea dalla sua
forma.
Diodoro Siculo, Biblioteca storica
In realtà, quando Archimede racchiuse in una sfera i movimenti
della luna, del sole e dei cinque pianeti, come il dio di Platone che
nel Timeo edificò l'universo, fece in modo che un'unica rivoluzione
regolasse movimenti tanto diversi per lentezza e velocità. E se
questo non può avvenire nel nostro universo senza l’intervento
della divinità, neanche nella sfera Archimede avrebbe potuto
imitare i medesimi movimenti senza un'intelligenza divina.
Cicerone, Disputazioni Tuscolane
Si possono immaginare molte figure solide, con le più varie
superfici, ma le più importanti sono quelle più semplici, e tra
queste i coni, i cilindri e i poliedri. Questi ultimi comprendono non
solo i cinque solidi descritti dal divino Platone, cioè il tetraedro, il
cubo, l’ottaedro, il dodecaedro e l’icosaedro, ma anche quelli
trovati da Archimede, in numero di tredici, le cui facce sono
poligoni equilateri ed equiangoli, ma non tutti uguali.
Pappo, Collezione matematica
Quando dunque i Romani assaltarono la città da due parti, vi fu un
grande spavento e silenzio da parte di tutti gli abitanti, che
avevano paura di non poter resistere allo sforzo di una così grande
potenza. Ma Archimede fece scoccare dalle sue macchine infiniti
dardi di diverse specie, e pietre di smisurata grandezza verso la
fanteria nemica, che volavano come razzi a una velocità
incredibile, abbattendo tutto quello che incontravano e
disordinando le file nemiche.
E delle navi venute all'assalto per mare, parte furono
affondate da proiettili scagliati per aria dalle mura con
quelle macchine, e parte sommerse da pesi lasciati
cadere dall’alto; altre, sollevate in alto per la prua da
mani di ferro, erano immerse per la poppa in mare;
altre eran rovesciate e mandate a sbattere contro gli
scogli, con perdita e morte di quelli che v'eran sopra.
Polibio, Le storie
Si dice anche che Archimede abbia
incendiato le navi con dei πυρεια. Infatti
con i πυρεια si incendiano facilmente la
lana, la stoppa, i moccoli, le canne e tutto
ciò che è secco e leggero.
Galeno, De temperamentis
Quando Marcello si ritirò a una distanza di
sicurezza, Archimede costruì una specie di
specchio esagonale, e a una distanza
proporzionale alla grandezza dello
specchio pose dei piccoli specchi simili con
quattro angoli, mobili per mezzo di
collegamenti e di cerniere, e fece in modo
che il centro dello specchio ricevesse i raggi
del sole a mezzogiorno. A questo punto i
raggi riflessi produssero delle terribili
fiamme sulle navi, che furono ridotte in
cenere a distanza.
Tzetzes, Chiliades
Ma più di tutto Marcello fu
addolorato dalla sventura che toccò
ad Archimede. Per una malaugurata
circostanza lo scienziato si trovava
solo in casa e stava considerando
una figura geometrica, concentrato
su di essa, oltre che con la mente,
anche con gli occhi, tanto da non
accorgersi che i Romani invadevano
e conquistavano la città.
Improvvisamente entrò nella
stanza un soldato e gli ordinò di
andare con lui da Marcello.
Archimede rispose che sarebbe
andato dopo aver risolto il
problema e messa in ordine la
dimostrazione. Il soldato si adirò,
sguainò la spada e lo trafisse.
Altri storici narrano il fatto
diversamente. Dicono che il romano
si presentò già con la spada in
pugno, pronto per ammazzarlo, e
che Archimede, appena lo vide, lo
pregò di aspettare un istante,
affinché non lasciasse incompleto e
privo di dimostrazione ciò che
cercava; ma il soldato senza tanti
complimenti lo uccise.
Secondo una terza versione alcuni
soldati incontrarono per strada
Archimede, mentre stava portando
a Marcello uno strumento
scientifico, composto di meridiane,
sfere e quadranti, mediante i quali
si misurava a vista la grandezza del
sole, dentro a una cassa.
I soldati pensarono che avesse con
se dell'oro, e lo uccisero.
Plutarco, Vita di Marcello
Benché inventore di molte belle cose,
mostrò di stimare più delle altre la
dimostrazione della proporzione che c’é
tra il cilindro e la sfera contenuta dentro
al cilindro, perché pregò i suoi parenti e
amici, che dopo la sua morte ponessero
sopra il suo sepolcro un cilindro
contenente dentro di sé una sfera solida
con la indicazione della proporzione con
la quale il contenente eccede il
contenuto.
Polibio, Le storie
Quando ero questore scopersi il suo sepolcro, tutto circondato e
rivestito di rovi e pruni, di cui i Siracusani ignoravano l'esistenza, anzi
escludevano che ci fosse. Ricordavo alcuni versi di poco conto, che
sapevo trovarsi iscritti sulla sua tomba: dicevano che sulla sommità
del sepolcro era posta una sfera con un cilindro.
Un giorno scrutavo ogni angolo con lo sguardo (fuori della porta sacra a
Ciane c'è un gran numero di sepolcri) e scorsi una colonnetta che non
sporgeva molto dai cespugli, su cui stava l'effigie di una sfera e di un
cilindro. Subito dissi ai Siracusani (si trovavano con me i più ragguardevoli
cittadini) che pensavo si trattasse proprio di ciò che cercavo. Si mandò
molta gente con falci e il luogo fu ripulito e sgombrato.
Quando fu aperto l'accesso, ci avvicinammo al lato frontale del
piedistallo: si vedeva un'iscrizione quasi dimezzata, in cui i versi si erano
corrosi verso la fine di ciascuno. Così una fra le più celebri città della
Grecia, e una volta anche fra le più dotte, avrebbe ignorato l'esistenza
della tomba del suo più geniale cittadino, se non gliel'avesse fatta
conoscere un uomo di Arpino.
Cicerone, Disputazioni Tuscolane
Parte seconda: la scienza
Il corpus archimedeo nel VI secolo e. v.
Sulla sfera e il cilindro
La misura del cerchio
Conoidi e sferoidi
Sulle spirali
L’equilibrio dei piani
La quadratura della parabola
I galleggianti
Arenario
Sul metodo meccanico
Stomachion
Il libro dei lemmi
Il problema dei buoi
Due
Tre codici (IX-X secolo)
A
B
C
Luca Gaurico (1503)
Guglielmo di Moerbeke (1269)
Niccolò Tartaglia (1543)
Un codice (XV secolo)
A
Giorgio Valla
De expetendis et fugiendis rebus (1501)
Francesco Maurolico
Archimedis syracusani Monumenta omnia mathematica
Una nuova traduzione
A
Iacopo da San Cassiano (c. 1452)
L’Editio princeps (1544)
La diffusione dei testi archimedei
Il ritorno del codice C
1906: Johan Ludwig Heiberg trascrive il palinsesto
1915-20: Il codice C sparisce di nuovo
1998: Il codice C viene venduto all’asta
e acquistato per due milioni di dollari
da un anonimo miliardario americano
L’eredità di Archimede
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