Modulo di
Antropologia culturale (M-DEA/01)
Università di Pisa
Facoltà di Medicina
Corso di Laurea Specialistica in Scienze delle
Professioni Sanitarie
a.a.2009-10
Le discipline M-DEA/01
D = Demo
E = Etno
A = Antropologiche
Studio dell’uomo e delle culture umane, nelle loro
articolazioni etniche e nelle loro espressioni popolari.
Il concetto di CULTURA è cruciale nella definizione
dell’oggetto di queste discipline: complesso degli
elementi non biologici attraverso cui i gruppi umani si
adattano all’ambiente.
Aspetti biologici e culturali
dell’antropologia
Le caratteristiche e l’evoluzione biologica
della specie umana sono studiati dalla
Antropologia fisica (settore scientificodisciplinare L-BIO/08)
Antropologia fisica
Antropologia culturale
Scienze naturali
Scienze umane
Le tre componenti del settore DEA
• Etnologia: studi settoriali su specifici popoli
e culture in diverse aree del mondo
• Demologia: studio della cultura popolare e
tradizionale nella nostra stessa società
• Antropologia culturale: approcci generali,
di tipo teorico e comparativo.
Altre denominazioni internazionali
- Ethnologie: in Francia indica di solito
l’intero settore disciplinare
- Social Anthropology: denominazione
prevalente negli studi britannici
- Cultural Anthropology: denominazione
prevalente negli USA
- Folklore (demologia è usato solo in Italia)
Le origini dell’antropologia culturale
1871 – Edward B. Tylor, Primitive Culture
Precursori: La filosofia della diversità
(Erodoto, Montaigne, Herder)
L’illuminismo e la Societé des observateurs
de l’homme
Le scienze naturali e la filologia comparativa
dell’Ottocento
Montaigne e Kant : i costumi e la
ragione
– 1. Montaigne : dagli essais “Sui cannibali” e “Sulla
consuetudine”
– Ora mi sembra [...] che in quel popolo non vi sia nulla
di barbaro e selvaggio, a quanto me ne hanno riferito, se
non che ognuno chiama barbarie quello che non è nei
suoi usi; sembra infatti che noi non abbiamo altro punto
di riferimento per la verità e la ragione che l’esempio e
l’idea delle opinioni e degli usi del paese in cui siamo. Ivi
è sempre la perfetta religione, il perfetto governo, l’uso
perfetto e compiuto di ogni cosa. Essi sono selvaggi allo
stesso modo che noi chiamiamo selvatici i frutti che la
natura ha prodotto da sé nel suo naturale sviluppo :
laddove, in verità, sono quelli che col nostro artificio
abbiamo alterati e distorti dall’ordine generale che
dovremmo piuttosto chiamare selvatici.
Montaigne: la consuetudine
• Le leggi della coscienza, che noi diciamo nascere dalla natura,
nascono dalla consuetudine; ciascuno, infatti, venerando
intimamente le opinioni e gli usi approvati e accolti intorno a lui, non
può disfarsene senza rimorso né conformarvisi senza
soddisfazione". [...] Il principale effetto della sua [della
consuetudine] potenza è che essa ci afferra e ci stringe in modo che
a malapena possiamo riaverci dalla sua stretta e rientrare in noi
stessi per discorrere e ragionare dei suoi comandi. In verità, poiché
li succhiamo col latte fin dalla nascita e il volto del mondo si
presenta siffatto al nostro primo sguardo, sembra che noi siamo nati
a condizione di seguire quel cammino. E le idee comuni che
vediamo aver credito intorno a noi e che ci sono infuse nell'anima
dal seme dei nostri padri, sembra siano quelle generali e naturali.
Per cui accade che quello che è fuori dei cardini della consuetudine
lo si giudica fuori dei cardini della ragione; Dio sa quanto
irragionevolmente, per lo più
Kant e il “giro breve”
• Kant : da Antropologia pragmatica e Scritti politici
• Una grande città, centro di uno Stato, dove si trovano i consigli locali
di governo, che possiede un'università (per la cultura scientifica) ed
è anche sede di commercio marittimo, che per mezzo di fiumi
favorisce il traffico dall'interno e coi paesi finitimi e lontani di diverse
lingue e costumi, una tal città, come è per esempio Konigsberg sul
Pregel, può essere presa come sede adatta per l'ampliamento della
conoscenza dell'uomo e per la conoscenza del mondo, la quale vi
può essere acquistata anche senza viaggiare.
•
Se i felici abitanti di Tahiti, mai visitati da nazioni più civili, nella
loro tranquilla indolenza fossero destinati a vivere anche per migliaia
di secoli, si potrebbe dare una risposta soddisfacente a questa
domanda: perché essi esistono? Non sarebbe stato altrettanto bene
che quest'isola fosse stata occupata con pecore e buoi felici anziché
con uomini felici nel semplice godimento? (citato in F.Remotti, Noi
primitivi, Bollati Boringhieri, 1990)
Radici ottocentesche
dell’antropologia
Positivismo
Colonialismo
Modernizzazione
L’oggetto dell’antropologia è ciò che l’Europa si è “lasciata alle spalle”
E.B.Tylor, da Primitive Culture
(1871)
Cultura o civiltà, intesa nel suo ampio
senso etnografico, è quell’insieme
complesso che include la conoscenza, le
credenze, l’arte, la morale, il diritto, il
costume o qualsiasi altra capacità e
abitudine acquisita dall’uomo in quanto
membro di una società
A.Leroi-Gourhan, da Il gesto e la
parola
• Tutta l’evoluzione umana contribuisce a porre al
di fuori dell’uomo ciò che, nel resto del mondo
animale, corrisponde all’adattamento specifico. Il
fatto materiale che colpisce di più è certo la
“liberazione” dell’utensile, ma in realtà il fatto
fondamentale è la liberazione della parola e
quella proprietà unica posseduta dall’uomo di
collocare la propria memoria al di fuori di se
stesso, nell’organismo sociale
• ).
…segue Leroi-Gouhran
• [...] L’azione manipolatrice dei Primati, in cui gesto e
utensile si fondono, è seguita presso i primi Antropiani
da quella della mano in motilità diretta in cui l’utensile
manuale è divenuto separabile dal gesto motore. Nella
tappa successiva, superata forse prima del Neolitico, le
macchine manuali si annettono il gesto e la mano in
motilità indiretta apporta solo il proprio impulso motore.
In epoca storica la forza motrice abbandona a sua volta
il braccio umano, la mano dà l’avvio al processo motore
nelle macchine animali o in macchine semoventi come i
mulini. Infine, durante l’ultimo stadio, la mano dà l’avvio
a un processo programmato con le macchine
automatiche che non solo esteriorizzano l’utensile, il
gesto e la motilità, ma fanno presa anche sulla memoria
e sul comportamento meccanico (Ibid.: 284; corsivo
nell’originale) .
I primitivi
Tensione fra
Assimilazione
antietnocentrica
dei primitivi, di cui
si mostra la comune
umanità
Assunzione di
disuguaglianza,
violenza epistemologica
Vocazione per la diversità
• Lo sguardo da lontano (Lévi-Strauss)
• Giro lungo (Kluckhohn)
Il problema della definizione della razionalità
umana e il radicamento nella filosofia
scettica (in contraddizione con le premesse
positivistiche)
Razza, cultura, etnia
Superamento del razzismo di radice
ottocentesca attraverso il concetto di
cultura
Pluralizzazione del concetto di cultura –
relativismo culturale
Essenzializzazione della cultura e forme di
fondamentalismo culturale
L’identità e le differenze culturali nel mondo
globale
La comparazione
Il metodo comparativo degli evoluzionisti
Il sogno di comparazione universale degli
Human Relations Area Files
Comparazione e descrizione etnografica
Il carattere intrinsecamente comparativo del
sapere antropologico
Vocazione critica dell’antropologia
Il confronto con l’altro costringe a un costante
ripensamento delle nostre categorie culturali, di
ciò che nel senso comune si dà di solito per
scontato e ovvio.
E. de Martino, lo “scandalo dell’incontro
etnografico” e l’ ampliamento della coscienza
storiografica.
Etnocentrismo, relativismo, etnocentrismo critico.
Affinità essenziale con il sapere storico.
La ricerca sul campo
Il fieldwork nello sviluppo delle scuole
antropologiche: Boas e Malinowski contro
l’ “antropologia da tavolino”
1922: Argonauts of Western Pacific
Il metodo dell’osservazione partecipante.
L’antropologia tra partecipazione diretta
(vissuta, empatica) e l’oggettivazione
dell’esperienza in dati.
Il fieldwork nell’antropologia di oggi
• Superamento del modello “romantico”
malinowskiano
Antropologo come
eroe solitario
nel cuore di
tenebra
Cultura intatta
nella sua autenticità
Non è più possibile pensare al campo come a una località circoscritta in
cui coesistono in modo esclusivo un popolo (un’etnia), un linguaggio,
una cultura, e in cui non siano già presenti saperi specialistici e
auto-interpretazioni (un’antropologia nativa)
Specialismi antropologici 1
Aree geografico-culturali
Specializzazione esclusiva in una, al
massimo due, aree culturali
per
- continenti (Africanisti, Americanisti,
Oceanisti etc.)
- Più ristrette aree culturali (Mediterraneo,
Medio Oriente, India o sue aree particolari)
- Etnie, aree linguistiche, popoli particolari
Folklore o demologia
Studio della cultura delle classi “arretrate” all’interno degli
stesi paesi occidentali.
Atteggiamento romantico: il folklore come espressione
dell’autentica anima del popolo-nazione
Atteggiamento positivista: la cultura contadina come
sopravvivenza di fasi precedenti dell’evoluzione
Concetto di tradizione, trasmissione orale, creazione
collettiva dei beni culturali
Problema del rapporto tra cultura tradizionale e cultura di
massa
Specialismi per aspetti della cultura
Partizioni tradizionali del campo culturale_
1. Parentela, matrimonio e vita familiare
2. Economia, lavoro, cultura materiale
3. Stratificazione sociale, forme della politica e del
potere
4. Linguaggio
5. Religione a magia (rituali, miti, pratiche
simboliche)
6. L’ambito estetico ed espressivo
Specialismi per problemi specifici
Esempi:
-
Antropologia medica
Etnoscienza
Antropologia psicologica
Etnografia della conversazione
Nuovi campi disciplinari
•
•
•
•
•
•
Antropologia urbana
del turismo
dello sport
dell’educazione
dei mass-media
della violenza
Specialismi per fonti o forme di
rappresentazione
-
Antropologia visuale
Antropologia museale
Antropologia letteraria
Antropologia storica
Antropolgoia filosofica
- Cosa si intende per Antropologia applicata
A cosa serve l’antropologia
Sbocchi professionali:
• Mediazione culturale (nella scuola, nella
sanità, nei servizi sociali)
• Cooperazione internazionale, gestione dei
conflitti
• Conservazione e valorizzazione del
patrimonio culturale etnografico
Storia degli indirizzi teorici
1. La scuola evoluzionista britannica
E.B.Tylor, J.G. Frazer
Unità intellettuale del genere umano
Concezione al singolare della “cultura”
Metodo comparativo
Ricerca dell’origine dei fenomeni culturali
Concetto di survival (sopravvivenza)
Stadi dello sviluppo culturale
Poligenesi dei fatti culturali simili
Intellettualismo e individualismo metodologico
Storia degli indirizzi teorici
2. Diffusionismi: interesse per i percorsi di
diffusione dei fatti culturali da un’unica
area d’origine. Approccio filologico.
Diffusionismo britannico (G. Elliot Smith, W.
PPerry, W.H.R. Rivers): diffusione
dall’Egitto
Scuola culturale austro-tedesca: Fritz
Graebner, Padre Schmidt – tesi dei
Kulturkreise (circoli culturali)
Storia degli indirizzi teorici
3. Scuola sociologica francese
(E. Durkheim, M. Mauss)
Radicamento sociale dei fatti culturali
Rappresentazioni collettive
Approccio di sociologia della conoscenza
Apertura di una prospettiva funzionalista
Storia degli indirizzi teorici
4. Particolarismo storico
Franz Boas e la scuola statunitense
Antievoluzionismo
Scetticismo verso la comparazione culturale a
vasto raggio
Ricerca sul campo
Centralità degli aspetti linguistici
Determinismo culturale vs. determinismo biopsicologico
Scuola di cultura e personalità
Storia degli indirizzi teorici
5. Funzionalismo inglese
La “rivoluzione in antropologia” di Malinowski
Approccio sincronico ed olistico: centralità del
contesto
Lo struttural-funzionalismo di A.R. Radcliffe-Brown:
cultura come insieme organico.
La cultura preserva e sostiene il sistema sociale.
Gli studi di E.E. Evans-Pritchard sulla
stregoneria degli Azande e sul sistema
segmentario dei Nuer.
Storia degli indirizzi teorici
6. Lo strutturalismo di Claude Lévi-Strauss
Influenza della linguistica strutturale. Gli
studi delle strutture elementari della
parentela e dei miti amerindi
Strutture dello “spirito umano”: matrici
cognitive governate da una logica binaria
Storia degli indirizzi teorici
7. L’antropologia interpretativa
Clifford Geertz e l’uomo come “animale che
produce significati”; etnografia come
processo ermeneutico di interpretazione di
significati.
Il ruolo della retorica e della politica nella
costruzione del sapere etnografico.
Etnocentrismo e relativismo
culturale
•
•
•
•
da M. Herskowitz, Man and His Works, 1960
L’etnocentrismo è il punto di vista secondo il quale la propria maniera di
vivere è preferibile a tutte le altre. Derivando logicamente dal processo di
inculturazione della prima infanzia, molti individui provano questo
sentimento in rapporto alla loro propria cultura, sia che essi lo formulino
verbalmente o no. Al di fuori della sfera di cultura euro-americana,
soprattutto fra i popoli illetterati, questo atteggiamento è dato per scontato,
più che enunciato in precisi termini verbali. In qualche forma l’etnocentrismo
si deve considerare come un fattore che contribuisce all’adattamento
dell’individuo e all’integrazione sociale. Per il rafforzamento dell’io in termini
di identificazione con il proprio gruppo i cui modi di vita sono implicitamente
accettati come i migliori, esso è della massima importanza. Ma quando,
come accade nella cultura euro-americana, esso viene razionalizzato e
posto alla base di programmi d’azione a danno del benessere degli altri
popoli esso dà vita a problemi molto seri
[...] (M. Herskowitz)
Ancora Herskowitz sul relativismo
•
•
Le valutazioni sono relative allo sfondo culturale dal quale esse emergono. Il principio
del relativismo culturale deriva da un’ampia raccolta di dati di fatto, raccolti mediante
l’applicazione delle tecniche di ricerca sul campo che ci hanno permesso di giungere
ai sottostanti sistemi di valore di società che hanno costumi diversi. Questo principio,
formulato in sintesi, è il seguente. I giudizi sono basati sull’esperienza, e l’esperienza
è interpretata da ogni individuo nei termini della sua propria inculturazione. [...]
Quando noi riflettiamo che certi principi intangibili come il giusto e l’ingiusto, il
normale e l’anormale, il bello e il convenzionale vengono assorbiti dalla più tenera
infanzia, quando una persona apprende i modi di vita del gruppo in cui egli è nato,
noi ci rendiamo conto che abbiamo qui a che fare con un processo d’importanza
primaria. Persino i fatti del mondo fisico sono visti attraverso lo schermo della cultura,
così che la percezione del tempo, dello spazio, del peso, della misura e di altre
“realtà” è mediata dalle convenzioni di ogni dato gruppo.
[...] In una cultura in cui sono sottolineati i valori assoluti, il relativismo di un mondo
che comprende molti modi di vita sarà difficile da comprendere. Anzi, questa varietà
offrirà un vero e proprio campo di battaglia per giudizi di valore fondati sulla misura in
cui un corpo di costumi dato rassomiglia o differisce da quello della cultura euroamericana.
Relativismo, universalismo e diritti
umani
• M. Herskowitz, Dichiarazione presentata alla
Commissione dei diritti umani dell’ONU (1947)
• 1. L’individuo realizza la propria personalità attraverso la
propria cultura : di conseguenza il rispetto
•
per le differenze individuali implica quello per le
differenze culturali
• Il rispetto per le differenze fra culture trova convalida
nella scienza che non ha scoperto alcuna tecnica di
valutazione qualitativa delle culture
• 3. Costumi e valori sono relativi alla cultura da cui
derivano
Lévi-Strauss : “Razza e storia”
•
•
•
da “Razza e storia” (1952), in Razza e storia e altri studi di
antropologia, Torino, Einaudi, 1975
[Una volta abbandonate le teorie sull’inuguaglianza biologica delle
razze, ci troviamo ancora di fronte in tutta la sua complessità il
problema della molteplicità e diversità delle culture. Limitarsi ad
affermare l’uguaglianza naturale di tutti gli uomini non basta] ; le
grandi dichiarazioni dei diritti dell’uomo hanno la forza e la
debolezza di enunciare un ideale troppo spesso dimentico del
fatto che l’uomo non realizza la propria natura in un’umanità
astratta, ma in culture tradizionali.
[Questa comune umanità si realizza attraverso e non malgrado le
differenze culturali. Il contributo delle culture alla civiltà consiste
non tanto nella somma delle acquisizioni di ciascuna, quanto negli
scarti differenziali che presentano fra loro. Il progresso è sempre
frutto della reciproca fecondazione di tradizioni culturali diverse]
Lévi-Strauss sull’etnocentrismo
• [Il peggior nemico di un simile modello di dialogo aperto,
attivo e generalizzato fra le culture è l’etnocentrismo.
L’etnocentrismo è un atteggiamento radicato nella
maggior parte degli uomini, che semplicemente rifiuta di
ammettere il fatto stesso della diversità culturale,
identificando la cultura e l’umanità con le proprie norme
e le proprie consuetudini locali. E’ l’atteggiamento che
nell’antichità portava a definire “barbaro” chi non faceva
parte della cultura greca o romana, e che ha condotto
l’Occidente moderno all’uso di termini come “selvaggio”.]
Questo atteggiamento di pensiero nel cui nome si
respingono i “selvaggi” fuori dell’umanità, è proprio
l’atteggiamento più caratteristico che contraddistingue
quei selvaggi medesimi. Il barbaro è innanzitutto l’uomo
che crede nella barbarie
“Sordità agli altri valori”
•
•
•
Da “Razza e cultura” (1971) e Lo sguardo da lontano (1983, trad.it. Torino,
Einaudi, 1985)
Gli atteggiamenti etnocentrici sono normali, anzi legittimi, e in ogni caso
inevitabili [...] Non è affatto riprovevole porre un modo di vivere e di pensare
al di sopra di tutti gli altri, e provare scarsa attrazione per determinati
individui il cui modo di vivere, di per sé rispettabile, si allontana troppo da
quello cui si è tradizionalmente legati [...] E’ presente in ogni cultura il
desiderio di opporsi alle altre culture che la circondano, di distinguersene,
insomma di essere se stessa.
[Occorre dunque dubitare dell’avvento di un mondo in cui le culture, colte da
passione reciproca, non aspirassero più che a celebrarsi a vicenda, in una
confusione in cui ciascuna perderebbe il fascino che poteva avere per le
altre, e le sue proprie ragioni di esistenza. Se pure fosse possibile, un regno
dell’uguaglianza e della fraternità segnerebbe la condanna di ogni
differenza e di ogni originalità creativa. Infatti] ogni creazione vera implica
una certa sordità al richiamo di altri valori, che può giungere fino al loro
rifiuto o alla loro negazione.
Omologazione e protezione della
diversità
• [La stessa lotta contro la discriminazione e a
favore di un’unica civiltà mondiale rappresenta
per l’umanità una forza entropica], distruttrice
dei vecchi particolarismi cui spetta l’onore di
aver creato quei valori estetici e spirituali che
danno alla vita il suo senso, e che noi
raccogliamo preziosamente in musei e
biblioteche perché ci sentiamo sempre meno
capaci di produrli.
• Cfr. Tristi Tropici
I paradossi del relativismo culturale
• Il razzismo culturalista e differenzialista
• Gli usi equivoci del concetto di identità
culturale
• La cultura come “finzione”
• L’invenzione della tradizione
Ernesto de Martino e
l’etnocentrismo critico
• 5. De Martino e l’etnocentrismo critico
• da La fine del mondo (postumo, Torino, Einaudi, 1977)
•
Si profila così il caratteristico paradosso dell’incontro etnografico :
o l’etnografo tenta di prescindere totalmente dalla propria storia
culturale nella pretesa di farsi “nudo come un verme” di fronte ai
fenomeni culturali da osservare, e allora diventa cieco e muto
davanti ai fatti etnografici e perde, con i fatti da osservare, la propria
vocazione specialistica ; ovvero si affida ad alcune “ovvie” categorie
antropologiche, assunte magari in un loro preteso significato “medio”
o “Minimo” o “di buon senso”, e allora si espone senza possibilità di
controllo al rischio di immediate valutazioni etnocentriche a partire
dallo stesso livello della più elementare osservazione [...].
…segue De Martino
•
L’unico modo di risolvere questo paradosso è racchiuso nello stesso
concetto dell’incontro etnografico come duplice tematizzazione, del “proprio”
e dell’ ”alieno”. L’etnografo è chiamato cioè ad esercitare una epoché
etnografica che consiste nell’inaugurare, sotto lo stimolo dell’incontro con
determinati comportamenti culturali alieni, un confronto sistematico ed
esplicito fra la storia di cui questi comportamenti sono documento e la storia
culturale occidentale che è sedimentata nelle categorie dell’etnografo
impiegate per osservarli, descriverli e interpretarli : questa duplice
tematizzazione della storia propria e della storia aliena è condotta nel
proposito di raggiungere quel fondo universalmente umano in cui il “proprio”
e l’ “alieno” sono sorpresi come due possibilità storiche di essere uomo,
quel fondo, dunque, a partire dal quale anche “noi” avremmo potuto
imboccare la strada che conduce alla umanità aliena che ci sta davanti nello
scandalo iniziale dell’incontro etnografico. In questo senso l’incontro
etnografico costituisce l’occasione per il più radicale esame di coscienza
che sia possibile all’uomo occidentale ; un esame il cui esito media una
riforma del sapere antropologico e delle sue categorie valutative, una
verifica delle dimensioni umane oltre la consapevolezza che dell’esser
uomo ha avuto l’occidente.
Le culture nella contemporaneità
• Lévi-Strauss, da Lo sguardo da lontano (trad.it. Torino,
Einaudi, 1985, ed.orig. 1983)
• Le culture sono simili a treni che circolano più o meno in
fretta, ognuna sul suo binario e tutti in direzioni diverse
[...] Ogni membro di una cultura le è solidale, tanto
quanto quel viaggiatore ideale è solidale col suo treno
[...] Noi ci spostiamo trascinandoci dietro, letteralmente,
questo sistema di riferimento, e gli insiemi culturali che si
sono costituiti al di fuori di esso non ci sono percettibili
che attraverso le deformazioni che questo imprime loro.
Può perfino renderci incapaci di vederli
Contro l’essenzialismo culturale
• C.Geertz, da “The uses of diversity” (in The Tanner’s
Lectures about Human Values,Cambridge 1986)
• Viviamo in mezzo a un enorme collage, in un mondo che
comincia ad assomigliare più ad un bazaar kuwaitiano
che ad un club di gentiluomini inglesi.
• [Compito dell’antropologia è quello di costruire] narrative
e scenari per rimettere a fuoco la nostra attenzione,
rappresentando noi stessi e tutti gli altri in mezzo a un
mondo pieno di irriducibili stranezze, di cui non
possiamo disfarci.
•
Un mondo post-culturale
• J.Clifford, da I frutti puri impazziscono, (trad.it. Torino, Bollati
Boringhieri, 1993, ed. orig. 1989)
• Il privilegio accordato [nei primi due terzi del nostro secolo] ai
linguaggi naturali e, per così dire, alle culture naturali, si sta
dissolvendo. Questi oggetti e queste basi epistemologiche si
rivelano come delle riuscite costruzioni immaginative, volte a
contenere e ad addomesticare l’eteroglossia. In un mondo in cui
troppe voci parlano tutte insieme, un mondo dive il sincretismo e
l’invenzione parodistica stanno divenendo la regola e non
l’eccezione, un mondo urbano e multinazionale, che ha
istituzionalizzato la transitorietà - in cui vestiti americani fabbricati in
Corea sono indossati dai giovani in Russia, in cui le radici di ognuno
sono in qualche misura tagliate - in un simile mondo, diventa
sempre più difficile fissare l’identità umana e il significato in
riferimento a una “cultura” o a un “linguaggio” coerenti
Homeless minds?
• [I processi di formazione dell’identità]
riguardano oggi una homeless mind, che
ha ormai abbandonato l’aspirazione a
risolversi in una stabile communitas [...]
L’identità di ciascun individuo o gruppo si
produce simultaneamente in molti ambiti di
attività, ad opera di molti diversi agenti e
per diversi scopi.
Scrivere contro la cultura?
I rischi del considerare cultura e identità
come pure costruzioni ideologiche,
dispettendo il problema della differena
come costitutiva della soggettività
(agency) umana.
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