ERATOSTENE
ARCHIMEDE
GALILEO GALILEI
ISAAC NEWTON
CHARLES DARWIN
KONRAD LORENZ
GLI SCIENZIATI
DELL’ATOMO
ALBERT EINSTEIN
RITA LEVI MONTALCINI
Scegli con chi
iniziare…..
Sappiamo tutti che la terra è rotonda, cioè che ha la
forma di una sfera; oggi esistono anche le fotografie
riprese dalle sonde spaziali a dimostrarlo.
Inoltre sappiamo che la lunghezza della circonferenza del
globo terrestre, misurata all’equatore, è di circa 40000
chilometri.
Ma se non sapessi già queste cose, come potrei fare per
scoprirle? Saprei dimostrare che la terra è rotonda?
Saprei misurare le sue dimensioni?
Non è necessario usare strumenti complicati, satelliti
artificiali o raggi laser…………è sufficiente fare qualche
semplice osservazione e misurazione, e usare la
matematica,
E’ probabile che fin dall’antichità fossero noti due
fenomeni empirici.
Dall’osservazione del fatto che una nave scompare sotto
l’orizzonte si può dedurre che la superficie della terra è
curva; se fosse piatta, infatti, la nave dovrebbe rimanere
sempre visibile rimpicciolendosi soltanto man mano che si
allontana.
Inoltre la forma curva dell’ombra che si taglia sulla luna
in occasione delle eclissi rafforza la stessa conclusione,
se si suppone ( come è ragionevole ) che si tratti
dell’ombra proiettata dal nostro pianeta.
Queste osservazioni e questi ragionamenti dovevano
essere familiari agli antichi Greci, che sapevano viaggiare
per mare e guardavano il cielo notturno molto più di
quanto facciamo noi ( dopotutto non avevano la
televisione, le discoteche e l’inquinamento luminoso……..)
Eratostene di Cirene era uno studioso greco che in Egitto
dirigeva la grande e famosa biblioteca di Alessandria, nel
terzo secolo avanti Cristo.
Egli era persuaso che la terra fosse rotonda, e in Egitto
notò qualcosa che lo convinse ancora di più; si trattava di
un fenomeno piuttosto curioso…………..


Nella città di Siene ( odierna Assuan ) a mezzogiorno
del 21 giugno il sole si specchia nell’acqua dei pozzi e gli
edifici verticali non fanno alcuna ombra; in quel
momento dell’anno, cioè, il sole illumina Siene con raggi
perfettamente verticali;
Nello stesso giorno, alla stessa ora, nella città di
Alessandria ( che si trova sul Mediterraneo, quasi 800
km più a nord ) gli edifici invece hanno un’ombra; quindi
ad Alessandria i raggi del sole sono inclinati.
Eratostene capì che anche questa osservazione indica che
la terra è sferica. Ma non solo: si rese conto che una
semplice misura avrebbe permesso di calcolare le
dimensioni del globo terrestre.
Quale fu la brillante intuizione di Eratostene?
Se la superficie terrestre è curva, e in un certo luogo i
raggi del sole arrivano verticalmente ( come a Siene, dove
un bastone non fa ombra ), allora in un altro luogo posto
più a nord, sullo stesso meridiano, i raggi del sole devono
arrivare inclinati rispetto alla perpendicolare ( come ad
Alessandria, dove il bastone avrà un’ombra).
Eratostene misurò l’angolo tra i raggi del sole e la verticale ad Alessandria e conosceva la distanza tra Siene ed
Alessandria.
Verifichiamolo con l’aiuto del disegno: l’angolo misurato
da Eratostene è uguale all’angolo formato, al centro della
terra, dai due raggi che partendo dal centro della terra
raggiungono le due città ( sono angoli alterni interni).
Dallo schema si riconosce che l’angolo  è contenuto
nell’angolo giro ( 360° ) tante volte quante la distanza
Alessandria - Siene è contenuta nella lunghezza
dell’intera circonferenza terrestre. Basta quindi
risolvere una semplice proporzione per trovare la
circonferenza terrestre!
CIRCONFERENZA
TERRESTRE
:
DISTANZA TRA
DUE CITTA’
=
360°
ANGOLO
: MISURATO
Proprio in questo modo Eratostene calcolò la
circonferenza terrestre, trovando un valore pari a circa
39690 km.
Egli ottenne così la prima misurazione scientifica delle
dimensioni del nostro pianeta. Il suo risultato è
vicinissimo al valore effettivo, che oggi conosciamo con
estrema precisione.
La storia di Eratostene dimostra quindi che si possono
fare scoperte importanti anche senza ricorrere a
laboratori pieni di sofisticate attrezzature tecnologiche.
Archimede nacque nel 287 a. C. a Siracusa, che era una
colonia greca. Egli fu uno dei più grandi geni scientifici
dell’antichità. Aveva grande passione per la matematica, e
in questo campo fece numerose scoperte importanti.
Fu il primo per esempio a calcolare fino alla seconda cifra
decimale il valore del numero , cioè il rapporto tra la
lunghezza di una circonferenza e quella del suo diametro.
Per calcolare  Archimede fece il seguente ragionamento:
 La lunghezza della circonferenza è certamente
compresa tra il perimetro di un poligono regolare a
essa circoscritto e il perimetro dello stesso poligono
regolare ad essa inscritto
 Al crescere del numero dei lati del poligono, il suo
perimetro approssima sempre più da vicino la
lunghezza della circonferenza.
Archimede riuscì a calcolare il perimetro dei poligoni
regolari inscritti e circoscritti, e ottenne così il valore
 = 3,14
Con un metodo simile dimostrò poi che l’area di un cerchio
di raggio r è pari a r2.
In seguito riuscì a dimostrare che una sfera inscritta in
un cilindro ha un volume che è uguale a due terzi del
volume del cilindro.
Poiché l’altezza del cilindro è due volte il raggio della
sfera, il suo volume è pari a (2r)X(r2) = 2r3.
Il volume della sfera è due terzi di questo, ed è dunque
dato da 4/3 r3.
Archimede era molto fiero di questa scoperta, e volle
avere sulla propria tomba la raffigurazione di un cilindro
e una sfera.
Archimede era anche un bravo sperimentatore e a lui
dobbiamo molte leggi della statica, la parte della fisica
che studia l’equilibrio.
Osservò per esempio che in una bilancia a due bracci, pesi
uguali posti a distanze uguali sono in equilibrio, mentre
pesi diversi posti a distanze uguali si inclinano dalla parte
dove c’è il peso maggiore.
Inoltre scoprì che, quando le distanze dal fulcro sono
diverse, i due pesi sono in equilibrio a distanze
inversamente proporzionali ai pesi stessi.
Per esempio la grossa pietra sulla destra è equilibrata dal
peso a sinistra, che è tre volte minore, perché il braccio
sinistro è tre volte più grande del destro.
In una leva come questa, se si vuole sollevare la pietra di
10 cm bisogna abbassare l’altra di 30 cm.
Ciò significa che il lavoro meccanico ( cioè il prodotto
dell’intensità della forza per lo spostamento dell’oggetto
a cui la forza è applicata ) nella leva è lo stesso sia a
sinistra sia a destra dove la forza, cioè il peso della
pietra, è tre volte maggiore.
P : R = br : bp
Qualcosa di simile si verifica nella carrucola: se essa ha
una sola puleggia, per sollevare un oggetto occorre
applicare una forza pari al suo peso.
Se invece si aumenta il numero delle pulegge, si può
sollevare lo stesso peso impiegando una forza minore.
In tal caso, però, la fune dovrà scorrere per una distanza
maggiore.
Perché certi oggetti galleggiano nell’acqua, mentre altri
vanno a fondo? E più in generale, perché ogni oggetto
quando si trova immerso nell’acqua pesa di meno?
Si dice che entrando nella vasca da bagno, e vedendo
traboccare l’acqua, Archimede abbia avuto un’improvvisa
intuizione e abbia gridato “eureka!”, che in greco significa
“ho trovato!”.
Aveva capito quello che oggi chiamiamo “principio di
Archimede”: un oggetto che si immerge, e sposta così un
certo volume di acqua, riceve una spinta dal basso verso
l’alto pari al peso del volume d’acqua spostato.
Per esempio prendiamo il caso di una pietra che pesa 3 kg
e ha un volume pari a un litro. Quando è immersa essa
sposta un litro d’acqua, che pesa 1 kg; perciò il peso della
pietra immersa è ridotto di un kg.
Il principio di Archimede permette di prevedere se un
oggetto starà a galla o andrà a fondo, a seconda della
sostanza di cui è fatto.
Se la sostanza ha una densità ( o, in modo equivalente, un
peso specifico) maggiore di quello dell’acqua, l’oggetto
andrà a fondo; in caso contrario starà a galla.
S = spinta di Archimede
ps = peso specifico del corpo
immerso
V = volume del liquido
spostato
Gerone, re di Siracusa, aveva fatto realizzare una corona
d’alloro tutta d’oro. Sospettava che l’orafo l’avesse
ingannato e avesse mescolato l’oro con l’argento, che è un
metallo meno prezioso.
Come poteva si scoprire se l’orafo era stato onesto?
Per trovare la risposta, Archimede usò probabilmente
una bilancia a cui appese la corona e una pepita d’oro dello
stesso peso.
L’argento è meno denso dell’oro, quindi se la corona è
fatta di una lega di oro e argento essa avrà una densità
minore, e perciò volume maggiore, rispetto alla pepita.
Quando è immersa nell’acqua, la corona riceverà allora
una spinta verso l’alto maggiore rispetto a quella che
riceve la pepita, e la bilancia non sarà più in equilibrio.
Archimede mise le sue conoscenze scientifiche al
servizio del re Gerone anche in occasione dell’assedio di
Siracusa da parte dei Romani guidati da Marcello.
A quanto pare riuscì a rovesciare alcune navi della flotta
romana, usando macchine da guerra basate sui principi
della leva e della carrucola multipla.
Inventò anche gli specchi ustori, che concentravano la
luce del sole fino a dar fuoco al legno delle navi nemiche.
I Romani conquistarono infine Siracusa nel 212 a. C.,
quando Archimede aveva ormai 75 anni.
Marcello aveva dato ordine che egli fosse risparmiato, ma
durante il saccheggio della città un soldato romano non
riconobbe il vecchio uomo di scienze e lo uccise.
Nel Medioevo e nel Rinascimento le persone istruite, che
erano in piccola minoranza, non avevano molto interesse
per la scienza.
Si pensava che tutto ciò che c’è da conoscere sulla natura
fosse già stato scoperto da Aristotele, il grande filosofo
greco vissuto nel quarto secolo prima di Cristo.
Aristotele era stato un brillante osservatore e
classificatore dei fenomeni naturali e classificatore dei
fenomeni naturali e degli esseri viventi, ma non aveva
effettuato esperimenti per mettere alla prova le proprie
intuizioni.
In alcuni casi le ipotesi di Aristotele erano sbagliate,
tuttavia esse si tramandano nei secoli come verità
assolute, senza che nessuno osasse metterle in
discussione.
Alla fine del Cinquecento però Galileo Galilei introdusse il
metodo sperimentale.
Egli diventò così il primo scienziato nel senso moderno del
termine, e diede uno scossone alla visione aristotelica del
mondo.
Nato a Pisa nel 1564, il giovane Galileo studiò medicina,
ma il corpo umano non lo interessava molto; preferiva
investigare la dinamica, ovvero le caratteristiche e le
cause del movimento degli oggetti.
Pare che un giorno durante la Messa nel duomo di Pisa,
Galileo abbia notato un lampadario che oscillava, messo in
movimento da chi aveva acceso le candele.
Al passare del tempo le oscillazioni diventavano sempre
più piccole. Galileo decise di controllare come cambiava il
loro periodo, cioè il tempo impiegato per un’oscillazione
completa, avanti e indietro.
All’epoca non esistevano cronometri, e Galileo usò le
pulsazioni del cuore per misurare gli intervalli di tempo.
Con sorpresa si accorse che i tempi non cambiavano
del
dell’oscillazione
l’ampiezza
fosse
qualunque
candeliere.
Ripetè poi l’esperimento a casa, facendo oscillare un
sasso appeso a una corda. Ebbe così conferma di ciò che
aveva misurato nel duomo, ma scoprì anche qualcosa in
più.
Il periodo del pendolo non dipende dall’ampiezza
dell’oscillazione, ma non dipende neppure dal peso del
sasso utilizzato. L’unico modo per cambiare il periodo di
un pendolo è variare la lunghezza della sua corda.
Galileo raccomandò ai medici di usare un pendolo di
lunghezza fissa per misurare le pulsazioni cardiache.
Questo apparecchio chiamato pulsometro era un
prototipo degli orologi a pendolo, che nei secoli successivi
sarebbero diventati comuni in tutte le case.
Dunque in un pendolo, sotto l’azione della forza di gravità,
una pietra leggera e una pietra pesante impiegano lo
stesso tempo per raggiungere la posizione più bassa.
Galileo si convinse allora che anche in caso di caduta
libera da una stessa altezza le due pietre dovevano
impiegare lo stesso tempo per raggiungere il suolo.
Aristotele però aveva detto che gli oggetti pesanti
cadono più rapidamente di quelli leggeri,
Chi aveva ragione?
Per stabilirlo ci voleva un esperimento. Secondo la
leggenda, Galileo lasciò cadere dalla torre pendente di
Pisa due sfere di dimensioni uguali, una di legno e una
,molto più pesante di ferro: gli spettatori increduli
poterono verificare che le due sfere toccavano terra in
tempi uguali.
Dunque tutti gli oggetti in caduta libera,qualunque sia il
loro peso,accelerano verso il suolo nello stesso modo.
L’esperimento di Galileo
fu ripetuto sulla luna
durante la missione
Apollo 15
dall’astronauta David
Scott, qui ritratto dal
suo compagno
d’avventura Alan Bean
Un oggetto che cade si muove verso il basso con velocità
sempre crescente.
Galileo voleva misurare le caratteristica di questo moto
accelerato e trovarne una descrizione matematica.
Ma il movimento è troppo rapido, e senza l’aiuto di una
macchina fotografica è impossibile osservare i dettagli.
Galileo allora ebbe l’idea di rallentare la caduta facendo
scivolare una pallina su un piano inclinato, e misurò le
distanze percorse dalle palline al variare dell’intervallo di
tempo trascorso dalla sua partenza.
Per misurare l’intervallo di tempo usò un orologio ad
acqua, aprendo e chiudendo un rubinetto posto al fondo
di una botte: la quantità d’acqua uscita dal rubinetto è
infatti
direttamente
proporzionale
alla
durata
dell’apertura del rubinetto.
In questo modo Galileo scoprì che quando si cade da
fermi, la distanza percorsa è proporzionale al quadrato
del tempo trascorso.
Galileo verificò che ciò accade qualunque sia l’inclinazione
del piano.
Ne dedusse che il risultato deve valere anche nel casolimite di un piano verticale, cioè di una caduta libera della
pallina.
Aveva scoperto la legge del moto di caduto dei gravi.
s = ½ g t2
Nel 1609 Galileo venne a sapere dell’invenzione di uno
strumento che permetteva di vedere ravvicinati oggetti
anche molto distanti. Riuscì costruire un cannocchiale e lo
usò per osservare la luna, i pianeti e le stelle.
Nel 1610 pubblicò i risultati di queste osservazioni nel
volumetto illustrato Sidereus Nuncius ( Il messaggero
delle stelle ).
Le scoperte astronomiche di Galileo lo resero famoso, ma
gli procurarono anche molti guai.
Secondo la tradizione aristotelica, infatti, tutto
l’universo ruota intorno alla terra.
Ma nel 1543 l’astronomo polacco Niccolò Copernico aveva
proposto un modello diverso del cosmo, nel quale la Terra
e gli altri pianeti ruotano invece intorno al sole.
La chiesa cattolica considerava il modello copernicano
un’eresia.
E quando Galileo lo sostenne, sulla base delle nuove
osservazioni fatte con il cannocchiale, finì sotto
processo.
Il 22 giugno1633 davanti alla Santa Inquisizione Galileo
dovette abiurare, cioè rinnegare tutte le affermazioni
precedenti, dichiarando di credere invece alla dottrina
della Chiesa.
Ebbe così salva la vita ma fu mandato al confino in una
villa di Arretri, vicino a Firenze. Qui passò i suoi ultimi
anni e morì nel 1642.
Isac Newton nacque a Woolsthorpe, una cittadina della
campagna inglese, alla fine del 1642.
A diciannove anni iniziò gli studi universitari in una delle
accademie più prestigiose, il Trinity College di
Cambridge.
Ma nel 1665 l’università dovette essere chiusa a causa di
un’epidemia di peste. Newton allora dovette ritornare a
casa, nel suo paese natale, dove studiò e lavorò
tantissimo.
Molte idee scientifiche che egli sviluppò in seguito
nacquero proprio nel corso di quell’anno passato in
isolamento.
Per studiare la luce solare, Newton fece un forellino nello
scuro di una finestra. Così la stanza buia veniva
attraversata da un sottile fascio di luce, che Newton
fece passare attraverso un prisma di vetro.
Un paio di metri oltre il prisma mise uno schermo e vide
che l’immagine del forellino non era una macchia bianca,
ma una striscia di luce che conteneva tutti i colori
dell’arcobaleno. Poi fece passare i singoli fasci di luce
colorata attraverso un secondo prisma, e vide che la luce
colorata non subiva nessun altro tipo di scomposizione.
Newton scoprì così che la luce bianca è il risultato della
sovrapposizione di fasci di luce colorata, e che la forma
più semplice della luce è quella colorata.
Nel 1684, convinto dall’astronomo Halley (che ha dato il nome a una
cometa), Newton scrisse il tratto intitolato “I principi matematici dalla
filosofia naturale”, che ancora oggi è giudicato l’opera più importante
della scienza moderna.
Qui Newton spiegò per la prima volta come il moto degli oggetti, o corpi,
dipende dalle forze che agiscono su di essi.
Lo fece enunciando le tre leggi della dinamica:
 La prima legge della dinamica, o principio inerzia, afferma che un
corpo rimane nel suo stato di quiete, o di moto rettilineo uniforme,
se la forza totale che agisce su quel corpo è nulla ;
 La seconda legge della dinamica, o legge fondamentale F = mxa,
spiega in che modo la velocità di un corpo cambia quando è costretto
a mutare il suo stato di moto: l’ accelerazione a di un corpo, cioè la
variazione della velocità del corpo nell’unità di tempo, è
proporzionale all’intensità della forza F che agisce sul corpo ed è
inversamente proporzionale alla massa m del corpo;
 La terza legge della dinamica, infine, è nota come principio di azione
e reazione: afferma che se un corpo agisce su un altro corpo con una
certa forza, allora anche il secondo corpo agisce sul primo con una
forza uguale e contraria.
Questa legge della dinamica è sorprendente, e lo era ancora di più per i
contemporanei di Newton.
Se il sole attira la Terra, ragionava Newton, allora anche la Terra deve
attirare il Sole con una forza di uguale intensità e di verso opposto.
Intorno al 1670, utilizzando i risultati dell’astronomo Klepero, Newton
aveva ricavato la formula matematica che descrive la forza con cui il sole
attrae i pianeti.
Egli potè così enunciare la legge della gravitazione universale: due corpi
qualsiasi si attraggono con una forza proporzionale alle loro masse e
inversamente proporzionale al quadrato dalle loro distanze.
La forza di attrazione diminuisce cioè di 4 volte ogni volta che la distanza
tra i due corpi raddoppia.
Immagina di essere sulla cima di una montagna. Se spari un proiettile con
un cannone in direzione orizzontale, il proiettile dopo aver percorso un
certo spazio cadrà a terra con una traiettoria curva come nella figura a),
tratta da un disegno di Newton
Se lanci il proiettile con più forza esso avrà una velocità iniziale più alta, e
prima di cadere a terra percorrerà una distanza maggiore come nella
figura b)
Portando agli estremi questo ragionamento, Newton comprese che se il
proiettile viene lanciato con una velocità sufficientemente alta, esso non
ricadrà più al suolo come in figura c) ma inizierà a orbitare in torno alla
terra, proprio come i pianeti in torno al sole.
Quindi secondo le intuizioni di Newton la forza di attrazione
gravitazionale spiega sia perché un corpo cade, sia perché un pianeta
ruota intorno al sole: si tratta dunque di una forza universale. Questa
legge, applicata l’attrazione che il sole e la luna esercitano sulle acque
degli oceani, permise a Newton di prevedere l’altezza delle maree.
Nel 1669, per i suoi grandi meriti, Newton fu nominato professore di
matematica a Cambridge e qualche anno più tardi si trasferì a Londra,
dove divenne Governatore della Zecca inglese. anche in questo lavoro
Newton mise a frutto il suo ingegno.
I falsari inglesi a quei tempi limavano i bordi delle monete d’oro e
d’argento per raccogliere il metallo prezioso; poi rimettevano in
circolazione le monete alleggerite, il cui valore effettivo era perciò
diminuito. Per combattere questa pratica Newton introdusse la
zigrinatura del contorno delle monete: così se un falsario avesse limato il
metallo, avrebbe rovinato la zigrinatura rendendo immediatamente visibile
la truffa e quindi impossibile lo smercio delle monete falsate.
Oggi Newton è giustamente ricordato come un grande matematico, fisico
e pioniere della scienza moderna, ma in realtà il percorso della sua ricerca
fu tutt’altro che lineare.
Nel seicento non era ancora chiaro quale fosse il metodo migliore per
interrogare la natura e scoprirne i segreti.
Così per oltre trent’anni Newton si dedicò all’alchimia e alla magia,
accumulando un fallimento dopo l’altro.
La sua personalità inquieta e tormentata era dovuta anche a frequenti
malattie; forse provocate dalle sostanze nocive e velenose usate nei suoi
esperimenti.
Charles Darwin nacque il 12 febbraio 1809 a Shrewsbury, una cittadina
dell’Inghilterra meridionale, in una famiglia di appassionati studiosi dei
fenomeni naturali.
Il nonno Erasmus Darwin era un famoso zoologo e nel suo libro Zoonomia
aveva presentato nuove idee e ipotesi a proposito dell’evoluzione. Fin da
bambino Charles era affascinato dalla natura e collezionava minerali, conchiglie e insetti.
Un giorno voleva catturare un bel coleottero, ma aveva già le mani piene:
ebbene, ci teneva così tanto che lo portò a casa tenendolo tra le braccia.
All’università Darwin studiò medicina e teologia, ma non era molto
interessato a questa materia.
Fu invece fortemente influenzato dalle idee di scienziati come Charles
Lyell, il fondatore dalla moderna geologia.
Lyell in particolare sosteneva che la terra è molto antica ed evolve con
cambiamenti graduali che richiedono tempi lunghissimi.
A 22 anni il giovane Charles Darwin colse l’occasione di imbarcarsi come
naturalista a bordo del Beagle, una nave della marina militare che doveva
fare il giro del mondo.
Durante questo lungo viaggio,durato quasi 5 anni, Darwin osservò molti
fenomeni naturali che descrisse poi in libri pubblicati dopo il suo ritorno
in Inghilterra.
Per esempio:
 trovò in Sudamerica molti fossili di animali sconosciuti in Europa
 spiegò la formazione degli atolli corallini ipotizzando che i coralli
crescono mentre l’isola che circondano lentamente affonda
 studiò il modo in cui gli insetti impollinano i fiori di orchidea
1. Il Beagle salpò dall’Inghilterra il 27
dicembre del 1831; toccò le isole Canarie e di Capo Verde e approdò in
Brasile dove iniziò a collezionare esemplari di molti nuovi tipi di animali
e piante.
2. Nel primo anno esplorò la foresta
tropicale poi via terra raggiunse
Buenos Aires, dove una guerra civile
lo bloccò fino al 1833. Esplorando
l’interno visitò molti bacini di rocce
sedimentarie ricche di fossili
1.
2.
3. Nel marzo del 1834 il Beagle potè
ripartire, visitò le isole Falkland e
poi passò lo stretto di Magellano.
Darwin esplorò così il Cile dove il
20 febbraio 1835 assistette al
terremoto che distrusse la città
di Valdivia. Poi visitò l’interno, attraversando le Ande ed ebbe così
modo di constatare che gli animali
della costa occidentale del Sudamerica sono molto diversi da quelli
della costa orientale.
1.
2.
3.
4. Il 15 settembre 1835 il Beagle fece rotta verso le isole Galapagos,
dove rimase per circa un mese.
5. Il viaggio continuò poi verso Tahiti
e la Nuova Zelanda. Nel 1836 il
viaggio di ritorno toccò l’Australia,
Sumatra e l’isola Mauritius. Passato il Capo di Buona Speranza, dopo
una nuova sosta in Brasile, il Beagle approdò in Inghilterra il 2 ottobre 1836.
La tappa fondamentale del viaggio di Darwin fu la
visita alle isole Galàpagos, che si trovano
sperdute nell’oceano pacifico, a ovest dell’odierno
Ecuador. Queste isole erano (e sono tuttora) un
paradiso naturale un “laboratorio” ideale in cui
osservano le caratteristiche di specie che vivono
isolate dal resto del mondo.
Darwin in particolarmente studiò attentamente i fringuelli.
Sulle diverse isole ne trovò 13 specie, molto
simili tra loro ma differenti per la forma e
le dimensioni del becco: il becco sembrava
essersi “adattato” all’ambiente per raccogliere e sminuzzare il particolare tipo di cibo disponibile, che era diverso su ciascuna
isola.
Nel tentativo di spiegare queste osservazioni, Darwin immaginò che:
 in passato un gruppo di fringuelli appartenenti a un singola specie doveva essere arrivato alla Galàpagos dal sud America;
 successivamente in questa specie si erano prodotte varietà caratterizzate
da becchi diversi;
 ciascuna varietà aveva poi dato origine a
un nuova specie, adatta a nutrirsi di un
particolare tipo di cibo.
Nel 1838 Darwin fu ispirato da un libro
dell’economista Thomas Malthus.
Secondo Malthus l’enorme crescita delle popolazioni umane avrebbe prima o poi fatto nascere una competizione tra gli uomini per
procurarsi risorse come il cibo, le terre da
coltivare o l’acqua.
Darwin applicò questa ipotesi a tutto il mondo
vivente, introducendo il concetto di lotta per
l’esistenza :
 gli organismi sono continuamente in competizione per le risorse naturali;
 se non sono in grado di ottenere risorse
sufficienti dall’ambiente, muoiono e non lasciano discendenti
Per ottenere un cane dal muso corto come il
mastino, per esempio, si incrociano due cani
con il muso un po’ più corto del normale: è allora probabile che i loro cuccioli avranno il
muso corto.
Se si incrociano tra loro i cuccioli, la nuova
cucciolata avrà il muso ancora più corto, e così via. Questo è un esempio di selezione artificiale, cioè realizzata dall’uomo.
Darwin ipotizzò che la selezione naturale fosse sempre all’opera in natura. Nella lotta per
l’esistenza, gli organismi che casualmente nascono con caratteristiche più adatte
all’ambiente in cui vivono hanno maggiore probabilità di sopravvivere e di riprodursi; passano così ai figli le proprie caratteristiche,
e queste a lungo andare (cioè dopo molte generazioni) diventano dominanti nella popolazione.
Su questa base, nel 1859, Darwin presentò
nel libro L’origine delle specie la sua teoria
dell’evoluzione per selezione naturale.
La teoria fu subito contrastata dalla Chiesa,
perché la Bibbia non parla di evoluzione o di
selezione naturale.
Fu invece accolta con entusiasmo dalla maggior parte dei colleghi di Darwin, che da tempo cercavano di spiegare scientificamente
l’origine e le trasformazioni delle specie viventi, senza ricorrere a principi soprannaturali.
Galapagos in spagnolo significa testuggini .
Nelle isole con vegetazione più fitta le testuggini hanno un carapace (la corazza) molto
chiuso, che le protegge quando attraversano i
cespugli. Nelle isole più aride il carapace è più
aperto, così la testuggine può allungarsi alla
ricerca di cibo tra rovi e cactus.
Intorno all’anno 1800 i chimici francesi Lavoisier e Proust
scoprirono le leggi che regolano la formazione dei
composti nelle reazioni chimiche.
Per spiegare queste leggi l’inglese John Dalton propose la
teoria atomica, secondo cui ogni elemento chimico è
costituito da moltissimi atomi identici, ciascuno dei quali
ha in sé tutte le proprietà dell’elemento.
Gli atomi dovevano essere particelle molto piccole,
invisibili anche al microscopio, con dimensioni dell’ordine
di 10-10m (un decimo di milionesimo) e prive di carica
elettrica.
In greco atomo significa “invisibile”: per Dalton infatti gli
atomi erano i costituenti ultimi della materia, privi di
qualsiasi struttura interna.
Nel 1870 il chimico russo Dimitri Ivanovic Mendeleev
basò su questo teoria la sua classificazione dei diversi
tipi di atomi: il risultato era riassunto nella tabella
periodica che permette di spiegare tutti i fenomeni
chimici allora conosciuti.
Alla fine dall’ottocento però i francesi Pierre e Marie
Curie scoprirono che gli atomi di alcune elementi chimici
possono trasformati spontaneamente in atomi di tipo
diverso.
Tra questi atomi “speciali “ c’è il radio, e il fenomeno fu
chiamato radioattività.
Gli atomi radioattivi emettono corpuscoli chiamati
particelle alfa (se carichi positivamente) o particella beta
(se carichi negativamente).
La radioattività quindi dimostra che l’atomo non è
indivisibile, ma contiene particelle più piccole dotate di
carica elettrica.
Poiché però complessivamente l’atomo è neutro, al suo
interno devono esserci particelle con cariche elettriche
positive e negative che si compensano a vicenda.
Negli stessi anni il fisico inglese Joseph John Thomson,
facendo esperimenti con i tubi catodici, aveva
identificato gli elettroni, che sono particelle più piccole
degli atomi, sono cariche negative e hanno proprietà
simili alle particelle beta.
Thomson concluse che l’atomo contiene elettroni, e
propose il primo modello per la struttura interna
dell’atomo: una specie di “panettone” sferico, fatto di una
sostanza dotata di carica elettrica positiva, al cui interno
sono distribuite “uvette” corrispondenti agli elettroni.
Nel 1911 il fisico neozelandese Ernest Rutherford eseguì
un esperimento destinato a rivoluzionare la nostra
conoscenza dell’atomo. Utilizzò una sorgente radioattiva
come “cannone” per sparare particelle alfa contro lamine
d’oro sottilissime, spesse poche centinaia atomi.
Per il modello di Thomson i “proiettili” dovevano subire
una piccola deviazione, a causa della forza elettrica di
repulsione tra le particelle alfa e la carica positiva
distribuita negli atomi dell’oro.
Rutherford scoprì invece con meraviglia che la maggior
parte della particelle alfa oltrepassava lamina d’oro senza
deviare, ma alcune rimbalzavano come se avessero colpito
un solido impenetrabile.
Rutherford propose allora un nuovo modello dell’atomo,
secondo cui:
 la carica elettrica positivo è concentrata in un nucleo
centrale piccolissimo, che ha un raggio di circa 10 -14
m (un centesimo di miliardesimi di millimetro):
 gli elettroni orbitano intorno al nucleo, a un distanza
pari a diecimila volte il raggio del nucleo stesso.
Secondo questo “modello planetario”, in cui gli elettroni
orbitano intorno al nucleo come i pianeti intorno al sole,
gli atomi quindi sono quasi del tutto vuoti.
Ciò spiega i risultato dell’esperimento di Rutherford:
 la maggior parte delle particelle alfa passa nello
spazio vuoto tra il nucleo e gli elettroni, e quindi
attraversa gli atomi indisturbati;
 in qualche occasione però le particelle colpiscono il
nucleo, e allora rimbalzano.
Nel modello di Rutherford c’è un problema: il moto degli
elettroni è accelerato, perché la direzione della loro
velocità cambia mentre orbitano intorno al nucleo.
Secondo le leggi dalla fisica tradizionale, una particella
carica accelerata perde energia: gli elettroni perciò
cadrebbero sul nucleo in un tempo brevissimo, e gli atomi
sarebbero instabili.
Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr propose allora due
nuove ipotesi:
 nell’atomo gli elettroni possono muoversi soltanto su
orbite che si trovano a particolari distanze dal
nucleo;
 su ciascun orbita l’elettrone ha una particolare
energia, che resta sempre costante nonostante il
moto sia accelerato.
Nel modello di Bohr il raggio e l’energia delle orbite degli
elettroni sono grandezze quantizzate: invece di variare
con continuità, cioè, possono assumere soltanto alcuni
valori. Questo modello è stato confermato da moltissimi
esperimenti ed è il fondamento della teoria quantistica,
la migliore descrizione che oggi abbiamo del mondo
subatomico. Su di essa, in particolare, si basa il
funzionamento di tutte le apparecchiature elettroniche
che usiamo ogni giorno.
Tra il 1920 e il 1935 i fisici riuscirono a identificare le
particelle che formano il nucleo degli atomi: i protoni, con
carica positiva, e i neutroni, elettricamente neutri.
La loro massa è quasi 2000 volte maggiore di quella
dell’elettrone, e sono tenuti insieme da una forza
nucleare che fa da collante per il nucleo, impedendo che
si spezzi a causa della repulsione elettrica tra i protoni.
Fotografia di traiettorie
di particelle subatomiche
eseguite con un
acceleratore di
particelle
Dopo la Seconda guerra mondiale sono stati costruiti
grandi acceleratori nei quali le particelle subatomiche
vengono fatte scontrare tra loro a grandissima velocità.
Si è riusciti così a “spezzare” i neutroni e i protoni,
scoprendo che sono formati da particelle ancora più
piccole, i quark, che oggi sono il principale oggetto di
studio della fisica delle altre energie.
Konrad Lorenz fin da piccolo aveva mostrato una
grande curiosità per gli animali, le loro attività e
il loro comportamento.
Visse poi in una grande villa con giardino (ad
Alterber, un paese austriaco sulle rive del
Danubio) dove allevava con grande amore e
pazienza animali di ogni genere, dai piccoli anfibi
fino alle grandi oche selvatiche.
Su questi animali fece osservazioni molto
particolareggiate, che gli permisero di capirne a
fondo i comportamenti.
Per questa ragione Lorenz è considerato il padre
dell’etologia, cioè la scienza che studia i
comportamenti degli animali.
Lorenz era convinto della validità della teoria
dell’evoluzione di Darwin, secondo cui l’uomo e gli
altri animali hanno origini comuni; studiando il
comportamento degli animali, egli mirava perciò
anche a comprendere meglio quello degli uomini.
Una delle idee di base che contraddistinguono gli
studi di Lorenz è che per capire a fondo gli
animali e studiarne il comportamento è
necessario osservarli in libertà.
Gli animali che allevava di solito vivevano
liberamente in giardino, in soffitta o addirittura
in casa, e mantenevano normali rapporti con il
loro habitat.
Lorenz poteva così osservarne il comportamento
in condizioni naturali.
Una specie che lo interessava particolarmente
era la taccola, uno degli uccelli più evoluti, che
vive in grandi gruppi e ha una vita sociale molto
complessa.
Per osservare questi uccelli da vicino e capire
meglio i rapporti che esistono tra i diversi
individui, lo scienziato decise di allevarne una
colonia nella sua soffitta.
Costruì una grande voliera dove pose alcuni
piccoli di taccola.
Non appena essi furono in grado di volare li lasciò
liberi, facendoli rientrare nella voliera solo per la
notte.
Per riconoscere ogni singolo individuo Lorenz
contrassegnò gli animali fissando alle zampe
degli anelli colorati.
In questo mondo, nell’arco di molti anni,
riuscì a identificare e a capire molti aspetti
del comportamento sociale di questi animali:
 il linguaggio usato per comunicare con
gli altri individui della propria colonia, o
colonie diverse;
 i rapporti tra i membri di una stessa
colonia, e l’ordine gerarchico, per cui
alcuni animali dominano su altri;
 le modalità di formazione delle coppie,
che in questa specie rimangono unite
per tutta la vita.
Secondo gli etologi, le azioni compiute dagli
animali sono dettate da :
 Comportamenti innati, cioè puramente
istintivi, che si manifestano indipendentemente dalle esperienze fatte nel
corso della vita;
 Comportamenti appresi, quelli cioè che i
piccoli imparano dai genitori o da altri
individui della stessa specie.
Per studiare questi comportamenti, Lorenz
prelevava le uova dal nido di numerose specie
di uccelli e le faceva schiudere in
un’incubatrice: poteva così osservare giovani
uccelli che non erano mai stati a contatto con
animali adulti, riconoscendo immediatamente
i comportamenti che si sviluppano in modo istintivo.
Nel caso delle taccole, per esempio, Lorenz
scoprì che il modo di trattare e curare la
prole dipende da un meccanismo innato: le
taccole cresciute in un ambiente artificiale,
infatti, sanno accudire i piccoli in modo identico alle taccole osservate in natura; questi
animali però non sanno riconoscere i nemici.
Quindi per le taccole la capacità di riconoscere i nemici non è un comportamento innato, ma appreso.
Per altri uccelli invece anche questo meccanismo è innato: la gazza, il pettirosso e le anatre fuggono immediatamente alla vista di
un gatto o di una volpe, anche se sono stati
allevati in assenza di individui adulti della
propria specie.
In un esperimento rimasto famoso, Lorenz
prese le uova deposte da un’oca selvatica e le
divise in due gruppi: le uova del primo gruppo
furono lasciate alla madre, che le covò fino
alla schiusa; le altre uova vennero poste
nell’incubatrice.
Alla nascita dei pulcini, Lorenz scoprì che
quelli del primo gruppo seguivano la loro madre naturale, mentre quelli del secondo gruppo seguivano lo sperimentatore, cioè Lorenz
stesso: credevano che lui fosse la loro mamma!
Questo esperimento dimostrò che per le oche selvatiche il legame con la madre non è
istintivo: esso dipende infatti dall’esperienza
che i piccoli hanno al momento della schiusa.
Lorenz chiamò questo fenomeno imprinting,
parola inglese che significa impressione, impronta.. L’imprinting quindi è un processo di
apprendimento che avviene nei primissimi istanti della vita; in particolare, le piccole oche appena nate seguono come madre il primo animale che vedono.
Ciò che è innato in questi uccelli è l’insieme
degli stimoli usati per identificare la madre:
essi infatti scelgono come guida qualsiasi oggetto, purchè sia in movimento ed emetta un
qualunque tipo di suono.
Lorenz osservò inoltre che il fenomeno
dell’imprinting è irreversibile: i piccoli nati
nell’incubatrice continuano a seguire il primo
animale che hanno visto alla nascita, anche se
subito dopo vengono ricongiunti con la vera
madre.
Per queste scoperte Konrad Lorenz ha ricevuto il premio Nobel nel 1973.
Quando nacque il suo primo bambino Lorenz
possedeva molti animali, che vivevano
liberamente in casa e nel giardino; tra questi
c’erano alcuni corvi,due grossi pappagalli e
alcune scimmie. Per evitare che gli animali
potessero far male al neonato, costruì una
gabbia in cui tenere la carrozzina
Albert Einstein nacque il 14 marzo 1879 a Ulm, in
Germania, in una famiglia di origine ebraica. Da bambino
imparò a suonare il violino, una passione che gli sarebbe
rimasta per tutta la vita.
A scuola Albert sopportava male l’autoritarismo degli
insegnanti e la disciplina da loro imposta; per tutta la vita
non ebbe mai troppa simpatia per i sistemi scolastici
tradizionali e per le autorità in generale.
Dopo il diploma fu ammesso al politecnico di Zurigo. Fu un
periodo difficile: l’azienda del padre era fallita e Einstein
doveva guadagnarsi da vivere dando lezioni private,
mentre preparava gli esami con grande fatica.
Ma proprio in questi anni studiò opere fondamentali per
le sue successive scoperte e strinse amicizie importanti
con i compagni di corso, come il matematico Marcel
Grossmann.
Dopo la laurea, grazie alla raccomandazioni del padre di
Grossmann, Einstein trovò lavoro all’Ufficio Brevetti di
Berna. Rimase comunque in contatto con il mondo della
ricerca: amava riflettere sui problemi irrisolti della fisica
di quel tempo e inviava i risultati dei suoi studi alle riviste
scientifiche.
Nel 1905, in un solo anno, pubblicò diversi lavori destinati
a rivoluzionare completamente la fisica.
Uno di questi lavori, che valse poi a Einstein il premio
Nobel, diede inizio alla moderna fisica quantistica che è
alla base del funzionamento di tutti gli strumenti
elettronici, che usiamo ogni giorno, dalla televisione al
computer al telefonino.
Un altro lavoro del 1905 presentava la prima parte della
TEORIA DELLA RELATIVITA’
Einstein fu il primo a capire che la velocità della luce c è
una costante universale, cioè ha lo stesso valore (circa
300000 km al secondo) per chiunque la osservi.
Secondo la teoria della relatività, gli intervalli di tempo e
le distanze tra i punti dello spazio non sono grandezze
assolute: cambiano a seconda di chi li osserva, cioè a
seconda del sistema di riferimento che viene usato.
Il cambiamento però è percettibile soltanto quando gli
osservatori si muovono uno rispetto all’altro a velocità
altissima, paragonabile a c.
Per questa ragione, nella vita di tutti i giorni non ce ne
accorgiamo.
Ma Einstein dimostrò anche che le leggi della fisica non
sono relative: esse rimangono le stesse per tutti gli
osservatori.
Tra le conseguenze di questo fatto c’è anche la famosa
EQUIVALENZA TRA LA MASSA E L’ENERGIA
riassunta nella formula E = mc2. Questa formula è alla
base di tutte le applicazioni delle reazioni nucleari, dalla
produzione di energia alle bombe atomiche.
Nei ricordi di Einstein il primo miracolo che stimolò la sua curiosità
per i fenomeni naturali avvenne quando a cinque anni il padre gli
regalò una bussola da tasca.
L’osservazione di quella forza misteriosa e invisibile che fa muovere
l’ago lasciò nel bambino Albert un impressione durevole e profonda.
Il secondo miracolo fu la lettura a dodici anni di un libro regalatogli
da uno zio che spesso lo intratteneva ponendogli quesiti matematici.
Si trattava di un manualetto di geometria euclidea, del quale Einstein
disse:”la chiarezza e la certezza logica del suo contenuto mi fecero
un’impressione indescrivibile.”
Poi Einstein ebbe, per usare le sue parole, “la più felice
intuizione della mia vita”: capì che una accelerazione
causata dalla gravità è del tutto equivalente a
un’accelerazione causata da una forza.
Se ad esempio un razzo ci spinge verso l’alto con una
forte accelerazione, il nostro peso aumenta proprio come
se ci trovassimo fermi su un pianeta molto più massiccio
della terra.
Su questo principio di equivalenza Einstein fondò la
seconda parte della sua teoria, la relatività generale, che
spiega il mistero dell’azione a distanza della forza di
gravità.
Secondo Einstein infatti la presenza di oggetti deforma
lo spazio, un po’ come una pallina pesante, posata su un
telo, lo deforma creando un avvallamento. Se a una certa
distanza si aggiunge un’altra pallina, i due avvallamenti
tendono a unirsi formando un unico avvallamento più
profondo.
Allora le due palline si muovono,avvicinandosi, perché si
sono attratte reciprocamente.
Per Einstein la forza di gravità funziona in modo simile;le
masse
influenzano
la
geometria
dello
spazio,
deformandolo, e la deformazione fa sì che le masse si
attraggano a vicenda.
Sempre secondo la teoria della relatività la luce
trasporta energia, che equivale alla massa: ma allora la
luce deve essere attratta da qualsiasi corpo dotato di
massa. Se questo è vero, quando un raggio di sole
proveniente da una stella lontana passa vicino al sole,
l’attrazione gravitazionale del sole dovrebbe curvarlo,
cambiandone la direzione.
Questa previsione del tutto nuova venne confermata nel
1919 ed…Einstein fu famoso in tutto il mondo.
Nei ricordi di Einstein il primo miracolo che stimolò la sua
curiosità per i fenomeni naturali avvenne quando a cinque
anni il padre gli regalò una bussola da tasca.
L’osservazione di quella forza misteriosa e invisibile che
fa muovere l’ago lasciò nel bambino Albert un’impressione
durevole e profonda.
Il secondo miracolo fu la lettura a dodici anni di un libro
regalatogli da uno zio che spesso lo intratteneva
ponendogli quesiti matematici.
Si trattava di un manualetto di geometria euclidea, del
quale Einstein disse:”la chiarezza e la certezza logica del
suo contenuto mi fecero un’impressione indescrivibile.”
Einstein divenne professore all’università di Berlino ma
nel 1932, quando era ormai imminente la salita al potere
di Hitler, lasciò la Germania e si trasferì negli Stati
Uniti.
Nel corso della seconda guerra mondiale, insieme ad altri
scienziati, firmò una lettera al presidente Roosvelt in cui
si sottolineavano le possibili applicazioni militari
dell’energia nucleare: forse i nazisti stavano lavorando
alla produzione di nuove, terribili armi.
Anche in seguito alla lettera, Roosvelt diede inizio al
Progetto Manhattan che avrebbe condotto
alla
costruzione della bomba atomica, poi usata alla fine della
guerra in Giappone.
Tuttavia Einstein non fu certo un militarista; al contrario
prese spesso posizioni anticonformiste sui temi politici e
sociali, causando scandalo con i suoi pronunciamenti
pacifisti e di sostegno alla disobbedienza civile.
Ancora nell’aprile del 1955, pochi giorni prima di morire,
con la sua ultima lettera Einstein aderiva a un manifesto
che invitava a rinunciare definitivamente alla produzione
di armi nucleari.
Rita Levi Montalcini è sicuramente tra gli scienziati
italiani più importanti del secolo passato. Ha ottenuto
risultati brillanti ed è stata anche capace di divulgarli,
cioè di spiegarli al grande pubblico per farne
comprendere l’importanza.
Divenuta famosa, ha usato la sua autorevolezza per
difendere la libertà della ricerca scientifica e per
incoraggiare molti giovani a dedicarvisi.
Le scoperte di Rita Levi Montalcini hanno gettato luce sui
meccanismi che permettono lo sviluppo del nostro
cervello.
Oggi in tutto il mondo molti ricercatori stanno
continuando i suoi studi, con l’obbiettivo di trovare
presto una cura per alcune terribili malattie che
colpiscono il nostro sistema nervoso.
Nata a Torino nel 1909 da un padre ingegnere e da una
madre pittrice, Rita Levi Montalcini si è laureata in
medicina nel 1936. Tra i suoi compagni di studi c’erano
Salvatore Luria e Renato Dulbecco, anch’essi destinati a
diventare grandi scienziati.
Nel 1938 il regime fascista di Mussolini, imitando
sciaguratamente l’esempio dl nazismo tedesco, introdusse
le leggi razziali che impedivano agli ebrei di assumere
incarichi pubblici.
Rita Levi Montalcini fu così costretta a lasciare la
carriera universitaria, ma non per questo rinunciò alla
ricerca: fino al 1943 condusse segretamente esperimenti
in un laboratorio costruito nella sua camera.
Nel 1943 lasciò Torino per andare a vivere
clandestinamente a Firenze, collaborando come medico
con l’esercito degli Alleati.
Alla fine della guerra ritornò a Torino e riprese la
carriera universitaria, ma pochi anni dopo si trasferì nel
Missouri, dove sarebbe rimasta fino al 1977.
Proprio nei laboratori americani Rita Levi Montalcini ha
fatto nel 1951 la sua scoperta più importante,
identificando una molecola che fa crescere le cellule
nervose, chiamata NGF dalle iniziali di nerve growth
factor, che significa “fattore di crescita dei neuroni”.
La scoperta dell’NGF ha permesso di fare enormi
progressi nello studio del sistema nervoso e per questo
Rita Levi Montalcini ha ricevuto nel 1986 il premio Nobel
per la medicina.
Ritornata in Italia ha ricevuto molti altri riconoscimenti,
è stata nominata senatore a vita nel 2001, ha scritto
numerosi libri sull’evoluzione e sul funzionamento del
cervello.
Ha creato la fondazione IL FUTURO DEI GIOVANI, che
raccoglie fondi per permettere a giovani ricercatori di
effettuare ricerche sul sistema nervoso, e ha promosso
l’apertura a Roma di un nuovo importante centro di
ricerca in questo campo, che porta il suo nome.
Nel frattempo Rita Levi Montalcini non ha mai trascurato
la ricerca: a novant’anni frequentava ancora il suo
laboratorio di Milano, partecipando attivamente al lavoro.
Il fattore di crescita neuronale è una piccola proteina
costituita da due unità di 118 aminoacidi ciascuna, unite
da legami chimici covalenti.
Questa molecola si lega a proteine che sono presenti con
funzione di recettori sulla membrana delle cellule
nervose: quando le tocca, i neuroni dell’embrione vengono
stimolati e si sviluppano meglio, aumentando la velocità di
crescita delle proprie strutture.
Il ruolo dell’NGF è simile a quello della scheda telefonica
nei telefoni pubblici: soltanto dopo averla inserita
nell’apposita fessura puoi effettuare la telefonata.
Analogamente soltanto quando l’NGF è entrato dentro il
suo recettore la cellula si attiva e sintetizza le proteine
necessarie per la propria crescita.
Cultura di
Neuroni del cervello
Il fattore di crescita neuronale è anche in grado di
prevenire il danneggiamento delle cellule nervose adulte,
per esempio nel caso d’ingresso di sostanze tossiche
nell’organismo.
Inoltre esso vieta che i neuroni muoiano se viene
temporaneamente a mancare l’irroramento sanguigno del
tessuto nervoso, come nel caso di un breve arresto
cardiaco.
Queste scoperte fanno sperare che sia possibile usare
l’NGF per curare malattie molto gravi in cui il sistema
nervoso centrale viene danneggiato.
Tra queste le più diffuse sono il morbo di Alzheimer e il
morbo di Parkinson, che di solito attaccano le persone
anziane:
la
morte
dei
neuroni
fa
perdere
progressivamente il controllo dei movimenti e l’uso della
ragione, fino a causarne la morte.
Globuli rossi
Ma le ricerche hanno dimostrato che il fattore di
crescita neuronale è importante, oltre che per il sistema
nervoso, anche per il sistema immunitario che difende il
nostro organismo dagli attacchi dei batteri e dei virus.
Infatti l’NGF :
 fa aumentare il ritmo di produzione delle cellule
destinate alla difesa dell’organismo;
 rende più robuste le difese immunitarie
stimolando le cellule a produrre sostanze
tossiche per i microrganismi, oppure a
fagocitarli;
 contribuisce
a
formare
la
memoria
immunitaria, cioè il meccanismo grazie al quale
il nostro corpo impara a riconoscere i microbi
intrusi e a combatterli efficacemente quando
li ha individuati.
Infine si sa che l’NGF influenza la produzione delle
cellule del sangue e che è coinvolto anche nelle reazioni
allergiche.
Molti ricercatori credono che l’NGF abbia anche altri
ruoli, ancora da scoprire; ma già ora le prospettive per
una sua applicazione in campo medico sono numerose e di
grande rilievo.
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