CIOCCOLATO POSITIVO
SAVE THE CHILDREN
E
TRANSFAIR ITALIA
Cioccolato positivo

Cioccolato Positivo è una campagna di
informazione e sensibilizzazione sulle
violazioni dei diritti dell’infanzia coinvolta
nei processi produttivi del cacao.
Nata dall’impegno congiunto di Save the
Children Italia e Transfair Italia (marchio
di garanzia del commercio equo –
solidale), è rivolta ai consumatori, alle
aziende e alle istituzioni.
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L’obiettivo della campagna è quello di sensibilizzare,
mobilitare e dare supporto ad azioni specifiche a sostegno
dell’infanzia coinvolta nella produzione del cacao e informare
sui vantaggi etici ed economici del commercio equo – solidale.
All’interno della campagna si è sviluppato l’Osservatorio
indipendente sui cicli di produzione del cioccolato, che
attualmente conta anche sul patrocinio del Comune di Perugia,
al fine di creare occasioni di collaborazione e scambio di
conoscenze ed esperienze tra ong, operatori del commercio
equo – solidale, istituzioni e industrie nell’ottica dell’impegno
per l’eliminazione dello sfruttamento e del traffico nei campi
di cacao.
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La realtà…………
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I trafficanti adulti
approfittano della povertà
delle famiglie: si accordano
coi genitori promettendo
che i loro figli avranno
un'istruzione in cambio del
lavoro nelle piantagioni.
Così i piccoli sono
facilmente dati o venduti ad
un prezzo che va dai 250 ai
600 dollari
Arrivati nei paesi di transito spesso Burkina Faso e Mali sono poi oggetto di un
secondo "passaggio di
proprietà" che li porta alla
piantagione di cacao. Lì in
genere il loro lavoro - anche
superiore alle 12 ore - non è
retribuito, perché debbono
ripagare il debito contratto
dalle famiglie d'origine, o le
spese del viaggio. Lavorano
in condizioni igienicosanitarie pessime e, per
eludere i controlli, i luoghi di
lavoro dei bambini sono i più
irraggiungibili.
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Troppo spesso, infatti, le golose aspettative e le etichette
multicolori proposte dalle grandi aziendeproduttrici, tendono a
nascondere realtà di disagio delle comunità che vivono della
raccolta delcacao. La lotta sui prezzi di acquisto e il costante
gioco al ribasso dei costi di manodopera hanno unforte impatto
sulle condizioni di vita di migliaia di persone.In molti casi la
raccolta del cacao è drammaticamente connessa a situazioni di
violazioni estreme dei diritti dell’infanzia : losfruttamento del
lavoro minorile e persino il traffico illegale di bambini, sottratti
alle loro famiglie per lavorare nelle piantagioni, sono pratiche
ricorrenti in diversi paesi produttori di cacao.
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In tutto il mondo, accanto alle imponenti coltivazioni dei latifondisti
è presente, infatti, una miriade di “campi” di cacao gestiti da singoli
nuclei familiari. In Costa d’Avorio, ad esempio, dove si concentra il
40 per cento della produzione mondiale del cacao, il 22 per cento è
prodotto in campi con una superficie minore di due ettari, il 65 per
cento in fondi con un’estensione tra i due e i dieci ettari e solo il 12
per cento in coltivazioni più grandi di dieci ettari.
La produzione offre lavoro a migliaia di persone. In genere è il
coltivatore, con il contributo dei membri della sua famiglia, a
seguire l’intero ciclo di produzione, ma in tempi di raccolto
vengono ingaggiati lavoratori giornalieri, dipendenti annuali e
schiavi.
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Agli immigrati, che in Costa d’Avorio svolgono il 50
per cento del lavoro, è riservato il raccolto delle aree
in cui le coltivazioni sono state innestate da tempo
relativamente breve. Generalmente, a dividersi il
raccolto, accanto al coltivatore proprietario del
campo, sono gli “sharecropper”, che coltivano il
campo altrui trattenendo la metà del raccolto ei
”farm-manager”che coltivano il fondo di altri
percependo un salario, una tassa per la gestione ed
una percentuale sulle vendite.
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Non tutti i campi richiedono la stessa quantità di lavoro, che varia a
seconda della grandezza del fondo, della qualità del terreno, delle
condizioni climatiche e delle oscillazioni del mercato.
Infatti, se normalmente la produzione è scandita da un raccolto
principale che va da ottobre a gennaio e un raccolto a metà anno tra
maggio e giugno, nelle nuove coltivazioni in aree da poco
disboscate è necessario un duro lavoro annuale per piantare, pulire e
raccogliere i frutti.
Recentemente, gli sviluppi dell’industria e l’introduzione di nuove
tecnologie hanno incrementato il commercio del cacao, dando luogo
ad una richiesta su larga scala che coinvolge non più solo i piccoli
coltivatori ma anche le multinazionali, che spesso sono allo stesso
tempo proprietarie di
grandi piantagioni e responsabili della
commercializzazione del prodotto finito.
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E’ chiaro il divario tra le due realtà. I proprietari dei piccoli campi devono
far fronte alle difficoltà della coltivazione e non hanno disponibilità
economiche per poter organizzarsi in imprese vere e proprie, più efficienti
e concorrenziali. Gli esigui volumi di produzione, la facile deteriorabilità
dei frutti e la grande concorrenza, li costringe a rivolgersi a degli
intermediari locali, anello di congiunzione tra i coltivatori e le
multinazionali. Se in genere una tonnellata di cacao vale in media 764
dollari, il singolo contadino ne ricava solamente 450 dollari e non ha alcun
potere negoziale.
I prezzi vengono fissati dalle Borse di New York (CSCE - Coffee, Sugar
and Cocoa Exchange) e di Londra ( LIFFE- London International Finance
Futures Exchange). Così, l’esclusione dei piccoli produttori dal
meccanismo di determinazione dei prezzi crea i presupposti per il ricorso
ameccanismi di sfruttamento.
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Nei campi di cacao ci sono molti bambini. Alcuni
aiutano i genitori nell’impresa di famiglia. Altri
vengono comprati e sfruttati durante la raccolta. Altri,
i figli delle raccoglitrici, vivono nelle piantagioni con
le madri, e crescono soli.
E’ dal 1998 che le organizzazioni umanitarie e la
stampa denunciano i reiterati soprusi a danno di
minori nelle coltivazioni di cacao

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Un caso emblematico è rappresentato dall’asse geografico
Mali – Costa d’Avorio. Qui le famiglie, per tradizione,
affidano i propri figli a parenti o a persone conosciute,
affinché insegnino loro un mestiere e li impieghino nelle
proprie attività.
Sempre più frequentemente queste consuetudini sonostate
strumentalizzate da intermediari senza scrupoli per reclutare
forza lavoro minorile. I trafficanti promettono tutela e
guadagni per i bambini. E quando manca il consenso della
famiglia, passano al rapimento.
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“Facevo parte di un gruppo di bambini, dormivamo
per terra in capanne di fango e paglia –racconta
Amadou, un ragazzo del Mali di 16 anni, riuscito a
fuggire dalla piantagione in cui lavorava – Potevamo
uscire solo per lavorare nei campi. Gli orari erano
pesanti: dal sorgere del sole al tramonto; a volte,
quando c’era luna piena, fino alle dieci di sera. Ci
avevano promesso un salario, ma ci hanno detto che
prima dovevamo restituire i soldi del viaggio.

Per due anni, io mi sono spaccato la schiena in questo
lavoro, senza ricevere un soldo. I bambini che si
rifiutavano di lavorare, venivano picchiati, flagellati
con la cinghia del motore dei trattori e bruciati con le
sigarette. Non avevamo quasi niente da mangiare:
due banane a mezzogiorno, senza smettere di
lavorare, e una zuppa di mais la sera. Alcuni
cadevano a terra stremati dalla stanchezza. Quelli di
noi che si ammalavano venivano portati via e non li
rivedevamo più”.
Positivo

Perché???

Per chi?
 Cosa
si può fare????

Attualmente si sta creando un sistema di
certificazione pubblica per la provenienza
del cacao e ci si sta adoperando
(Transfair in questo è in prima linea) per
l'educazione di sempre più vaste fasce di
popolazione mondiale ai problemi legati
alla produzione e ai prezzi del cacao.

Molto può fare il sostegno al commercio equo
e solidale: "Ogni singolo prodotto
commercializzato equamente ha le sue
ricadute" E consente ad organizzazioni come
"Save the children" non solo di contrastare il
lavoro minorile ma anche di favorire
opportunità ed espandere l'accesso ai diritti.
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