LA NOTTE DELL’ATTACCO
L'operazione militare decisa quaranta minuti prima
della scadenza dell'ultimatum, su consiglio dell'intelligence
Pioggia di cruise su Bagdad
Obiettivo: uccidere Saddam
Attacco all'alba, meno intenso di quanto si prevedesse
Il figlio del raìs incita alla jihad contro gli aggressori
BAGDAD - L'attacco scatta alle 5,35 (le 3,35 in Italia), quando a
Bagdad albeggia. Un'ora e mezza dopo la scadenza dell'ultimatum
di Bush, sulla capitale irachena suonano le sirene di allarme e
cadono le bombe. CONTINUA
Forti esplosioni e fuoco di contraerea in vari punti della città. cruise
Tomahawak lanciati dalle navi da guerra americana e da due sottomarini
che si trovano nel golfo Persico e nel mar Nero. Ai raid partecipano
caccia F117 "Stealth", invisibili ai radar. Gli attacchi vanno avanti ad
ondate: l'obiettivo è Saddam Hussein e l'alta dirigenza irachena. La Casa
Bianca vuole colpire i rifugi della leadership di Bagdad. In questo
momento, rivelano a Washington, l'obiettivo delle operazioni è quello di
"decapitare il regime".
La decisione di attaccare, presa quaranta minuti prima della scadenza
dell'ultimatum in un vertice alla Casa Bianca durato quasi quattro, è
basata su informazioni dei servizi segreti che segnalano movimenti di
leader iracheni, e dello stesso Saddam Hussein, nella zona epicentro dei
raid. Secondo fonti dell'amministrazione Usa, il direttore della Cia
George Tenet e i capi del Pentagono hanno detto a Bush che ritardando
l'azione si sarebbe potuta perdere un'opportunità di centrare l'obiettivo
Saddam.
CONTINUA
E' un tipo di attacco inatteso, sia per l'ora sia per l'intensità inferiore al
previsto. La fase massiccia della guerra all'Iraq, denominata "colpisci e
terrorizza" ("shock and awe"), non è ancora cominciata. Ma l'obiettivo
finale è chiaro, come spiega un'ora dopo l'inizio dell'operazione:
"Accetteremo solo la vittoria".
Questa prima fase, invece, è tutta concentrata sulla capitale. La
contraerea è stata in funzione per un quarto d'ora circa, mentre sulla
periferia meridionale della città si levava una colonna di fumo nero: un
grande incendio nei pressi delle rive del fiume Tigri. Poco prima delle 6
(ora italiana) suona il cessato allarme, ma mezz'ora dopo altri missili
cadono su Bagdad. Alle 7 il nuovo cessato allarme. Secondo il ministero
dell'Informazione di Bagdad, in questo primo attacco sono rimasti uccisi
dieci iracheni, non si sa se militari o civili.
CONTINUA
La radio dà la notizia dell'attacco: "I malvagi, i nemici di Dio, della
patria e dell'umanità hanno fatto la stupidaggine di aggredire la nostra
terra e il nostro popolo". Sempre alla radio, prima , tocca al figlio di
Saddam Hussein rivolgersi ai suoi compatrioti chiamandoli alla jihad
contro gli Usa e i loro alleati: "Dio ci protegga dall'aggressore - dice Dio protegga il nostro leader, l'Iraq sta cominciando a rispondere
all'aggressore".
(20 marzo 2003)
IL DISCORSO DI BUSH ALLA
NAZIONE
WASHINGTON - Questo è il testo del discorso rivolto stanotte in tv alla
nazione dal presidente degli Stati Uniti, George Bush:
"Miei concittadini, a quest'ora le forze americane e della coalizione sono
impegnate nelle prime fasi dell'operazione militare intesa a disarmare
l'Iraq, a liberare il suo popolo ed a difendere il mondo da un grave
pericolo.
Su mio ordine, le forze della coalizione hanno cominciato a colpire
bersagli selezionati di rilevanza militare, per menomare la capacità di
Saddam Hussein di muovere guerra. Queste sono le fasi iniziali di quella
che sarà una campagna ampia e concertata.
CONTINUA
Oltre 35 paesi stanno dando un sostegno cruciale, dall'utilizzo delle basi
navali ed aeree alla collaborazione con i loro servizi informazione e
logistici, al dispiegamento di reparti di combattimento. Ciascun paese in
questa coalizione ha scelto di sostenere l'onere e di condividere l'onore
del servizio della nostra difesa comune.
A tutti gli uomini e donne delle forze armate degli Stati Uniti attualmente
in Medio Oriente: la pace di un mondo tormentato e le speranze di un
popolo oppresso adesso dipendono da voi. Questa fiducia è ben riposta.
I nemici che affrontate dovranno conoscere la vostra bravura ed il vostro
coraggio. Il popolo che voi liberate riconoscerà lo spirito di onore e
decoro delle forze militari americane.
In questo conflitto, l'America affronta un nemico che non ha rispetto per
le convenzioni di guerra o le norme morali. Saddam Hussein ha
posizionato le truppe irachene e le loro attrezzature in zone civili, nel
tentativo di servirsi di uomini, donne e bambini innocenti come scudi per
le sue forze militari: un'ultima atrocità contro il suo popolo.
CONTINUA
Voglio che gli americani e tutto il mondo sappiano che le forze della
coalizione compiranno ogni sforzo per evitare di fare del male ai civili
innocenti. E sarà necessario il nostro impegno convinto per aiutare gli
iracheni a realizzare un paese unito, stabile e libero.
Siamo arrivati in Iraq con rispetto per i suoi cittadini, per la loro grande
civiltà e per la fede religiosa da loro praticata. Noi non abbiamo alcuna
ambizione in Iraq, tranne eliminare un pericolo e restituire il controllo di
quel paese al suo popolo.
"So che le famiglie dei nostri militari pregano perchè tutti coloro che
prestano servizio tornino sani e salvi e presto. Milioni di americani
pregano con voi, per l'incolumità dei vostri cari e per la protezione degli
innocenti.
"Per il vostro sacrificio, avete la gratitudine ed il rispetto del popolo
americano, e potete stare certi che le nostre forze torneranno a casa non
appena il loro lavoro sarà compiuto.
CONTINUA
"Il nostro paese entra controvoglia in questo conflitto, tuttavia il nostro
scopo è sicuro. Il popolo degli Stati Uniti ed i nostri amici ed alleati non
resteranno alla mercè di un regime fuorilegge, che minaccia la pace con
armi di sterminio.
Noi affronteremo ora quella minaccia con il nostro Esercito, con
l'Aeronautica Militare, con la Marina, con la Guardia Costiera ed i
Marines, per non doverla affrontare più tardi con i vigili del fuoco e la
polizia ed i medici nelle strade delle nostre città.
Adesso che questa guerra è arrivata, l'unico modo per limitarne la durata
è usare la forza con decisione. E io vi assicuro, questa non sarà una
campagna di mezze misure, non accetteremo altra conclusione che non
sia la vittoria.
CONTINUA
Miei concittadini, i pericoli che incombono sul nostro paese e sul mondo
saranno superati. Noi supereremo questo momento di pericolo, e
porteremo avanti il lavoro della pace. Difenderemo la nostra libertà.
Porteremo la libertà ad altri.
E vinceremo. Che dio benedica il nostro paese e tutti coloro che lo
difendono"
(20 marzo 2003)
LA RISPOSTA DI SADDAM
Il leader iracheno alla nazione: "Sfoderate le spade"
"L'Iraq vincerà, viva la Jihad, viva la Palestina"
Saddam: "Il piccolo Bush
è un criminale"
Stanco, provato, per la prima volta con gli
occhiali "Dal presidente Usa un crimine
contro l'umanità"
CONTINUA
ROMA - "L'Iraq vincerà". A circa tre ore di distanza dal discorso
televisivo del presidente americano George W. Bush, è la volta di
Saddam Hussein, che in tenuta militare è comparso davanti alle
telecamere ed ha esortato il suo Paese ad una risposta immediata e dura
ai bombardamenti americani sull'Iraq. Espressioni forti, quelle usate dal
raìs: "sfoderate le spade", "tenete il grilletto premuto e continuate a
sparare", ma anche "il piccolo Bush è un criminale", con continue
invocazioni e ripetuti "Dio è grande" e "viva la nostra nazione vittorosa".
Un Saddam diverso dal solito: il leader iracheno
è apparso stanco, provato, invecchiato. Per la
prima volta ha indossato gli occhiali, ed ha letto
il proprio proclama da fogli scritti, di fronte ad un
popolo abituato invece ad un raìs più agguerrito,
sigaro fra le mani e discorsi a braccio.
CONTINUA
"Amiamo la pace e combatteremo per questo" ha detto Saddam, "il male
non prevarrà e l'Iraq vincerà. Gli iracheni saranno vittoriosi nel nome di
Dio, dunque sfoderate le vostre spade e continuate a combattere finché il
nemico invasore non sarà sfinito". Ha definito l'attacco "un crimine
vergognoso contro l'umanità", insistendo sul "piccolo" Bush, e
chiamando il presidente americano "un criminale" che "ha sottovalutato
gli appelli alla pace".
Poi, il richiamo al "popolo coraggioso" e all'"esercito eroico", che
"sapranno resistere all'invasore". E la
conclusione, con un appello alla "guerra santa”
: "Vinceremo noi, con l'aiuto di Dio. Lunga vita
all'Iraq, viva la Jihad, viva la Palestina".
(20 marzo 2003)
I MISSILI DELL’ATTACCO
Il vice ammiraglio Kelly: "I cruise di questo primo attacco
sono partiti da quattro incrociatori e due sottomarini"
I missili lanciati
da sei unità Usa
In azione anche le forze australiane
WASHINGTON - I missili cruise Tomahawk lanciati prima dell'alba
contro la leadership irachena sono partiti da
sei unità della U.S. Navy,quattro incrociatori
e due sottomarini. Lo ha detto il
vice-ammiraglio americano John Kelly,
comandante della portaerei "Abraham
Lincoln" e coordinatore della flotta navale
degli Stati Uniti nel Golfo. CONTINUA
Il vice-ammiraglio Kelly ha indicato che tutte le unità coinvolte in questa
operazione sono americane e ha aggiunto che "l'azione continua". Non è
chiaro quanti missili siano stati lanciati: varie fonti hanno citato numeri
diversi, una decina, una ventina, anche una quarantina. Nessuna fonte
ufficiale ha fornito una cifra precisa.
Il vice-ammiraglio Kelly ha però indicato che, di tutti i missili lanciati,
uno solo ha fallito "la transizione dal lancio al volo" ed è andato perduto.
All'attacco hanno anche partecipato aerei F-117, che non si sa da dove
siano partiti. Giornalisti a bordo della 'Lincoln' hanno visto, questa
mattina, ora del Golfo, levarsi in volo aerei dalla portaerei, ma se ne
ignora la missione.
In azione anche le forze australiane, che hanno cominciato a partecipare
a operazioni di combattimento in Iraq. Lo ha affermato oggi il primo
ministro John Howard. "Le nostre forze - ha detto Howard in una
conferenza stampa - hanno cominciato operazioni di combattimento e di
appoggio. Gli aerei FA-18 Hornet hanno cominciato operazioni sopra
l'Iraq, stanno effettuando missioni di scorta a carri cisterna e ad aerei da
ricognizione". CONTINUA
L'Australia ha inviato 2.000 effettivi nel Golfo, incluse truppe scelte Sas,
aerei da combattimento e navi da guerra, malgrado i sondaggi
mostrassero e mostrino una forte opposizione alla guerra fra la
popolazione.
L'operazione "Colpisci e terrorizza", non sarà lanciata prima di 12 ore,
cioè prima del calare della notte sull'Iraq: lo indicano fonti militari
anonime citate, in modo concorde, dalle tv americane. Le stesse fonti
avvertono, però, che la prima fase vera e propria della campagna "Libertà
dell'Iraq" potrebbe anche partire più tardi, comunque "nelle prossime 48
ore". L'azione della scorsa notte è stato un
attacco mirato alla leadeship irachena,
"per decapitare il regime".
(20 marzo 2003)
ESERCITI A CONFRONTO
FORZE COALIZIONE
FORZE IRACHENE
SOLDATI
225.000 soldati americani
45.000 soldati britannici
SOLDATI
389.000 soldati di cui 80 mila della Guardia Repubblicana
Tra 44.000 e 60.000 inquadrati in reparti paramilitari e delle forze di
sicurezza
650.000 i riservisti
CONTINUA
CARRI ARMATI
800 carri armati M1 Abrams Usa
600 M2/M3 Bradley Usa
120 carriarmati Challenger britannici
150 Warrior inglesi CARRI ARMATI
Tra 1.800 e 2.000 carriarmati utilizzabili inclusi 500-600 T-72 di
fabbricazione sovietica
Più di 3.000 veicoli armati
MISSILI
1000 missili Tomahawk in dotazione alla Marina americana
Centinaia di razzi antimissile Patriot MISSILI
Circa 50 missili Al-Samoud 2
Un numero imprecisato di missili Ababil-100
Qualche dozzina di missili Scud
ELICOTTERI
700 elicotteri inclusi gli AH-64 Apache e gli AH-1 Cobra
400 elicotteri da trasporto inclusi gli UH-60 Black Hawk, i CH-47
Chinook e CH-53 Sea Stallion
CONTINUA
ELICOTTERI
100 elicotteri d'attacco di fabbricazione sovietica
275 elicotteri da trasporto
AEREI
100 aerei britannici tra cui Tornado, Harrier e i jet da attacco Jaguar
500 caccia statunitensi fra cui gli
F-14, F-15, F-16, F/A-18, F-117, AV-8 e A-10
30 cacciabombardieri inclusi i
B-52, B-1B and B-2
Decine di migliaia di bombe e missili fra cui bombe guidate da satellite e
bombe guidate da laser
CONTINUA
AEREI
Circa 300 aerei da combattimento inclusi Mirage F1 di fabbricazione
francese e
Mig 29, Mig 25, Mig 23, e Mig 21
di fabbricazione sovietica
NAVI
6 portaerei americane ed 1 britannica dislocate nel golfo Persico
NAVI
Nove navi e 2000 marinai oltre ad un numero sconosciuto di mine e di
missili antinavi Silkworm
BASI AMERICANE
1-TURCHIA
Incirlik - Da qui partono gli aerei Usa e britannici che
pattugliano la no fly zone dell'iraq settentrionale
2-BAHREIN
Quartier generale V Flotta - Pattuglia il Golfo Persico e l'Oceano
Indiano
Shaikh Isa - Base aerea, ha avuto un ruolo chiave durante la
guerra del 1991
3-GIBUTI
Camp Lemonier - Campo di stazionamento
4-DIEGO GARCIA
Ospita i bombardieri B-2 e B-52
5-OMAN
Seeb International Airport - Equipaggiamento militare, aerei da
rifornimento e da trasporto
Thumrait - Base per la sorveglianza e il soccorso aereo.
Supporto all'attacco aereo e terrestre
6-EMIRATI ARABI UNITI
Al Dhafra - Base dello squadrone di rifornimento aereo
7-ARABIA SAUDITA
Principe Sultan - Base aerea, ospita 72 velivoli tra cui gli aerei
spia RC-135 e U-2 e i caccia F-15 e F-16
8-KUWAIT
Camp Commando - Quartier generale della First Expeditionary
Force dei marines
Ahmed al Jaber - Base aerea con F-15, F-16 e A-10 Thunderbolt
Camp Doha - Quartier generale della Terza Armata
9-QATAR
Ul-Udeid - Hangar per 100 aerei. Può ospitare fino a 10.000
soldati
Camp As Sayliyah - 33 depositi con materiale bellico
10-LE PORTAEREI
Mar Mediterraneo - Roosevelt e Truman
Golfo Persico - Constellation, Kitty Hawk, Lincoln
LA ZONA DEL CONFLITTO
L’IRAQ
LE DIFESE DI BAGDAD
Costringere i marines alla guerra casa per casa per
provocare un alto numero di perdite la difesa è costruita
su tre anelli, con un totale 120.000 uomini
L’anello esterno
Due divisioni di fanteria della guardia repubblicana e
commandos
L’anello centrale
Tre divisioni della guardia repubblicana con 700 carri
armati t-72
L’anello interno
20.000 uomini dei corpi speciali della guardia
repubblicana con armi leggere per la guerriglia urbana
saddam al comando dell’aviazione e della difesa
missilistica
BAGDAD
MAPPA ATTACCO
Invasione di terra dal Kuwait
Mezzi corazzati Bradley, elicotteri Apache e soldati verso il nord
dell'Iraq.
Marine e forze speciali verso est, in direzione di Bassora e dei pozzi
petroliferi
Invasione di terra dal Kurdistan
20.000 uomini (4 divisione di fanteria e truppe speciali) verso Bagdad.
E' previsto un ponte aereo dal Kuwait per trasportare le truppe Usa in
caso la Turchia non conceda le basi
Raid aerei intensi e precisi
concentrati su Bagdad. la prima notte dell'intervento dovrebbero cadere
più ordigni che non nell'intera operazione Desert Storm del 1991. Nove
ordigni su dieci saranno di precisione (Jdam e missili a guida laser)
LE BASI ITALIANE
Gli otto obiettivi degli Usa in
Iraq
Gli otto obiettivi indicati dal segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld,
durante la conferenza stampa alla Casa Bianca del 21 marzo 2003.
1) “Mettere fine al regime di Saddam Hussein colpendolo con forza tale
da rendere ben chiaro agli iracheni che lui e il suo regime sono finiti”.
2) “Identificare, isolare e alla fine eliminare le armi di sterminio
irachene, i loro vettori, i siti di produzione e le reti di stribuzione”.
3) “Dare la caccia, catturare e condurre fuori dal Paese terroristi che
hanno trovato un rifugio sicuro in Iraq”.
CONTINUA
4) “Raccogliere informazioni riservate che ci consentano di
individuare reti terroristiche a loro collegate in Iraq e fuori”.
5) “Raccogliere quante più informazioni possibile sulla rete globale
coinvolta in attività riguardanti le armi di sterminio”.
6) “Mettere fine alle sazioni e portare subito aiuto umanitario, cibo e
medicinali agli sfollati e ai cittadini iracheni bisognosi”.
7) “Proteggere i campi petroliferi e le risorse dell'Iraq, che
appartengono al popolo iracheno, e di cui avranno bisogno per
sviluppare il loro paese dopo decenni di incuria del regime”.
8) “Aiutare il popolo iracheno a creare le condizioni per una
transizione rapida verso un autogoverno rappresentativo che non sia
una minaccia per i suoi vicini e che si impegni a garantire l'integrità
territoriale del paese”.
La lettera di Michael Moore
il regista di "Bowling
for Columbine" scrive a George W. Bish
"Per favore, caro presidente
mandi in Kuwait le sue figlie"
di MICHAEL MOORE
Caro Presidente Bush,
e così è venuto il giorno che lei chiama "il momento della verità". Sono
lieto di sentire che questo giorno è finalmente arrivato. Perché, glielo
devo proprio dire, essendo sopravvissuto per 440 giorni alle sue bugie,
non ero sicuro di poterne sopportare ancora. Ho anch'io alcune piccole
verità da condividere con lei:
CONTINUA
1) Non c'è nessuno in America che sia felice di andare alla guerra. Esca
dalla Casa Bianca e cerchi in qualsiasi strada d'America almeno cinque
persone felici di andare ad uccidere gli iracheni. Non li troverà. Perché?
Perché nessun iracheno è mai venuto qui a uccidere uno di noi.
2) La maggioranza degli americani ovvero quelli che non hanno mai
votato per lei non ha perso la testa. Sappiamo bene cosa affligge le nostre
vite quotidiane: due milioni e mezzo di posti di lavoro persi da quando
lei si è insediato sulla poltrona presidenziale, la borsa diventata ormai un
gioco crudele, la benzina a due dollari. Bombardare l'Iraq non risolve
nessuna di queste questioni.
3) L'intero mondo è contro di lei, Signor Bush. E tra di loro metta anche i
suoi compatrioti Americani.
4) Il Papa ha detto che questa guerra è sbagliata, che è un peccato. Il
Papa! Quanto ci vorrà prima che lei realizzi che è solo in questa guerra?
Naturalmente, non la combatterà personalmente. Lascerà che altri poveri
disgraziati lo facciano al posto suo, proprio come lei fece ai tempi del
Vietnam. Si ricorda, vero?
CONTINUA
5) Dei 535 membri del Congresso, solo uno ha un figlio o una figlia nelle
forze armate. Se vuole difendere l'America, per favore invii ora le sue
due figlie in Kuwait. E lo stesso facciano tutti i membri del Congresso
che abbiano figli in età da militare.
6) Certo, i francesi possono anche essere dannatamente noiosi. Ma non ci
sarebbe stata l'America se non fosse stato per i francesi, per il loro aiuto
nella guerra rivoluzionaria. La smetta di pisciare sui francesi e li ringrazi.
Ma sorrida, questa guerra non durerà a lungo perché non saranno poi
tanti gli iracheni pronti a sacrificarsi per Saddam. Si impegni nella
vittoria, sarà un bel viatico per le prossime elezioni. Mantenga viva la
speranza! Uccida gli iracheni che rubano il nostro petrolio!!!
Suo, Michael Moore
(21 marzo 2003)
LA MORTE NEGLI OCCHI di CLAUDIO MAGRIS
dal Corriere della Sera - 22 marzo 2003
L’imperatore Francesco Giuseppe, scrive Joseph
Roth, nella Marcia di Radetzky , nostalgica e
struggente epopea dell’impero absburgico, non
amava le guerre, perché sapeva che si perdono. Il
saggio e vegliardo imperatore sapeva dunque che
tutti perdono la guerra, anche chi alla fine si crede
vittorioso; il volto della guerra è la sconfitta; alla
sera che cala su ogni battaglia si addice il
“Miserere”, non il “Te Deum”.
CONTINUA
A scrivere quelle parole, nella Marcia di Radetzky , non
era un pacifista amante di cortei, assemblee e digiuni,
bensì un soldato che aveva fedelmente combattuto per la
sua patria e per il suo imperatore nella Prima guerra
mondiale, che amava le bandiere e l’odore di sego delle
caserme e che - proprio perché aveva visto i grandi
massacri e gli entusiasmi, anche generosi ma ingenui e
sprovveduti, che avevano spianato loro la strada
esaltando a priori la guerra - conosceva direttamente la
bestialità, la banalità, l’insensatezza, la melmosa e
sanguinosa pacchianeria della guerra e del suo fascino.
Joseph Roth, devoto agli stendardi e ai gradi della sua
armata e smascheratore dell’idolatrica febbre bellica, non
è un caso isolato: spesso si impara a conoscere - e a
rifiutare - la faccia mortale e oscena della guerra non solo
e non tanto nelle pagine di ideologi pacifisti che non
sanno cosa essa sia e donde nasca e tragga la sua
terribile seduzione, CONTINUA
quanto dalle pagine di chi fa i conti con la sua realtà, con
le sue motivazioni, talora con la sua necessità, ma
sapendo concretamente che essa è il male. Se si leggono
le grandi pagine di Servitù e grandezza della vita militare
di de Vigny, si tocca con mano la desolazione della guerra
più che in tanti slogan pacifisti.
Per tanti anni il no al conflitto è stato spesso viziato da
faziosità ideologica. Ora però è solo un ondice di realismo
politico.
La morte negli occhi e l'incoscienza di chi soffia sul
fuoco
Il saggio Francesco Giuseppe indulgeva alle parate militari
per rinviare il più possibile il momento di trasformare la
simmetria di quei soldati in fila nel caos del macello.
CONTINUA
Per tanti anni, il no alla guerra, sempre sacrosanto, è
stato spesso viziato da faciloneria e faziosità ideologica
che lo rendevano sospetto di gregaria superficialità - il
piacere di ripetere acriticamente formule generiche - e di
settarismo. Anche negli ultimi mesi, le meritorie
mobilitazioni di piazza contro l’arroganza, l’ipocrisia e la
superficialità con la quale l’attuale governo degli Stati
Uniti preparava questa guerra, hanno peccato di faziosità,
levando giustamente la loro voce contro la politica
dell’attuale governo americano, ma non levandola contro
ben peggiori crimini di altri regimi imperanti in altri Paesi:
non si sono viste, purtroppo, bruciare bandiere di Stati in
cui si lapidano le adultere o si decapitano gli omosessuali.
Questa parzialità è estremamente pericolosa perché
indebolisce la causa della pace e la stessa contestazione
dell’attuale politica del governo americano,
CONTINUA
confondendola con uno stolto e aprioristico
antiamericanismo che non ha nulla a che vedere con la
pace e la guerra. La giusta critica alla politica di Bush
sembra talora distorta in una dissennata equidistanza fra
Bush e Saddam, come se fosse la stessa cosa essere
cittadini statunitensi e sudditi o schiavi dell’attuale regime
di Bagdad. La guerra in Iraq è un errore disastroso non
perché Saddam Hussein, vivo o morto che sia, meriti
rispetto, ma perché non si può bombardare Palermo per
eliminare i delinquenti mafiosi, perché altri Paesi magari
alleati dell’Occidente hanno regimi altrettanto sciagurati
quanto quello ora agonizzante in Iraq, perché nessuno
Stato può ergersi a giudice e a poliziotto del mondo e
soprattutto perché non è lecito essere apprendisti
stregoni e mettere in moto un processo che potrebbe
provocare inimmaginabili reazioni a catena, pericolose per
l’attuale equilibrio del nostro mondo.
CONTINUA
Chi comanda, democraticamente o tirannicamente, è
spesso giulivamente e ottusamente convinto di tener
sotto controllo il gioco cui dà inizio. Lo erano i governanti
nel ’14, ancora dopo l’attentato di Sarajevo, persuasi che
tutto si sarebbe risolto con qualche guerricciola locale e
incapaci di pensare che stavano mettendo in movimento
un macello immane, “l’inutile strage” - come la chiamò il
Pontefice di allora, Benedetto XV - ovvero il suicidio
d’Europa. Per un analogo processo psicologico,
probabilmente anche medici e scienziati avrebbero riso di
chi avesse loro detto, alla fine della guerra, che poteva
scatenarsi un’epidemia di influenza capace di mietere
ancor più vittime della stessa guerra, come accadde di
fatto con la spagnola. Ciò che spaventa, oggi, è
l’incoscienza con cui si soffia sul fuoco di un vulcano.
CONTINUA
In quel senso, il movimento pacifista - con le sue
dimensioni stupefacenti per tutti, per gli avversari come
per i fautori della guerra - rappresenta un possente
antidoto, un reale elemento di speranza. Al di sopra di
deleterie strumentalizzazioni politiche e retoriche settarie,
inevitabilmente presenti in un movimento così vasto e
variegato, quest’ultimo rappresenta, per la prima volta,
una reale forza politica, che rivela una precisa intelligenza
della nuova, mutata situazione in cui si trova il mondo e
una precisa volontà di affrontarla. Per mezzo secolo, la
guerra fredda tra i due blocchi aveva bloccato ed
eliminato, per l’Europa e l’Occidente, la possibilità stessa
di qualsiasi guerra; i conflitti si combattevano,
sanguinosamente e criminosamente, altrove, in corpore
vili , in altri continenti. Ora quella situazione si è
sbloccata, con l’indecoroso sfacelo del mondo comunista
crollato per osteoporosi, ma si è sbloccato tutto, anche la
possibilità delle guerre. CONTINUA
Alle alleanze necessariamente rigide e mutabili della
guerra fredda sta subentrando un periodo nuovo, di
alleanze instabili e mutevoli, di nuove conflittualità, di
nuovi problemi.
Crollato il rigido sistema bipolare, si ritorna a una specie
di situazione come quella precedente la prima Guerra
mondiale; le grandi e piccole potenze si sono liberate
dalla tutela dei due arbitri e la soluzione possibile per i
loro problemi torna a essere la guerra. Quest’ultima - che
pareva ipotizzabile solo nella forma di un’apocalisse
nucleare globale - torna a essere, tradizionalmente, una
eventualità “normale”, la continuazione della politica con
altri mezzi, come diceva Clausewitz, come è sempre
avvenuto e come potrebbe tornare ad accadere.
CONTINUA
Con la differenza che la dimensione globale ormai assunta
da ogni problema e gli spaventosi mezzi di distruzione
ormai a disposizione di ogni staterello o perfino di
un’organizzazione terroristica possono trasformare ogni
conflitto, anche locale, in una miccia che faccia saltare il
mondo. I milioni e milioni che contestano questa guerra
sono coloro che si rendono meglio conto di questo
pericolo e vogliono stornarlo. È confortante che siano
tanti, che siano una forza, una reale potenza politica. Non
sono astratti utopisti, ma politici realisti; non
assomigliano più a sgangherati contestatori, ma piuttosto
a quegli ordinati soldati avversi alla guerra che piacevano
a Joseph Roth e al suo imperatore.
Claudio Magris
I PRIMI PRIGIONIERI
AMERICANI
Si tratta di quattro uomini e una donna, tutti americani
Bagdad: "Li abbiamo catturati nel sud del paese"
Cinque soldati in mano a Saddam
Al Jazeera mostra i prigionieri
Gli Usa chiedono alle tv di non mandare in onda
il filmato .E nessuno dei grandi network trasmette
quelle immagini
NASSIRIYA (IRAQ DEL SUD) - Sono in
cinque. Quattro uomini e una donna. Uno di
loro viene dal Kansas, un altro dal New Jersey,
tre dal Texas. Bagdad dice di averli catturati
appena scesi da un elicottero nei pressi di Al
Chibaich, una città del sud del paese. Hanno
i volti impauriti. E ferite al volto, alle gambe,
al torace. CONTINUA
Rispondono meccanicamente alle domande pressanti degli intervistatori
della tv.
Le immagini choc dei primi americani caduti in mano irachena arrivano
dalla tv satellitare Al Jazeera, che ha ripreso quelle trasmesse dalla tv di
Bagdad. E sono un pugno allo stomaco dell'America, tanto che il
ministro della Difesa Usa Donald Rumsfeld chiede ai network
statunitensi di non mandarle in onda. Un appello che i media americani
raccoglieranno.
Poche ore prima della messa in onda del filmato il vicepresidente
iracheno Taha Yassin Ramadan aveva annunciato la cattura di alcuni
soldati alleati, annunciando che sarebbero stati "mostrati presto in
televisione". E così è stato. Quattro dei cinque militari catturati sono
ripresi seduti, alcuni con ferite al volto o fasciature alle
braccia e alle gambe. Uno invece è sdraiato su un lettino,
la mano sul fianco, il viso sanguinante.
Complessivamente, però, non sembrano in gravi
condizioni.
CONTINUA
Le telecamere li riprendono in primo piano, soffermandosi sui particolari
solo per mostrare fasciature e ferite. Una voce fuori campo - ma si
intravede più volte un microfono della tv irachena - li interroga con tono
duro. Per esempio chiede: "Allora, il popolo iracheno vi ha ricevuto con i
fiori o con i kalashnikov?". "Scusi, non capisco", risponde uno dei
prigionieri. Ad un altro viene chiesto: "Perchè sei venuto in Iraq". E lui
risponde: "me lo hanno ordinato". Tutti comunque appaiono visibilmente
spaventati. Uno in particolare, che dice di chiamarsi James Reily, trema.
In precedenza la tv del Qatar aveva rilanciato altre immagini, altrettanto
drammatiche, nelle quali venivano mostrati i cadaveri di almeno dieci
militari americani caduti in battaglia. Il Pentagono, però, parla
di 12 militari "tra prigionieri e morti". E dunque conferma,
oltre ai cinque catturati e mostrati in tv, l'uccisione di soli
7 soldati.Sono immagini che fanno parte della "propaganda
irachena", ha commentato a caldo Rumsfeld, secondo il quale mostrare i
prigionieri in tv è una "violazione della convenzione di Ginevra". Il capo
del Pentagono ha chiesto poi al regime di Bagdad di "trattare bene gli
uomini catturati, come noi facciamo con i loro prigionieri". CONTINUA
E dalla parte opposta l'Iraq ha assicurato che con gli uomini e le donne
catturate adotterà un comportamento in linea con il diritto internazionale.
"Tratteremo i prigionieri - dice il ministro della difesa Sultan Hachem
Ahmed - secondo la convenzione di Ginevra".
Ma dal ministro della Difesa americano è arrivata anche una precisa
richiesta ai media del suo paese, vale a dire non mandare in onda le
immagini dei prigionieri e dei morti che tutti noi abbiamo invece visto in
tv. "Chi lo farà - ha detto Rumsfled, farà una cosa
deplorevole". Così le televisioni statunitensi si sono
adeguate al "consiglio", che è anche il primo
episodio dichiarato di censura in questa guerra, e
non hanno mostrato al pubblico i visi dei militari
catturati e i cadaveri di quelli uccisi. L'unica a
trasmettere un brevissimo spezzone del filmato è
stata la Cbs, proprio durante un'intervista al
segretario alla Difesa.
(23 marzo 2003)
LA PACE AGLI OSCAR
All'esterno proteste e tafferugli dei manifestanti
pro o contro la guerra. Interviene la polizia
Da Almodovar a Michael Moore
tanti discorsi per la pace
Ma il conduttore Steve Martin e Nicole Kidman
ricordano anche i soldati impegnati al fronte
LOS ANGELES - L'atmosfera è quella prevista alla
vigilia: all'esterno, niente passerella e interviste alle
star in arrivo, sostituiti da opposte manifestazioni
pro o contro la guerra; all'interno sobrietà, discorsi
più seri del solito, spille con la colomba per la pace
sulla giacca di molti protagonisti, appelli pacifisti
da parte di molti vincitori.
CONTINUA
Da Pedro Almodovar a Chris Cooper, vincitore della statuetta come
miglior attore non protagonista, fino al regista di documentari Michael
Moore.
Manifestanti pro o contro. Invece delle consuete dichiarazioni delle
star, sul celebre tappeto rosso, lo spazio antistante al Kodak Theatre sorvegliato con straordinarie misure di sicurezza - è dominato dai
manifestanti, pro e contro la guerra. Ci sono stati anche tafferugli, la
polizia è intervenuta, ha compiuto alcuni fermi. Ma, restando all'esterno,
la protesta più singolare è stata quella della coppia Tim Robbins-Susan
Sarandon: sono arrivati infatti in auto elettrica, per sottolineare la loro
distanza dalla "guerra del petrolio".
Ciclone Michael Moore. Ma il più irruento, come prevedibile, è stato il
regista vincitore per il miglior documentario con Bowling for Columbine:
nel suo discorso ha dichiarato che "viviamo in tempi fittizi, in
momenti in cui c'è un presidente fittizio che viene eletto, e
che ci manda in guerra per ragioni fittizie". La conclusione
è ad effetto: "Vergogna!" ha urlato più volte, con la platea
divisa tra applausi e fischi.CONTINUA
Colombe della pace. Tanti i divi che hanno ostentato, già all'esterno del
teatro, lo spillino contro la guerra: tra loro Pedro Almodovar, Adrien
Brody, Kathy Bates, Brendan Fraser. Altri, come la giovane attrice Kate
Hudson, hanno salutato facendo con la mano il segno della pace.
Discorsi anti-bellici. Il primo applauso contro il conflitto è arrivato dopo
quasi due ore di cerimonia. A provocarlo è stato l'attore messicano Gael
Garcia Bernal: "Sono convinto che se Frida (la pittrice protagonista
dell'omonimo film, ndr) fosse qui, sarebbe anche lei contro la guerra".
Ancora più esplicito Almodovar: "Dedico questo premio a tutti quelli che
stanno alzando la loro voce per la pace, per la democrazia e per la
legalità internazionale". Ancora, da sottolineare le parole di Chris Cooper
("nei tempi agitati in cui viviamo, auguro a tutti la pace") e quelle del
regista giapponese Hayao Miyazaki, premiato per il miglior film
d'animazione col suo Spirited away: "Mi dispiace molto di
non poter gioire appieno a causa della tragedia della guerra
in Iraq".
CONTINUA
Solidarietà ai soldati. Il conduttore Steve Martin ha concluso la
cerimonia ricordando i ragazzi al fronte: "Ragazzi, questa serata è per
voi". Prima, il comico si era esibito in una battuta di non eccessivo buon
gusto sui paesi europei contrari al conflitto: "Tutti hanno appoggiato la
mia presentazione di quest'anno, a
eccezione di Francia e Germania".
Mentre i militari impegnati nel
Golfo sono stati citati anche da
Nicole Kidman, in lacrime dopo
aver ricevuto la statuetta come
miglior attrice: "L'11 settembre
molti hanno perso i loro cari e nella
guerra altre persone ne perderanno.
Che Dio li benedica".
(23 marzo 2003)
LA LUNGA GUERRA
Troppo ottimistiche le previsioni della vigilia
ora si temono i combattimenti casa per casa a Bagdad
Guerra lunga, resistenza inattesa
il Pentagono cambia i piani
dal nostro inviato ALBERTO FLORES D'ARCAIS
NEW YORK - A cinque giorni dall'inizio delle operazioni militari
contro l'Iraq, quella che nei piani americani più ottimisti doveva essere
una campagna rapidissima - 72 ore - incontra le prime difficoltà. Nella
prima domenica di guerra dodici soldati americani (tra cui una donna)
sono ufficialmente dichiarati "dispersi", cioè morti o fatti prigionieri.
CONTINUA
Sia pure fiaccato da bombardamenti che come ha chiarito il generale
Myers "non hanno precedenti", l'esercito iracheno non si è sfaldato e non
si è arreso in massa, anzi inizia a difendersi con maggiore vigore.
Tra i possibili scenari previsti dai piani di attacco americani il primo
(guerra lampo di tre giorni e crollo immediato del regime) e il secondo
(uccisione di Saddam o golpe "interno" dei generali iracheni) non si sono
verificati. Sulla sorte del raìs di Bagdad continuano le speculazioni, ma
anche gli analisti della Cia sembrano convinti che sia non solo ancora in
vita ma in grado di controllare, attraverso i suoi figli, la struttura militare
del regime.
Al Pentagono sono ancora convinti che la caduta del regime è questione
di pochi giorni e che Bagdad presto capitolerà sotto il fuoco congiunto
dei massicci bombardamenti e dell'arrivo delle truppe di terra. Ma di
fronte a una resistenza irachene non prevista anche i piani americani
vengono aggiornati.
CONTINUA
BAGDAD - La battaglia per la conquista della capitale rappresenta
ovviamente il nodo decisivo di questa guerra. Cinque giorni di
bombardamenti, migliaia di missili Cruise e di potenti ordigni di nuova
generazione hanno raso al suolo o reso inabitabili i sontuosi palazzi di
Saddam, le caserme delle élite della Guardia repubblicana e gran parte
della capacità della contraerea: ma tutto questo non è stato sufficiente
come spinta alla resa. Più la guerra va avanti più i generali americani si
stanno convincendo che Bagdad andrà conquistata definitivamente con le
truppe di terra.
LA GUERRIGLIA URBANA - Il pericolo maggiore per i soldati
americani in marcia verso Bagdad restano le divisioni della Guardia
repubblicana, le meglio equipaggiate e le più motivate a combattere per
lo stretto legame con il regime e con il partito Baas al potere. Alcune
unità della Guardia - particolarmente addestrate alla guerriglia urbana sono però pronte a combattere in "abiti civili": con il duplice scopo di
essere meno identificabili da parte del nemico e di guidare (e controllare)
la popolazione. La guerriglia urbana, la battaglia corpo a corpo nelle
strade della capitale è proprio quello che al Pentagono vogliono evitare.
L'ASSEDIO - Per non farsi coinvolgere in una guerriglia - che prevede
anche attacchi suicidi di kamikaze sul modello palestinese - la via più
semplice per i militari americani è quella dell'assedio: continuare a
bombardare dall'alto Bagdad e circondarla per tagliare rifornimenti di
armi e di cibo, riducendo allo stremo l'esercito iracheno (ma anche la
popolazione civile). Il rischio è quello di un assedio troppo prolungato
nel tempo, che avrebbe inevitabili contraccolpi politici (e un disastro
umanitario) sia sul piano internazionale che su quello dell'opinione
pubblica americana.
MORTI E PRIGIONIERI - Un'azione prolungata nel tempo rischia di
aumentare sensibilmente il numero di morti e prigionieri. Anche se negli
ultimi mesi una martellante propaganda (soprattutto televisiva) ha
preparato il pubblico americano ad una guerra "lunga" (lo ha ripetuto ieri
lo stesso Bush) e che dà come inevitabili (al contrario del Kosovo) un
certo numero di morti tra i soldati Usa, il ritorno delle prime bare
dall'Iraq creerà inevitabili polemiche anche negli Stati Uniti.
CONTINUA
I sondaggi che danno a Bush un consenso ancora alto, attorno al 70 per
cento, possono rapidamente cambiare e che l'umore nel paese verso il
proprio "comandante in capo" non sia più quello del dopo 11 settembre
lo dimostrano le decine di manifestazioni che ormai ogni giorno si
svolgono nelle città americane.
SADDAM - La sorte del dittatore iracheno resta una delle grandi
incognite di questa guerra. Anche se fosse morto il problema per gli
americani è quelo di riuscire a provarlo "senza ombra di dubbio" al
popolo iracheno e al mondo intero. Altrimenti rischia di diventare - come
Bin Laden - un altro pericoloso fantasma.
ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA - Bush e l'amministrazione
americana hanno iniziato questa guerra contro e nonostante l'opposizione
delle Nazioni Unite perché ritengono di avere il diritto del "colpo
preventivo" contro uno Stato che ha sviluppato "armi di distruzione di
massa, chimiche e batteriologiche in grado di colpire direttamente gli
Stati Uniti". CONTINUA
Per ora di queste armi non si è trovata traccia, né sembra che gli iracheni
abbiano intenzione di usarle (sempre che le abbiano ancora). E' possibile
che siano nascoste vicino Bagdad nella parte di paese ancora sotto lo
stretto controllo del regime. Se però non dovessero essere trovate la
credibilità di Bush e dell'amministrazione americana subirebbe un grave
colpo.
(24 marzo 2003)
TROVATE FORSE ARMI
CHIMICHE
La notizia della Fox, ma il Pentagono è cauto
L'impianto sarebbe a Najaf, a sudovest della capitale
"Forse trovate armi chimiche"
Indagini sul deposito misterioso
Bombardate nella notte Bagdad e Mossul
WASHINGTON - Forse trovato un deposito di armi chimiche a sud di
Bagdad. Anche se il Pentagono è cauto. Secondo la tv americana Fox, il
ministero della Difesa Usa ha confermato che un grande deposito che
servirebbe per fabbricare armi
chimiche e biologiche è stato
trovato a An Najaf, città 160
chilometri a sud della capitale.
CONTINUA
La notizia è di quelle che fanno il giro del mondo in pochi minuti. Il
possesso di armamenti non convenzionali da parte del regime di
Baghdad e il pericolo che tali armi possano cadere nelle mani della rete
terroristica internazionale rappresenta il motivo fondamentale per il quale
secondo la coalizione guidata dagli Stati Uniti il regime di Saddam
Hussein rappresenta una minaccia per il mondo e va disarmato.
Ma il fatto che lo stesso Pentagono sia cauto lascia intendere che la
famosa prova principale della colpevolezza di Saddam, la "smoking gun"
(pistola fumante) non sia così certa. Il Pentagono giudica "prematura" la
notizia diffusa dalla Fox. "Le informazioni della stampa sono premature recita un comunicato del Comando centrale Usa, letto dal portavoce
James Cassella - Stiamo verificandoalcuni siti che ci interessano".
Tutto ha origine da un articolo pubblicato da un giornalista del
quotidiano israeliano Jerusalem Post, che si
trova al seguito delle forze angloamericane
entrate in territorio iracheno. Il comando
centrale Usa non conferma. Tuttavia ammette
che l'esercito sta interrogando "uno o due"
Nella notte, Fox ottiene la conferma da un "alto ufficiale" del Pentagono
che spiega che si tratta di una fabbrica di "dimensioni considerevoli" e
che il direttore dell'impianto è sottoposto a interrogatorio. L'impianto
sarebbe circondato da una rete elettrica e sarebbe stato camuffato in
modo da ingannare eventuali ricognizioni aeree.
Per quanto riguarda le notizie dal fronte, tra ieri pomeriggio e questa
mattina pesanti bombardamenti hanno colpito la periferia di Bagdad e la
contraerea irachena è entrata in azione con grande intensità anche nella
città del nord di Mossul.
Un missile è caduto sulla riva est del fiume Tigri nella capitale. Alle 3
locali gli alleati anglo-americani hanno pesantemente bombardato la
capitale irachena sia al centro sia a sudest, vicino al quartier generale
dell'aeronautica irachena.
Bombardieri americani B-52 sono
partiti a ondate successive dalla base
di Fairford, nell'Inghilterra
occidentale.
CONTINUA
Ma aumenta anche il numero delle vittime tra gli anglo-americani e ci
sono i primi prigionieri tra i marines. Un portavoce del comando centrale
alleato nel Qatar annuncia che nella battaglia di Nassiriya vi sono poco
meno di 10 morti, 12 dispersi, tra morti - i cui corpi sono nelle mani
degli iracheni - e . A costoro vanno aggiunti due militari britannici dati
per dispersi nel sud dal ministero della Difesa di Londra.
E sono emersi anche attriti tra l'Australia - che partecipa alla campagna
in Iraq con 2.000 uomini e mezzi aeronavali - e il comando Usa sulle
regole di ingaggio che nel caso australiano danno ai piloti la
discrezionalità di ignorare o meno un ordine di bombardamento se
giudicano che possano colpire obiettivi civili. L'equipaggio di un
cacciabombardiere Hornet, secondo un portavoce della difesa
australiano, ha rifiutato ieri di
colpire un obiettivo assegnato
dal comando Usa perchè
non era "verificabile".
(24 marzo 2003)
LA VERA GUERRA
Così la Casa Bianca sperava di vincere
inviando in anticipo le forze speciali
La vera storia
dei piani di attacco
di BOB WOODWARD
QUANDO, mercoledì scorso, il presidente Bush e i maggiori esponenti
della national security apprendevano dalle ultime informazioni della Cia
che Saddam Hussein e altri importanti esponenti del governo iracheno
avrebbero trascorso la notte in una sede a sud di Bagdad, i dirigenti
riuniti per analizzare quelle informazioni erano al corrente di un segreto
anche più importante. Come previsto dal piano ufficiale, approvato dal
presidente e designato con la sigla "Oplan 1003 V", la guerra con l'Iraq
era già incominciata CONTINUA
. Poco più di due ore prima, alle 13 ora di Washington, 31 gruppi
operativi speciali - trecento uomini circa - col favore della notte,
invadevano la parte occidentale e meridionale dell'Iraq.
Raggiungendo piccoli contingenti delle forze speciali e gruppi
paramilitari della Cia che già si trovavano in Iraq, queste truppe si sono
distribuite sul territorio per tagliare le vie di comunicazione e occupare
posti d'osservazione. Dovevano evitare i rischi più temuti
dall'amministrazione Bush: il ricorso degli iracheni ad armi chimiche o
biologiche, un'aggressione a Israele con i missili Scud, la distruzione dei
pozzi petroliferi.
Il piano prevedeva una "finestra" di 48 ore d'anticipo, per consentire alle
forze speciali di svolgere la loro missione prima dell'inizio ufficiale della
guerra, inizialmente previsto per venerdì con massicci attacchi aerei
contro Bagdad e altre città.
CONTINUA
Mercoledì nel corso di una riunione di tre ore nell'Ufficio Ovale, il
presidente e i suoi stretti collaboratori hanno di fatto dato inizio alla
guerra in gran segreto. Poi tutto ha subito un'accelerazione: sulla base
delle informazioni presentate dal direttore della Cia George Tenet, il
presidente ha ordinato i bombardamenti sul complesso di Dora Farm di
Bagdad, per tentare di uccidere Saddam Hussein e gli altri maggiori
esponenti del governo iracheno. E giovedì ha deciso di accelerare di 24
ore le operazioni delle truppe di terra.
I PIANI
Queste decisioni hanno modificato un piano nato già nel gennaio 2002,
quando il Segretario alla difesa Donald Rumsfeld e il capo del Comando
centrale, generale Tommy Franks, hanno iniziato a elaborare l'attacco.
Nei 14 mesi seguenti sono state preparate una ventina di versioni del
piano: le divergenze fra Rumsfeld e Franks hanno portato a continue
revisioni.
CONTINUA
Franks proponeva di impegnare molte forze di terra, mentre Rumsfeld
insisteva per un'impostazione radicalmente diversa, con meno forze di
terra e una partecipazione molto maggiore di truppe speciali. Solo ai
primi di settembre è stata messa a punto quella che doveva essere la
versione definitiva del piano. Ma a quel punto le insistenze del segretario
di Stato Colin Powell hanno convinto Bush a cercare nelle Nazioni Unite
il sostegno internazionale. I negoziati al Consiglio di Sicurezza e le
successive attività degli ispettori Onu sono andati avanti per quasi sei
mesi.
Questa "long diplomacy", pur non prevista dagli americani, ha concesso
a Rumsfeld e a Franks il tempo necessario per dispiegare le forze
nell'area del Golfo Persico.
IL D-DAY
La versione del piano messa a punto a gennaio restringeva a quattro
giorni l'intervallo tra l'inizio dei bombardamenti aerei e la campagna
terrestre: un mutamento radicale rispetto alla guerra del Golfo del 1991,
quando gli aerei bombardarono l'Iraq per 38 giorni prima che le forze di
terra entrassero in Kuwait. CONTINUA
Ma a febbraio ci fu un'altra modifica: Franks ebbe l'idea di dare inizio
alla guerra dispiegando segretamente forze speciali in Iraq. All'inizio il
presidente esitò ad accettare: si era impegnato ad annunciare
pubblicamente l'inizio della guerra. Ma i vantaggi della missione erano
tali che alla fine si convinse.
Così è stato: il D-Day giorno dell'ingresso in Iraq delle truppe operative
speciali è stato infine fissato per mercoledì, sette ore prima che scadesse
l'ultimatum a Saddam. Poi si sarebbe passati al bombardamento aereo A-Day - e all'offensiva di terra - G-Day -. In perfetto orario mercoledì
forze speciali Usa, accompagnate dai più esigui contingenti britannici e
australiani, sono penetrate in territorio iracheno. Ma subito dopo il piano
è stato modificato un'altra volta. Perché?
Due ore e mezzo dopo l'ingresso di truppe in Iraq, Tenet si è presentato
alla Casa Bianca: portava notizie su Saddam Hussein e spiegava che si
poteva tentare di eliminarlo subito.
CONTINUA
TENTARE IL COLPO
Superati i dubbi sulla legalità dell'azione e sulle possibile conseguenze
per la popolazione civile, Bush e i suoi hanno deciso che valeva la pena
di tentare il colpo: nel giro di poche ore, gli F 1178A hanno lanciato sul
complesso Dora Farm bombe da 2.000 libbre, seguite da una raffica di
missili Cruise lanciati dalle navi da guerra. Alle 22.15 il presidente ha
annunciato che la guerra era incominciata.
La mattina dopo, Franks ha anticipato di 24 ore le operazioni di terra. Il
massiccio attacco delle divisioni terrestri è iniziato quella sera, il 21
marzo.
(Copyright Washington Post - La Repubblica Traduzione di Elisabetta
Horvat)
(24 marzo 2003)
L’IMBOSCATA DEGLI
IRACHENI
La trappola scatta all'improvviso al ponte sul Tigri
Sette morti nella battaglia di Nassiriya
L'errore di un ufficiale
provoca la strage dei marines
dal nostro inviato LEONARDO COEN
DOHA - Non c'è stata battaglia,
solo una carneficina. Sette
morti, cinque prigionieri, tra cui
una donna, molti feriti: "La
colpa è di un giovane ufficiale
che ha sbagliato strada, ha
confuso quella più sicura e ha
imboccato quella che lo ha
portato all'imboscata, alle
porte di Nassiriya".CONTINUA
Il generale John Abizaid è desolato, ma è costretto a dare una
spiegazione comunque logica per quella che sinora è la peggiore delle
sconfitte subita dalla Coalizione. Non è tutto. C'è anche l'umiliazione
delle "ignobili immagini" trasmesse dalla tv irachena e riprese da Al
Jazeera e da tanti altri network europei. Con la tv del Qatar il generale è
molto arrabbiato e non lo nasconde nemmeno al briefing. Per forza. I
cadaveri sono stati portati via dagli iracheni insieme ai prigionieri ed
ammassati in una stanzetta di chissà quale prigione in chissà quale
località del centro Iraq.Il generale reprime a fatica la rabbia: dice di non
sapere dove siano stati rinchiusi i marines catturati. L'intelligence ci starà
già lavorando sopra. L'agguato scatta lungo una strada alberata, vicino a
Nassiriya, nella provincia di Dhiquar. La città si trova a 375
chilometri sud est da Bagdad, è un nodo
strategico perché c'è un ponte che scavalca
l'Eufrate e punta a Al Kut, sul Tigri: di qui
passa la ferrovia principale del Paese, che
porta alla capitale irachena, e una delle due
grandi autostrade che collegano il sud a
Chi si assicura queste vie di comunicazione ha di fatto il controllo di
mezzo Paese. C'è euforia, tra i marines, i loro generali hanno promesso
un'avanzata fulminea: "Saremo a Bagdad molto presto". E vuol fare
molto presto anche il giovane ufficiale che comanda una colonna di sei
camion coi rifornimenti per la prima linea del Settimo Cavalleggeri: è il
reggimento che guida le avanguardie della Terza Divisione dei marines.
Sembra un servizio di routine.All'improvviso, si scatena l'inferno. Un
reparto della Guardia Repubblicana - i "feddayn" di Saddam, come li
chiama il generale Abizaid - fa strage. Le unità americane più vicine
sentono i colpi, tentano di intervenire. Salvano una trentina di
commilitoni, rimasti feriti. Più avanti, 500 iracheni appoggiati da 8 carri
armati e parecchi mortai fermano per qualche ora la corsa di 5000
marines. Attaccano a piccoli gruppi: sono
formazioni irregolari, "gente che non ha più
nulla da perdere, perché troppo coinvolti
col regime di Saddam Hussein. Hanno
avuto l'ordine di rimanere dietro il fronte
e di condurre azioni di sabotaggio e agguati,
Talvolta fingono di arrendersi, perché eseguono alla lettera le istruzioni
dei volantini gettati nei giorni scorsi. Da lontano sembrano civili. Poi,
aprono il fuoco. E' una tattica da guerriglia del deserto: combattere
violentemente in più punti, immobilizzando ed isolando le unità della
Coalizione. Ma gli iracheni usano anche altri trucchi: mascherare soldati
da civili, in modo che gli alleati s'avvicinino senza intenzioni ostili e
possano essere colti di sorpresa.
Oppure concentrare civili intorno a postazioni d'artiglieria così da
impedire l'intervento degli aerei per "bonificare" le aree da occupare. In
questo modo rallentano l'avanzata.
Quel che è successo ieri a Nasiriya e, più in grande stile, a Nayaf, dove la
divisione Medina delle Guardie Repubblicane deve cercare di respingere
i marines e tenerli oltre l'Eufrate, in attesa
del grande caldo annunciato nei prossimi
giorni.
(24 marzo 2003)
IL FRONTE CURDO
Il fronte settentrionale della guerra all'Iraq
Qui l'obiettivo sono i gruppi integralisti
Sui monti del Kurdistan
caccia agli amici di Al Qaeda
I curdi sono divisi in varie fazioni in lotta fra loro
Il taxi-bomba kamikaze sulla strada per Khurmal
dal nostro inviato MARCO ANSALDO
SULEYMANIA - L'aereo scarica una prima
bomba. Poi due. Tre. Quindi una pioggia di
missili si abbatte sulle teste degli alberi che
cingono la montagna. Un boato. Una nuvola
di fumo nero si sprigiona dal basso e
avvolge l'aria non lontano dai villaggi di
Khurmal e Halabja.
CONTINUA
Dieci minuti dopo, nuovo sorvolo e stessa scena. E ancora l'atmosfera si
impregna di fuliggine e calore. Il primo pomeriggio sulla zona intorno ai
monti Shinerwe. Laggiù si nascondono gli integralisti curdi del gruppo
Ansar al Islam, i "compagni dell'Islam" che l'America accusa di
appoggiare Al Qaeda. Non è il primo attacco, questo. Già due giorni fa
l'offensiva era stata massiccia, con sessanta guerriglieri uccisi. Ma questa
volta il bombardamento è insistito, quasi continuo. Gli aerei in volo
sanno che il sostegno a terra adesso è assicurato, e che la loro azione sarà
presto aiutata dalle truppe.
Nel vicino aeroporto di Bakraio, lontano pochi chilometri da
Suleymania, sono atterrati quattro velivoli con la bandiera a stelle e
strisce. Il primo sbarco degli americani sul
Kurdistan iracheno. Non mancheranno molte ore, e
le truppe speciali Usa saranno pronte ad arrampicarsi
sugli impervi Shinerwe per saldare i conti con Ansar
al Islam, il gruppo bollato da Colin Powell nel suo
rapporto all'Onu come "alleato di Bin Laden".
CONTINUA
Vista dal fronte settentrionale, la guerra dell'Iraq non ha soltanto come
obiettivo Saddam Hussein, ma appare lo spunto per regolare i conti
anche con altri gruppi più o meno in linea con la centrale Al Qaeda. La
zona del Kurdistan orientale che fa capo a Suleymania, controllata non
per intero dagli uomini dell'Unione patriottica curda (Upk) guidata da
Jalal Talabani, è zeppa di queste formazioni.
Attorno ai monti Shinerwe e all'impenetrabile villaggio di Beyara dove
Ansar al Islam domina incontrastata, almeno altri due gruppi si
spartiscono l'area. Uno è rappresentato dal Komala Islami Kurdistan (la
società islamica curda), l'altro dal Jamiat e-Islami. Tutti e tre a ridosso
della frontiera con l'Iran, che qui dista un
pugno di chilometri, sono da svariati anni la
spina nel fianco dei curdi di Talabani, i quali
vogliono dare di sé un'immagine presentabile
all'estero e non offuscata da associazioni che
plaudono agli attentati dell'11 settembre.
CONTINUA
I curdi integralisti però non mollano la presa. Da settimane in questa
zona si temeva un attentato, e due giorni fa l'attacco c'è infine stato,
con l'uccisione del cameraman australiano Paul Moran, saltato a un
posto di blocco assieme a tre guerriglieri dell'Upk per un taxi-bomba
guidato da un kamikaze lanciato sul posto di blocco che porta a
Khurmal. Ma l'arrivo delle truppe speciali Usa sembra mirato a fare
definitivamente piazza pulita di Ansar al Islam: assieme ai militari
compaiono svariati consiglieri, agenti della Cia probabilmente, pronti
a dare direttive e tempi dell'offensiva già da stanotte sul villaggio di
Beyara.
Più a ovest, il fronte curdo è impegnato invece totalmente contro gli
iracheni di Saddam. La zona di Mosul ieri è stata interessata da una
lunga serie di attacchi. Nella città dei pozzi petroliferi
tuttora in mano al regime i combattimenti sono stati
aspri, e hanno anche toccato - con l'arrivo di qualche
mortaio - Kalak, l'ultimo posto di blocco utile ai
giornalisti per controllare da più vicino possibile lo
stato del fronte.CONTINUA
Bombardamenti pesanti pure nella vicina Kirkuk, dove l'aeroporto è
stato oggetto dell'offensiva comune di curdi e americani, interessati ad
assicurarsi una postazione strategica e ricca di munizione e bunker
sotterranei, giudicata come decisiva per controllare l'Iraq del nord.
Anche qui le truppe speciali americane vengono segnalate in azione.
Persino la periferia a sud di Erbil, "capitale" curda a 300 chilometri da
Bagdad, è lambita dai bombardamenti.
Nelle ultime ore un contrattacco iracheno ha portato i curdi a
difendersi. Il fronte del nord comincia a risentire pesantemente della
mancanza di un ariete di sfondamento costituito dai soldati turchi,
secondo il piano originario del Pentagono. La battaglia per il controllo
di Mosul e Kirkuk è appena cominciata, e il braccio
di ferro tra americani e curdi da una parte, e
iracheni dall'altra per garantirsi l'area dei pozzi, deve
anzi affrontare l'incognita dell'esercito di Ankara in
attesa al di là della frontiera, ma pronto a piombare
oltre confine non appena ne scorgerà l'occasione.
(24 marzo 2003)
Le immagini
proibite
di VITTORIO ZUCCONI
IL BIANCO degli occhi enormi della sergente americana prigioniera
illumina la verità della guerra. Non un pilota di jet abbattuto e tumefatto
alla Cocciolone, ma una donna, texana come Bush, un semplice
meccanico in divisa a 24 mila euro lordi l'anno, è il primo volto che ha
portato lo shock and awe, lo sbigottimento e il terrore, nelle case degli
americani illusi dalle favole della liberazione pulita e senza sangue. Tutto
va bene sul fronte orientale, ci rassicura Bush tornando dal suo week end
nello chalet di montagna, "la battaglia sarà dura", ma il settimo cavalleria
è nei sobborghi di Bagdad e le bombe cadono puntuali sulla città.
CONTINUA
Saddam è cotto, il piano avanza "lento ma sicuro" e le armi di distruzione
di massa, quelle per le quali siamo andati a conquistare l'Iraq, saranno
presto e sicuramente trovate. Ma intanto la prima domenica di guerra è
una bloody sunday, una giornata maledetta - e dunque per la prima volta
onesta - di sangue, di torture, di soldati impazziti, di cadaveri che
rompono lo show asettico e incruento. Bush avverte gli iracheni: "Mi
aspetto che i prigionieri siano trattati con umanità, così come facciamo
noi con i prigionieri che abbiamo catturato. Altrimenti, chi maltratterà i
prigionieri sarà trattato da criminale di guerra".
Per l'America in casa la guerra è cominciata ieri. Quel video è la bomba
di Saddam su Washington. Per questo è visto pochissimo, qui sul fronte
interno, poche immagini censurate e subito ritirate. E solo dopo molte
ore la Cnn ha mostrato qualche breve spezzone. La maggior parte delle
sequenze grand guignol che gli iracheni hanno filmato e che il network
arabo Al Jazeera ha diffuso in tutto il mondo non sono ancora passate.
Bush ha detto di non averle viste, perché lui ci racconta di non guardare
la guerra in tv, ma mente. CONTINUA
I generali del Pentagono le hanno seguite "con le mascelle serrate". Gli
anchor delle reti tv, invocando il dovere professionale, le hanno
avidamente osservate in privato, anche a costo di "vomitare" come Paula
Zahn di Cnn, signora ingualcibile dei contenitori di fluff, aria fritta del
mattino.
Ma ai cittadini, ai contribuenti che pagano il soldo dei 12 disgraziati
uccisi in un'imboscata, dei cinque genieri meccanici del Terzo Fanteria
caduti nelle mani degli iracheni perché il sottotenente che li guidava "ha
sbagliato strada", non sono stati fatti vedere. Soltanto chi possiede
collegamenti Internet ad alta velocità ha potuto guardarli, in uno dei siti
sciacallo che subito hanno messo on line il filmato. È stato fatto per
pudore dei parenti a casa, per rispettare quel minimo di decenza che
persino le televisioni occasionalmente ancora hanno e perché un Donald
Rumsfeld terreo ha sfidato la luce dei riflettori al mattino della domenica
senza lo scudo del fondotinta per chiedere alle tv di non mandare in onda
quelle sequenze "ripugnanti" di cadaveri in uniforme americana.
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Le tv, per ora, hanno ubbidito, non hanno mostrato neppure
l'interrogatorio dei cinque fanti prigionieri e di quella donna con l'occhio
bianco e terrorizzato.
È pudore, certamente, quel black out, ma è molto di più. È la paura che,
nel ribrezzo e nella rabbia suscitati dalle sequenze dei morti e dei
prigionieri, il pubblico americano ritrovi il senso dell'orrore, riscopra il
prezzo di avere violato il tabù della guerra. È rispetto per le famiglie dei
parenti, ma è anche l'ansia di perdere, nella battaglia finale per Bagdad
che sta per cominciare, il consenso di una generazione X allevata nel
mito delle nuove guerre playstation senza morti, come in Kosovo.
"Sembra che questa guerra vada avanti da tanto tempo - diceva ieri sera
Bush tradendo l'ansia di farla finita presto - e invece è solo l'effetto di
tutto quello che vediamo alla televisione". Proprio lui, che ci aveva
appena detto di "non guardare la guerra in tv". È umana delicatezza, ma è
soprattutto calcolo politico.
CONTINUA
I sondaggi della vigilia dicevano che il vasto e sottile sostegno
all'invasione sarebbe crollato in proporzione inversa al numero di morti:
e i morti cominciano ad arrivare. Bush e i suoi registi di politica interna,
Karl Rove e Andy Card, che guardano alle elezioni del 2004, quelle per
le quali il soldato Bush combatte, ricordano come Clinton pagò
l'umiliazione della Somalia, quando l'elicottero Black Hawk fu abbattuto
e i cadaveri dei marines furono trascinati nella polvere di Mogadiscio.
Il morale, bisogna tenere alto il morale del fronte interno, perché la
sindrome del Vietnam si annida in ogni body bag per i caduti. I generali
Usa, che per bocca del futuro viceré dell'Iraq liberato, il generale Abizaid
di origine araba, accusano al Jazeera di "disgustosa insensibilità",
rabbrividiscono quando vedono il sergente Assan Akbar della 101esima
parà lanciare tre bombe a mano nella tenda dei comandanti, uccidendone
uno e ferendone 15.
CONTINUA
Tutti gli ufficiali superiori di oggi hanno fatto il Vietnam e ricordano il
segreto terribile del fraggin', quando gli uomini si ammutinavano e
ammazzavano i loro ufficiali a colpi di fragmentation bomb, di bombe a
mano, per non andare in battaglia. Gli anchor di tutte le reti assumono la
voce da cronache funebri, ora che la faccia vera della guerra è apparsa e
non è più soltanto il comodo tiro al bersaglio sul dead man walking, il
morto che cammina Saddam. E c'è un'altra verità impronunciabile e
spaventosa, dietro lo shock and awe, lo sgomento e il terrore che ha
preso Bush, Rumsfeld, Cheney l'Uomo Invisibile, alla vista del videotape
e alle notizie della sorprendente resistenza di questi iracheni.
È la paura che i colpi di coda del regime scatenino il mostro latente
dentro questa guerra: l'odio razziale per gli arabi, che la favola bella della
democrazia tipo esportazione con aiuti umanitari dovrebbe nascondere.
Le torture ai prigionieri possono scatenare quell'odio anti islamico, anti
arabo che a fatica si è finto di controllare dopo l'11 settembre.
CONTINUA
Era un musulmano nero, il sergente che ha fragged i suoi comandanti.
Sono musulmani e arabi, quelli che hanno filmato e mostrato i cadaveri e
i prigionieri. "Adesso è diventato un fatto personale", è scappato detto a
un artigliere della 101esima prima che la regia militare tagliasse il
collegamento.
Se i carcerieri e gli aguzzini dei prigionieri americani riusciranno a far
scattare la trappola della rabbia e dell'odio razziale, quella, e non le
introvabili bombe chimiche, diventerebbe la vera arma di distruzione di
massa nella crociata tra l'Islam dei fanatici e la Cristianità dei missili
Cruise.
(24 marzo 2003)
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20 MARZO 2003 cronaca di una follia