Art. 2103 c.c.: mansioni,
demansionamenti, trasferimenti e
mobbing
A cura
Dott. Stefano Rossi
Servizio Ispezione Lavoro Bari
Art. 2103 c.c.
Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni
per le quali è stato assunto (att. 96) o a quelle
corrispondenti alla categoria superiore che abbia
successivamente acquisito ovvero a mansioni
equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza
alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di
assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto
al trattamento corrispondente all’attività svolta, e
l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la
medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di
lavoratore assente con diritto alla conservazione del
posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e
comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere
trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per
comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Ogni patto contrario è nullo.
Le mansioni di assunzione:
il principio della contrattualità delle
mansioni
Art. 96 disp. Att. L'imprenditore deve far
conoscere al prestatore di lavoro, al momento
dell'assunzione, la categoria e la qualifica che gli
sono assegnate in relazione alle mansioni per
cui e stato assunto (Cod. Civ. 2103).
Le qualifiche dei prestatori di lavoro, nell'ambito
di ciascuna delle categorie indicate nell'art. 2095
del codice, possono essere stabilite e
raggruppate per gradi secondo la loro
importanza nell'ordinamento dell'impresa. Il
prestatore di lavoro assume il grado gerarchico
corrispondente alla qualifica e alle mansioni.
Lo jus variandi del datore di lavoro
Mobilità orizzontale: le mansioni
equivalenti e l’irriducibilità della
retribuzione
Mobilità verticale peggiorativa: divieto e
deroghe
Mobilità verticale migliorativa: il diritto
alla promozione
Il trasferimento del lavoratore
Mobilità orizzontale: presupposti
1. Equivalenza tra vecchie e nuove
mansioni
2. Irriducibilità della retribuzione: non vi
deve essere alcun detrimento economico
dalla modifica della prestazione
lavorativa
Mobilità orizzontale: le mansioni
equivalenti
Giurisprudenza tradizionale sul concetto di “equivalenza”
a) l’equivalenza non significa “identità”, ma omogeneità (Cass. 10333/1997; 5921/1984 ;
b) l’equivalenza va valutata in concreto rispetto ai seguenti elementi:
- contenuto materiale intrinseco dei compiti assegnati
- competenza richiesta
- livello professionale raggiunto
- possibilità di utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal
dipendente nella pregressa fase del rapporto
- grado di autonomia e discrezionalità - consistenza quantitativa dell’impegno (Cass.
14496/2005),
- posizione del dipendente nel contesto dell'organizzazione aziendale del lavoro (Cass.
425/2006);
c) non sussiste l’equivalenza quando il lavoratore venga lasciato inattivo. Posto che il lavoro
costituisce non solo un mezzo di guadagno, ma anche un modo di estrinsecazione della
personalità del lavoratore (Cass., 2 gennaio 2002, n. 10; 22 febbraio 2003 n. 2763; 13 febbraio
2006, n. 3046; 8 marzo 2006, n. 4975) ed anzi l’inattività, secondo Corte Cost. 6 aprile 2004 n.
113, costituisce la forma più grave di demansionamento.
d) non costituisce invece demansionamento l’affidamento di mansioni inferiori ove queste
siano meramente marginali ed accessorie ed il lavoratore sia adibito in maniera prevalente e
assorbente a mansioni corrispondenti alla qualifica di appartenenza.
L’”equivalenza professionale”
S.U. 25033/2006 – Cass. 10091/2006
Nozione “dinamica” di equivalenza;
Affinità delle mansioni dal punto di vista professionale;
“un minimo comune denominatore” di conoscenze
teoriche e capacità pratiche;
Professionalità come patrimonio di conoscenze
potenzialmente polivalente ;
Attraverso l'affidamento di compiti nuovi, del tutto
estranei rispetto all'attività precedentemente svolta ed
alle cognizioni tecniche già acquisite, non venga del
tutto disperso il patrimonio professionale e di
esperienza già maturato dal dipendente
Cassazione 13173/2009
Il caso
Un medico che svolgeva mansioni di aiuto
al personale medico, veniva destinato al
servizio accettazione. Il giudice del merito
aveva escluso il demansionamento poiché
aveva incentrato la motivazione
esclusivamente sulle nuove mansioni
svolte e al loro valore professionale.
Cassazione 13173/2009
la sentenza
Ai fini della verifica del legittimo esercizio dello
“jus variandi” da parte del datore di lavoro, deve
essere valutata, dal giudice del merito, la
omogeneità tra le mansioni successivamente
attribuite e quelle di originaria appartenenza,
sotto il profilo della loro equivalenza in concreto
rispetto alla competenza richiesta, al livello
professionale raggiunto ed alla utilizzazione del
patrimonio professionale acquisito dal
dipendente.
Ulteriori approdi giurisprudenziali:
Il ruolo della contrattazione collettiva nel
concetto di equivalenza
La valutazione che il giudice di merito è tenuto
ad effettuare, in ordine all’equivalenza delle
mansioni, deve essere effettuata in concreto, e
non è vincolata alla classificazione delle
mansioni nella contrattazione collettiva.
Tuttavia, ciò che è decisivo rimarcare è che se il
ccnl non può vincolare il giudice nella definizione
astratta dell’equivalenza, può e deve
significativamente orientarlo nella definizione
della quaestio facti.
La contrattazione collettiva
In altri termini, pur ribadendosi la netta differenza categoriale tra
qualifica e mansione, attenendo la prima ad un dato puramente
formale ed astratto, e quindi relativo e convenzionale, e la seconda
ad un aspetto concreto, oggettivo, deve però tenersi a mente che le
definizioni contrattuali-collettive in punto di fungibilità ed
equivalenza, pur rimanendo inidonee a derogare al precetto
imperativo di cui all’art. 2103, possono svolgere un rilevante
ruolo, parametrico ed orientativo, per il giudicante. Non è questa
la sede per sviluppare ulteriormente il cruciale argomento della
tendenza ordinamentale alla delegificazione e all’assegnazione alle
parti sociali di spazi sempre più ampi di poteri regolativi, nella
direttiva di un diritto del lavoro sempre più largamente dispositivo
(cd. soft law), ma deve almeno darsi atto ed anzi rimarcarsi che la
disciplina pattizia può oggi legittimamente entrare, nei limiti
legali, nel ragionamento giuridico pure giudiziale, anche se
solo a livello indicativo. Infatti, le parti sociali, nell’ambito dei
diversi settori produttivi, meglio conoscono realtà, sistemi
organizzativi e di lavoro, così che le loro espressioni negoziali
definiscono un indicatore spesso privilegiato della bontà di tante
scelte imprenditoriali.
Il caso delle Poste Italiane
Cassazione 8596/2007
Un dipendente delle Spa Poste Italiane assunto con la qualifica di operatore
specializzato di officina ed inquadrato nella quinta categoria secondo il previgente
contratto, veniva successivamente inquadrato nella sesta categoria, svolgendo
mansioni di manutenzione meccanica ed elettromagnetica (e molto marginalmente
elettronica) degli impianti postali (apparecchiatura e componentistica varia).
A seguito della trasformazione dell’ex amministrazione Poste in Ente Pubblico
Economico e con la stipula di un nuovo contratto nazionale di lavoro che prevedeva
l’abolizione delle precedenti categorie e l’inquadramento, al fine di consentire la
massima flessibilità gestionale del personale, in sole quattro aree di classificazione,
sicché gli ex dipendenti della quarta, quinta e sesta categoria, l’interessato confluiva
nell’area operativa.
Inoltre, nell’attività di ristrutturazione aziendale, ritenuta antieconomica la gestione
diretta dell’attività di manutenzione degli impianti di ripartizione meccanizzata della
corrispondenza, la stessa si era poi affidata ad una ditta esterna, e l’interessato
veniva tolto dal servizio tecnico di manutenzione apparecchiature, al quale era da
tempo addetto, ed assegnato a servizi di sportelleria.
Ad avviso dello stesso ciò avrebbe comportato una sua dequalificazione, e, pertanto,
presentava ricorso chiedendo quindi di essere riassegnato alle mansioni
precedentemente svolte od altre equivalenti, per avvenuta soppressione, però
sempre di natura tecnica, oltre il risarcimento del danno.
Cassazione S.U. 25033/2006
La contrattazione può introdurre meccanismi
convenzionali di mobilità orizzontale
prevedendo, con apposita clausola, la fungibilità
funzionale tra mansioni nella stessa area per
sopperire a contingenti esigenze aziendali
ovvero per consentire la valorizzazione della
professionalità potenziale di tutti i lavoratori
inquadrati in quella qualifica, senza per questo
incorrere nella sanzione di nullità del comma
secondo della citata disposizione dell’articolo
2103 c.c.
Il CCNL e la professionalità
potenziale
Secondo le Sezioni unite, la dimensione individuale della
garanzia dell’articolo 2103 c.c. crea degli “steccati” che
certamente valgono a protezione del lavoratore nei
confronti di un indiscriminato jus variandi del datore di
lavoro; ma possono rappresentare anche un attrito di
resistenza alla progressione professionale della
collettività dei lavoratori inquadrati in quella stessa
qualifica. Ed allora, se come deve ritenersi in materia ,
rileva non solo quello che il lavoratore fa, ma anche
quello che sa fare (ossia la professionalità
potenziale), la contrattazione collettiva può
legittimamente farsi carico di ciò, prevedendo e
disciplinando meccanismi di scambio o di
avvicendamento o di rotazione che non violano la
garanzia dell’articolo 2103 c.c., ma che con quest’ultima
sono compatibili.
Cassazione 8596/2007: mansioni
promiscue e vicarie
Le convenzioni delle parti sociali pongono,
dunque, legittimi e razionali meccanismi di
mobilità orizzontale prevedendo, con apposita
clausola, la fungibilità funzionale tra mansioni
diverse ma con un nucleo di omogeneità ed
affinità al fine di sopperire a contingenti
esigenze aziendali ovvero per consentire la
valorizzazione della professionalità potenziale di
tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica
senza per questo incorrere in alcuna sanzione di
nullità
...riconversione e ristrutturazione
aziendale
una interpretazione dell’articolo 2103 c.c.
abbandonando l’ottica di una cristallizzata tutela
del “singolo lavoratore” a fronte dello jus variandi
dell’imprenditore - debba privilegiare un
ponderato esame del dato normativo che
tenga pure conto dei complessi problemi di
riconversione e di ristrutturazìone delle imprese
(che impongono una attenuazione di una rigidità
della regolamentazione del rapporto di lavoro
capace di ostacolare detti processi)
Il principio di bilanciamento
In sintesi, per la Corte, alla stregua della regola del
bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire
una organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e
quello del lavoratore al mantenimento del posto - nei
casi di sopravvenute e legittime scelte imprenditoriali,
comportanti l’esternalizzazione dei servizi o la loro
riduzione a seguito di processi di riconversione o
ristrutturazione aziendali - il fatto di adibire il lavoratore a
mansioni diverse, ed anche inferiori, a quelle
precedentemente svolte (restando immutato il livello
retributivo), non si pone in contrasto con il dettato
codicistico, se tale scelta rappresenti l’unica alternativa
praticabile in luogo del licenziamento per giustificato
motivo oggettivo.
Mobilità orizzontale: l’irriducibilità
della retribuzione
Nel caso di mutamento delle mansioni il
lavoratore ha diritto alla conservazione del livello
retributivo raggiunto comprensivo di eventuali
compensi speciali attribuiti con continuità ad
integrazione della retribuzione base, in ragione
della professionalità raggiunta dal medesimo e
del livello qualitativo delle mansioni stesse;
invece non ricadono nel principio di irriducibilità
della retribuzione quelle indennità che
ineriscono a particolari modalità della
prestazione di lavoro ed a fattori di maggiore
gravosità della medesima.
Indennità riducibili
Indennità di rappresentanza;
Indennità estero;
Indennità di reperibilità;
Indennità di cassa o di rischio;
Indennità rimborso spese carburante;
Indennità di turno per l’assegnazione a
turni continui avvicendati.
Mobilità verticale peggiorativa:
divieto e deroghe
Il divieto di dequalificazione professionale è
costruito come una fattispecie più specifica
rispetto a quella dell’obbligo che ha il datore di
lavoro di rispettare il canone dell’equivalenza
nell’assegnare nuove mansioni al prestatore;
Il rapporto è di continenza: le mansioni inferiori
(vietate) sono sempre non “equivalenti” a quelle
corrispondenti alla qualifica, mentre quelle non
“equivalenti” non necessariamente sono anche
inferiori.
Accertamento della
dequalificazione
L’accertamento della violazione del divieto
deve essere compiuto raffrontando le
mansioni in concreto attribuite al
lavoratore con quelle proprie della sua
qualifica; raffronto da operare innanzi tutto
secondo il canone dell’”equivalenza”
dinamica tra mansioni; occorre poi
comparare le mansioni per accertare il
minore contenuto professionale delle
nuove rispetto alle precedenti.
La sottrazione di mansioni e
l’inattività forzata
L’ipotesi più frequente di dequalificazione
è la riduzione (quantitativa e
qualitativa) delle mansioni fino alla totale
inutilizzabilità della prestazione lavorativa
del dipendente lasciato in condizioni di
forzata inattività, tanto che la
giurisprudenza ha parlato di un vero e
proprio diritto del lavoratore all’esecuzione
della prestazione lavorativa.
Il caso Santoro/RAI
Tribunale Roma 15 febbraio 2005, giudice Billi
Il danno da dequalificazione professionale “attiene alla lesione di un
interesse costituzionalmente protetto dall’art. 2 Cost., avente ad
oggetto il diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione
della sua personalità nel luogo di lavoro, secondo le mansioni e con
la qualifica spettantegli per legge o per contratto, con la
conseguenza che i provvedimenti del datore di lavoro che
illegittimamente ledono tale diritto vengono immancabilmente a
ledere l’immagine professionale, la dignità personale e la vita di
relazione del lavoratore, sia in tema di autostima ed eterostima
nell’ambiente di lavoro e in quello socio-familiare, sia in termini di
perdita di chances per futuri lavori di pari livello” (Cass. N. 10157 del
2004).
Nel caso di specie, alla luce di quanto sopra affermato, non è dubbio
che la condotta di parte convenuta, consistente nel porre il ricorrente
in una forzosa inattività, ha indubbiamente cagionato la lesione di
diritti costituzionalmente protetti, ovvero il diritto alla libera
esplicazione della personalità sul luogo di lavoro e il diritto alla
dignità personale.
Demansionamenti leciti: le deroghe
art. 4, comma 11° legge 23 luglio 1991, n. 223: questa
norma, disciplinando le procedure di licenziamento per
riduzione di personale, dispone che gli accordi sindacali
stipulati nel corso di tali procedure possano prevedere il
riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti
eccedenti, e possono stabilire, anche in deroga al secondo
comma dell’art. 2103 c.c., la loro assegnazione a mansioni
diverse da quelle precedentemente svolte.
art. 1, comma 7° e dall’art. 4, comma 4° legge 12 marzo
1999, n. 68: riguardanti la sopravvenuta inabilità dei lavoratori
allo svolgimento delle loro mansioni ;
art. 7, 5° co. L. 151/2001: riguardante le lavoratrici madri, che
durante il periodo di gestazione e sino a sette mesi dopo il
parto - se il tipo di attività o le condizioni ambientali sono
pregiudizievoli alla loro salute - devono essere spostate ad
altre mansioni anche inferiori a quelle abituali, conservando la
retribuzione precedente
L’interpello MLPS n. 39/2011
“...sembra potersi considerare lecito il patto di
demansionamento sottoscritto tra il datore e la
lavoratrice madre, rientrante in servizio in epoca
antecedente al compimento di un anno di età del
bambino. In tal caso, occorre tuttavia verificare
che il contesto aziendale sia tale che, per
fondate e comprovabili esigenze tecniche,
organizzative e produttive o di riduzione di
costi, non sussistano alternative diverse per
garantire la conservazione del posto di
lavoro e per consentire aliunde l’esercizio
delle mansioni...”
Il patto di demansionamento
l’art. 2103 c.c… non opera allorché il patto
peggiorativo corrisponde all’interesse del
lavoratore medesimo. Ed in effetti il diritto alla
tutela della posizione economica e professionale
del lavoratore deve trovare contemperamento
con la tutela di altri interessi prioritari del
lavoratore quale quello alla conservazione del
posto di lavoro; per cui deve ritenersi legittima
una interpretazione non restrittiva della
disposizione anche alla luce delle maggiori e
notorie difficoltà in cui versa oggi il mercato del
lavoro (Cassazione 18269/2006)
Requisiti per il patto di
demansionamento
Il consenso del lavoratore
Le condizioni che avrebbero legittimato il
licenziamento (ristrutturazione per crisi
aziendale, chiusura di un punto vendita o unità
produttiva)
3. Onere della prova: l’onere di dimostrare la
sussistenza delle condizioni di fatto che
avrebbero giustificato il licenziamento incombe
sul datore di lavoro, in osservanza dell’art. 5
della legge n. 604/1961 e del divieto posto
dall’art. 2103.
1.
2.
Mobilità verticale in melius: il diritto
di promozione
L’art. 2103 cod. civ. stabilisce che nel caso di
assegnazione a mansioni superiori il prestatore
ha diritto al trattamento corrispondente all’attività
svolta e l’assegnazione stessa diviene definitiva,
ove la medesima non abbia avuto luogo per
sostituzione di lavoratore assente con diritto alla
conservazione del posto (Cass. 23.3.2007, n.
7126), dopo un periodo fissato dai contratti
collettivi e comunque non superiore a tre mesi
(termine prolungabile in relazione al personale
con qualifica di quadro e di dirigente: cfr. Cass.
2.7.2004, n. 12179 e, da ultimo, Cass.
4.10.2006, n. 21338).
Presupposti
L’assegnazione deve essere riferibile al
datore di lavoro
2. Le mansioni assegnate devono avere il
carattere della “superiorità” rispetto a
quelle precedenti
3. Il superamento del periodo legale o
contrattuale
4. Non vi deve essere sostituzione di
lavoratore assente con diritto alla
conservazione del posto
1.
1. L’assegnazione alle mansioni
superiori
Il presupposto del diritto al superiore inquadramento non
è costituito solo dalla circostanza che il lavoratore svolga
mansioni superiori, ma che egli vi sia «assegnato»
Infatti l'assegnazione delle mansioni è un atto in cui si
esplica il potere organizzativo del datore di lavoro
(qualora le mansioni non siano dedotte nel contratto di
lavoro) e non costituisce, invece, «terreno di iniziativa»
del lavoratore
La prova del consenso del datore di lavoro costituisce
oggetto di accertamento necessario soltanto qualora il
datore di lavoro contesti (fatto impeditivo) la pretesa
del dipendente provando che le mansioni superiori sono
state svolte contro la sua espressa volontà
2. Il carattere della “superiorità”
Il procedimento logico-giuridico:
1. L’accertamento in fatto delle mansioni
superiori concretamente svolte
2. L’individuazione della categoria e dei
livelli funzionali nei quali questa si
articola
3. Il raffronto tra il risultato della prima
indagine e le declaratorie contrattuali che
definiscono i livelli
Gli elementi necessari della
superiorità
L’assegnazione, anche senza investitura
formale purché non in contrasto con la
volontà del datore di lavoro, deve essere
piena, nel senso che deve aver
comportato l’assunzione della
responsabilità e l’esercizio dell’autonomia
proprie della corrispondente (superiore)
qualifica.
3. La durata minima del periodo
l’art. 2103 c.c. la quantifica in tre mesi; la
contrattazione collettiva può tuttavia
introdurre condizioni di miglior favore.
La derogabilità in peius del termine
trimestrale indicato è invece consentita
solo per i dirigenti ed i quadri, ex art. 6
legge 13 maggio 1985, n. 170
Problematiche
Quali sono le giornate lavorative
computabili ai fine del raggiungimento del
periodo?
vi è la possibilità di cumulare periodi
più brevi sino al superamento
complessivo dei tre mesi?
Le giornate lavorative computabili
La giurisprudenza ha affermato che ai fini
del computo del periodo in questione,
deve attribuirsi rilievo alle sole giornate
di lavoro effettivo e non anche a quelle
di sospensione del rapporto (ferie,
malattia, maternità, ecc.)
Quindi si ha una mera parentesi, con la
possibilità di sommare le frazioni temporali
anteriori e successive alla pausa.
Cumulo di periodi più brevi
il diritto alla promozione automatica non richiede la
rigorosa continuità del periodo, essendo sufficienti
anche molteplici brevi assegnazioni a mansioni superiori
per un periodo complessivamente maggiore di un
trimestre
ai fini dell’insorgenza del diritto, dovrebbe risultare
l’intento fraudolento del datore di lavoro diretto ad
impedire la maturazione del diritto alla promozione.
Tale intento sarebbe desumibile proprio dalla frequenza
e sistematicità delle reiterate assegnazioni a mansioni
superiori tali da palesare la predeterminazione da parte
datoriale di tale contegno per sottrarsi all’applicazione
della norma in esame
4. Sostituzione di lavoratore assente con diritto
alla conservazione del posto
Sostituzioni legali: ferie, malattia, maternità,
adempimento di funzioni pubbliche elettive o per
sciopero;
Sostituzioni convenzionali: il CCNL può prevedere
ipotesi in cui la sostituzione non attribuisce il diritto alla
promozione
Sostituzioni particolari: la giurisprudenza ha affermato
che è esclusa la promozione in caso di sostituzione di
chi sia solo provvisoriamente assente per l’espletamento
a rotazione di mansioni; ovvero nell’ipotesi di collega
sospeso dal lavoro perché posto in cassa integrazione
guadagni; o nel caso di assenza per l'espletamento di
attività sindacale, in forza di permessi retribuiti previsti
dalla contrattazione collettiva.
Il trasferimento del lavoratore
Il primo comma, ultimo periodo, dell'art. 2103
c.c. (come sostituito dall'art. 13 della legge 20
maggio 1970, n. 300) dispone che il lavoratore
"non può essere trasferito da una unità
produttiva ad un'altra se non per comprovate
ragioni tecniche, organizzative e produttive“
Presupposti:
1. Mutamento del luogo di lavoro e unità
produttiva;
2. Comprovate ragioni tecniche, organizzative e
produttive
1. Mutamento del luogo di lavoro e
unità produttiva
Occorre un trasferimento che consiste in
un mutamento definitivo (non già
temporaneo come avviene nel distacco e
nella trasferta) del luogo di adempimento
della prestazione lavorativa dedotta in
contratto;
Occorre, inoltre, che il trasferimento
avvenga tra due unità produttive (quella
di provenienza e quella di destinazione)
Unità produttiva: l’autonomia
L’unità produttiva va individuata in ogni
articolazione autonoma dell’impresa, avente
sotto il profilo funzionale e finalistico idoneità ad
esplicare, in tutto o in parte, l’attività di
produzione di beni o servizi dell’impresa
medesima, della quale costituisce elemento
organizzativo, restando invece esclusi quegli
organismi minori che, se pur dotati di una certa
autonomia, siano destinati a scopi meramente
strumentali rispetto ai fini produttivi dell'impresa
(Cassazione 963/2000)
Unità produttiva: l’indipendenza
tecnica ed amministrativa
Poiché la finalità principale della norma di cui all'art 2103 cod.
civ. è quella di tutelare la dignità del lavoratore e di
proteggere l'insieme di relazioni interpersonali che lo
legano ad un determinato complesso produttivo, le tutele
previste per il lavoratore trasferito rilevano anche quando lo
spostamento avvenga in un ambito geografico ristretto (ad
es. nello stesso territorio comunale) da una unità produttiva
ad un'altra, intendendo per unità produttiva ogni
articolazione autonoma dell'azienda, avente, sotto il profilo
funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in
parte, l'attività dell'impresa medesima, della quale costituisca
una componente organizzativa, connotata da indipendenza
tecnica ed amministrativa tali che in essa si possa
concludere una frazione dell'attività produttiva aziendale.
(Cassazione 11660/2003)
Unità produttiva: le altre fonti
Art. 18 e 35 St.Lav.: tutela reintegratoria del lavoratore
ingiustamente licenziato;
Art. 19, 20, 21, 22, 23, 25, 27, 29 St. Lav. relativi alla
nomina delle rappresentanze aziendali, trasferimento e
permessi dei dirigenti delle stesse, alle modalità di
richiesta e svolgimento delle riunioni, all’indizione ed
espletamento del referendum, al diritto di affissione,
fusione delle RSA e destinazione di locali aziendali per
le stesse;
Art. 2 lett. t) del testo unico in materia di salute e
sicurezza nei luoghi di lavoro (D.lgs. 81/2008) che
individua l’unità produttiva nello “stabilimento o struttura
finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di
servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico
funzionale”.
2. Comprovate ragioni tecniche,
organizzative e produttive
Sul punto si ritiene che, anche alla luce dell’art.
41, 1° co., Cost., il controllo giudiziale sulla
correttezza sostanziale del provvedimento
datoriale, non possa estendersi all’opportunità
e/o all’adeguatezza della scelta datoriale, ma si
riduce ad un sindacato sulla esistenza delle
condizioni richieste dalla legge (indagine
oggettiva) e del nesso di causalità tra queste
ed il trasferimento. Pertanto resta insindacabile,
ad esempio, la scelta tra più soluzioni
organizzative, tutte ugualmente ragionevoli.
Esclusioni
Quando il trasferimento avviene nella
stessa unità produttiva
Quando il trasferimento è dipeso dalla
volontà del lavoratore che avanza formale
richiesta
L’incompatibilità ambientale
Casistica
Tizio con motivato provvedimento disciplinare
veniva trasferito dal cantiere navale in cui era
addetto alla manutenzione degli accumulatori
elettrici al deposito di altro cantiere della stessa
azienda dove avrebbe prestato l’attività di
carrellista per lo stoccaggio di pezzi di ricambio.
Il provvedimento era motivato sulla base dei forti
attriti che il lavoratore aveva nei confronti del
personale e, soprattutto, con il responsabile
dell’unità produttiva. Tuttavia, Tizio non si è mai
presentato sul luogo di lavoro assegnato
risultando pertanto assente ingiustificato e
privato della retribuzione spettante.
Questioni rilevanti del caso
Il trasferimento è definitivo quindi non si tratta di trasferta o
distacco
I due cantieri costituiscono distinte unità produttive, se si
fosse trattato di distinti reparti nello stesso cantiere l’azienda
non avrebbe avuto necessità di motivare il trasferimento
Le ragioni organizzative sono rappresentate dalla c.d.
incompatibilità ambientale (Cassazione 22059/2008)
Tuttavia, l’”equivalenza professionale” delle mansioni tradisce
una dequalificazione del lavoratore che potrebbe celare un
comportamento mobbizzante dell’azienda (rischio di
dequalificazione)
L’illegittimo comportamento del datore di lavoro consistente
nell’assegnazione del dipendente a mansioni inferiori a quelle
corrispondenti alla sua qualifica può giustificare il rifiuto
della prestazione lavorativa, in forza dell’eccezione di
inadempimento di cui all’art. 1460 c.c., purché la reazione
risulti proporzionata e conforme a buona fede (Cassazione
4060/2008)
Forma e motivazione del
trasferimento
Il trasferimento del lavoratore può essere
disposto anche oralmente, non essendo
richiesta la forma scritta e valendo invece il
generale principio della libertà di forma
negoziale in mancanza di specifiche previsioni
legali o contrattuali.
Insorge l’obbligo formale di motivazione, in
applicazione analogica dell'art. 2, l. n. 604 del
1966, solo ove il lavoratore ne faccia
tempestiva richiesta nel termine di otto giorni
dalla comunicazione del trasferimento
Legge 183/2010 e legge 10/2011
La Legge 183/2010 ha introdotto per la prima volta dei termini di
decadenza per l’impugnazione del provvedimento con cui il datore di lavoro
dispone il trasferimento del lavoratore da una sede a un’altra.
In particolare, la nuova disciplina prevede che:
1. entro 60 giorni dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento,
il lavoratore deve impugnare il trasferimento;
2. impugnato per tempo il trasferimento, il lavoratore ha 270 giorni per
depositare il ricorso in tribunale oppure comunicare al datore di lavoro la
richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato;
3. in questo secondo caso, se la richiesta di conciliazione o arbitrato viene
rifiutata oppure non si raggiunge l’accordo, il lavoratore ha 60 giorni per
depositare il ricorso in tribunale.
La Legge 10 del 2011 ha peraltro fatto slittare l’entrata in vigore di questa
nuova procedura al 31 dicembre 2011. Sino ad allora, quindi, continuerà ad
applicarsi l’attuale disciplina, la quale prevede che il lavoratore abbia cinque
anni di tempo (termine prescrizionale) per impugnare il trasferimento
illegittimo.
Onere della prova
Il demansionamento
Il diritto che viene azionato è il diritto allo svolgimento di mansioni
equivalenti. Il fatto costitutivo del diritto consiste, quindi, nella
individuazione del contenuto delle mansioni di assunzione o delle
ultime effettivamente svolte.
Il fatto inadempitivo, della cui allegazione il lavoratore è comunque
onerato, consiste nella assegnazione a mansioni che si assumono
deteriori. Questo punto è molto importante, perché dalle asserzioni
storico-giuridiche contenute in ricorso il giudice deve essere già posto
in condizione di apprezzare in astratto (rispetto all’attuale concetto di
equivalenza) la modificatio in peius, sulla base di elementi fattuali
circostanziati e specifici. Dunque, nel ricorso deve essere contenuta
una comparazione analitica del contenuto delle mansioni di
provenienza e di destinazione, con adeguate argomentazioni circa
la lamentata disomogeneità. In questa direzione, la violazione dell’art.
2103 deve essere supportata da oneri assertivi precisi, senza che
possa rimettersi il dedotto demansionamento al fatto notorio, alla
sensibilità comune, al mero confronto tra qualifiche o a formule vaghe e
generalizzanti.
Solo ove gli oneri assertivi che precedono siano stati sufficientemente
assolti si radica l’onere del convenuto di contestazione e di allegazione
di fatti impeditivi, estintivi o modificativi.
Cassazione S.U. 6572/2006
Le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno posto fine a un
contrasto interno alla stessa giurisprudenza di legittimità sull’onere
della prova in tema di danno da demansionamento.
1. In base a un primo orientamento, il diritto del lavoratore al
risarcimento del danno veniva considerato in re ipsa collegato al
demansionamento, potendo dunque il giudice procedere alla
liquidazione del danno in via equitativa anche in mancanza di uno
specifico elemento di prova da parte del lavoratore.
2. Secondo invece un altro e diverso orientamento, al quale
aderiscono le sezioni unite, dal demansionamento, e quindi,
dall’inadempimento del datore di lavoro, non consegue
automaticamente e necessariamente l’esistenza di un danno. E’
dunque onere del lavoratore provare l’esistenza del danno, la
natura e le caratteristiche del pregiudizio subito nonché il
relativo nesso causale con l’inadempimento del datore di
lavoro. Pregiudizio che potrà quindi essere dimostrato in giudizio
con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, ivi compresa la prova
per presunzioni.
Corte di Cassazione, Sez. Lavoro,
27 giugno 2011, n. 14158
“[…] il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di
lavoro al risarcimento del danno (anche nella sua eventuale
componente del danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno
biologico) subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire
la prestazione lavorativa in base alla qualifica rivestita - lesione che,
per l’appunto, si profila idonea a determinare una dequalificazione
del dipendente stesso - è tenuto ad indicare in maniera specifica il
tipo di danno che assume aver subito ed a fornire la prova dei
pregiudizi da tale tipo di danno in concreto scaturiti e del nesso di
causalità con l’inadempimento, prova che costituisce presupposto
indispensabile per procedere ad una sua valutazione, anche
eventualmente equitativa. Tale prova può essere data, ai sensi
dell’art. 2729 c.c., anche attraverso l’allegazioni di presunzioni gravi,
precise e concordanti, sicché, a tal fine, possono essere valutate nel
caso di dedotto danno da demansionamento, quali elementi
presuntivi, la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il
tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del
demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa
assunta dopo la prospettata dequalificazione […]”.
L’art. 2103 c.c. e il mobbing
Quando la violazione dell’art. 2103 c.c.
diviene comportamento mobbizzante?
Vi può essere demansionamento o
trasferimento illeggitimo senza integrare il
mobbing?
Cassazione S.U. 4063/2010
Un dipendente amministrativo del Ministero del
Lavoro e delle Politiche sociali svolgeva, dal 1996 al
1999, funzioni vicarie di direzione e coordinamento
di uffici direttivi; successivamente, a seguito di una
riorganizzazione degli uffici territoriali, veniva
costretto a un quasi totale inattività e al disbrigo di
compiti inerenti informazioni generali sulle
competenza della DPL e addetto al protocollo,
venendo collocato in un ufficio minuscolo, sprovvisto
anche di computer, tanto da essere colpito da
disturbi di natura psico – somatica che lo avevano
costretto al pensionamento.
Cassazione S.U. 4063/2010
La Cassazione, accogliendo il ricorso del lavoratore
mobbizzato, ha dato il via a un risarcimento da
«mortificazione professionale» aumentando
nuovamente la somma risarcitoria, in considerazione:
1. della persistenza del comportamento lesivo di circa due
anni
2. la lunga durata di reiterate situazioni di disagio
professionale e personale, consistite tra l’altro, nel
dover operare in un locale piccolo, fatiscente e privo di
computer
3. nonchè, per “l’inerzia dell’amministrazione, rispetto alle
accertate richieste del dipendente intese a non
compromettere il patrimonio di esperienza e
qualificazione professionale, che costituiva un suo
primario diritto a prescindere dall’esistenza di specifiche
aspettative di carriera”.
Cassazione S.U. 4063/2010
La prova del danno da demansionamento può
essere fornita in giudizio con qualsiasi mezzo, in
particolare anche con presunzioni per cui dalla
complessiva valutazione di precisi elementi
dedotti (caratteristiche, durata, gravità,
frustrazione professionale) si possa, attraverso
un prudente apprezzamento, coerentemente
risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del
danno, facendo ricorso, ai sensi dell'art. 115
c.p.c., a quelle nozioni generali derivanti
dall'esperienza, delle quali ci si serve nel
ragionamento presuntivo e nella valutazione
delle prove
Tribunale di Trento, sezione lavoro,
sentenza 18 gennaio 2011
Tizio viene trasferito dalla filiale di Vigo di
Ton, sua sede di residenza, a quella di
Campodenno. Il trasferimento ha altresì
determinato il passaggio da responsabile
di filiale a commesso addetto alla vendita.
Non solo ma in precedenza, il lavoratore
sebbene inquadrato con la qualifica di 4°
livello super, ha svolto mansioni di capo
reparto (3° livello) per un periodo
superiore a tre mesi.
Rivendicazioni
dichiararsi l'illegittimità del trasferimento del lavoratore dalla filiale
di Vigo di Ton, sua sede di residenza, a quella di Campodenno,
disponendo la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro in
precedenza ricoperto presso la sede di Vigo di Ton;
condannare la convenuta al pagamento dell'indennità di trasferta
Accertato e dichiarato l'intervenuto demansionamento da
responsabile di filiale a semplice commesso addetto alla vendita
e pertanto lo svolgimento di una mansione inferiore, annullare
detto provvedimento del datore di lavoro ordinando la
reintegrazione del lavoratore nelle mansioni in precedenza
svolte;
Il diritto ad essere inquadrato nel superiore livello 3° come capo
reparto con conseguente riconoscimento delle differenze
retributive e contributive;
In conseguenza riconoscere la condotta mobbizzante del datore
con risarcimento del danno patrimoniale alla professionalità, il
danno non patrimoniale quale danno biologico, morale ed
esistenziale
La sentenza:
il trasferimento
Il trasferimento è illegittimo poiché il datore
di lavoro non ha provato le ragioni
tecniche, organizzative e produttive;
La conseguenza è la corresponsione
dell’indennità di trasferta nel periodo
considerato
...il demansionamento da responsabile di
filiale a semplice commesso
con la revoca dell'incarico di responsabile di
filiale il ricorrente ha cessato di esercitare alcune
mansioni di tipo organizzativo e gestionale (i
controlli contabili e la definizione degli ordini di
acquisto), certamente implicanti l'assunzione di
responsabilità e l'impiego di cognizioni tecnicopratiche, che prima espletava in aggiunta a
quelle proprie del commesso specializzato (al
banco dei prodotti alimentari). (c.d.
dequalificazione per sottrazione di mansioni)
Danni conseguenti al
demansionamento
1.
2.
3.
4.
5.
Danno non patrimoniale:
lesione all'integrità psichica e fisica suscettibile di accertamento
medico-legale (c.d. danno biologico in senso stretto) - cfr. Cass.
7.9.2005, n. 17812; Cass. 10.6.2004, n. 11045;
lesione del diritto alla libera esplicazione della personalità nel
luogo di lavoro (danno non patrimoniale alla professionalità in
senso soggettivo) - cfr. specialmente, di recente, Cass. 26.5.2004,
n. 10157;
lesione alla capacità professionale del lavoratore derivante o
dall'impoverimento della capacità acquisita o dalla mancata
acquisizione di una maggiore capacità (danno non patrimoniale
alla professionalità in senso oggettivo) - cfr. Cass. 17812/2005
cit.; Cass. 27.6.2005, n. 13719;
pregiudizio all'immagine ed alla dignità personali - cfr. Cass.
17812/2005 cit.; Cass. 13719/2005 cit.; Cass. 10157/2004 cit.;
nel pregiudizio alle chances professionali - cfr. Cass. 17812/2005
cit.; Cass. 13719/2005 cit.; Cass. 10157/2004 cit.;
Danno patrimoniale: consiste nel
pregiudizio economico per la perdita di
ulteriori possibilità di guadagno (danno
patrimoniale da lucro cessante - cfr. Cass.
11045/2004 cit. - mentre quello da danno
emergente è escluso in radice dal
principio, espressamente richiamato
dall'art. 2103, dell'irriducibilità della
retribuzione - secondo quanto precisato da
Cass. 8.11.2003, n. 16792).
I danni riconosciuti per demansionamento
Danno biologico: escluso poiché il ricorrente ha
allegato solo un certificato del medico di base in cui si
afferma che il lavoratore “è in trattamento farmacologico
ansiolitico”;
Danno alla professionalità: non appare sussistere un
rilevante danno alla professionalità derivante dalla
sottoutilizzazione del patrimonio professionale se si
considera che il ricorrente, non appena gli è stata offerta
la possibilità, ha ripreso a svolgere senza difficoltà
l'incarico di responsabile di filiale;
Danno alla reputazione sociale: in quanto la revoca
dell'incarico di responsabile di filiale, tanto più
accompagnata di lì a pochi giorni dal trasferimento ad
altra filiale, non può non aver ingenerato il dubbio tra i
membri della piccola comunità di Vigo di Ton che il
ricorrente si fosse reso responsabile di manchevolezze
tali da giustificare la modificazione di situazione
organizzativa consolidatasi da oltre un decennio;
Il danno da mobbing per
demansionamento
Per "mobbing" si intende comunemente una
condotta del datore di lavoro o del superiore
gerarchico, sistematica e protratta nel tempo,
tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente
di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati
comportamenti ostili che finiscono per
assumere forme di prevaricazione o di
persecuzione psicologica, da cui può
conseguire la mortificazione morale e
l'emarginazione del dipendente, con effetto
lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del
complesso della sua personalità;
Elementi rilevanti
a) la molteplicità di comportamenti di carattere
persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati
singolarmente, che siano stati posti in essere in modo
miratamente sistematico e prolungato contro il
dipendente con intento vessatorio;
b) l'evento lesivo della salute o della personalità del
dipendente;
c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del
superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psicofisica del lavoratore;
d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento
persecutorio.
Nel caso...
le doglianze espresse dal ricorrente riguardano soltanto
due atti di gestione del rapporto di lavoro (il
demansionamento mediante revoca unilaterale
dell'incarico di responsabile della filiale di Vigo di Ton ed
il trasferimento dalla filiale di Vigo di Ton a quella di
Campodenno) compiuti in momenti temporali assai
ravvicinati; risulta quindi evidente, che il ricorrente non
è stato vittima di una molteplicità di comportamenti
di carattere persecutorio posti in essere in modo
miratamente sistematico e prolungato contro il
dipendente con intento vessatorio, difettando così
l'elemento principale richiesto ai fini della configurazione
di una fattispecie di mobbing.
CONCLUSIONI
Le condotte del datore di lavoro integranti
violazione del precetto di cui all’art. 2103 c.c.
possono non integrare comportamenti
mobbizzanti se:
Sul piano oggettivo: manca la sistematicità e
la protrazione nel tempo della condotta; ovvero
sul piano eziologico le condotte non sono
causa del pregiudizio all'integrità psico-fisica
del lavoratore;
2. Sul piano soggettivo: manca l’intento
persecutorio del datore di lavoro.
1.
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Presentazione ART. 2103 - CSDDL.it