GELA
Salvatore Licata
Cenni Storici
Gela fu una delle più importanti città dell’antichità, spesso interprete di avvenimenti storici decisivi, ne sono
testimoni i ruderi e i reperti. Secondo Tucidide, Gela fu fondata presso l’omonimo fiume dai coloni rodi e cretesi
con a capo Antifemo ed Entimo nell’anno 688 a.C. (VII sec a.C.) ,a 145 anni dalla fondazione di Siracusa.
Nonostante i contrasti con le popolazioni preesistenti i Geloi s’insediarono e continuarono ad espandersi sino
alla fondazione di Agrigento nel 581 a.C. e a penetrare nella Sicilia centromeridionale e orientale.
Gela era una potenza rispettabile, ma ben presto ebbe contrasti con Agrigento per l’egemonia commerciale
militare. Nel 483 a.C., Gelone, tiranno di Gela accorso in aiuto dell’aristocrazia siracusana e divenne
il tiranno di Siracusa, lasciando Gela al fratello Ierone, il quale fu vincitore al fianco di Agrigento nella
battaglia di Imera nel 480 a.C.
sui Cartaginesi comandati da Amilcare. Alla morte di Gelone, questi si trasferì a Siracusa prendendone il
comando, e Gela perse parte della sua importanza a livello commerciale e militare, ma continuò ad essere un
importante centro culturale ed artistico, tanto che il famoso tragediografo Eschilo passò gli ultimi tre anni
della sua vita proprio a Gela.
Una data molto importante per Gela è il 424 a.C. Vi era belligeranza tra le città greche di Sicilia e il progetto
ambizioso di Atene aveva spinto Gela e Camarina ad una tregua, coinvolsero anche i rappresentanti delle
principali città, Siracusa compresa per arrivare alla pace.
Nel 405 a.C. i Punici guidati da Imilcone distrussero la città,in aiuto della quale era giunto Dionisio I.
La ricostruzione e l’ampliamento di Gela si debbono a Timoleonte nel 338 a.C., il quale assicurò un periodo di
prosperità alla città.
Nel 311- 310 a.C. Agatocle di Siracusa conquistò Gela trasformandola in base contro i Punici.
Nel 280 a.C il tiranno agrigentino Phintias la distrusse e ne trasferì i superstiti nella nuova città da lui fondata,
Phintiade , l’ odierna Licata. Soltanto nel 1233, si ha la resurrezione di Gela, grazie all’iniziativa di Federico II.
L’abitato attuale, sorge nel luogo scelto dagli antichi abitanti.
La Città
Fase Protostorica
Si hanno tracce, secondo quanto testimoniano molteplici reperti, di un primo
insediamento umano a Piano Notaro durante le prime fasi dell’eneolitico
occidentale siciliano, poco meno di 4000 anni prima di Cristo.
Fase Greca
I ruderi di due edifici, risalenti alla metà del VII sec a.C. ci segnalano l’arrivo dei
Greci, i quali ingrandirono nei due secoli sucessivi la città.
Fase Romana
Necropoli di Manfria - Grotte
A circa 10 chilometri ad Ovest di Gela, in
contrada Manfria, si alza un gruppo di
collinette che fin dall’età protostorica furono
intensamente abitate. Gli scavi hanno
messo in luce resti di diversi villaggi
protostorici d’età castellucciana; le pareti
rocciose delle collinette di questa contrada,
sono inoltre costellate di tombe a forno
dell’ Età del Bronzo.
In un’area della zona collinare
prospiciente a Piano Marina e che scende
ad Ovest verso la campagna, oltre ad un
insediamento protostorico esistono pure
i resti di una necropoli paleocristiana con
tombe rettangolari, ricavate sulla roccia
calcarea, in origine chiuse da lastre
di pietra.
Necropoli di Manfria - Torre
Un altro importante reperto che si può osservare in questa stessa contrada é una
torre d’avvistamento e difesa denominata Torre di Manfria; fu iniziata nel 1549
durante il viceregno del De Vega, ma rimasta incompiuta fu ripresa agli inizi del
1600 e completata su disegno dell’architetto fiorentino Camillo Camilliani.
In diverse zone di Manfria (contrade Monumenti, Stallone e Mangiova), infine,
sono stati ritrovati ancora altri antichi insediamenti riferibili ai periodi romano
imperiale, tardo-romano e bizantino.
Necropoli di Grotticelle
Catacombe
Nella zona di Grotticelle, a circa otto chilometri dalla città, su un grosso sperone
roccioso esiste un sito protostorico da cui successivamente é stato ricavato un
complesso catacombale paleo-cristiano.
Castelluccio
Ad ovest di questa
necropoli, in contrada
Spadaro, si erge su uno
sperone di roccia gessosa
una costruzione fortificata
a cielo aperto con due
torri terminali denominata
Castelluccio; incerto è il
periodo
della
sua
edificazione, sembra però
accertato, dalla struttura
tipologica
dei
muri
perimetrali, che risalga al
XIII.
Necropoli di Disueri
Più fittamente abitato ci appare il territorio di Gela fin dall’Età del Bronzo (2000 a.C.), quando
le culture isolane sembrano raggiungere un loro più saldo assestamento. Di esse abbiamo
tracce dappertutto; da Molino a Vento a Piano Notaro (cultura di San Cono), da Manfria a
Desusino ed in tutte le alture a Nord dell’entroterra gelese. E proprio tra queste alture che si
snodava e si snoda il fiume Gela, una via fluviale d’estrema importanza sui cui margini delle
rocce scoscese si costituì un aggregato di diversi abitati protostorici costituenti un unico
organismo militare e politico, ovvero il centro protostorico della tarda Età del Bronzo del
Disueri, non soltanto il più notevole di questi luoghi, ma addirittura tra i più vasti e popolosi
della Sicilia, paragonabile a quello di Pantalica.
Necropoli di Disueri
Come nei villaggi dei Sicani che avevano tempo prima costellato la pianura di Gela, anche
qui i vari agglomerati abitativi erano fatti di capanne, a pianta generalmente circolare.
Purtroppo ancora nulla si conosce come esperienza diretta di questi villaggi, dal momento
che le ricerche archeologiche si sono indirizzate alle necropoli che furono cavate con
meravigliosa industria sui fianchi e sulle balze delle diverse alture in corrispondenza dei
villaggi che ne occupavano la sommità. Fino ad oggi le tombe esplorate si aggirano attorno
alle duemila contro altre migliaia che ancora risultano non censite. I reperti trovati fino ad
oggi dentro le tombe a colombaia scavate nella roccia sono costituiti soprattutto da
ceramica a superficie rossa traslucida e da oggetti in metallo come fibule, spade, rasoi, ecc.
Acropoli di Molino a Vento
Area situata nella parte sud- orientale dell’abitato nei pressi della foce del fiume Gela.
Nella parte orientale della collina di Molino a Vento, si colloca il basamento di un grande tempio dorico
(m 51,30 x 21,70), fornito, secondo la probabile ricostruzione, di 6 colonne in facciata e 14 sui lati lunghi,
e di tegole marmoree, databile sulla base dei capitelli al 480-70 a.C. Spostandosi verso ovest, ci sono i resti
dell’ Athenaion, anch’esso conservato a livello di basamento (m 35,22 x 17,25) e la splendida decorazione fittile
della metà del VI sec. a.C.Questo tempio è stato preceduto da un sacello più antico, costruito a pietrelle e in
parte conservato all’internodel perimetro dell’Athenaion successivo, cui si riferiscono anche terrecotte
architettoniche del VII sec. a.C.; si pensa che l’edificio sacro sarebbe andato distrutto alla fine del VII- inizi del
VI sec. a.C. e forse sostituito dal tempio dorico.Presso la fonte orientale dell’Athenaion si conservano anche
resti di un altro sacello o thesauròs al quale si possono attribuire terrecotte architettoniche.All’interno di resti di
mura arcaiche sono altre costruzioni minori sempre arcaiche, probabilisacelli, thesauroì o basamenti di donari.
A poca distanza a nord della fronte orientale dell’ Athenaion arcaico, sono i resti di una struttura (m 9,50 x 4,70)
del VII sec. a.C. a tre vani disposti sull’asse est-ovest, con ambiente centrale minore di cerniera sui due laterali
più grandi: anche per questa, come per un’altra coeva costruzione quadrata (m 4 x 4), quasi parallela alla fronte
orientale del tempio dorico e a nord di questo, è stata supposta una destinazione sacra, risalente al VII sec.
a.C. , ovvero le più antiche testimonianze della presenza greca sull’acropoli. Vi sono inoltre alcuni edifici
orientati come i templi, risalenti al VI sec. a.C. La collocazione del muro di cinta risale alla fine del VI sec.
a.C.Risalirebbe invece alla fine del V sec. a.C. la sistemazione urbanistica con una plateia orientata est-ovest e
stenopoi (già presenti nel VI sec. a.C.) posti alla distanza di m 30,50 tra loro e larghi m 4; Tale sistemazione
avrebbe inglobato alcune costruzioni sacre arcaiche.A nord dei templi, sulle preesistenze arcaiche, si
estendono i resti dell’abitato della rifondazione Timolontea, disposto su almeno due terrazze lungo strade
nord-est/sud-ovest, con isolati di m 44 di larghezza; le case, costruite con fondazioni e basamento dei muri in
blocchi e in materiali riadoperati, e alzato originariamente a mattoni crudi, sono di pianta alquanto irregolare.
Acropoli di Molino a Vento
Sulla collinetta di Molino a Vento, all’estremità orientale di Gela, era situata l’acropoli
della città arcaica, in posizione predominante rispetto alla foce del fiume omonimo. Gli
scavi, effettuati in diversi periodi (iniziati nel 1906 da Paolo Orsi) e ancor’oggi in corso
d’opera, hanno rivelato sotto il piano greco arcaico un ricco strato protostorico
contenente ceramica dell’ Età del Rame e del Bronzo. In particolare, sono state portate
alla luce quattro tombe a fossa circolare circondate e chiuse da lastre di pietra in
posizione verticale; sopra i resti di questo villaggio protostorico i coloni rodio-cretesi
costruirono i templi e i santuari della nuova città.
Acropoli di Molino a Vento
Questa zona, inoltre, fu incendiata e distrutta dai Cartaginesi nel 405 a.C. e
ripopolata a partire dal 339 a.C.; il fianco nord dell’acropoli fu tagliato a terrazze
e su di essa furono costruite case e botteghe e sacelli divisi da una serie di
strade (stenopoi), della larghezza di 4 metri e alla distanza di 30,50 metri l’una
dall’altra, tutte perfettamente perpendicolari all’asse viario principale (plateia)
che divideva tale area a Nord, dal settore templare d’Athena (athenaion) a Sud;
fondazioni e muri delle case sono costruiti con scaglie di pietra legate con
argilla, mentre gli angoli sono rinforzati da blocchi regolari di calcare; in altri
muri si riscontra una tecnica mista; blocchi di calcare alternati a riquadri di
scaglie di pietra.
Le Fortificazioni Greche
di Capo Soprano
La località Capo Soprano, è situata nella parte occidentale della città, frutto
dell’ampliamento del centro abitato dell’età Timoleontea.
Il monumento più importante è il grande sprone delle Fortificazioni del IV sec. a.C. ,
conservatosi sotto una duna sabbiosa di circa 13 m di altezza.
La tecnica costruttiva è costituita da blocchi isodomi si pietra dello spessore di m 3 e
un’altezza di m 3,50; la parte rimanente dell’alzato con i camminamenti di ronda e le
merlature, venne eseguita in mattoni crudi.
Il fenomeno dell’ insabbiamento doveva essere rilevante, visto che all’epoca
dell’occupazione di Agatocle, circa trenta anni dopo la costruzione della fortificazione, e
poi ancora all’epoca di Pirro, si dovette procedere a rialzare o a rettificare la costruzione
con mattoni crudi, provvedendo a chiudere anche delle postierle archiacute utilizzate in
precedenza per le uscite.
I camminamenti di ronda erano raggiungibili mediante scale alloggiate in appositi salienti
del percorso, mentre catene di torri in pietra (poi sostituite da strutture in mattoni crudi)
guarnivano le linee e soprattutto la porta, che a Capo Soprano si colloca al centro del muro,
all’estremità occidentale.
All’interno delle mura presso il tratto settentrionale, sono disposte alcune strutture assai povere,
stanze disposte intorno a una corte centrale, identificate con alloggiamenti militari.
Le Fortificazioni Greche
di Capo Soprano
Fino al 1948 la zona di contrada Scavone era ricoperta, nella sua estremità sud-orientale,
da un’enorme massa di dune mobili, alcune delle quali alte fino a dodici metri; sotto
queste dune giaceva sepolto da più di duemila anni uno dei monumenti più importanti
dell’antichità classica, un lungo tratto delle mura greche di Gela, riemerse dopo tanti
secoli in uno splendido stato di conservazione. Le mura rappresentano l’estremità
occidentale di una linea difensiva che in origine girava probabilmente intorno a tutta la
collina ove sorgeva la città di Gela; la cerchia muraria fu distrutta nel 282 a.C. e
smantellata poi in epoca medievale.
Solo questo tratto di Scavone, rimasto sepolto nella sabbia, si salvò miracolosamente fino
ai nostri giorni. Alcuni studiosi hanno datato queste mura nella seconda metà del IV sec.
a.C. e, quindi, secondo alcune fonti storiche si tratterebbe della cinta muraria fatta
edificare da Imoleonte durante la ricolonizzazione di Gela del 339 a.C.
Le Fortificazioni Greche
di Capo Soprano
Queste fortificazioni presentano una tecnica costruttiva molto in uso nel mondo antico,
definita come "tecnica mista" e cioè blocchi di calcare perfettamente squadrati nella parte
inferiore e mattoni quadrati d’argilla cruda seccata all’aria nella parte superiore; certamente
più importante, dunque, risulta il muro superiore di formelle d’argilla cruda, la sommità della
cinta è merlata. I muri di mattoni crudi nell’antichità furono costruiti un po’ ovunque; in Iraq
come in Egitto, in Grecia come in Italia, dove, in particolare, non può che citarsi qualche
tratto delle fortificazioni etrusche di Arezzo. Quelle di Gela le superano di molto, soprattutto
per la freschezza della conservazione. Non si esagera, dunque, nell’affermare che
rappresentano un unicum nell’archeologia mediterranea.
Le Fortificazioni Greche
di Capo Soprano
Le fortificazioni di Scavone (lunghe complessivamente 350 metri con il punto più alto
che arriva fino a 8 metri) furono costruite in diversi periodi in relazione ad eventi
storici e, in massima parte, al movimento stesso delle dune di sabbia che lentamente
andavano ricoprendo livelli sempre più alti della fortificazione. Nell’area racchiusa tra
le mura della fortificazione esistono, inoltre, sepolte dalla sabbia tracce d’edifici, con
piccoli zoccoli in pietra e pareti in mattoni crudi, riferibili a caserme militari ed
abitazioni del IV sec. a.C. Recentemente alcuni scavi, effettuati alla base della
testata di nord-est delle fortificazioni, hanno evidenziato la continuazione delle
fondazioni in direzione della città; quindi un ulteriore contributo all’ipotesi di una cinta
muraria di più vaste dimensioni.
I Bagni Greci
Nella collina di Caposoprano, ad Ovest del centro storico di Gela, laddove in età
Timoleontea la città si estese sovrapponendosi alle antiche necropoli, gli scavi hanno
rivelato la presenza di uno stabilimento termale di bagni greci, unico in tutta l’ Isola e il più
antico tra quelli conosciuti in tutta Italia, databile verso la fine del IV sec. a.C.
L’ impianto comprendeva in origine un ambiente con riscaldamento per bagni di sudore e
due gruppi di vasche servite da relativo condotto di scarico, uno disposto a ferro di cavallo
e l’altro di forma circolare. Le vasche di piccole dimensioni (della lunghezza di 1 m.) sono
munite di sedili e di un incavo anteriore per la raccolta dell’acqua; in un secondo ambiente,
sotto il piano di calpestio, s’intravvedono i resti di un vano e due corridoi dove era bruciato
il combustibile.
Bitalemi
Sicuramente il principale santuario extraurbano, il santuario di Demetra sulla riva del
fiume Gela, sulla collinetta che fronteggia l’acropoli e reca il nome di Bitalemi, dalla
chiesetta della madonna di Betlemme, sovrastante la collinetta.
Il culto è antichissimo, sin dai primi tempi della colonia.
La presenza di materiali indigeni non indica la presenza di un culto locale, ma solo la
frequentazione sicula coeva a quella greca.
Il Santuario comprende pochissimi resti di piccoli edifici della metà del VI sec. a.C. creati
dopo una prima fase di culto all’aperto e ricostruiti nel V sec. a.C., e soprattutto una
stratificazione complessa e ricca di depositi votivi, spesso sigillati e sotto vasi capovolti
e infissi nel terreno sabbioso.
Tra questi reperti si trovano: ceramiche, lucerne e statuette fittili, e in particolare una barra di
bronzo del tipo dell’aes signatum, forma primitiva di moneta tipica del Lazio e dell’ Etruria
meridionale, databile al secondo quarto del VI sec. a.C.
Molto significativi sono anche i doni votivi di idrie, collegati con il culto della dea eleusina, e il
frammento di vaso attico del V sec. a.C. con un iscrizione che lo rende sacro a Demetra,
ed è una prima testimonianza archeologica ed epigrafica de rituale delle Tesmoforie,
feste durante le quali le donne solevano isolarsi dentro le tende.
Il santuario ha rilevato strati che giungono fino alla conquista cartaginese del 405 a.C.;
è probabile che il culto, nonostante l’abbandono di Gela, sia proseguito fino all’epoca Cristiana,
se la Madonna di Betlemme sostituisce l’antica venerazione di Demetra.
Bitalemi
Bitalemi Ad Est del fiume Gela, nelle immediate vicinanze della sua foce, esiste una collinetta
denominata Bitalemi su cui a partire dal VII sec. a.C. e fino al medioevo si sono insediate diverse
popolazioni. In epoca arcaica, fino alla fine del V sec. a.C., fu sede di un santuario greco dedicato al
culto delle divinità ctonie Demetra e kore con piccoli edifici dalle fondazioni di pietrame a secco; a
questa fase appartengono migliaia d’ex voto quali vasi acromi e dipinti, anfore, coltelli e strumenti di
ferro che in parte erano collocati capovolti entro lo strato di sabbia in relazione al carattere sotterraneo
della divinità.
Nel periodo romano d’Età Imperiale (I-IV sec. d.C.) il sito fu occupato da una fattoria (impiantata
direttamente sui ruderi del santuario greco) che, in relazione a ritrovamenti di tegole con timbri
"CALVI...", faceva parte del latifondo di Calvisiana. Infine, nello strato superficiale della collina sono
stati ritrovati resti di una chiesa e di una necropoli risalenti all’età di Federico II; lo scavo della
necropoli, in particolare, ha evidenziato anche una grande fossa comune con numerosi scheletri ben
conservati e con tracce di calce viva su di essi, il che li farebbe collegare alla disastrosa peste del 1348.
Ex Scalo Ferroviario
Nel 1984, durante i lavori per la realizzazione di una strada nell’area dell’ex scalo
ferroviario, sono venuti alla luce i resti di un santuario, dedicato alle divinità ctonie, e di
un complesso abitativo del IV sec. a.C. con alcuni stenopoi (strade). Nel 1956 la zona fu
interessata da un’importante scoperta, in particolare fu proprio qui che venne alla luce
l’importantissimo tesoro di monete che provenivano da offerte alla divinità del santuario,
raccolte in un vaso e sepolte tra il 490 e il 480 a.C.
Emporio di Bosco Littorio
Alcuni scavi del 1983, effettuati in un’area a margine di Bosco Littorio, hanno portato
alla luce strutture arcaiche in mattoni crudi con tracce di pavimentazione, risalenti al
primo insediamento dei coloni greci, che si riferiscono all’esistenza di un emporio. La
zona sabbiosa di questo boschetto, realizzato nel 1927, é il risultato di secoli di
sovrapposizione di dune mobili che potrebbero nascondere i resti di una città, forse
quella di Lindioi, del primissimo insediamento rodio-cretese del VII sec. a.C., e quindi
anche del tanto ricercato teatro greco di cui mai sono state ritrovate tracce.
Emporio di Bosco Littorio
Alla fine di dicembre del 1999, durante alcuni scavi archeologici effettuati a Ovest
del Bosco, sono venuti la luce altri ambienti da cui sono emersi diversi reperti e
tra essi tre pregiatissimi altari fittili con figurazioni in altorilievo; (un primo altare,
delle dimensioni di 120 x 60 cm.), ha raffigurata una Gorgone Medusa alata in
corsa che abbraccia il cavallo alato Pegaso e Crisaore; un secondo altare più
piccolo presenta in altorilievo la dea Eos nell’atto di rapire Kefalos; infine, un
terzo altare, su cui sono raffigurati una scena di caccia di una leonessa che
azzanna un toro e tre divinità riconducibili a Demetra, Kore ed Ecate Afrodite
oppure alle Metères. E’ molto probabile che la continuazione degli scavi serberà
altre importanti scoperte.
Piazza Calvario
Nell’area del cortile degli ex granai del Palazzo Ducale, nella zona di Piazza Calvario, nel 1991 durante i
lavori di scavo per la realizzazione di un parcheggio pubblico sono affiorate consistenti vestigia d’antiche
strutture risalenti ad epoche diverse; gli archeologi hanno effettuato diverse trincee mettendo allo
scoperto una serie di reperti ascrivibili a tre periodi: medievale, arcaico e classico.
La zona di Piazza Calvario era già conosciuta come area sacra per precedenti scavi effettuati da Paolo
Orsi e più recentemente da Orlandini e Adamesteanu, scavi da cui vennero alla luce vestigia di sacelli,
decorazioni fittili e terrecotte architettoniche.
Nell’area del cortile sono stati evidenziati da una parte materiali e strutture del periodo medievale, alcune
cisterne ed un muro (largo 2 metri e lungo 25 metri); dall’altra parte, verso Nord, due fasi riferibili ai
periodi arcaico e classico. Si fanno risalire al primo periodo, tra il VII e il VI sec. a.C. , due muri di un
edificio con zoccoli in pietrame misto a ciottoli di fiume, un pithos e molti frammenti di ceramica; mentre
al secondo periodo si possono attribuire diversi frammenti di antefisse sileniche e gorgoniche, nonché un
vestigio di strada costruita con ciottoli di fiume, (larga 2 mt. ed orientata in senso nord-sud).
Quartieri Ellenistici
Nel 1951 nell’area di Villa Jacona, (a sud di
Via E. Romagnoli e prospiciente sul mare all’altezza del
Porto Rifugio) vennero casualmente alla luce i resti di
una villa suburbana ellenistica del IV sec. a.C.
Durante gli scavi, vennero anche alla luce i resti di epoca
arcaica riferibili ad un luogo di culto.
Nella zona a Sud di Caposoprano, (fino agli anni Settanta
ricca d’orti e villini, in un’area compresa tra le vie G. Meli,
G. Morselli e Candioto) nel 1985 sono venuti alla luce
importanti resti di un quartiere ellenistico del IV sec. a.C.
e tracce di vita più antica.
Monte Bubbonia
Il sito archeologico di Monte Bubbonia, territorio di Mazzarino, distante circa 25 Km. a
Nord-Est di Gela, fin dalla prima Età del Bronzo fu sede di un centro siculo, forse
identificabile con la città di Maktorion, che in epoche successive fu completamente
ellenizzato com’evidenziano le vestigia degli edifici sacri, le terrecotte architettoniche, i
corredi funerari e l’impianto urbanistico.
Monte Bubbonia
Piano Camera
Piano Camera
In contrada Piano Camera, a circa 13 Km. ad Est di Gela, esistono tracce di vita
d’insediamenti geloi, del VI e V sec. a.C., e vestigia di diverse epoche fino a quella
tardo-imperiale del V sec. d.C.; in particolare sono state ritrovate le fondazioni di una
fattoria tardo-antica del IV-V sec. d.C., forse appartenuta all’ imperatore Galba, nome
frequente che compare nei bolli di tegoli ritrovati nell’ area. Durante gli scavi sono stati
ritrovati diversi reperti tra cui una lucerna romana con figura d’arciere e un raro
frammento di una coppa in sigillata con una scena del Vangelo riferita al miracolo del
paralitico.
La Nave Greca di Gela
La Nave Greca di Gela
Verso la fine del VI sec. a.C., una nave commerciale greca carica di mercanzie, proveniente
forse da Siracusa, era in procinto di arrivare sulla costa di Gela, passaggio obbligato per
tutto il commercio navale del Mar Mediterraneo, quando un fortunale la colse a poca
distanza dall’ Emporio; possiamo immaginarla l’ imbarcazione, sballottata tra i flutti
minacciosi e la corrente impetuosa del mare, trovarsi in grave difficoltà. L’ equipaggio
ammaina la vela per diminuire la resistenza al vento ma nonostante ciò la nave, già
ingovernabile, comincia ad imbarcare acqua; viene gettato in mare il carico più pesante per
alleggerire l’imbarcazione e mentre si procede in modo concitato a questa operazione, l’
ultima per salvare la vita dei marinai, ad un tratto uno schianto fa reclinare la barca su un
lato; la zavorra ha prodotto un grosso squarcio nella fiancata. La nave affonda velocemente
e sparisce tra i flutti.
La Nave Greca di Gela
L’imbarcazione, i cui resti sono in ottimo stato di
conservazione, (in origine misurava
m 20 x 8 ); era una nave da trasporto a
propulsione mista, remi e vela, costruita con la
tecnica a guscio (ovvero col fasciame inserito
sulla chiglia e con l’ossatura di rinforzo inserita
nello scafo), e con le tavole del fasciame oltre
che incastrate col sistema del tenone-mortasa
rafforzate da cuciture vegetali, esempio questo
unico al mondo fino ad oggi scoperto.
La Nave Greca di Gela
Dopo ben 25 secoli, i resti della nave vengono evidenziati casualmente da due subacquei.
Dal 1989 al 1992 con cinque campagne di scavo viene scoperto uno dei relitti più antichi fino
ad oggi ritrovato nei fondali del Mar Mediterraneo e ci vengono restituite una considerevole
quantità di reperti archeologici, tra cui vasellame attico a vernice nera e due rarissimi askoi
a figure rosse.
Reperti Vari
L’idea della civiltà gelese e della sua evoluzione è evidenziata dai reperti.
I ceramisti ebbero un loro vivacissimo stile, come testimoniano i vari reperti. Molto
importante è anche il medagliere, composto da circa 900 monete, provenienti da
Gela e dalle altre città (V sec a.C) siceliote e attiche (405 a.C.).
Bibliografia e foto:
-
Sicilia archeologica, ed. De Agostini, 1991.
F. Coarelli – M. Torelli, Guida archeologica della Sicilia,ed. Laterza, 1984
Sito web Archeoclub di Gela.
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