Nel 1927 il poeta si trasferisce a Firenze.
Si impiega in una biblioteca, vive ospite a
casa dello storico d'arte Matteo Marangoni,
marito di Drusilla Tanzi, donna che diventerà
importante nella vita del poeta.
Con lei Montale avrà una lunga relazione, sarebbe
poi diventata sua moglie nel 1962 e morirà l’anno
successivo, dopo oltre vent’anni di vita in comune.
Figura celebrata nella poesia Ho sceso dandoti il
braccio almeno un milione di scale della raccolta
Satura
Al caffè delle Giubbe Rosse, a
Firenze, ritrovo di letterati e artisti
Montale con Vittorini
In seguito direttore del Gabinetto Scientifico
Letterario
Vieusseux,
posto
da
cui
verrà
allontanato nel ‘38 per antifascismo.
Nel 1938, a seguito delle leggi razziali, Irma
Brandeis, altra donna importante nella vita di
Montale, è costretta a lasciare l’Europa.
Nel ‘39 escono Le Occasioni
Irma Brandeis, americana, di
origine ebraica e critica letteraria,
con cui il poeta avrà una storia
d'amore (1933).
Questa
donna
diventa
nella
poesie di Montale emblema di
una
salvezza
soprattutto
nella
possibile,
raccolta
Le
occasioni, dove compare con il
soprannome di Clizia.
Le occasioni è il titolo della seconda
raccolta poetica di Montale, pubblicata da
Einaudi nel 1939.
Essa annovera al suo interno la produzione
poetica dell’autore tra il 1928 e il 1939, e la
raccolta conoscerà nelle edizioni successive
modifiche ed aggiunte.
Dedicate a I.B. che si scoprirà
essere Irma Brandeis, Clizia
Il mito
Clizia, figlia dell’Oceano, era amante del Sole, ma venne da lui
abbandonata per la sorella, si vendicò denunciando la sorella
al padre Oceano che la fece sotterrare viva; Clizia persa la
speranza di poter riconquistare l’amore del dio, si trasformò in
girasole. Nel mito Clizia resta sempre fedele al Sole, cioè
Apollo, dio della cultura; il girasole infatti si volge sempre
verso il sole, e cioè verso il valore supremo della cultura.
Clizia diventa così la nuova Beatrice, l’annunciatrice di un
nuovo valore e di una nuova religione: quella delle lettere
Già nel titolo ci
viene indicato il tema
rappresentato proprio da quegli istanti
dell'esistenza durante i quali è possibile
intravedere una realtà diversa, come ne I
limoni
Rispetto ad Ossi di seppia, sono evidenti da
subito alcuni cambiamenti nella poetica
montaliana: dalla poesia del paesaggio ligure
passiamo
a
testi
che
si
concentrano
maggiormente su una figura femminile, di
nome Clizia, che, amata e mancante, diventa
una figura emblematica della poesia di
Montale.
Clizia
-
Irma
Brandeis
-
assume
contemporaneamente i tratti di una donna
reale
e
quelli
della
donna
salvatrice
e angelicata, che, richiamano alla memoria
la tradizione stilnovistica.
Diventa per il poeta l'ultima ancora di
salvezza dal disastro storico e personale cui
egli assiste

La donna angelicata ritorna dunque nella letteratura
del Novecento nella poesia di Eugenio Montale, che
riprende intenzionalmente motivi danteschi, in primis
l’epifania della donna angelo, reinterpretandoli però
alla luce della sua consapevolezza della solitudine e
dello smarrimento dell’uomo moderno.

Ma rimane in lui la fiducia nella poesia, non come
fonte di verità, ma come capacità di riscatto dalla
disperazione e come suprema dignità di chi non
vuole scendere a compromessi e vuole mantenersi
coerente con i propri principi di onestà, intellettuale
innanzitutto.
Questo
miraggio
di
salvezza
che Montale intravede (e che lo distoglie,
almeno in parte, da una condizione di
solitudine), verrà ulteriormente sviluppato
nella raccolta successiva, La bufera, dove
l’angelica Clizia cederà il posto ad una
creatura
terrestre:
Volpe
(la
poetessa Maria Luisa Spaziani)
giovane
Tuttavia, ne Le occasioni, anche la realtà
esterna e contingente riveste un compito
importante: il pessimismo
montaliano si
sviluppa ulteriormente, ribadendo come un
dato di fatto la disarmonia del mondo e della
vita già espressa nella raccolta precedente
La figura femminile, in questa raccolta fa il
suo fondamentale ingresso.
Il poeta la rivede solo in apparizioni che
riescono a illuminare per un attimo l'oscurità
esistenziale.
Nucleo della raccolta è sicuramente la
seconda sezione, intitolata Mottetti, ventuno
brevi componimenti
I
mottetti (antichi componimenti francesi) che
compongono questa sezione furono definiti
dal
poeta
stesso
«un
romanzetto
autobiografico» e delineano la sua psicologia
di uomo che vive «assediato dalla presenzaassenza di una donna amata».
Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t'attende dalla sera,
in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto
la bussola va impazzita all'avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s'addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell'oscurità.
Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende... ).
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta
La ricerca del varco
Uno dei temi fondamentali di questa lirica è
quello del varco, inteso come superamento
della solitudine esistenziale, come ricerca di
una vita autentica, ma che rimane una
possibilità irrealizzata.
La casa dei doganieri, un tempo luogo di incontri
amorosi con una donna e ormai luogo della
memoria,
diviene
per
il
poeta
il
pretesto,
l’“occasione” per riandare a un sogno di felicità
accarezzata e perduta insieme.
Il poeta è consapevole che non ci può essere più
corrispondenza di affetti nel ricordo: dei due è solo
lui a mantenere vivo il tempo di quell’incontro e a
tenere un capo del filo che non riesce però a farli
ricongiungere: all’altro capo lei non c’è più.
Di lontano, balena a tratti una luce, forse la via di
fuga dal rapido scorrere del tempo sempre
uguale; ma subito la speranza del varco è
vanificata.
L’io lirico non può che proclamare la sua
solitudine e il suo smarrimento dinanzi agli
eventi: perduto il senso delle cose, dell’andare e
del restare, del permanere nella memoria, egli
non sa più quale significato attribuire al passato,
al presente, alla vita stessa.
Inserita nella raccolta del '39.
In questa poesia il paesaggio estivo della
Liguria dell'infanzia e dell'adolescenza del
poeta ha acquisito una tinta oscura, tenebrosa
e minacciosa.
Si introduce una componente emblematica
della poesia di Montale, il "Tu" appunto a cui il
poeta si rivolge.
Questo "Tu" si riferisce a una donna
realmente
esistita,
ma
finisce
per
allontanarsi dalla sua identità anagrafica per
diventare emblema, attraverso cui l'Io del
poeta si confronta e si specchia.
Abbiamo una poesia più complessa e
difficile: spesso gli oggetti reali che il poeta
evoca diventano il corrispettivo concreto di
una
specifica
emozione
(correlativo
oggettivo), sono simboli o allusioni per dare
forma ai propri stati interiori.
Infatti,
gli
oggetti
e
le
ambientazioni
diventano emblemi della memoria e della
perdita del passato.
Montale qui canta l'oblio, l'impossibilità di
trovare salvezza anche nel ricordo.
Sul piano stilistico, colpiscono le scelte
letterariamente più elaborate da parte
di Montale, l'uso di termini non comuni, una
sintassi più complessa e frequentemente
"spezzata" dal ricorso all‘ enjambement,
dall‘ uso di figure retoriche e metafore (in
particolar modo, per la figura femminile).
Ti libero la fronte dai ghiaccioli
che raccogliesti traversando l’alte
nebulose; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti desti a soprassalti.
Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo
l’ombra nera, s’ostina in cielo un sole
freddoloso; e l’altre ombre che scantonano
nel vicolo non sanno che sei qui.
che raccogliesti traversando l’alte
nebulose; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti desti a soprassalti.
Il poeta immagina che Clizia, vera e propria
portatrice
di
salvezza,
giunga
volando
attraverso gli strati più alti e più freddi del cielo,
come un angelo.
Nel suo volo la donna sfida i cicloni e i cieli, per
portare il suo messaggio salvifico, e il poeta
immagina di asciugarle la fronte ghiacciata.
Nella seconda quartina il quadro cambia.
È
mezzogiorno
e
dalla
finestra
si
vede l’ombra scura di un nespolo, mentre nel
cielo
un timido sole
resiste al freddo
invernale.
Nel
frattempo,
all’angolo
alcuni
uomini
del vicolo, ignorando
presenza salvifica.
svoltano
la sua
Si noti il riquadro della finestra segna il confine
tra lo spazio privato e un mondo esterno agitato
da forze minacciose.
A queste due dimensioni spaziali si aggiunge
quella da cui proviene la donna-angelo
La visione negativa dell’esistenza rinvia a una
concezione del mondo sensibile come prigione cui
si contrappongono immagini di un’incerta speranza
in una possibile via d’uscita (il varco, il filo da
sbrogliare).
L’attesa di un miracolo improvviso è legata ad
“occasioni” di salvezza costituite principalmente da
figure femminili
Ecco dunque rappresentate queste allegorie
salvifiche, e tra tutte la “donna angelo” – diviene
allegoria di valori laici; per esempio della cultura
Ne Le occasioni, anche la realtà esterna e
contingente riveste un compito importante:
il pessimismo montaliano, si sviluppa ulteriormente,
accettando come un dato di fatto la disarmonia del
mondo e della vita già intuita nella raccolta
precedente.
Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.
Un freddo cala... Duro il colpo svetta.
E l'acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.
Non tagliare, o forbice
(forbice del tempo –
correlativo oggettivo) quel volto (quello della persona
amata) rimasto ormai solo nella memoria che si sta
svuotando progressivamente (si sfolla),
che
quel
suo
grande
viso
che
non fare
ricordo
nell’atteggiamento di ascoltarmi (viso in ascolto), si
dissolva nella nebbia dell’oblio che ormai cancella
tutti i miei ricordi (cioè non distruggerlo).
Un improvviso senso di freddo cala (viene l’autunno;
sta a significare che la preghiera del poeta non sarà
esaudita - la forbice e il freddo simboleggiano
l’esperienza dolorosa, una ferita della vita) il colpo
(inferto dalla forbice) recide la vetta dell’albero e
l’acacia ferita scuote via da sé (da sé scrolla) il
corpo rinsecchito di una cicala
che cade nella
fanghiglia (allude ad un destino di decadimento fisico
e morale) lasciata dalle prime piogge di Novembre.
La seconda guerra mondiale è sullo sfondo
Montale aiuta gli amici intellettuali ebrei,
Saba e Carlo Levi
Deve arrangiarsi con collaborazioni a riviste e
traduzioni.
Inizia nel 1939 la convivenza con Drusilla
Tanzi,
chiamata
nei
suoi
componimenti
Mosca.
Per un breve periodo, con lo scoppio della
Seconda guerra mondiale, è richiamato alle
armi.
A
Lugano
in
Svizzera,
con
l’aiuto
di
Gianfranco Contini, fa uscire nel 1943 quindici
poesie anti-dittatoriali scritte fra il 1940 e il 42.
Nel 1944 si iscrive per breve tempo al Partito
d’Azione e svolge attività di giornalista «La
Nazione del popolo».
Dal 1946 comincia a collaborare col «Corriere
della Sera» e due anni dopo viene assunto
come redattore a tutti gli effetti delle pagine
culturali.
Dal 1948 vive a Milano, la sua terza città.
Come giornalista compie una serie di viaggi che
lo portano a più riprese sia in Europa che in
America.
Per il «Corriere d’informazione», dal 1955 scrive
in qualità di critico musicale.
Il terzo Montale, La bufera e altro (1956)
Ambiente Milano
Scrive prose e reportage sui viaggi che
compie: Farfalla di Dinard.
Dopo la pubblicazione di La bufera però per
10 anni non scrive più versi: secondo
Montale la poesia è incompatibile con la
massificazione, con la modernità.
La bufera e altro, dedicata alla
francesista Maria Luisa Spaziani,
con la quale ha stretto amicizia nel
1949 e da lui raffigurata come
Volpe nei versi.

La messaggera angelica Clizia cede il
posto ad una creatura terrestre: Volpe
La Storia
Clizia
Volpe
•60 poesie scritte prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale.
• Novità della Storia vista come realtà incomprensibile per il
poeta perchè è assurda
• Piccolo Testamento e Primavera hitleriana
• Forse proprio perchè la vita è incomprensibile il poeta
affronta il tema dei morti
• Quindi ritorna l’ attenzione più incentrata sul privato e il
male di vivere che sugli eventi storici esterni
La storia non si snoda
come una catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono.
La storia non contiene
il prima e il dopo,
nulla che in lei borbotti
a lento fuoco.
La storia non è prodotta
da chi la pensa e neppure
da chi l'ignora. La storia
non si fa strada, si ostina,
detesta il poco a poco, non procede
né recede, si sposta di binario
e la sua direzione
non è nell'orario.
La storia non giustifica
e non deplora,
la storia non è intrinseca
perché è fuori.
La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
La storia non è magistra
di niente che ci riguardi.
Accorgersene non serve
a farla più vera e più giusta.
La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli. C'è chi sopravvive.
La storia è anche benevola: distrugge
quanto più può: se esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia è a corto
di notizie, non compie tutte le sue vendette.
La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
Qualche volta s'incontra l'ectoplasma
d'uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
più liberi di lui.
La poesia riflette la posizione profondamente
antistoricistica del poeta, che non crede, nei
destini migliori dell’umanità, con una totale
svalutazione del concetto di sviluppo storico.
Attraverso l’uso dell’anafora, si sussegue una
serie di definizioni tutte al negativo che negano
alla storia ogni intrinseca razionalità o finalità.
La storia non è una linea di progresso ininterrotta,
ma procede in maniera disordinata e imprevedibile,
al di là di ogni tentativo di indirizzarla e di
interpretarla.
La storia non contiene in sé certezze conoscitive o
criteri morali, da cui si possano ricavare elementi di
assoluzione e di condanna.
Montale rifiuta così la concezione della storia come
”maestra di vita”, propria della tradizione classica e
umanistica.
Ugualmente netto è il dissenso nei confronti
delle ideologie “positive” contemporanee, che
consideravano comunque la storia come un
fattore indiscutibile di progresso, capace di
trascendere le sue stesse aberrazioni nella
logica di un disegno superiore, quasi
provvidenziale.
Il quarto Montale: Satura (1971) Riprende a
scrivere poesie dopo la morte della moglie.
E il momento dei riconoscimenti. E nominato
senatore a vita.
Il quinto Montale. Diario del 71 e del 72,
Altri versi.
Al termine di un lungo periodo di
silenzio
poetico,
Montale
ritorna
negli
con
anni
una
’60
nuova
poesia, più diretta, quasi dimessa,
assolutamente lontana dal tono della
poetica precedente.
La nuova arte si mostra più semplice
e colloquiale, conservando come suo
punto di riferimento la memoria.
Satura è suddivisa in quattro sezioni:
Xenia I e II
Satura I e II
La differenza tra le varie sezioni è molto
importante dal punto di vista cronologico e, di
conseguenza, tematico: se nelle due sezioni
di Xenia, scritte tra il 1962 e il 1966, Montale si
concentra sul ricordo della moglie, Drusilla
Tanzi.
In Satura I e II, invece l’autore riflette in modo
satirico su vicende legate al quotidiano.
Le poesie acquistano così un sapore
diaristico, in stretta connessione alla realtà e
alla vita di ogni giorno.
Entra nella poesia la storia quotidiana, ma
non i fatti, il senso della storia.
Il poeta, che non la ama, ci ride sopra.
Satira, appunto
TITOLO
Gli Xenia sono i doni che si fanno agli ospiti
quando partono
TEMI
I ricordi dolci della moglie morta alla quale non
aveva mai dedicato poesie
STILE
Stile molto semplice, colloquiale, come semplice
era la Mosca
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Ho disceso, porgendoti il braccio,
milioni di scale ed ora (dato che
non ci sei più) ogni gradino è un
precipizio.
Tuttavia, il nostro lungo viaggio
insieme è stato breve.
Il mio continua ancora, e non mi
servono più le coincidenze, le
prenotazioni in hotel, gli incidenti
e le delusioni di chi è convinto
che la realtà sia solo quella dei
fatti concreti.
Ho disceso milioni di scale
facendoti appoggiare al mio
braccio, tuttavia non perché con
quattro occhi forse si vede
meglio.
Le ho scese con te perché
sapevo che tra noi due gli occhi
più penetranti, per quanto velati,
erano i tuoi.
Il 23 ottobre 1975, nella casa di via Bigli a
Milano, Montale, è assistito dalla governante
Gina, riceve la comunicazione che ha vinto il
premio Nobel per la letteratura.
Commenta:
Dovrei
dire
cose
solenni,
immagino. Mi viene invece un dubbio: nella
vita trionfano gli imbecilli. Lo sono anch’io?
Temi poetici, motivi ideali e scelte di vita sono
un tutt’uno con l’uomo Montale
In interventi e conversazioni, si è soffermato sul
nesso fra poesia e moralità.
Per lui la poesia è una delle tante possibili
positività della vita e il poeta non è tenuto a un
impegno politico, bensì morale.
Coi suoi versi demistifica le illusorie certezze
della vita e si pone sulla linea di Leopardi,
ricercando laicamente un varco di salvezza.
Per Montale il poeta non è detentore di
alcuna verità.
Il poeta è piuttosto una coscienza critica
Di conseguenza la poesia non è fatta per
nessuno, ma semplicemente esiste.
Tuttavia, nel suo universo interiore non c’è
mai il negativo senza la possibilità di un
positivo.
La realtà è regolata da una legge necessaria,
ma si spera in un’eccezione, che dia almeno
l’illusione della libertà.
Una vita all'insegna di un sorriso dolcissimo, un
sorriso che per Montale era quasi una difesa
dal mondo, un invito a fargli abbassare ogni
crudezza....Montale sembrava timidamente e
duramente trincerarsi dietro le folte sopracciglia
e lo sguardo chiaro e ombroso, spesso
nascosto dal fumo di una sigaretta fumata con
veemenza. (Claudio Altarocca, Il Giorno
14/9/81)
Era un solitario e i suoi rapporti con gli altri erano difficili, un
uomo timidissimo. In preda a continuo stato d'ansia. Soffriva
per la sua incapacità di intervenire, ... di fare.
Sempre afflitto da inquietudini esistenziali e scrupoli. Aveva
battute fulminanti delle quali aveva poi subito paura e diceva
sempre: non lo dire a nessuno....
Le battute circolavano immediatamente... Aveva un senso
dell'umorismo feroce, prendeva in giro tutti e anche se stesso,
piacevolissima e divertente compagnia: la conversazione
caustica, i ricordi precisi e gli aneddoti taglienti.
L'ignoranza e la stupidità oggetto costante della sua critica
micidiale.
Montale muore in una clinica di Milano il 12
settembre 1981, un mese prima di compiere 85
anni
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Parte seconda