Liceo classico
“V. Gioberti” di Torino
a.s. 2010-2011
“Sfide e riflessioni, amore reciproco, dialogo e
ascolto, giustizia e cultura di pace, dignità umana
e rispetto dell’ambiente, istruzione e saper
essere.
Al centro della città dei diritti c’è tutto e tutto ci
deve essere per costruire nel secolo appena
iniziato un nuovo umanesimo, una nuova vita, un
nuovo sentire e condividere.”
(Michail Gorbaciov)
“L’educazione deve fare in modo che a un sistema
caratterizzato dall’egocentrismo e dal disimpegno sociale si
sostituisca un consapevole e meditato impegno verso la società;
(…) occorre (…) far sì che la coscienza dell’individuo si spinga
oltre l’orizzonte limitato dei diritti e privilegi privati fino a
includere i doveri e le responsabilità della vita collettiva.”
(Tsunesaburo Makiguchi)
“Diritti dell’uomo, democrazia e pace sono tre momenti
necessari dello stesso movimento storico: senza diritti dell’uomo
riconosciuti o protetti non c’è democrazia; senza democrazia non
ci sono le condizioni minime per la soluzione pacifica dei
conflitti. Con altre parole, la democrazia è la società dei
cittadini, e i sudditi diventano cittadini quando vengono loro
riconosciuti alcuni diritti fondamentali; ci sarà pace stabile, una
pace che non ha la guerra come alternativa, solo quando vi
saranno cittadini non più di questo o quello stato, ma del
mondo.”
(Norberto Bobbio)
Quello che segue è il risultato di un’indagine svolta
in alcune classi del Liceo sui temi “guerra e pace”,
“globalizzazione”, “diritti umani”.
Il campione analizzato ancora limitato,
ma già significativo, sarà ampliato con l’estensione
dell’iniziativa ad altri studenti della scuola.
QUESTIONARIO SU GUERRA, PACE,
GLOBALIZZAZIONE…
Guerra e pace
La guerra può essere finalizzata al
progresso?
60
40
20
0
si
no
1
Se si quale tipo di progresso?
progresso
TECNICO
1
0,8
0,6
0,4
0,2
0
progresso
MORALE
progresso
SOCIALE
1
altro tipo di
progresso
Riflettendo sulla teoria della "guerra
giusta"
) la guerra giusta non
può esistere, in quanto
qualsiasi tipo di conflitto
non può in
nessun caso essere
giustificato
40
30
20
10
0
1
si poteva parlare di
guerra giusta in passato,
ora, date le dimensioni
dei conflitti, nessuna
guerra può più essere
ritenuta tale
Sarebbe possibile eliminare la guerra
dalle relazioni internazionali?
30
20
si
10
no
0
1
La non
violenza
La non-violenza una valida risposta
contro la guerra?
sì, perché inibisce una
risposta violenta
dell'avversario
40
no, perché l'avversario
potrebbe interpretare una
reazione non-violenta
come la manifestazione di
debolezza e paura
30
20
non saprei, credo che la
non-violenza si sia
dimostrata più come una
filosofia che come un
mezzo efficace per la
risoluzione dei conflitti.
10
0
1
Quali spiegazioni all'aumento della
violenza contro se stessi?
assenza di guerre
guerreggiate
20
eccessivo benessere
protagonismo
0
1
altro
Quale ruolo attribuisci all'aggressività
nel determinare la guerra?
agisce sul singolo, matura
alcuni comportamenti ma è
ininfluente nelle dinamiche
sociali e politiche
30
20
10
0
1
la guerra dipende
essenzialmente da un modo
di essere dell'uomo, la cui
aggressività non può essere
totalmente inibita
Guerra e tecnologia
Cosa pensi circa un eventuale utilizzo delle armi nucleari come avvenne nel 1945?
30
l'eventualità è remota
25
non è possibile, perché vigono in questo ambito trattati
internazionali
è possibile, perché è già accaduto
20
queste armi sono sempre una minaccia perché
potrebbero cadere in mano a dittatori o criminali
15
è possibile perché l'arma atomica non è più
esclusivamente detenuta dalle potenze dell'Occidente
10
altro
5
0
1
Quali, secondo te, i motivi dell'utilizzo della bomba
atomica in Giappone?
gli USA dovevano limitare le
perdite e quindi porre fine alla
guerra il più in fretta possibile
25
gli USA avevano la necessità di
impressionare il nemico sovietico,
che si stava facendo largo in Asia
20
15
i creatori della bomba atomica
avevano dato così tanta
importanza al progetto che
sarebbe servita una verifica,
durante il conflitto, delle
potenzialità
dell'ordigno
altro
10
5
0
1
La t e c nol ogi a ha i nf l ue nz a t o
rapporti interpersonali (comunicazioni
quotidiane fra persone)
200
lavoro
1 80
1 60
sistema scolastico (utilizzo di nuove
apparecchiature nei laboratori, nuovi
materiali illustrativi)
campo militare
1 40
1 20
1 00
80
scienza
60
40
arte
20
0
1
economia
L'uom o, sfruttando la tecnologia,
ha m odificato irreparabilm ente il
rapporto con il m ondo?
40
30
20
10
0
1
no, perché comunque
cerca di "limitare i
danni" introducendo
dei rimedi alle proprie
azioni
si, perché la sua
azione egoistica non
tiene conto del
rapporto con
l'ambiente
no, perché per
ottenere dei risultati è
necessario
sacrificare qualcosa
L'uomo oggi dipende totalmente dalla tecnologia?
sì, assolutamente
30
25
20
no, perché essa è un
prodotto dell'uomo
asservita ai suoi
bisogni, e non viceversa
15
10
5
no, però l'uomo ci fa
troppo affidamento
0
1
Situazione
odierna
internazionale.
Come giudichi i rapporti fra le potenze protagoniste dello
scenario internazionale
30
25
20
15
10
5
0
predominio assoluto USA in
campo economico - militare
Gli USA prevalgono ma Russia ha
armi nucleari sufficienti per
esercitare una eventuale minaccia
Stanno emergendo nuove potenze
che potranno opporsi al
predominio militare ed economico
USA
1
altro
Globalizzazione
Nei confronti della tendenza alla globalizzazione
1
sono contrario, perché penso che
comporti effetti negativi di cui non
ci si rende conto attualmente
sono favorevole, perché penso
possa comportare conseguenze
positive
0
10
sono assolutamente indifferente
20
30
Quali le conseguenze della
globalizzazione
spingere verso una
maggiore consapevolezza
dei diversi gruppi umani e
una divisione del mondo in
aree differenti e ostili tra loro
spingere ad una maggiore
integrazione tra le culture,
dove ciascuna è libera di
esprimersi nelle sue
caratteristiche peculiari
100%
80%
60%
40%
20%
0%
produrre un'omologazione
culturale
(occidentalizzazione) del
mondo
1
La globalizzazione coinvolge
25
paesi più poveri che vengono
sfruttati dai più ricchi in un
mercato globale del lavoro
tutti i paesi del mondo,
producendo un impoverimento
generalizzato ma favorendo le
classi egemoni sia di paesi
poveri, sia di paesi ricchi
20
i paesi in via di sviluppo che
sono più flessibili e più
disponibili ad investire nel
campo dell'istruzione
15
10
tutti i paesi del mondo
producendo un arricchimento
generalizzato
5
0
1
Diritti umani
Al giorno d'oggi i diritti umani sono ancora
violati. Perhè?
inesistenza di una giurisdizione internazionale che riesca
ad imporsi su quelle nazionali
insensibilità nei confronti del problema a causa di una
scarsa informazione
200
indiscutibile e ormai stabile contrasto tra i "ricchi" e i
"poveri" del mondo
100
impossibilità di domare l'aggressività innata dell'uomo e
la sua indole egoistica
impossibilità di contrastare lo scoppio delle guerra ormai
troppo frequenti
0
azione ancora troppo limitata del volontariato
1
progresso, scienza e tecnologia, che offuscano
l'orizzonte morale
altro
16
Ritieni che i diritti fondamentali
dell'uomo siano
pochi e immutabili nel
tempo
14
12
10
molti, tutti quelli
riconosciuti dagli Stati con
ordinamento democratico;
essi dovrebbero essere
estesi a tutti gli Stati
del tutto soggettivi legati a
1) tempo;
2) cultura di
un popolo;
3) religione ;
4) storia di un popolo"
8
6
4
2
0
1
Quello che segue è il risultato di
un’indagine svolta in alcune classi
del Liceo sul tema della pena di
morte. Il campione analizzato
ancora limitato, ma già
significativo, potrà essere ampliato
con l’estensione dell’iniziativa ad
altri studenti della scuola.
QUESTIONARIO SULLA PENA DI MORTE
( SU UN CAMPIONE DI 120 STUDENTI )
80
60
40
20
0
1
1
SI
2
2
NO
3
3
3 IN CASI ESTREMI
FAVOREVOLI PERCHE'
50
40
30
20
10
0
1
2
3
4
5
1 Solo la pena di morte può vendicare la
gravità del crimine commesso
3 Solo la paura della pena di morte
può scoraggiare i possibili criminali
6
7
8
9
5 Mantenere dei criminali per tutta la vita è
solo un peso per la società
7 Se un criminale viene rimesso in libertà
può uccidere di nuovo
9 Alro
CONTRARI PERCHE'
60
50
40
30
20
10
0
1
2
3
4
5
1 Non è la pena di morte che può fermare
chi è deciso a compiere crimini
3 Non si può rischiare di condannare
a morte un innocente
5 Il rimorso per il crimine commesso può
essere pegggiore della pena di morte
6
7
8
9
10
7 Anche il peggior criminale può pentirsi e
cambiare
9 L'uomo non deve mai, per nessuna ragione
uccidere un suo simile
Applicazione della pena di morte
per
a) reati contro la persona:
60
50
40
30
20
10
0
1
2
3
4
5
6
7
8
1 Omicidio: sempre
2 Omicidio premeditato
3 Omicidio di minori
4 Omicidio per legittima difesa
5 Omicidio dopo abuso sessuale su minori
6
su adulti
7 Altro
9
10 11 12
8 Pedofilia
9 Stupro
10 Rapimenti
11 Droga: spaccio
12
consumo di sostanze stupefacenti
Applicazione della pena di
morte per
REATI CONTRO ISTITUZIONI PUBBLICHE E/O RELIGIOSE
60
50
40
30
20
10
0
1
2
3
1 Omicidio o ferimento leader politico
2 Strage
3 Tradimento in caso di guerra
4
5
6
4 Reato d'opinione
5 Terrorismo
6 Altro
Quali tipi di esecuzioni conosci?
QUALI TIPI DI ESECUZIONE CONOSCI?
camera a gas
sedia elettrica
fucilazione
iniezione letale
1
lapidazione
decapitazione
ghigliottina
impiccagione
crocifissione
0
20
40
60
80
100
120
Quali sono secondo te ancora in uso
100
50
0
1
sedia elettrica
iniezione letale
lapidazione
impiccagione
fucilazione
In caso di condanna a morte quale
tipo di escuzione ritieni più opportuna ?
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
iniezione letale
fucilazione
sedia elettrica
altro
1
Perché?
60
50
40
Serie1
30
Serie2
20
Serie3
10
0
1
1. Rapidità/riduzione della sofferenza
2. Espiazione della colpa
3. Altro
La pena di morte nel
diritto internazionale
da
La pena di morte nel diritto internazionale
di Claudio Giusti
su
http://win.agliincrocideiventi.it/ANNO3/Ottobre2004/Politica.htm
Al contrario della tortura la pena di morte non è,
ancora, vietata dalle norme internazionali. La
Dichiarazione Universale (10 dicembre 1948)
garantisce il diritto alla vita e vieta tortura e
pene crudeli, ma non vieta espressamente la
pena di morte.
Art.3
Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed
alla sicurezza della propria persona.
Art.5
Nessun individuo potrà essere sottoposto a
tortura o a trattamento o a punizione crudeli,
inumane o degradanti.
Ci fu un tentativo da parte dell’Unione Sovietica
(abolizionista fra il 1947 ed il 1950) di inserire
nella Dichiarazione l’obbligo dell’abolizione in
tempo di pace. La richiesta trovò l’opposizione
dei paesi mantenitori, ma anche di quelli che,
come il Venezuela, erano già allora abolizionisti
totali e non volevano che la Dichiarazione
legalizzasse la pena capitale in tempo di guerra.
In ogni caso la Dichiarazione non approva in
alcun modo la pena di morte.
In nessuno dei lavori preparatori della
Dichiarazione Universale troverete una sola
parola spesa in favore della pena capitale.
La pena di morte era vista come un male
necessario, la cui esistenza non poteva essere
giustificata né scientificamente né
filosoficamente.
L’inevitabile conclusione è che l’Articolo 3 della
Dichiarazione Universale è in prospettiva
abolizionista.
Sette ragioni per cui la guerra
non è più giustificabile
(l’opinione di Giuliano Pontara)
La guerra è diventato un
massacro di massa su scala
industriale; essa comporta con
certezza, stragi e inflizioni di
sofferenze immani.
La guerra comporta con certezza
gravi e vaste violazioni, collaterali o
meno, di diritti fondamentali di
innocenti – presenti e futuri.
Ante eventum, è sempre incerto
se l’impiego massiccio della
violenza armata effettivamente
conduca alla tutela di tutti quei
diritti che con essa si vogliono
(eventualmente) tutelare.
Vi è un’alta probabilità che che nel
corso di qualsiasi guerra s’inneschino
processi di de-umanizzazione,
brutalizzazione, deresponsabilizzazione,
i quali, man mano che la guerra
procede, inducono ad accettare forme
sempre più massicce, distruttive e
indiscriminate di violenza.
Alla guerra è sempre più connessa
una tendenza alla militarizzazione
della società che pone sempre più a
rischio il buon funzionamento, o
addirittura l’esistenza di quelle
istituzioni democratiche, di quei
controlli dal basso, che parrebbero
necessari per una tutela effettiva dei
diritti umani fondamentali.
Vi è il rischio che ogni guerra
contribuisca ulteriormente al processo
di escalation e di globalizzazione della
violenza armata: quel processo che nel
corso di millenni ha visto gli uomini
passare da conflitti violenti locali,
combattuti con armi rudimentali, di
portata distruttiva molto limitata, alle
due guerre mondiali del secolo scorso,
e quelle che, sulla loro scia, ne sono
seguite.
E vi è il rischio, associato con il processo di
escalation e globalizzazione della violenza, che si
verifichi una guerra catastrofica per l’intero
genere umano. (…)
L’entità di questo rischio è difficile da stabilire,
ma sappiamo che nell’era della proliferazione
delle armi nucleari, biologiche e chimiche esso è
maggiore di zero: il che significa che, pur
assumendo che tale rischio sia molto basso - ma
non lo sappiamo -, la enorme violazione di diritti
fondamentali, connesse all’eventualità di questa
guerra, oggi è molto alta.
GIULIANO PONTARA
Giuliano Pontara, assieme al norvegese Johan Galtung e, in Italia, al torinese Nanni
Salio, è uno dei massimi studiosi di pace e non violenza.
Pontara nasce a Clès, in provincia di Trento, il 7 settembre 1932.
Tra il 1957 e il 1962 studia contemporaneamente filosofia presso le Università di
Roma, e di Stoccolma e nel 1961-62 anche negli Stati Uniti. Nel 1963 si laurea in
filosofia presso l'Università di Stoccolma e comincia ad insegnare Filosofia pratica. Nel
1971 consegue il Ph D svedese con un saggio dal titolo Does The End Justify The
Means che in edizione radicalmente riveduta e ampliata uscirà qualche anno dopo in
italiano con il titolo Se il fine giustifichi i mezzi, con prefazione di Norberto Bobbio.
Nel 1975 vince il concorso per professore associato in Filosofia pratica, indetto
dall'Università di Stoccolma presso la quale tuttora insegna. Negli anni Pontara ha
anche insegnato come professore a contratto in varie università italiane. È uno dei
fondatori della International University of Peoples' Institutions for Peace (IUPIP) ed
attualmente è presidente del suo Comitato scientifico. È membro del Tribunale
permanente dei popoli, fondato da Lelio Basso.
PENSIERO
Nell'ambito della disciplina che coltiva, Pontara si è occupato soprattutto di prolemi di
etica teorica, di metaetica e di filosofia politica. È stato uno dei primi a introdurre in
Italia la Peace Research e la conoscenza sistematica del pensiero etico-politico del
Le cifre della fame nel mondo
(dati FAO tratti da “Cibo, lo spreco quotidiano” su La Repubblica
del 16 Aprile 2005)
852 milioni
Le persone sottoalimentate nel
mondo
18 milioni
Il numero delle persone in più che
soffrono la fame nel mondo
rispetto agli anni ‘90
5 milioni
I bambini che ogni anno muoiono
per cause legati alla fame
24 mila
Le persone che muoiono ogni
giorno per fame
35 mila
Le vittime dieci anni fa
Presentato nuovo rapporto Fao Sofi 2010 "Lo stato
dell'insicurezza alimentare nel mondo"
14 Settembre 2010
La FAO ha presentato oggi il rapporto annuale "Lo stato dell'insicurezza alimentare nel mondo", realizzato congiuntamente da Fao e PAM
(Programma Alimentare Mondiale), che verrà pubblicato i primi di ottobre. Nel corso della conferenza stampa sono intervenuti, fra gli altri, il
direttore generale della Fao, Jacques Diouf e il direttore esecutivo del PAM Josette Sheeran.
Secondo I dati presentati nel rapporto, il numero delle persone che soffre la fame è sceso per la prima volta in 15 anni, passando da 1
miliardo e 300 milioni (nel 2009) agli attuali 925 milioni.
Se il dato è sicuramente incoraggiante, continua comunque ad essere inaccettabile che un numero così elevato di persone non abbia la
possibilità di nutrirsi in modo adeguato. Inoltre, siamo ancora molto lontani da quello che è stato indicato come il primo degli otto obiettivi
del Millennio, ovvero ridurre della metà, entro il 2015, la percentuale di popolazione che soffre la fame.
A favorire la diminuzione della fame sono stati diversi fattori: tra i principali, il potere trainante delle economie emergenti di Cina e India. A
questo va poi aggiunta la caduta dei prezzi alimentari, che sono però di nuovo in aumento.
Il rapporto FAO stima che due terzi del 98% delle persone che vivono in stato di indigenza e soffrono di sottonutrizione vive in sette
paesi: Bangladesh, Cina, Etiopia, India, Indonesia, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo. Di questi, il 40% solo in Cina e in India.
"Con un bambino che muore ogni sei secondi per problemi connessi con la sottoalimentazione, la fame rimane lo scandalo e la tragedia di
piu' vaste proporzioni al mondo. Questo è assolutamente inaccettabile", ha affermato Jacques Diouf.
Per affrontare le cause della fame all'origine, si è detto durante la conferenza di presentazione dei dati, i governi dovrebbero fare tre scelte
fondamentali: investire di più sull'agricoltura, sviluppare veri programmi di assistenza, stimolare attività che producano reddito.
www.fao.org
La Globalizzazione
e i suoi oppositori
Chi denigra la globalizzazione
troppo spesso ne sottovaluta i
vantaggi , ma i suoi fautori sono
stati se possibile, ancora meno
imparziali.
Per loro la globalizzazione (associata
tipicamente all’accettazione del
capitalismo trionfante , sul modello
americano) è progresso; i paesi in
via di sviluppo devono accettarla se
vogliono crescere e combattere la
povertà in maniera efficace . Ma per
molti la globalizzazione non ha
portato i vantaggi economici
sperati.
Un divario progressivamente più
accentuato tra ricchi e poveri
ha ridotto in miseria un numero
sempre maggiore di persone
del Terzo mondo costrette a
sopravvivere con meno di un
dollaro al giorno.
Malgrado le reiterate
promesse di ridurre la povertà
fatte negli ultimi dieci anni
del XX secolo, il numero
effettivo di persone che
vivono in povertà è invece
aumentato di quasi cento
milioni mentre, allo stesso
tempo, il reddito mondiale è
cresciuto in media del 2,5 per
cento annuo.
Nel 1990, due miliardi e 718
milioni di persone vivevano
con meno di due dollari al
giorno.
Nel 1998, il numero di poveri
costretti a vivere con meno di
due dollari al giorno era stato
stimato in due miliardi e 801
milioni ( Global economic
prospect and developing
countries 2000,World Bank,
Washington D. C. 2000 p. 29)
Dal testo “ No Logo” di Naomi Klein Ed. Baldini
e& Castoldi” 2001 pp. 171 e seg.
Capitolo 6 : “La Fabbrica Rinnegata” il
disprezzo della produzione nell’era dei
supermarchi”
I diritti dell’infanzia
"I bambini nascono con i diritti e le libertà propri di ogni
essere umano".
1924. Dichiarazione dei diritti dei bambini: Il bambino ha diritto a uno
sviluppo fisico e mentale, ad essere nutrito, curato, riportato ad una vita
normale se demoralizzato, accudito ed aiutato se orfano.
1959. Nuova Dichiarazione dei Diritti dei Bambini: diritti ad un sano
sviluppo fisico, a non subire discriminazioni, ad avere un nome, una
nazionalità, assistenza e protezione dello stato di appartenenza, diritto
all'educazione e a cure particolari nel caso di handicap mentale o fisico.
1989. Viene firmata una Convenzione che sancisce i diritti dei bambini,
che rappresenta un vero e proprio vincolo giuridico per gli stati che ne
fanno parte.
2002. Entra in vigore il Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti
dei fanciullo sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati.Dopo tre
anni, mezzo milione di minori continua ad essere impiegato in eserciti
regolari e gruppi armati di opposizione di oltre cento ottanta paesi.
Bambini soldato
Motivazioni: la guerra e la lunga serie di lotte civili mosse dalla sete di risorse
naturali provocate daI ruolo delle multinazionali occidentali. La guerra
origina famiglie separate, orfani, fanciulli rifugiati per i quali l'esercito
finisce con il rappresentare un sostituto della famiglia. In questo modo i
bambini diventano facile. preda di chi ha bisogno di forza bellica per
portare avanti le guerriglie. Spesso per i minori rimasti soli, l'unica
alternativa alla fame e alla morte è l'esercito. Infatti un kalashnikov dà
cibo, vestiti, e una soluzione alla miseria. Dopo aver perso famiglia e amici
sono animati da un sentimento di odio e dalla volontà di vendicare la
perdita di tutto ciò che era importante nella loro vita.
Per questo motivo combattenti giovanissimi si sono già resi responsabili di
torture, mutilazioni ed omicidi di adulti e coetanei, guadagnandosi il diritto
sul campo di battaglia di commettere ed ordinare altre simili atrocità.
Inoltre i bambini si fanno condizionare più facilmente degli adulti e affrontano
il pericolo con incoscienza.
come e quanti…
Trecentomila è il numero dei minori stimati coinvolti. In questi
ultimi anni il fenomeno dei bambini soldato è aumentato
nettamente poiché è cambiata la natura della guerra, che si
riflette non più prevalentemente sugli eserciti, ma sulla
popolazione civile. L'addestramento alla violenza consiste
nel terrorizzare i ragazzi, preparandoli ad uccidere e
facendoli assistere a torture ed esecuzioni dei genitori.
Narcotizzati, credono di essere invulnerabili agli spari e alle
pallottole.
conseguenze
Oltre ai danni fisici, gli effetti più evidenti di questa pratica
sono la
denutrizioni, la tossicodipendenza, le malattie e pesanti
disturbi
psicologici. Uno degli altri
aspetti negativi per questi ragazzi è il difficilissimo
reinserimento
nella società e nella famiglia
che spesso li rifiuta in quanto fautori di terrori e atrocità.
I bambini
soldato inoltre rappresentano
un pericolo anche per la popolazione civile, poiché in
situazioni di
terrore sono meno
capaci di autocontrollarsi degli adulti.
Le ragazze invece, dopo essere state nell'esercito, non
riescono a sposarsi e finiscono col prostituirsi.
I bambini sono il futuro di un popolo e addestrarli alla guerra
significa creare una situazione che non pone i presupposti
per un futuro migliore.
Questi e molti altri...
PROTAGONISTI
Gandhi
Mohandas Karamchand Gandhi (1869 – 1948) detto Mahatma (“grande anima”), laureato in legge in
Inghilterra, dopo aver lavorato come avvocato in Sudafrica – dove era stato vittima della
discriminazione razziale – tornato in India nel 1915 impostò una lotta politica per l’indipendenza del
suo paese incentrata sulla dottrina della non violenza. Con una serie di campagne di disobbedienza
civile e di boicottaggio alle istituzioni inglesi, Gandhi ottenne i primi grandi successi.
Tra il 1941 e il 1942 promosse un movimento di resistenza non violenta alla guerra e agli inglesi.
Alla fine della guerra si avviarono le trattative che portarono, il 15 agosto del 1947, alla nascita
dell’Unione Indiana a maggioranza indù e del Pakistan musulmano. Con la nascita dei due Stati,
tuttavia, i conflitti fra indù e musulmani non cessarono. Violenze e massacri si susseguirono
provocando un altissimo numero di vittime. Lo stesso Ganghi fu vittima di quel clima di odio: il 30
gennaio 1948, fu assassinato da un fanatico indù.
All’indomani della sua morte, il Primo Ministro indiano Jawaharlal Nehru pronunciò queste parole:
“Amici e compagni, la luce è uscita dalle nostre vite, e l’oscurità regna ovunque. E io
non so bene cosa dirvi e come dirlo: Bapu, come lo chiamavamo, il Padre della Nazione,
non è più fra noi. Forse sbaglio a dire questo, ma comunque non lo vedremo più come lo
abbiamo visto per tutti questi anni. Non correremo più da lui in cerca di consigli e non cercheremo
il suo conforto. E questo è un terribile colpo, non solo per me ma per milioni e
milioni di persone in questo paese. Ed è un po’ difficile addolcire il colpo con qualsiasi consiglio
che io o chiunque altro può darvi. La luce se ne è andata ho detto, ma allo stesso
tempo avevo torto perché la luce che splendeva in questo paese non era una luce normale.
La luce che ha illuminato questo paese per così tanti anni illuminerà questo paese per molti
più anni, e mille anni più tardi quella luce sarà ancora visibile, e il mondo la vedrà, ed essa
darà conforto a innumerevoli cuori, perché quella luce rappresenta qualcosa che va al di là
dell’immediato presente. Essa rappresenterà la verità vivente e l’eterna umanità, che è
l’eterna luce che ci ricorda della retta via distogliendoci dall’errore, portando questo antico
paese alla libertà”.
Martin Luther King
“Io ho un sogno. Io sogno che un giorno la nazione sorgerà per vivere il vero significato
del suo credo, che tutti gli uomini sono stati creati uguali. Sogno che un giorno sulle
rosse colline della Georgia figli di antichi schiavi e figli di antichi schiavisti potranno
sedere insieme alla tavola della fratellanza (...) Sogno che un giorno i miei quattro
figli vivranno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della pelle, ma
solo per le loro qualità.”
Queste parole hanno fatto il giro del mondo. Esse sono diventate da sole il simbolo
della lotta contro la discriminazione razziale oltre che un monito contro ogni altro tipo di
discriminazione.
Queste parole furono pronunciate dal reverendo Martin Luther King, nel 1963
a Washington, di fronte a 250.000 persone che partecipavano a un'imponente marcia non violenta per i
diritti civili e l'integrazione razziale. Martin Luther King aveva allora 34 anni, era laureato in filosofia
e teologia ed era il presidente della più influente organizzazione nera per i diritti civili: la Southern
Christian Leadership Conference, da lui fondata nel 1956.
La sua battaglia per i diritti civili aveva attirato una quantità sempre maggiore di proseliti. Il
suo messaggio e il suo programma politico erano inconfondibili: lotta alla discriminazione e
al regime segregazionista attraverso una rigorosa e coerente applicazione del metodo non
violento teorizzato da Gandhi. Nel dicembre del 1955 dopo l’arresto di Rose Parks, King aveva spinto la
comunità nera a boicottaggio degli autobus. Era seguita la dichiarazione della Corte Suprema degli
Stati Uniti di incostituzionalità della legge sulla segregazione. Fu un'enorme vittoria. Seguirono la
grandiosa manifestazione del '63 col suo celebre discorso, l’ assegnazione del premio Nobel per la
pace nel 1964 e successivamente il papa Paolo VI lo ricevette in Vaticano.
Nell'aprile del '68 Martin Luther King era a Menphis in Tennessee per partecipare ad
una marcia a favore degli spazzini della città. Mentre,
sulla veranda dell'albergo, s'intratteneva a parlare con i suoi collaboratori, dalla casa di
fronte vennero sparati alcuni colpi di fucile: Martin L. King cadde riverso sulla ringhiera, pochi
minuti dopo era morto. Erano le ore diciannove del quattro aprile: un grande leader pagava
con la vita il suo impegno per la pace e la giustizia.
Giulia di Barolo
Giulietta Falletti di Barolo, nata Colbert di Maulevrier, a partire dal 1814, svolse un’importante opera
di beneficienzaa a favore delle carcerate, nelle carceri femminili (Senatorie, del Correzionale, delle
Torri).
L’opera di Giulia di Barolo si basò su due punti fondamentali: migliorare l’esistenza fisica delle
carcerate, con un trattamento più umano e un maggior rispetto delle esigenze dell’igiene, e
migliorarne l’esistenza morale specialmente con l’istruzione religiosa, che impartiva essa stessa,
coadiuvata in seguito da altre dame, con l’introduzione dei cappellani nelle carceri e con il lavoro,
che considerava essenziale per un reale recupero, e il cui prodotto essa stessa si incaricava di ritirare
per la vendita.
Con dispaccio ministeriale del 30 ottobre 1821 fu messo a disposizione della marchesa il carcere
delle Forzate, perché lo organizzasse come meglio riteneva; ella vi trasferì le detenute delle altre tre
carceri e, introducendovi le suore di San Giuseppe provenienti da Chambery, lo organizzò come un
istituto di pena modello. Il regolamento interno fu discusso punto per punto dalla marchesa con le
detenute e approvato con il consenso unanime.
La Barolo, per poter continuare ad assistere le sue protette anche dopo la scarcerazione, creò altre
due istituzioni, ispirandosi ad analoghe fondazioni parigine del XVIII secolo, ripristinate ad opera
dell’abate Legris-Duval, suo conoscente.
L’istituto del rifugio, approvato nel 1823, era aperto alle ex carcerate e alle donne “traviate e
penitenti” che volontariamente ne chiedessero l’ammissione. Qui trascorrevano due-tre anni di lavoro
e di preghiera e ne uscivano infine per sposarsi, andare a servizio in qualche famiglia o lavorare.
Nel 1833 la marchesa, su istanza di alcune ricoverate del rifugio, creò ancora l’attiguo Monastero
delle Maddalene per accogliervi quelle fra le convertite che avevano espresso il desiderio di dedicarsi
a vita monastica e penitente in stato di clausura, per espiazione delle colpe del passato.
Contemporaneamente aprì l’opera di correzione e di educazione di un notevole numero di “fanciulle
al di sotto dei dodici anni, già cadute nel vizio per colpa di gente perversa e talora dei propri parenti”,
chiamate maddalenine.
Peppino Impastato
Nato a Cinisi (PA) il 5 gennaio 1948, da una famiglia mafiosa. Ancora ragazzo,
rompe con il padre, che lo caccia via di casa, e avvia un’attività politicoculturale antimafiosa.
Nel 1965 fonda il giornalino "L'Idea socialista" e aderisce al Psiup. Dal 1968
in poi partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra.
Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista
dell’aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati.
Nel 1975 costituisce il gruppo “Musica e cultura”, che svolge attività culturali
(cineforum, musica, teatro, dibattiti ecc.); nel 1976 fonda “Radio Aut”, radio
privata autofinanziata, con cui denuncia quotidianamente i delitti e gli affari
dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, e in primo luogo del capomafia Gaetano
Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di
droga, attraverso il controllo dell’aeroporto.
Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali.
Viene assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della
campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui
binari della ferrovia. Stampa, forze dell'ordine e magistratura parlano di atto
terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima. Grazie all’attività del
fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta Impastato, dei compagni di
militanza e del Centro siciliano di documentazione di Palermo, nato nel 1977 e
che nel 1980 si sarebbe intitolato a Giuseppe Impastato, viene individuata la
matrice mafiosa del delitto.
Anna Stepanovna
Politkovskaja
« Sensibile al dolore degli oppressi, incorruttibile, glaciale di fronte alle nostre
compromissioni, Anna è stata, ed è ancora, un modello di riferimento. Ben
oltre i riconoscimenti, i quattrini, la carriera: la sua era sete di verità, e fuoco
indomabile. »
(André Glucksmann su Anna Politkovskaja)
Anna Stepanovna Politkovskaja ( New York, 30 agosto 1958 – Mosca, 7
ottobre 2006) è stata una giornalista russa, molto conosciuta per il suo
impegno sul fronte dei diritti umani, per i suoi reportage dalla Cecenia e per la
sua opposizione al Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.
Nei suoi articoli per Novaja Gazeta, quotidiano russo di ispirazione liberale, la
Politkovskaja condannava apertamente l'Esercito e il Governo russo per lo
scarso rispetto dimostrato dei diritti civili e dello stato di diritto, sia in Russia
che in Cecenia.
Il 7 ottobre 2006, Anna Politkovskaja viene assassinata nell'ascensore del
suo palazzo, mentre stava rincasando. La sua morte, da molti considerata un
omicidio operato da un killer a contratto, ha prodotto una notevole
mobilitazione in Russia e nel mondo, affinché le circostanze dell'omicidio
venissero al più presto chiarite.
VANDANA SHIVA
Vandana Shiva è nata nel 1952 a Dehra Dun, nell'India del nord, da
una famiglia progressista. Ha studiato nelle università inglesi e
americane laureandosi in fisica. Terminati gli studi, rimane
traumatizzata rivedendo l'Himalaya: aveva lasciato una montagna
verde e ricca d'acqua con gente felice, poi era arrivato il cosiddetto
"aiuto" della Banca Mondiale con il progetto della costruzione di una
grande diga e quella parte dell'Himalaya era diventato un groviglio di
strade e di slum, di miseria, di polvere e smog, con gente impoverita
non solo materialmente. Decise così di abbandonare la fisica nucleare
e di dedicarsi all'ecologia.
Nel 1982 fonda nella sua città natale il Centro per la Scienza,
Tecnologia e Politica delle Risorse Naturali, un istituto
indipendente di ricerca che affronta i più significativi problemi
dell'ecologia sociale dei nostri tempi, in stretta collaborazione con le
comunità locali e i movimenti sociali. Vandana Shiva fa parte
dell'esteso movimento di donne che in Asia, Africa e America Latina
critica le politiche di aiuto allo sviluppo attuate dagli organismi
internazionali e indica nuove vie alla crescita economica rispettose
della cultura delle comunità locali, che rivendicano il valore di modelli
di vita diversi dall'economia di mercato
Daisaku Ikeda
Il terreno comune dell’umanità.
«Tutto ha inizio quando un solo essere umano parla con un altro; di solito
si pensa al colloquio fra civiltà, ma il punto di partenza, il prototipo è il
rapporto interpersonale. […] Dobbiamo far breccia nel tipo di relazione
“amico contro nemico” e discutere in modo aperto e onesto sul terreno
comune dell’umanità.»
“Un nuovo umanesimo globale” che apra la strada per la pace.
Questo è il pensiero di Daisaku Ikeda, filosofo e saggista giapponese nato a Tokio nel
1928 e presidente dell’Associazione Buddista Soka Gakkai Internazionale. Da molti
anni, il filosofo nipponico persegue obiettivi culturali ed educativi in oltre 190 paesi
del mondo, e si è distinto nella lotta per la tutela dei diritti civili e per la pace, tanto
che nel 1983 è stato insignito del Premio delle Nazioni Unite. Ha fondato, tra gli altri, il
Centro di ricerca per il XXI secolo di Boston e l’Istituto Toda di studi politici per la
pace, due istituzioni che promuovono a livello mondiale gli scambi fra gli studiosi di
varie culture e religioni. Recentemente a Daisaku Ikeda è stata conferita la
cittadinanza onoraria torinese.
Rigoberta Menchù
"Vivevamo in armonia con la natura, il fiume ci faceva divertire e potevamo
farci il bagno, gli uccelli riempivano di canzoni le mattine, gli animali ci
davano da mangiare e ci facevano compagnia, le montagne ci
proteggevano, la terra sacra ci regalava i frutti delle sue viscere."
Eduardo Galeano ha detto di Rigoberta Menchú: "è stata intessuta con i fili del
tempo", e il tempo che è trascorso in Guatemala dalla sua infanzia alla maturità ha
visto la violenza perpetrata su di un popolo inerme di contadini, ha visto abusi e
uccisioni, ha osservato il disgregarsi di tradizioni antichissime e di una pacifica
civiltà che si fondava su rapporti semplici e sulla solidarietà.
Il Premio Nobel per la pace, che Rigoberta Menchú ha conseguito nel 1992, è stato
il riconoscimento delle innumerevoli battaglie da lei condotte per ristabilire i diritti
civili e la legalità in Guatemala. Rigoberta Menchú è stata protagonista di alcune
azioni che le sono costate in patria, nel maggio del 2000, una denuncia per
"tradimento della patria". La Menchú si era infatti rivolta al giudice spagnolo Garzon
(lo stesso che ha suscitato il "caso" del dittatore cileno Augusto Pinochet), perché
aprisse un procedimento contro otto esponenti guatemaltechi per l'assassinio di
quattro preti spagnoli e il massacro dell'ambasciata spagnola in Guatemala del
1980, nel quale trentasei manifestanti, fra cui il padre della Menchú, vennero
bruciati vivi.
Ugualmente attiva al fianco del "Movimento dei Lavoratori Rurali Senza Terra"
Rigoberta Menchú ha messo in luce gli abusi che tuttora vengono commessi in
Brasile e in altri paesi dell'America Latina.
Questa è Rigoberta Menchú, una donna combattiva e coraggiosa
Luigi Ciotti
Terminati gli studi presso il seminario di Rivoli (TO), Ciotti nel 1972 viene
ordinato sacerdote dal cardinale Michele Pellegrino: come parrocchia, gli viene
affidata "la strada". Sulla strada, in quegli anni, affronta l’irruzione improvvisa e
diffusa della droga: apre un Centro di accoglienza e ascolto e, nel 1974, la
prima comunità. Partecipa attivamente al dibattito e ai lavori che portano
all’entrata in vigore, nel 1975, della legge n. 685 sulle tossicodipendenze.
Da allora, la sua opera sul terreno della prevenzione e del recupero rispetto alle
tossicodipendenze e dell’alcolismo non si è mai interrotta.
Nei primi anni Ottanta segue un progetto promosso dall’Unione internazionale
per l’infanzia in Vietnam. Sempre sul piano internazionale, promuove
programmi di cooperazione sul disagio giovanile e per gli ex detenuti in alcuni
Paesi in via di sviluppo.
Nel marzo 1991 è nominato Garante alla Conferenza mondiale sull’AIDS di
Firenze, alla quale per la prima volta riescono a partecipare le associazioni e le
organizzazioni non governative impegnate nell’aiuto e nel sostegno ai malati.
Nel marzo 1995 presiede a Firenze la IV Conferenza mondiale sulle politiche di
riduzione del danno in materia di droghe, tra i cui promotori vi è il Gruppo
Abele.
Nel corso degli anni Novanta intensifica l’opera di denuncia e di contrasto al
potere mafioso dando vita al periodico mensile "Narcomafie", di cui è direttore
responsabile. A coronamento di questo impegno, dalle sinergie tra diverse realtà
di volontariato e grazie a un costante lavoro di rete, nasce nel 1995 "LiberaAssociazioni, nomi e numeri contro le mafie", un network che coordina oggi
nell’impegno antimafia oltre 700 associazioni e gruppi sia locali che nazionali.
Simone Weil
Fra il 1919 e il 1928 studia in diversi licei parigini. Ammessa all‘École
Normale Supérieure, nel 1931 vi supera l'esame di concorso per
l'insegnamento nella scuola media superiore. Insegna filosofia fra il
1931 e il 1938 nei licei di varie città di provincia.
Nell'inverno 1934-1935, desiderando conoscere la condizione operaia,
inizia a lavorare come manovale nelle fabbriche metallurgiche di
Parigi. L'esperienza di otto mesi di lavoro nelle officine Renault – che
ha conseguenze gravi per la sua salute – verrà raccolta, sotto forma
di diario e di lettere, nell'opera La condizione operaia (1951). Si reca
anche in Portogallo, dove conosce e vive la miseria dei pescatori.
Nel 1937, mentre viaggia per l'Italia, si inginocchia nella cappella di
Santa Maria degli Angeli (Assisi), sentendosi trascinata da una forza
irresistibile. Iniziano così le sue esperienze mistiche.
Nel 1940 abbandona Parigi a causa dell'invasione tedesca; nel 1941
sceglie di dedicarsi al lavoro agricolo e resta dai genitori, a Marsiglia,
fino al 1942. Accompagna quindi i genitori in America e, dopo un
breve soggiorno a New York, raggiunge Londra per unirsi
all'organizzazione France Libre della resistenza francese. Digiunando,
si sente spiritualmente vicina ai francesi della zona occupata.
Affetta da tubercolosi, aggravata dalle privazioni che aveva deciso di
imporsi, muore nel sanatorio di Ashfors il 24 agosto del 1943, all'età
di soli 34 anni.
Hanna Arendt
Nata da una famiglia ebraica a Linden Hannover e cresciuta a Königsberg e
Berlino, la Arendt fu poi studentessa di filosofia sotto Martin Heidegger
all'Università di Marburgo.
Successivamente, la Arendt si trasferì a Heidelberg dove si laureò con una tesi
sul concetto di amore in sant'Agostino. La tesi fu pubblicata nel 1929, ma ad
Hanna Arendt nel 1933 fu negata la possibilità di venire abilitata
all'insegnamento nelle università, per via delle sue origini ebraiche.
In seguito la Arendt lasciò la Germania per Parigi. Durante la sua permanenza
in Francia si prodigò per aiutare gli esuli ebrei della Germania nazista. Ad ogni
modo, dopo l'invasione tedesca e l’occupazione della Francia durante la seconda
guerra mondiale, e la successiva deportazione degli ebrei verso i campi di
concentramento tedeschi, Hannah Arendt dovette emigrare anche da qui. Nel
1940 emigrò negli Stati Uniti dove divenne attivista nella comunità ebraica
tedesca di New York, e scrisse per il settimanale Aufbau.
Morì a New York nel 1975.
I lavori della Arendt riguardano la natura del potere, la politica, l'autorità e il
totalitarismo.
Particolarmente noto il libro La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme
(1963) nel quale la Arendt ha sollevato la questione che il male possa non
essere radicale: anzi è proprio per l'assenza di radici, di memoria, per il non
ritornare sui propri pensieri e sulle proprie azioni mediante un dialogo con se
stessi (dialogo che la Arendt definisce due in uno e da cui secondo lei scaturisce
e si giustifica l'azione morale) che uomini spesso banali si trasformano in
autentici agenti del male. È questa stessa banalità a rendere un popolo
acquiescente quando non complice con i più terribili misfatti della storia ed a far
sentire l'individuo non responsabile dei suoi crimini, senza il benché minimo
senso critico.
Gino Strada
« Io non sono pacifista. Io sono contro la guerra. »
(Gino Strada, Intervista a Che tempo che fa)
Alcuni considerano la posizione di Gino Strada come un mero esempio di
pacifismo radicale, «moralista» e utopico. Ma chi è veramente Gino Strada?
Laureatosi in medicina all'Università Statale di Milano nel 1978 e
successivamente specializzatosi in chirurgia d’urgenza, durante gli anni della
contestazione è uno degli attivisti del Movimento Studentesco.
Viene assunto dal nosocomio di Rho e fa pratica nel campo del trapianto di
cuore fino al 1988, quando si indirizza verso la chirurgia traumatologica e la
cura delle vittime di guerra. Nel periodo 1989-1994 lavora con il Comitato
Internazionale della Croce Rossa in varie zone di conflitto: Pakistan, Etiopia,
Perù, Afghanistan, Somalia e Bosnia-Erzegovina.
Questa esperienza sul campo motiva Strada ed un gruppo di colleghi a fondare
Emergency, un'associazione umanitaria internazionale per la riabilitazione
delle vittime della guerra e delle mine antiuomo che, dalla sua fondazione nel
1994, ha assistito più di 3,2 milioni di pazienti.
In Italia, Gino Strada ha assunto negli anni posizioni critiche nei confronti dei
governi guidati da Massimo D'Alema, Romano Prodi e Silvio Berlusconi, per le
loro scelte a sostegno della guerra, per la partecipazione dell'Italia a diversi
conflitti recenti, per l'aumento continuo delle spese militari, per le politiche
sull'immigrazione e i respingimenti.
Gli interventi di guerra dall’Afghanistan alla Libia sono valutati da Gino Strada e
dalla sua organizzazione una barbarie in aperta violazione dell’Art. 11 della
Costituzione della Repubblica Italiana.
Amos Oz
Amos Oz è uno scrittore israeliano di successo
noto al grande pubblico per il costante
richiamo, presente nelle sue opere ai temi
della pace e della tolleranza.
“Nel mio mondo, la parola compromesso è
sinonimo di vita. E dove c'è vita ci sono
compromessi. Il contrario di compromesso non
è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno
determinazione o devozione. Il contrario di
compromesso è fanatismo, morte.”
(A. Oz – “Contro il fanatismo”)
Dalai Lama
Il titolo di Dalai Lama è tratto dalla combinazione della parola Dalai,
che significa Oceano, e lama, equivalente tibetano della parola
sanscrita guru, ovvero Maestro spirituale, sarebbe dunque traducibile
come "Maestro-oceano“ o “Oceano di saggezza”.
L'attuale Dalai Lama, il quattordicesimo, è Tenzin Gyatso, nato a
Taktser, nell'Amdo, risiede in India dal 1959, a causa dell'occupazione
cinese, e l’allora primo ministro indiano Jawaharlal Nehru si prodigò
per garantire la sicurezza del religioso buddhista e dei suoi seguaci. In
India, il Dalai Lama risiede a Dharamsala, nello Stato di Himachal
Pradesh, nel nord del Paese. Nella stessa zona si è stabilita anche
l'amministrazione del Centro Tibetano, meglio noto come Governo
tibetano in esilio. Tenzin Gyatso ha ricevuto il Premio Nobel per la
pace nel 1989 per la resistenza non violenta contro la Cina.
In India i rifugiati tibetani hanno costruito molti templi e s'impegnano
per salvaguardare la loro cultura.
Johan Galtung
Johan Galtung (Oslo, 24 ottobre 1930) è un sociologo e matematico norvegese,
fondatore nel 1959 dell'International Peace Research Institut e della rete
Transcend per la risoluzione dei conflitti. È uno dei padri della peace research
(o peace studies). Le sue opere ammontano a un centinaio di libri e oltre 1000
articoli. Le istituzioni internazionali si sono spesso rivolte a lui per consulenze
tecniche in fatto di mediazioni di conflitti.
L’indagine di Galtung sulla pace e la nonviolenza parte da Gandhi e passa per
il buddhismo, che gli appare come l’unica filosofia in grado di spiegare
pienamente l’essenza della pace. Ma il sincretismo proprio del suo stile di
pensiero lo porta a ricercare idee interessanti e feconde in ogni orizzonte
culturale:
« In quanto norvegese, sono molto più pragmatico di un francese o dei
tedeschi. Mi sembra naturale prendere una cosa qui, un’altra là, e mescolarle.
Conoscendo un po’ le religioni, ho trovato qualche idea meravigliosa e
affascinante che posso usare come riferimento nella mia vita. [...] Non credo
nelle barriere. È molto più eccitante non curarsi delle barriere e scoprire vaste
aree di saggezza... ».
Nelson Mandela
“Quando sono uscito di prigione questa era la mia
missione: liberare sia gli oppressi sia gli oppressori.”
Nelson Mandela (Sud Africa 1918). Leader per
l’autodeterminazione della maggioranza nera in Sud
Africa durante l’apartheid. Ha trascorso 27 anni in
carcere per la sua opposizione al regime. Ha ricevuto il
premio Nobel per la Pace nel 1993.
Lorenzo Milani
Don Lorenzo Milani (1923-1967), sacerdote ed educatore, è stato il
fondatore e l'animatore della famosa scuola di Sant'Andrea di Barbiana,
il primo tentativo di scuola a tempo pieno espressamente rivolto alle
classi popolari. I suoi progetti di riforma scolastica e la sua difesa della
libertà di coscienza, anche nei confronti del servizio militare, compaiono
nelle opere Esperienze pastorali, Lettera a una professoressa e
L’obbedienza non è più una virtù (questi ultimi due testi scritti insieme
con i suoi ragazzi di Barbiana), nonché una serie importantissima di
lettere e articoli.
A lungo frainteso e ostacolato dalle autorità scolastiche e anche da una
parte di quelle religiose, don Milani è stato una delle personalità più
significative del dibattito culturale del dopoguerra e la sua vita
rappresenta ancora oggi una grande testimonianza di fedeltà nelle sua
scelta di essere dalla parte degli ultimi.
Don Milani, secondo Ernesto Balducci, “ha scelto la via della rottura per
aggredire il mondo degli altri e far nascere nella coscienza di tutti noi,
prelati, preti, professori, comunisti, radicali e giornalisti, il piccolo
amaro germoglio della vergogna”
Nel libro "Lettera ad una professoressa", giunge a rivoluzionare
completamente il ruolo di educatore, denunciando la natura classista
dell’istituzione scolastica italiana e proponendo nuovi obiettivi e nuovi
strumenti che potessero concretamente andare incontro ai bisogni dei
ceti meno privilegiati.
Rosa Parks
MONTGOMERY, primo dicembre 1955 - Rosa era stanca, quel giorno,
quando salì sull'autobus diretto al centro di Montgomery. Stanca per
un'altra dura giornata di lavoro in un grande magazzino, stanca
dell'Alabama e di quel sole del Sud che splendeva sempre e solo per i
bianchi. Stanca di seguire i cartelli colored people quando doveva fare la
fila, di pagare il biglietto alla porta anteriore e poi salire da quella
posteriore. Stanca anche di sperare che sul bus non salissero
abbastanza bianchi da occupare tutti i posti, anche gli ultimi, le poche
file riservati ai negri. E quando si mise a sedere non poteva sapere che
quello non era solo un sedile libero: era il posto di Rosa Louise Parks,
sartina nera dell'Alabama, nella storia degli Stati Uniti d'America.
Un no che cambiò la Storia. Il bus si riempì di bianchi e l'autista disse ai
neri di lasciare i posti liberi. Tre uomini si alzarono, lei, la sola donna,
rimase seduta. Non alzò la voce, non urlò i suoi diritti, non minacciò
nessuno. Disse solo di no, e rimase seduta. L'autista scese e tornò in un
battibaleno, con lui c'erano due poliziotti. Afferrarono Rosa, la fecero
alzare e la arrestarono. Quel giorno, per gli storici, è la data di nascita
del Movimento per i diritti civili americano.
La condanna, poi la vittoria. Durò più di un anno, il grande boicottaggio,
ma nessuno si tirò indietro. Usavano auto private, pool car, si direbbe
oggi, per andare al lavoro. E poco dopo la condanna di Rosa Parks
(colpevole, 10 dollari di multa) la Corte Suprema, alla quale avevano
fatto ricorso gli avvocati della N.A.A.C.P. (National Association for the
Advancement of Colored People) dichiarò incostituzionale la
separazione razziale sui mezzi pubblici di trasporto e le norme locali di
segregazione dello Stato dell'Alabama.
Michail Gorbaciov
(1931 Privolnoye – sud della Russia)
Nell'ottobre del 1990 viene annunciata l'assegnazione del premio Nobel a Michail
Gorbaciov, presidente dell'Urss. La motivazione sottolinea "il ruolo da lui rivestito
nel processo di pace" che in quegli anni "caratterizza importanti aspetti della
comunità internazionale".
Gli eventi straordinari che hanno cambiato irreversibilmente gli assetti internazionali
alla fine degli anni '80 non sono attribuibili a un singolo fattore o a un singolo
personaggio.
Ma il Nobel intende premiare i "decisivi contributi" apportati da Gorbaciov, nel suo
tentativo di riformare il sistema sovietico.
Nel 1987-88 si apre una nuova fase di riforme all'insegna di due parole d'ordine che
conquisteranno eco mondiale: "glasnost" (trasparenza) e "perestrojka"
(ristrutturazione).
Le due parole sintetizzano il tentativo di liberalizzare e democratizzare il sistema
sovietico.
Dopo la caduta dei regimi comunisti dell’Europa dell’est, il crollo dell'Impero
sovietico e lo scioglimento ufficiale nel 1991 del Patto di Varsavia.
All'interno, però, le riforme non riescono a portare il benessere e la stabilità sperate. La
consegna del Nobel coincide quindi con l'inizio del declino politico di Gorbaciov.
Nell'agosto del 1991 Mosca assiste a un tentativo di golpe e Gorbaciov
viene sequestrato con la sua famiglia nella sua dacia. Indebolito
politicamente dagli eventi, in dicembre scioglie il Pcus e - fatto inedito
nella storia del paese - rassegna le dimissioni da presidente. Negli anni
successivi Gorbaciov si impegna in un'azione politica laterale, di
approfondimento teorico-culturale, attraverso la sua Fondazione.
Tsunesaburo Makiguchi
Tsunesaburo Makiguchi (1871 – 1944) fu direttore di una
scuola primaria per molti anni. Convertitosi al Buddismo
nel 1928, fu il fondatore dell’associazione culturale Soka
Kyoiku Gakkai (“Società educativa per la creazione di
valore”) che aveva lo scopo di diffondere idee innovative
maturate in ambito pedagogico, alle quali Makiguchi aveva
dedicato anni di lavoro e riflessione.
Per le sue idee che si opponevano all’autoritarismo tipico
della scuola giapponese e per il rifiuto di insegnare la
religione di Stato shintoista, fu imprigionato e morì di stenti
nel 1944 all’età di 73 anni.
Norberto Bobbio
Norberto Bobbio è nato a Torino il 18 ottobre 1909. Dopo aver studiato Filosofia del
diritto con Solari, insegna questa disciplina a Camerino (1935-38), Siena (1938-40),
Padova (1940-48), Torino (1948-72) e Filosofia della politica, sempre a Torino, dal
1972 al 1979. Dal 1979 è professore emerito dell'Università di Torino. Socio
nazionale dell'Accademia dei Lincei, dal 1966 è socio corrispondente della British
Academy. Nel luglio del 1984 è stato nominato senatore a vita dal Presidente della
Repubblica Sandro Pertini. Ha avuto la laurea ad honorem nelle Università di Parigi,
di Buenos Aires, di Madrid (Complutense), di Bologna, di Chambéry. È stato a lungo
direttore della Rivista di filosofia insieme con Nicola Abbagnano.
base della convivenza democratica. E' morto a Torino il 9 gennaio del 2004.
"Cultura è equilibrio intellettuale, riflessione critica, senso di discernimento,
aborrimento di ogni semplificazione, di ogni manicheismo, di ogni parzialità."
Questa frase di Bobbio, estrapolata da una lettera da lui mandata a Giulio Einaudi nel
settembre 1968, rappresenta con chiarezza la linea lungo la quale si è sempre
mosso sia nella sua attività intellettuale che nel suo impegno politico. Questa
"libertà intellettuale" è parte della concezione altissima di libertà che ha sempre
guidato le sue scelte e che in questa sorta di Autobiografia appare il filo conduttore
di tutta una vita. Gli anni della sua formazione vedono Torino come centro di grande
elaborazione culturale e politica. I nomi di amici o compagni di scuola, di
interlocutori con cui Bobbio inizia a riflettere e a discutere sul significato e sul
valore della libertà (che proprio in quegli stessi anni inizia ad essere conculcata)
sono quelli su cui si fonda la civiltà intellettuale dell'Italia contemporanea.
L'impegno antifascista si fa sempre più attivo, irrinunciabile l'azione in un momento
in cui non era eticamente lecita qualsiasi forma di neutralità, naturale lo sbocco in
"Giustizia e Libertà", binomio mai scindibile, né nella concezione dello Stato, né
nell'elaborazione del pensiero politico se ancora nel 1995 per l'Einaudi esce un
saggio dal titolo “Uguaglianza e libertà".
Credits
Il materiale della
presentazione
raccoglie parte del
lavoro condotto negli
anni dagli studenti
coinvolti nel progetto
“La città dei diritti
umani.”
Aggiornamento e
rielaborazione a cura
del Prof. Argena.
Attività 2010/2011
Cineforum
Spettacoli teatrali
Incontri di
approfondimento e
riflessione
Scarica

La città dei diritti umani - Liceo Classico V. Gioberti