L’IDENTITA’ COME CONFINE
SILVANO TAGLIAGAMBE
PESCARA 12 NOVEMBRE 2005
Pavel Florenskij
La colonna e il fondamento della verità
1914
Il peccato è la “parete divisoria che l’Io innalza tra se
stesso e la realtà. Il peccato allo stato puro, al limite,
cioè la geenna, è la tenebra, l’oscurità, il buio, .
Perché la luce fa apparire la realtà, mentre la tenebra è
la disunione, la dispersione della realtà, l’impossibilità di
apparire l’uno all’altro, l’invisibilità dell’uno per l’altro. …
In una parola, il peccato è ciò che priva della possibilità di
fondare, e perciò di spiegare; priva cioè del lume della
ragione”.
Il peccato è quindi il confine inteso come linea di
demarcazione netta e invalicabile, che l’io erige tra se stesso e
la realtà, tra se stesso e l’altro, tra se stesso e Dio, facendosi
così “idolo di se stesso”, orgoglioso della propria
autosufficienza in virtù della quale si illude di poter
fondare l’io sull’io e di poter “spiegare” l’io con l’io.
V. I. VERNADSKIJ (1863-1945)
DUPLICE FUNZIONE DEL CONFINE/1
Il confine è anche, ma non soltanto, linea di
demarcazione, che isola e separa. Tutti i sistemi viventi
hanno un confine esterno. Questo fatto non è per nulla
casuale, dato che si tratta, per un verso, di sistemi aperti,
che prendono e cedono energia e materia, e per l'altro di
sistemi autonomi, caratterizzati dalla tendenza alla
conservazione della chiusura dei cicli che ne definiscono
l'organizzazione. Se prendiamo, ad esempio, la cellula,
vediamo come le sostanze chimiche esterne possano
venire da essa assimilate soltanto se sono tradotte nelle
strutture biochimiche proprie della cellula medesima. La
funzione di ogni confine o pellicola -dalla membrana
della cellula all'involucro che racchiude la biosfera- è
dunque quella di fungere da filtro che limita la
penetrazione di ciò che è esterno e la subordina alla sua
trasformazione in materiale omogeneo a ciò che sta
all'interno.
V. I. VERNADSKIJ (1863-1945)
DUPLICE FUNZIONE DEL CONFINE/2
E' proprio grazie a questa funzione
imprescindibile della linea di confine che la
natura può superare la rigida contrapposizione tra
materia vivente e materia inerte dando luogo a
forme e a tipi di realtà intermedi tra questi due
estremi. Si tratta, in primo luogo, della materia
biogena , che comprende tutto il complesso di
sostanze prodotte dalla materia vivente (sostanze
organiche e organominerali) e, soprattutto, della
materia biocosmica o bioinerte , in cui rientrano
invece le sostanze formate dall'unione o
associazione di materia vivente e non vivente.
FLORENSKIJ: IL CONCETTO DI PERSONA/1
Non è possibile dare il concetto della persona,
perché questa si distingue dalla cosa proprio perché
‘inconcepibile’, perché trascende i limiti di ogni
concetto, è trascendente a qualsiasi concetto, mentre
la cosa è sussumibile al concetto e perciò è
‘comprensibile’. E’ possibile creare solo un simbolo
della caratteristica radicale della persona, un segno,
una parola, e poi, senza definirlo, immetterlo
formalmente in un sistema di altre parole e disporne
come se rientrasse fra le comuni operazioni sulle
parole ‘come se’ fosse effettivamente il segno di un
concetto. Quanto poi al contenuto di questo simbolo,
esso non può essere razionale ma solo esperimentato
immediatamente nell’esperienza dell’autocreazione,
nell’attività dell’autoedificazione della persona.
FLORENSKIJ: IL CONCETTO DI PERSONA/2
La persona è caratterizzata da uno stato indicato
con la parola russa celomudrie, che, alla luce
della sua composizione etimologica (celomudrie) richiama il concetto di interezza, totalità
(cel’nost’, celostnost’) e saggezza (mudrost’).
Esso, dunque, “si richiama alla integrità,
all’unità, e in genere allo stato normale della vita
interiore, all’indivisione e alla forza della
persona”. Trovarsi in questo stato significa
riuscire a percepire l’integrità e l’armonia del
proprio esistere. Il suo “moto vitale” –il suo
volere e pensare, la fantasia e le idee, il suo
decidere e agire- nasce dal “centro di raccolta di
tutto il suo essere”.
FLORENSKIJ: IL CONFINE DELLA PERSONA/1
L’autoedificazione della persona presuppone,
come fase preliminare, una sorta di
“ripiegamento in se stessi”, di discesa nelle
profondità del proprio essere, alla ricerca del
“principio di identificazione” del sé come
individuo, come totalità armonica, come unità
organica (ontologica, spirituale e morale). In
questo stadio, pertanto, l’io è portato a erigere
tra se stesso e la realtà, tra se stesso e gli altri un
confine che assume la funzione di linea di
demarcazione funzionale all’esigenza, primaria
in questa specifica condizione, di accentuare uno
“stacco” che faciliti, appunto, il riconoscimento e
l’approfondimento del proprio “io”.
FLORENSKIJ: IL CONFINE DELLA PERSONA/2
Se non si vuole cadere nel peccato, che
scaturisce, come si è visto, dall’abitudine a
innalzare una “parete divisoria” tra sé e il resto
del mondo, questa prima non può che essere
una tappa provvisoria del proprio sviluppo, alla
quale deve seguire la capacità di abolire i
confini dell’io, di uscire da se stesso e di
trovare il proprio Io nell’Io dell’altro, nella
consapevolezza che “solo l’amore riporta fino a
un certo punto la persona all’unità. La
personalità senza amore si disintegra nella
frammentazione degli elementi e dei momenti
psichici”.
FLORENSKIJ: IL CONFINE DELLA PERSONA/3
Se si vuole preservare l’identità personale che si è
acquisita, il centro di unità e di raccolta del
proprio essere, occorre dare al confine tra sé e la
realtà una diversa valenza, trasformandolo da
barriera in luogo di comunicazione dove si possa
costituire il principio dell’intersoggettività. Il
punto d’approdo dell’autoedificazione della
persona è dunque la piena e matura
consapevolezza che l’”essere-persona” coincide
con l’”essere-per-l’altro”, con il “vivere-(nel)l’altro”. L’io rispecchiandosi nell’altro, riconosce
nel suo Io il proprio alter ego”. In definitiva
“l’amicizia dà all’uomo l’autocoscienza, rivela
dove e come è necessario lavorare su se stessi”.
FLORENSKIJ: IL CONFINE DELLA PERSONA/4
L’idea di confine come “interfaccia”
consente di spiegare il processo dinamico
di continua interazione tra interno ed
esterno, tra l’io e l’altro, tra soggetto e
oggetto, tra dare e ricevere, tra realtà e
illusione, processo che si caratterizza per
la flessibilità in virtù della quale il gioco
degli opposti non separa, ma integra. I
ruoli, le funzioni si ribaltano di continuo e
si donano reciprocamente senso.
Proiezione e introiezione contribuiscono, in
un ciclo vitale e creativo, a strutturare
significato e pregnanza.
Michail Michajlovic Bachtin (1895-1975)
La mia vita non può essere da me circoscritta e
rinchiusa entro confini spaziali e temporali che
abbiano un significato formalmente organizzante,
come posso fare per la vita dell'altro, del mio
prossimo. Io, come soggetto, non coincido mai con me
stesso: io- soggetto dell'atto dell'autocoscienza- supero
i limiti del contenuto di questo atto; e non si tratta di
una speculazione astratta, ma di una scappatoia vissuta
da me intuitivamente e in mio saldo possesso, che mi
porta via dal tempo, da tutto il dato, da tutto ciò che è
finito-presenziale: io de visu non vivo tutto me stesso
in questo. Per questo in tutte le forme estetiche la forza
organizzatrice è costituita dalla categoria di valore
dell'altro, dal rapporto con l'altro, rapporto arricchito
dall'eccedenza di valore che ha la mia visione dell'altro
e che permette il compimento transgrediente.
BACHTIN: L’IO COME CONFINE/1
Un'unica coscienza è priva di autosufficienza e
non può esistere. Io prendo coscienza di me e
divento me stesso solo svelandomi per l'altro,
attraverso l'altro e mediante l'altro. I più
importanti atti che costituiscono l'autocoscienza
sono determinati dal rapporto con l'altra
coscienza (col tu) . Il distacco, la disunione, il
rinchiudersi in se stessi come causa principale
della perdita di sé. Non quello che avviene
all'interno, ma quello che avviene al confine della
propria e dell'altrui coscienza, sulla soglia . E
tutto ciò che è interiore non è autosufficiente, è
rivolto in fuori, è dialogizzato, ogni esperienza
interiore viene a trovarsi SUL CONFINE,
s'incontra con altre, e in questo incontro pieno di
tensione sta tutta la sua sostanza.
BACHTIN: L’IO COME CONFINE/2
L'esistenza dell'uomo (sia quella esteriore che
quella
interiore)
è
una
profondissima
comunicazione . Essere significa comunicare. La
morte assoluta (non essere) è impossibilità di
essere uditi, di essere riconosciuti, di essere
ricordati. Essere significa essere per l'altro e,
attraverso l'altro, per sé. L'uomo non ha un
territorio interiore sovrano, ma è tutto e sempre al
confine, e, guardando dentro di sé, egli guarda
negli occhi l'altro e con gli occhi dell'altro.
Il rapporto di alterità, proprio come era stato
evidenziato da Florenskij, è dunque costitutivo
dell'io, in quanto viene ritrovato all'interno del
soggetto, che è esso stesso dialogo, rapporto
io/altro.
BACHTIN: L’IO COME CONFINE/3
L’io è un fenomeno tipicamente di confine, le cui
enunciazioni sono, generalmente, orientate e finalizzate
al rapporto con l’altro e condizionate da esso. Infatti
"ogni enunciazione, se la si esamina in modo più
approfondito, tenendo conto delle condizioni concrete
della comunicazione verbale, contiene tutta una serie di
parola altrui seminascoste e nascoste, dotate di un vario
grado di altruità”. Quando l'enunciazione viene elaborata
dal parlante, gli anelli successivi, naturalmente, non
esistono ancora. Ma l'enunciazione, fin dal principio, è
elaborata in funzione delle eventuali reazioni responsive,
per le quali, in sostanza, essa è elaborata. Il ruolo degli
altri, per i quali si elabora l'enunciazione, è molto
grande. Essi non sono ascoltatori passivi, ma attivi
partecipanti della comunicazione verbale. Fin dal
principio il parlante aspetta da loro una risposta, un'attiva
comprensione responsiva. Ogni enunciazione si elabora,
direi, per andare incontro a questa risposta.
L’iDENTITA’
COME CONFINE
Esserci sintetizza dunque tanto il concetto di “essere
sé”, dell’individuazione, che quello di “essere con”,
dell’appartenenza, nel bisogno insopprimibile
dell’uomo di disporre di un sé in relazione ad altri.
La qualità che, nel suo evolversi, assume la
rappresentazione d’oggetto, in stretta connessione e
relazione con il senso di sé, ne è un presupposto
determinante. L’immagine interna del sé e dell’altro
orienta nelle diverse direzioni di sviluppo,
predisponendo l’assetto affettivo e relazionale.
Il problema che si pone è quando questo equilibrio
tra soggetto e oggetto è alterato in modo tale da
produrre disturbi nelle relazioni.
Le due teorie sulla soggettività
1° Tesi
Soggetto
Persona : Nucleo di identità
Individuo
2° Tesi
Soggettività : Concetto di persona
1° Tesi
PERSONA
Nucleo di identità
Concetto di Insieme
Proprietà in comune:
rosso , blu
Individuo: insieme
di fasi differenti
Abcd
Un insieme unitario
Proprietà
rosso
Abcd
Proprietà
blu
Proprietà condivisa alla base
dell’appartenenza a un insieme
Condivisione Proprietà per appartenenza ad un insieme
PERSONA
PERSONA
Insieme degli atomi della vita
Nucleo
di
identità
CONDIVISIONE
di una proprietà comune:
nucleo di identità
Le due teorie sulla soggettività
1° Tesi
Soggetto
2° Tesi
Persona: somiglianza di famiglia
Persona : Nucleo di identità
Individuo
Individuo: evoluzione dinamica
Wittgenstein : somiglianza di famiglia
2° Tesi
Concetto di proprietà : dinamico e non di possesso statico
A
C
D
Somiglianza tra C e D
Serie dinamica di continuità con somiglianza 2 a 2
Non c’è un possesso di proprietà comune
Proprietà che accomuna tutti i giochi
Non c’è proprietà comune
ma somiglianza di famiglia
Insieme
dei giochi
Somiglianza di famiglia applicata all’identità
Proprietà che accomuna le varie fasi
Identità personale costruita attraverso
stadi senza un’unica proprietà comune
Non c’è un nucleo di identità
Soggetto individuale effetto di quello collettivo
Non è il concetto individuale che ci
permette di arrivare a quello
collettivo , ma viceversa
Soggetto
individuale
Noi siamo multipli, sistemi eteronegei
Soggetto
collettivo
Soggetti multipli e sistemi eterogenei
Sfida:
Siamo disposti a dare lo stesso peso alle diverse fasi
della vita ?
Fasi della vita
Somiglianza di famiglia …
Fratelli
Cugini
Soggetto
Parenti: diversi livelli di somiglianza
Wittgenstein: costruzione dell’identità
Wittgenstein: modello di
somiglianza di famiglia
Dennett
Studio sui
processi cerebrali
Costruzione di identità
Si afferma sempre più
Darwinismo interpretativo di Dennett
La voce presente
deve trasformarsi
in racconto
Coesistenza di
voci differenti
Passaggio alla coscienza
Passaggio alla coscienza
attraverso il raccontarsi
di una voce
Coesistenza di
voci differenti
Pluralità di racconti
La voce presente
deve trasformarsi
in racconto
Coesistenza di
voci differenti
Dal parallelismo alla sequenzialità
Racconti
Coscienza e attenzione
La clessidra di Boncinelli
Coscienza
Attenzione
Preparazione
all’azione
Movimento
Coscienza e attenzione
La clessidra di Boncinelli
0,2- 0,3 nanosec / 20 secondi
media 3 – 5 sec
Coscienza
Attenzione
Elaborazione
Stimoli esterni
2- 3 /100.000 sec
Reazioni:
Movimento
L’IO cosciente da atomi di attenzione
L’ IO cosciente
Atomi di
attenzione
discontinui
Identità: ricostruzione sotto forma di attenzione
L’ IO cosciente
racconto
Meta ricostruzione
per dare coesione
attraverso il racconto
Dennett : pluralità di racconti
Darwinismo: selezione racconto
Racconti eterogenei,
alternativi e in
competizione
Il caso nel processo di selezione
Racconto emergente
Patologia nell’egemonia di un racconto
Racconto egemone per
un tempo prolungato
Maieutica socratica
Tirare fuori il racconto più
opportuno dalle molteplici voci
Inversione gerarchia interna
Tirare fuori il racconto più
opportuno dalle molteplici voci,
invertendo la gerarchia interna
Edelman : sistema immunitario
ambiente
organismo
antivirus
virus
attivazione
attivazione
Antivirus
non attivi
Il racconto come … un antivirus
ambiente
organismo
antivirus
virus
racconto
Attivazione di un antivirus
attraverso … un racconto
L’io individuale nel rapporto di gruppo
Metafora
voce
dominante
Portavoce di un clima
dominante nel gruppo
gruppo
Dinamiche di gruppo
Il gruppo e il suo esserne parte, il riconoscimento
dei compagni di percorso, il condividere con loro
emozioni e affetti, immette nello scenario interno
dell’io nuove possibilità di rappresentarsi nel
mondo e apre nuove prospettive.
Per un io fragile essere parte del gruppo equivale
ad “esserci”.
Riuscire a far parte di un gruppo di pari significa
cominciare a ritenere possibile un livello di
relazione, dall’altro le spinte di individuazione che
attraversano più o meno intensamente i diversi
partecipanti, non sono estranee a ciascuno di essi.
Una miscela di affetti contrastanti si agitano e
spingono in direzioni diverse e i bisogni di
appartenenza entrano in conflitto con nuovi
bisogni di individuazione.
Riparare il passato
Metafora
Ricostruzione
di un altro
racconto
Racconto Dominante
del paziente patologico
Ricucire esperienze, renderle significative attraverso
l’emergenza e la ricostruzione di un racconto alternativo
SOGNO/1
Il sogno è il luogo per eccellenza dove si può facilmente
acquisire un’altra misura del tempo e dello spazio. Il tempo
onirico risponde a regole diverse rispetto a quello della
realtà quotidiana: trascorre a velocità infinite, persino
rovesciandosi su se stesso e trascinando con sé, in questo
gioco di ribaltamenti, anche lo spazio:"nel sogno il tempo
scorre, e scorre celermente, incontro al presente, all'inverso
del movimento della coscienza di veglia. Il primo si
capovolge su se stesso e con esso si capovolgono tutte le
sue immagini concrete. Ma ciò significa che noi siamo
portati sul piano di uno spazio immaginario, per cui lo
stesso evento che scaturisce dall'esterno, dal piano dello
spazio reale, è visto anch'esso immaginariamente, cioè
innanzitutto come se si svolgesse in un tempo teleologico,
quale scopo, oggetto di una tensione”.
FLORENSKIJ SUL SOGNO/2
Quando il sogno viene raccontato e trasformato in intreccio
narrativo subisce una trasformazione lungo quattro direzioni
principali:

1) un evidente aumento del grado di organizzazione, dovuta al
fatto che la struttura narrativa si sovrappone a ciò che è stato
visto;

2) l'eliminazione dalla memoria, in seguito al processo della
narrazione, delle tracce reali del sogno, fino al punto che
l'uomo si convince di aver visto realmente proprio ciò che ha
raccontato. In seguito nella memoria rimane impresso il testo
narrato verbalmente;

3) Il ribaltamento del testo verbalmente organizzato sulle
immagini visive conservate nella memoria e la
memorizzazione di esso in forma visiva. Così si crea la
struttura della narrazione visiva, che unisce il senso della
realtà, proprio di tutto ciò che è visibile, e tutte le possibilità
grammaticali dell'irrealtà;

4) lo scambio tra l'inizio e la fine e il mutamento della
direzione del sogno.
FLORENSKIJ SUL SOGNO/3
Il sogno è una "realtà irreale". Esso "si distingue per il suo
plurilinguismo: ci immerge non in spazi visivi, verbali,
musicali ecc., ma nella loro fusione, analoga a quella reale. La
traduzione del sogno nelle lingue della comunicazione umana
è accompagnata dalla diminuzione dell'indeterminatezza e
dall'aumento della comunicabilità". In seguito a questo
processo esso viene osservato e letto "al contrario": il sogno
originariamente inenarrabile e imprevedibile, caratterizzato da
uno stato di incompiutezza, risultato di un processo di
esplosione casuale di frammenti visivi proiettati in ordine
sparso e in tutte le direzioni, viene "rettificato", calato e
costretto entro una composizione temporale lineare che gli
conferisce forma compiuta e sottopone tutti gli avvenimenti di
cui si compone a una "rivalutazione in seconda istanza" che
trasforma il casuale in inevitabile. Ciò che originariamente era
una delle tante possibilità di sviluppo del processo
plurilinguistico in cui il sogno consiste viene inserito
all'interno di un'orbita di senso originariamente imprevedibile.
In seguito avviene un ripensamento di tutta la storia
precedente,
in
modo
che
l'imprevedibile
venga
retrospettivamente ripensato come l'unica possibilità".
FLORENSKIJ SUL SOGNO/4
Quella che era soltanto una possibilità fra le tante
viene, quindi, trasformata nell' unica possibilità,
in quanto considerata una tappa intermedia del
processo che deve necessariamente portare
all'esito finale, cioè alla conclusione del sogno, al
suo epilogo narrativo. La struttura arborescente,
ricca di ramificazioni e di percorsi differenti, del
"sogno-evento", a livello del "sogno-racconto",
dopo la scelta operata dal narratore, si attenua
fino a svanire del tutto, ed entra in scena
l'irreversibilità. Benché di fatto non ci sia stata
nessuna scelta il sogno viene ripensato e rivissuto
come scelta e movimento diretto verso uno
scopo: in seguito a ciò l'esplosione perde la sua
imprevedibilità e si presenta, nella coscienza
degli uomini, sotto forma della prevedibilità della
dinamica da essa generata.
Fissità: egemonia di un racconto nel tempo
Blocco del meccanismo dinamico :
gerarchia immutabile
Racconto
egemone
tempo
Differenza tra simbolo e segno Rivisitando Jung
Significante
Segno
Principio di trasparenza del segno
Simbolo
relazione stretta
Significato
Differenza tra simbolo e segno Rivisitando Jung
Significante
Segno
Significato
Principio di trasparenza del segno :
relazione stretta
Significante
Simbolo
Allude , esibisce la presenza
senza sapere specificarne la natura
Pregnanza
Significato
Storia del Romanzo Bachtin
Simbolo
La mancanza di trasparenza
stimola l’attività psichica
E’ UNA SFIDA PER LA PSICHE
Attiva una trasformazione interna
( che non succede in presenza di un
semplice segno )
Differenza tra simbolo e segno in fisica
La meccanica atomica non è dotata di un proprio linguaggio fenomenico
specifico. La struttura formale della teoria, i SIMBOLI che compaiono in
essa, non sono UNIVOCAMENTE TRADUCIBILI nel nostro linguaggio
e nei concetti classici.
Per questo essa si avvale, a seconda delle situazioni sperimentali, di
IMMAGINI diverse (es. ONDE e CORPUSCOLI)
Uno stesso processo atomico si presenta sotto manifestazioni
fenomeniche differenti al variare delle condizioni di
osservazione.
CENTRALITA’ DELLA RELAZIONE SOGGETTO-OGGETTO
Noi non siamo in grado di conoscere la realtà oggettiva in quanto tale,
distinta dal soggetto che se la rappresenta e dai modi e dagli stili
della sua rappresentazione.
Ad esempio il colore è il risultato di una serie di fattori quali la
lunghezza d’onda della luce riflessa dagli oggetti, le condizioni di
illuminazione circostante, i coni contenuti nella nostra retina e i
circuiti cerebrali ad essi connessi, per cui esso è strettamente
CONNESSO ALLA NOSTRA FACOLTA’ DI PERCEPIRLO.
IL COLORE NASCE DALL’INTERAZIONE TRA IL MONDO E
CHI LO PERCEPISCE.
Esigenza di distinguere in modo chiaro il livello
ONTOLOGICO da quello EPISTEMOLOGICO,
la REALTA’ FISICA dal suo MODELLO.
RELATIVITA’ AGLI STRUMENTI DI OSSERVAZIONE
NIELS BOHR:
Nella meccanica quantistica dobbiamo prendere
atto che è impossibile riconoscere una realtà
indipendente sia al fenomeno, sia allo
strumento di osservazione.
Essa spezza dunque l’idealizzazione dei concetti
di OSSERVAZIONE e di DEFINIZIONE e la
convinzione che tra l’oggetto e la descrizione
di quel risultato non vi sia nessun tipo di
interferenza e quindi, in generale, che il risultato
stesso sia indipendente dalle condizioni di
osservazione.
L’IMPORTANZA DELLO STILE DELLA
DESCRIZIONE
La MQ ci costringe a abbandonare l’idea che
possa esistere una linea di demarcazione netta
tra CIO’ CHE si descrive e il MODO IN CUI
lo si descrive. Ciò significa che, fin dal primo
istante, l’osservatore proietta sulla realtà che
studia le proprie categorie e i propri stili di
pensiero, dando vita a un tipo di rapporto tra
soggetto e oggetto nel quale il primo inquadra
il secondo all’interno d’immagini concettuali
preesistenti, e il secondo impone vincoli alla
creazione di nuove immagini e modalità
rappresentative da parte del primo.
MNEMONIC SLOGAN: IT IS
NOT THE STUFF, IT IS THE
STYLE THAT STUPEFIES
JOHN WISDOM:
I puzzles costituiti dalle proposizioni
filosofiche, dalle proposizioni su oggetti
immaginari, dalle proposizioni generali, dalle
proposizioni negative, dalle proposizioni
concernenti il futuro, dalle proposizioni
concernenti il passato, perfino il puzzle
riguardante le proposizioni psicologiche, non
sono eliminati spiegando la natura peculiare
del contenuto degli enunciati in cui sono
espresse, bensì riflettendo sul modo
peculiare in cui questi enunciati funzionano.
Slogan da imprimere nella memoria. “Non
è il contenuto, è lo stile che stupisce”.
LA CAUSALITA’ CIRCOLARE
Quella che la MQ istituisce tra soggetto e
oggetto è una catena di causalità
circolare, condizionata dalla sua storia,
perché l’ “oggetto” non si arricchisce via
via soltanto di dettagli che ne riflettono la
natura intrinseca, ma si caratterizza anche
per le sembianze e le proprietà che gli
vengono attribuite dal soggetto in base alla
scelta che egli fa delle condizioni
d’osservazione e degli strumenti di
misurazione.
Scomposizione di più piani in sequenze
Antecedenza
Causa
Sequenzialità
Causalità
Conseguenza
Effetto
Scomposizione di più piani in sequenze
Bateson: cambio di paradigmi
Bateson: il passaggio dal concetto di
linearità a quello di circolarità
ESPRESSIONI REFERENZIALI E ESPRESSIONI DESCRITTIVE
Questa “catena di causalità circolare” spezza
l’illusione classica che in un qualunque
resoconto del risultato di una misurazione
possa esistere un’opposizione tra
ESPRESSIONI DESCRITTIVE ed
ESPRESSIONI REFERENZIALI, sulla
quale era basata la convinzione che tra
l’oggetto e la descrizione di quel risultato
non dovesse e non potesse esserci nessun
tipo d’interferenza, e quindi, in generale,
che il risultato stesso dovesse
necessariamente essere indipendente
dalle condizioni di osservazione.
LE METAFORE
Gli enunciati metaforici portano a
realizzare una sovrapposizione e
un’identificazione di oggetti distinti.
Per esempio sulla base dell’idea che la
relazione tra lo scudo e Marte sia del
tutto analoga a quella che sussiste tra la
coppa di vino e Bacco posso istituire una
sovrapposizione tra “scudo” e “coppa”,
parlando del primo come “coppa di
Marte” e della seconda come “scudo di
Bacco”.
IL CONVERSO DELLE
METAFORE/1
Se dico ‘Non me la prendo col collega, ma con
l’amico che mi ha tradito’ (supponendo che ‘il
collega’ e ‘l’amico che mi ha tradito’ siano la
medesima persona) mi accorgo che il referente, ciò
di cui intendo parlare, non è l’elemento introdotto
dall’espressione referenziale propriamente detta (‘il
collega’), ma l’ente quale viene descritto da me,
quello che compare nella parte descrittiva
dell’enunciato (‘l’amico che mi ha tradito’).
L’oggetto di cui parlo, allora, viene a essere
costituito dall’intero enunciato in quanto, per il
significato del discorso, ha importanza essenziale
non soltanto ciò a cui mi riferisco, ma anche il
modo in cui lo presento e lo descrivo.
IL CONVERSO DELLE
METAFORE/2
Se dico: ‘La stanza è spaziosa’, posso voler
parlare non soltanto della stanza, ma del suo
aspetto, delle sue dimensioni, di come mi
appare, di come la vedo in particolari
circostanze ecc. cioè di elementi che non hanno
un rappresentante nell’enunciato.
Ciò significa che i concetti di ‘oggettività’ e di
‘esistenza’, connessi alla parte referenziale,
vanno associati anche alla parte predicativa
dell’enunciato, con conseguente affievolirsi
dell’opposizione tra le due parti suddette. Ne
deriva l’impossibilità di localizzare la referenza
in un punto specifico del discorso: è
quest’ultimo, preso nella sua totalità, a attuare il
riferimento.
IL CONVERSO DELLE
METAFORE/3
Il rifiuto di ridurre la funzione referenziale alla
designazione di oggetti e la tendenza a presentarla
come una funzione globale, ripartita su tutto il
discorso, conferiscono a questo una compattezza e un
grado di integrazione tali da far sì che i sensi delle
singole parole si fondano e si correlino strettamente,
subendo ‘variazioni semantiche’ determinate dalle
reciproche integrazioni. Il discorso si trasforma, cioè,
in un tutto semantico con un contenuto distribuito
sull’intero suo spazio e la SINTASSI (l’insieme delle
regole di coesistenza tra i segni all’interno della
frase) assume una decisa prevalenza rispetto alla
SEMANTICA (le regole di interpretazione dei
singoli segni e di conferimento di un significato a
ciascuno di essi).
IL CONVERSO DELLE
METAFORE/4
Questa interferenza tra ciò che si descrive e il modo in
cui lo si descrive, e dunque tra l’oggetto su cui verte il
discorso e il soggetto che ne parla, assegna all’atto di
“instaurare una funzione referenziale” il compito di
concentrare l’attenzione su determinate proprietà e di
selezionare associazioni con certi altri oggetti,
piuttosto che con altri, e quindi di far rientrare
l’oggetto medesimo all’interno di una prospettiva
influenzata in misura tutt’altro che trascurabile dalle
“condizioni di osservazione”, e in particolare dagli
interessi prevalenti dell’osservatore e dagli “strumenti”
linguistici e concettuali di cui dispone.
CRITICA DELLA “BUILDING
BLOCKS THEORY”
Da questa priorità della SINTASSI sulla
SEMANTICA deriva una progressiva e marcata
presa di distanza dall’identificazione del
significato delle parole con idee, immagini,
rappresentazioni di carattere psicologico,
dall’idea che il linguaggio sia una collezione di
proposizioni elementari indipendenti l’una
dall’altra e da quella che Donald Davidson
(1994) ha definito la “building blocks theory”,
ossia la dottrina semantica che esplica il senso
di un enunciato, riconducendolo alla somma dei
significati delle sue componenti elementari.
CRITICA DELLA “BUILDING
BLOCKS THEORY”/2
Per converso, si rafforzeranno l’idea che il linguaggio sia
un sistema di relazioni interne e di regole, che all’interno
di esso il significato di un singolo segno sia dato
dall’insieme di relazioni con altri segni di cui entra a far
parte.
Questo mutamento appare particolarmente chiaro in ciò
che chiamiamo “testo digitale”, che è l’intera gamma
delle condizioni di coesistenza di cui esso è il risultato,
anzi, lo spettro complessivo dei possibili contesti in cui
potrebbe essere inserito. La lettura diventa così raffronto
di contesti e scoperta di testi, magari a partire da una
singola parola.
IL RAPPORTO TRA LA REALTA’ E IL
LINGUAGGIO
Il linguaggio non dice CHE
COS’E’ e COME STA LA
REALTA’, ma prospetta le
MODALITA’ ALTERNATIVE
POSSIBILI SECONDO CUI
PARLARNE.
LA SINDROME DI DORIAN GRAY
INTERFERENZA TRA LA REALTA’
E LE RAPPRESENTAZIONI CHE CE NE
FACCIAMO, CHE ENTRANO COSI’ A FAR
PARTE DEL TESSUTO COSTITUTIVO
DELLA REALTA’ MEDESIMA.
ITALO CALVINO: LEZIONI
AMERICANE/1
Alle volte mi sembra che un'epidemia
pestilenziale abbia colpito l'umanità nella
facoltà che più la caratterizza, cioè l'uso
della parola, una peste del linguaggio che
si manifesta come perdita di forza
conoscitiva e d’immediatezza, come
automatismo che tende a livellare
l'espressione sulle formule più generiche,
anonime, astratte, a diluire i significati, a
smussare le punte espressive, a spegnere
ogni scintilla che sprizzi dallo scontro
delle parole con nuove circostanze...
ITALO CALVINO: LEZIONI
AMERICANE/2
Vorrei aggiungere che non è soltanto il linguaggio che
mi sembra colpito da questa peste. Anche le immagini,
per esempio. Viviamo sotto una pioggia ininterrotta di
immagini; i più potenti media non fanno che
trasformare il mondo in immagini e moltiplicarlo
attraverso una fantasmagoria di giochi di specchi:
immagini che in gran parte sono prive della necessità
interna che dovrebbe caratterizzare ogni immagine,
come forma e come significato, come forza d'imporsi
all'attenzione, come ricchezza di significati possibili.
Gran parte di questa nuvola d'immagini si dissolve
immediatamente come i sogni che non lasciano traccia
nella memoria; ma non si dissolve una sensazione
d'estraneità e di disagio.
ITALO CALVINO: LEZIONI
AMERICANE/3
Ma forse l'inconsistenza non è nelle
immagini o nel linguaggio soltanto: è nel
mondo. La peste colpisce anche la vita delle
persone e la storia delle nazioni, rende tutte
le storie informi, casuali, confuse, senza
principio né fine. Il mio disagio è per la
perdita di forma che constato nella vita, e a
cui cerco d'opporre l'unica difesa che riesco
a concepire: un'idea della letteratura".
RINGRAZIAMENTI
GRAZIE DELL’ATTENZIONE!
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A.I.M.S