Gli DEI degli antichi VENETI
Presentato a Cittadella, festa dei Veneti, 3 settembre 2006 a cura della Federazione Pagana.
Progetto di Manuela Simeoni
le Divinità
Mostra di testi e immagini
relativi alle divinità, ai
luoghi di culto e alle
pratiche religiose del
popolo dei Paleoveneti
Le Pratiche di culto
Altre
popolazioni
I luoghi di culto
Esci
Le divinità
Esci
Quali erano le divinità degli antichi Veneti? Che cosa sappiamo dei loro nomi e dei
culti che gli venivano offerti? Per quanto a lungo vennero onorate? Erano tutte
divinità venete, o i Veneti accolsero anche divinità straniere?
Le fonti archeologiche purtroppo non ci danno molte informazioni sulle
caratteristiche delle divinità dei Veneti, di cui ci resta spesso solo il nome.
Alkomno
Apono
Henotos
Pora
Reitia
Ercole
Trumusiate
Pora Reitia
Pora Reitia è la più nota degli Dei degli antichi veneti. Il suo nome
originario è Pora; Reitia era un appellativo che in un secondo
momento diviene nome autonomo della stessa divinità.
Sul significato dei nomi della dea ci sono diverse ipotesi. Pora
potrebbe derivare dal verbo “partorire” e sarebbe quindi una dea
madre, una dea dell’abbondanza, oppure dalla parola che significa
“passaggio” (in analogia con il greco “poros”, che significa
appunto passaggio) e quindi sarebbe una dea del passaggio inteso
come trasformazione o come passaggio del fiume: il suo santuario
trovato ad Este sorge infatti presso le rive dell’Adige. Anche il
nome Reitia ha origine dubbia: potrebbe significare “colei che
raddrizza” (i torti, cioè una dea della giustizia, oppure il bambino
prima del parto, favorendone la nascita) o potrebbe derivare dal
verbo che significa “scorrere”, con riferimento al fiume oppure
alla scrittura. Nel suo santuario di Este sono stati trovati infatti
numerosi stili per la scrittura su tavolette e tavolette con inciso
l’alfabeto. Nel santuario si insegnava a scrivere e forse alla fine
dell’apprendimento lo scolaro dedicava lo strumento alla divinità.
Il suo culto ad Este era gestito da un collegio di sacerdoti, ma si
può supporre un importante ruolo delle donne, dal momento che
gli stili hanno incisi nomi femminili.
Bronzetto di donna
offerente, dal santuario
della dea Reitia a Este.
(V-IV
sec.
a.C.).
Immagine tratta da I
veneti, di Loredana
Capuis, Ed. Longanesi
Pora Reitia
Al suo nome talvolta si aggiunge l’epiteto “Sainate”, che ne evidenzia le caratteristiche di
divinità guaritrice.
Si sa che nel suo santuario di Este si svolgevano riti di passaggio dei giovani all’età adulta:
dalle offerte, oggetti di uso comune in scala ridotta, come lance, scudi, vesti, cinturoni, ma
soprattutto oggetti per la tessitura, possiamo dedurre che i riti riguardassero ragazzi e
ragazze ma soprattutto queste ultime. Anche in altre civiltà antiche le ragazze che
passavano dall’infanzia all’adolescenza tessevano vesti per una dea. Questi riti di
passaggio erano probabilmente collettivi: le laminette ritrovate nel tempio di Este
rappresentano processioni di donne con ricco abbigliamento o guerrieri o cavalieri.
Laminetta con processione di
guerrieri dal santuario di Reitia a
Este (V-IV sec. a.C.). Immagine
tratta da I Veneti, di Loredana
Capuis, Ed. Longanesi
Pora Reitia
Gli studiosi hanno voluto mettere a confronto Pora Reitia con la dea greca Artemide:
entrambe pare abbiano un ruolo nel favorire i parti, ricevono omaggio dalle giovani donne
e sono talvolta collegate all’acqua (Reitia all’Adige e Artemide Limnaia alle paludi presso
Trezene).
I Romani invece la identificarono con Minerva, per il suo legame con le arti e la scrittura;
un romano volle persino, seguendo l’uso dei Veneti, dedicarle una tavoletta alfabetica, in
latino e con un esercizio di scrittura tipico della cultura latina.
In qualsiasi suo aspetto, Pora Reitia è una dea legata al tempo che passa e alle
trasformazioni che questo porta con sé: la nascita, i riti di passaggio, la tessitura (che in
altre culture è simbolicamente legata allo svolgersi della vita), la guarigione. Allo stesso
tempo è legata anche alla trasformazione del tempo: la scrittura infatti permette di fissare
un certo momento del tempo e di trasmetterlo (ad esempio una dedica alla divinità su un
oggetto che le si offre, fissa il momento dell’offerta).
Esci
Le divinità
Trumusiate
Bronzetto
di
Apollo
rinvenuto nel santuario di
Lagole (I secolo d.C.).
Immagine tratta da AKEO.
I tempi della scrittura,
catalogo della mostra
Trumusiate o Tribusiate era la divinità venerata nel santuario
di Lagole di Calalzo. Non sappiamo con certezza se sia un
dio o una dea: nel santuario è stata ritrovata una laminetta
raffigurante tre teste femminili e qualche studioso ha voluto
accostare Trumusiate alla dea greca Ecate che era
rappresentata con tre teste. Tuttavia, gli oggetti dedicati alla
divinità presentano iscrizioni in cui l’offerta proviene da
uomini e gli oggetti stessi sono tipiche offerte maschili,
lance in miniatura, bronzetti di guerrieri. I Romani
identificarono poi questo dio con Apollo, perciò tutto
farebbe presupporre piuttosto una divinità maschile. Come
Pora Reitia, era definito “Sainate”, che guarisce.
Le offerte alla divinità sono piuttosto varie: l’offerta più
tipica sono però i simpuli, una sorta di mestoli. Erano usati
per l’offerta d’acqua e poi sottoposti a danno rituale: il rito
prevedeva che la coppetta fosse staccata dal manico e che su
questo fosse incisa una dedica alla divinità. Oltre all’offerta
d’acqua, dalle ossa trovate sappiamo che gli si sacrificavano
montoni, buoi, maiali e capre.
Trumusiate
A Trumusiate si dedicavano anche armi, spesso di influsso celtico: anche la comunità
celtica locale pare coinvolta nel culto della divinità. Trovandosi in un luogo di passaggio
per allevatori e commercianti, il santuario riceveva le offerte di tutti gli stranieri di
passaggio. Numerosi sono stati anche i bronzetti ritrovati e raffiguranti soprattutto
guerrieri.
Il santuario fu frequentato dal IV secolo a.C. al IV secolo d.C., ma anche in epoche
successive e fino al secolo scorso, le donne si recavano alle acque che sgorgavano vicino
al santuario per riti propiziatori di gravidanza. Un vago ricordo del culto potrebbe essere
anche la credenza locale nelle Aguane o Anguane, spiriti dell’acqua ora buoni ora
maligni.
Esci
Le divinità
Alkomno
Nel santuario ritrovato in località Casale presso Este fu rinvenuto anche un Kantharos,
un recipiente di bronzo, che divenne noto in seguito come Kantharos di Lozzo e che è la
più antica testimonianza della lingua venetica. L’iscrizione su di esso ci dà notizia anche
della divinità cui doveva essere dedicato il santuario: l’oggetto è infatti offerto da tre
personaggi agli “Alkomno horvionte”.
Il modo in cui termina la parola Alkomno fa pensare ad una forma duale: mentre in
italiano abbiamo solo singolare e plurale, alcune lingue indoeuropee antiche, come il
greco, ad esempio, hanno anche il duale, che è un plurale specifico per due persone.
Gli Alkomno sono quindi due, e questo ha fatto pensare a due divinità gemelle,
analoghe ai greci Dioscuri che già nel V secolo a.C. erano molto popolari a Roma e il
cui culto venne poi praticato nella stessa area.
Il Kantharos di Lozzo
(ultimo quarto del VII
secolo a.C. - prima metà
del VI secolo a.C.)
Immagine
tratta
da
AKEO. I tempi della
scrittura, catalogo della
mostra.
Alkomno
Il mito dei gemelli è piuttosto comune nelle mitologie indoeuropee: in genere si tratta di
due eroi fondatori di civiltà o città, come i Dioscuri (Castore e Polluce, uno era immortale
e l’altro no), oppure Romolo e Remo, fino ad arrivare addirittura ai Longobardi, che
ricordavano due gemelli all’origine delle loro tribù.
Stele dedicatorie in greco, risalenti al II secolo a.C. ritrovate nel santuario di Casale
attestano il culto dei Dioscuri e così le teste che li rappresentano, appartenenti al tempio
che fu costruito durante l’età della romanizzazione, quando presso i Veneti si affermò la
“moda” di rifare i templi con materiali duraturi e aspetto monumentale.
Quanto invece all’epiteto “horvionte” non abbiamo testimonianze linguistiche sufficienti
per ipotizzarne un qualche significato.
Esci
Le divinità
Henotos
Nel santuario di Meggiaro (Este) è stata
ritrovata un’unica dedica a Henotos,
un’iscrizione su una placchetta bronzea a
forma di nave, sufficiente però per ricollegare
alla divinità l’intero santuario di Meggiaro. Il
nome esatto non è però Henotos, perché
nell’iscrizione manca una sillaba centrale e
perciò andrebbe correttamente trascritto
Heno(-)tos.
Data la frequenza di offerte di tipo “maschile”,
cioè armi e lamine raffiguranti soldati in
marcia, si ritiene che a Meggiaro vi fosse il
luogo di culto di una divinità guerriera che,
come Reitia sovrintendeva ai riti di passaggio
soprattutto delle donne, presiedeva ai riti di
passaggio degli uomini. In questo contesto si
collocano le offerte più tipiche di questo
santuario: dei pendagli cavi, detti dagli
archeologi bullae, che si è scoperto
contenevano frammenti di pelle umana.
Bullae e pendagli dal santuario di
Meggiaro. Immagine tratta da Frammenti
di pelle svelano la metamorfosi del
giovane veneto in guerriero su “Il
Gazzettino” 5 maggio 2003
Henotos
Faceva parte del rito di iniziazione dei giovani che si apprestavano a diventare
guerrieri: i frammenti di pelle contenuti in questi pendagli appartenevano ai ragazzi
che li “sacrificavano” in questo modo alla divinità, portando con sé il pendaglio fino
probabilmente al compimento dei riti di passaggio, dopo di che lo offrivano al dio,
donandolo al santuario.
Simbolicamente, il dono di un frammento di sé riproduce la propria morte, in questo
caso la morte della propria infanzia alla nascita dell’età adulta; l’atto di tagliarsi è
poi per il futuro guerriero una prova di coraggio, che ne dimostra la capacità di
sacrificarsi e di sopportare il dolore, di essere, insomma, adulto.
Esci
Le divinità
Apono
Apono era il dio venerato nel santuario di S. Pietro Montagnon, oggi Montegrotto, dove
è stato rinvenuto, nel 1892-1911, presso un laghetto termale un deposito di numerose
offerte, soprattutto vasellame, modellato con l’argilla del lago più o meno abilmente, e
diversi bronzetti, soprattutto di cavalli. Il legame di Apono con le acque termali fa
supporre che si trattasse di una divinità guaritrice e la varietà delle offerte (tra cui anche
modellini di parti anatomiche) fa pensare che il culto fosse diffuso presso tutti gli strati
sociali. Gli si offrivano anche giovani maiali e pecore e in particolare le loro mandibole
inferiori.
Il santuario fu frequentato fin dal VI secolo a.C. e lo era ancora in età imperiale romana.
Secondo alcuni studiosi, data la quantità di bronzetti raffiguranti cavalli, si collocò qui
un culto a Diomede, che secondo le leggende era fondatore delle città venetiche e al
quale, secondo quanto dice lo storico greco Strabone, i Veneti tributavano un culto
sacrificandogli un cavallo bianco.
Bronzetti di cavalli ritrovati nel
santuario di Apono. Immagine tratta da I
Veneti, di Loredana Capuis, ed.
Longanesi
Apono
Esci
Poiché Apono era una divinità guaritrice, si può ipotizzare che i Romani lo associassero al
dio Apollo, vista anche la somiglianza dei due nomi, ma anche in epoca romana le terme
erano note come Acquae Aponi, le acque di Apono.
Presso questo santuario era collocato l’oracolo di Gerione. Lo storico latino Svetonio
racconta che il futuro imperatore Tiberio, diretto in Illiria, era passato a consultare
l’oracolo che gli aveva consigliato di gettare dadi d’oro nella fonte di Apono, per
conoscere il proprio futuro.
Il nome stesso di Abano Terme deriva dal nome del dio.
Vasellame
rinvenuto
nel
santuario
di
S.
Pietro
Montagnon. Immagine tratta da
I Veneti, di Loredana Capuis, ed.
Longanesi
Le divinità
Ercole
Bronzetto di Ercole da
Adria. Immagine tratta
da “Il dio degli Italiani”
in Focus n. 132, ottobre
2003
Il culto di Ercole si diffuse in tutta Italia a partire dalla
Magna Grecia e andò via via assumendo caratteri propri,
assorbendo quelli di divinità locali. Così accadde anche
nelle terre abitate dagli antichi Veneti, dove Ercole,
“importato” forse dagli Etruschi, divenne rapidamente
popolare. I santuari di Ercole nell’Italia settentrionale si
collocano lungo vie di commercio esistenti fin dall’età del
bronzo e anche quelli veneti non fanno eccezione.
Oltre ai reperti di Adria, dove c’era anche una forte
presenza etrusca, e del santuario di Reitia ad Este, i cui
bronzetti di Ercole potrebbero essere offerte “importate” o
provenienti da stranieri di passaggio, il culto di Ercole pare
essersi affermato anche a Gurina, dove un’iscrizione
attesterebbe un santuario a lui dedicato, e in diverse zone
del Veneto, da Lagole, dove è stato ritrovato un bronzetto
che lo raffigura, a Villa di Villa, da dove proviene una
laminetta con una figura umana in mezzo ad una mandria
di buoi. Questa figura ha al braccio una pelle che potrebbe
essere quella di leone che caratterizza le raffigurazioni di
Ercole.
Ercole
Il culto dell’eroe venne diffuso infatti da
commercianti e allevatori di cui, anche in virtù
dell’impresa compiuta uccidendo Gerione per
portarne le mandrie in Grecia, era il protettore.
Ma Ercole, in Italia più che in Grecia e quindi anche
presso gli antichi Veneti, è anche legato alle acque
termali: il mito di Ercole e Gerione fu così popolare
che Gerione sostituì una divinità locale nell’oracolo
che si trovava presso le fonti del santuario di S.
Pietro Montagnon.
Esci
Lamina da Villa di Villa; la figura
al centro ha una pelle al braccio
interpretata come pelle di leone,
attributo di Ercole. Immagine
tratta da Reperti votivi e santuari
dei paleoveneti nell’alto cenedese
di Giorgio Arnosti
Le divinità
Le pratiche di culto
In cosa consisteva il culto delle divinità degli antichi Veneti? In che modo
questo popolo esprimeva il proprio sentimento religioso? Che rapporto
avevano gli antichi Veneti con la morte?
Se le testimonianze archeologiche poco ci dicono sulle divinità, altrettanto
poco possono dirci sulle pratiche, se non quanto si può intuire da analogie
con altri popoli e dai reperti ritrovati nelle aree sacre.
Interpretatio
I culti degli
antichi Veneti
I culti funerari
Esci
I culti degli antichi Veneti
La prima scoperta di un culto veneto preromano
avvenne nel 1880 ad Este; da allora ad oggi i
materiali a nostra disposizione si sono ampliati, ma
comunque rimaniamo all’oscuro di tutto quanto
riguarda rituali, pratiche e quanto veniva trasmesso
oralmente.
Dai ritrovamenti fatti, per quanto riguarda la
religione possiamo dividere approssimativamente il
territorio degli antichi veneti in due aree, una
sudoccidentale, dominata da Este, in cui sembrano
prevalere divinità femminili e si presta molta
attenzione ai riti di passaggio, e un’area
nordorientale, dominata da Padova, in cui
prevalgono invece offerte e divinità maschili.
In comune c’è l’importanza del culto ai defunti e la
centralità dell’acqua. I luoghi di culto erano spesso
collocati presso fiumi, sorgenti e laghetti e l’acqua
veniva offerta alle divinità, qualche volta offrendo
subito dopo lo strumento con cui si era fatta l’offerta
(come nei santuari di Apono e Trumusiate).
La cosiddetta “Dea di Caldevigo”,
bronzetto di una donna in abiti da
cerimonia (V sec. a.C.). Immagine
tratta da I Veneti, di Loredana
Capuis, ed. Longanesi
I culti degli antichi Veneti
Ma l’acqua è anche divinità in sé, connessa alla trasmissione e al passaggio: in
questo senso va interpretata la collocazione dei santuari presso i fiumi.
Ogni luogo di culto ha poi una sua offerta tipica: le tavolette e gli stili a Este,
cavallini di bronzo e tazzine a Montegrotto, simpuli (una sorta di mestoli) a Lagole,
laminette raffiguranti mandrie a Villa di Villa, corna a Magrè. Le offerte in bronzo
sono quelle prevalenti e certo le più preziose.
I santuari erano collocati in genere all’esterno della struttura urbana, con funzione
probabilmente simile a quella dei santuari periferici delle città greche, che
segnavano il territorio della comunità; erano circondati da mura ma non avevano
strutture in materiali non deperibili.
Il greco Strabone attesta anche la presenza di boschi sacri presso i Veneti, presenza
confermata da un cippo conservato a Padova che ne indicava il confine.
Esci
Pratiche di culto
Interpretatio
Per i popoli antichi non era un problema
prestare omaggio a divinità altrui o in
templi stranieri: ecco una laminetta di
bronzo proveniente da Gurina in Cadore
che attesta una donazione agli Asi, gli
Dei dei germani. Immagine tratta da
AKEO. I tempi della scrittura, catalogo
della mostra.
Quando Greci e Romani venivano a contatto
con altre popolazioni che avevano divinità
differenti, cercavano innanzitutto di capire il
significato che queste divinità avevano presso
le altre popolazioni.
Come si traducono le parole straniere per
capirle, così Greci e Romani (ma anche i
Celti) “traducevano” le divinità straniere
dando loro il nome di una delle loro divinità
che più o meno vi corrispondeva per
caratteristiche o funzione. Questa traduzione
viene chiamata, usando una parola latina,
interpretatio; come tutte le traduzioni, non
sempre era perfetta, qualche volta sorgevano
degli equivoci, a volte uno stesso dio straniero
era tradotto in più modi o uno stesso dio
greco-romano traduceva più dei stranieri, ma
per i popoli antichi era importante “capirsi”.
Interpretatio
In ogni caso non c’era mai imposizione di un nome o di un culto greco-romano su un
culto locale.
Poiché molte popolazioni non usavano la scrittura per tramandare i propri usi e costumi
e la propria storia, accade che un culto sia a noi più noto con il nome greco e romano:
Strabone, storico greco, parla di due boschi sacri presso i Veneti, dedicati a due dee,
che però egli chiama con i nomi che i greci avevano dato a queste divinità, Era Argiva
e Artemide Etolica. Questo significa che i greci, notando il culto che i Veneti
prestavano alle due dee o alcune loro caratteristiche, avevano creduto di riconoscere
qualcosa di simile ad Era e ad Artemide e così erano soliti chiamare le divinità di quei
boschi. I Veneti invece non ci hanno lasciato tracce scritte relative a quei boschi, perciò
non possiamo sapere con certezza né dove fossero, né a quali dee vi si facesse
omaggio.
Esci
Pratiche di culto
I culti funerari
Grande importanza aveva presso i Veneti il
rituale funerario
Stele funeraria del VI secolo a.C. che
riporta una scena di commiato in stile
tipicamente venetico. Tra la donna e
l’uomo c’è un uccello che rappresenta
forse lo spirito del defunto. Immagine
tratta da AKEO. I tempi della scrittura,
catalogo della mostra.
Il defunto veniva cremato, il fuoco spento con
latte e vino e le ossa, non ancora bruciate del
tutto, riposte in un ossuario. Assieme a questo
era sepolto un corredo, che è scarno nelle
tombe più antiche (IX-VIII secolo a.C.) e si fa
in seguito più ricco e vario, a seconda anche
dello status sociale della persona deposta. Il
corredo consisteva in vesti, oggetti di uso
quotidiano o loro riproduzioni, ceramiche,
bronzetti, in qualche caso offerte di cibo;
talvolta gli oggetti erano sottoposti a danno
rituale, cioè rotti in sacrificio al defunto: il
caso più frequente è quello delle armi sepolte
con i guerrieri.
I culti funerari
Gli oggetti variano anche in base al sesso del defunto: spille, vesti, gioielli e strumenti
per la tessitura (che costituivano una specie di status symbol per le donne
aristocratiche) per le donne, armi, briglie e strumenti per lavorare il legno (altro status
symbol aristocratico: anche Ulisse, re di Itaca, aveva costruito da sé il proprio letto
nuziale) per gli uomini, vasellame e bronzetti per tutti e due.
La scoperta di tombe contenenti le ossa di una coppia o di una famiglia ha fatto
ipotizzare in un primo momento che alla morte del marito venisse cremata anche la
moglie e in qualche caso la famiglia: l’ipotesi in realtà è del tutto infondata e si sa
invece che i Veneti usavano deporre in una stessa tomba i coniugi, anche defunti in
momenti diversi, e che esistevano tombe di famiglia. In alcuni casi, il coniuge
sopravvissuto deponeva simbolicamente sé stesso assieme al defunto, mettendo nella
tomba un corredo adeguato al proprio sesso e posizione sociale.
Esci
Pratiche di culto
I luoghi di culto
Esci
Dove si trovano ora le aree sacre degli antichi Veneti? Come erano fatte e in
che modo si praticava il culto delle divinità al loro interno? Che cosa ci è
rimasto di tutto questo?
Da fonti storiche e archeologiche, sappiamo sempre di più sui luoghi sacri dei
Veneti antichi, che si trovano in tutta la regione e si rivelano sempre più ricchi.
Este
Cadore e zona
del Piave
L’oracolo di
Gerione
Altri luoghi di
culto
Este
Este, il cui nome antico è Ateste, era una delle
città principali dei Paleoveneti. Finora ad Este
sono state trovate diverse aree dedicate al
culto di divinità paleovenete.
Un’area molto importante è quella della
cosiddetta stipe di Baratella (dal nome del
proprietario del terreno in cui l’area è stata
ritrovata). Il santuario era collocato su un
rialzo artificiale vicino al ramo maggiore del
fiume Adige; fu frequentato dal VI secolo a.C.
al II-III secolo d.C. Dai reperti risulta che il
santuario era dedicato alla dea Pora Reitia,
che riceveva libagioni e offerte, sia di cibo che
di oggetti, veri o riproduzioni in miniatura,
anche da parte di stranieri che vi si trovavano
a passare. Di questo santuario si occupava un
collegio di sacerdoti, ma si suppone che il
ruolo delle donne al suo interno fosse
importante.
Tavoletta alfabetica in bronzo, con dedica a
Pora da parte di Ebfa Baitonia (V-IV secolo
a.C.). Immagine tratta da AKEO. I tempi
della scrittura, catalogo della mostra.
Este
In epoca preromana il santuario era uno spazio sacro delimitato da un recinto e forse
articolato in aree diverse per i vari momenti del culto; in età romana si cominciarono a
costruire strutture più durature.
Un altro luogo di culto si trovava vicino al fiume, in località Casale, presso il ramo
settentrionale dell’Adige. Qui è stata ritrovata quella che è forse la più antica
testimonianza della lingua venetica, il cosiddetto Kantharos di Lozzo, con dedica ad
Alkomno, la coppia di divinità che doveva essere titolare del santuario.
Anche in località Caldevigo si trovava un luogo di culto; qui sono state ritrovate lamine
differenti: alcune recano la figura di una donna, altre di un guerriero. Si è ritenuto che
nel tempio si svolgessero riti di passaggio all’età adulta che, viste le figure delle
lamine, dovevano essere individuali. Forse vi fu quindi un cambiamento nei riti di
passaggio: individuali all’epoca delle lamine di Caldevigo (V-IV secolo a.C.), collettivi
all’epoca delle raffigurazioni delle processioni di donne o guerrieri rinvenute nella
stipe di Baratella (III secolo a.C.). Riti di passaggio si svolgevano anche nel santuario
di Meggiaro.
Luoghi di culto
Stilo scrittorio dedicato a Reitia da parte di Fugia per conto di Fremaistna (IV-III secolo
a.C.). Immagine tratta da Akeo. I tempi della scrittura, catalogo della mostra
Esci
L’oracolo di Gerione
Ossa con iscrizioni, usate probabilmente
per la divinazione, da Asolo (TV). I secolo
a.C.. Immagine tratta da AKEO. I tempi
della scrittura, catalogo della mostra
L’oracolo di Gerione si trovava presso il
santuario del dio Apono a S. Pietro Montagnon.
Anche se il nome è lo stesso del mostro con tre
corpi sconfitto da Ercole nella sua decima fatica,
qui Gerione appare come una divinità oracolare
benefica, perciò è probabile che, sulla scia della
diffusione del culto di Ercole, abbia sostituito
una divinità locale, che magari aveva un nome
simile. L’oracolo era celebre anche in età
romana e il biografo latino Svetonio racconta
che anche Tiberio si recò a consultarlo.
La divinazione avveniva qui per mezzo di sortes,
tavolette di legno, corteccia o metallo oppure
ossa su cui era riportata un’iscrizione, o magari
solo le iniziali di una frase, che chi consultava
l’oracolo estraeva a caso ed ascoltava poi
l’interpretazione dei sacerdoti. Giovan Battista
Pighi, nel suo volume La poesia religiosa
romana, riporta diciassette iscrizioni che
provengono da quest’oracolo, note come “sortes
patavine”.
L’oracolo di Gerione
Presso gli antichi Veneti si praticava forse anche la divinazione tramite il volo degli
uccelli: negli Scolii (note) veronesi a Virgilio si legge che Padova fu fondata seguendo
un volo di uccelli sacri e diversi scrittori greci (Lico di Reggio, Teopompo) del IV-III
secolo a.C. raccontano che i Veneti praticavano un rito agrario che consisteva nel
lasciare pani e focacce di grano al limitare dei campi, come dono per le cornacchie, le
quali inviavano degli “ambasciatori” ad assaggiare le offerte. Se le gradivano, lo stormo
le avrebbe divorate e lasciati stare i campi, altrimenti li avrebbe devastati. Il racconto si
riferisce forse ad una forma di divinazione tramite il volo degli uccelli, che i Veneti
potrebbero aver appreso dagli Etruschi, presso i quali era sicuramente praticata.
Luoghi di culto
Esci
Cadore e zona del Piave
A Lagole di Calalzo c’era un santuario che, per
quantità di ritrovamenti, è oggi considerato
secondo solo a quello di Reitia ad Este. Il
santuario, dedicato a Trumusiate, doveva avere
valore comunitario, perché nelle dediche ricorre
spesso la parola teuta, comunità. Qui confluivano
pastori, fabbri e commercianti che percorrevano
il Piave, importante arteria commerciale. Anche
le popolazioni celtiche locali frequentavano il
santuario, come dimostrano alcuni oggetti di
chiara impronta celtica e i nomi di alcuni
offerenti.
A Valle di Cadore è stata ritrovata una situla, un
recipiente di metallo, con una dedica a “Louderai
kanei” cioè “fanciulla-figlia”: una divinità che
ricorda da vicino la dea greca Persefone-Core,
figlia di Demetra. Non si può escludere che il
mito greco di Core fosse noto e che fosse giunto
con i commercianti greci.
Questa laminetta di bronzo, rinvenuta
ad Auronzo di Cadore, è dedicata da
Ostis ai Maisterator, divinità non
meglio conosciute (II secolo a.C.-I
secolo d.C.). Immagine tratta da AKEO.
I tempi della scrittura, catalogo della
mostra.
Cadore e zona del Piave
A Villa di Villa (Cordignano di Vittorio Veneto) dopo una frana sul Castelir fu scoperto
un deposito votivo di oggetti che vanno dal IV secolo a.C. al IV d.C., tra i quali
spiccano alcune laminette con mandrie di bovini con una figura maschile al centro, con
tunica corta, calzari alti, elmo o cappuccio e portatrice di lancia, forse una divinità
protettrice e guerriera. In un caso, il dio ha una pelle di leone al braccio come Ercole.
Da Montebelluna provengono invece dei dischi con un’immagine femminile, con
gonna, grembiule, un manto sulla testa, stivali e una chiave di tipo celtico in mano. In
alcuni dischi è circondata da motivi vegetali, ma in uno ha accanto un animale terrestre,
forse un lupo, e un uccello dalle lunghe zampe. Si ritiene quindi che la figura
rappresentasse una dea che “apre le porte” dei regni della natura.
Uno dei dischi di
Montebelluna.
Immagine tratta
da I Veneti, di
Loredana Capuis,
Ed. Longanesi
Luoghi di culto
Esci
Altri luoghi di culto
Corna con iscrizioni, provenienti dal
santuario di Magrè (VI). III-II secolo a.C.
Immagine tratta da AKEO. I tempi della
scrittura, catalogo della mostra
Oltre ad Este e alla zona del Piave e del
Cadore, anche in altre zone del Veneto sono
state trovate aree di culto o depositi di
oggetti offerti alle divinità.
Sorprende ancora che nel tessuto urbano di
Padova non sia stato ritrovato alcun
santuario; lo storico latino Tito Livio parla di
un tempio a Giunone Patavina (nome
romano di una dea veneta) in cui i patavini
avrebbero dedicato il bottino della guerra
contro lo spartano Cleonimo, ma non sono
state ancora rinvenute tracce riconducibili a
questo santuario. I ritrovamenti di Padova
sono piuttosto da riferire a depositi relativi a
culti privati, come riproduzioni in miniatura
di vasi da fuoco o da mensa e di strumenti
per il fuoco, forse legati a riti di fondazione
della casa. Da Padova dipendevano forse i
grandi santuari territoriali anche posti a
distanza, come quello di Montegrotto.
Altri luoghi di culto
A Vicenza si sono trovate invece laminette di bronzo molto simili nello stile a quelle
di Este: dal momento che anche qui si vedono raffigurate processioni di guerrieri e
figure femminili, si è pensato che come ad Este il santuario fosse luogo di riti di
passaggio. L’influenza celtica doveva essere abbastanza sentita in queste zone, perché
i guerrieri raffigurati hanno spesso in mano uno scudo tondo di tipo celtico.
Un’altra zona abbastanza ricca di ritrovamenti è quella dell’alto vicentino, dove i
Veneti si fusero probabilmente con i Reti, una popolazione insediata nell’attuale
Trentino-Alto Adige. A Trissino sono stati infatti rinvenute ossa di maiale (metacarpi,
metatarsi e falangi) con delle iscrizioni, usate probabilmente per la divinazione. A
Magrè invece è stato portato alla luce uno spiazzo di roccia livellata con lastre di
calcare non locale, che hanno fatto pensare ad un’ara sacrificale. Qui sono state
rinvenute corna di cervo con iscrizioni che ne attesterebbero l’offerta ad una divinità,
forse Reitia o una divinità analoga, data la ricorrenza del nome Reit- o Rit-
Luoghi di culto
Esci
Altre popolazioni
Esci
Quali erano i rapporti tra Veneti antichi e le altre popolazioni vicine? In che modo questi
rapporti si rifletterono sui rispettivi culti? Vi fu mai imposizione della propria religione
da parte degli uni o delle altre? Nelle terre dei Veneti antichi esistevano culti stranieri?
Questi popoli, politeisti, non imposero mai la propria religione agli altri, ma riuscirono a
realizzare una convivenza pacifica tra i culti propri e quelli altrui.
I Greci
I Romani
Gli Etruschi
I Celti
Gli Etruschi
Bronzetto etrusco di
Ercole, da Contarina
(RO), V sec. a.C..
Immagine tratta da “Il
dio degli italiani” in
Focus n. 132, ottobre
2003
La zona abitata dagli antichi Veneti confinava a sud con i
territori dell’Etruria Padana.
Tutte le popolazioni dell’Italia settentrionale, antichi Veneti
compresi, appresero l’alfabeto dagli Etruschi; anche presso gli
Etruschi l’insegnamento della scrittura era prerogativa
soprattutto dei sacerdoti e probabilmente la scrittura aveva un
valore sacro se, secoli dopo la conquista dell’Etruria, i Romani
chiamavano “sacra” la lingua etrusca e ancora la usavano in
certi rituali. Ma per nessuna città etrusca abbiamo reperti
relativi all’insegnamento della scrittura quanti ne abbiamo per
il santuario di Este.
Nella Pianura Padana, antichi Veneti ed Etruschi si
mescolavano spesso; Adria in particolare fu città mista e
importante centro di commercio. Da qui provengono alcune
iscrizioni, non sempre di facile interpretazione, con nomi di
Dei: uno è Tinia, il dio che i Romani identificarono con Giove,
e altri sono i Kulsnuteras, letteralmente “guardiani delle
porte”, di cui sappiamo poco altro.
Gli Etruschi
Da Feltre viene invece un’iscrizione retica su calcare, giunta in frammenti, che
sembra parlare di “tre dei: Tinia. Ti[…] Silnane”. Il nome del secondo dio non si
legge, e il terzo è Selvans, etrusco corrispondente del latino Silvano. Secondo alcuni
archeologi, la prima parola non significa “tre dei”, ma è una parola unica che
potrebbe far riferimento ad un dio triplice, analogo a Trumusiate, venerato poco
distante.
Probabilmente dagli Etruschi giunse ai Veneti il culto di Ercole, che l’aristocrazia
etrusca, così imitata dai Veneti, considerava quasi un modello, perché con le sue forze
e il favore divino aveva conquistato un posto tra gli dei.
Comune a Veneti ed Etruschi era la pratica della divinazione; pare che anche i Veneti
traessero presagi dal volo degli uccelli, ma non sappiamo se appresero la pratica dagli
Etruschi o facesse già parte della loro cultura.
Altre popolazioni
Esci
I Greci
Frammenti di ceramica attica rinvenuti ad Adria
(V secolo a.C.) Immagine tratta da I Veneti, di
Loredana Capuis, Ed. Longanesi
Gli Antichi Veneti vennero presto in contatto
con i Greci e la loro cultura, non solo
attraverso gli Etruschi, ma anche
direttamente: si sa ad esempio che i
Siracusani si rifornivano di cavalli dai
Veneti, noti sin da Omero per avere i cavalli
migliori. Gli autori greci sono i più ricchi di
informazioni relative agli antichi Veneti,
anche se le fonti letterarie vanno sempre
considerate con cautela e alla luce dei
ritrovamenti effettivi.
Nelle terre dei Veneti i Greci non si
fermarono mai stabilmente, in modo tale da
affiancare i propri culti a quelli locali, ma
culti di origine greca arrivarono tra i veneti
tramite gli etruschi prima e i locali poi.
Qualche studioso ha ipotizzato persino che il
culto a “Louderai kanei”, la “fanciullafiglia” di Valle di Cadore sia legato
direttamente a quello della greca PersefoneCore, il cui mito sarebbe già noto in terra
veneta.
I Greci
All’ambito greco-italico appartiene il culto di Ercole, diffuso tra i Veneti
probabilmente attraverso gli Etruschi; il mito di Ercole piacque tanto che il nome di
Gerione, uno dei mostri sconfitti da Ercole nelle sue fatiche, andò a sovrapporsi a
quello della divinità locale dell’oracolo che si trovava presso il santuario di S. Pietro
Montagnon (Montegrotto).
Come altre popolazioni in contatto con i Veneti, anche i Greci onoravano le divinità
locali quando si trovavano a passare per i loro santuari. Oggetti di fabbricazione
greca sono stati trovati nelle aree sacre: un bronzetto di Eracle a riposo, ad esempio,
è stato rinvenuto nel santuario di Pora Reitia a Este. Questi reperti potrebbero però
essere stati offerti da ricchi personaggi locali che intendevano donare oggetti
particolarmente preziosi come quelli di importazione. Anche tra i corredi funebri
delle necropoli venete vengono talvolta rinvenuti frammenti di ceramiche attiche che
parevano essere particolarmente apprezzate.
Altre popolazioni
Esci
I Celti
Bronzetto
di
guerriero
rinvenuto a Lagole, con
dedica a Sainate Trumusiate
da parte di Broijokos (nome
celtico) . IV secolo a.C.
Immagine tratta da AKEO. I
tempi
della
scrittura,
catalogo della mostra
I Celti occupavano del Veneto la zona più occidentale e
settentrionale. Nonostante spesso Veneti e Celti fossero
in guerra tra loro, al punto che i primi si allearono con i
Romani in funzione anticeltica, questo non impediva
loro di intrattenere, in tempo di pace, anche relazioni
amichevoli.
In realtà le due popolazioni finirono quasi per fondersi e
sicuramente si influenzarono a vicenda, soprattutto nelle
zone di confine, a tal punto che, ancora fino a pochi
decenni fa, c’era chi attribuiva ai Veneti origini celtiche,
sulla scia di Giulio Cesare che chiamò veneti una
popolazione gallica stanziata nell’attuale Bretagna.
Dal punto di vista della religione vi furono culti comuni
alle due popolazioni, o meglio, le popolazioni di un
certo luogo, venete o celtiche che fossero, prestavano
omaggio alle divinità locali. Così oggetti di influsso o di
fabbricazione celtica sono stati rinvenuti nei santuari
veneti, in qualche caso con inciso il nome di un
dedicante di chiara origine celtica.
I Celti
In particolare il santuario di Lagole di Calalzo sembra frequentato da popolazioni
celtiche: molti bronzetti lì rinvenuti sono guerrieri con armamento celtico, dal tipico
elmo a bottone come l’esempio qui accanto.
Oggetti di fattura celtica sono stati ritrovati anche nei corredi funerari, in particolare
armi, ma anche bracciali.
Una chiave di tipo celtico, come celtico pare essere il torques che porta al collo, è quella
che reca in mano la dea raffigurata sui dischi di Montebelluna.
A Verona, città che pare abbia origine retica, il culto romano dedicato a tre Iunones
potrebbe indicare un culto precedente a tre dee madri, che risulta essere tipico dell’area
celtica.
Altre popolazioni
Esci
I Romani
I Veneti, spesso in guerra con i vicini celti, finirono per
allearsi con i Romani. Anche se lentamente assunsero i
costumi di questi ultimi, non vi fu un’imposizione né
culturale, né linguistica, né religiosa, ma una lenta
fusione naturale. I Romani infatti erano soliti prestare
omaggio alle divinità locali, evocandole espressamente
prima di una battaglia perché fossero loro favorevoli.
Dalla diffusione di un particolare culto romano in una
zona di espansione, come potrebbe essere il territorio
dei Veneti, si possono trarre alcune deduzioni su quali
dovessero essere i culti precedenti, vista la pratica
romana dell’interpretatio. A Verona fu molto diffuso il
culto delle Iunones, divinità femminili appartenenti al
più antico pantheon romano, che le considerava
protettrici delle donne (ogni donna aveva la sua Iuno,
come ogni uomo aveva il suo Genio), e che qui si
sovrappose a quello delle divinità celtiche e
probabilmente anche venete delle matrone: ne è prova il
fatto che, come le dee madri celtiche sono raffigurate in
numero di tre, così anche alle Iunones divenne usanza
offrire tre immagini.
Stele funeraria del I secolo a.C., con
scritta latina, ma stile venetico,
soprattutto nell’abbigliamento della
donna al centro. Immagine tratta da
AKEO. I tempi della scrittura,
catalogo della mostra.
I Romani
A Padova esisteva il culto di Iuno Patavina, nome romano di una dea locale
protettrice della città; lo storico romano Tito Livio racconta che a lei gli abitanti di
Padova offrirono il bottino conquistato sconfiggendo l’esercito dello spartano
Cleonimo.
Nelle regioni dei Veneti si diffuse anche il culto delle Ninfe e quello di Nettuno (che
per i Romani era in origine un dio fluviale più che marino), in chiara relazione con
l’importanza che questo popolo dava alle acque. I romani che si stabilivano nella
regione, portavano anche i propri culti: per i secoli d.C. sono attestati templi e culti di
chiara matrice romana, come le dediche a Iuppiter Optimus Maximus a Verona, e
orientale : sia a Padova che a Verona alcune epigrafi ricordano l’offerta a Iside di una
statua del figlio di lei, Harpocrates, il dio greco-egizio del silenzio.
Altre popolazioni
Esci
Gli DEI degli antichi VENETI
Esposizione presentata alla festa dei Veneti – Cittadella
03/09/2006
A cura della FEDERAZIONE PAGANA
Progetto e realizzazione: Manuela Simeoni
In collaborazione con:
progetto del Giorno Pagano Europeo della Memoria
Bibliografia:
AKEO. I tempi della scrittura, catalogo della mostra di
Montebelluna, 2002
Loredana Capuis, I Veneti, Milano, Longanesi, 2003
Il dio degli Italiani su “Focus” n. 132, ottobre 2003
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Gli Dèi dei Veneti - Giorno Pagano Europeo della Memoria