LA BELLEZZA
DELL’ALIMENTAZIONE
MARIA BENEDETTA BORINI
Preside I.I.S. “Artusi” Folimpopoli
Il presente è il tempo reale
del nostro esistere,
l’unica cosa che davvero conta,
il luogo in cui si gioca
la nostra esistenza;
eppure sarebbe privo di forza
e totalmente inconsistente
senza l’arricchimento
che ne danno le dimensioni
del passato e del futuro.
Il passato esiste nel presente
in quanto ricordo,
nello specifico anche sotto forma
di memoria dei gusti e dei sapori
di cui si è fatto esperienza
nel corso della propria storia
umana e professionale;
tale ricordo può essere fertile
sia nel caso di episodi positivi,
sia di episodi negativi.
Il futuro, invece,
in quanto progetto e percezione
di un orizzonte
in cui sia possibile
costruire il proprio percorso
e l’espressione piena di sé,
è fondamentalmente
promessa di benessere.
Noi crediamo che il “bellessere”
si realizzi nel presente,
nel cercare
la bellezza e il benessere a
partire dall’attimo
che stiamo vivendo.
In questo senso
non c’è differenza
tra chi mangia e chi cucina,
perché il cibo è sempre un incontro
tra sapori, colori e profumi
che si mescolano in un’alchimia
che sempre ci è, nello stesso tempo,
conosciuta e straniera,
e ci costringe a fare i conti
con il passato e con il futuro
come scoperta.
Assaporare con trasporto
l’attimo in cui si cucina
o si gusta un piatto
è la realizzazione massima
di tutto il benessere
e il bellessere possibile.
Nel campo del gusto,
l’atteggiamento migliore
con cui ci si avvicina
alle dimensioni del passato e del futuro
è quella di mettere al centro
l’idea del dialogo, della relazione
e soprattutto dell’empatia.
Non si può pensare all’arte gastronomica
fuori dal rapporto produzione-offerta-ricezione
e il modo migliore per costruire il bellessere
è senza dubbio la capacità di differenziare
o, ancor meglio, di personalizzare l’offerta
con inventiva, creatività
e perché no ricerca di suggestioni anche estetiche
Oggigiorno la cucina rappresenta
un interessante punto d’incontro
tra passato e futuro, perché chi cucina,
soprattutto per passione,
tende a valorizzare
la novità e la creatività,
mentre chi mangia, molto spesso,
pur apprezzando
una cucina innovativa,
resta legato al valore tradizionale.
Una vera fusione tra passato e futuro
può essere
la “destrutturazione” del piatto,
cioè il mantenimento
delle tecniche di lavorazione
e cotture (v. cucina molecolare)
unite a nuovi modi di presentazione
caratterizzati da creatività e innovazione
con prodotti che appartengono al passato
ma che permangono nel presente.
È chiaro, per esempio, che chi mangia
cerca sapori diversi seguendo numerose variabili,
come i momenti e gli stati d’animo
che si stanno attraversando:
molti ragazzi sostengono
che quando escono a cena fuori
desiderano ad esempio cibi diversi,
più tradizionali o più innovativi,
a seconda del proprio umore e della stagione della vita
che si sta vivendo.
Questo ci consente di affermare che il bellessere
è un concetto molto relativo
e che chi si occupa di crearlo per sé
e in particolare per il cliente
deve tenere conto di molti fattori.
A volte, per esempio,
è opportuno sollecitare qualcuno
a sperimentare nuovi sapori,
arricchendone l’esperienza
e spostandolo
verso un equilibrio migliore;
altre volte, invece,
si rischia di essere invasivi
e rompere il feeling con lui.
Il “bellessere” si realizza
nel coraggio di scegliere
di vivere la propria vita
con creatività e giovinezza,
affondando i piedi in un passato
fatto di etica, sicurezza e tradizione,
ma tendendo le mani al futuro
che è sempre esplorazione e novità,
pluralità di gusti e tecniche,
capacità di costruire un benessere soggettivo,
sviluppando la cittadinanza d’impresa,
cioè l’appartenenza
al settore eno-gastronomico.
Esiste arte diversa da quella culinaria
che sintetizzi
con maggiore armonia tutto ciò?
Il cibo contiene
un messaggio primitivo e potentissimo
legato alla sopravvivenza
e quindi al rapporto con la nostra parte più antica.
Dobbiamo riconquistare un rapporto di sincerità
e rispetto con la natura e il nostro corpo
conoscendo i prodotti con cui lo nutriamo,
preparandoli con attenzione e scrupolo
perché ogni volta che ci prendiamo cura di noi stessi
creiamo un momento di grande armonia con il creato
a vantaggio della salute nostra e di chi degusta.
Gli stili che si acquisiscono,
con l’attenzione, l’esperienza,
la chiarezza espressiva,
la capacità di adeguare
i comportamenti ai contesti,
sono dimostrati dalla storia
della zuppa inglese
(di cui vi parlerò).
Se questo è lo scenario
del bellessere dell’alimentazione,
cioè di una promessa futura
di bellezza dell’alimentazione,
occorre preparare i tecnici
responsabili di diffonderla, di produrla,
di spiegarla, di orientarla nei contesti
dove l’attenzione alla tipicità dei prodotti,
la stagionalità, il rapporto con l’impresa,
deve trovare un posto di grande qualità,
professionalità e competenza
nel mondo del lavoro.
Sono una Preside
e ritengo che la scuola
possa fare molto
per rispondere
a queste esigenze.
Occorre però passare
– come dice Enzo Spaltro –
Dalla “buona scuola”
alla “bella scuola”
alla “scuola estetica”.
controllata
centrale
tradizionale
La buona scuola
unica
prepara
buoni
professionisti
eticamente a
posto con
sanzioni e
norme
continuità nel
passaggio dalle
culture precedenti
alle seguenti
prepara buoni
cittadini
rispetta le
regole del
gioco
La buona scuola
La bella scuola
innovativa
autonoma
locale
periferica
La bella scuola
crea nuovi
“liberi”
professionisti
esteticamente
impostata con
premi e
promesse
“promette”
continuamente
inventa nuove
regole del gioco
La bella scuola,
impostata sull’apprendimento della parità
e della ricerca del benessere,
richiede una teoria
della negoziazione didattica
su cui si basa l’apprendimento,
ed inoltre la declinazione della bellezza
in campo collettivo
con l’apprendimento delle misure
e delle costruzioni degli stili
e dei climi organizzativi e costituzionali.
Fino alla capacità
di progettazione
e di organizzazione del futuro,
incluso il problema
della motivazione
e dell’autostima
dei soggetti-alunni
e dei soggetti-docenti.
La scuola estetica
costruisce
occasione
di crescita
collettiva
insegna come
essere classe
dirigente
innovativa
non solo
al gusto
soggettivo
creativa
induce alla
conoscenza
alla ricerca
e non statica
La scuola estetica
molte realtà
della parità
leadership
multipla
gruppo e
potere a
somma
variabile
La scuola estetica
membership
e appartenenza
centrata
sull’apprendimento
umanizzazione
del sapere
successo ottenuto
col benessere
soggettivo
È una scuola
che sta dando buoni risultati
col superamento
della mentalità unitaria.
Una scuola alla ricerca e non statica,
ma in divenire, che non si accontenta
mai, perché allarga
gli orizzonti al dialogo,
al confronto, alla conoscenza allargata,
più orientata ai colori
che non al monocromatismo.
Una scuola che prepara
futuri operatori-tecnici
come conoscitori delle regole chimiche,
dei principi dell’alimentazione,
della specificità dei prodotti
e delle dimensioni organolettiche
dei prodotti usati,
o ancora che si preoccupa
degli aspetti nutrizionali
per un benessere alimentare diffuso,
necessita di futuri protagonisti
che sappiano costruire
la bellezza alimentare consapevole, responsabile,
radicata nella tradizione ma proiettata
al cambiamento e quindi al futuro.
In questo senso
occorre puntare
ad un nuovo ruolo
dell’insegnante.
Gli insegnanti
sono pubblici dipendenti,
non pubblici ufficiali sacralizzati.
Non sono “unti” dal loro ruolo,
sono soggetti titolari
di un loro progetto
di benessere parallelo
al progetto di benessere
dei soggetti studenti.
Ogni progetto
è una dimensione futura,
sabbatica ed estetica,
fatta di premi e di promesse.
Questa è la soluzione
“di tipo nuovo e diverso”:
formare gli insegnanti
all’invenzione del benessere
proprio e altrui,
con mentalità nuova, aperta,
centrata su relazioni di parità
e non di dominio.
La bellezza,non la bontà,
dell’insegnare
è quella che conta.
“Le emozioni e le relazioni
hanno la stessa importanza
dei contenuti”
Cesare Scurati
E’ importante considerare
le emozioni
come energia psichica,
come oggetti d’amore
e non di produzione;
qualità e non quantità dell’imparare:
immaginazione, creatività,
spontaneità, espressività
non possono essere imposte
e neppure insegnate.
Il senso di appartenenza
è una di quelle cose
(processi, non contenuti)
che vanno imparate
nella scuola.
Forse non è insegnabile,
ma solo imparabile.
Se la scuola
è il luogo dell’apprendere,
essa è anche il luogo
dell’appartenenza,
del sentimento di pluralità,
dove l’imparare
viene garantito dal “patto”
e non dalla sacralità.
Chiunque impara lo fa
a modo suo e
col suo modo
di apprendere.
Chi impara è sempre solo
e ha bisogno di un patto,
di un’appartenenza,
di compagni
che lo proteggano
nel suo ’apprendere’ .
Negli ultimi anni
le condizioni di lavoro
sono molto migliorate
ed hanno sviluppato
la cittadinanza d’impresa,
cioè l’appartenenza all’impresa;
invece questa appartenenza
stenta a installarsi
nel mondo scolastico.
ZUPPA ESTENSE
O INGLESE
Svariate e opinabilissime le interpretazioni sull’origine del nome “ zuppa inglese” di certo è da sfatare la
leggenda che ne ribadisce l’origine straniera.
Molte città ne rivendicano l’invenzione, forse a causa delle numerose varianti in cui oggi viene proposta.
C’è chi sostiene che la sua storia abbia inizio nel sedicesimo secolo, alla fastosa corte dei Duchi d’Este
che seppero regalare alla città di Ferrara un periodo di intenso fervore culturale e artistico. La diplomazia
faceva la sua parte e frequenti erano i rapporti con le più nobili famiglie italiane ed europee in particolare
con la casa reale inglese. Fu proprio uno dei diplomatici estensi che ritornato da un lungo soggiorno a
Londra descrisse un favoloso dolce che lo aveva deliziato “il trifle “. Un dolce anglosassone della
tradizione popolare composto da una base di soffice pasta lievitata inzuppata di vino dolce e arricchita
con panna, confettura e amaretti.
I cuochi della corte ferrarese provarono a riprodurre la ricetta ma trovandosi nell’impossibilità di reperire
gli ingredienti originali finirono per rielaborarla con materie prime a loro disposizione.
La pasta lievitata venne sostituita con la bracciatella una ciambella morbida tipica della cucina emiliana
che si usava gustare con un vino dolce utilizzato poi per la nuova preparazione e alla panna
subentrarono due diversi tipi di creme una pasticcera e una al cioccolato.
Tutto ciò ha dato vita a quella delicata preparazione conosciuta col nome di zuppa inglese.
In Toscana si è convinti che la zuppa inglese sia un dolce preparato dalle signore in servizio a casa dei
nobili inglesi residenti a Firenze e da questo ne fanno derivare l’appellativo “ inglese”.
Secondo la tradizione gastronomica toscana, nella preparazione di questo dolce, il vino venne
sostituito dall’ alchermes un liquore presente sin dal 1233, e prodotto dalle suore dell’Ordine di Santa
Maria dei Servi di Firenze che lo impiegavano come “elisir di lunga vita”. Tale liquore fu particolarmente
apprezzato e diffuso anche in Francia dalla corte De Medici.
Nella tradizione romagnola, la zuppa inglese, rimane un dolce tipicamente famigliare con numerose
varianti, sempre presente un tempo nei pranzi importanti.
Altrettanto nota nel libro dell’Artusi “ La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene” è la ricetta n. 675
torte e dolci al cucchiaio, integrata dalla ricetta n. 685 torte e dolci al cucchiaio che Artusi pone quale
alternativa alla precedente ricorrendo a pan di Spagna o savoiardi leggermente bagnati nel rosolio, ma
anche pezzettini di candito tagliati sottilissimi.
Le varianti sono diverse e il cioccolato non c’è in tutte, una vuole le mandorle, una i pinoli con le ciliegie
sotto spirito. Il liquore rosso è a bassa gradazione e molto aromatico, generalmente l’Alchermes o il
Rosolio, ma una antica ricetta prevede invece il cognac. Altro tipo di liquore poteva essere lo Cherry o
l’Apricot.
Questo dolce, sempre presente nella ristorazione, sta attualmente vivendo una sua riscoperta grazie
anche a rielaborazioni che lo presentano in una versione più moderna e rispondente ai gusti attuali.
freschezza
stagionalità
aziende di nicchia
(ravigiolo,
formaggio di fossa)
Prodotti di qualità
e tipicità
vini
pesce adriatico
biologici
(marmellate)
celiachia
antitumorale
Formazione
studi pesce adriatico
caffè
università del caffè
Illy
Orogel fiere
Parmigiano e
Grana Padano
Chef stellati
Scuola
correlata alle aziende
lavorare nella scuola per
preparare coloro
che potranno presentare
il prodotto
produttori
vitivinicoli
DOP e
IGP
territorio
e olio
qualità ridotta
dal numero di ore ridotto
Criticità
economia
L’Italia ha molti prodotti di buona qualità,
ma occorre presentarli
con senso di appartenenza all’italianità,
con le nostre caratteristiche
di giovialità peculiari
e non copiando dagli altri paesi,
perchè l’estero cerca il nostro prodotto
e la nostra tradizione.
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