FONTI
Partenio di Nicea (sec. I a.C.) Amori infelici, XV, Dafne
Hyginus ( sec. I o II d.C.) Fabulae, 203, Dafne
Luciano (120-180 d.C.) Dialoghi, 15 (17), Ermete e Apollo
Luciano (120-180 d.C.) Dialoghi, 16 (18), Era e Latona
Luciano (120-180 d.C.) Dialoghi, 26, 8, Storia vera
Pausania (160-177 d.C.) Graeciae Descriptio, VIII, 20, 1-4
sec. I a.C.
Partenio di Nicea, Amori infelici, XV
Intorno a Dafne, figlia di Amicla, si raccontano questi
fatti. Lei non andava mai in città né si accompagnava con
le altre vergini ma, equipaggiata di tutto punto, con molti
cani partecipava a cacce in Laconia, spingendosi fino agli
alti monti del Peloponneso: per questo motivo era molto
cara ad Artemide che le consentiva di avere sempre la
mira giusta.
S'invaghì di lei, mentre vagava nel territorio di Elis,
Leucippo, figlio di Enomao, e senza ricorrere a qualche
altro espediente, si abbigliò con vesti femminili e, simile a
una fanciulla, andava a caccia con lei. E siccome le
piaceva, Dafne non lo lasciava mai, gli stava sempre
attorno e lo abbracciava in continuazione.
Apollo, pure lui infiammato dal desiderio per la fanciulla, era
preso dall'ira e dall'invidia per la familiarità di Leucippo con
Dafne e insinuò allora nella mente della ragazza l'idea di
andare con le altre vergini a lavarsi alla fonte. Giunte lì, si
svestirono, e vedendo che Leucippo non voleva farlo, gli
strapparono di dosso le vesti: resesi allora conto dell'inganno
e di quello che lui ordiva, scagliarono tutte insieme le aste
contro di lui.
Leucippo però per volere degli dei scomparve e Dafne,
vedendo Apollo che avanzava verso di lei, fuggì di corsa; e
siccome il dio la inseguiva, pregò Zeus di strapparla dagli
esseri umani, e così dicono che sia diventata quell'albero che
da lei ha preso il nome di Dafne.
sec. I o II d.C.,
Hyginus, Fabulae, 203
Apollo stava inseguendo la
fanciulla Dafne, figlia del fiume
Peneo; ella chiese soccorso alla
Terra che la accolse in sé e la
trasformò nell'albero dell'alloro,
dal quale allora Apollo strappò
un ramo e se ne coronò il capo.
Giovanni Battista Tiepolo
Luciano (120-180 d.C.),
Dialoghi, 15 (17)
Ermete e Apollo
[…]
Apollo : Ma anche in altro modo ho
sfortuna in amore: pensa ai due che ho
amato di più, a Dafne e a Giacinto. Dafne
mi odiò a tal punto, che preferì diventare
un albero piuttosto che darsi a me;
Giacinto lo perdetti ucciso dal disco ed ora
invece di loro ho soltanto delle corone.
Apollo e Giacinto, dipinto a olio di
Méry-Joseph Blondel.
Luciano, Dialoghi, 16 (18)
Era e Latona
[...]
Era : […]
In realtà egli stesso, il Profeta, ignorava che avrebbe
ucciso il suo amato e non previde che Dafne lo avrebbe
sfuggito, nonostante la sua bellezza e la sua chioma.
Luciano, Storia vera
[…] Allora, attraversato il fiume (il fiume di vino) dove era
guadabile, scoprimmo la natura prodigiosa delle viti: le
parti che uscivano dal terreno, veri e propri fusti, erano
floride e massicce, le parti superiori erano donne, perfette
in tutto dai fianchi in su, così come da noi dipingono Dafne
nell’atto di trasformarsi in alloro quando è raggiunta da
Apollo […].
160-177 d.C., Pausania, Graeciae Descriptio, VIII, 20, 1-4
Il Ladone è tra tutti i fiumi della Grecia (Arcadia) quello che ha le acque
più belle, ed è anche famoso per Dafne e per ciò che i poeti hanno detto di
lei. Non voglio citare quello che i Siriani, che abitano le rive del fiume
Oronte, raccontano di Dafne, ma quello che dicono gli Arcadi e gli Elei.
Enomao, re di Pisa (città dell’Elide, Peloponneso), aveva un figlio di nome
Leucippo, che era innamorato di Dafne. Egli disperava di averla come
moglie a causa dell’avversione che nei confronti di tutti gli uomini. Ecco il
trucco che architettò. Si lasciò crescere i capelli per consacrarli al fiume
Alfeo (Peloponneso); li intrecciò come se fosse una ragazza, e dopo aver
indossato abiti da donna, si recò da Dafne, le disse che era la figlia del re
Enomao e che voleva andare a caccia con lei.
Facendosi quindi passare per una fanciulla e dimostrando di essere
di gran lunga superiore a tutte le altre, sia per nascita e per l’abilità
nella caccia, e in più non trascurando nulla che potesse far piacere a
Dafne, ben presto inspirò in lei la più calda amicizia. A questo punto,
coloro che hanno celebrato l'amore di Apollo per Dafne dicono che
questo dio, invidioso della felicità di Leucippo, abbia voluto
tendergli un tranello. Il dio fece in modo che Dafne e le altre ragazze
che erano con lei scendessero al fiume Ladone per nuotare, e
nonostante Leucippo non volesse, lo spogliarono, e quindi,
riconoscendo il suo sesso, lo trafissero con frecce e pugnali e lo
uccisero. Così raccontano questa storia.
Pan e la ninfa Siringa
III sec. d.C.
LONGO SOFISTA, Le avventure pastorali
di Dafni e Cloe, II, 34
«Questa siringa anticamente non era uno
strumento musicale, ma una splendida
fanciulla dalla voce melodiosa: pascolava le
capre, giocava con le Ninfe, cantava come ora
quello strumento suona.
Un giorno, mentre pascolava, giocava e
cantava, Pan le si avvicinò e tentò di
convincerla a cedere alle sue voglie: in cambio
le promise che tutte le sue capre avrebbero
partorito coppie di gemelli.
Lei si prese gioco del suo amore, e gli rispose che mai
avrebbe accettato come amante uno che non era né
tutto caprone né tutto uomo.
Allora Pan prese ad inseguirla con l’intenzione di usare
la forza, ma Siringa sfuggì al dio e alla sua violenza.
Alla fine, stanca di correre, si nascose in un canneto e
sparì nella palude circostante. Furibondo, Pan tagliò le
canne, e, non riuscendo a trovare la ragazza, resosi conto
della sciagura che aveva procurato, costruì lo strumento
musicale unendo con la cera canne di lunghezza diversa,
così come disuguale era stato tra di loro l’amore: e
quello che un tempo era una bella fanciulla, adesso è
una siringa melodiosa».
Da sempre l'albero, considerato manifestazione della presenza divina, è stato oggetto di culto.
Esso, con le radici nel sottosuolo ed i rami protesi verso il cielo, sembra mediare fra i tre mondi, il
divino, il terreno e l'infernale.
Fra le piante e gli uomini vi è sempre stato uno stretto legame: nei secoli tutti gli aspetti della vita
umana sono stati descritti con metafore, locuzioni e proverbi tratti dal mondo vegetale.
L'uomo nasce da un ceppo. Se è robusto, si dice che è ben piantato. Se è buono, in lui allignano ovvero mettono radici e fioriscono - le virtú, mentre egli si impegna a sradicare i vizi.
Questo legame tra l'uomo e l'albero è testimoniato dai miti che descrivono la metamorfosi
d'esseri umani in piante.
Le piante a volte avevano origine da un essere semidivino di cui la specie portava il nome e che si
presumeva averle dato vita; il più delle volte era una ninfa che aveva subito una metamorfosi.
Queste storie erano correnti tra gli antichi e Ovidio ha dedicato loro tutta l’opera Le metamorfosi. Egli
attinse ad un ricco sostrato tradizionale che rifletteva credenze molto arcaiche.
Di solito la metamorfosi rappresentava l’unico mezzo per sfuggire a un rischio incombente: inseguita da un
dio e sul punto di subire violenza, la ninfa invocava il fiume suo padre, che ne modificava l’aspetto;
ingannando l’attesa dell’amante, essa perdeva all’istante l’apparenza carnale e si ritrovava al riparo da
qualsiasi concupiscenza.
Non tutte le ninfe si trasformavano in qualsiasi specie. Esisteva un rapporto preciso tra l’albero da una parte
e la ninfa e suo padre dall’altra, come se appartenessero alla stessa famiglia, come se la ninfa stessa fosse già
in partenza l’albero che sarebbe diventata, così da chiedersi se l’essere di carne non fosse solo l’incarnazione
provvisoria in forma umana dell’anima dell’albero.
L’identificazione di certi alberi con ninfe, i rapporti di questi con un dio, le condizioni delle loro
metamorfosi consentono di capire i pregi e le caratteristiche che gli antichi attribuivano a quelle
specie.
Le metamorfosi corrispondono ad una lettura e ad una interpretazione della natura nell’ambito
della quale tutto ha un preciso significato e che definisce il rapporto dell’uomo con ogni specie.
La più celebre delle metamorfosi vegetali è quella che fece di Dafne il lauro di Apollo, l’arbusto
sacro che aveva una parte importantissima in tutte le manifestazioni religiose e civiche.
Ovidio descrive mirabilmente tale metamorfosi, ma tralascia una parte del mito che era stato
sviluppato dai suoi predecessori greci e che gli conferisce un altro spessore.
MITOGRAFI GRECI
Dafne era in Tessaglia una sacerdotessa della Terra
Madre e a questa essa si rivolge implorandola. Allora,
come per incantesimo, la dea la rapisce portandola a
Creta, dove Dafne diventa Pasifae, e al suo posto
lascia un lauro.
Elementi da notare:
la storia si svolge in un primo tempo in Tessaglia, paese di Aria,
ninfa del sughero, la quale fu sedotta precedentemente da Apollo
stesso e da cui generò un figlio di nome Mileto;
la storia si conclude a Creta, dove Mileto seduce Minosse, che poi
lo caccerà e sposerà Pasifae, dalla quale avrà Arianna.
Apollo è figlio di Leto (Latona), anch’essa divinità
orientale di un albero, la palma.
Egli aveva provocato la morte del suo rivale Leucippo,
che si era travestito da fanciulla per vincere le
resistenze della ninfa Dafne e si era mescolato alle
compagne che percorrevano con lei i selvaggi valloni.
Il dio consigliò alle donne di fare il bagno nude, così
l’impostore fu scoperto e fatto a pezzi dalle terribili
vergini.
Il travestimento aggrava sicuramente la colpa di
Leucippo e significa una cosa sola: il culto del lauro
era rigorosamente vietato agli uomini. Apollo non è
riuscito ad appropriarsene direttamente, ma solo a
collegare al suo culto l’albero oracolare.
Al santuario di Delfi la masticazione delle foglie del
lauro sacro, che produceva l’estasi necessaria
all’enunciazione
dell’oracolo,
era
permessa
esclusivamente ad una sacerdotessa, la Pizia. Siamo
comunque di fronte all’appropriazione di un antico
culto da parte di un dio nuovo.
Leucippo (“cavallo bianco”) era figlio di Enomao,
famoso per il suo amore per i cavalli, e padre di
Ippodamia (“domatrice di cavalli”). Questa storia si
riferisce, forse, all’invasione, ad opera dei cavalieri
ellenici, della valle di Tempe (Tessaglia), dove scorre il
Peneo, e da dove, secondo la leggenda, Apollo portò il
lauro a Delfi.
CULTO PRIMITIVO
Un culto primitivo unisce la luna, un albero e un
cavallo.
Nel luogo ancor oggi selvaggio della valle di Tempe
(Tessaglia), un collegio di Menadi, masticando
foglie di lauro, celebrava un culto bacchico
(Enomao significa appunto “amico appassionato
del vino”) in onore di una certa dea Dafene (“rosso
porpora”, ovvero “sanguinaria”), secondo Nonno di
Panopoli (Dionisiache, 14, 80).
Pare si trattasse di una Dea Madre con la testa di
giumenta, dalla quale dipendeva un re consacrato
al culto dell’albero e del cavallo, che si chiamava
probabilmente Leucippo.
Leucippo regnava un solo anno e poi veniva fatto
a brandelli dalle Menadi infuriate.
Secondo Plutarco, le sacerdotesse di Dafene,
cacciate dalla Tessaglia, si sarebbero rifugiate a
Creta e qui avrebbero adorato la dea con il nome
di Pasifae (“quella che fa luce a tutti”), epiteto
della luna, con la quale Dafne aveva quindi
attinenza. Ovidio, infatti, la paragona a Febe, la
Luna appunto.
I mitografi greci e latini riferiscono altre tre storie di ninfe che non
sfuggirono alle brame divine se non ottenendo di essere
trasformate in alberi.
LEUKE
Si tratta di una fanciulla che, inseguita da Ade, si trasformò in un pioppo
bianco, Leuke appunto.
Poiché Ade non abbandonava la preda, ella dovette rimanere sulla soglia degli
Inferi, accanto al fiume Mnemosyne (Memoria) del quale forse era la figlia.
Tale fiume costituiva il confine tra il Tartaro, soggetto ad Ade, e l’Eliseo,
soggiorno dei beati, governati da Crono (dio del tempo, figlio di Urano e Gea e
padre di Zeus). Le acque di questo fiume permettevano ai defunti di accedere
all'immortalità degli eroi.
Leuke è anche il nome di una delle isole dei Beati, una sorta di paradiso
popolato da animali selvatici addomesticati, dove gli eroi si recavano a
riposarsi dopo la morte.
Questo si dice fosse il significato simbolico che i Greci attribuivano al pioppo
bianco, albero della morte luminosa, contrapposto al pioppo nero, che era
invece funesto.
FILIRA, IL TIGLIO
Filira era una ninfa, figlia di Oceano, che viveva nell'isola del
Ponto Eusino che porta il suo nome. Un giorno Crono si unì a lei,
ma, colto sul fatto dalla moglie Rea, prese le sembianze di uno
stallone e fuggì al galoppo, abbandonando Filira al suo destino.
Ella rimase incinta e partorì un figlio mezzo uomo e mezzo
cavallo, il centauro Chirone.
La vergogna e l'orrore che Filira provò furono tali che pregò suo
padre di trasformarla in un albero.
Il genitore acconsentì e la ninfa divenne un tiglio. Il tiglio era in
Grecia e ancor prima a Creta (la parola Philyra è cretese)
l’albero medicinale per eccellenza e i suoi fiori erano utilizzati
come rimedio. Si utilizzava il tiglio o liber (sempre chiamato
Philyra) per farne la carta; tagliato a strisce, serviva per la
divinazione.
PITIS, IL PINO NERO
Un altro mito greco racconta le vicende della casta ninfa
Pitis, che Pan tentò di violentare come Siringa. Per
sfuggirgli ella chiese ed ottenne d'essere trasformata in un
pino nero.
Secondo un'altra versione della leggenda, Pitis aveva due
prediletti: Pan e Borea, il vento settentrionale. Quando
Pitis scelse il primo, Borea si vendicò col suo soffio
impetuoso, precipitando la poveretta dall'alto di una
roccia. Allora la Terra, impietosita, trasformò il suo corpo
in un pino e Pan, addolorato, decise d'adornarsi la fronte
con corone intrecciate con rami di questo albero.
Quando in autunno soffia Borea, dalle pigne del pino
sgorga una resina trasparente: le lacrime di Pitis.
Dafne vittima di un amore che non corrisponde
Apollo non tiene conto della volontà di Dafne e la
insegue fino alle estreme conseguenze. Alla fine egli si
pente della triste fine della fanciulla e, cingendosi il
capo delle odorose fronde dell’albero, proclama che
l’alloro sarà sacro al suo culto e segno di gloria sul
capo dei vincitori.
Al contrario nella celebre ode ad Afrodite, la poetessa
greca Saffo invoca la dea perché ristabilisca gli
equilibri e faccia rispettare la legge cosmica
dell’amore, secondo la quale chi è amato ha il dovere
di ricambiare con altrettanto amore. Il rifiuto
costituisce un atto di ingiustizia (adikia).
Nell’immaginazione della poetessa, prontamente
Afrodite le offre aiuto e consolazione.
Preghiera ad Afrodite
Afrodite immortale dal trono variopinto,
figlia di Zeus tessitrice d’inganni, ti prego,
non piegarmi con affanni ed angosce
l’animo, o veneranda;
orsù vieni qui, se mai anche un’altra volta
udendo il mio grido da lontano,
(l’) ascoltasti e, abbandonata la casa dorata del padre,
giungesti
dopo aver aggiogato il carro: ti conducevano i bei
passeri veloci sulla nera terra
sbattendo fitte le ali dal cielo
attraverso l’aere;
subito giunsero: e tu, o beata,
sorridendo col volto immortale
(mi) domandavi che cosa ancora avessi patito e perché
ancora (ti) chiamassi
e che cosa soprattutto desiderassi ottenere
con animo folle: “Chi di nuovo devo convincere
ad accettare il tuo amore? Chi, o Saffo,
ti fa torto?
E infatti, se fugge, presto inseguirà,
e se non accetta doni, poi (ne) offrirà,
e se non (ti) ama, presto (ti) amerà
anche contro voglia”
Vieni ancora da me e liberami dai penosi
affanni e quanto il cuore desidera compiere,
compilo per me e tu stessa
sii (mia) alleata.
Ifigenia in Aulide (Ἰφιγένεια ἡ ἐν Αὐλίδι)
di Euripide, scritta tra il 407 e il 406 a.C.
In Aulide, sulla costa della Beozia, le barche dirette verso Troia sono bloccate a causa di
una bonaccia. L'indovino Calcante afferma che solo sacrificando alla dea Artemide una
figlia di Agamennone, Ifigenia, i venti torneranno a spirare.
Ifigenia però non è con loro, è rimasta a casa, così Agamennone, persuaso da Odisseo, le scrive una
lettera in cui le prospetta un matrimonio con Achille, chiedendole quindi di raggiungerli in Aulide
(Beozia).
In seguito però, pentito di questo inganno, cerca di avvertire la figlia di non mettersi in viaggio
scrivendole un altro messaggio.
Il secondo messaggio viene intercettato da Menelao, che lo toglie di mano al vecchio che lo portava
con sé e rimprovera aspramente Agamennone per il suo tentativo di tradimento.
Arrivano quindi in Aulide Ifigenia e la madre Clitemnestra, con il piccolo Oreste, per le nozze. A
quel punto emerge la verità, sicché le due donne si ribellano furiosamente: Clitemnestra
biasimando aspramente il marito, Ifigenia chiedendo pietà con parole toccanti. Anche Achille, nello
scoprire che il suo nome era stato usato per un atto tanto infame, minaccia vendetta.
Ifigenia tuttavia, nel vedere l’importanza che la spedizione ricopre per tutti i greci, cambia
atteggiamento e offre la propria vita, calmando la madre e respingendo l’aiuto di Achille.
Al momento del sacrificio, però, la ragazza scompare ed al suo posto la dea Artemide invia una
cerva, tra lo stupore e la felicità dei presenti, che in tal modo capiscono che la ragazza è stata
salvata dagli dei ed ora dimora presso di loro.
Il vento torna a spirare e la flotta può finalmente salpare verso Troia.
Arazzo - Fuga di Medea - Milano - Palazzo Reale
Durante un viaggio in Grecia, nel luglio 1895, Gabriele D’annunzio
visitò il tumulo di Maratona, che si leva alto più di dodici metri in
onore dei caduti ateniesi. In quel luogo, sospeso tra mito e realtà,
alcune bacche tra il nero e l’azzurro di una pianta d’alloro, di cui
aveva reciso un rametto, gli fanno tornare alla memoria la
lucentezza della testa della rondine, in cui era stata trasformata
Philomela.
Io sul tuo tumulo grande
colsi una rama d'alloro
che dure avea foglie di
bronzo
ma bacche tra nere e
azzurrigne
rilucenti come la testa
della rondinella cecròpia.
(Gabriele D’Annunzio, Maia)
Rossana Liberati
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