Sergio Corazzini
Breve biografia di Sergio Corazzini.
Sergio Corazzini nacque a Roma
il 6 febbraio del 1886
da Enrico Corazzini e da Caterina Calamani.
Nel 1895 Sergio Corazzini
si reca in Umbria, a Spoleto, dove frequenta il ginnasio.
In questi anni si manifesta
la malattia polmonare (la tubercolosi).
Nel 1898 rientra a Roma e si impiega presso una compagnia
di assicurazioni. Nel 1902 frequenta il caffè Sartoris,
dove ritrova i suoi amici poeti, e comincia a pubblicare
le sue prime poesie in dialetto romanesco.
Nel maggio 1904 Corazzini pubblica
il primo libro di poesie DOLCEZZE.
Nel dicembre del 1904 pubblica
il secondo libro di poesie L’AMARO CALICE.
Nel 1905 le condizioni di salute
di Corazzini vanno lentamente
ma inesorabilmente peggiorando.
Nel luglio del 1905 pubblica
il terzo libro di poesie LE AUREOLE.
Nel luglio del 1906 pubblica
il quarto libro PICCOLO LIBRO INUTILE.
Nel novembre del 1906 compare
ELEGIA (frammento lirico).
Nel dicembre del 1906 pubblica
il quinto libro di poesie
LIBRO PER LA SERA DELLA DOMENICA
Intanto le sue condizioni di salute
si aggravano, tanto da essere ricoverato
nel sanatorio di Nettuno.
Nel marzo del 1907 Corazzini
ritorna a Roma, dove scrisse
le sue ultime due poesie
IL SENTIERO E LA MORTE DI TANTALO.
Il 17 giugno 1907
Corazzini morì a Roma.
Il 28 giugno comparì postuma,
sulla “Vita letteraria”,
LA MORTE DI TANTALO,
il bellissimo ed enigmatico testamento poetico.
Le sue ossa, dopo 13 anni,
furono tumulate
in una vera e propria tomba.
Sergio Corazzini fu veramente una meteora,
cioè un astro che sprigionò moltissima luce
e che abbagliò i suoi contemporanei
e risplendette nel cielo tanto intensamente
quanto brevemente.
Insieme a Guido Gozzano e a Marino Moretti,
Sergio Corazzini è il padre fondatore della nuova poetica,
definita da Giuseppe Antonio Borgese, "Crepuscolarismo",
intendendo definire i nuovi temi di questi giovani poeti
che si affacciavano all'alba del nuovo secolo, (XX)
apportando una nuova linfa alla poesia tradizionale,
dominata da G. Pascoli e da G. D'Annunzio.
"Desolazione del povero poeta sentimentale".
(Testo della poesia)
I
Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?
II
Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.
Oggi io penso a morire.
III(Testo della poesia)
Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle cattedrali
mi fanno tremare d'amore e d'angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio,
come un povero specchio melanconico.
Vedi che io non sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.
.
IV (Testo della poesia)
Oh, non maravigliarti della mia tristezza!
E non domandarmi;
io non saprei dirti che parole così vane,
Dio mio, così vane,
che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire.
Le mie lagrime avrebbero l'aria
di sgranare un rosario di tristezza
davanti alla mia anima sette volte dolente,
ma io non sarei un poeta;
sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme
V (Testo della poesia)
Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù.
E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.
VI
Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
dimenticato da tutti gli umani,
povera tenera preda del primo venuto;
e desiderai di essere venduto,
di essere battuto
di essere costretto a digiunare
per potermi mettere a piangere tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo oscuro.
VII (Testo della poesia)
Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
per ogni cosa che se ne andava!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.
VIII
Oh, io sono, veramente malato!
E muoio, un poco, ogni giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
io so che per essere detto: poeta, conviene
viver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che morire.
Amen.
Parafrasi della poesia.
I
Perché tu mi dici che io sono un poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Io non ho che le lacrime da offrire al Silenzio (DIO).
Perché tu mi dici che io sono un poeta?
II
Le mie tristezze sono povere tristezze comuni,
le mie gioie furono semplici,
così semplici, che se io dovessi dirle a te arrossirei.
Oggi io penso a morire.
III( Testo della parafrasi)
Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angeli
sulle pareti delle cattedrali
mi fanno morire d'amore e d'angoscia;
solamente perché io sono ormai
rassegnato come uno specchio malinconico,
come chi tutto vede e riflette
senza partecipazione e appropriazione.
Vedi che io non sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.
IV (Testo della parafrasi)
Oh, non meravigliarti della mia tristezza!
E non domandarmi nulla;
Io non saprei dirti che parole così vane
che mi verrebbe di piangere come chi sta per morire.
E non guardarmi, vedresti
le mie lacrime che scenderebbero
lungo le guance, a una a una,
simili ai singoli grani di un rosario triste
davanti alla mia anima
sette volte sofferente;
tuttavia io non sarei un poeta,
sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
al quale capita di pregare,
come capita di cantare e di dormire.
V (Testo della parafrasi)
Io vivo di silenzio, quotidianamente, come vivo di Gesù.
E conosco i dolori della vita,
sono i sacerdoti che conducono a Dio.
senza i quali io non avrei cercato e trovato Dio.
VI
Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo,
mi sembrò di essere dimenticato dagli uomini,
mi sembrò di essere una povera preda del primo venuto;
e desiderai di essere venduto,
e desiderai di essere picchiato,
e desiderai di essere costretto a digiunare,
per potermi mettere a piangere tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo buio.
VII (Testo della parafrasi)
Io amo la vita semplice delle cose.
Io vidi morire molte passioni, a poco a poco,
per ogni ideale che si perdeva!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.
VIII
Oh, io sono veramente malato!
E muoio un poco ogni giorno.
Vedi che io non sono un poeta:
io so che per essere detto poeta
è necessario vivere un’altra e ben diversa vita!
Mio Dio, io non so pensare ad altro che a morire.
Amen.
Il poeta, rivolgendosi alla sua anima,
le dice che essa non deve
meravigliarsi della sua tristezza,
né delle sue parole
né delle sue lacrime,
che gli consumano il viso
e gli danno l'aria affranta
e desolata di un povero poeta sentimentale,
perché lui è solamente
un dolce e pensoso fanciullo
a cui avviene di pregare
così come cantare e dormire.
Il poeta risponde al suo “Alter ego”
cioè alla sua anima e al suo “Io ideale”,
pieno di speranze e di illusioni, mentre
il suo Io, reale e concreto, risponde
che le sue tristezze sono tristezze comuni e
che le sue gioie furono molti semplici.
Ma ciò che più lo tormenta è il pensiero della morte
che lui vede rappresentata nelle immagini
degli angeli disegnati sulle pareti delle cattedrali;
figure che lo fanno tremare d'amore e d'angoscia
e che lo mettono in comunicazione con Dio.
Il tema centrale della poesia
è la ricerca e il ritrovamento
di Dio, benché ciò è detto a metà
della lirica e in pochi versi.
Dio è, per Corazzini,
la soluzione salvifica
ai suoi dolori e alla sua vita.
Dio è la soluzione a tutti
i suoi pensieri di morte,
perché ciò che più conta
per Corazzini è proprio
il sentire e il capire
di aver trovato Dio.
La bellezza della poesia
deriva dall’uso di sintagmi
imprevisti e divergenti,
che danno alla poesia
un linguaggio alto, raffinato,
aulico e suggestivo,
e fanno provare al lettore
nella propria anima
una moltitudine
di emozioni e
di sensazioni inquietanti,
pure e cupe.
Il linguaggio poetico, dolce e suggestivo,
fatto di una cadenza salmodiante, evoca
nell'animo del lettore uno struggente dolore
e uno stato emotivo malinconico,
pieno di sottili sfumature emotive
che sanno far vibrare la sua anima
in modo intenso e meraviglioso.
Il tono emotivo della poesia è
un tono mesto e triste,
dovuto alla consapevolezza
del poeta del suo tragico destino
e della sua morte prematura,
come già lui aveva scritto
in una lettera del 21 agosto 1905
ad Antonello Caprino:
<< La mia vita sarà senza dubbio
di assai breve durata
e me ne andrò, forse un giorno,
il giorno in cui un incidente fatuo,
in apparenza,
determinerà per sempre,
la grande risoluzione>>.
SERGIO CORAZZINI
E
BIAGIO CARRUBBA
MODICA MARTEDI 29 AGOSTO 2006
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Sergio Corazzini - Biagio Carrubba